Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., (data ud. 25/05/2022) 01/09/2022, n. 25848

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20180/2015 proposto da:

COMUNE (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA CIRCONVALLAZIONE CLODIA 29, presso lo studio dell’avvocato PAOLA COCCOLI, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO GIORGINO;

ricorrente contro

C.D., elettivamente domiciliato in ROMA VIA CARLO POMA 2, presso lo studio dell’avvocato SANTE ASSENNATO, rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI RENNA;

avverso la sentenza n. 855/2015 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 12/05/2015 R.G.N. 1125/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/05/2022 dal Consigliere Dott. CARLA PONTERIO.

Svolgimento del processo
1. La Corte d’Appello di Lecce ha accolto l’appello di C.D. e, in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato il COMUNE (OMISSIS) al pagamento delle differenze stipendiali tra il trattamento spettante al lavoratore in base alla categoria C, posizione 1, e quello relativo alla categoria B formalmente rivestita, di cui al c.c.n.l. enti locali, per il periodo ottobre 2003 – dicembre 2008, oltre interessi legali.

2. Avverso tale sentenza il COMUNE (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. C.D. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione
3. Con il primo motivo del ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 387 del 1998 art. 15 e del D.Lgs. 165 del 2001 art.52 nonchè dei contratti collettivi di lavoro.

4. Si sostiene, richiamando la giurisprudenza amministrativa, che il trattamento economico per lo svolgimento di mansioni superiori è subordinato alle seguenti condizioni giuridiche e di fatto: le mansioni devono essere svolte su un posto esistente in pianta organica vacante e disponibile; non deve essere stato bandito alcun concorso per tale posto; l’incarico deve essere stato conferito con atto deliberativo dell’organo competente con la verifica dei presupposti e l’assunzione delle responsabilità. Tali requisiti difetterebbero nel caso in esame poichè non esisteva nella pianta organica dell’ente comunale un posto con qualifiche e mansioni come quelle rivendicate dal C.; nessun concorso era stato bandito per tale posto; non esisteva alcun atto deliberativo, collettivo o dirigenziale, conferente al lavoratore le mansioni superiori.

5. Si assume che la sentenza d’appello sia stata resa in violazione del contratto collettivo di categoria enti locali, che ha previsto un nuovo sistema di classificazione del personale fondato sull’accorpamento delle precedenti qualifiche prima applicazione l’inquadramento nell’area è effettuato in base all’ex qualifica di appartenenza, secondo la corrispondenza indicata nel contratto; che la adibizione dei dipendenti appartenenti a fasce diverse a mansioni ricomprese nella medesima area professionale non comporta il diritto alla retribuzione corrispondente alle superiori mansioni; che il C. ha svolto mansioni rientranti sempre nello stesso livello economico di appartenenza; che non ha svolto mansioni superiori di competenza dei funzionari comunali inquadrati in un superiore livello poichè non è mai esistita nella pianta organica del comune un posto con qualifica e livello come quelli rivendicati dal predetto.

6. Con il secondo motivo di ricorso è dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione.

7. Si osserva che la Corte d’appello ha fondato il proprio convincimento solo sui dati documentali, omettendo di esaminare le deposizioni testimoniali rese dal dottor P. e dalla dottoressa F. (di cui ai verbali di udienza del 17.1.11 e del 14.11.11 del giudizio di primo grado) che avrebbero potuto determinare un esito diverso della controversia.

8. Deve preliminarmente rilevarsi come la parte controricorrente non abbia fornito prova della notifica del controricorso. E’ stata unicamente depositata la ricevuta di spedizione della raccomandata, peraltro con data non leggibile, ma nessuna prova della ricezione da parte del destinatario. Non si procede quindi all’esame delle eccezioni sollevate nel controricorso.

9. Il primo motivo di ricorso non può trovate accoglimento.

10. La Corte d’appello, all’esito di un rigoroso accertamento fattuale, ha riconosciuto lo svolgimento da parte del C., negli anni in contestazione, di mansioni corrispondenti al superiore inquadramento ed il conseguente diritto del medesimo alle differenze retributive.

11. La sentenza impugnata si è attenuta all’orientamento consolidato di questa S.C. secondo cui, in materia di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscersi nella misura indicata nel D.Lgs. n. 165 del 2001 art. 52, comma 5, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, nè all’operatività del nuovo sistema di classificazione del personale introdotto dalla contrattazione collettiva, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 Cost. (v. Cass. n. 2102 del 2019; Cass. n. 18808 del 2013). Si è ulteriormente precisato che, in tema di impiego pubblico contrattualizzato, il diritto a percepire la retribuzione commisurata allo svolgimento, di fatto, di mansioni proprie di una qualifica superiore a quella di inquadramento formale, ex art. 52, comma 5, del D.Lgs. n. 165 del 2001, non è condizionato alla legittimità, nè all’esistenza di un provvedimento del superiore gerarchico, e trova un unico limite nei casi in cui l’espletamento sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente, oppure quando sia il frutto di una fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente, o in ogni ipotesi in cui si riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali o generali o con principi basilari pubblicistici dell’ordinamento (v. Cass. n. 24266 del 2016).

12. Il motivo di ricorso in esame non solo ignora i principi di diritto enunciati da questa Corte nella materia del pubblico impiego contrattualizzato e richiama una non pertinente giurisprudenza del Consiglio di Stato, ma non si confronta in alcun modo con l’accertamento in fatto compiuto dai giudici di appello sul contenuto delle mansioni svolte dal lavoratore nel periodo oggetto di causa, e risulta pertanto inammissibile.

13. Parimenti inammissibile è il secondo motivo di ricorso perchè attiene non all’omesso esame di un fatto intenso in senso storico fenomenico e decisivo, cioè idoneo a incidere sull’esito della controversia, bensì alla valutazione di elementi istruttori (nello specifico, le prove testimoniali) e si colloca pertanto all’esterno del perimetro di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, come delineato dalle S.U. di questa Corte con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014.

14. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

15. Non si provvede sulle spese in difetto di prova della notifica del controricorso.

16. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 25 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2022


COMUNICATO RINNOVO CCNL FUNZIONI LOCALI

Sottoscritta il 4 agosto l’ipotesi di accordo per il rinnovo del contratto dei 430.000 dipendenti delle Funzioni Locali per il triennio 2019-2021.

Il testo sottoscritto è ora sottoposto alla certificazione della Corte dei Conti e alla valutazione dei lavoratori e lavoratrici nelle assemblee. Il percorso si concluderà prevedibilmente entro il mese di settembre, consentendo agli enti di adeguare i salari ed erogare gli arretrati entro la fine dell’anno.
Riservandoci un giudizio più articolato sui risultati complessivi ottenuti dal sindacato con questo rinnovo anticipiamo alcune valutazioni sul capitolo relativo al nuovo ordinamento professionale, argomento che riveste particolare interesse tra i nostri associati e sul quale A.N.N.A. conduce da tempo una battaglia per il giusto riconoscimento del ruolo dell’agente notificatore in termini di professionalità e responsabilità.
Il nostro impegno per la valorizzazione della figura del messo comunale ha sempre caratterizzato la nostra iniziativa, fin dai primi passi compiuti dall’associazione: senza mai indulgere in posizioni corporative, abbiamo perseguito l’obiettivo del corretto inquadramento contrattuale, rivolgendo le nostre istanze ai vari livelli istituzionali e mediante un proficuo rapporto con il sindacato. Ricordiamo, per tutti, il convegno di Roma del 2008, che ha visto la qualificata presenza dei segretari nazionali di categoria di Cgil, Cisl e Uil; l’interlocuzione con il sindacato non è mai venuta meno e si è intensificata nell’occasione dell’ultimo rinnovo contrattuale, allorchè abbiamo rinnovato le nostre richieste per la categoria trovando ascolto e interesse anche se, a volte, con dei distinguo.
Sinceramente ci aspettavamo decisioni più incisive. Registriamo, però, alcune novità di rilievo: il nuovo ordinamento introduce un sistema di classificazione basato non più sulle Categorie A, B, C e D, ma su Aree Professionali (Area degli Operatori, Area degli Operatori Esperti, Area degli Istruttori, Area dei Funzionari e delle Elevate Qualificazioni), con nuove possibilità di progressione orizzontale con il sistema dei differenziali economici, per un numero massimo stabilito nella Tabella A e di progressione verticale tra aree. Nell’area che interessa in particolare la nostra categoria, oggi collocata prevalentemente in Cat. B, in fase di prima applicazione, e cioè fino al 31/12/2025, la progressione verticale può aver luogo con procedure valutative, superando lo sbarramento rigido del possesso del titolo di studio, che rappresentava, per diversi Messi Comunali, un ostacolo insormontabile per gli sviluppi di carriera verso la Cat. C. Tali progressioni, inoltre, sono specificamente finanziate con risorse aggiuntive fino allo 0,55% del monte salari del 2018.
Il personale in servizio sarà inquadrato secondo la Tabella B di trasposizione dal 5° mese successivo alla sottoscrizione del nuovo contratto; all’interno dell’Area, come già accennato, al dipendente possono essere attribuiti uno o più differenziali stipendiali, con procedura selettiva attivabile annualmente in relazione alle risorse disponibili nel Fondo Risorse Decentrate. Ciò consentirà di remunerare il maggior grado di professionalità acquisito, in aggiunta alla retribuzione maturata nella posizione economica già conseguita, anche ai dipendenti che avevano raggiunto le posizioni economiche più elevate (es. i B7).
È inoltre prevista la progressione (verticale) tra aree, da attuarsi con procedura comparativa basata su valutazione, assenza di provvedimenti disciplinari, possesso di titoli o competenze professionali, incarichi rivestiti, così come disciplinato dagli enti.
Spetta infatti agli enti, in relazione al proprio modello organizzativo, identificare i profili professionali e collocarli nella corrispondente area. Le declaratorie di cui all’All. A indicano l’insieme dei requisiti indispensabili per l’inquadramento in ciascuna di esse; i profili professionali descrivono il contenuto professionale delle attribuzioni proprie dell’area. Saranno quindi gli enti a identificare i singoli profili professionali, come ad esempio il messo, collocandoli nelle rispettive aree nel rispetto delle declaratorie (art. 12 c. 6). Dalla data di entrata in vigore del nuovo ordinamento è disapplicato l’All. A del ccnl 31/03/1999, le cui declaratorie collocavano in modo alquanto rigido il messo in Cat. B (già IV q.f.). Viene meno, pertanto, l’ostacolo che impediva agli enti di inquadrare il messo in una categoria superiore e viene demandato alla scelta responsabile degli Enti la corretta definizione del profilo del messo che dovrebbe, a nostro avviso, fare riferimento alle caratteristiche dei profili dell’Area degli Istruttori. L’accesso a questa area è possibile per chi:

  • sia in possesso del diploma della scuola secondaria di 2° grado e almeno 5 anni di esperienza maturata nell’area di provenienza,

oppure

  • abbia assolto l’obbligo scolastico e abbia maturato almeno 8 anni nell’area degli operatori esperti.

Resta in vigore il sistema delle indennità quali l’indennità condizioni di lavoro (art. 70 bis), l’indennità per specifiche responsabilità (art. 84) fino ad un importo massimo di € 3.000,00 annui.

L’individuazione dei profili professionali e la loro collocazione in una determinata area compete, come sopra accennato, alle amministrazioni, ma sarà necessariamente oggetto di confronto con la RSU, come previsto nell’art. 5.
Si aprono dunque nuove possibilità di far valere le giuste istanze della categoria, riguardo ad un inquadramento più consono all’evoluzione del ruolo e della figura del messo comunale/notificatore che, realisticamente, dovrebbe rientrare nella declaratoria dell’Area degli Istruttori per come descritta nell’All. A che sotto trascriviamo:
“Appartengono a quest’area i lavoratori strutturalmente inseriti nei processi amministrativi-contabili e tecnici e nei sistemi di erogazione dei servizi e che ne svolgono fasi di processo e/o processi, nell’ambito di direttive di massima e di procedure predeterminate, anche attraverso la gestione di strumentazioni tecnologiche. Tale personale è chiamato a valutare nel merito i casi concreti e ad interpretare le istruzioni operative. Risponde, inoltre, dei risultati nel proprio contesto di lavoro.
Specifiche professionali:

  • Conoscenze tecniche esaurienti;
  • Capacità pratiche necessarie a risolvere problemi di media complessità, in un ambito specializzato di lavoro;
         Responsabilità di procedimento o infraprocedimentale, con eventuale responsabilità di coordinare il lavoro dei colleghi”.

Si aprirà quindi, dopo la sottoscrizione definitiva, una stagione non facile di contrattazione decentrata. Da parte nostra, come Associazione, seguiremo con attenzione l’andamento del confronto tra le parti, con l’obiettivo di monitorare l’applicazione delle norme e per raggiungere l’obiettivo abbiamo ed avremo bisogno della massima partecipazione e del sostegno dei nostri iscritti che rappresentano la nostra forza.

L’auspicio è che si raggiunga uniformità di trattamento sui territori e che l’inquadramento possa essere il più vantaggioso possibile per i messi, nel rispetto dei diritti dei lavoratori nostri associati.

Leggi: Comunicato A.N.N.A. sulla preintesa 2022

Leggi: Ipotesi CCNL Funzioni locali 2019 2021


Sempre ok la notifica postale dell’accertamento Impoesattivo

Via libera da parte della Corte Suprema di Cassazione all’amministrazione finanziaria, al recapito, anche per questo tipo di atti, tramite raccomanda con avviso di ricevimento L’articolo 29 del Dl n. 78/2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122/2010, seppure abbia previsto che l’avviso di accertamento rechi anche l’intimazione ad adempiere agli obblighi di pagamento contenuti nell’atto, non ha invece introdotto deroghe all’ordinaria disciplina in tema di notificazione postale degli avvisi di recupero tributario che, di conseguenza, possono legittimamente essere notificati dall’ufficio anche in via diretta a mezzo del servizio postale.
Così si è espressa la Corte Suprema di Cassazione con la sentenza n. 23435 del 27 luglio 2022, che ha confermato un principio sempre più consolidato presso il Giudice di legittimità.
Un contribuente impugnava dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale l’atto “impoesattivo” con il quale erano stati accertati a suo carico maggiori redditi d’impresa.
Il verdetto di prime cure, sfavorevole all’interessato, veniva confermato dal Collegio regionale della Sicilia con sentenza n. 2630/08/2021 del 10 febbraio 2021 veniva ribadita la regolarità della notifica dell’atto impositivo, contestata dal contribuente in quanto effettuata dall’ufficio in via diretta a mezzo del servizio postale.
Ricorrendo in sede di legittimità, la parte privata riproponeva la doglianza relativa all’asserito vizio della notificazione, deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 14 della legge n. 890/1982 e 60 del Dpr n. 600/1973, nonché degli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile.
In breve, secondo il ricorrente, la notifica dell’atto tributario doveva ritenersi giuridicamente inesistente perché effettuata da un soggetto non autorizzato dall’ufficio, ovvero tramite un agente postale e non da un messo notificatore speciale.
La Corte Suprema di Cassazione ha respinto il ricorso, affermando la piena legittimità dell’iter notificatorio utilizzato dall’ufficio e precisando che l’articolo 29, comma 1, lettera a), del Dl n. 78/2010 “nulla ha innovato riguardo alla notifica dell’atto impositivo, limitandosi a prevedere, in considerazione della necessità di operare la «concentrazione della riscossione nell’accertamento», che l’avviso di accertamento rechi anche l’intimazione ad adempiere agli obblighi di pagamento contenuti nell’atto c.d. impoesattivo”.
In particolare, si legge nella pronuncia in commento, nessuna modifica è stata apportata all’articolo 14 della legge n. 890/1982 “che continua a prevedere «la notificazione degli avvisi […] che per legge devono essere notificati al contribuente», «a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari», senza alcuna distinzione tra i vari tipi di atti, impositivi o impoesattivi”.
La notificazione – vale a dire il procedimento, le cui forme e modalità sono prestabilite dalla legge, che si sostanzia in una serie di attività finalizzate a determinare la “conoscenza legale” di un atto in capo ad un soggetto specificamente individuato – è prevista da una pluralità di norme con riguardo a tutti gli atti attraverso i quali l’amministrazione finanziaria esplica la potestà impositiva nei confronti del contribuente.
La disposizione generale di riferimento in materia è costituita dall’articolo 60 del Dpr n. 600/1973, il quale al primo comma prevede che la notificazione è eseguita “secondo le norme stabilite dagli artt. 137 e seguenti del codice di procedura civile…”, con alcune modifiche ivi espressamente disciplinate.
Detto articolo 60 concerne essenzialmente le notificazioni eseguite in via “personale”, vale a dire quelle effettuate tramite un ufficiale notificatore, categoria che in ambito tributario ricomprende anche i messi comunali e i messi speciali autorizzati dell’ufficio finanziario (articolo 60, primo comma, lettera a), del Dpr n. 600/1973), nonché le notificazioni a mezzo posta elettronica certificata (settimo comma della norma in questione).
In materia tributaria, peraltro, in virtù di quanto previsto dall’articolo 14, primo comma, della legge n. 890/1982, la notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente può avvenire anche a mezzo del servizio postale, con l’impiego di plico sigillato, e “può eseguirsi a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari, nonché, ove ciò risulti impossibile, a cura degli ufficiali giudiziari, dei messi comunali ovvero dei messi speciali autorizzati dall’Amministrazione finanziaria, secondo le modalità previste dalla presente legge”.
Al riguardo, la Corte Suprema di Cassazione ha precisato che l’articolo 14 della legge n. 890 “consente in via generale la notifica diretta degli atti dell’Amm.ne Finanziaria mediante ricorso diretto, cioè senza l’intervento di ufficiali giudiziari o messi notificatori, al servizio postale” (Cassazione, n. 21797/2020) e che la facoltà di utilizzo di tale modalità di notificazione è operativa dal 15 maggio 1998, data di entrata in vigore dell’articolo 20 della legge n. 146/1998, che ha modificato in tali termini il ridetto articolo 14 (Cassazione, nn. 2365/2022, 35640/2021 e 14745/2021).
Tanto precisato, va ricordato che, relativamente agli accertamenti “esecutivi” o “impoesattivi” di cui all’articolo 29 del Dl n. 78/2010, era stata sostenuta la tesi secondo cui gli stessi dovessero essere portati a conoscenza dell’interessato esclusivamente attraverso le modalità di notificazione “personale”, vale a dire attraverso un pubblico ufficiale notificatore quale il messo comunale o il messo speciale autorizzato dell’ufficio.
Intervenendo sulla problematica, peraltro, la Corte Suprema di Cassazione (sentenza n. 16679/2016) aveva smentito questa ricostruzione, riconoscendo invece la possibilità per l’ufficio di procedere anche mediante utilizzo diretto del servizio postale.
Sulla stessa linea interpretativa è successivamente intervenuta Corte Suprema di Cassazione con la sentenza n. 38010/2021, ove si legge in particolare che “non può ritenersi che tale disposizione legislativa (il ridetto articolo 29 del Dl n. 78/2010) abbia un qualsiasi effetto abrogante dell’art. 14, legge 890/1982, che appunto prevede, senza alcuna distinzione tra gli atti ivi indicati, la facoltà degli Enti impositori di procedere alla notificazione a mezzo posta senza intermediazione alcuna, se non appunto quella dell’agente postale”.
L’ordinanza in esame ribadisce, dunque, una regola che appare consolidata sottolineando che anche laddove l’articolo 29 richiamato letteralmente prevede che la notificazione a mezzo posta è consentita per gli atti “successivi” all’avviso di accertamento, tale disposizione non si pone su un piano di incompatibilità logica o di implicita contraddizione con la più generale previsione di cui all’articolo 14 della legge n. 890/1982, ma, piuttosto, “rende evidente l’intento del Legislatore di specificare che anche per queste nuove tipologie di atti, ovvero i c.d. “atti successivi” … è attribuita all’amministrazione fiscale la facoltà di procedere alla loro notificazione mediante l’utilizzo della più snella modalità costituita dall’invio diretto a mezzo raccomandata postale con avviso di ricevimento”.


Sanzioni amministrative tributarie non trasmissibili agli eredi

L’obbligazione al pagamento delle sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie non si trasmette agli eredi. È quanto sancito dall’art. 8 del D. Lgs. n. 472/1997 segnato “Intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi”.
Lo ha rammentato la Corte di cassazione con sentenza n. 25315 del 24 agosto 2022.
Violazione di norme tributarie: intrasmissibilità delle sanzioni
Difatti, diversamente dalle sanzioni civili, che si sostanziano in sanzioni aggiuntive, destinate a risarcire il danno ed a rafforzare l’obbligazione con funzione di deterrente per scoraggiare l’inadempimento, le sanzioni amministrative e quelle tributarie hanno un carattere afflittivo ed una destinazione di carattere generale e non settoriale.
Rientra, quindi, nella discrezionalità del legislatore stabilire, nei limiti della ragionevolezza, quando la violazione debba essere colpita da un tipo di sanzione piuttosto che da un altro.
A questa scelta si ricollega anche il regime applicabile per quanto riguarda la trasmissibilità agli eredi, prevista solo per le sanzioni civili, quale principio generale in materia di obbligazioni, e non per le altre, per le quali opera il diverso principio dell’intrasmissibilità, quale corollario del carattere personale della responsabilità.
La Corte Suprema di Cassazione ha accolto il motivo di doglianza con cui gli eredi di una contribuente avevano lamentano l’error in iudicando in cui era incorsa la CTR nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non aveva motivato sull’invocata questione dell’intrasmissibilità delle sanzioni tributarie.
Nella specie, costituiva dato pacifico in causa il fatto che la controversia promossa dalla contribuente in opposizione di una cartella esattoriale era stata proseguita dai figli, quali eredi della medesima.
Alla luce, quindi, di quanto disposto dall’art. 8 del D. Lgs. n. 472/1997, l’obbligazione al pagamento delle sanzioni per violazioni tributarie non spettava loro, non essendosi trasmessa in via di successione.
Ne discendeva, quanto alle sanzioni, l’annullamento della cartella di pagamento impugnata.


Compiuta giacenza: quando la notifica è nulla

Nonostante siano trascorsi 10 giorni senza che l’atto sia stato ritirato, la notifica non si perfeziona se non sono eseguiti gli adempimenti di cui all’art. 140
La compiuta giacenza di un atto giudiziario non consegnato al destinatario per assenza dello stesso o per rifiuto a riceverlo comporta il perfezionamento della relativa notifica una volta che siano decorsi dieci giorni senza che l’atto stesso sia stato ritirato dal soggetto interessato.
È tuttavia necessario che nel procedimento notificatorio non siano state omesse le formalità richieste dall’articolo 140 del codice di procedura civile.
Tale norma, in particolare, prevede che nel caso in cui non sia possibile eseguire la consegna dell’atto da notificare in quanto le persone individuate dal precedente articolo 139 c.p.c. sono irreperibili o incapaci o rifiutino di ritirarla, l’ufficiale giudiziario deve in primo luogo depositare la copia dell’atto nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi.
Egli, poi, deve affiggere un avviso di deposito sulla porta dell’abitazione, dell’ufficio o dell’azienda del destinatario dell’atto. In tale avviso devono necessariamente essere indicati il nome della persona che ha chiesto la notificazione, il nome del destinatario, la natura dell’atto, il giudice che ha pronunciato il provvedimento, la data o il termine di comparizione e la data e la firma dell’ufficiale giudiziario.
L’ultima incombenza alla quale è tenuto l’ufficiale giudiziario è quella di dare notizia del deposito al destinatario mediante raccomandata con avviso di ricevimento.
Nel caso in cui una di tali formalità manchino, la notifica, nonostante la compiuta giacenza, si considera nulla.
Peraltro, l’ufficiale giudiziario che esegue il deposito deve stare particolarmente attento: se esso avviene presso l’ufficio di una frazione del comune, considerato impropriamente come casa comunale, vi è comunque nullità della notifica (Cass. n. 1321/1993).
Sempre in materia di nullità è inoltre interessante sottolineare che la Corte Suprema di cassazione con la sentenza numero 7809/2010 ha sancito che, a seguito della sentenza numero 3/2010 della Corte costituzionale con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 140 c.p.c. laddove prevedeva che la notifica si perfezionasse per il destinatario con la spedizione della raccomandata informativa e non con il ricevimento della stessa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione, è oggi necessario che il notificante comprovi tale ulteriore circostanza. In caso contrario la notificazione deve ritenersi nulla.
Ancor più interessante la sentenza numero 24416/2006 della Corte Suprema di Cassazione che si è occupata di un particolare caso di nullità della notifica. In essa si è infatti chiarito che “qualora sussistano i requisiti richiesti dalla legge, ai sensi degli art. 44 c.c. e 31 att. c.c., per opporre il trasferimento di residenza ai terzi di buona fede, ovvero la doppia dichiarazione fatta al comune che si abbandona e a quello di nuova residenza, con consequenziale cancellazione dall’anagrafe del comune di provenienza e iscrizione nell’anagrafe del comune di nuova residenza, aventi la stessa decorrenza, la notifica effettuata ex art. 140 c.p.c., in cui il piego relativo alla raccomandata ed attestante l’avvenuto compimento delle formalità previste dalla legge sia stato restituito al mittente per compiuta giacenza, è nulla, in quanto la notifica ex art. 140 c.p.c. non esclude ma al contrario postula che sia stato esattamente individuato il luogo di residenza, domicilio o dimora del destinatario, e che la copia non sia stata consegnata per mere difficoltà di ordine materiale, quali la momentanea assenza, l’incapacità o il rifiuto delle persone indicate dall’art. 139 c.p.c. di ricevere l’atto”.


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 24/06/2022) 24/08/2022, n. 25315

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. DE ROSA Maria Luisa – rel. Consigliere –

Dott. LENOCI Valentino – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

Dott. CORTESI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 12189/14 R.G. proposto da:

P.A., e P.B., nella qualità di eredi della sig.ra C.L. in P., elettivamente domiciliati in Roma Via Nizza n. 59, presso lo studio dell’avvocato Giorgio Pierantoni che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore;

– intimata –

e contro

EQUITALIA SUD S.P.A, elettivamente domiciliata in Roma Via Fulcieri Paulucci Dè Calboli n. 60, presso lo studio dell’avvocato Sebastiano Di Betta, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 396/29/13 depositata in data 10 dicembre 2013:

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 24 giugno 2022, D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, ex art. 23, comma 8 bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, dal consigliere Maria Luisa De Rosa;

Dato atto che il Sostituto Procuratore Generale ha concluso chiedendo l’accoglimento del quinto motivo di ricorso ed il rigetto, nel resto;

Dato atto che non sono state presentate memorie.

Svolgimento del processo
1. In data 28/04/2010 veniva notificata a C.L. la cartella di pagamento n. (OMISSIS) emessa da Equitalia Gerit s.p.a. per un importo di Euro 8.142,57 per presunti plurimi omessi o ritardati versamenti IRPEF, per il periodo d’imposta 2006.

2. Avverso tale cartella la contribuente proponeva ricorso per vizi afferenti alla notifica e la legittimità della pretesa; nel giudizio così instaurato, si costituiva l’Agenzia delle Entrate che instava per il rigetto del ricorso.

3. La C.t.p. di Roma accoglieva il ricorso per illegittimità della pretesa e nullità della cartella per intervenuto pagamento per essere stata fornita la prova della corresponsione di quanto preteso. Va rilevato che, in data antecedente al deposito della sentenza di primo grado, ossia il 10/02/2012 decedeva C.L. e assumevano qualità di eredi i figli P.A. e P.B.; tale evento veniva dichiarato da P.A. in data 10 maggio 2012 all’Agenzia delle Entrate mediante la presentazione della dichiarazione di successione.

4. Avverso la sentenza della C.t.p. di Roma, l’Agenzia delle Entrate proponeva appello e gli eredi P.A. P.B. si costituivano chiedendo il rigetto dell’appello.

5. Con sentenza n. 396/29/13, depositata il 10/12/2013, la C.t.r. del Lazio, in parziale accoglimento dell’appello, decideva la riduzione delle violazioni accertate di 1/3, comprese le sanzioni.

La sentenza della C.t.r. della Lombardia è stata impugnata da P.A. e B. sulla scorta di sei motivi.

Si è costituito in giudizio con controricorso Equitalia Sud s.p.a. (già Equitalia Gerit s.p.a.), chiedendo il rigetto del ricorso.

L’Agenzia delle Entrate è rimasta intimata non avendo notificato alcun controricorso, ma depositato solo una “nota di costituzione”.

Motivi della decisione
1.1 Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano: “Nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.

1.2 Con il secondo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., commi 2 e 6, artt. 101 291, 327 e 330 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

1.3 Con il terzo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano: “Violazione e falsa applicazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 24, e art. 149 c.p.c., e L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 12, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

1.4 Con il quarto motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano: “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, e L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

1.5 Con il quinto motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano: “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2”.

1.6 Con il sesto motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano: “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1996, n. 546, art. 53, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

2. Il primo motivo è infondato.

Con esso, i ricorrenti lamentano l’error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non si dia contezza degli importi non corrisposti dalla originaria contribuente C.L. sì da pervenire al convincimento che l’originaria pretesa erariale non era stata soddisfatta.

Come da ultimo ribadito da Cass. 3 marzo 2022, n. 7090, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno, n. 83, art. 54, conv. con modif. dalla legge. 7 agosto 2012, n. 134, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purchè il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Nel caso di specie dalla motivazione, sia pure obiettivamente scarna, si ricava l’iter decisorio seguito dalla C.t.r. nel ritenere non soddisfatta la pretesa tributaria azionata atteso che il giudice perviene a tale convincimento dopo aver constatato che i pagamenti erano stati effettuati in maniera frazionata e non nel rispetto dei termini e dei modi normativamente prescritti.

3. Anche il secondo motivo è infondato.

Con esso, i ricorrenti lamentano l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non si è riscontrata l’inammissibilità dell’appello siccome non effettuata impersonalmente e collettivamente nel luogo di ultimo domicilio del defunto ma presso gli avvocati di C.L. nonostante, in data 10/05/2012, l’Agenzia delle Entrate avesse ricevuto formalmente la conoscenza del decesso della contribuente.

In realtà, con la doglianza ivi esposta, si oblitera la fondamentale considerazione in ordine alla sanatoria conseguita dalla costituzione degli eredi della stessa (in tal senso, da ultimo Cass. 08/10/2020, n. 21742) e della regola dell’ultrattività del mandato come declinata da Cass. Sez. U. 04/07/2014, n. 15295 secondo cui “l’incidenza sul processo degli eventi previsti dall’art. 299 c.p.c., (morte o perdita della capacità della parte) è disciplinata, in ipotesi di costituzione in giudizio a mezzo difensore, dalla regola dell’ultrattività del mandato alla lite in ragione della quale, nel caso in cui l’evento non sia dichiarato o notificato nei modi e nei tempi di cui all’art. 300 c.p.c., il difensore continua a rappresentare la parte come se l’evento non si sia verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale e nelle successive fasi di quiescenza e riattivazione del rapporto a seguito della proposizione dell’impugnazione” 4. Il terzo motivo è infondato.

Con esso, i ricorrenti lamentano l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non si sia delibata l’eccezione, proposta in entrambi i gradi di giudizio, circa l’inesistenza della notifica della cartella siccome effettuata da una società privata Romana Recapiti e non da Poste Italiane s.p.a.

In proposito soccorre il principio, declinato dalle Sezioni Unite (Cass. Sez. U. 10/01/2020 n. 299) secondo cui, in tema di notificazioni di atti processuali, posto che nel quadro giuridico novellato dalla direttiva n. 2008/6/CE del Parlamento e del Consiglio del 20 febbraio 2008 è prevista la possibilità per tutti gli operatori postali di notificare atti giudiziari, a meno che lo Stato non evidenzi e dimostri la giustificazione oggettiva ostativa, è nulla e non inesistente la notificazione di atto giudiziario eseguita dall’operatore di posta privata senza relativo titolo abilitativo nel periodo intercorrente fra l’entrata in vigore della suddetta direttiva ed il regime introdotto dalla L. 4 agosto 2017, n. 124.

A seguito della direttiva n. 2008/6/CE, pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea del 27 febbraio 2008, il diritto unionale è di ostacolo al riconoscimento di diritti speciali o esclusivi a un operatore postale (in termini, Corte giust. in causa C-545/17, cit., punti 67-68); sicchè non può essere riconosciuta a un operatore una tutela particolare idonea a incidere sulla capacità delle altre imprese di esercitare l’attività economica consistente nell’instaurazione e nella fornitura di servizi postali nello stesso territorio, in circostanze sostanzialmente equivalenti. Il principio ha portata generale: “il fatto che uno Stato membro riservi un servizio postale, che questo rientri o no nel servizio universale, a uno o a più fornitori incaricati del servizio universale costituisce un modo vietato per garantire il finanziamento del servizio universale” (Corte giust. in causa C-545/17, cit., punto 53).

Ne consegue che l’art. 8 della direttiva, che non è stato novellato, va interpretato restrittivamente (con riferimento, peraltro, ai soli invii raccomandati e non già a quelli ordinari), perchè introduce una deroga al principio. In questa logica non incide la circostanza che il diritto esclusivo o speciale per l’instaurazione e la fornitura di servizi postali sia concesso a un fornitore del servizio universale nel rispetto dei canoni di obiettività, di proporzionalità, di non discriminazione e di trasparenza, altrimenti pervenendosi a circoscrivere la portata del divieto posto dall’art. 7, paragrafo 1, prima frase, della direttiva modificata e, pertanto, a compromettere la realizzazione dell’obiettivo, ivi perseguito, di completare il mercato interno dei servizi postali.

5. Anche il quarto motivo è infondato.

Con esso, i ricorrenti lamentano l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non si sia delibata l’eccezione, proposta in entrambi i gradi di giudizio, circa la nullità della cartella per mancata preventiva notifica alla contribuente di alcun invito bonario di pagamento.

Invero, costituisce principio pacifico quello secondo cui la notifica della cartella di pagamento a seguito di controllo automatizzato è legittima anche se non preceduta dalla comunicazione dell’avviso bonario D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, comma 3, nel caso in cui non vengano riscontrate irregolarità nella dichiarazione; nè il contraddittorio endoprocedimentale è invariabilmente imposto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 5, il quale lo prevede soltanto quando sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti al citato art. 36 bis, che implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo.

” In materia di riscossione, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, l’invio al contribuente della comunicazione di irregolarità, al fine di evitare la reiterazione di errori e di consentire la regolarizzazione degli aspetti formali, è dovuto solo ove dai controlli automatici emerga un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione ovvero un’imposta o una maggiore imposta e, comunque, la sua omissione determina una mera irregolarità e non preclude, una volta ricevuta la notifica della cartella, di corrispondere quanto dovuto con riduzione della sanzione, mentre tale adempimento non è prescritto in caso di omessi o tardivi versamenti, ipotesi in cui, peraltro, non spetta la riduzione delle sanzioni amministrative ai sensi del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2″, (Cass. 06/07/2016, n. 13759, conforme, Cass. 28/06/2019, n. 17479; nello stesso senso, altresì, Cass. 10/06/2015, n. 12023, con riferimento alle sanzioni).

Quindi, in tema di riscossione delle imposte, la L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, ma soltanto qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, situazione, quest’ultima, che non ricorre nel caso in cui nella dichiarazione vi sia un mero errore materiale, che è l’ipotesi tipica disciplinata dall’art. 36 bis citato, poichè in tal caso non v’è necessità di chiarire nulla e, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi, non avrebbe indicato quale presupposto di esso l’incertezza riguardante aspetti rilevanti della dichiarazione. (Cass. 27/04/2022, n. 13219).

6. E’, invece, fondato il quinto motivo.

Con esso, i ricorrenti lamentano l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non vi è motivazione sull’invocata questione dell’intrasmissibilità delle sanzioni.

Costituisce dato pacifico in causa il fatto che la controversia è stata proseguita dai predetti P.A., P.B., quali eredi della sig.ra C.L. in P.. Come noto, il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 8, (rubricato “Intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi”) prevede testualmente che “L’obbligazione al pagamento della sanzione non si trasmette agli eredi”.

Questa Corte ha chiarito, con riferimento al diverso regime successorio delle sanzioni civili rispetto a quelle amministrative, che, mentre le sanzioni civili sono sanzioni aggiuntive, destinate a risarcire il danno ed a rafforzare l’obbligazione con funzione di deterrente per scoraggiare l’inadempimento, le sanzioni amministrative (di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689) e quelle tributarie (di cui alla L. n. 472 del 1997) hanno un carattere afflittivo ed una destinazione di carattere generale e non settoriale, sicchè rientra nella discrezionalità del legislatore stabilire, nei limiti della ragionevolezza, quando la violazione debba essere colpita da un tipo di sanzione piuttosto che da un altro. A tale scelta si ricollega il regime applicabile, anche con riferimento alla trasmissibilità agli eredi, prevista solo per le sanzioni civili, quale principio generale in materia di obbligazioni, e non per le altre, per le quali opera il diverso principio dell’intrasmissibilità, quale corollario del carattere personale della responsabilità (Cass. 6/06/2008, n. 15067).

7. Il sesto motivo è inammissibile.

Con esso, i ricorrenti lamentano l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non si valuta l’eccezione sollevata di inammissibilità dell’appello per incertezza assoluta dell’oggetto dell’appello.

Invero, nel processo tributario, gli elementi di specificità dei motivi possono essere ricavati, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni.

L’inammissibilità, per difetto di specificità dei motivi, dell’atto di appello è, nel contenzioso tributario, limitata al solo caso in cui nell’appello si ometta il minimo riferimento alle statuizioni di cui è chiesta la riforma, ovvero a quello in cui il gravame non contenga alcuna parte argomentativa che, mediante la censura espressa e motivata, miri a contestare il percorso logico-giuridico della sentenza impugnata e ciò perchè, nel processo tributario, la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 preleggi, trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, tutte le volte in cui, nell’atto, sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione (Cass. 15/01/2019, n. 707).

8. In conclusione la Corte accoglie il quinto motivo di ricorso e rigetta nel resto con conseguente annullamento della cartella di pagamento impugnata quanto alle sanzioni.

La peculiarità delle questioni trattate impone la compensazione delle spese di lite, anche nei gradi di merito.

P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso e rigetta nel resto con conseguente annullamento della cartella di pagamento impugnata quanto alle sanzioni.

Compensa le spese, anche nei gradi di merito.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 24 giugno 2022.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2022


Valida la notifica della sentenza all’ente presso la sede secondaria

Processo tributario 
È rituale la notifica effettuata dal contribuente tramite servizio postale all’ufficio comunale che ha emesso l’atto impugnato anche se diverso dal domicilio eletto.
Nel processo tributario, il regime della notifica dell’atto processuale è speciale rispetto a quello del rito ordinario ed è prevista anche la cosiddetta “notificazione diretta” che può essere effettuata con due modalità: la spedizione del plico tramite raccomandata o la consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia.
In ambito tributario, è rituale la notifica della sentenza di primo grado, effettuata direttamente a mezzo posta, presso un ufficio diverso rispetto al domicilio eletto?
La questione viene rimessa alla Corte di Cassazione Sezioni Unite la quale, con la sentenza dell’11 luglio 2022 n. 21884, risponde affermativamente. Infatti, è valida la notifica della sentenza in  prima istanza effettuata direttamente dal contribuente tramite il servizio postale, all’ente locale non presso la sede principale indicata negli atti difensivi, ma presso altro ufficio comunale diversamente ubicato, che abbia emesso (o non abbia adottato) l’atto oggetto del contenzioso.
La decisione è espressione del principio di effettività della tutela giurisdizionale in virtù del quale occorre ridurre al massimo le ipotesi di inammissibilità dei rimedi giurisdizionali; inoltre, si fonda sul carattere impugnatorio del processo tributario che attribuisce la qualità di parte necessaria all’organo che ha emesso l’atto o il provvedimento impugnato.
Una società agiva contro il Comune ritenendo illegittimo il silenzio-diniego avverso l’istanza di rimborso del canone sostitutivo dell’imposta sulla pubblicità (versato ex art. 62 d.lgs. 446/1997) per gli anni da 2009 a 2013. In primo grado, la Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso, mentre, in sede di gravame, la Commissione tributaria regionale riformava integralmente la decisione di prime cure considerando legittimo il silenzio-diniego dell’amministrazione comunale. In particolare, per quanto qui rileva, la Commissione tributaria regionale non accoglieva l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dalla società. Secondo l’appellata, il Comune avrebbe depositato l’appello ben oltre il termine di 60 giorni (termine breve) decorrente dalla notifica della sentenza di primo grado. Detta notifica era avvenuta non presso il domicilio eletto dal Comune, ma presso il servizio di polizia amministrativa, a mani proprie di un soggetto non individuato. Per il giudicante, la notifica era affetta da nullità e inidonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione, pertanto, l’appello del Comune doveva considerarsi tempestivo.
È proprio sul tema della validità (o meno) della notifica effettuata presso un luogo diverso dal domicilio eletto che interviene la Corte di Cassazione nella sua più autorevole composizione.
Il processo tributario è disciplinato dal d.lgs. 546/1992, il cosiddetto Codice del processo tributario.
Per quanto riguarda le notifiche, l’art. 16 c. 2 d. lgs. cit. dispone che:
• le notificazioni sono fatte secondo le norme degli artt. 137 e seguenti del Codice di procedura civile, salvo quanto disposto dall’ art. 17 d. lgs.
L’art. 16 c. 3 introduce due forme ulteriori di notificazione con modalità diretta che il contribuente può eseguire senza il ministero dell’ufficiale giudiziario o dell’avvocato autorizzato dall’ordine forense:
• direttamente a mezzo del servizio postale mediante spedizione dell’atto in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento, sul quale non sono apposti segni o indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dell’atto,
• oppure all’ufficio del Ministero delle finanze ed all’ente locale mediante consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia.
Come si può notare, l’art. 16 c. 2 d. lgs. fa salvo quanto previsto dall’art. 17, la cui disciplina, quindi, prevale su quella prevista dal codice di rito ordinario.
Secondo l’art. 17 c. 1 d. lgs., le comunicazioni e le notificazioni sono fatte, salva la consegna in mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all’atto della sua costituzione in giudizio.
Per completezza espositiva, si ricorda che, anche nel processo tributario, sono state introdotte le notifiche telematiche (art. 16 bis d. lgs.).
Per quanto riguarda i termini per l’impugnazione, l’art. 51 dispone che il termine per impugnare la sentenza della commissione tributaria sia di 60 giorni (“termine breve”), decorrente dalla sua notificazione ad istanza di parte, salvo quanto disposto dall’ art. 38, comma 3.
L’art. 38 c. 3 prevede che, se nessuna delle parti provvede alla notificazione della sentenza, si applica l’art. 327 c. 1 del Codice di procedura civile, ossia si applica il “termine lungo” di 6 mesi.
La questione rimessa alla Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite riguarda la notificazione dell’atto processuale e, in particolare, della sentenza di primo grado, effettuata ai sensi degli artt. 16 e 17 del d.lgs. 546/1992. In particolare, ci si domanda:
«se, in tema di notificazioni nel processo tributario, sia rituale, o meno, la consegna della sentenza di primo grado a un ufficio dell’ente locale che non sia ubicato anche nella sua sede principale indicata negli atti difensivi, ma sia comunque riconducibile all’ufficio che ha emanato l’atto impositivo impugnato o (come nella specie) non ha emanato l’atto richiesto».
Nel caso in oggetto:
• la notifica della sentenza di primo grado all’amministrazione comunale è stata effettuata direttamente a mezzo posta,
• non presso il domicilio eletto, ossia la sede dell’ufficio tributi in persona del cui dirigente l’ente si è costituito in giudizio,
• ma presso altro ufficio comunale, già destinatario dell’istanza di rimborso proposta dal contribuente e che non aveva emesso l’atto richiesto.
Secondo il giudice del gravame, la sentenza di primo grado andava notificata presso il domicilio eletto dal Comune. Infatti, l’art. 17 d. lgs. dispone che, solo nel caso di mancanza di elezione di domicilio, la notificazione possa avvenire presso la residenza o sede dichiarata nell’atto di costituzione. Per questa ragione, la notifica è stata considerata nulla – in quanto effettuata in luogo diverso dal domicilio eletto – e inidonea a far decorre il termine breve.
Invece, il ricorrente ritiene che l’art. 17 consenta la notifica tramite consegna a mani proprie, anche in luogo diverso dal domicilio eletto, infatti, la norma fa sempre salva tale modalità.
La Corte Suprema di Cassazione considera fondata la doglianza.
Per risolvere la questione sottoposta al suo scrutinio la Corte Suprema di Cassazione parte dal dettato normativo, ossia dal Codice del processo tributario (d.lgs. 546/1992). In particolare, ricorda che:
• i giudici tributari applicano le norme del processo tributario e per quanto da esse non disposto e con esse compatibili le norme del Codice di procedura civile (art. 1 c. 2 d.lgs. 546/1992),
• alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni sulle impugnazioni del Codice di procedura civile (titolo III, capo I, del libro II), e fatto salvo quanto disposto dal codice del processo tributario (art. 49 d.lgs. 546/1992).
Dal contesto normativo è agevole desumere la specialità del rito tributario. Le disposizioni che prevedono la prevalenza della norma processuale tributaria – ove esistente – su quella del codice di rito ordinario, che si applica solo in via sussidiaria e in quanto compatibile (Corte Suprema di Cassazione SS. UU. 8053/2014 e 14916/2016). Nel caso del ricorso alla Corte Suprema di Cassazione (art. 62 c. 1 d.lgs. 546/1992) è prevista la prevalenza delle norme processuali ordinarie dal momento che non esiste un “giudizio tributario di legittimità”.
Da quanto sopra emerge un regime differenziato tra:
• processo che si svolge dinnanzi alle commissioni tributarie,
• e giudizio civile di legittimità.
Tale differenza incide anche sull’individuazione della disciplina da applicare in caso di notificazione.
Come già ricordato, l’art. 16 c. 2 d. lgs. deroga alle regole disposte dal Codice di procedura civile, facendo salva la disciplina dell’art. 17 d.lgs.
Dal tenore letterale dell’art. 17 d. lgs. emerge che, nel processo tributario, rispetto alla notifica della sentenza di primo grado da eseguire presso il domicilio eletto dalla parte, o, in mancanza di elezione di domicilio, nella residenza o sede dichiarata dalla parte stessa, prevale la facoltà alternativa di eseguire la notifica con consegna in mani proprie quale modalità idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione (ex art. 38 d.lgs.).
Infatti, come sopra ricordato, la Corte Suprema di Cassazione Sezioni Unite ha già avuto modo di sottolineare la specialità del rito tributario rispetto a quello ordinario (Corte Suprema di Cassazione SS. UU. 14916/2016). La disciplina delle notificazioni si estende «con carattere di specialità e, quindi, di prevalenza» alla fase di impugnazione. Tale circostanza emerge anche dalla lettura dell’art. 38 c. 2 d. lgs. che è stato modificato nel 2010 (ex d.l. 40/2010) ed ha operato un espresso richiamo alla disciplina delle notificazioni previste dall’art. 16 d. lgs. cit. Pertanto, la notifica può avvenire:
• seguendo le regole dettate dall’art. 137 c.p.c. e seguenti
• ma anche tramite la notificazione cosiddetta “diretta” (ex art. 16 c. 3 d. lgs.).
Dalla notifica così effettuata decorre il termine di 60 giorni per proporre appello (termine breve) in difetto trova applicazione quanto disposto dall’art. 327 c.p.c. (termine lungo).
Le forme di notificazione diretta: diverse e alternative tra loro
Il regime di notificazione nel processo tributario è speciale rispetto a quello previsto dal codice di rito ordinario e ciò emerge:
• dal già citato art. 16 d. lgs. cit. che rinvia all’art. 17 come eccezione rispetto alla disciplina dettata dall’art. 137 e ss. c.p.c.,
• dalla previsione di una notificazione diretta (art. 16 c. 3 d. lgs. cit.) che può avvenire a) tramite raccomandata ordinaria senza intermediazione dell’ufficiale giudiziario e non in base alle regole della legge 890/1982, e b) tramite consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia.
Le forme di notificazione diretta sono diverse e alternative tra loro (Corte Suprema di Cassazione SS.UU. 13452/2017 e 13453/2017; Corte Suprema di Cassazione 299/2020), infatti:
• nella prima (sub a) l’atto in plico è spedito per posta e la prova della ricezione è data dall’avviso di ricevimento;
• nella seconda (sub b) l’atto è consegnato all’impiegato addetto e la prova della consegna è data dalla “ricevuta sulla copia” rilasciata dal ricevente.
Per quanto riguarda, la notifica a mezzo posta nel processo tributario può avvenire:
• secondo le regole dettate dall’art. 149 c.p.c., nel rispetto della legge 890/1982, stante il richiamo operato dall’art. 16 d. lgs. cit all’art. 137 e ss. c.p.c.,
• oppure tramite la notifica diretta del plico raccomandato (art. 16 c. 3 d. lgs.).
La notifica diretta tramite servizio postale universale è caratterizzata da «modalità semplificate che, data anche la spiccata specificità del processo tributario non violano gli artt. 3 e 24 Cost.» (Corte Suprema di Cassazione SS. UU. 13452/2017 e 13453/2017).
Il principio di effettività della tutela giurisdizionale
Un solo precedente della Corte Suprema di Cassazione(1) ha considerato rituale la notificazione dell’atto processuale effettuata presso un ufficio periferico e non presso la sede principale (Corte Suprema di Cassazione 20851/2010). La giurisprudenza(2) considera valida la notifica effettuata presso un ufficio dell’Agenzia delle entrate non territorialmente competente in quanto diverso da quello che ha emesso l’atto impositivo. A tale conclusione si è giunti considerando il carattere unitario dell’Agenzia delle Entrate. «Al tempo stesso, si è dato risalto ai principi di collaborazione e buona fede, in forza dei quali, alla luce del principio di buon andamento (art. 97 Cost.), deve essere improntata l’azione dell’amministrazione pubblica, per cui l’atto del privato che venga indirizzato all’organo esattamente individuato, benché privo di competenza per esigenze organizzative specifiche ad esso, produce gli effetti che la legge gli riconnette, essendo onere dell’ufficio curarne la trasmissione a quello competente». Oltre a ciò, viene in rilievo il principio della tutela dell’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica che, in ambito tributario, è codificato dall’art. 10 dello statuto dei diritti del contribuente (legge 212/2000). Il citato orientamento giurisprudenziale ha fatto leva sul principio di effettività della tutela giurisdizionale in virtù del quale occorre ridurre al massimo le ipotesi di inammissibilità dei rimedi giurisdizionali; inoltre, si fonda sul carattere impugnatorio del processo tributario che attribuisce la qualità di parte necessaria all’organo che ha emesso l’atto o il provvedimento impugnato.
La Corte Suprema di Cassazione mette in evidenza i diversi principi che vengono in rilievo al fine di risolvere la questione sottoposta al suo esame:
• il principio di affidamento del cittadino nel buon andamento della funzione pubblica,
• il carattere impugnatorio del processo tributario,
• la specialità del rito in tema di notificazioni degli atti del processo tributario e, in particolare, della sentenza emessa nel giudizio di merito,
• e il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale, “nella sua essenziale tensione verso una decisione di merito” (Corte Suprema di Cassazione SS.UU. 13453/2017).
In particolare, quest’ultimo principio impone all’interprete di evitare un eccessivo formalismo e trova il proprio punto fermo:
• nelle garanzie costituzionali (artt. 24 e 111 Cost.),
• nelle norme sovranazionali (art. 24 Carta di Nizza, art. 19 TUE, art. 6 CEDU).
I principi di cui sopra hanno trovato espressione nell’orientamento giurisprudenziale secondo cui la notifica della decisione ai fini della decorrenza del termine breve per proporre ricorso può essere effettuata all’Agenzia delle Entrate presso la sede centrale o presso un ufficio periferico. Infatti, è stata attribuita agli uffici periferici la stessa capacità di stare in giudizio già attribuita agli uffici che hanno emesso l’atto impugnato (Corte Suprema di Cassazione 1954/2020; Corte Suprema di Cassazione 27976/2020).
In relazione alla posizione dell’ente impositore occorre valorizzare quanto disposto dall’art. 11 c. 3 d. lgs. cit., infatti, «anche nel caso dell’ente locale la legge sul processo tributario viene a configurare una legittimazione passiva concorrente,
• sia in capo al legale rappresentante dell’ente stesso (per cui, nel caso del comune, essa farà capo, di norma, al sindaco, salvo diverse previsioni statutarie),
• sia in capo al dirigente ufficio tributi».
La Corte Suprema di Cassazione considera fondato il primo motivo di ricorso, in quanto la notifica effettuata dal contribuente è valida e l’appello del Comune risulta inammissibile perché proposto oltre il termine breve per formulare l’appello. La sentenza della Commissione tributaria regionale viene cassata senza rinvio e le spese compensate tra le parti in ragione della peculiarità della fattispecie oggetto di cognizione.
Infine, viene enunciano il seguente principio di diritto:
• «La notifica, effettuata dal contribuente direttamente tramite il servizio postale, ai sensi dell’art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, della sentenza di primo grado all’ente locale non presso la sede principale indicata negli atti difensivi, ma presso altro ufficio comunale diversamente ubicato, che abbia emesso (o non abbia adottato) l’atto oggetto del contenzioso, è valida e, quindi, idonea, ai sensi del combinato disposto degli artt. 38, comma 2, e 51, comma 2, del medesimo d.lgs. n. 546 del 1992, a far decorrere il termine di sessanta giorni per impugnare».
NOTE
[1] La Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite evidenzia come, relativamente alla notifica della sentenza di primo grado effettuata presso l’ufficio periferico dell’ente comunale impositore si rinvenga un solo precedente (Cass. 20851/2010). Tale decisione ha ammesso la validità della notifica indirizzata all’amministrazione in una sede diversa da quella legale, nondimeno, non risolve il problema della validità della consegna a mani anche se non disposta al legale rappresentante dell’ente locale. Altre decisioni hanno dichiarato la nullità della notifica per violazione dell’art. 17 d. lgs. 546/1992 (Cass. 4222/2015; Cass. 4616/2018; Cass. 10776/2018; Cass. 27400/2020).
[2] Cass., 15 dicembre 2004, n. 23349; Cass., 26 gennaio 2008, n. 1925; Cass., 17 dicembre 2008, n. 29465; Cass., 3 luglio 2009, n. 15718; Cass., 30 dicembre 2011, n. 30753; Cass., 21 gennaio 2015, n. 1113; Cass., 11 marzo 2015, n. 4862; Cass., 24 settembre 2015, n. 18936; Cass., 23 ottobre 2015, n. 21593.


L’indirizzo P.E.C. non è valido, cartelle annullate: il pasticcio dell’Agenzia delle entrate

Gli atti che l’Agenzia delle entrate trasmette ai soggetti fiscali mediante posta elettronica certificata (pec) possono essere nulli se inviati da un indirizzo che non appare negli elenchi pubblici. I giudici tributari sono divisi in due, alcune volte danno ragione al contribuente, altre volte all’autorità.
Non è cosa nuova, se ne parla da diversi anni ma il tema ritorna occasionalmente agli onori delle cronache anche perché, con il passare del tempo, non si crea uniformità nel diritto.
La Legge 53/1994, all’articolo 3 bis, sancisce che le notifiche telematiche possono essere fatte soltanto da un indirizzo di posta elettronica certificato che compare negli elenchi pubblici. Nonostante ciò, le Commissioni tributarie italiane ricevono ricorsi basati proprio sulla non idoneità degli indirizzi pec mediante i quali le cartelle sono state inviate.
Il vizio di notifica ha indotto la Commissione tributaria di primo grado competente ad annullare il debito nei confronti dell’erario di un imprenditore assisano, 71 cartelle per un valore di 1,4 milioni di euro. Se gli atti provengono da un indirizzo pec diverso da quello ufficiale presente nei registri pubblici, è come se non fossero mai stati notificati.
I registri pubblici che fanno stato: Ipa, Reginde e Inpec. Un caso per spiegare meglio: lo scorso mese di luglio 2022 la Commissione tributaria di Napoli ha annullato una cartella esattoriale inviata al contribuente dall’indirizzo pec: notifica.acc.campania@pec.agenziariscossione.gov.it, diverso da quello presente nei registri, ossia: protocollo@pec.agenziariscossione.gov.it.
I legali dei contribuenti, in fase di contestazione delle cartelle, fanno ricorso alla già citata legge 53/1994 e alle numerose sentenze che, di fatto, si limitano a ribadire il contenuto della legge medesima.
L’Agenzia delle entrate replica rispolverando l’articolo 26 del decreto del presidente della Repubblica 602/1973 (modificato nel 2017) nel quale viene specificato che è l’indirizzo pec del destinatario, quello che deve essere presente negli elenchi pubblici. Un ribaltamento di 360° accolto da diverse Commissioni tributarie che escludono la nullità degli atti.
Le Commissioni tributarie che danno ragione all’Agenzia delle entrate ignorano però la sentenza 17346/2019, mediante la quale, la Cassazione conferma la necessità che anche l’indirizzo pec del mittente debba essere inserito negli elenchi pubblici, in caso contrario la notifica al contribuente è viziata ed insanabile.
Manca quindi quell’uniformità che spinge la parte soccombente ad adire le Commissioni tributarie di grado superiore, causando perdite di tempo e costi che si potrebbero risparmiare, oltre alle perdite per l’erario.


Riunione Giunta Esecutiva del 20.08.2022

Ai sensi dell’art. 14 dello Statuto, viene convocata in PRESENZA la riunione della Giunta Esecutiva, che si svolgerà sabato 20 agosto 2022 alle ore 8:30, in prima convocazione, e alle ore 10:30 in seconda convocazione, presso il Comune di Cesena – Palazzo Municipale – Piazza del Popolo 10, per deliberare sul seguente ordine del giorno:

1. Approvazione tesseramento 2022/2023;
2. Approvazione quote di iscrizione anno 2023;
3. Attività formativa 2022;
4. Polizza assicurativa;
5. Rinnovo CCNL funzioni locali 2019-2021;
6. Varie ed eventuali.

Leggi:  GE 20 08 2022 Documentazione

Leggi: GE 20 08 2022 Verbale


Sì al secondo lavoro ma non per gli statali.

Orario programmato o il dipendente potrà rifiutarsi di lavorare
l datore di lavoro non potrà impedire ai propri dipendenti di svolgere un’altra attività al di fuori dell’orario di lavoro. Ma attenzione, questa norma non si applicherà ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni, per i quali resterà valido quanto previsto dall’articolo 53 del decreto legislativo 165 del 2001 in materia di incompatibilità e cumulo di incarichi.
E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo 104 del 2022, che attua la Direttiva europea relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione. Un provvedimento denso di novità per i lavoratori sia pubblici che privati. Il decreto entrerà in vigore dal 13 agosto 2022, e le novità che introduce non sono affatto poche.
Lo scopo della direttiva recepita attraverso il decreto legislativo del governo è quello di migliorare le condizioni di lavoro promuovendo un’occupazione più trasparente e soprattutto “prevedibile”. I lavoratori devono essere messi nelle condizioni di avere pieno accesso alle informazioni che riguardano il loro rapporto di lavoro. Dunque, il datore dovrà innanzitutto comunicare al dipendente, in modo chiaro e completo, una serie di informazioni che riguardano il rapporto di lavoro. Si tratta per molti versi di informazioni standard: l’inquadramento, la qualifica, la data di inizio del rapporto di lavoro, il periodo di prova, la durata delle ferie, i congedi retribuiti ai quali si ha diritto, la retribuzione, le modalità di pagamento. Ma ci sono alcune novità contenute nel decreto legislativo che attuano la direttiva europea, che non sono di poco conto. Come la “programmazione” dell’orario di lavoro.
Dunque, fra le informazioni “essenziali” da dare al dipendente, c’è quella della “programmazione dell’orario ordinario di lavoro”. Il provvedimento prevede che debba essere comunicata al lavoratore la programmazione dell’orario normale di lavoro e le eventuali condizioni relative al lavoro straordinario e alla sua retribuzione, nonché le eventuali condizioni per i cambiamenti di turno, se il contratto di lavoro prevede un’organizzazione dell’orario di lavoro in tutto o in gran parte prevedibile. Se non è possibile prevedere un orario di lavoro programmato, il lavoratore dovrà essere informato sulla “variabilità” della programmazione del lavoro, sul periodo minimo di preavviso e sulle ore e i giorni di riferimento. Senza queste comunicazioni il dipendente può anche rifiutarsi di svolgere le proprie mansioni “senza subire pregiudizio”. Ed ancora. Il lavoratore dovrà poter pianificare la propria attività. Se gli viene affidato un incarico che poi viene revocato o non più richiesto, il datore dovrà dare un preavviso “congruo” della revoca. Senza un periodo “ragionevole” di preavviso, il dipendente avrà diritto a una somma a titolo di compensazione non inferiore al 50 per cento della cifra convenuta per la prestazione annullata. Inoltre, i lavoratori con anzianità di servizio di sei mesi presso lo stesso datore di lavoro o committente e che abbia completato l’eventuale periodo di prova, può chiedere che gli venga riconosciuta una forma di lavoro con condizioni più prevedibili, sicure e stabili, se disponibile. Ma anche per questa disposizione c’è una esclusione espressa per i dipendenti pubblici.
I dipendenti, come detto, potranno avere anche un secondo lavoro al di fuori dell’orario lavorativo alle dipendenze del proprio datore. Quest’ultimo non potrà vietarlo, a meno che questo secondo lavoro non comporti rischi per la salute e la sicurezza del dipendente o nel caso vi sia un conflitto di interessi tra le due attività.
La norma spiega poi che, per i dipendenti pubblici, resta in vigore quanto previsto dall’articolo 53 del decreto legislativo 165 del 2001. Il comma sette dell’articolo 53 del decreto 165 prevede che i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza.

Ai fini dell’autorizzazione, l’amministrazione deve verificare l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi.


BUON FERRAGOSTO !!!


La presenza della Cad agli atti legittima la notifica

La comunicazione di avvenuto deposito portata in giudizio dall’Agenzia, anche se firmata dal postino, prova il fatto che la raccomandata è effettivamente giunta al recapito del destinatario

Non è ravvisabile alcun vizio del procedimento notificatorio, quando, agli atti, c’è anche l’avviso di ricevimento della comunicazione di avvenuto deposito, individuata con l’esatto numero indicato nella prima raccomandata. Tale avviso, firmato dall’agente postale, attesta sia la persistente assenza del destinatario, sia l’avvenuta immissione in cassetta della raccomandata di avviso del deposito. Lo ha affermato la Corte Suprema di Cassazione nella sentenza n. 19333 del 15 giugno 2022.
La controversia ha origine dell’impugnazione di un avviso di accertamento ai fini Irpef e addizionali, Irap e Iva, e della comunicazione di rigetto dell’istanza di accertamento con adesione, presentata oltre il termine di 60 giorni dalla notifica dell’atto (articolo 6, comma 2, Dlgs n. 218/1997). Il contribuente, esercente attività di elaborazione di dati contabili, è stato inserito nel piano annuale dei controlli avendo dichiarato, per il periodo d’imposta 2007, componenti negativi di reddito, rientranti nella categoria “altre spese documentate” (RE19, quadro RE. Unico PF) di ammontare rilevante rispetto ai ricavi. L’ufficio, al fine di riscontrare la veridicità dei predetti componenti negativi, nonché il rispetto dei principi di inerenza degli stessi, ha notificato al professionista un invito al contraddittorio chiedendo giustificazione delle spese residuali e ha riconosciuto, sulla base della documentazione prodotta, l’importo totale dei costi ammessi in deduzione per € 100.204, in quanto spese documentate e afferenti all’attività esercitata. Ha, invece, recuperato a tassazione i costi non inerenti e non documentati pari a circa € 208.608.
La Commissione tributaria provinciale, accogliendo le eccezioni preliminari dell’ufficio, ha dichiarato inammissibili entrambi i ricorsi (il primo, per intempestività perché proposto oltre il termine di 60 giorni dalla notifica – ex articolo 21, Dlgs n. 546/1992 – l’altro per inammissibilità, poiché la comunicazione di rigetto dell’istanza di adesione non è inclusa nell’elenco degli atti impugnabili previsti dall’articolo 19, dello stesso Dlgs). Anche in secondo grado il contribuente è risultato soccombente. La Ctr, infatti, ha respinto l’appello, ritenendo validamente notificato l’avviso di accertamento poiché:
• l’atto era stato spedito il 3 dicembre 2012 dall’ufficio postale, con tentativo di recapito il successivo 5 dicembre 2012 da parte dell’addetto
• l’agente postale, vista la temporanea assenza del destinatario, aveva immesso il relativo avviso nella cassetta della corrispondenza dello stabile trascorsi (almeno) 10 giorni dal tentativo di recapito, il 17 dicembre, il plico postale contenente l’avviso, non essendo stato ritirato dal destinatario, veniva rispedito all’indirizzo dell’ufficio mittente.
Il professionista ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando, tra l’altro, la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione di legge:
• poiché la Ctr aveva ritenuto validamente notificato l’atto impositivo, sebbene l’avviso di ricevimento relativo alla notifica di tale atto non contenesse le indicazioni prescritte ex lege e, in particolare, dei motivi che giustificavano il ricorso alle forme previste dall’articolo 140 cpc (articoli 21, Dlgs n. 546/1992; 60, Dpr n. 600/1973 e. 139, 140 e 148 cpc), inoltre – sebbene l’avviso di ricevimento della raccomandata informativa (Cad), non prodotta in giudizio, non contenesse le indicazioni previste ex lege (articolo 8, legge n. 890/1982).
La Corte Suprema di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo infondato il motivo, e ha affermato che la sentenza impugnata, “confermando sul punto l’accertamento compiuto nella sentenza di primo grado, ha ripercorso l’iter del procedimento notificatorio dell’avviso di accertamento riportando puntualmente i passaggi ritenuti essenziali ai fini della sua validità” (Corte Suprema di Cassazione, n. 19333/2022).
I giudici della Corte Suprema di Cassazione sono stati chiamati a valutare la conformità al dettato legislativo sia del procedimento notificatorio effettuato mediante servizio postale (ex articolo 14, legge n. 890/1982) sia degli adempimenti posti in essere dall’addetto postale in caso di assenza temporanea del destinatario dell’atto.
Con riferimento alla “notifica postale” degli atti tributari, la Corte Suprema di Cassazione ha affermato che l’articolo 20 della legge n. 146/1998, modificando l’articolo 14 della legge n. 890/1982, ha previsto che la notificazione degli avvisi e degli atti, che per legge devono essere notificati al contribuente, può eseguirsi a mezzo posta direttamente dagli uffici finanziari.
A decorrere dal 15 maggio 1998 (data di entrata in vigore della legge n. 146), pertanto, è stata concessa agli uffici finanziari la facoltà di provvedere direttamente alla notifica degli atti al contribuente mediante spedizione a mezzo del servizio postale, fermo rimanendo, “ove ciò risulti impossibile”, che la notifica possa essere effettuata a cura degli ufficiali giudiziali, dei messi comunali o dei messi speciali autorizzati dall’amministrazione finanziaria secondo le modalità previste dalla stessa legge n. 890/1982 (Corte Suprema di Cassazione, n. 2365/2022). Gli uffici finanziari notificanti, cioè, ferma restando l’intermediazione dell’ufficio postale, possono procedere con modalità di notificazione semplificata, applicando le norme sul servizio postale ordinario. In particolare, la disciplina della notifica postale, non prevedendo la redazione della relata di notifica o l’annotazione specifica sull’avviso di ricevimento in ordine alla persona consegnataria, consente di ritenere che plico e atto, pervenuti all’indirizzo del destinatario, devono ritenersi a lui ritualmente consegnati, stante la presunzione di conoscenza (ex articolo 1335 cc), superabile solo se il destinatario dia prova di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di prenderne cognizione (Corte Suprema di Cassazione, nn. 8293/2018 e 10131/2020).
Nel caso in esame, il contribuente ha riferito, che l’addetto al recapito della raccomandata:
a) ha sbarrato le caselle dell’avviso di ricevimento in cui si dava atto della “temporanea assenza del destinatario” e dell’”immesso avviso cassetta corrisp. dello stabile in indirizzo”
b) ha annotato di aver spedito la comunicazione di avvenuto deposito, la Cad.
Al riguardo, la Cassazione ha affermato che «La notifica risulta… conforme al disposto del D.P.R. n. 890 del 1982, art. 14, non occorrendo alcuna delle indicazioni previste dagli artt. 139 e 140 c.p.c.”.
Con riferimento agli adempimenti richiesti nella notifica “postale diretta”, in caso di temporanea assenza del destinatario, la Corte Suprema di Cassazione ha precisato che, per considerare perfezionata la notificazione, è necessario verificare in concreto l’avvenuta ricezione della Cad e, a tal fine, l’ufficio notificante è processualmente onerato della produzione del relativo avviso di ricevimento (Corte Suprema di Cassazione, sezioni unite, n. 10012/2021).
Nell’ipotesi di ulteriore assenza del destinatario in occasione del recapito della relativa raccomandata, non seguita dal ritiro del piego entro il termine di giacenza, il controllo sulla legittimità del procedimento notificatorio deve riguardare l’attestazione dell’agente postale in ordine all’avvenuta immissione dell’avviso di deposito nella cassetta postale o alla sua affissione alla porta dell’abitazione.
Ciò in quanto, nella fattispecie prevista dall’articolo 8 della legge n. 890/1982 (e dell’articolo 140 c.p.c.), non si realizza alcuna consegna, ma solo il deposito dell’atto notificando presso l’ufficio postale (ovvero, nella notifica codicistica, presso la Casa comunale). Ed è per tale ragione, che la legge, con maggiore rigore, prevede che di questo adempimento venga data comunicazione dall’agente notificatore al destinatario, del tutto ignaro della notifica secondo le due distinte e concorrenti modalità: l’affissione dell’avviso di deposito nel luogo della notifica (immissione in cassetta postale) e la spedizione di una lettera raccomandata con avviso di ricevimento (Corte Suprema di Cassazione, sezioni unite, n. 10012/2021). Solo qualora tali formalità siano attuate entro il termine di giacenza, la notifica si perfeziona trascorso il decimo giorno dalla spedizione della raccomandata stessa.
Resta salva, comunque, la possibilità per il destinatario contestare, adducendo le relative ragioni di fatto e proponendo querela di falso, se, nonostante quanto risultante dalla Cad, in concreto, non si siano realizzati i presupposti di conoscibilità richiesti dalla legge oppure egli si sia trovato, senza sua colpa, nell’impossibilità di prendere cognizione del piego.
Nel caso esaminato, la Corte Suprema di Cassazione ha concluso che la prova della notifica ben poteva ritenersi raggiunta attraverso la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento, effettuata dall’Agenzia delle entrate come confermato dal contribuente nello stesso ricorso, non occorrendo, diversamente da quanto sostenuto dal professionista, la produzione della stessa comunicazione a riprova del suo contenuto.
La produzione dell’avviso di ricevimento della Cad, sia esso sottoscritto dal destinatario o da persone abilitate, sia esso annotato dall’agente postale in ordine all’assenza di persone atte a riceverlo, infatti, assolve alla funzione di fornire prova, non già della consegna, ma del fatto che la raccomandata sia effettivamente giunta al recapito del destinatario.


Comm. trib. regionale Lazio Roma, Sent., 02.08.2022, n. 3514

CTR-Lazio-n.-3514-del-02-agosto-2022


Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 25/05/2022) 27/07/2022, n. 23435

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Presidente –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26210-2021 R.G. proposto da:

V.C., rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. Amedeo SCIARRONE, ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via Conte Rosso, n. 5, presso lo studio legale dell’avv. Salvatore VITALE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2630/08/2021 della Commissione tributaria regionale della SICILIA, depositata il 10/03/2021;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25/05/2022 dal Consigliere Dott. Lucio LUCIOTTI.

Svolgimento del processo
che:

1. In controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento impoesattivo di maggiori redditi d’impresa, conseguiti da V.C., quale titolare dell’omonima ditta, per l’anno d’imposta (OMISSIS), con la sentenza impugnata la CTR rigettava l’appello proposto dal predetto contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado ritenendo, per quanto ancora qui di interesse, regolare la notifica diretta postale dell’atto impositivo.

2. Avverso tale statuizione il contribuente propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui non replica l’intimata.

3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale il ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione
che:

1. Con il motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 890 del 1982, art. 14 del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e artt. 137 c.p.c. e ss..

2. Il motivo, incentrato sull’inesistenza della notifica dell’avviso di accertamento “in quanto effettuata in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e degli artt. 137 c.p.c. e ss. perchè effettuata da un soggetto non autorizzato dall’ufficio”, ovvero tramite un agente postale e non da un messo notificatore speciale, è manifestamente infondato e va rigettato.

3. Invero, diversamente da quanto si sostiene nel ricorso, il D.L. n. 78 del 2010, art. 29, comma 1, lett. a), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 122 del 2010 e succ. modific., nulla ha innovato riguardo alla notifica dell’atto impositivo, limitandosi a prevedere, in considerazione della necessità di operare la “concentrazione della riscossione nell’accertamento”, come espressamente recita la rubrica della disposizione in esame, che l’avviso di accertamento rechi anche l’intimazione ad adempiere agli obblighi di pagamento contenuti nell’atto c.d. impoesattivo.

4. Nessuna modifica è stata apportata alla L. n. 890 del 1982, art. 14 che continua a prevedere “la notificazione degli avvisi (…) che per legge devono essere notificati al contribuente”, “a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari”, senza alcuna distinzione tra i vari tipi di atti, impositivi o impoesattivi, sicchè, in mancanza di espressa modifica legislativa e di ragioni sistematiche che giustifichino una diversa interpretazione, ed anche alla stregua di quanto affermato dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 175 del 2018 e n. 104 del 2019 (rispettivamente in materia di notifica diretta della cartella di pagamento e dell’avviso di accertamento), secondo cui, “nella fattispecie della notificazione “diretta”, vi è un sufficiente livello di conoscibilità – ossia di possibilità che si raggiunga, per il notificatario, l’effettiva conoscenza dell’atto – “stante l’avvenuta consegna del plico (oltre che allo stesso destinatario, anche alternativamente) a chi sia legittimato a riceverlo, sicchè il “limite inderogabile” della discrezionalità del legislatore non è superato e non è compromesso il diritto di difesa del destinatario della notifica””, deve ritenersi possibile e legittima la notifica diretta a mezzo posta degli avvisi di accertamento impoesattivi, previsti dal citato D.L. n. 78 del 2010, art. 29 convertito. Nè a diversa conclusione può pervenirsi desumendo, come fa il ricorrente, dalla precisazione contenuta nell’art. 29 citato circa la facoltà di notificare “mediante raccomandata con avviso di ricevimento” gli atti “successivi” all’avviso di accertamento in tutti i casi in cui siano rideterminati gli importi dovuti in base a questi ultimi, una implicita abrogazione della facoltà riconosciuta all’amministrazione finanziaria di procedere alla notifica diretta a mezzo posta degli avvisi di accertamento, prevista dalla L. n. 890 del 1982, art. 14. Invero, il citato art. 29, comma 1, lett. a), non si pone affatto su un piano di incompatibilità logica o di implicita contraddizione con la più generale previsione di cui al citato art. 14 (riferito agli “avvisi” e agli “altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente”) e nemmeno prevede che la notificazione a mezzo posta è consentita “solo” per gli atti successivi all’avviso di accertamento, come erroneamente afferma il ricorrente a pag. 2 della memoria, ma, al contrario, disponendo che la notificazione di tali atti può essere effettuata “anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento”, rende evidente l’intento del Legislatore di specificare che anche per queste nuove tipologie di atti, ovvero i c.d. “atti successivi” (non è più prevista infatti l’emissione della cartella di pagamento la cui modalità di notifica è prevista dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26) è attribuita all’amministrazione fiscale la facoltà di procedere alla loro notificazione mediante l’utilizzo della più snella modalità costituita dall’invio diretto a mezzo raccomandata postale con avviso di ricevimento.

5. Da quanto fin qui detto discende la regolarità della notifica al contribuente dell’avviso di accertamento impoesattivo con la conseguenza che il ricorso va rigettato senza necessità di provvedere sulle spese processuali in mancanza di costituzione in giudizio dell’intimata.

P.Q.M.
rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 25 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2022


Regolamento recante piattaforma per la notificazione degli atti della pubblica amministrazione

La trasformazione digitale dello Stato compie un nuovo passo avanti con la firma del decreto per la notifica degli atti della Pubblica Amministrazione da parte dei Ministri dell’Economia Daniele Franco e dell’Innovazione tecnologica Vittorio Colao.

Regolamento recante piattaforma per la notificazione degli atti della pubblica amministrazione.
Pubblicato nella Gazz. Uff. 6 giugno 2022, n. 130.

Notifica digitale: tutti i vantaggi
La notifica digitale renderà meno costose e più semplici le comunicazioni di atti e avvisi con valore legale tra amministrazione e cittadini con un vantaggio economico per tutti.
Tramite questa piattaforma, che sarà gestita da PagoPa, sarà possibile notificare atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni tramite PEC, rendendoli disponibili telematicamente su un apposito portale
Dei due euro 1 euro è per chi spedisce la cartella e 1 euro invece è per chi gestirà la piattaforma. L’extra aggiuntivo di 1,40 euro invece è previsto solo se l’invio deve essere effettuato in modalità cartacea a quei soggetti meno tecnologici che non hanno la PEC.
Gli importi tengono conto di tutta una serie di fattori, come i costi che i mittenti sostengono per l’elaborazione degli atti e dei provvedimenti, per il deposito, per PagoPa che si occuperà della gestione della piattaforma e poi naturalmente anche per quelli che sostiene il soggetto che fornisce il servizio di consegna cartacea della copia.
Il percorso di trasformazione digitale della PA è iniziato nel 2019, con l’approvazione della Legge n. 160/2019, che all’art. 1 si poneva l’obiettivo di:
«rendere più semplice, efficiente, sicura ed economica la notificazione con valore legale di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni della pubblica amministrazione, con risparmio per la spesa pubblica e minori oneri per i cittadini».
L’introduzione di una piattaforma per la notifica digitale di atti e avvisi di accertamento tributari, era stata prevista poi dal comma 402 della Legge di Bilancio 2020, dall’art. 26 del decreto-legge n. 76/2020 e dettagliata dall’articolo 26 del decreto Semplificazioni.
Nelle fasi iniziali del percorso, il Garante ha rilevato diversi elementi di rischio per i diritti e le libertà degli interessati dal momento che le informazioni oggetto di trattamento hanno un carattere strettamente personale e producono effetti giuridici sugli interessati. Il Ministero ha tuttavia recepito le modifiche suggerite in modo da rispettare il principio di limitazione della finalità del trattamento.
Notifica digitale: come funziona la piattaforma?
In attesa della versione definitiva del decreto e in base alle informazioni attualmente disponibili, la notifica digitale prevede questi passaggi:
     • adesione dell’amministrazione al servizio con l’elezione di un funzionario incaricato
     • accesso alla piattaforma da parte del funzionario tramite SPID o CIE
     • caricamento del documento da notificare sulla piattaforma, con l’inserimento del codice fiscale e del domicilio del cittadino
     • il sistema prenderà in carico la richiesta generando il codice identificativo dell’operazione e lo consegnerà al destinatario (con marcatura temporale)
   • anche per il cittadino le modalità di accesso sono tramite SPID o CIE (per aziende e persone giuridiche verranno utilizzati SPID o CIE dei rispettivi legali rappresentanti); una volta entrati nella piattaforma essi potranno eleggere uno o più “domicili digitali”, consultare i documenti messi a disposizione dalle varie amministrazioni ed eventualmente scaricarne una copia o inviarla.
Generalmente la notifica avverrà tramite PEC presso il domicilio digitale scelto dal destinatario nella piattaforma. Nel caso in cui invece il cittadino non avesse una casella di posta elettronica certificata (pec) o un servizio elettronico di recapito certificato, l’amministrazione dovrà inviare la tradizionale notifica cartacea.
Notifica digitale: i costi per la PA e per il cittadino
Dalla bozza del decreto attuativo si legge che l’importo della notifica attraverso la piattaforma digitale sarà di 2,00 euro, di cui un euro andrà a favore di chi spedisce la cartella o l’atto e un euro al gestore della piattaforma (PagoPa).
Se il cittadino non ha ancora la pec è previsto un costo aggiuntivo di 1,40 euro.
Con riferimento agli avvisi, alle cartelle e alle intimazioni di pagamento che provengono dall’amministrazione finanziari e dall’agente della riscossione, il decreto prevede infatti la ripetibilità delle spese. In particolare sono a carico del destinatario:
     • le somme spettanti al gestore della piattaforma che offre il servizio di notifica;
     • le somme spettanti a chi fornisce il servizio universale se la notifica della copia avviene in forma cartacea;
     • le spese degli avvisi cartacei.
Per quanto riguarda gli atti finanziari, non sono ripetibili i costi sostenuti dall’amministrazione finanziaria e dall’agente della riscossione.

Ulteriori considerazioni

Innanzi tutto, occorrerebbe distinguere tra adesione ed utilizzo della piattaforma.
In specie si ritiene che lo strumento, tale è, sia a disposizione di tutte le amministrazioni che hanno necessità di notificare i propri atti, con le esclusioni previste ed individuate dalla legge, sia quelle individuate dal DL 76/2020 che nel Regolamento entrato in vigore 21.06.2022.
La domanda circa il fatto che ”l’adesione a questa piattaforma è da ritenersi obbligatoria oppure alternativa alle modalità previste da altre norme di legge? Nell’Ufficio Legale ci sono pareri discordanti”, lascia alquanto perplessi perché sia il verbo utilizzato “possono” che la lettura del comma 3 dell’art. 26 del DL 76/2020 siano estremamente chiari, prevedendo la facoltà, tanto che, diventa difficile comprendere perché viene posto un quesito di tale natura.
Ma, andando oltre, addirittura troviamo nel Dossier Parlamentare 21 luglio 2020 “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale” esplicitamente la seguente nota:
“Le amministrazioni pubbliche – nell’accezione così definita – hanno facoltà – non già obbligo – di rendere disponibili sulla piattaforma i documenti informatici ai fini della notificazione di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni (anche in materia tributaria) – ed anche per atti per i quali non viga un obbligo di notificazione al destinatario. Così prevede il comma 3. Resta dunque ferma – può aggiungersi – la possibilità, per le amministrazioni, di effettuare la notificazione con le modalità previste dagli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile o secondo le modalità previste dalle leggi speciali.“ (pag. 278 e 279 del citato Dossier parlamentare)
Altri sono i meccanismi che indurranno gli enti ad usufruirne, fra cui si cita quello individuato dal comma 10, con cui la messa a disposizione del documento da notificare impedisce qualsiasi decadenza dell’amministrazione e interrompe il termine di prescrizione correlato alla notificazione: si pone qui una deroga al regime ordinariamente recettizio dell’atto interruttivo della prescrizione. E qui qualche disputa la vedremo, perché finora la Corte Costituzionale e la Corte Suprema di Cassazione hanno sempre sancito in modo che diverse leggi non causassero profonde differenze circa le possibilità di difesa del cittadino ed ora si introduce una norma che addirittura interrompe la decadenza degli atti destinati a notificazione.
Poi ci sono tutti gli altri problemi relativi al fatto che, in modalità telematica la platea dei destinatari oggi disponibile sia ristretta a coloro che, già ora per legge, debbono avere un indirizzo di posta elettronica certificata, mentre per gli altri cittadini nelle more della adozione del domicilio digitale dei cittadini, legato all’A.N.P.R., si passerebbe alla notificazione di un avviso a mezzo posta, ai sensi della Legge 890/1982 con cui si indica che esiste un documento messo a disposizione nella piattaforma. Quindi a maggiori costi per il cittadino, ovvero la somma di quello che sarà il costo dell’utilizzo della piattaforma e quello della notificazione a mezzo posta dell’avviso di avvenuta messa a disposizione del documento.
A pensar male … sarà che Poste Italiane SpA è di proprietà per il 35% di Cassa Depositi e Prestiti e per il 29,26 % del Ministero dell’Economia e delle Finanze e per il 23,51% di “Investitori Istituzionali” che si è trovata la quadratura per passare da un sistema, invero obsoleto, in cui le notificazioni sono davvero un costo ad un nuovo modello per cui le notificazioni diverranno un business per lo Stato.

Vai: Corso on line di approfondimento della nuova piattaforma notifiche digitali degli atti pubblici (PND)

Leggi: Decreto ministeriale 08/02/2022, n. 58
Regolamento recante piattaforma per la notificazione degli atti della pubblica amministrazione.
Pubblicato nella Gazz. Uff. 6 giugno 2022, n. 130.

Leggi: Manuale Operativo PND

Leggi: Misure urgenti per la semplificazioni-Dossier parlamentare 21 07 2020