REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PIVETTI Marco – Presidente
Dott. DI IASI Camilla – Consigliere
Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
COMUNE DI ROMA, in persona del Sindaco V.W., rappresentato e difeso dall’avv. Avenati Fabrizio e, in forza di procura speciale, dall’avv. Pasquali Giorgio, presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma in via del Tempio di Giove n. 21;
– ricorrente –
contro
AZIENDE ALBERGHIERE BETTOJA spa, in persona del legale rappresentante B.A., rappresentato e difeso in forza di procura speciale dall’avv. Natola Giuseppe, presso il quale è elettivamente domiciliata in Roma in via Claudio Monteverdi n. 16;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 200/1/05, depositata il 13 ottobre 2005.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28 maggio 2010 dal Relatore Cons. Dott. Antonio Greco;
uditi l’avv. Pasquali Giovanni per il ricorrente e l’avv. Giuseppe Natola per la controricorrente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Zeno Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento del primo, secondo, terzo e quarto motivo del ricorso, assorbiti gli altri, e per l’inammissibilità del controricorso.
Svolgimento del processo
La Commissione tributaria regionale del Lazio, rigettando l’appello del Comune di Roma, ha confermato l’annullamento di cinque avvisi di accertamento ai fini dell’ICI per gli anni 1998, 1999, 2000, 2001 e 2002 emessi da quel Comune nel 2003, sulla base delle rendite catastali attribuite nel 1997, nei confronti della spa Aziende Alberghiere Bettoja per emesso, insufficiente e tardivo versamento dell’imposta relativa ad un complesso immobiliare in (OMISSIS) adibito ad uso alberghiero.
La Commissione regionale ha anzitutto dichiarato inammissibile l’appello per vizio della notifica, eseguita a mezzo raccomandata in busta chiusa anzichè con plico raccomandato senza busta; ha inoltre dichiarato l’inammissibilità dell’appello per mancanza di specificità dei motivi in esso articolati.
Ha quindi rigettato i rilievi del Comune relativi alla dichiarata irricevibilità della costituzione in primo grado e delle controdeduzioni, ravvisando la mancanza di capacità processuale e di rappresentanza del funzionario responsabile designato dal dirigente preposto all’ufficio tributi del Comune, in base all’art. 34, comma 4, dello statuto dell’ente; ha ritenuto sufficiente a determinare la nullità degli avvisi la mancata allegazione degli atti in essi citati.
In ordine al rilievo del Comune – concernente l’interpretazione dell’art. 74 della legge 21 novembre 2000, n. 342 – secondo cui gli atti attributivi della rendita erano stati già notificati dall’amministrazione finanziaria nel 1997 ed impugnati dalla parte senza successo nello stesso anno, ha ritenuto che l’atto di attribuzione della rendita, ancorchè espressione della valutazione di un altro soggetto, solo al momento dell’emissione da parte del Comune dell’atto impositivo “diventa presupposto, cioè variabile indipendente della funzione impositiva esercitata e soltanto da quel momento è diretto al fine specifico, a nulla rilevando ogni precedente valutazione, ancorchè fatta dallo stesso altro soggetto, perchè l’atto potrebbe avere avuto finalità diverse, ovvero riferito addirittura a situazioni soggettive ed oggettive modificatesi nel tempo”, come sarebbe confermato al comma 3, ove si stabilisce “che gli atti impositivi delle attribuzioni o modificazioni della rendita “costituiscono a tutti gli effetti anche atti di notificazione della rendita”.
Nei confronti della decisione il Comune di Roma propone ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
La società contribuente resiste con controricorso.
Motivi della decisione
Va anzitutto dichiarata la tardività del controricorso, in quanto notificato il 6 aprile 2006 e quindi, considerato che il ricorso era stato notificato il 16 febbraio 2006, oltre il termine fissato dall’art. 370 cod. proc. civ..
Con il primo motivo il Comune ricorrente, denunciando la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 10 e art. 11 cod. civ. eccepisce la inammissibilità dei ricorsi introduttivi perchè proposti nei confronti del Comune di Roma – Ufficio tributi – in persona del legale rappresentante pro tempore nella sede di via (OMISSIS).
Il motivo è infondato, in quanto i ricorsi furono chiaramente proposti nei confronti dell’ente in persona del suo legale rappresentante, ancorchè indirizzati alla sede, diversa da quella legale del Comune, dell’ufficio competente ratione materiae. Questa Corte ha al proposito affermato – in una fattispecie nella quale l’appello del contribuente, che avrebbe dovuto essere notificato all’Ufficio delle entrate, unica parte processuale legittimata, era stato invece per errore notificato al Centro di servizio – che il Centro di servizio, “in ossequio al principio generale di tutela dell’affidamento del contribuente ed al conseguente dovere di collaborazione (L. n. 212 del 2000, art. 10), è tenuto, facendo parte della medesima Amministrazione finanziaria, a trasmettere il ricorso al competente Ufficio delle Entrate, conseguendone, in difetto, che la mancata tempestiva costituzione dell’Ufficio in appello non è imputabile al contribuente, bensì all’Amministrazione medesima” (Cass. n. 2937 del 2010). E ciò senza dire che nel caso in esame la rituale costituzione del Gemine in primo grado sanò l’eventuale nullità.
Con il secondo motivo, articolato, come i successivi, in via subordinata, il ricorrente si duole che sia stata dichiarata l’inammissibilità dell’appello per vizio di notifica, per essere stata utilizzata la busta chiusa in luogo del piego raccomandato.
Il motivo è fondato, ove si consideri che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, nel processo tributario la spedizione del ricorso o dell’atto d’appello a mezzo posta in busta chiusa, pur se priva di qualsiasi indicazione relativa all’atto in esso racchiuso anzichè in plico senza busta come previsto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 20, costituisce una mera irregolarità se il contenuto della busta e la riferibilità alla parte non siano contestati (Cass. n. 13666 del 2009, n. 7797 del 2008, n. 17702 del 2004).
Con il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per il mancato esame del motivo d’appello con il quale era stato dedotto e documentato il passaggio in giudicato delle decisioni della Commissione tributaria provinciale di Roma, adita su altri ricorsi della società contribuente diretti a contestare l’attribuzione della rendita catastale, il che avrebbe reso legittimi gli accertamenti consequenziali ai fini dell’ICI, impedendo al giudice d’appello del presente giudizio di entrare nel merito dei motivi dedotti in primo grado, che intingevano appunto nel merito della consequenziale pretesa tributaria di esso Comune, e di confermare la sentenza di prime cure sull’applicazione della L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 74; ed avrebbe, perciò, dovuto rigettare i ricorsi introduttivi del presente giudizio per definitività delle rendite.
Il motivo è fondato, ove si consideri il rapporto di pregiudizialità sussistente tra la controversia promossa avverso il provvedimento di attribuzione della rendita catastale ad un immobile da parte dell’Ufficio del Territorio e la controversia promossa avverso l’accertamento dell’ICI determinata dal Comune sulla base di detta rendita (Cass. n. 25678, n. 26380 del 2006, n. 18271 del 2004).
Sul rilievo formulato dal Comune con l’appello – riprodotto nel ricorso -, con indicazione degli estremi delle decisioni di primo grado, divenute definitive (che si indicano come allegate), di rigetto dei ricorsi della contribuente avverso le rendite catastali attribuite al complesso immobiliare, e segnatamente sulla definitività delle dette rendite, rilevante nel presente giudizio, la sentenza impugnata non si è pronunciata, incorrendo nel vizio denunciato.
Con il quarto motivo, denunciando “violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., comma 1, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. – Omessa pronuncia su un punto decisivo ex art. 112, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”, censura la sentenza per aver rilevato la mancanza di specificità dei motivi d’appello, perchè formulati in forma generalizzata e non critica, laddove le censure formulate nel gravame sarebbero state puntuali e documentate su ciascun singolo punto della controversia, e svolte anche in forma critica avverso la decisione di primo grado. E ciò con riguardo alla questione concernente il passaggio in giudicato delle decisioni della Commissione tributaria provinciale sulle rendite; con riguardo alla motivazione dell’accertamento, nel quale vengono indicate le definitive rendite catastali che ne costituiscono il fondamento, ed in ordine al rilievo della fin mancata allegazione agli avvisi degli atti in essi indicati, e segnatamente delle rendite catastali definitive, “già note alla contribuente perchè modificate in precedenza dall’ufficio del territorio ed anche impugnate”.
Il motivo è fondato, come si evince dalla lettura dell’atto di appello – riprodotto nel ricorso per cassazione – recante censure puntuali, tanto in ordine alle decisioni, analiticamente indicate, sugli atti di attribuzione delle rendite catastali, che in ordine alla motivazione degli avvisi di accertamento, che in ordine alla circostanza che le rendite attribuite, richiamate a fondamento degli accertamenti, erano, come si è visto, conosciute dalla contribuente.
Con il quinto motivo il ricorrente censura la sentenza, sotto i profili del vizio di motivazione e della violazione di legge, per aver affermato la mancanza di potere rappresentativo del dirigente dell’ufficio tributario del Comune, negando che ad esso spetti “la competenza a decidere l’instaurazione di un giudizio”.
Il motivo è fondato, ove si consideri che “in tema di contenzioso tributario, il D.L. 31 marzo 2005, n. 44, art. 3 bis, comma 1, convertito con modificazioni nella L. 31 maggio 2005, n. 88, in vigore dal 1 giugno 2005, sostituendo al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 11, il comma 3, sul contenzioso tributario, dispone che l’ente locale, nei cui confronti è proposto il ricorso, può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell’ufficio tributi, o, in mancanza di tale figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa comprendente l’ufficio tributi; mentre l’art. 3 bis citato, comma 2 estende ai processi in corso la suddetta disposizione, relativa alla legittimazione processuale dei dirigenti locali – nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto ammissibile l’appello proposto dal dirigente del servizio affissioni e pubblicità del Comune di Roma” (Cass. n. 14637 e n. 6727 del 2007, n. 13230 del 2009).
Con il sesto motivo, denunciando “violazione e falsa applicazione della L. n. 342 del 2000, art. 74, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. – Perplessità della motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, censura come inconferente, perplesso ed illogico, e comunque erroneo nel merito il ragionamento secondo cui “gli atti impositivi delle attribuzioni o modificazioni della rendita costituiscono a tutti gli effetti anche atti di notificazione della predetta rendita”, trascurando di rilevare che tale previsione della L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 74, si attaglia alla diversa fattispecie in cui non vi sia stata una precedente notifica della rendita, mentre nel caso di specie l’attribuzione della rendita, e la sua notifica, sono intervenute prima del 31 dicembre 1999, e l’atto sarebbe stato impugnato dalla controparte con esito negativo e definitivo davanti alla Commissione tributaria provinciale. A tale rendita, pertanto, esso Comune doveva rifarsi negli avvisi di accertamento.
Il motivo è fondato, in quanto è erronea l’affermazione del giudice di merito secondo cui l’atto impositivo costituirebbe “a tutti gli effetti” anche atto di notificazione della rendita posta a base dell’accertamento stesso, atteso che, nella specie, essa rendita risulterebbe non solo attribuita in epoca anteriore al 31 dicembre 1999, ma anche notificata alla contribuente e dalla stessa impugnata.
Con il settimo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002 ed illegittimità derivata della statuizione riguardante la decadenza del potere impositivo per l’annualità 1998 in seguito all’accoglimento del motivo” del ricorso per cassazione diretto a censurare la riconosciuta nullità degli avvisi per difetto di motivazione, nullità che aveva reso superflua l’esame della questione in appello.
Il motivo è fondato, ove si consideri che l’avviso di accertamento relativo al periodo d’imposta 1998 fu notificato il 30 luglio 2003.
Il termine biennale originariamente stabilito dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 11, è stato infatti prorogato al 31 dicembre 2002 dalla L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 27, comma 9, e quindi prorogato al 31 dicembre 2003 dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 31, comma 16, a tenore del quale “in deroga alle disposizioni della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, comma 3, concernente l’efficacia temporale delle norme tributarie, i termini per la liquidazione e l’accertamento dell’imposta comunale sugli immobili, che scadono il 31 dicembre 2002, sono prorogati al 31 dicembre 2003, limitatamente alle annualità d’imposta 1998 e successive”.
In conclusione, il primo motivo del ricorso deve essere rigettato, mentre vanno accolti tutti i successivi motivi, dal secondo al settimo, la sentenza deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo, il terzo, il quarto, il quinto, il sesto ed il settimo motivo del ricorso, mentre rigetta il primo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 28 maggio 2010.
Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2010