Cass. civ. Sez. VI – 2, Ord., (ud. 12-09-2017) 21-03-2018, n. 7066

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Corte di Cassazione3
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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5702/2016 proposto da:

COMUNE DI MILANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE MARZIO 3, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE IZZO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANTONELLA FRASCHINI, PAOLA MARIA CECCOLI, ANTONELLO MANDARANO;

– ricorrente –

contro

L.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 82, presso lo studio dell’avvocato VITTORIO SUSTER, rappresentato e difeso dall’avvocato MARINA ALBERTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 12578/2015 del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 10/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/09/2017 dal Consigliere Dott. Elisa Picaroni.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Ritenuto che il Tribunale di Milano, con sentenza depositata il 10 novembre 2015, ha rigettato l’appello proposto dal Comune di Milano avverso la sentenza del Giudice di pace di Milano n. 1612 del 2015, e nei confronti di L.E., e per l’effetto ha confermato l’annullamento del verbale di accertamento della violazione dell’art. 142 C.d.S., comma 8;

che la violazione era stata registrata dal sistema di rilevamento automatico in data 25 maggio 2014, e il verbale di accertamento è stato notificato in data 1 dicembre 2014;

che il Tribunale ha condiviso il rilievo del Giudice di pace, che aveva accolto l’eccezione di tardività della notifica del verbale di accertamento;

che per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Comune di Milano, sulla base di un motivo anche illustrato da memoria;

che resiste con controricorso L.E.;

che il relatore ha formulato proposta di decisione, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., di manifesta infondatezza del ricorso;

che con l’unico motivo il Comune di Milano denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 201 C.d.S., e contesta che, nel caso di rilevamento automatico dell’infrazione, l’accertamento dell’illecito avviene necessariamente in un momento successivo e richiede un’attività istruttoria complessa – a mezzo dell’esame dei fotogrammi e l’incrocio dei dati – finalizzata a riscontrare il nesso tra il veicolo di cui è stato registrato il transito e la proprietà dello stesso;

che, pertanto, il momento dal quale decorre il termine per la notifica del verbale non può che coincidere con quello dell’effettivo accertamento dell’infrazione, che nel caso in esame avvenuto entro il termine di novanta giorni;

che, in ogni caso, doveva ritenersi congruo il termine intercorso tra il rilevamento automatico dell’infrazione e la notifica del verbale di accertamento, in quanto proporzionato alla quantità di violazioni commesse nei luoghi nei quali il Comune ha predisposto il sistema di rilevamento automatico della velocità dei veicoli in transito;

che la doglianza è manifestamente infondata;

che il Tribunale ha escluso la congruità del periodo di cinque mesi che l’Amministrazione comunale ha impiegato per verificare la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi della violazione e notificare il verbale al trasgressore;

che l’affermazione, argomentata sul rilievo della relativa semplicità del riscontro dei dati (dalla targa dell’autovettura memorizzata dall’apparecchiatura di rilevamento automatico, all’identificazione del titolare), e dall’assenza di allegazioni circa la particolare difficoltà dell’accertamento, risulta immune da vizi;

che, in tema di sanzioni amministrative derivanti da infrazione del codice della strada, questa Corte regolatrice ha già chiarito che, qualora sia impossibile procedere alla contestazione immediata, il verbale deve essere notificato al trasgressore entro il termine fissato dall’art. 201 C.d.S., (novanta giorni, a seguito della modifica apportata con la L. n. 120 del 2010, art. 36, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame), salvo che ricorra l’ipotesi prevista dall’ultima parte del citato art. 201, e cioè che non sia individuabile il luogo dove la notifica deve essere eseguita per mancanza dei relativi dati nel Pubblico registro automobilistico o nell’Archivio nazionale dei veicoli o negli atti dello stato civile (per tutte, Cass. 25/03/2011, n. 6971; Cass. Sez. U. 09/12/2010, n. 24851);

che la ratio che sorregge l’ipotesi residuale, e giustifica la decorrenza del termine dal momento in cui l’Amministrazione sia posta in condizione di identificare il trasgressore o il suo luogo di residenza, è invocabile soltanto in presenza di situazioni di difficoltà di accertamento addebitabili al trasgressore (tardiva trascrizione trasferimento della proprietà del veicolo; omissione di comunicazione del mutamento di residenza), ma non quando, come nella specie, la difficoltà è connessa all’attività dell’Amministrazione, chiamata a gestire un numero elevato di violazioni registrate dai rilevatori di velocità, posto che l’effettività dell’azione dell’Amministrazione non può mai realizzarsi attraverso la compressione del diritto di difesa del trasgressore;

che la questione attiene al bilanciamento tra le esigenze dell’Amministrazione e il diritto di difesa del trasgressore, ed è stata oggetto a più riprese di interventi della Corte costituzionale;

che già con la sentenza n. 255 del 1994 il Giudice delle leggi osservò che il termine di notificazione, all’epoca di centocinquanta giorni, doveva ritenersi “contenuto in limiti tollerabili nel bilanciamento delle contrapposte esigenze, anche se ciò non può significare in futuro una illimitata libertà del legislatore. Questi non potrebbe non tener conto dei profili prospettati nell’ordinanza di rinvio, che avverte le difficoltà cui va certamente incontro il destinatario della contestazione, ai fini della predisposizione della propria difesa, quanto più remota è la data in cui si è svolto il fatto rispetto alla contestazione stessa. Un ulteriore prolungamento del termine non potrebbe, perciò, non porre dubbi di costituzionalità in termini di ragionevolezza”;

che, nella stessa pronuncia, si rilevava che “ad eventuali difficoltà di ordine organizzativo, cui finora si è ritenuto di far fronte con il prolungamento dei termini, ben potrebbe ovviarsi con misure tali da assicurare un più equo contemperamento fra le contrapposte esigenze, realizzando cioè, in armonia con l’art. 97 della Costituzione, una migliore efficienza degli uffici amministrativi che oggi è più facile ottenere con l’ausilio dei mezzi offerti dalla più avanzata tecnologia, certamente in grado di soddisfare le esigenze dell’amministrazione, senza creare ulteriori difficoltà ai soggetti destinatari della contestazione”;

che successivamente, con la sentenza n. 198 del 1996, la Corte costituzionale, muovendo nel solco dei principi enunciati dal precedente dictum, ha dichiarato l’illegittimità, per violazione dell’art. 24 Cost., del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 201, comma 1, (Nuovo codice della strada), “nella parte in cui, nell’ipotesi di identificazione dell’effettivo trasgressore o degli altri responsabili avvenuta successivamente alla commissione della violazione, fa decorrere il termine di centocinquanta giorni per la notifica della contestazione dalla data dell’avvenuta identificazione, anzichè dalla data in cui risultino dai pubblici registri l’intestazione o le altre qualifiche dei soggetti responsabili o comunque dalla data in cui la pubblica amministrazione è posta in grado di provvedere alla loro identificazione”;

che, sulla scorta dei principi richiamati, tenuto conto della evoluzione dei sistemi di rilevamento dei dati utilizzabili ai fini della identificazione del trasgressore e del luogo utile per la notifica, il legislatore del 2010 ha ridotto il termine da centocinquanta a novanta giorni, così attuando un ragionevole bilanciamento tra opposte esigenze di rango costituzionale (artt. 97 e 24 Cost.), e la giurisprudenza di questa Corte è pervenuta all’interpretazione dell’art. 201 C.d.S., già i richiamata, a cui va dato seguito;

che il ricorso è rigettato e il ricorrente è condannato alle spese, nella misura liquidata in dispositivo;

che sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta – 2 Civile, il 12 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2018