In pensione a 67 anni fino al 2022

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Roma, 13 feb. (askanews) - Nel 2017 i pensionati sono 16 milioni (-23mila rispetto al 2016, -738mila rispetto al 2008) e percepiscono in media un reddito pensionistico lordo di 17.886 euro (+306 euro sull'anno precedente). Le donne sono il 52,5% e ricevono in media importi annui di quasi 6mila euro più bassi di quelli degli uomini. Continuano ad ampliarsi le differenze territoriali: l'importo medio delle pensioni nel Nord-est è del 20,7% più alto di quello nel Mezzogiorno (18,2% nel 2016, 8,8% nel 1983, primo anno per cui i dati sono disponibili).
E' la fotografia scattata dall'Istat nel report "Condizioni di vita dei pensionati" relativo agli anni
2016-2017.

Nel 2016 e nel 2017 - è l'analisi dell'Istat - si confermano alcune tendenze in atto da alcuni anni: la progressiva diminuzione dei pensionati e dei percettori di pensione che risultano occupati, la riduzione del divario reddituale e il relativo miglioramento delle condizioni di vita delle famiglie con pensionati rispetto a quelle senza.

 In termini di importi medi, le differenze di genere rimangono marcate anche se in riduzione: per le pensioni di vecchiaia +72,6% a favore degli uomini nel 2005, +62,1% nel 2016, +60% nel 2017).  

Il reddito pensionistico netto dei pensionati residenti in Italia nel 2016 risulta in media pari a 14.567 euro annui (+1,8% rispetto al 2015).

 Il cumulo di più trattamenti pensionistici sullo stesso beneficiario è meno frequente tra i pensionati di vecchiaia - riguarda il 28,2% dei pensionati - mentre è molto più diffuso tra i pensionati superstiti (67,4%), in grande maggioranza donne (86,5%).

 Continuano a scendere i percettori di pensione che risultano occupati (411mila nel 2017, da 432mila del 2016; -20,3% rispetto al 2011), uomini in tre casi su quattro. L'85% svolge un lavoro autonomo, i due terzi risiedono al Nord e quasi il 50% ha un titolo di studio superiore alla licenza media (è circa un quarto per il complesso dei pensionati).
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A darne la conferma è il decreto del ministero dell’Economia, di concerto con quello del Lavoro, pubblicato in Gazzetta ufficiale

Fino al biennio 2021/2022 si potrà andare in pensione a 67 anni. A darne la conferma, dopo l’anticipazione data nei giorni scorsi (leggi Pensione a 67 anni fino al 2022) è il decreto del ministero dell’Economia, di concerto con quello del Lavoro, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 15 novembre.

«Dal 1° gennaio 2021 i requisiti di accesso ai trattamenti pensionistici non sono ulteriormente incrementati». Questo perché la speranza di vita non è cresciuta e quindi i requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia non s’innalzano. Così il decreto e in molti possono tirare un respiro di sollievo. Il provvedimento determina gli eventuali aggiornamenti dell’età di vecchiaia e di altri requisiti alla variazione della speranza di vita: il possibile aumento di un mese, conseguente all’incremento della longevità registrato nel 2018, non scatterà grazie all’arrotondamento alla terza cifra dopo la virgola.

L’aumento della speranza di vita a 65 anni è di 0,021 decimi di anno. E dunque «Trasformato in dodicesimi di anno equivale ad una variazione di 0,025 che, a sua volta arrotondato in mesi, corrisponde ad una variazione pari a 0». Nero su bianco il riferimento è all’anno 2021 ma, considerato che gli adeguamenti sono biennali, il livello fissato a 67 anni resterà in vigore anche l’anno successivo.

Si cambia dal 2023: da quel momento scatterà l’ulteriore adeguamento che, comunque, non potrà superare in ogni caso i 67 anni e 3 mesi, se si tiene presente che il requisito dell’età può aumentare per un massimo di 3 mesi alla volta. Resta il requisito dei 20 anni di contributi versati per andare in pensione a 67 anni. Per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996 – regime contributivo – è necessario avere un trattamento pari a una volta e mezzo il minimo. In ogni caso c’è quota 100.