Cartelle esattoriali: nulla la notifica se da PEC non ufficiale

Notifica delle cartelle esattoriali solo da PEC ufficiale. In caso contrario si considera nulla. A stabilirlo diverse pronunce giurisprudenziali, ed è quindi importante per il contribuente verificare l’indirizzo di posta elettronica certificata del mittente.
Sono diverse le pronunce giurisprudenziali sul tema accomunate dall’aver evidenziato la nullità delle attività di notifica mediante caselle di posta elettronica certificata non inserite nei pubblici registri.
Questo è quanto stabilito ad esempio dalla ventesima Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Roma con l’ordinanza numero 10571 del 16 dicembre 2020.
In buona sostanza, a conferma fra l’altro dell’orientamento giurisprudenziale, secondo i giudici tributari risulta priva di effetto ab origine, e quindi inesistente e non suscettibile di sanatoria, la notifica dell’Agenzia delle Entrate proveniente da questo indirizzo:
notifica.acc.lazio@pec.agenziariscossione.gov.it
Nel caso di specie, infatti, l’Ente della Riscossione in qualità di soggetto notificante, non aveva utilizzato una delle PEC riferite all’Agenzia delle Entrate Riscossione riportate nel pubblico registro (Indice delle Pubbliche Amministrazioni).
La sentenza numero 10571 del 16 dicembre 2020 della ventesima CTP ha confermato l’orientamento ormai consolidato secondo cui la notificazione via PEC, per considerarsi valida, deve essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante che risulti da pubblici elenchi.
Nel in cui il contribuente si ritrovi nella casella di posta una cartella proveniente da un qualsiasi altro indirizzo, deve reputare quella notifica priva di efficacia perché inesistente.
Non si potrà, per tale ragione, invocare la “sanatoria per raggiungimento dello scopo” prevista dall’articolo 156 del Codice di Procedura Civile, perché la notifica irrituale degli atti tributari, ancor prima che nulla, è inesistente.
L’articolo 156 citato, in tema di rilevanza delle nullità, stabilisce infatti quanto segue:
“Non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge.
Può tuttavia essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo.
La nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”.
Ciò significa che, secondo il principio di tassatività, l’inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento determina la nullità solamente nei casi previsti dalla legge.
La fattispecie richiamata, tra l’altro, fa riferimento alle cosiddette nullità formali che intervengono soltanto in casi eccezionali perché, in ipotesi di raggiungimento dello scopo, il relativo vizio viene sanato.
Ebbene, i giudici tributari hanno escluso l’applicazione di questo principio al caso di specie ed hanno ritenuto insanabile l’irregolarità della notifica.
Secondo quanto stabilito dall’ordinanza in commento, infatti, la Commissione Tributaria ha considerato la notifica per mezzo di una PEC non ufficiale, ancor prima che nulla, inesistente.
Non è quindi da ricomprendere nei vizi sanabili nel caso di raggiungimento dello scopo, così come disposto dal citato articolo 156, ossia nel caso di avvenuta conoscenza dell’atto notificato (le cartelle esattoriali).
Vi è infatti una fondamentale differenza tra inesistenza e nullità di un atto, i cui caratteri sono spesso oggetto di diatribe dottrinali e giurisprudenziali.
In estrema sintesi, la prima consiste nella più grave forma di invalidità, comminata laddove sussista una anomalia dell’atto nella sua formazione, perché privo di uno degli elementi essenziali o comunque illecito.
Nullità che, fra l’altro, in alcuni casi può essere sanata (nullità relativa) e in altri persiste definitivamente (nullità assoluta).
La seconda, viceversa, interviene quando il vizio è talmente grave da non consentire nemmeno di identificare l’atto, nemmeno nei suoi requisiti minimi essenziali.
D’altronde, l’articolo 16 ter del D.L. 179/2012 definisce pubblici elenchi quelli previsti gli articoli 4 e 16, comma 12, dello stesso decreto, ovvero “IPA”, “Reginde”, “Inipec”.
Ecco, quindi, che l’indirizzo da cui è giunta la cartella impugnata non è oggettivamente e con certezza riferibile all’Agenzia delle Entrate Riscossione, non risultando nell’elenco del Reginde (Registro Generale degli Indirizzi Elettronici gestito dal Ministero della Giustizia), né nella pagina ufficiale del sito internet dell’Agenzia Entrate Riscossione, né tantomeno nella pagina della CCIAA (Camera di Commercio di Roma).
È l’articolo 3-bis della legge n. 53/1994 a definire le regole in materia di notifica di atti tramite PEC e, in particolare, il comma 1 prevede che:
“La notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi.”
Gli elenchi pubblici a cui si fa riferimento nell’ambito delle attività di notifica delle cartelle esattoriali sono quindi quelli sopra individuati: Reginde, INIPEC e IPA. In caso di indirizzi di posta elettronica certificata non inclusi, la notifica è quindi ritenuta nulla.
Questo è l’orientamento che ha caratterizzato le ultime pronunce in materia, e oltre a quella sopra analizzata si cita, a titolo esemplificativo, il recente intervento della CTR del Lazio con la sentenza n. 3514 del 2 agosto 2022, secondo il quale le notifiche effettuate tramite PEC non incluse in elenchi pubblici sono nulle e si considerano inesistenti.
Gli esempi di cui sopra consolidano quindi un orientamento ormai diffuso, a tutela dei diritti dei contribuenti.