Tragedia di Perugia: “tensioni sociali fuori controllo: basta denigrare i dipendenti pubblici

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Fatti di sangue

I fatti di sangue che hanno tragicamente colpito le due colleghe della Regione Umbria chiamano tutti al raccoglimento e alla solidarietà verso i familiari delle vittime. Ma chiamano anche a una profonda riflessione sulla realtà del lavoro pubblico, sulla rappresentazione distorta, ingiustificata e ingiustificabile di cui lavoratori pubblici sono oggetto da troppo tempo.

La follia e la disperazione che hanno armato la mano dell’omicida avevano, infatti, come obiettivo quella che, in questa rappresentazione deformata, ha finito per costituire la causa delle insufficienze di uno stato e di un sistema di welfare non più in grado di offrire sostegno e sicurezza. Proprio mentre i servizi pubblici devono farsi argine al disagio e delle tensioni sociali esasperate dalle difficoltà della crisi, non solo i cittadini, le famiglie, le imprese, ma gli stessi lavoratori pubblici sono lasciati soli. E questi ultimi sono additati come i terminali dei mali antichi della nostra democrazia.

Negli anni recenti è stata alimentata intorno ai dipendenti pubblici una vera e propria mitologia negativa: il privilegiato inamovibile, il fannullone incapace, la palla al piede del paese, quello che campa alle spalle del cittadino strozzato dalle tasse e dalla crisi… Questa è l’immagine che si è voluto diffondere, con gran clamore mediatico. Non certo con l’intento di armare la mano di un folle, ma contribuendo a fare di lavoratori non meno onesti e “tartassati” della stragrande maggioranza degli italiani, un parafulmine del malessere sociale. Ai quali diventa legittimo togliere tutto: il contratto nazionale, il recupero di un minimo di potere d’acquisto a fronte del costo della vita che cresce per loro come per tutti, il rispetto e la considerazione sociale. Nel caso estremo, perfino la vita.

Questa non è e non vuole essere un’accusa diretta verso chi di questa campagna denigratoria si è fatto alfiere in ogni occasione; ma è un invito a opinionisti e forze politiche a farsi carico della corresponsabilità che tutti abbiamo, in un momento tanto delicato, nel non esacerbare ulteriormente un clima sociale già pesante. E di lavorare invece a ricomporre la frattura che si è aperta tra il “potere pubblico” (le amministrazioni, le istituzioni, la politica) e i cittadini.

Cominciando con il non cercare più comodi capri espiatori, che come in questo caso non sono altro che persone intente a svolgere il loro dovere quotidiano, e andare invece alla fonte dei problemi che fanno apparire l’amministrazione pubblica come “il nemico”: la scarsa chiarezza e coerenza delle norme che essa è deputata ad applicare, l’organizzazione inefficiente, il mancato coordinamento tra gli uffici, i conflitti di competenze, la poca trasparenza, la cultura della procedura anziché del risultato. L’Associazione ha da sempre espresso la propria convinzione per un reale cambiamento in questo senso, facendosi interprete dell’aspirazione di tanti lavoratori pubblici onesti e capaci che intendono il loro ruolo come aiuto al cittadino e non oppressione burocratica.

La vicenda di Perugia è una chiara dimostrazione di quanto l’humus del risentimento sociale possa dare frutti avvelenati. Ma è soprattutto la dimostrazione di quanto il teorema del dipendente pubblico colpevole di ogni stortura sia falso. I lavoratori pubblici hanno dato prova di cosa voglia dire essere in prima linea contro la sofferenza e la disgregazione sociale. Le due colleghe umbre sono l’esempio più chiaro e drammatico di cosa voglia dire l’impegno quotidiano, la dedizione al lavoro, il vivere e lavorare ogni giorno tra i venti della tempesta. E sono l’esempio, purtroppo tutt’altro che retorico, di cosa voglia dire metterci la vita.

L’altra considerazione da fare riguarda gli oggettivi squilibri che, in una fase difficile in cui la sua tenuta più dovrebbe dar prova di sé, il sistema italiano sta palesando. Sul fronte di un fisco sbilanciato a danno di chi lavora e produce, delle famiglie, dei pensionati, dei redditi fissi; su quello di un welfare incapace di fare fronte efficacemente alla domanda di tutela sociale; su quello di una politica cui continua a mancare il coraggio e la capacità di visione per mettere mano ad un disegno credibile di cambiamento, nella prospettiva del quale i pesanti sacrifici richiesti oggi – equamente ripartiti – acquistino un senso e uno scopo.

Le assurde morti di Perugia suonano un campanello d’allarme. Dicono che l’urgenza di ripensare la presenza del “pubblico”, dal livello centrale dello Stato a quello territoriale delle Regioni e dei Comuni con le funzioni e i servizi alle comunità che ad essi fanno capo, non è un tema astratto, ma riguarda la vita delle persone. E’ necessario che la politica, le istituzioni e le parti sociali cerchino con caparbietà ogni possibile soluzione per dare risposte efficaci alle persone, alle famiglie e alle imprese. I lavoratori pubblici sono da sempre in prima linea e troppo spesso finiscono per essere i primi a pagare il prezzo di tensioni sociali fuori controllo. Occorre, da parte di tutti, uno grande sforzo e una grande unità di intenti affinché tragedie come quella di Perugia non si ripetano più.