Notifica via pec si dimostra solo con la ricevuta di avvenuta consegna

Una sentenza del Tribunale di Latina, Sezione Lavoro, ribadisce che solo la ricevuta di avvenuta consegna (RDAC) costituisce prova della notificazione


Con la sentenza n. 982 del 04.10.2022, il Tribunale di Latina, Sezione Lavoro, nella persona del Giudice del Lavoro, Dott.ssa Valentina Avarello, ha accolto l’opposizione a decreto ingiuntivo emesso dal medesimo Tribunale per contributi previdenziali non assolti, attesa la prescrizione quinquennale.
Il Giudice, condividendo le argomentazioni dell’opponente, che disconosceva tempestivamente ex art. 2719 c.c. gli estratti in formato .pdf delle ricevute telematiche di notifica degli atti di messa in mora intervenuti medio tempore fino alla notifica del decreto ingiuntivo, ritiene che solo i file in formato .eml costituissero idonea prova della notifica.
Così si esprime il Giudice:
“Dalla documentazione in atti si evince che il credito rivendicato con il decreto ingiuntivo opposto riguarda i contributi afferenti alle annualità 1999, 2009, 2011, 2012, 2013.
Occorre esaminare la documentazione prodotta dalla Cassa al fine di verificare la sussistenza di validi atti interruttivi della prescrizione.
Con riferimento alla diffida asseritamente notificata alla parte opponente il 18.12.2013 (al. 5 in cui sono rivendicate annualità 1999; 2000; 2009; 2011; 2012), rileva il giudicante che la documentazione prodotta dalla Cassa ai doc. 5.1. e 5.2. (cfr. fasc. opposta) non è idonea ad attestare l’effettivo inoltro della pec alla sig…., trattandosi di mere stampe analogiche di avvenuta consegna della pec da cui sono evincibili come dati soltanto il giorno e la data, il mittente e il destinatario ma in assenza di una qualsiasi indicazione dell’oggetto, e quindi del contenuto del messaggio.
La mancata produzione dei file .eml della RDAC (pur disposto con ordinanza del 2.3.2021) impedisce pertanto ogni verifica in relazione al contenuto dalla pec e alla riferibilità della stessa all’atto di intimazione di cui al documento 5…
In assenza di validi atti interruttivi della prescrizione, ne consegue che i contributi dovuti per le annualità 1999, 2009, 2011, 2012, 2013 ingiunti con decreto ingiuntivo notificato in data 21.9.2020 devono ritenersi estinti per decorso del termine prescrizionale.
Il decreto ingiuntivo deve pertanto essere revocato e l’opposizione accolta.”
La normativa in tema di notifiche telematiche è chiara nell’affermare che la prova della notifica è data unicamente dalla ricevuta telematica di avvenuta consegna (c.d. RDAC).
A norma dell’art. 48 d.lgs. 82/2005 (c.d. Codice dell’Amministrazione Digitale): “La trasmissione telematica di comunicazioni che necessitano di una ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna avviene mediante la posta elettronica certificata ai sensi del Dpr n. 68/2005, o mediante altre soluzioni tecnologiche individuate con le Linee guida.
La trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata ai sensi del comma 1, equivale, salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta.
La data e l’ora di trasmissione e di ricezione di un documento informatico trasmesso ai sensi del comma 1 sono opponibili ai terzi se conformi alle disposizioni di cui al Dpr n. 68/2005, ed alle relative regole tecniche, ovvero conformi alle Linee guida”.
L’art. 6 comma 3 d.p.r. 68/2005 prevede: “La ricevuta di avvenuta consegna fornisce al mittente prova che il suo messaggio di posta elettronica certificata è effettivamente pervenuto all’indirizzo elettronico dichiarato dal destinatario e certifica il momento della consegna tramite un testo, leggibile dal mittente, contenente i dati di certificazione”.
Sulla base di tale quadro normativo di riferimento, la Corte Suprema di Cassazione ha affermato che in difetto della RDAC la notificazione è da considerarsi affetta addirittura da inesistenza:
“La notifica a mezzo posta elettronica certificata non si esaurisce con l’invio telematico dell’atto, ma si perfeziona con la consegna del plico informatico nella casella di posta elettronica del destinatario, e la prova di tale consegna è costituita dalla ricevuta di avvenuta consegna. La mancata produzione della ricevuta di avvenuta consegna della notifica a mezzo p.e.c. del ricorso per cassazione, impedendo di ritenere perfezionato il procedimento notificatorio, determina quindi l’inesistenza della notificazione, con conseguente impossibilità per il giudice di disporne il rinnovo ai sensi dell’art. 291 c.p.c., in quanto la sanatoria ivi prevista è consentita nella sola ipotesi di notificazione esistente, sebbene affetta da nullità” (Cass. n. 20072/2015).


Piattaforma Notifiche Digitali: pubblicato il bando per i Comuni

È uscito l’Avviso per i Comuni Misura 1.4.5 del PNRR dedicata alla Piattaforma per la notificazione digitale degli atti della pubblica amministrazione. Il bando ha una dotazione complessiva di 80 milioni di euro.

L’obiettivo della Piattaforma delle notifiche è risolvere la situazione delle notifiche della pubblica amministrazione, attualmente gestito singolarmente da ogni ente (al meglio possibile per le proprie capacità), con costi di notifica e spesso di “investigazione” per individuare il notificato. È l’obiettivo dell’Avviso Misura 1.4.5 “Piattaforma Notifiche Digitali” Comuni (Settembre 2022), appena pubblicato e che permetterà ai comuni di collegarsi alla nuova Piattaforma delle Notifiche.
La Piattaforma per la notificazione digitale degli atti della pubblica amministrazione, istituita dalla legge di Bilancio 2020 e disciplinata dall’articolo 26 del Decreto “Semplificazioni”, consentirà alle PA di effettuare notificazioni con valore legale di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni a persone fisiche e giuridiche residenti o aventi sede legale nel territorio italiano (o comunque titolari di codice fiscale).
La piattaforma delle notifiche permette di creare uno standard nazionale per le notifiche, sia per la PA che per il cittadino, di centralizzare l’eventuale postalizzazione, di sdoganare la notifica digitale.
Cosa prevede il Bando
I soggetti attuatori dell’avviso sono i Comuni (7904 municipalità in tutta Italia). Il bando ha una dotazione complessiva di 80 milioni di euro.
Il bando non ha “bandi precedenti” con cui relazionarsi, come invece gli avvisi pubblicati il 4 Aprile, che vanno valutati in relazione al Fondo Innovazione e Bando Piccoli Comuni. È quindi simile al bando Cloud ed Esperienza del cittadino da questo punto di vista.
Le attività finanziabili fanno riferimento:
• effettuare l’integrazione dei sistemi del Comune sulla Piattaforma Notifiche Digitali;
• attivare due servizi relativi a tipologie di atti di notifica, così come descritte nel dettaglio nell’Allegato 2 all’Avviso.
L’elenco delle attività ammissibili è esplicitato nell’allegato 2. Le date di riferimento del bando sono:
12/09/2022: data apertura
11/11/2022: data chiusura del bando
15/10/2022: data inizio richiesta erogazione contributo
In particolare, i lavori dovranno essere affidati al fornitore entro 3 mesi dalla data di notifica finanziamento, e completati entro 6 mesi (in base alla dimensione dell’ente) dalla data di stipula del contratto con il fornitore. La notifica del finanziamento viene data dopo esame delle richieste di finanziamento presentate dagli enti e valutate tra la data di apertura e chiusura del bando.

Non c’è un concetto di attività avviate a partire dalla data (retroattività), trattandosi di una piattaforma nuova.
I fondi disponibili per ogni ente
I fondi sono suddivisi tra gli enti secondo il criterio della fascia di abitanti:
1) per i Comuni fino a 5.000 abitanti: €23.147
2) per i Comuni 5.001 – 20.000 abitanti: €32.589
3) per i Comuni 20.001 – 100.000 abitanti: €59.966
4) per i Comuni 100.001 – 250.000 abitanti: €69.000
5) per i Comuni > 250.000 abitanti: €97.247.
I documenti
I documenti e artefatti associati al bando sono:
Testo dell’avviso
allegato 1: vocabolario
allegato 2: specifiche tecnico / economiche / procedurali dell’avviso
allegato 3: fac simile domanda di partecipazione
allegato 4: principi DNSH per il cloud
allegato 5: fac simile domanda di erogazione
mantenendo la struttura degli avvisi precedenti.
I servizi tra cui scegliere
Resta inteso che l’erogazione del contributo per PND è prevista solo ed esclusivamente nel caso in cui l’ente abbia rispettato quanto indicato in fase di adesione, ossia abbia completato il processo di integrazione e l’attivazione dei due servizi relativi alle due tipologie di atto indicate nel progetto.
Vanno scelti 2 servizi di cui 1 obbligatorio e uno a scelta:
(obbligatorio) – Polizia Locale – Notifiche Violazioni al Codice della Strada
uno a scelta tra:
• Polizia Locale Notifiche Violazioni extra Codice della Strada
• Tributi Notifiche Riscossione Tributi (con pagamento)
• Tributi Notifiche Riscossione Tributi (senza pagamento)
• Patrimonio Notifiche riscossione entrate patrimoniali (con pagamento)
• Patrimonio Notifiche riscossione entrate patrimoniali (senza pagamento)
• Scuola Notifiche per sollecito pagamento servizi scolastici
• Anagrafe Notifiche comunicazioni VL relative ad ufficio anagrafe
• Ufficio Tecnico / SUAP Notifiche comunicazioni VL Ufficio Tecnico / SUAP
• Ordinanze Comunali (con pagamento)
• Ordinanze Comunali (senza pagamento)
• Riscossione Coattiva Comunicazioni relative a riscossioni coattive e ingiunzioni fiscali
• Il procedimento per la candidatura
Per candidarsi è necessario:
 entrare con SPID in https://padigitale2026.gov.it/
 selezionare Avviso Misura 1.4.5 “Piattaforma Notifiche Digitali” Comuni (Settembre 2022)
 confermare dati comune e rappresentante legale
 accettare le responsabilità
 configurazione del pacchetto (vedi allegato)
 selezionare “integrazione piattaforma delle notifiche digitali”
 selezionare il servizio obbligatorio
 scegliere 1 servizio opzionale
 tutti i servizi (2 di cui uno a scelta e l’altro impostato di default) sono contrassegnati come “da attivare”
 Selezionare salva bozza o avanti
 Inviare la candidatura firmata dal rappresentante legale.
 Rendicontazione
Alla domanda di erogazione del finanziamento predisposta dal Soggetto Attuatore di cui al precedente comma 1, dovranno essere allegati:
o il certificato di regolare esecuzione del RUP;
o l’eventuale check list applicabile compilata secondo le linee guida di cui all’Allegato 4;
o la certificazione di completamento delle attività: al completamento delle attività viene prodotto nell’area privata un pdf da firmare digitalmente e allegare alla domanda di erogazione.
Interessante la novità di cui al punto 3: è la piattaforma stessa a certificare l’avvenuta esecuzione delle attività.
Ci riserviamo ulteriori approfondimenti.


Assicurazioni Generali S.p.a.

“Assicurazione per colpa grave”
La polizza è riservata a tutti i nostri iscritti, con esclusione di chi rivesta la qualifica dirigenziale, che beneficeranno di una copertura assicurativa per la responsabilità civile, amministrativa e contabile, per danno a cose e persone, derivante da comportamenti gravemente colposi posti in essere nello svolgimento delle proprie funzioni.
La colpa grave rappresenta una macroscopica violazione del dovere di diligenza; si tratta di uno sbaglio grossolano che fa scattare inevitabilmente la responsabilità professionale: la conseguenza è che il suo autore dovrà pagare i danni al destinatario.
La copertura assicurativa, che sarà attiva dal 1° gennaio 2023, vige nell’anno di iscrizione all’associazione e agisce retroattivamente per i comportamenti posti in essere nei 3 anni precedenti (retroattività) (Regime di claims made – Corte Suprema di Cassazione sentenza 9140/2016) ma non ancora emersi all’atto della sottoscrizione del contratto assicurativo. Per una migliore tutela, è quindi opportuno che coloro che cessano l’attività di notificazione per pensionamento, dimissioni o cambio di mansioni, mantengano l’iscrizione ad A.N.N.A. nei 3 anni successivi, per tutelarsi rispetto ad eventuali contestazioni insorte nel periodo indicato.
Il massimale previsto per ogni assicurato è di € 1.000.000,00, senza alcuna franchigia.
In caso di sinistro, l’assicurato deve darne avviso scritto con raccomandata A.R. all’assicuratore entro 15 giorni da quando ne ha avuta conoscenza, per tale intendendo:
– Comunicazione con la quale la struttura da cui dipende manifesta l’intenzione di ritenerlo responsabile di un danno con colpa grave
– Avviso dell’inchiesta giudiziaria promossa contro di lui in relazione alle responsabilità derivanti da comportamenti illeciti con colpa grave.

Leggi: Generali Assicurazioni Polizza n. 420259963


Differenza tra duplicato informatico e copia informatica

Il duplicato informatico è il documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario (che si misurano in bit) e la corrispondenza del duplicato informatico (in ogni singolo bit) al documento originario non emerge (come, invece, nelle copie informatiche) dall’uso di segni grafici essendo, la firma digitale infatti, una sottoscrizione in “bit” il cui segno, restando nel file, è invisibile sull’atto analogico, ovvero sulla carta; solo l’utilizzo di specifici software possono verificare e confrontare l’impronta del file originario con il duplicato. A chiarirlo è la Corte Suprema di Cassazione con la sentenza, n. 27379 del 19 settembre 2022.
L’argomento affrontato dagli Ermellini nella decisione sopra richiamata è quello della differenza tra duplicato informatico e copia informatica degli atti presenti nel fascicolo informatico e che i difensori possono estrarre ed utilizzare soprattutto, ma non solo, in ambito processuale.
Nel ritenere nulla la prima notifica della sentenza di una causa di opposizione a decreto ingiuntivo, parte soccombente proponeva appello entro il termine di giorni trenta, computato però non dalla prima notifica, ma dalla seconda; per tale motivo la Corte d’Appello dichiarava inammissibile per tardività l’appello proposto avverso la decisione con cui il giudice di prime cure aveva respinto l’opposizione.
Avverso tale decisione, parte soccombente propone ricorso per cassazione, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 326 c.p.c., in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 5, e art. 161 c.p.c., comma 2, sul rilievo che la sentenza notificata in data 25.1.2017 costituiva un documento che, ancorché autenticato dall’avvocato, non poteva essere considerato un provvedimento giurisdizionale in quanto privo sia della sottoscrizione giudice in calce all’atto, sia della firma digitale, non presentando quel documento alcun segno grafico (coccarda e stringa) da cui si potesse presumere l’avvenuta sottoscrizione; pertanto, il legale di parte opponente avrebbe autenticato un atto inesistente ex art. 161 c.p.c., inidoneo a far decorrere il termine breve ex art. 326 c.p.c., con la conseguenza che la Corte d’Appello avrebbe dovuto considerare come termine di decorrenza per la proposizione dell’appello quello della seconda notifica avvenuta successivamente.
Come ben compreso dalla Corte Suprema di Cassazione, parte ricorrente, nel sostenere la nullità della prima notifica della sentenza di primo grado, per essere il documento privo di alcun segno grafico che attestasse l’esistenza della firma digitale, ha palesemente confuso l’istituto del duplicato informato della sentenza sottoscritta telematicamente con quello della copia informatica della stessa.
Dalla lettura del ricorso appare evidente che parte ricorrente abbia associato al duplicato informatico i requisiti che sono propri e appartengono, invece, alla copia informatica di un documento nativo digitale; quest’ultima, in effetti, presenta, sul bordo destro delle pagine, la “coccarda” e la stringa alfanumerica indicante i firmatari dell’atto/provvedimento, segni grafici, che sono generati dal programma ministeriale in uso alle cancellerie degli uffici giudiziari e che non rappresentano assolutamente la firma digitale, ma una mera indicazione di come una firma digitale sia stata apposta sull’originale di quel documento.
Ciò si evince, in particolare, dalle seguenti norme:
– art. 16 bis, comma 9 bis, D.L. n. 179/12;
– art. 23 bis del Codice dell’amministrazione digitale.
L’art. 16 bis, comma 9 bis del decreto-legge n. 179/12, così dispone:
Le copie informatiche, anche per immagine, di atti processuali di parte e degli ausiliari del giudice nonché’ dei provvedimenti di quest’ultimo, presenti nei fascicoli informatici o trasmessi in allegato alle comunicazioni telematiche dei procedimenti indicati nel presente articolo, equivalgono all’originale anche se prive della firma digitale del cancelliere di attestazione di conformità all’originale. Il difensore, il dipendente di cui si avvale la pubblica amministrazione per stare in giudizio personalmente, il consulente tecnico, il professionista delegato, il curatore ed il commissario giudiziale possono estrarre con modalità telematiche duplicati, copie analogiche o informatiche degli atti e dei provvedimenti di cui al periodo precedente ed attestare la conformità delle copie estratte ai corrispondenti atti contenuti nel fascicolo informatico. Le copie analogiche ed informatiche, anche per immagine, estratte dal fascicolo informatico e munite dell’attestazione di conformità a norma del presente comma, equivalgono all’originale. Il duplicato informatico di un documento informatico deve essere prodotto mediante processi e strumenti che assicurino che il documento informatico ottenuto sullo stesso sistema di memorizzazione o su un sistema diverso contenga la stessa sequenza di bit del documento informatico di origine.
L’art. 23 bis del Codice dell’amministrazione digitale così dispone:
I duplicati informatici hanno il medesimo valore giuridico, ad ogni effetto di legge, del documento informatico da cui sono tratti, se prodotti in conformità alle Linee guida.
Le copie e gli estratti informatici del documento informatico, se prodotti in conformità alle vigenti Linee guida, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale, in tutti le sue componenti, è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato o se la conformità non è espressamente disconosciuta. Resta fermo, ove previsto, l’obbligo di conservazione dell’originale informatico.
A seguito di tale corretto ragionamento, frutto della conoscenza e dell’applicazione della vigente normativa, l’affermazione di parte ricorrente secondo la quale il duplicato informatico della sentenza (oggetto della prima notifica) sarebbe privo della firma digitale è frutto solo di un fraintendimento sul significato di duplicato informatico e sulla differenza esistente tra questo e la copia informatica.
Per tali considerazioni e motivi, la Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso, in quanto manifestamente infondato, essendo la prima notifica della sentenza di primo grado pienamente valida, come correttamente deciso dalla Corte d’Appello che ha fatto decorrere il termine breve per l’impugnazione da tale notifica e non, come erroneamente sostenuto da parte ricorrente, dalla seconda.


Mansioni superiori di fatto nel pubblico impiego

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25848 del 1° settembre 2022, ha ribadito che, in materia di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, né all’operatività del nuovo sistema di classificazione del personale introdotto dalla contrattazione collettiva, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 Cost. la Suprema Corte di Cassazione ha inoltre ribadito che il diritto a percepire la retribuzione commisurata allo svolgimento, di fatto, di mansioni proprie di una qualifica superiore a quella di inquadramento formale, non è condizionato alla legittimità, né all’esistenza di un provvedimento del superiore gerarchico, e trova un unico limite nei casi in cui l’espletamento sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente, oppure quando sia il frutto di una fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente, o in ogni ipotesi in cui si riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali o generali o con principi basilari pubblicistici dell’ordinamento.

La speciale disciplina dello ius variandi contenuta nell’art. 52 D.Lgs. n. 165/2001 costituisce uno dei tratti di permanente specialità del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, giustificata dalla necessità di garantire un tendenziale controllo dell’amministrazione nell’accesso alle qualifiche superiori attraverso l’utilizzo di procedure selettive o concorsuali, nonché il controllo sulla spesa pubblica.

L’art. 52 D.Lgs. n. 165/2001 prevede che: “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell’ambito dell’area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive di cui all’articolo 35, comma 1, lettera a).L’esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore o dell’assegnazione di incarichi di direzione”.

Detta norma preclude il superiore inquadramento in via giudiziale pur nel caso di accertato svolgimento di fatto di mansioni superiori; nel rapporto di lavoro privato, invece, in caso di assegnazione a mansioni superiori il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta ed il diritto alla promozione (l’assegnazione diventa definitiva), salvo diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi.

Il comma 5 dell’art. 52 del D.Lgs. n. 165/2001, per quanto riguarda il pagamento delle differenze retributive, stabilisce che “Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l’assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore”.

La Suprema Corte di Cassazione ha affermato che lo svolgimento di fatto di mansioni proprie di una qualifica – anche non immediatamente – superiore a quella di inquadramento formale comporta, in forza del disposto dell’art. 52, comma 5, D.Lgs. n. 165/2001, il diritto alla retribuzione propria di detta qualifica superiore ove i compiti siano stati svolti in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale e, dunque ove le mansioni superiori assegnate siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza, e sempre che, in relazione all’attività spiegata, siano stati esercitati i poteri ed assunte le responsabilità correlate a dette superiori mansioni (Cass. sez. Unite, n. 25837/2007; Cass. n. 27887/2009, Cass. n. 30811/2018, Cass. n. 9646/2019).

Un Comune del Salento proponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Lecce che aveva riconosciuto ad un proprio dipendente lo svolgimento di mansioni corrispondenti al superiore inquadramento ed il conseguente diritto del medesimo alle differenze retributive.

Il Comune in questione, richiamando la giurisprudenza amministrativa, sosteneva che il trattamento economico per lo svolgimento di mansioni superiori è subordinato alle seguenti condizioni giuridiche e di fatto:

  • le mansioni devono essere svolte su un posto esistente in pianta organica vacante e disponibile;
  • non deve essere stato bandito alcun concorso per tale posto;
  • l’incarico deve essere stato conferito con atto deliberativo dell’organo competente con la verifica dei presupposti e l’assunzione delle responsabilità.

Tali requisiti, per il Comune, difetterebbero nel caso in esame, poiché non esisteva nella pianta organica dell’ente comunale un posto con qualifiche e mansioni come quelle rivendicate dal dipendente; nessun concorso era stato bandito per tale posto; non esisteva alcun atto deliberativo, collettivo o dirigenziale, conferente al lavoratore le mansioni superiori.

Da parte del Comune, si assumeva che la sentenza d’appello era stata resa in violazione del contratto collettivo di categoria enti locali, che ha previsto un nuovo sistema di classificazione del personale fondato sull’accorpamento delle precedenti qualifiche funzionali in tre aree (A, B, C); che in sede di prima applicazione l’inquadramento nell’area è effettuato in base all’ex qualifica di appartenenza, secondo la corrispondenza indicata nel contratto; che la adibizione dei dipendenti appartenenti a fasce diverse a mansioni ricomprese nella medesima area professionale non comporta il diritto alla retribuzione corrispondente alle superiori mansioni; che il dipendente aveva svolto mansioni rientranti sempre nello stesso livello economico di appartenenza; che non aveva svolto mansioni superiori di competenza dei funzionari comunali inquadrati in un superiore livello poiché non era mai esistita nella pianta organica del comune un posto con qualifica e livello come quelli rivendicati dal lavoratore.

Il Comune osservava anche che la Corte d’appello aveva fondato il proprio convincimento solo sui dati documentali, omettendo di esaminare le deposizioni testimoniali che avrebbero potuto determinare un esito diverso della controversia.

Con la sentenza n. 25848 del 1° settembre 2022, la Suprema Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del Comune pugliese, applicando al caso in esame i principi che andiamo ad esporre.

Per la Suprema Corte di Cassazione, la Corte d’appello, nel riconoscere lo svolgimento, da parte del dipendente comunale, di mansioni corrispondenti al superiore inquadramento ed il conseguente diritto del medesimo alle differenze retributive, si era attenuta all’orientamento consolidato della Suprema Corte di Cassazione, secondo cui, in materia di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscersi nella misura indicata nell’art. 52, comma 5, D.Lgs. n. 165/2001, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, né all’operatività del nuovo sistema di classificazione del personale introdotto dalla contrattazione collettiva, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 Cost. (Cass. n. 2102/2019; Cass. n. 18808/2013).

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25848 del 1° settembre 2022, ci ricorda, altresì, un altro principio di diritto dalla stessa Corte enunciato in materia di pubblico impiego contrattualizzato, ossia che il diritto a percepire la retribuzione commisurata allo svolgimento, di fatto, di mansioni proprie di una qualifica superiore a quella di inquadramento formale, ex art. 52, comma 5, D.Lgs. n. 165/2001, non è condizionato alla legittimità, né all’esistenza di un provvedimento del superiore gerarchico, e trova un unico limite nei casi in cui l’espletamento sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente, oppure quando sia il frutto di una fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente, o in ogni ipotesi in cui si riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali o generali o con principi basilari pubblicistici dell’ordinamento (Cass. n. 24266/2016).


Cass. civ., Sez. VI – 1, Ord., (data ud. 10/05/2022) 19/09/2022, n. 27379

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MELONI Marina – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27405/2021 proposto da:

R.E., B.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA POMPEO UGONIO, 3, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO ODDI, rappresentati e difesi dall’avvocato ALESSANDRO BONNI;

– ricorrenti –

contro

BANCA INTESA SAN PAOLO SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa dall’avvocato FULVIO FERLITO PUCCINOTTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1547/2021 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata l’11/08/2021;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/05/2022 dal Consigliere Relatore Dott. ANDREA FIDANZIA.

Svolgimento del processo
– che viene proposto da B.S. ed R.E., affidandolo ad un unico articolato motivo, ricorso avverso la sentenza n. 1547/2021 dell’11.8.2021 con la quale la Corte d’Appello di Firenze ha dichiarato inammissibile per tardività l’appello proposto dai medesimi e da altri appellanti avverso la sentenza n. 76/2017 con cui il Tribunale di Livorno aveva respinto l’opposizione proposta da tali soggetti, quali fideiussori della (OMISSIS) (poi fallita), avverso il decreto ingiuntivo emesso dallo stesso tribunale a titolo di saldo del conto anticipi n. 282. – che il giudice di secondo ha disatteso la prospettazione degli appellanti secondo cui la prima notificazione della sentenza di primo grado (la seconda era avvenuta cinque giorni dopo), avvenuta in data 25 gennaio 2017, sarebbe stata nulla, non riportando la sentenza medesima nè la firma digitale nè quella autografa del giudice che la aveva emessa – evidenziando che il duplicato informatico della sentenza, seppur non materialmente visibile, era comunque esistente e poteva essere verificato attraverso i programmi di verifica della firma elettronica;

– che, pertanto, la predetta notifica del 25 gennaio 2017 era pienamente valida ed idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione, con conseguente tardività dell’atto di appello che era stato consegnato per la notifica il 28.2.2017 e ricevuto dalla banca il 3.3.2017;

– che Banca Intesa San Paolo Alberto si è costituita in giudizio con controricorso;

– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380 bis c.p.c.;

– che entrambe le parte hanno deposito la memoria ex art. 380 bis. c.p.c..

Motivi della decisione
1. che i ricorrenti hanno dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 326 c.p.c., in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 5, e art. 161 c.p.c., comma 2, sul rilievo che la sentenza notificata in data 25.1.2017 costituiva un documento che, ancorchè autenticato dall’avvocato, non poteva essere considerato un provvedimento giurisdizionale in quanto privo sia della sottoscrizione giudice in calce all’atto, sia della firma digitale, non presentando quel documento alcun segno grafico (coccarda e stringa) da cui si potesse presumere l’avvenuta sottoscrizione; che, pertanto, il legale della banca aveva autenticato un atto inesistente ex art. 161 c.p.c., e come tale inidoneo a far decorrere il termine breve ex art. 326 c.p.c., con la conseguenza che la Corte d’Appello avrebbe dovuto considerare come termine di decorrenza per la proposizione dell’appello quello della seconda notifica avvenuta in data 30.1.2017;

2. che il ricorso è manifestamente infondato;

– che, in proposito, va osservato che i ricorrenti, nel sostenere la nullità della notifica della sentenza di primo grado, effettuata in data 25.1.2017, per essere il documento privo di alcun segno grafico che attestasse l’esistenza della firma digitale, hanno, in modo evidente, confuso l’istituto del duplicato informato della sentenza sottoscritta telematicamente con quello della copia informatica della stessa;

che, in particolare, i requisiti che i ricorrenti associano al duplicato informatico appartengono, invece, alla copia informatica di un documento nativo digitale, la quale presenta effettivamente, sul bordo destro delle pagine, la “coccarda” e la stringa alfanumerica indicante i firmatari dell’atto/provvedimento, segni grafici, che sono generati dal programma ministeriale in uso alle cancellerie degli uffici giudiziari e che non rappresentano, peraltro, la firma digitale, ma una mera attestazione in merito alla firma digitale apposta sull’originale di quel documento (vedi Cass. n. 11306/2021);

che, invece, come si evince dal D.L n. 179 del 2012, art. 1, lett. i quinques, e art. 16 bis, comma 9 bis, (codice dell’amministrazione digitale), il duplicato informatico è il documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario (che si misurano in bit);

che ne consegue che la corrispondenza del duplicato informatico (in ogni singolo bit) al documento originario non emerge (come, invece, nelle copie informatiche) dall’uso di segni grafici – la firma digitale è, infatti, una sottoscrizione in “bit”, una firma elettronica, il cui segno, restando nel file, è invisibile sull’atto analogico, ovvero sulla carta – ma dall’uso di programmi di algoritmi, che consentano di verificare e confrontare l’impronta del file originario con il duplicato (esattamente come affermato dalla Corte d’Appello);

che, infine, correttamente il giudice d’appello ha, altresì, affermato la non necessità di attestazione di conformità tra originale e duplicato (nel caso di specie, peraltro, tale attestazione è pure stata prodotta dalla banca), atteso che l’art. 23 bis del CAD (D.L. n. 179 del 2012) comma 1 recita che: “I duplicati informatici hanno il medesimo valore giuridico, ad ogni effetto di legge, del documento informatico da cui sono tratti, se prodotti in conformità alle Linee guida”;

che, alla luce delle predette considerazioni, l’assunto dei ricorrenti secondo cui il duplicato informatico della sentenza (notificato il 25.1.2017) sarebbe privo delle firma digitale è frutto solo di un fraintendimento sul significato di duplicato informatico, e comunque si appalesa come di merito, in quanto finalizzato a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata dalla Corte d’Appello;

che, in conclusione, essendo la prima notifica della sentenza di primo grado del 25 gennaio 2017 (effettuata dalla banca) pienamente valida, correttamente la Corte d’Appello ha fatto decorrere il termine breve per l’impugnazione da quella data;

– che sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese di lite tra le parti in ragione della novità della questione sottoposta a questa Corte.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso.

Compensa tra le parti le spese di lite.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002D.P.R. 30/05/2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 10 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2022


Solidarietà al popolo marchigiano

L’Associazione A.N.N.A. esprime dolore e solidarietà alle popolazioni marchigiane colpite dall’evento calamitoso di giovedì scorso.
La nostra vicinanza è particolarmente rivolta alle persone che hanno subito gravissime perdite negli affetti e nei beni materiali.
Si esprime, altresì, la nostra vicinanza particolare ai nostri iscritti dei comuni della zona di Ostra e Senigallia.
Quanto accaduto nelle Marche è un fenomeno che ci porta tutti a interrogarci su come gli eventi naturali possano diventare anche catastrofici per molteplici responsabilità.


Piattaforma notifiche digitali, verso i bandi per l’onboarding: cosa cambierà per cittadini e PA

E’ prossima l’uscita del bando per finanziare l’onboarding degli enti locali sulla Piattaforma notifiche digitali degli atti pubblici (PND) che introduce la possibilità della notifica digitale in sostituzione di quella analogica.

La Piattaforma delle notifiche digitali (PND) è la prossima piattaforma abilitante con cui la Pubblica Amministrazione si confronterà e che potrà integrare nei propri sistemi.

Si aggiunge alle ormai più note IO, pagoPA, SPID/CIE, ANPR, ed è inoltre la prima piattaforma che nasce con un finanziamento specifico del PNRR, e per cui è previsto un bando – di prossima uscita – rivolto a tutti i Comuni, per finanziare l’onboarding degli enti locali interessati; da questo punto di vista, sono in partenza anche alcune sperimentazioni, in modo da testare il funzionamento della piattaforma.

L’obiettivo o meglio il problema che vuole risolvere la piattaforma è definito nel sito ufficiale di PagoPA (che è anche il gestore della piattaforma), in cui viene pubblicata anche la documentazione fino ad ora disponibile:

La PND “ha l’obiettivo di semplificare e rendere certa la notifica degli atti amministrativi con valore legale verso cittadini e imprese, con un risparmio di tempo e costi” sia per i cittadini, che per le imprese, e soprattutto per l’amministrazione pubblica.

La notifica degli atti a valore legale diventa in taluni casi per le pubbliche amministrazioni un misto tra una caccia al tesoro e un’indagine alla Sherlock Holmes, per trovare “l’introvabile” – cittadino o l’impresa – a cui notificare l’atto.

La PND mira a togliere questa parte investigativa facendosene carico, introducendo la possibilità della notifica digitale in sostituzione di quella analogica.

Nei comuni, tipicamente le notifiche riguardano alcune tipologie di atti, come ad esempio:

un terzo delle notifiche totali: codice della strada (multe);

un terzo delle notifiche totali: tributi (tari, imu…) collegate anche a procedimenti di riscossione coattiva (ovvero verso chi non ha pagato rate pregresse);

un quarto delle notifiche totali: ordinanze dirette ai singoli cittadini (tipo demolizione opere abusive e altri atti disposti dal comune, comprese nomine scrutatori, comunicazioni ai neoconsiglieri comunali, ad esempio nel 2021 ci sono state le amministrative);

la parte rimanente: comunicazioni di altri enti, come ad esempio Agenzia delle Entrate, INPS, INAIL, decreti di cittadinanza (della Prefettura), nomine Presidenti e Scrutatori di Seggio (Corte d’Appello).

Quindi: multe, riscossione coattiva, ordinanze dirette ai cittadini coprono l’85-90% delle notifiche.

L’architettura della Piattaforma notifiche

La prima cosa che va definita nel processo è l’atto, che viene costruito come segue:

  • creazione atto: es. multa;
  • l’atto viene firmato digitalmente dal responsabile del procedimento (se previsto);
  • l’atto viene protocollato o numerato nel registro particolare;
  • all’atto viene aggiunto l’avviso di pagamento (es. in caso di multa, ad oggi vengono aggiunti 2 avvisi: l’avviso con “sconto” se pagamento effettuato entro 5 giorni dalla notifica, avviso senza sconto se pagato dopo i 5 giorni fino al sessantesimo giorno);

A questo punto si ha il “pacchetto” da notificare.

Prima della Piattaforma Notifiche il tutto veniva messo in una busta e mandato con atto giudiziario (busta verde o 890) o A/R, con notevole dispendio di costi e di risorse umane dedicate.

Come avviene la notifica

Versione sintetica: prima di tutto il “pacchetto” viene inviato sotto forma di file (PDF) alla PND, che lo riceve e restituisce un codice di riferimento degli allegati; l’Ente invierà l’atto da notificare tramite appositi servizi dedicati che collegano i propri back office gestionali alla Piattaforma stessa, quindi senza l’intervento diretto di operatori.

Nella richiesta di invio notifica viene specificato il destinatario mediante il CF (CreditorTaxId) oltre ad altri parametri (tra cui gli allegati da considerare parte della notifica ed eventuale modalità di invio che può essere digitale + analogica o anche solo analogica).

Se tutto formalmente corretto, la PND genera quindi l’Avviso di Avvenuta Ricezione (AAR) che contiene le informazioni relative all’esistenza della notificazione, il suo IUN e le indicazioni sulle modalità che il destinatario può utilizzare per accedere agli atti notificati.

Versione estesa: il processo di notificazione inizia con la PA mittente che richiede a PND di prendere in carico l’effettuazione di una notifica.

Questa operazione avviene in due fasi:

nella prima fase, la PA fornisce a PND gli atti da notificare unitamente, se del caso, a quanto necessario per il pagamento da parte del destinatario (obbligatoriamente l’avviso pagoPA e, se necessario, l’eventuale F24, uno per ciascun tipo di processo di notificazione adottabile per raggiungere il cittadino in quanto hanno costi diversi).

Nella seconda fase, la PA genera la richiesta di creazione della notifica, fornendo i dati del destinatario (CF, se si tratta di persona fisica o giuridica, nome e cognome o ragione sociale, indirizzo fisico del domicilio noto alla PA, domicilio digitale speciale, Codice Avviso e Codice Fiscale della PA), un numero di protocollo, modalità dell’eventuale spedizione analogica (890 /AR), importo e data di scadenza del pagamento (se presente), eventuale attivazione della spedizione cartacea degli atti qualora venga intrapreso il percorso di notificazione analogico, i documenti facenti parte della notifica (attraverso gli identificativi forniti da PND nella precedente fase) e l’hash SHA-256 dei documenti stessi.

La PA indica anche quali dei documenti allegati devono essere obbligatoriamente visualizzati dal destinatario o dal suo delegato per poter stabilire il perfezionamento della notifica per presa visione.

Inoltre, la PA può indicare che, nel caso di notificazione analogica, i documenti vengano inviati congiuntamente all’AAR. In questo caso non è possibile abilitare il pagamento attraverso F24 in quanto il costo di notifica dipenderebbe dal numero di pagine stampate. PND, ricevute queste informazioni, verifica che siano sintatticamente corrette e restituisce al mittente un token che servirà alla PA stessa per ricevere l’esito delle successive attività di verifica poste in atto da PND. A questo punto PND verifica che lo SHA-256 fornito dalla PA coincida con quello calcolato da PND a partire dai documenti allegati, che ciascun CF fornito esista veramente e che esista un indirizzo fisico noto per ciascun destinatario (quest’ultima verifica per garantire la possibilità di notificare al destinatario). Se le verifiche hanno successo, PND genera lo IUN che viene restituito alla PA mittente unitamente al token generato all’atto di creazione della notifica. Questo perfeziona la notifica per la PA mittente con data della creazione della notifica stessa. In caso contrario PND informa la PA della presenza di errori nella richiesta inoltrata inviando un codice di errore unitamente al token generato all’atto di creazione della notifica.

Da qui la PND inizia a tentare la notifica, prima la notifica digitale, con 2 tentativi per ogni canale digitale disponibile.

I canali sono 3 e sono sempre domicili digitali, vagliati nella sequenza indicato sotto:

  • Domicilio digitale di piattaforma (domicilio digitale indicato nella PND)
  • Domicilio digitale speciale (domicilio digitale indicato specificatamente per alcuni atti)
  • Domicilio digitale generale (preso da INAD o INI-PEC)

La PND può fare massimo due tentativi per domicilio digitale (es. può ripeterlo per casella piena). Il primo andato a buon fine conclude il percorso.

Se la notifica digitale tramite Piattaforma non va a buon fine

Contemporaneamente, la Piattaforma invia un messaggio tramite app IO, con il link a cui può accedere il cittadino; se nel termine di 7 giorni non viene effettuato l’accesso alla piattaforma, a questo punto l’invio viene tentato per via analogica.

Nel caso il destinatario sia irreperibile all’indirizzo fisico fornito, PND tenta di determinare un secondo indirizzo fisico di inoltro.

Nel caso in cui il primo invio fosse stato effettuato verso l’indirizzo fisico fornito dalla PA, PND ricerca un nuovo indirizzo fisico in ANPR o nel Registro delle Imprese.

Nel caso in cui non si riesca a determinare un nuovo indirizzo fisico presso questi registri o nel caso in cui il primo invio fosse stato effettuato verso un indirizzo fisico fornito da ANPR o Registro delle Imprese, PND utilizza, se disponibile, l’indirizzo fisico fornito dall’operatore postale a seguito di una indagine effettuata presso l’indirizzo fisico di primo inoltro.

Se viene identificato un nuovo indirizzo fisico, PND tenta la notifica una seconda volta con le stesse modalità, tranne per l’assenza della verifica di esistenza di un nuovo indirizzo fisico. Nel caso in cui il destinatario sia del tutto irreperibile, l’AAR sarà comunque disponibile per il destinatario attraverso il portale di PND o gli altri meccanismi di accesso agli atti sopra descritti. La notifica si perfeziona per il destinatario dopo 10 giorni dalla consegna dell’AAR oppure 10 giorni dal fallimento della stessa

Perfezionamento della notifica

Il perfezionamento è il momento in cui l’atto viene considerato notificato al destinatario, e da quel momento decorreranno gli effetti giuridici conseguenti.

Su questo tema è stato pubblicato qualche mese fa un apposito Decreto, che contiene le regole per l’utilizzo della Piattaforma.

La notifica si perfeziona:

  • per l’amministrazione, nella data in cui il documento informatico è reso disponibile sulla piattaforma, ovvero all’atto della creazione della notifica;
  • per il destinatario:
  • il settimo giorno successivo alla data di consegna dell’Avviso di Avvenuta Ricezione in formato elettronico;
  • nei casi di casella postale satura, non valida o non attiva, il quindicesimo giorno successivo alla data del deposito dell’Avviso di Mancato Recapito;
  • il decimo giorno successivo al perfezionamento della notificazione dell’Avviso di Avvenuta Ricezione in formato cartaceo, incluso il caso di irreperibilità del destinatario;
  • in ogni caso, se anteriore, nella data in cui il destinatario, o il suo delegato, ha accesso, tramite la piattaforma, al documento informatico oggetto di notificazione. Questo si traduce nell’accesso in Piattaforma Notifiche al dettaglio della notifica.

Su questo punto, il manuale operativo di PND specifica che:

“Laddove la notifica non si sia perfezionata secondo le modalità descritte nelle sezioni relative alla notificazione analogica e digitale, l’accesso da parte del destinatario o di un suo delegato, attraverso PND o app IO, a tutti i documenti identificati dalla PA come rilevanti per il perfezionamento della notifica, perfeziona la notifica anche in via anticipata.

Lo stesso accade se il destinatario ottiene gli atti notificati attraverso la rete RADD o attraverso una persona delegata. PND genera un’attestazione opponibile ai terzi indicante la data e l’ora di perfezionamento.”

Lo stato di avanzamento della notifica

Ovvero se anche la notifica non è stata ancora inviata in forma cartacea, ma il destinatario o delegato accede alla notifica mediante PND o mediante rete RADD (degli sportelli di accesso fisico alla PND, ovvero degli sportelli di Poste), la notifica viene considerata perfezionata e il momento di perfezionamento diventa quello di accesso agli atti notificati.

Questo perché, per agevolare l’accesso “digitale” alla Piattaforma, Il mittente potrà in ogni momento chiedere lo stato di avanzamento della notifica per capire quindi come muoversi in caso di perfezionamento.

Il momento di perfezionamento è quello che – nell’esempio delle multe – permetterebbe di cambiare il valore dello IUV da “valore multa con sconto” a “valore multa senza sconto” laddove siano passati i 5 giorni dalla data di perfezionamento notifica, quindi facilitando di parecchio il cittadino ed evitando errori e successivi controlli da parte dell’Amministrazione.

Accesso alla Piattaforma

La PND metterà a disposizione un’interfaccia web per il mittente (ente) per la gestione delle notifiche, che a grandi linee è simile alla dashboard di IO, ovvero permette invio di notifiche manuali, gestione delle notifiche e dei log, analisi dei costi.

L’ente – nella maggior parte dei casi – utilizzerà però le specifiche API di integrazione con i propri back office gestionali, in modo da inviare automaticamente l’atto da notificare alla Piattaforma, senza alcuna operazione manuale.

Ogni destinatario inoltre potrà accedere alla Piattaforma mediante identità digitale o con delega per la lettura dei documenti notificati.

La PND permette che il destinatario che possiede SPIE o CIE possa autenticare sul portale web di piattaforma o su App IO. Per permettere ai cittadini non dotati di tali strumenti o che comunque non vogliano accedere con modalità digitali alla piattaforma, viene realizzata una rete di operatori che forniscono servizi di accesso alla piattaforma. Questa rete è indicata con il nome di Rete di Assorbimento del Digital Divide (RADD). Tale rete prevede diverse modalità di accesso (diretta, con delega …).

La versione web della Piattaforma permette la gestione completa della notifica (sia per mittente che per destinatario) e PND conserva i documenti della notifica per 120 giorni dalla data di perfezionamento.

Ulteriori dettagli si trovano sul manuale operativo.

I costi

Se la notifica avviene mediante la piattaforma in modalità digitale, secondo il decreto 30 maggio 2022, già pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, i costi sono così indicati:

  • due euro per la notifica digitale, di cui 1 per l’ente gestore della piattaforma e 1 per l’ente mittente della notifica (a discrezione, il Comune può anche farsi carico dell’euro di sua spettanza, ad esempio per determinate tipologie di atti);
  • nel caso di notifica cartacea, occorre sommare un extra aggiuntivo di 1,40 euro per chi non ha ancora la pec (domicilio digitale)
  • vanno aggiunte le ulteriori spese di spedizione – ancora da quantificare, che saranno definite in seguito alla gara ad evidenza pubblica in corso;

A questi va sommato l’ulteriore costo nel caso in cui la persona, ricevuta la notifica analogica, non sia in grado di visualizzarla da sola e debba andare presso gli sportelli della Posta per poter fare accesso alla piattaforma delle notifiche.

Ovviamente, se l’atto notificato è relativo ad un tributo o ad una multa, va aggiunto anche il pagamento del servizio specifico.

La Piattaforma notifiche e le altre piattaforme

Un aspetto di rilevante importanza è che la Piattaforma Notifiche è nativamente integrata con le banche dati di interesse nazionale, utili a portare a termine il processo: quindi ANPR per la verifica dei dati anagrafici, e INI PEC per la verifica del dato dell’indirizzo PEC per imprese e professionisti iscritti ad Albi; appena sarà disponibile, anche INAD, e in futuro altre banche dati che potessero rivelarsi utili.

Un bell’esempio di cosa vuol dire progettare un servizio con visione nel lungo periodo, non limitandosi alle funzioni di base.

Il principale tema che gli Enti debbono approfondire adesso riguarda le modalità di integrazione dei propri back office (gestionali verticali) alla piattaforma notifiche: il partner naturale sarebbe il partner tecnologico di pagoPA per due motivi: è una piattaforma di pagoPA, e comunque un avviso anche di 2 euro devo comunque staccarlo se uso la piattaforma delle notifiche, per cui il flusso lo coinvolge. Se ogni fornitore si collega alla piattaforma c’è il rischio di creare un grafo di integrazioni nuovamente da fare e pagare.

In ogni caso, l’Ente è libero di decidere lo scenario migliore per la propria organizzazione.

La PND interviene nel processo di notifica non modificando la normativa specifica prevista nel Codice di Procedura Civile (artt. da 138 in poi), ma mettendo a disposizione un’infrastruttura tecnologica dedicata, con le seguenti funzionalità:

  1. la centralizzazione degli atti (tutti gli atti vengono notificati mediante la stessa piattaforma);
  2. la standardizzazione del metodo di notifica degli atti;
  3. la possibilità di notifica sia digitale (prima) che analogica (dopo);
  4. riduzione dei tempi di investigazione per raggiungere cittadino o impresa e “massimizzazione” degli stessi (un’entità lo fa per tutti gli enti);
  5. riduzione dei costi di spesa di notifica per cittadino che per l’ente

Da analisi fatte al momento dell’analisi e progettazione, si è stimato che, ad esempio, per l’Agenzia delle Entrate potrebbe attendersi una significativa riduzione dei costi netti di notifica e spedizione, attualmente stimati in circa 41 milioni di euro annui (calcolati al netto delle somme recuperate a titolo di rimborso per le spese di notifica e spedizione, ove previsto).

Inoltre, risparmi consistenti ci sarebbero anche i Comuni, con ricadute positive sui servizi che potrebbero essere erogati ai cittadini. A titolo esemplificativo, “la sola Città di Napoli ha ipotizzato, grazie all’introduzione di questa norma, un risparmio complessivo di circa 12 milioni di euro”.

Conclusioni

È bene precisare che i principali benefici della Piattaforma non sono sole nel risparmio delle spese di spedizione, ma soprattutto nella maggiore certezza del momento dell’avvenuta notifica (quindi eliminazione del contenzioso e maggiore celerità nella riscossione coattiva), ma anche nel risparmio del personale dedicato a questo compito, che può essere assegnato ad altri compiti.


Comm. trib. regionale Puglia Foggia, Sez. XXVI, Sent., 12/09/2022, n. 2387

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE PER LA PUGLIA

VENTISEISIMA SEZIONE

riunita in udienza il 24/06/2022 alle ore 11:30 con la seguente composizione collegiale:

VENTURA FRANCESCO SAVERIO, – Presidente e Relatore

VALENTE MARIA MICHELA AMALIA, – Giudice

MERCURIO FRANCESCO, – Giudice

in data 24/06/2022 ha pronunciato la seguente

SENTENZA

– sull’appello n. 2301/2020 depositato il 24/08/2020

proposto da

(…)

Difeso da

Vincenzo Guerra – (…)

ed elettivamente domiciliato presso vincenzo.guerra159@pec.commercialisti.it

contro

(…)

Avente ad oggetto l’impugnazione di:

– pronuncia sentenza n. 1073/2019 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale FOGGIA sez. 5 e pubblicata il 12/04/2019

Atti impositivi:

– CARTELLA DI PAGAMENTO (…)

– CARTELLA DI PAGAMENTO (…)

– CARTELLA DI PAGAMENTO (…)

– CARTELLA DI PAGAMENTO (…)

a seguito di discussione in pubblica udienza

Richieste delle parti:

Svolgimento del processo

(…) avverso la sentenza n. 1073/05/2019, del 12/04/19, depositata il 26 novembre 2019, della CTP di Foggia, Sez. 5, con cui venivano rigettati i ricorsi riuniti, con condanna al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 1500,00, oltre accessori di Legge, proposti avverso numero tre cartelle di pagamento per gli anni d’imposta 2010, 2011 e 2012, proponeva appello a questa CTR, eccependo l’errata determinazione dei Giudici di cure per non avere considerato l’inesistenza giuridica e/o l’irritualità delle relative notifiche, l’errata considerazione del termine prescrizionale decennale della pretesa tributaria azionata, senza spiegarne i motivi e per non essersi pronunciati su tutti i motivi di ricorso e concludeva chiedendo la riforma della sentenza impugnata, con vittoria di spese per i due gradi di giudizio, da distrarsi in favore del difensore anticipatario.

In data 1/9/2020 si costituiva l’Agenzia delle Entrate – Riscossione di Foggia, depositando atto di controdeduzioni con cui eccepiva l’infondatezza dei motivi di appello, di cui chiedeva il rigetto, la correttezza e la piena legittimità della sentenza impugnata, le cui conclusioni chiedeva che fossero confermate, con vittoria di spese di giudizio.

Motivi della decisione

L’appello proposto dal contribuente (…) avverso la sentenza n. 1073/05/2019, del 12/04/2019, della CTP di Foggia, Sez.5, è fondato e viene, pertanto, accolto.

Osserva, preliminarmente, il Collegio, che il contribuente censura l’operato dei Giudici di Prime Cure, i quali sarebbero pervenuti alla conclusione del rigetto dei ricorsi riuniti, sul presupposto che, testualmente, “gli Uffici hanno documentato mediante esibizione di copia delle relative ricevute l’avvenuta regolare notifica delle cartelle impugnate. In particolare 1) la cartella (…) è stata regolarmente notificata in data 9/12/2014 mediante messo notificatore che consegnava l’atto alla moglie convivente del ricorrente e inviava raccomandata informativa a quest’ultimo; 2) la cartella è stata (…) regolarmente notificata in data 22/2/2014 mediante messo notificatore che consegnava l’atto alla moglie convivente del ricorrente e inviava raccomandata informativa a quest’ultimo; 3) la cartella (…) è stata regolarmente notificata in data 20/2/2016 mediante messo notificatore che consegnava l’atto alla moglie convivente del ricorrente e inviava raccomandata informativa a quest’ultimo.

Dagli atti presenti nel fascicolo processuale non emerge che il ricorrente abbia mai proposto querela di falso avverso le ricevute di consegna sopra richiamate che pertanto a giudizio di questa commissione attestano l’avvenuta regolare notifica al medesimo delle cartelle di pagamento… Alla luce delle sopra indicate date in cui si perfezionava la notifica delle cartelle di pagamento questa Commissione rileva che al momento del deposito dei ricorsi oggi in valutazione erano ampiamente decorsi i tempi per la proposizione di gravame avverso le suddette cartelle”.

Più in particolare, il contribuente eccepisce la inesistenza dei documenti probatori attestanti la ritualità della notifica delle cartelle di pagamento opposte, precisando di avere contestata tale circostanza già nel giudizio di primo grado, senza che l’Ufficio si sia preoccupato di fornire i relativi elementi di prova, in violazione di quanto disposto dall’art. 2697 c.c., lamentando una generica dichiarazione di rituale notificazione delle cartelle di pagamento anche da parte dei Primi Giudici, pur in assenza di specifica prova.

Sulla base delle suddette censure, il Collegio, prioritariamente dovrà accertare se la carenza dei suddetti elementi di prova è effettivamente sussistente, oppure no.

A tal fine occorre, preliminarmente, considerare che, per tutte le tre notifiche delle cartelle di pagamento, si è in presenza di una c.d. “irreperibilità relativa del destinatario”, temporaneamente assente al momento di accesso al suo domicilio, ove il messo notificatore dichiarava di avere avuto la presenza di persona di famiglia, individuata nella moglie del contribuente destinatario dell’atto e che, quindi, per realizzare la definizione di un corretto, efficace e valido procedimento notificatorio, occorre che risultino assolti compiutamente tutti di gli adempimenti di cui al combinato disposto dell’art. 140 c.p.c., dell’art. 26, comma 6, del D.P.R. n. 602 del 1973 e dell’art. 60, comma 1, lettera b/bis, del D.P.R. n. 600 del 1973. Sotto tale profilo, il Collegio rileva che manca agli atti la prova valida dell’esistenza della lettera raccomandata informativa, della avvenuta spedizione di detta raccomandata, nonché la prova dell’effettiva ricezione della stessa da parte del destinatario dell’atto; rileva altresì che, nonostante le suddette carenze ed i suddetti vizi documentali, anche per quanto riferito alle validità fotocopie depositate dall’Ufficio, espressamente e formalmente contestate dalla difesa del contribuente sin dal primo grado di giudizio, né l’ufficio ha inteso assolvere l’onere probatorio, neppure in questa fase di giudizio, né il Giudice di prime cure ha indicato gli elementi e spiegato le ragioni, in base alle quali, contrariamente a quanto sostenuto dal contribuente e supportato da riferimenti giurisprudenziali di legittimità, le notifiche delle cartelle di pagamento potevano essere considerate regolari ed efficaci.

Sulla base dei suddetti elementi di giudizio considerati, il Collegio, tenuto conto delle statuizioni giurisprudenziali di legittimità citate dalla difesa del contribuente a supporto della tesi della inesistenza delle notifiche effettuate per vizi del procedimento notificatorio, nonché delle conformi recentissime statuizioni di legittimità e di merito, richiamate e depositate in copia, (Cass. Sez.VI Civ.-T, ORD. n.06818/22, del 25/01/2022 e Ord. n. 14093/2022 del 22/03/2022 e CTR Campania Sez. 22, sent. N. 4997, del 26/10/2021), all’odierna udienza di trattazione, dal difensore del contribuente, da cui questo Giudice non ha motivo di discostarsi, ritiene che le notifiche delle cartelle di pagamento effettuate dall’Ufficio risultano inesistenti, con conseguente nullità della sottostante pretesa impositiva; pertanto, assorbite tutte le altre questioni proposte e formulate dalle parti, giacché ininfluenti ai fini della presente decisione, in riforma della sentenza impugnata accoglie l’appello del contribuente.

Le spese di giudizio vengono interamente compensate tra le parti in considerazione dei contrasti giurisprudenziali sulle questioni trattate, definite soltanto recentemente dai Giudici di legittimità e, comunque, in data successiva alla proposizione del ricorso, tenuto conto anche che l’appello viene accolto per questioni di rito, mentre il ricorrente appellante non ha mai disconosciuto, nel merito, la pretesa fiscale.

P.Q.M.

Accoglie l’appello. Spese compensate per il doppio grado di giudizio.

Conclusione

Foggia il 24 giugno 2022.


Cass. civ., Sez. III, Ord., (data ud. 21/06/2022) 12/09/2022, n. 26810

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – rel. Consigliere –

Dott. ROSSELLO Carmelo Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21313/2019 R.G. proposto da:

L.G., rappresentata e difesa, giusta procura speciale a margine del ricorso, dall’avv. Giacomo Triolo, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Giuliano Dominici, in Roma, Viale Giulio Cesare, n. 6;

– ricorrente –

contro

B.F., rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, giusta procura speciale in calce al controricorso, dall’avv. Salvatore Ziino, e dall’avv. Antonino Maria Cremona, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Paolo Palmeri, in Roma, Piazza del Fante, n. 2;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Palermo n. 2408/2018, pubblicata in data 18 gennaio 2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 21 giugno 2022 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina A. P. Condello.

Svolgimento del processo
1. L.G. convenne dinanzi al Tribunale di Agrigento B.F. al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito dello sprofondamento di parte dell’immobile adibito ad uso commerciale condotto in locazione, causato dal cedimento del costone retrostante il fabbricato.

A sostegno della domanda evidenziava che la convenuta, in violazione dei canoni di buona fede e correttezza, aveva omesso di rappresentarle che l’immobile si trovava in grave stato di pericolo già prima della stipula del contratto di locazione e che il crollo del costone aveva determinato lo sprofondamento di una parte dell’immobile locato adibito a magazzino, con conseguente distruzione di tutta la merce ivi depositata.

La B. dedusse l’inammissibilità della domanda, facendo presente che aveva richiesto ed ottenuto Decreto Ingiuntivo dell’importo di Euro 14.000,00, a titolo di canoni di locazione non corrisposti, nei confronti della L., la quale aveva proposto opposizione facendo rilevare in quella sede le medesime pretese risarcitorie azionate nel presente giudizio.

Disposto il mutamento del rito, il Tribunale di Agrigento, respinte le richieste istruttorie, dichiarò risolto il contratto di locazione per impossibilità sopravvenuta ex art. 1256 c.c. e condannò la convenuta al pagamento, in favore dell’attrice, a titolo di risarcimento dei danni, patrimoniali e non, dell’importo di Euro 1.000.000,00, già comprensivo di rivalutazione monetaria ed interessi legali maturati alla data di deposito della sentenza, nonchè al rimborso delle spese di lite.

2. Avverso la predetta sentenza la B. propose appello, sostenendo, tra l’altro, che il giudice di primo grado aveva errato nel rigettare l’eccezione di improponibilità delle domande proposte dalla L. per violazione del divieto di frazionamento della domanda, ribadendo che, antecedentemente all’introduzione del presente giudizio, aveva ottenuto dal Tribunale di Agrigento decreto ingiuntivo per canoni non pagati e che, proponendo opposizione, la L. aveva replicato che la locatrice non le aveva fatto presente che l’immobile versava in grave stato di pericolo, ma aveva anzi garantito che l’immobile non presentava pericolo alcuno di crollo, cosicchè, a fronte del grave inadempimento, non era tenuta al pagamento dei canoni di locazione.

In riforma parziale della sentenza impugnata, la Corte d’appello di Palermo rigettò la domanda di risarcimento danni proposta dall’appellata, annullando la statuizione della sentenza di primo grado che condannava la B. al pagamento di somme a titolo risa rcitorio.

Osservò, in particolare, che:

a) la B. aveva ottenuto dal Tribunale di Agrigento, in data 13 marzo 2015, Decreto Ingiuntivo nei confronti della L. per canoni non pagati; avverso il decreto ingiuntivo era stata proposta opposizione dalla L. che aveva lamentato il grave inadempimento della locatrice, negando di essere obbligata al versamento dei canoni di locazione;

b) con l’atto introduttivo del presente giudizio la L. aveva chiesto il risarcimento dei danni fondato sullo stesso fatto posto a fondamento delle difese svolte nell’opposizione a Decreto Ingiuntivo;

c) non era ravvisabile il frazionamento della domanda da parte della L., in quanto quest’ultima, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, non aveva proposto alcuna domanda risarcitoria nei confronti della B., ma si era limitata, in via di eccezione, ad esporre che il diritto al pagamento dei canoni non sussisteva, in quanto non le era stato rappresentato il grave stato di pericolo in cui si trovava l’immobile oggetto di locazione;

d) in assenza di impugnazione, si era formato il giudicato interno sul capo della sentenza di primo grado che aveva dichiarato risolto il contratto di locazione stipulato tra le parti per impossibilità sopravvenuta ex art. 1256 c.c., cosicchè non era possibile verificare se l’obbligo della locatrice di garantire l’idoneità dell’immobile locato da vizi che ne impedivano in modo apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito, per tutta la durata del rapporto contrattuale, fosse o meno possibile all’atto della conclusione del contratto;

e) per effetto del giudicato interno formatosi, non poteva trovare applicazione il disposto di cui all’art. 1578 c.c., che faceva riferimento ai vizi dell’immobile esistenti all’atto della sua consegna;

f) nella fattispecie era da escludersi la configurabilità di un comportamento in mala fede della locatrice nell’avere locato l’immobile, dato che lo stesso, al momento della stipula del contratto di locazione, appariva perfettamente idoneo all’uso concordato poichè non esistevano segni apparenti dell’imminente crollo del costone roccioso e del muro di contenimento posti sul retro dell’immobile, nè poteva ritenersi che, all’atto della stipula del contratto di locazione, fosse prevedibile che in futuro, nel corso della durata del contratto di locazione, non sarebbe stato possibile utilizzare l’immobile locato;

g) antecedentemente alla stipula del contratto di locazione si erano verificati soltanto fenomeni di colamento di detriti di terra a monte del banco calcarenitico, ma tali fenomeni si erano interrotti al limite delle gabbionate che sovrastavano il muro di sostegno posto dietro l’edificio dove si trovava l’immobile locato; a seguito di sopralluoghi effettuati dal Comune di Agrigento era stata emanata l’ordinanza sindacale n. 52 del 7 marzo 2011, con la quale era stato inibito l’uso degli spazi condominiali adibiti a garage retrostanti l’edificio dal n. (OMISSIS) al n. (OMISSIS) fino alla messa in sicurezza del sovrastante terreno, ma i predetti numeri civici non afferivano alla proprietà B.; nessun pericolo di instabilità del costone e del muro posti a tergo dell’immobile era stato ravvisato dalle autorità intervenute il (OMISSIS);

h) dalla consulenza tecnica eseguita dalla Procura della Repubblica di Agrigento risultava che: il muro di sostegno della montagna posto dietro l’edificio non presentava dissesti all’atto degli eventi verificatisi in data (OMISSIS); la causa del crollo del costone roccioso e di parte del muro di contenimento retrostanti era riconducibile alla formazione di una frattura del terreno di fondazione calcarenitico al piede del muro di sostegno, con conseguente perdita di equilibrio del muro e frana a tergo del muro stesso; la propagazione della frattura era avvenuta in un intervallo temporale ampio, via via che si incrementavano le pressioni neutre per effetto della perdita di efficienza dei drenaggi esistenti del pendio, a causa di una miscela di acque di falda ed acque potabili provenienti da consistenti perdite della rete idrica dell’ex Ospedale (OMISSIS) poste a monte del pendio;

i) gli ulteriori avvenimenti verificatisi successivamente al (OMISSIS) erano del tutto irrilevanti; infatti, la circostanza che la società ADR s.r.l., amministrata dal figlio della L., avesse stipulato, in data 1 marzo 2014, ossia quattro giorni prima della frana, un contratto di locazione di altro immobile nello stesso fabbricato, era del tutto irrilevante, in quanto era ben possibile che l’amministratore della società non fosse a conoscenza degli eventi o che, pur essendone a conoscenza, avesse comunque inteso stipulare il contratto di locazione, ritenendo che gli eventi del (OMISSIS) fossero insignificanti in relazione all’utilizzabilità dell’immobile locato; parimenti irrilevante era la circostanza che la B. fosse a conoscenza degli eventi del (OMISSIS), in quanto proprietaria dell’immobile ed in quanto il fratello, per sua delega, aveva partecipato all’assemblea condominiale del 17 marzo 2011, in cui si era discusso della nomina di un legale a tutela del danno temuto a causa dello smottamento che si era verificato e dell’ordinanza del 9 marzo 2011 inviata dal Comune con la quale si inibiva l’uso degli spazi condominiali retrostanti l’immobile.

3. L.G. ha proposto ricorso per la cassazione della suddetta decisione d’appello, sulla base di due motivi.

B.F. ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale condizionato, con un unico motivo.

4. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c..

Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero presso la Corte.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380-bis.1. c.p.c..

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo d’impugnazione si deduce la violazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 1571, 1575, 1578 e 1256 c.c., nonchè “l’omessa valutazione di un fatto decisivo risultante dagli atti di causa ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

Segnatamente, la ricorrente lamenta che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere non provata la responsabilità della B., pur a fronte della prova documentale della sussistenza dei vizi dell’immobile in data antecedente alla stipula del contratto di locazione, e ribadisce che la locatrice l’aveva indotta in errore garantendo che l’immobile si trovava in ottime condizioni e che era esente da pericolo di crollo, pur essendo a conoscenza che l’immobile locato fosse affetto da vizi gravi che ne impedivano l’utilizzo, presentando il costone retrostante, di natura argillosa, già a far data dal 2010, fenomeni di colamento gravitativo con grave rischio di crollo sull’immobile condotto in locazione.

Rimarca, in particolare, la ricorrente, a comprova che la B. fosse a conoscenza dello stato di pericolo dell’immobile locato, che:

a) nei primi mesi del 2011, ossia prima della stipula del contratto di locazione, avvenuta in data 31 maggio 2011, si erano verificati consistenti smottamenti e caduta di abbondante terriccio sull’edificio ove era ubicato l’immobile locato;

b) in data 17 marzo 2011 era stata convocata una assemblea condominiale – alla quale aveva partecipato il fratello della B., su delega di quest’ultima – avente come ordine del giorno la “nomina di legale a tutela per danno temuto a causa dello smottamento verificatosi nel terreno lato nord dell’edificio”; nel corso dell’assemblea l’amministratore aveva comunicato di avere ricevuto in data 9 marzo 2011 l’ordinanza del Sindaco di Agrigento, datata 7 marzo 2011, con cui si inibiva l’utilizzo degli spazi condominiali retrostanti l’immobile ed in quella stessa sede era stata istituita una commissione composta da alcuni condomini, tra i quali B.G., fratello della controricorrente, al fine di affiancare l’amministratore del Condominio per la risoluzione del problema;

c) il Condominio, in data 11 marzo 2011, aveva inviato atto di costituzione in mora a diversi enti e, in data 20 marzo 2011, al Comune e a Girgenti Acque, rappresentando che vi era grave pericolo sull’immobile a causa degli “smottamenti nel costone (OMISSIS) e retrostante edificio (OMISSIS)”;

d) il Comune di Agrigento aveva inviato al Condominio (OMISSIS) una nota datata 14 giugno 2012, nella quale si faceva riferimento ad una ordinanza sindacale n. 52/2011 in cui si prescriveva all’amministratore dell’edificio e, quindi, ai proprietari degli immobili, di inibire l’utilizzo degli spazi condominiali retrostanti l’edificio fino ad avvenuta eliminazione del pericolo;

e) il Condominio (OMISSIS) in precedenza aveva inviato al Comune di Agrigento una missiva chiedendo di revocare l’ordinanza sindacale n. 52/2011, che era stata riscontrata dal Comune con nota del 27 marzo 2012, con cui era stato comunicato che l’ordinanza non poteva essere revocata in quanto il pericolo era imminente e sussistente.

Ad avviso della ricorrente, pertanto, già dal mese di (OMISSIS) la B. era a conoscenza dei vizi da cui era affetto l’immobile, ma, nonostante ciò, pur non essendo stati effettuati i lavori di messa in sicurezza dell’immobile, lo aveva concesso in locazione, omettendo di comunicare alla conduttrice il grave stato di pericolo.

A seguito della stipula del contratto di locazione – soggiunge la ricorrente – aveva effettuato ingenti investimenti, sostenendo elevati costi per l’acquisto di attrezzature, arredamenti e per interventi di manutenzione edilizia, aveva inoltre assunto dipendenti e proceduto all’acquisto di un vasto assortimento di merce; il fatto verificatosi in data (OMISSIS) aveva comportato una improvvisa interruzione dell’attività commerciale, dato che l’Autorità pubblica aveva disposto l’evacuazione dell’intero condominio, con conseguente impossibilità di utilizzare l’immobile locato che era crollato. Erra, pertanto, secondo la ricorrente, la sentenza impugnata laddove afferma che non vi era prova che il vizio fosse esistente al momento della stipula del contratto e che l’evento verificatosi nel (OMISSIS) non fosse strettamente collegato agli eventi verificatisi nel (OMISSIS), essendo al contrario la B. incorsa in grave inadempimento contrattuale, a nulla valendo che l’evento dannoso si fosse verificato a distanza di tre anni dalla stipula del contratto. Dalle stesse argomentazioni esposte dalla Corte di appello, prosegue la ricorrente, si evince che la causa del crollo del costone roccioso era da ascrivere alla formazione della frattura del terreno di fondazione calcarenitico al piede del muro di sostegno e la stessa consulenza tecnica disposta dalla Procura della Repubblica di Agrigento aveva chiarito che gli eventi erano iniziati nel (OMISSIS) e poi terminati nel (OMISSIS) quando si era verificato l’evento dannoso.

La ricorrente sottolinea, quindi, che la locatrice avrebbe violato i canoni di buona fede e correttezza, avendo l’obbligo di mantenere il bene locato in buone condizioni di utilizzo, e addebita alla Corte d’appello di avere erroneamente affermato che si fosse formato il giudicato interno sulla dichiarata risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta, posto che in appello aveva insistito nel sostenere che si era in presenza di una risoluzione contrattuale per inadempimento, contestando dunque la impossibilità sopravvenuta; in ogni caso, l’impossibilità sopravvenuta, seppure sussistente, era addebitabile a colpa della locatrice che era a conoscenza dell’evento che aveva reso impossibile la prestazione ed era pertanto tenuta al risarcimento del danno. In ogni caso, secondo la ricorrente, la sentenza gravata sarebbe censurabile per avere trascurato di valutare fatti storici decisivi, quali le delibere condominiali, le ordinanze del Comune di Agrigento e la consulenza disposta dalla Procura della Repubblica di Agrigento.

2. Con il secondo motivo d’impugnazione si deduce nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 c.c..

La ricorrente, partendo dalla premessa che si verte in ipotesi di inadempimento contrattuale per grave responsabilità della locatrice, sostiene che quest’ultima era tenuta al risarcimento sia del danno emergente che del lucro cessante, di cui era stata fornita piena prova mediante la documentazione prodotta.

3. Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato, B.F. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., artt. 645, 647 e 653 c.p.c., nonchè dell’art. 111 Cost..

Precisa che nel giudizio di appello aveva dedotto che le domande proposte dalla L. erano inammissibili, poichè l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo richiesto per il pagamento dei canoni era stata dichiarata inammissibile con sentenza passata in giudicato, di cui era stata depositata copia. La Corte d’appello aveva ritenuto che la L. con l’instaurazione del giudizio di risarcimento dei danni non avesse frazionato la domanda, ma tale statuizione, ad avviso della controricorrente, non teneva conto degli effetti del giudicato che si era formato nel giudizio sulla debenza dei canoni, che copriva il dedotto ed il deducibile, precludendo l’esame delle domande proposte dalla L. che erano basate su fatti costitutivi incompatibili con l’accertamento passato in giudicato.

4. In controricorso la B., in via preliminare, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per cassazione perchè tardivamente proposto dopo il decorso di sessanta giorni dalla notifica della sentenza impugnata, avvenuta presso la cancelleria della Corte d’appello in data 22 gennaio 2019. Ha spiegato che in data 18 gennaio 2019, pur avendo tentato la notifica della sentenza d’appello alle caselle p.e.c. dei difensori della odierna ricorrente, questa non è andata a buon fine: la notifica all’avv. Sgarito non è stata consegnata per “casella piena”, mentre quella all’avv. Triolo non si è perfezionata per “errore tecnico presso il gestore ricevente”. Considerato che la L. non aveva eletto domicilio nel circondario in cui aveva sede l’ufficio giudiziario dinanzi al quale si era svolto il giudizio d’appello, bensì presso lo studio dei suoi difensori, sito in (OMISSIS), in data 22 gennaio 2019 aveva eseguito la notifica presso la cancelleria della Corte d’appello di Palermo, ai sensi del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82 e D.L. n. 179 del 2012, art. 16-sexies, posto che la notifica a mezzo Pec aveva avuto esito negativo per cause imputabili ai destinatari delle caselle di posta elettronica.

4.1. L’eccezione è fondata.

4.2. Occorre osservare che il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-sexies, convertito dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 – articolo rubricato “Domicilio digitale” e introdotto dal D.L. n. 90 del 2014, art. 52, convertito, con modificazioni, nella L. n. 114 del 2014 -prevede testualmente: “Salvo quanto previsto dall’art. 366 c.p.c., quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6-bis, nonchè dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia”.

Tale disposizione normativa, nell’ambito della giurisdizione civile (e fatto salvo quanto disposto dall’art. 366 c.p.c., per il giudizio di cassazione), impone alle parti la notificazione dei propri atti presso l’indirizzo p.e.c. risultante dagli elenchi INI PEC di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6-bis (Codice dell’amministrazione digitale), ovvero presso il Re.G.Ind.E, di cui al D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, gestito dal Ministero della giustizia, escludendo che tale notificazione possa avvenire presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, salvo nei casi di impossibilità a procedersi a mezzo p.e.c., per causa da addebitarsi al destinatario della notificazione.

La prescrizione del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-sexies, prescinde dalla stessa indicazione dell’indirizzo di posta elettronica ad opera del difensore, trovando applicazione direttamente in forza dell’indicazione normativa degli elenchi/registri da cui è dato attingere l’indirizzo p.e.c. del difensore, stante l’obbligo in capo ad esso di comunicarlo al proprio ordine e dell’ordine di inserirlo sia nel registro INI PEC, che nel Re.G.Ind.E. La norma in esame, dunque, depotenzia la portata dell’elezione di domicilio fisico, la cui eventuale inefficacia non consente, pertanto, la notificazione dell’atto in cancelleria, ma la impone pur sempre e necessariamente alla p.e.c. del difensore domiciliatario, salvo l’impossibilità per causa al medesimo imputabile, e, al contempo, svuota di efficacia prescrittiva anche il R.D. n. 37 del 1934, art. 82, che, stante l’obbligo di notificazione tramite p.e.c. presso gli elenchi/registri normativamente indicati, può assumere rilievo unicamente in caso di mancata notificazione via p.e.c. per causa imputabile al destinatario della stessa, quale localizzazione dell’ufficio giudiziario presso il quale operare la notificazione in cancelleria (Cass., sez. 3, 11/07/2017, n. 17048; Cass., sez. 3, 08/06/2018, n. 14914; Cass., sez. 6-2, 23/05/2019, n. 14140; Cass., sez. L, 20/05/2019, n. 13532; Cass., sez. 3, 29/01/2020, n. 1982; Cass., sez. 6-3, 11/02/2020, n. 3164; Cass., sez. 1, 03/02/2021, n. 2460).

Da quanto esposto discende che, nel caso di specie, essendo il D.L. n. 179 del 2012, art. 16-sexies, entrato in vigore il 19 agosto 2014 e trovando esso immediata efficacia nei giudizi in corso per gli atti compiuti successivamente alla sua vigenza, in applicazione del principio del tempus regit actum (Cass., sez. 3, 18/07/2013, n. 17570; Cass., sez. 1, 24/03/2016, n. 5925; Cass., sez. 6-5, 20/01/2017, n. 1635; Cass., sez. 6-3,14/12/2017, n. 30139), la notificazione della sentenza di appello a L.G. avrebbe dovuto essere effettuata presso l’indirizzo p.e.c. dei difensori della stessa risultante dagli elenchi/registri indicati dall’art. 16-sexies citato e, soltanto ove impossibile per causa imputabile a detti difensori, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario innanzi al quale pendeva la lite 4.3. Come emerge dagli atti, il difensore della B. ha effettuato la notificazione della sentenza d’appello nei confronti dei difensori della odierna ricorrente a mezzo p.e.c., ma il sistema ha generato un avviso di mancata consegna, segnalando, con riguardo all’avv. Carla Sgarito, che la casella risultava “piena” e, quanto all’avv. Triolo, che “presso il gestore ricevente si era verificato un errore tecnico che impediva la consegna”.

4.4. La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che la notifica a mezzo Pec della L. n. 53 del 1994, ex art. 3-bis, di un atto del processo ad un legale implica l’onere per il suo destinatario di dotarsi degli strumenti per decodificarla o leggerla, non potendo la funzionalità dell’attività del notificante essere rimessa alla mera discrezionalità del destinatario, salva l’allegazione e la prova del caso fortuito, come in ipotesi di malfunzionamenti del tutto incolpevoli, imprevedibili e comunque non imputabili al professionista coinvolto; peraltro, costituendo la normativa sulle notifiche telematiche la mera evoluzione della disciplina delle notificazioni tradizionali ed il suo adeguamento al mutato contesto tecnologico, l’onere in questione non può dirsi eccezionale od eccessivamente gravoso, in quanto la dotazione degli strumenti informatici integra un necessario complemento dello strumentario corrente per l’esercizio della professione (Cass., sez. 6-3, 25/9/2017 n. 22320).

4.5. In particolare, con specifico riferimento alla ipotesi di saturazione della casella PEC, è stato escluso che essa configuri un impedimento non imputabile al difensore (Cass., sez. 6-1, 12/11/2018 n. 28864, in motivazione; Cass., sez. 1, 20/05/2019, n. 13532; Cass., sez. 3, 09/01/2020, n. 3164; Cass., sez. 3, 20/12/2021, n. 40758). Tale affermazione si pone in continuità con precedenti pronunzie di questa Corte che hanno sottolineato come, una volta ottenuta dall’ufficio giudiziario l’abilitazione all’utilizzo del sistema di posta elettronica certificata, l’avvocato, che abbia effettuato la comunicazione del proprio indirizzo di PEC al Ministero della Giustizia per il tramite del Consiglio dell’Ordine di appartenenza, diventa responsabile della gestione della propria utenza, nel senso che ha l’onere di procedere alla periodica verifica delle comunicazioni regolarmente inviategli a tale indirizzo, indicato negli atti processuali, non potendo far valere la circostanza della mancata apertura della posta per ottenere la concessione di nuovi termini per compiere attività processuali (Cass., sez. L, 02/07/2014 n. 15070; Cass., sez. L, 20/05/2019, n. 13532).

4.6. Va, peraltro, evidenziato, come precisato da Cass., sez. 6-5, 18/02/2020, n. 3965, che, in caso di mancata ricezione della comunicazione per causa a lui imputabile, il destinatario è comunque nella condizione di prendere cognizione degli estremi della comunicazione medesima, in quanto il sistema invia un avviso al portale dei servizi telematici, di modo che il difensore destinatario, accedendovi, viene informato dell’avvenuto deposito. Infatti, ai sensi del D.M. n. 44 del 2011, art. 16, comma 4, “nel caso in cui viene generato un avviso di mancata consegna previsto dalle regole tecniche della posta elettronica certificata (…) viene pubblicato nel portale dei servizi telematici, secondo le specifiche tecniche stabilite ai sensi dell’art. 34, un apposito avviso di avvenuta comunicazione o notificazione dell’atto nella cancelleria o segreteria dell’ufficio giudiziario contenente i soli elementi identificativi del procedimento e delle parti e loro patrocinatori”.

4.7. Per completezza espositiva il Collegio deve pure rilevare che, secondo alcune pronunce di questa Corte (Cass., sez. 5, 20/07/2018, n. 19397; Cass., sez. L, 30/12/2019, n. 34736; Cass., sez. 6-3, 26/05/2021, n. 14446; Cass., sez. 3, 20/12/2021, n. 40758), il mancato perfezionamento della notifica telematica effettuata dall’avvocato per non avere il destinatario reso possibile la ricezione di messaggi sulla propria casella p.e.c. impone alla parte notificante di provvedere tempestivamente al suo rinnovo secondo le regole generali dettate dagli artt. 137 c.p.c. e segg., e non mediante deposito dell’atto in cancelleria, non trovando applicazione la disciplina di cui al D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 6, u.p., prevista per il caso in cui la ricevuta di mancata consegna venga generata a seguito di notifica o comunicazione effettuata dalla Cancelleria, atteso che la notifica trasmessa a mezzo p.e.c. dal difensore si perfeziona al momento della generazione di avvenuta consegna. Secondo altro orientamento (Cass., sez. 6-3, 11/02/2020, n. 3164), “la notificazione di un atto eseguita ad un soggetto, obbligato per legge a munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, si ha per perfezionata con la ricevuta con cui l’operatore attesta di avere rinvenuto la cd. casella PEC del destinatario “piena”, da considerarsi equiparata alla ricevuta di avvenuta consegna, in quanto il mancato inserimento nella casella di posta per saturazione della capienza rappresenta un evento imputabile al destinatario, per l’inadeguata gestione dello spazio per l’archiviazione e la ricezione di nuovi messaggi”.

4.8. Nella fattispecie in esame si può, tuttavia, prescindere da ogni valutazione sulla questione prospettata dalle pronunce sopra richiamate. E ciò in quanto, a fronte del mancato perfezionamento della notifica all’avv. Sgarito a causa del riempimento della casella p.e.c., e dunque per una ragione non imputabile al notificante, ma piuttosto addebitabile al destinatario per inadeguata gestione dello spazio di archiviazione necessario alla ricezione dei messaggi (Cass., sez. L, 20/05/2019, n. 13532), il difensore della B. ha comunque proceduto (anche in un tempo adeguatamente contenuto, in conformità ai principi espressi da Cass., sez. U., 15/07/2016, n. 14594) alla notificazione della sentenza d’appello mediante deposito dell’atto presso la cancelleria della Corte di appello presso la quale pendeva la lite, considerato che entrambi i difensori della odierna ricorrente erano domiciliati extra discrictum, cosicchè da tale momento è sicuramente iniziato a decorrere il termine breve ex art. 325 c.p.c., per la impugnazione della sentenza d’appello.

Resta, peraltro, del tutto irrilevante che la notificazione telematica della sentenza di appello eseguita nei confronti dell’altro difensore della L., avv. Triolo, non sia stata consegnata a causa di un errore tecnico imputabile al gestore, e non al titolare della casella di posta elettronica, posto che la notificazione della sentenza ad uno soltanto dei difensori nominati dalla parte è idonea a far decorrere il termine breve per impugnare, di cui all’art. 325 c.p.c. (Cass., sez. 1, 31/08/2017, n. 20625; Cass., sez. 6-3, 27/05/2011, n. 11744; Cass., sez. 2, 31/05/2006, n. 12963).

Ne deriva che il ricorso per cassazione, notificato in data 28 giugno 2019, è stato tardivamente proposto oltre il termine di sessanta giorni dalla notificazione della sentenza previsto dall’art. 325 c.p.c., avvenuta presso la cancelleria della Corte d’appello in data 22 gennaio 2019.

5. In ogni caso, il primo motivo del ricorso non si sottrae alla declaratoria di inammissibilità.

Con tale doglianza, in realtà, non si denuncia la violazione delle norme di diritto invocate, ma si sollecita la rivalutazione della quaestio facti mediante la reiterazione di deduzioni difensive già svolte e mediante il richiamo a circostanze di fatto già sottoposte all’esame dei giudici di merito e da questi già adeguatamente valutate.

In sostanza, la ricorrente muove una contestazione alla motivazione resa dai giudici di appello, non consentita dall’attuale art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, tra l’altro invocato non già secondo il paradigma dell’omesso esame, ma secondo il paradigma della omessa valutazione e, comunque, senza rispettare, quanto alle emergenze fattuali richiamate, i criteri di deduzione fissati da Cass., sez. U., n. 8053 e n. 8054 del 7 aprile 2014, ossia senza specificare se e dove le circostanze di fatto di cui si denuncia l’omesso esame siano state oggetto di deduzione in giudizio.

Occorre, invero, ribadire che, dopo la modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis, non trova più accesso al sindacato di legittimità di questa Corte il vizio di mera insufficienza ed incompletezza dell’impianto motivazionale per inesatta valutazione delle risultanze istruttorie, qualora dalla sentenza sia evincibile una regula iuris che, prendendo le mosse da una determinata premessa, conduca ad una determinata conseguenza (in diritto) idonea a giustificare il decisum.

Rimangono, pertanto, estranei al perimetro del vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la contestazione volta a criticare, come nel caso in esame, il convincimento che il giudice si è formato ex art. 116 c.p.c., in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, ed operando il conseguente giudizio di prevalenza (Cass., sez. 3, 10/06/2016, n. 11892), come pure asseriti errori attinenti alla preminente rilevanza attribuita a talune “questioni” o alle stesse argomentazioni nelle quali si estrinseca l’esercizio del potere discrezionale di apprezzamento delle prove, restando precluso nel giudizio di cassazione l’accertamento dei fatti ovvero la loro valutazione ai fini istruttori.

Quanto ai denunciati vizi di violazione di legge, le doglianze prospettate dalla ricorrente non sono riconducibili nell’ambito della previsione normativa dettata dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, poichè si risolvono nella denuncia di violazione di disposizioni normative sulla base di una errata ricognizione della fattispecie concreta, laddove, invece, tale vizio consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta recata da una previsione normativa, implicante un problema interpretativo della stessa, o ancora nella sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addice, perchè la fattispecie astratta da essa prevista non è idonea a regolarla, oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta interpretazione (Cass., sez. 1, 5/02/2019, n. 3340; Cass., sez. 1, 14/01/2019, n. 640; Cass., sez. 5, 25/09/2019, n. 23851). Viceversa, l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

6. Il secondo motivo del ricorso, con il quale si lamenta che la Corte territoriale avrebbe violato le norme che regolano la quantificazione del danno, resta assorbito, in quanto presuppone l’accoglimento nell’an della domanda di risarcimento dei danni.

7. Il ricorso incidentale condizionato, in ragione dell’inammissibilità del ricorso principale, resta parimenti assorbito.

Le spese del giudizio di legittimità seguono i criteri della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale. Condanna la ricorrente principale al pagamento, in favore di B.F., delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificati pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 giugno 2022.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2022


Linee guida dell’Indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche e dei professionisti, vers. 2.0

La versione 1.0 delle Linee Guida dell’Indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche, dei professionisti e degli altri enti di diritto privato non tenuti all’iscrizione in albi, elenchi o registri professionali o nel registro delle imprese, era stata pubblicata da AgID in data 15 settembre 2021 con determinazione 529/2021; il 7 luglio 2022, con determina 191/2022, AgID ha pubblicato la versione 2.0 delle citate linee guida contenente le integrazioni derivanti dall’art. 27, comma 1, lett. a) e c) del D.L. 6 novembre 2021, n. 152.
Le Linee Guida sono, naturalmente, adottate ai sensi dell’art. 71 del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 e s.m.i. recante il “Codice dell’Amministrazione digitale” (CAD) e della Determina AgID n. 160 del 2018 recante il “Regolamento per l’adozione di linee guida per l’attuazione del Codice dell’Amministrazione Digitale”; le stesse stabiliscono, come detto, le modalità di realizzazione e gestione operativa dell’INAD (Indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche, dei professionisti e degli altri enti di diritto privato non tenuti all’iscrizione in albi, elenchi o registri professionali o nel registro delle imprese) nonché le modalità di accesso allo stesso, il tutto ai sensi e per gli effetti dell’art. 6 quater del CAD.
Si riportano alcuni degli aspetti più singolari e importanti delle nuove linee guida del domicilio digitale.
1) Il domicilio digitale:
Il domicilio digitale è l’indirizzo elettronico eletto presso un servizio di posta elettronica certificata (di seguito PEC) o un servizio elettronico di recapito certificato qualificato, come definito dal Regolamento eIDAS, valido ai fini delle comunicazioni elettroniche aventi valore legale ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera n-ter del CAD.
2) Chi può eleggere il proprio domicilio digitale mediante nell’INAD:
a) le persone fisiche che abbiano compiuto il diciottesimo anno di età e che abbiano la capacità di agire;
b) i professionisti che svolgono una professione non organizzata in ordini, albi o collegi ai sensi della legge n. 4/2013 (di seguito Professionisti);
c) gli enti di diritto privato non tenuti all’iscrizione nell’INI-PEC.
Tutti i soggetti sopra indicati che intendono eleggere il proprio domicilio digitale, devono preventivamente registrarsi all’INAD accedendo tramite il relativo portale web e identificandosi mediante il sistema pubblico di identità digitale (SPID) o la carta d’identità elettronica (CIE) o la carta nazionale dei servizi (CNS).
La registrazione dei Professionisti nell’INAD è soggetta alla verifica (automatizzata), dell’assenza del soggetto all’interno dell’INI-PEC.
Nel caso in cui il Professionista risulti già presente nell’INI-PEC, non gli sarà consentita la registrazione all’INAD e, conseguentemente, gli sarà preclusa la possibilità di eleggere, in tale sistema, il domicilio digitale in qualità di Professionista, ferma restando, in ogni caso, la facoltà di registrazione nell’INAD in qualità di persona fisica.
3) Per i professionisti: domicilio digitale professionale o domicilio digitale personale?
i professionisti hanno facoltà di eleggere nell’INAD sia un domicilio digitale professionale sia un domicilio digitale personale e la distinzione tra i due domicili digitali, appartenenti al medesimo soggetto, è resa evidente all’interno dell’INAD sia al diretto interessato, al momento dell’elezione del domicilio, sia agli utenti al momento della consultazione dell’INAD.
Resta ferma, in ogni caso, la facoltà di eleggere al di fuori dell’INAD un domicilio speciale per determinati atti o affari, ai sensi dell’articolo 47 c.c.
Il domicilio eletto dalle persone fisiche può essere utilizzato anche per le comunicazioni aventi valore legale a loro dirette nella qualità di tutori, curatori, procuratori o altre forme di rappresentanza di altre persone fisiche, previste dalla legge.
4) Può essere volontariamente dismesso il domicilio digitale in uso?
Le linee guida prevedono la facoltà di cessazione del domicilio digitale in uso da parte del titolare senza elezione di un nuovo domicilio digitale; ciò però non sempre è possibile in quanto la cessazione volontaria, non è consentita a coloro che risultano contemporaneamente iscritti nell’INI-PEC in qualità di professionisti, ai sensi dell’art. 6-quater, comma 2 del CAD.
5) Il professionista può modificare o eliminare la propria attività professionale o le proprie attività professionali indicate nell’INAD?
Con specifico riferimento alla figura del professionista, è altresì prevista la facoltà del medesimo di modificare o eliminare la propria attività professionale o le proprie attività professionali indicate nell’INAD. Qualora il professionista non svolga più alcuna attività professionale e, pertanto, proceda all’eliminazione di tale indicazione, l’INAD procede alla cessazione del domicilio digitale e della posizione associata al Professionista, mantenendo, ove già presente, la differente posizione dello stesso soggetto quale persona fisica.
6) È prevista in INAD la storicizzazione delle operazioni sul domicilio digitale?
Le linee guida prevedono che, al fine di dare evidenza delle operazioni effettuate durante le fasi di elezione, modifica e cessazione del domicilio digitale, anche d’ufficio e in casi particolari, viene generata, ai soli fini probatori, la tracciatura di tali operazioni, mediante registrazione su supporto informatico:
a) della modalità di identificazione dell’utente per le operazioni richieste;
b) della data e dell’ora di accesso all’INAD;
c) della data, dell’ora e del tipo di operazione effettuata (elezione, modifica, conferimento e revoca della delega, cessazione volontaria e cessazione in casi particolari) e del domicilio digitale a cui è riferita l’azione;
d) della data e dell’ora di validazione o annullamento della richiesta telematica al Gestore INAD.
I dati della tracciatura sono associati al soggetto richiedente e inviati in conservazione ove resteranno disponibili per dieci anni dalla trasmissione al sistema di conservazione, a garanzia di eventuali esigenze probatorie nell’ordinario termine di prescrizione dei diritti, in considerazione delle finalità del domicilio digitale.
7) INAD e domicilio digitale dei professionisti già presenti in INI-PEC:
il domicilio digitale dei professionisti iscritti nell’INI-PEC sarà inserito anche nell’INAD quale domicilio digitale in qualità di persone fisiche, fermo restando il diritto di eleggerne uno diverso; ciò in ottemperanza a quanto disposto dall’articolo 6-quater, comma 2 del CAD.
Il Ministero per lo Sviluppo Economico, avvalendosi del Gestore di INIPEC, renderà disponibili al Gestore dell’INAD gli indirizzi e i nominativi dei professionisti presenti nell’INI-PEC, tramite servizi informatici le cui specifiche tecniche sono definite in fase di sviluppo dell’INAD.
L’inserimento nell’INAD degli indirizzi elettronici presenti nell’INI-PEC consta delle seguenti fasi:
a) recupero, tramite i suddetti servizi, dei domicili digitali e dei nominativi dei professionisti inseriti nell’INI-PEC, messi a disposizione dal Gestore dell’INIPEC al Gestore dell’INAD;
b) inserimento provvisorio nell’INAD per 30 giorni, senza pubblicazione, dei domicili digitali e dei relativi nominativi. Nel caso di professionisti iscritti a più ordini o collegi professionali è inserito nell’INAD l’ultimo domicilio digitale cronologicamente dichiarato nell’INI-PEC.
c) il Gestore INAD, provvederà a fornire ai professionisti iscritti in INI-PEC le istruzioni utili al completamento della procedura di registrazione all’INAD, necessaria all’abilitazione delle funzioni di gestione del proprio domicilio.
Qualora, entro 30 giorni dall’inserimento provvisorio di cui sopra, il professionista non abbia usufruito della propria facoltà di modifica del domicilio digitale trasmesso dall’INI-PEC, il Gestore INAD provvederà alla pubblicazione del domicilio digitale e del relativo nominativo del professionista.
Qualora il professionista abbia optato per la modifica del domicilio digitale, al fine di eleggerne uno personale in INAD diverso da quello presente in INI-PEC, il Gestore INAD procede alla cancellazione del domicilio digitale inizialmente trasmesso dall’INI-PEC.
8) L’ambito di utilizzo del domicilio digitale:
a) l’utilizzo del domicilio digitale è disciplinato dagli articoli 3-bis, 6 e 6-quinquies del CAD.
b) I domicili digitali presenti nell’INAD sono utilizzabili per l’invio di comunicazioni elettroniche aventi valore legale ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera n-ter) del CAD.
Codice dell’amministrazione digitale – Art. 6 – Utilizzo del domicilio digitale
1. Le comunicazioni tramite i domicili digitali sono effettuate agli indirizzi inseriti negli elenchi di cui agli articoli 6-bis, 6-ter e 6-quater, o a quello eletto come domicilio speciale per determinati atti o affari ai sensi dell’articolo 3-bis, comma 4-quinquies. Le comunicazioni elettroniche trasmesse ad uno dei domicili digitali di cui all’articolo 3-bis producono, quanto al momento della spedizione e del ricevimento, gli stessi effetti giuridici delle comunicazioni a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno ed equivalgono alla notificazione per mezzo della posta salvo che la legge disponga diversamente. Le suddette comunicazioni si intendono spedite dal mittente se inviate al proprio gestore e si intendono consegnate se rese disponibili al domicilio digitale del destinatario, salva la prova che la mancata consegna sia dovuta a fatto non imputabile al destinatario medesimo. La data e l’ora di trasmissione e ricezione del documento informatico sono opponibili ai terzi se apposte in conformità alle Linee guida.
1-bis. COMMA ABROGATO DAL D.LGS. 13 DICEMBRE 2017, N. 217.
1-ter. L’elenco dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti è l’Indice nazionale dei domicili digitali (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti di cui all’articolo 6-bis.
L’elenco dei domicili digitali dei soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, lettere a) e b), è l’Indice degli indirizzi della pubblica amministrazione e dei gestori di pubblici servizi, di cui all’articolo 6-ter. L’elenco dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato diversi da quelli di cui al primo e al secondo periodo è l’Indice degli indirizzi delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato di cui all’articolo 6-quater.
1-quater. I soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, notificano direttamente presso i domicili digitali di cui all’articolo 3-bis i propri atti, compresi i verbali relativi alle sanzioni amministrative, gli atti impositivi di accertamento e di riscossione e le ingiunzioni di cui all’articolo 2 del regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, fatte salve le specifiche disposizioni in ambito tributario. La conformità della copia informatica del documento notificato all’originale è attestata dal responsabile del procedimento in conformità a quanto disposto agli articoli 22 e 23-bis.
Art. 6-quinquies – Consultazione e accesso
1. La consultazione on-line degli elenchi di cui agli articoli 6-bis, 6-ter e 6-quater è consentita a chiunque senza necessità di autenticazione. Gli elenchi sono realizzati in formato aperto.
2. L’estrazione dei domicili digitali dagli elenchi, di cui agli articoli 6-bis, 6-ter e 6-quater, è effettuata secondo le modalità fissate da AgID nelle Linee guida.
3. In assenza di preventiva autorizzazione del titolare dell’indirizzo, è vietato l’utilizzo dei domicili digitali di cui al presente articolo ((per l’invio di comunicazioni commerciali, come definite dall’articolo 2, comma 1, lettera f, del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70).
4. Gli elenchi di cui agli articoli 6-bis, 6-ter e 6-quater contengono le informazioni relative alla elezione, modifica o cessazione del domicilio digitale.


AGID 7 luglio 2022, determina n. 191-2022

AGID 7 luglio 2022, determina 191-2022


Cartelle esattoriali: nulla la notifica se da PEC non ufficiale

Notifica delle cartelle esattoriali solo da PEC ufficiale. In caso contrario si considera nulla. A stabilirlo diverse pronunce giurisprudenziali, ed è quindi importante per il contribuente verificare l’indirizzo di posta elettronica certificata del mittente.
Sono diverse le pronunce giurisprudenziali sul tema accomunate dall’aver evidenziato la nullità delle attività di notifica mediante caselle di posta elettronica certificata non inserite nei pubblici registri.
Questo è quanto stabilito ad esempio dalla ventesima Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Roma con l’ordinanza numero 10571 del 16 dicembre 2020.
In buona sostanza, a conferma fra l’altro dell’orientamento giurisprudenziale, secondo i giudici tributari risulta priva di effetto ab origine, e quindi inesistente e non suscettibile di sanatoria, la notifica dell’Agenzia delle Entrate proveniente da questo indirizzo:
notifica.acc.lazio@pec.agenziariscossione.gov.it
Nel caso di specie, infatti, l’Ente della Riscossione in qualità di soggetto notificante, non aveva utilizzato una delle PEC riferite all’Agenzia delle Entrate Riscossione riportate nel pubblico registro (Indice delle Pubbliche Amministrazioni).
La sentenza numero 10571 del 16 dicembre 2020 della ventesima CTP ha confermato l’orientamento ormai consolidato secondo cui la notificazione via PEC, per considerarsi valida, deve essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante che risulti da pubblici elenchi.
Nel in cui il contribuente si ritrovi nella casella di posta una cartella proveniente da un qualsiasi altro indirizzo, deve reputare quella notifica priva di efficacia perché inesistente.
Non si potrà, per tale ragione, invocare la “sanatoria per raggiungimento dello scopo” prevista dall’articolo 156 del Codice di Procedura Civile, perché la notifica irrituale degli atti tributari, ancor prima che nulla, è inesistente.
L’articolo 156 citato, in tema di rilevanza delle nullità, stabilisce infatti quanto segue:
“Non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge.
Può tuttavia essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo.
La nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”.
Ciò significa che, secondo il principio di tassatività, l’inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento determina la nullità solamente nei casi previsti dalla legge.
La fattispecie richiamata, tra l’altro, fa riferimento alle cosiddette nullità formali che intervengono soltanto in casi eccezionali perché, in ipotesi di raggiungimento dello scopo, il relativo vizio viene sanato.
Ebbene, i giudici tributari hanno escluso l’applicazione di questo principio al caso di specie ed hanno ritenuto insanabile l’irregolarità della notifica.
Secondo quanto stabilito dall’ordinanza in commento, infatti, la Commissione Tributaria ha considerato la notifica per mezzo di una PEC non ufficiale, ancor prima che nulla, inesistente.
Non è quindi da ricomprendere nei vizi sanabili nel caso di raggiungimento dello scopo, così come disposto dal citato articolo 156, ossia nel caso di avvenuta conoscenza dell’atto notificato (le cartelle esattoriali).
Vi è infatti una fondamentale differenza tra inesistenza e nullità di un atto, i cui caratteri sono spesso oggetto di diatribe dottrinali e giurisprudenziali.
In estrema sintesi, la prima consiste nella più grave forma di invalidità, comminata laddove sussista una anomalia dell’atto nella sua formazione, perché privo di uno degli elementi essenziali o comunque illecito.
Nullità che, fra l’altro, in alcuni casi può essere sanata (nullità relativa) e in altri persiste definitivamente (nullità assoluta).
La seconda, viceversa, interviene quando il vizio è talmente grave da non consentire nemmeno di identificare l’atto, nemmeno nei suoi requisiti minimi essenziali.
D’altronde, l’articolo 16 ter del D.L. 179/2012 definisce pubblici elenchi quelli previsti gli articoli 4 e 16, comma 12, dello stesso decreto, ovvero “IPA”, “Reginde”, “Inipec”.
Ecco, quindi, che l’indirizzo da cui è giunta la cartella impugnata non è oggettivamente e con certezza riferibile all’Agenzia delle Entrate Riscossione, non risultando nell’elenco del Reginde (Registro Generale degli Indirizzi Elettronici gestito dal Ministero della Giustizia), né nella pagina ufficiale del sito internet dell’Agenzia Entrate Riscossione, né tantomeno nella pagina della CCIAA (Camera di Commercio di Roma).
È l’articolo 3-bis della legge n. 53/1994 a definire le regole in materia di notifica di atti tramite PEC e, in particolare, il comma 1 prevede che:
“La notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi.”
Gli elenchi pubblici a cui si fa riferimento nell’ambito delle attività di notifica delle cartelle esattoriali sono quindi quelli sopra individuati: Reginde, INIPEC e IPA. In caso di indirizzi di posta elettronica certificata non inclusi, la notifica è quindi ritenuta nulla.
Questo è l’orientamento che ha caratterizzato le ultime pronunce in materia, e oltre a quella sopra analizzata si cita, a titolo esemplificativo, il recente intervento della CTR del Lazio con la sentenza n. 3514 del 2 agosto 2022, secondo il quale le notifiche effettuate tramite PEC non incluse in elenchi pubblici sono nulle e si considerano inesistenti.
Gli esempi di cui sopra consolidano quindi un orientamento ormai diffuso, a tutela dei diritti dei contribuenti.


Modulistica aggiornata anno 2022

«Ai fini della ritualità e validità della relazione di notifica si rivela del tutto irrilevante l’uso di un timbro anziché della scrittura al fine di descrivere le operazioni svolte, dovendo tenersi conto delle operazioni indicate dal pubblico ufficiale, indipendentemente dallo strumento utilizzato per indicarle» (Cass. civ., sez. I, 12.5.1998, n. 4762). Le relate di notifica devono essere correttamente compilate (complete del Cognome e Nome del notificatore e della sua qualifica, possibilmente a stampa o con timbro, oltre che della di lui sottoscrizione) sia sull’originale che sulla copia che è consegnata al destinatario o chi per lui o depositata nella Casa Comunale.

Si ricorda che la relata di notifica deve essere apposta in calce all’atto, cioè in fondo (od al limite dietro l’ultima pagina) e non davanti o dove vi è spazio nel corpo dell’atto.

Leggi: MODULISTICA 2022


Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 05/07/2022) 02/09/2022, n. 25910

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 851-2021 R.G. proposto da:

SICIL TOURING s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, P.G., rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dagli avv.ti Luigi Piergiuseppe MURCIANO, e Valerio CIONI, ed elettivamente domiciliata presso lo studio legale del predetto ultimo difensore, sito in Roma, alla via degli Scipioni, n. 268/a;

– ricorrente –

contro

COMUNE di ERICE, in persona del Sindaco in carica;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2951/12/2020 della Commissione tributaria regionale della SICILIA, depositata in data 26/05/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/07/2022 dal Consigliere Dott. Lucio LUCIOTTI.

Svolgimento del processo
che:

– in controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento ai fini IMU per l’anno d’imposta (OMISSIS), con la sentenza in epigrafe indicata la CTR della Sicilia rigettava l’appello della Sicil Touring s.r.l. avverso la sfavorevole sentenza di primo grado dell’amministrazione finanziaria avverso la sfavorevole sentenza di primo grado rilevando la regolarità della notifica dell’atto impositivo effettuata a mezzo posta elettronica certificata che comunque aveva raggiunto lo scopo essendo stato regolarmente impugnato; nel merito, sosteneva che l’avviso di accertamento era congruamente motivato e “la doglianza inerente ai valori dell’immobile introdotta in primo grado e qui riproposta è del tutto generica e priva di prova”;

– avverso tale statuizione la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi cui non replica l’intimato;

– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale la ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione
che:

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 82 del 2005, artt. 6 e 22 e art. 156 c.p.c. sostenendo che nel caso di specie non poteva operare la sanatoria della irregolarità della notifica dell’avviso di accertamento effettuata a mezzo posta elettronica certificata perchè recante allegazione al messaggio di una copia informatica di un documento analogico, senza alcuna attestazione di conformità e firma digitale, tale da integrare, quindi, un’ipotesi di inesistenza della notifica.

2. Il motivo è manifestamente infondato e va rigettato.

3. Va premesso che le disposizioni del D.Lgs. n. 82 del 2005 (c.d. Codice dell’amministrazione digitale – CAD) si applicano, ai sensi dell’art. 2, comma 2, nella versione anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 217 del 2017, “alle pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2”, nelle quali sono ricompresi anche i comuni (l’appena citato comma 2 prevede, infatti, che “Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi (…) i Comuni”).

3.1. il D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 5-bis, comma 1, seconda parte, prevede, inoltre, che “Con le medesime modalità”, ovvero “esclusivamente utilizzando le tecnologie dell’informazione e della comunicazione”, “le amministrazioni pubbliche”, tra cui appunto gli enti locali, “adottano e comunicano atti e provvedimenti amministrativi nei confronti delle imprese”. Al riguardo va precisato che il D.L. n. 185 del 2008, art. 16, comma 6, convertito con modificazioni dalla L. n. 2 del 2009, ha previsto l’obbligo, per le imprese costituite in forma societaria, di dotarsi di un indirizzo di PEC. 3.2. L’art. 6 del CAD, nella versione anteriore alla modifica apportata dal D.Lgs. n. 217 del 2017 (con efficacia dal 28/01/2018), prevedeva che “Fino alla piena attuazione delle disposizioni di cui all’art. 3-bis, per le comunicazioni di cui all’art. 48, comma 1”, ovvero quelle telematiche, “con i soggetti che hanno preventivamente dichiarato il proprio indirizzo ai sensi della vigente normativa tecnica, le pubbliche amministrazioni utilizzano la posta elettronica certificata”.

3.3. Il comma 2 dell’art. 48 CAD prevede poi espressamente che “La trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata ai sensi del comma 1, equivale, salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta”.

4. Successivamente, il D.Lgs. n. 217 del 2017, art. 7 ha apportato modifiche al D.Lgs. n. 82 del 2005 (CAD) tra cui, per quanto qui di interesse, agli artt. 2 e 6.

4.1. L’art. 2, nel cui comma 2 l’indicazione dei soggetti cui si applicano le disposizioni del CAD sono ora suddivise in lettere, è rimasto invariato quanto alla previsione di applicazione del CAD “alle pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2”, tra cui si è detto (precedente par. 3) essere ricompresi anche gli enti locali.

4.2. L’art. 6 del CAD (D.Lgs. n. 82 del 2005), all’art. 1-quater, introdotto dalla legge di modifica del 2017, prevede che “I soggetti di cui all’art. 2, comma 2, notificano direttamente presso i domicili digitali di cui all’art. 3-bis i propri atti, compresi i verbali relativi alle sanzioni amministrative, gli atti impositivi di accertamento e di riscossione e le ingiunzioni di cui al R.D. 14 aprile 1910, n. 639, art. 2 fatte salve le specifiche disposizioni in ambito tributario. La conformità della copia informatica del documento notificato all’originale è attestata dal responsabile del procedimento in conformità a quanto disposto agli artt. 22 e 23-bis”.

4.3. La disposizione da ultimo citata non si riferisce soltanto agli enti locali ma a tutte le amministrazioni pubbliche indicate nell’art. 2, comma 2, prevedendo per queste una generale facoltà di notifica a mezzo PEC degli atti emessi dalle singole amministrazioni pubbliche, con salvezza di eventuali disposizioni speciali che impongano forme diverse.

5. Pertanto, anche ove si volesse ritenere che agli enti locali solo a decorrere dal 27 gennaio 2018, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 217 del 2017, è stata attribuita la facoltà di avvalersi della posta elettronica certificata per la notifica degli atti impositivi, la notifica degli atti impositivi effettuata in data anteriore non può ritenersi affetta da inesistenza ma, al più, da nullità sanabile.

6. A tale soluzione è, peraltro, pervenuta questa Corte con riferimento agli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle entrate in formato elettronico, e sottoscritti con firma digitale, nel periodo di vigenza del D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 2, comma 6 (cd CAD – Codice dell’Amministrazione digitale), come modificato dal D.Lgs. n. 179 del 2016, art. 2, comma 1, lett. c), entrato in vigore a decorrere dal 14 settembre 2016, sino alle ulteriori modifiche apportate allo stesso art. 2, comma 6, con l’aggiunta altresì del comma 6-bis, ad opera del D.Lgs. n. 217 del 2017, art. 2, lett. d) ed e), entrato in vigore dal 27 gennaio 2018.

7. Interpretando il citato art. 2, comma 6, prima parte, CAD (D.Lgs. n. 82 del 2005), nel testo vigente in detto arco temporale (secondo cui “Le disposizioni del presente Codice non si applicano limitatamente all’esercizio delle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale, di ordine e sicurezza pubblica, difesa e sicurezza nazionale, polizia giudiziaria e polizia economico-finanziaria e consultazioni elettorali”), questa Corte (cfr. da ultimo Cass. n. 32692 del 2021; v. anche Cass. n. 13137 del 2022), sulla premessa “che la normativa in tema di digitalizzazione della pubblica amministrazione, anche in conseguenza degli obblighi di adeguamento al Regolamento comunitario noto con l’acronimo e-IDAS, entrato in vigore direttamente in tutti gli Stati Membri UE, senza necessità di atti di recepimento,/2 il 17 settembre 2014, e divenuto applicabile a decorrere dal 1 luglio 2016, impone ormai come regola generale l’adozione dei documenti informatici, residuando ad eccezione il mantenimento dei documenti analogici” e che, “Ai sensi dell’art. 40 CAD, le pubbliche amministrazioni formano gli originali dei propri documenti con mezzi informatici secondo le regole tecniche fissate dal D.P.C.M. 13 novembre 2014”, ha rilevato che “la regola generale è divenuta il ricorso ai documenti informatici”, esclusa soltanto per “gli atti emessi “nell’esercizio” delle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale, a cui sono certamente riconducibili gli atti adottati in occasione di indagini e verifiche ispettive propedeutiche all’esercizio del potere di accertamento e di irrogazione di sanzioni” ma non per gli atti impositivi ovvero, quelli “eventualmente emessi “all’esito” delle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale”.- 8. Ad analoga conclusione, stante a quanto sopra detto circa l’inclusione degli enti locali tra le amministrazioni pubbliche di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, cui si applicano le disposizioni del Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 2, comma 2), deve pervenirsi per gli atti impositivi notificati dagli enti locali antecedentemente all’introduzione, a decorrere dal 27 gennaio 2018, dell’art. 6, comma 1-quater CAD. 9. Pare opportuno ricordare al riguardo che secondo la giurisprudenza di questa Corte “L’irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna dell’atto ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale. (Nella specie la S.C. ha escluso che la notifica a mezzo PEC attuata prima del 15 maggio 2014, giorno di entrata in vigore delle norme tecniche di cui al D.M. n. 44 del 2011, art. 18 che secondo i ricorrenti rendevano attuabile la notificazione a mezzo PEC, fosse inesistente, riscontrandone la nullità e il successivo raggiungimento dello scopo)” (Cass. n. 20625 del 2017; v. anche Cass. n. 12217 del 2022).

10. Pertanto, anche ove si volesse accedere alla tesi dell’irregolarità della notifica, la stessa sarebbe affetta da nullità e non certo dalla più grave forma di invalidità indicata dalla ricorrente.

11. Nullità che nella specie sarebbe indubbiamente sanata dalla regolare e tempestiva notifica dell’atto impositivo, ex art. 156 c.p.c. (cfr. Cass. n. 11043 del 2018 e n. 21071 del 2018).

12. Sanatoria che copre anche gli ulteriori vizi dedotti dalla ricorrente, quanto a formato e sottoscrizione dell’atto trasmesso a mezzo PEC. 13. Al riguardo pare opportuno precisare che il D.P.R. n. 68 del 2005, art. 1, lett. f), definisce il messaggio di posta elettronica certificata, come “un documento informatico composto dal testo del messaggio, dai dati di certificazione e dagli eventuali documenti informatici allegati”. La lett. i-ter), dell’art. 1 del CAD – inserita dal D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, art. 1, comma 1, lett. c), -, poi, definisce “copia per immagine su supporto informatico di documento analogico” come “il documento informatico avente contenuto e forma identici a quelli del documento analogico”, mentre la lett. lett. i-quinquies), dell’art. 1 del medesimo CAD inserita dal D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, art. 1, comma 1, lett. c), -, nel definire il “duplicato informatico” parla di “documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario”. Dunque, alla luce della disciplina surriferita, la notifica della cartella di pagamento (può avvenire, indifferentemente, sia allegando al messaggio PEC: un documento informatico, che sia duplicato informatico dell’atto originario (il c.d. “atto nativo digitale”), sia mediante una copia per immagini su supporto informatico di documento in originale cartaceo (la c.d. “copia informatica”)”. Nel caso esaminato dalla Corte nell’ordinanza n. 30948 del 2019 in tema di notifica a mezzo PEC di una cartella di pagamento, il concessionario della riscossione aveva “provveduto a inserire nel messaggio di posta elettronica certificata un documento informatico in formato PDF (portable document format) – cioè il noto formato di file usato per creare e trasmettere documenti, attraverso un software comunemente diffuso tra gli utenti telematici realizzato in precedenza mediante la copia per immagini di una cartella di pagamento composta in origine su carta”. La Corte, sulla base della predetta normativa ha escluso la denunciata illegittimità della notifica della cartella di pagamento eseguita a mezzo posta elettronica certificata, “per la decisiva ragione che era nella sicura facoltà del notificante allegare, al messaggio trasmesso alla contribuente via PEC, un documento informatico realizzato in forma di copia per immagini di un documento in origine analogico”.

13.1. Non è quindi necessaria alcuna attestazione di conformità del documento informatico a quello analogico.

13.2. Al riguardo deve poi osservarsi che nel caso di specie la società contribuente non ha neppure dedotto nè provato di avere disconosciuto la conformità del documento notificatole a quello originale.

14. Conclusivamente, quindi, il primo motivo di ricorso è infondato e va rigettato.

15. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 162, della L. n. 212 del 2000, art. 7 e della L. n. 241 del 1990, art. 3 sostenendo che aveva errato la CTR a ritenere “la doglianza inerente i valori dell’immobile” avanzata dalla società contribuente “generica e priva di prova” e quindi “congruamente motivato” l’atto impositivo.

15.1. Sostiene al riguardo la società ricorrente che il Comune aveva attribuito agli immobili “valori di stima del tutto arbitrari, senza alcuna esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a supporto di ciò”, con conseguente difetto di motivazione dell’atto impositivo, e che la pretesa impositiva era “illegittima ed infondata anche perchè afferente a c.d. beni merce”, come tali non assoggettabili ad IMU. 16. Il motivo è manifestamente inammissibile sia per genericità della censura con cui la ricorrente lamenta l’arbitrarietà dei valori di stima degli immobili adottati dall’ente impositore, che si sarebbe tradotto, a suo dire, in un difetto di motivazione dell’atto impositivo, sia perchè omette di censurare l’accertamento in fatto compiuto dal giudice di merito che ha rilevato che “la doglianza inerente ai valori dell’immobile (…) è del tutto generica e priva di prova”. Inoltre il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza per non avere la ricorrente riprodotto, neppure per estratto, il contenuto dell’avviso di accertamento e per novità della questione dedotta con riferimento alla natura di beni-merce degli immobili assoggettati ad IMU. Non emergendo tale ultima questione dalla sentenza impugnata, era onere di parte ricorrente, nella specie non adempiuto, indicare specificamente il luogo in cui la relativa questione era stata dedotta nei giudizi di merito.

17. Al riguardo va ricordato che il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione (tra le altre: Cass., Sez. 5″, 15 luglio 2015, n. 14784; Cass., Sez. 6″-1, 27 luglio 2017, n. 18679; Cass., Sez. 5, 30 dicembre 2019, n. 34593; Cass., Sez. 6-5, 15 dicembre 2020, n. 28537; Cass., Sez. 5, 21 luglio 2021, n. 20974; Cass., Sez. 5, 28 settembre 2021, n. 26220).

18. E’ ben vero che “Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito” (Cass., Sez. U, n. 8950 del 2022), ma resta il fatto che la ricorrente era comunque tenuta ad indicare in maniera specifica il luogo in cui aveva posto la questione, non potendo limitarsi ad effettuare, come in concreto ha fatto, un generico riferimento agli atti processuali (ricorso di primo grado e d’appello) demandando alla Corte il compito di individuare esattamente nel corpo degli atti processuali la domanda che si assume essere stata pretermessa dal giudice di merito, con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le funzioni del giudice di legittimità.

19. In estrema sintesi, il ricorso va rigettato senza necessità di provvedere sulle spese processuali in mancanza di costituzione in giudizio dell’ente intimato.

P.Q.M.
rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore, importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 5 luglio 2022.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2022