Nullità della notifica apposta sul frontespizio

Il mancato rispetto delle formalità indispensabili per il raggiungimento dello scopo di cui all’art. 156 c. 2 c.p.c. rende nulla la notifica e non comporta il prodursi dell’effetto giuridico ad esso conseguente.

La notifica della sentenza effettuata in maniera irrituale perché la relata, anziché essere apposta in calce all’atto, sarebbe stata annotata sul frontespizio, non offre garanzie che la consegna dell’atto sia avvenuta nella sua integralità, e di conseguenza non produce l’effetto giuridico ad esso conseguente (prescrizione ai fini dell’impugnazione), onde deve ritenersi nulla la notificazione così eseguita, ai sensi del novellato art. 156 c. 2 c.p.c., perché “l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo”.
E’ quanto ha stabilito la quinta sezione civile della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 6750 del 21 marzo 2007, accogliendo il ricorso di un contribuente il cui appello era stato dichiarato inammissibile dalla C.T.R. dell’Emilia Romagna, in quanto proposto oltre il termine breve d’impugnazione a seguito di notificazione della sentenza di primo grado. Infatti il contribuente, con un unico motivo, aveva sostenuto l’irrituale notifica della sentenza di primo grado perché la relata, anziché essere apposta in calce all’atto, era stata annotata sul frontespizio, deducendo di conseguenza di aver ricevuto notifica della sola prima facciata, e non anche della parte restante del documento.
Tali argomentazioni sono state ritenute fondate dalla Suprema Corte, così dichiarando nulla la notifica e gli effetti giuridici ad essa conseguenti, nella fattispecie il decorso del termine breve e la prescrizione del diritto all’impugativa, sulla scorta della disciplina di cui all’art. 148 c.p.c., con il quale il legislatore ha statuito che l’Ufficiale Giudiziario certifica l’eseguita notificazione mediante relazione da lui datata e sottoscritta, apposta in calce all’originale e alla copia dell’atto, dunque ribadendo che proprio la regolare osservanza delle prescrizioni formali imposte dalla legge all’Ufficiale Giudiziario, in funzione del principio di recezione, è il fondamento degli effetti che scaturiscono dalla notifica, ed inoltre che la relazione – che la legge vuole sia apposta solo in calce alla copia dell’atto notificato e non in qualsiasi altra sede “topografica” del documento – ha la funzione garantistica di richiamare l’attenzione dell’Ufficiale Giudiziario alla regolare esecuzione dell’operazione di consegna della copia conforme all’originale dell’atto, confermando, quindi, quanto già espresso dalla stessa Corte con sentenza n. 15199/04, ovvero che l’eccezione di inammissibilità di un atto di impugnazione, proposta sotto il profilo dell’incompletezza della copia notificata per mancanza di alcuno dei fogli o delle pagine, deve respingersi solo qualora l’originale dell’atto depositato dall’impugante rechi in calce la relazione di notificazione redatta dall’Ufficiale Giudiziario, contenente l’attestazione dell’eseguita consegna della copia dell’atto, dovendosi ritenere, in difetto di querela di falso, che detta attestazione sia estesa alla conformità della copia consegnata all’originale completo.

Cassazione civile Sentenza, Sez. V, 21/03/2007, n. 6750


LA LEGGE FINANZIARIA 2007 NON IMPONE L’OBBLIGATORIETÀ DEI CORSI DI FORMAZIONE AI MESSI COMUNALI

LA LEGGE FINANZIARIA 2007  NON IMPONE L’OBBLIGATORIETÀ DEI CORSI DI FORMAZIONE PER I MESSI COMUNALI

La L. 27-12-2006 n. 296 (legge Finanziaria 2007) all’art. 1, commi 158, 159,160 prevede la possibilità da parte dei Comuni e delle Province di avvalersi di nuove figure, chiamati messi notificatori, per la notifica degli atti tributari locali. Tali figure sarebbero nominate dal Dirigente dell’ufficio competente.
Considerate le mansioni previste per tali figure, è previsto a carico dell’Ente, un corso di formazione con esame di idoneità.
Occorre qui ricordare che queste figure esercitano mansioni (Per la notifica degli atti di accertamento dei tributi locali e di quelli afferenti le procedure esecutive di cui al testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, e successive modificazioni, nonché degli atti di invito al pagamento delle entrate extratributarie) che già figurano tra quelle dei Messi comunali.

Pertanto, risulta quantomai NON RISPONDENTE AL VERO quanto affermato da alcune società di formazione che, per fini puramente speculativi, benché legittimi, sostengono la obbligatorietà dei corsi di formazione, ingenerando confusione nelle amministrazioni e una delegittimazione della figura del Messo comunale che, invece, non è stata affatto modificata nel suo ruolo e nelle sue mansioni dalle norme sopra richiamate.
Ferma restando l’importanza che la nostra Associazione attribuisce alla formazione per un corretto svolgimento del ruolo di notificatore e una valorizzazione della figura del Messo comunale, ribadiamo che non esiste alcun obbligo in capo alle Amministrazioni di fare formazione, direttamente o acquistando prodotti offerti sul mercato, se non quello previsto dalle norme contrattuali.
Pubblicheremo a breve le nostre osservazioni nel merito di tali disposizioni che lasciano alquanto perplessi sia sulla loro realizzazione che applicazione.


Cass. civ. Sez. V, (ud. 14-02-2007) 20-04-2007, n. 9393

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RIGGIO Ugo – Presidente

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. MARINUCCI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELLE FINANZE, in persona del Ministro p.t. e AGENZIA DELLE ENTRATE,in persona del Direttore p.t., rapp.ti e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale elett.te domiciliano in Roma alla Via dei Portoghesi, 12;

– ricorrente –

contro

PASTIFICIO DI MARINI GIULIO & C. S.n.c., in persona del suo legale rapp.te p.t.;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria della Toscana n. 64/25/00 pubblicata il 13/5/00;

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 14/2/07 dal Consigliere relatore Dott. Giuseppe Napoletano;

Udita l’Avvocatura Generale dello Stato;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CALIENDO Giacomo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo
La società indicata in epigrafe impugnava dinanzi alla CTP di Pistoia la cartella di pagamento ILOR per l’anno 1988 per complessive L. 64.060.230, sostenendo che la notifica dell’avviso di accertamento effettuata il 30/12/96 ad essa società doveva considerarsi nulla perchè effettuata non al suo domicilio fiscale, in (OMISSIS) ma a quello, in (OMISSIS), della s.r.l. Pastificio Marini, soggetto diverso.

La CTP accoglieva il ricorso e la sentenza veniva confermata dalla CTR della Toscana sul rilevò fondante, per quello che in questa sede interessa, che dalla società appellata venne fatta comunicazione, il 27/1/89, all’Ufficio del nuovo domicilio fiscale in Via (OMISSIS) con conseguente irrilevanza del domicilio fiscale risultante dall’ultima dichiarazione.

Il Ministero delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate proponevano ricorso per cassazione, sostenuto da un unico motivo con il quale, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 58 e 60, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonché omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, premesso che in base alle norme denunciate le società devono comunicare all’Ufficio la variazione dell’indirizzo della loro sede legale o amministrativa e la variazione ai fini delle notificazioni ha effetto dal trentesimo giorno successivo alla comunicazione, sempre che tale variazione non risulti dalla dichiarazione annuale, nel qual caso essa ha effetto immediato, assumevano che essendo pacifico che la società contribuente in data 27/1/89 comunicò la variazione della sede da Via (OMISSIS) e che nella dichiarazione presentata in data 31/5/89 venne dichiarata la sede in Via (OMISSIS) correttamente la notifica dell’accertamento venne effettuata presso quest’ultimo indirizzo anche in considerazione della circostanza che comunque la sede indicata in dichiarazione ben poteva costituire nuova comunicazione e l’eventuale errore addotto dalla società al riguardo, non essendo riconoscibile dall’Amministrazione, non era ad essa opponibile.

Parte intimata non svolgeva attività difensiva,

Motivi della decisione
Il ricorso è fondato.

Invero a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, u.c., “Le variazioni e le modificazioni dell’indirizzo non risultanti dalla dichiarazione annuale hanno effetto, ai fini delle notificazioni,dal sessantesimo giorno successivo a quello della avvenuta variazione anagrafica o, per le persone giuridiche e le società ed enti privi di personalità giuridica, dal trentesimo giorno successivo a quello della ricezione da parte dell’ufficio della comunicazione prescritta nell’art. 36, comma 2. Se la comunicazione è stata omessa, la notificazione è eseguita validamente nel comune di domicilio fiscale risultante dall’ultima dichiarazione annuale”.

Dal che consegue, per un verso che la variazione dell’indirizzo può risultare anche dalla dichiarazione annuale, e dall’altro che la comunicazione della variazione di cui al comma 2 del precedente art. 36, il quale impone alla società di dare comunicazione all’ufficio delle imposte della variazione dell’indirizzo della loro sede legale o amministrativa, esplica la sua efficacia sino a quando non interviene una nuova variazione.

Nel caso di specie, invece, la CTR ha dato esclusivo rilievo alla comunicazione, effettuata il 27/1/89, di variazione dell’indirizzo senza valutare se questo, per effetto della successiva dichiarazione annuale, fosse nuovamente variato sì da coincidere con l’indirizzo presso il quale venne eseguita la notifica dell’avviso di accertamento.

Sulla base delle esposte considerazioni pertanto il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra CTR della Toscana,che procederà ad una nuova valutazione dei fatti alla stregua del principio sopra enunciato.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della CTR della Toscana.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 febbraio 2007.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2007


Firma digitale: quanto è sicura?

La firma digitale continua ad essere sicura anche se i matematici cinesi dell’università di Shandong hanno trovato il modo di “rompere” lo Sha-I, ovvero il codice che si usa nella crittografia. Se un documento a firma digitale potesse essere modificato prima di arrivare al destinatario senza che questi se ne accorga le conseguenze sarebbero disastrose, specie se si pensa che, in base all’art. 31 del codice sulla privacy, che fissa obblighi di sicurezza “in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnologico”, le responsabilità soggettive sarebbero anche penali.
Ma le cose non sono così semplici. La firma digitale si compone di due fasi: nella prima il documento digitale da firmare è compresso o dilatato secondo un preciso processo matematico (lo Sha-I appunto) in una sequenza fissa di 160 bit l’ “impronta”. Poi l’impronta è trasformata con un algoritmo (Rsa) in una sequenza di 1.024 bit, la “firma”. L’algoritmo opera con due chiavi differenti per firmatario, una per cifrare e una per decifrare. L’Rsa usa chiavi derivate da una coppia di numeri primi impiegati in modo complementare: per la cifratura la chiave privata è basata sui due numeri primi, mentre per la decifratura la chiave pubblica è basata sul loro prodotto.
La difficoltà per chi volesse violare il documento sta nel fatto che non è così facile scomporre il prodotto nei suoi due fattori, anche perché con le attuali tecniche di firma si usano numeri primi grandissimi, ognuno di 1.024 bit, pari a circa 330 cifre decimali. Non c’è altro modo di scomporre il numero se non per tentativi e il tempo per farlo, anche con i più potenti calcolatori, sarebbe superiore all’età dell’universo.
Il codice Sha-I è un processo che trasforma ogni documento in una sequenza di 160 bit. E’ impossibile risalire al documento che l’ha generato e al massimo, operando per tentativi, si ricaverebbe un documento con la stessa impronta ma che non ha nulla a che vedere con l’originale.
Allora cosa hanno fatto i matematici cinesi? Hanno trovato un metodo più intelligente di quello per tentativi. Ma in ultima analisi non cambia niente, perché continua ad essere impossibile recuperare il documento d’origine. Inoltre, anche se si riuscisse a rompere il codice Sha-I rimarrebbe comunque da decifrare l’Rsa.
Insomma la firma digitale continua ad essere sicura e inviolabile da ormai 10 anni e sembra che continuerà ad esserlo per ancora un bel po’ di tempo.

Fonte: biweb.it


Lavoro: le linee guida del Garante per posta elettronica e internet

Gazzetta Ufficiale n. 58 del 10 marzo 2007

Registro delle deliberazioni
Del. n. 13 del 1° marzo 2007

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

In data odierna, in presenza del prof. Francesco Pizzetti, presidente, del dott. Giuseppe Chiaravalloti, vice presidente, del dott. Giuseppe Fortunato e del dott. Mauro Paissan, componenti, e del dott. Giovanni Buttarelli, segretario generale;

Visti i reclami, le segnalazioni e i quesiti pervenuti riguardo ai trattamenti di dati personali effettuati da datori di lavoro riguardo all´uso, da parte di lavoratori, di strumenti informatici e telematici;

Vista la documentazione in atti;

Visti gli artt. 24 e 154, comma 1, lett. b) e c) del Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lg. 30 giugno 2003, n. 196);

Viste le osservazioni formulate dal segretario generale ai sensi dell´art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;

Relatore il dott. Mauro Paissan;

PREMESSO

1. Utilizzo della posta elettronica e della rete Internet nel rapporto di lavoro

1.1. Premessa
Dall’esame di diversi reclami, segnalazioni e quesiti è emersa l´esigenza di prescrivere ai datori di lavoro alcune misure, necessarie o opportune, per conformare alle disposizioni vigenti il trattamento di dati personali effettuato per verificare il corretto utilizzo nel rapporto di lavoro della posta elettronica e della rete Internet.

Occorre muovere da alcune premesse:

a) compete ai datori di lavoro assicurare la funzionalità e il corretto impiego di tali mezzi da parte dei lavoratori, definendone le modalità d´uso nell´organizzazione dell´attività lavorativa, tenendo conto della disciplina in tema di diritti e relazioni sindacali;
b) spetta ad essi adottare idonee misure di sicurezza per assicurare la disponibilità e l´integrità di sistemi informativi e di dati, anche per prevenire utilizzi indebiti che possono essere fonte di responsabilità (artt. 15, 31 ss., 167 e 169 del Codice);
c) emerge l´esigenza di tutelare i lavoratori interessati anche perché l´utilizzazione dei predetti mezzi, già ampiamente diffusi nel contesto lavorativo, è destinata ad un rapido incremento in numerose attività svolte anche fuori della sede lavorativa;
d) l´utilizzo di Internet da parte dei lavoratori può infatti formare oggetto di analisi, profilazione e integrale ricostruzione mediante elaborazione di log file della navigazione web ottenuti, ad esempio, da un proxy server o da un altro strumento di registrazione delle informazioni. I servizi di posta elettronica sono parimenti suscettibili (anche attraverso la tenuta di log file di traffico e-mail e l´archiviazione di messaggi) di controlli che possono giungere fino alla conoscenza da parte del datore di lavoro (titolare del trattamento) del contenuto della corrispondenza;
e) le informazioni così trattate contengono dati personali anche sensibili riguardanti lavoratori o terzi, identificati o identificabili. (1)

1.2. Tutela del lavoratore
Le informazioni di carattere personale trattate possono riguardare, oltre all´attività lavorativa, la sfera personale e la vita privata di lavoratori e di terzi. La linea di confine tra questi ambiti, come affermato dalla Corte europea dei diritti dell´uomo, può essere tracciata a volte solo con difficoltà. (2)

Il luogo di lavoro è una formazione sociale nella quale va assicurata la tutela dei diritti, delle libertà fondamentali e della dignità degli interessati garantendo che, in una cornice di reciproci diritti e doveri, sia assicurata l´esplicazione della personalità del lavoratore e una ragionevole protezione della sua sfera di riservatezza nelle relazioni personali e professionali (artt. 2 e 41, secondo comma, Cost.; art. 2087 cod. civ.; cfr. altresì l´art. 2, comma 5, Codice dell´amministrazione digitale (d.lg. 7 marzo 2005, n. 82), riguardo al diritto ad ottenere che il trattamento dei dati effettuato mediante l´uso di tecnologie telematiche sia conformato al rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell´interessato). (3)

Non a caso, nell’organizzare l´attività lavorativa e gli strumenti utilizzati, diversi datori di lavoro hanno prefigurato modalità d´uso che, tenendo conto del crescente lavoro in rete e di nuove tariffe di traffico forfettarie, assegnano aree di lavoro riservate per appunti strettamente personali, ovvero consentono usi moderati di strumenti per finalità private.

2. Codice in materia di protezione dei dati e discipline di settore

2.1. Principi generali
Nell’impartire le seguenti prescrizioni il Garante tiene conto del diritto alla protezione dei dati personali, della necessità che il trattamento sia disciplinato assicurando un elevato livello di tutela delle persone, nonché dei principi di semplificazione, armonizzazione ed efficacia (artt. 1 e 2 del Codice ). Le prescrizioni potranno essere aggiornate alla luce dell´esperienza e dell´innovazione tecnologica.

2.2. Discipline di settore
Alcune disposizioni di settore, fatte salve dal Codice, prevedono specifici divieti o limiti, come quelli posti dallo Statuto dei lavoratori sul controllo a distanza (artt. 113, 114 e 184, comma 3, del Codice; artt. 4 e 8 l. 20 maggio 1970, n. 300 ).

La disciplina di protezione dei dati va coordinata con regole di settore riguardanti il rapporto di lavoro e il connesso utilizzo di tecnologie, nelle quali è fatta salva o richiamata espressamente (art. 47, comma 3, lett. b) Codice dell´amministrazione digitale). (4)

2.3. Principi del Codice
I trattamenti devono rispettare le garanzie in materia di protezione dei dati e svolgersi nell´osservanza di alcuni cogenti principi:

a) il principio di necessità, secondo cui i sistemi informativi e i programmi informatici devono essere configurati riducendo al minimo l´utilizzazione di dati personali e di dati identificativi in relazione alle finalità perseguite (art. 3 del Codice; par. 5.2 );
b) il principio di correttezza, secondo cui le caratteristiche essenziali dei trattamenti devono essere rese note ai lavoratori (art. 11, comma 1, lett. a), del Codice). Le tecnologie dell´informazione (in modo più marcato rispetto ad apparecchiature tradizionali) permettono di svolgere trattamenti ulteriori rispetto a quelli connessi ordinariamente all´attività lavorativa. Ciò, all´insaputa o senza la piena consapevolezza dei lavoratori, considerate anche le potenziali applicazioni di regola non adeguatamente conosciute dagli interessati (v. par. 3 );
c) i trattamenti devono essere effettuati per finalità determinate, esplicite e legittime (art. 11, comma 1, lett. b), del Codice: par. 4 e 5), osservando il principio di pertinenza e non eccedenza (par. 6). Il datore di lavoro deve trattare i dati “nella misura meno invasiva possibile”; le attività di monitoraggio devono essere svolte solo da soggetti preposti (par. 8) ed essere “mirate sull´area di rischio, tenendo conto della normativa sulla protezione dei dati e, se pertinente, del principio di segretezza della corrispondenza” (Parere n. 8/2001, cit., punti 5 e 12 ).

3. Controlli e correttezza nel trattamento

3.1. Disciplina interna
In base al richiamato principio di correttezza, l´eventuale trattamento deve essere ispirato ad un canone di trasparenza, come prevede anche la disciplina di settore (art. 4, secondo comma, Statuto dei lavoratori;allegato VII, par. 3 d.lg. n. 626/1994 e successive integrazioni e modificazioni in materia di “uso di attrezzature munite di videoterminali”, il quale esclude la possibilità del controllo informatico “all´insaputa dei lavoratori”). (5)

Grava quindi sul datore di lavoro l´onere di indicare in ogni caso, chiaramente e in modo particolareggiato, quali siano le modalità di utilizzo degli strumenti messi a disposizione ritenute corrette e se, in che misura e con quali modalità vengano effettuati controlli. Ciò, tenendo conto della pertinente disciplina applicabile in tema di informazione, concertazione e consultazione delle organizzazioni sindacali.

Per la predetta indicazione il datore ha a disposizione vari mezzi, a seconda del genere e della complessità delle attività svolte, e informando il personale con modalità diverse anche a seconda delle dimensioni della struttura, tenendo conto, ad esempio, di piccole realtà dove vi è una continua condivisione interpersonale di risorse informative.

3.2. Linee guida
In questo quadro, può risultare opportuno adottare un disciplinare interno redatto in modo chiaro e senza formule generiche, da pubblicizzare adeguatamente (verso i singoli lavoratori, nella rete interna, mediante affissioni sui luoghi di lavoro con modalità analoghe a quelle previste dall’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, ecc.) e da sottoporre ad aggiornamento periodico.

A seconda dei casi andrebbe ad esempio specificato:

se determinati comportamenti non sono tollerati rispetto alla “navigazione” in Internet (ad es., il download di software o di file musicali), oppure alla tenuta di file nella rete interna;
in quale misura è consentito utilizzare anche per ragioni personali servizi di posta elettronica o di rete, anche solo da determinate postazioni di lavoro o caselle oppure ricorrendo a sistemi di webmail, indicandone le modalità e l´arco temporale di utilizzo (ad es., fuori dall’orario di lavoro o durante le pause, o consentendone un uso moderato anche nel tempo di lavoro);
quali informazioni sono memorizzate temporaneamente (ad es., le componenti di file di log eventualmente registrati) e chi (anche all’esterno) vi può accedere legittimamente;
se e quali informazioni sono eventualmente conservate per un periodo più lungo, in forma centralizzata o meno (anche per effetto di copie di back up, della gestione tecnica della rete o di file di log );
se, e in quale misura, il datore di lavoro si riserva di effettuare controlli in conformità alla legge, anche saltuari o occasionali, indicando le ragioni legittime –specifiche e non generiche– per cui verrebbero effettuati (anche per verifiche sulla funzionalità e sicurezza del sistema) e le relative modalità (precisando se, in caso di abusi singoli o reiterati, vengono inoltrati preventivi avvisi collettivi o individuali ed effettuati controlli nominativi o su singoli dispositivi e postazioni);
quali conseguenze, anche di tipo disciplinare, il datore di lavoro si riserva di trarre qualora constati che la posta elettronica e la rete Internet sono utilizzate indebitamente;
le soluzioni prefigurate per garantire, con la cooperazione del lavoratore, la continuità dell´attività lavorativa in caso di assenza del lavoratore stesso (specie se programmata), con particolare riferimento all´attivazione di sistemi di risposta automatica ai messaggi di posta elettronica ricevuti;
se sono utilizzabili modalità di uso personale di mezzi con pagamento o fatturazione a carico dell´interessato;
quali misure sono adottate per particolari realtà lavorative nelle quali debba essere rispettato l´eventuale segreto professionale cui siano tenute specifiche figure professionali;
le prescrizioni interne sulla sicurezza dei dati e dei sistemi (art. 34 del Codice, nonché Allegato B), in particolare regole 4, 9, 10 ).

3.3. Informativa (art. 13 del Codice)
All’onere del datore di lavoro di prefigurare e pubblicizzare una policy interna rispetto al corretto uso dei mezzi e agli eventuali controlli, si affianca il dovere di informare comunque gli interessati ai sensi dell´art. 13 del Codice, anche unitamente agli elementi indicati ai punti 3.1. e 3.2..

Rispetto a eventuali controlli gli interessati hanno infatti il diritto di essere informati preventivamente, e in modo chiaro, sui trattamenti di dati che possono riguardarli.

Le finalità da indicare possono essere connesse a specifiche esigenze organizzative, produttive e di sicurezza del lavoro, quando comportano un trattamento lecito di dati (art. 4, secondo comma, l. n. 300/1970 ); possono anche riguardare l´esercizio di un diritto in sede giudiziaria.

Devono essere tra l´altro indicate le principali caratteristiche dei trattamenti, nonché il soggetto o l´unità organizzativa ai quali i lavoratori possono rivolgersi per esercitare i propri diritti.

4. Apparecchiature preordinate al controllo a distanza

Con riguardo al principio secondo cui occorre perseguire finalità determinate, esplicite e legittime (art. 11, comma 1, lett. b), del Codice), il datore di lavoro può riservarsi di controllare (direttamente o attraverso la propria struttura) l´effettivo adempimento della prestazione lavorativa e, se necessario, il corretto utilizzo degli strumenti di lavoro (cfr. artt. 2086, 2087 e 2104 cod. civ. ).

Nell´esercizio di tale prerogativa occorre rispettare la libertà e la dignità dei lavoratori, in particolare per ciò che attiene al divieto di installare “apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell´attività dei lavoratori” (art. 4, primo comma, l. n. 300/1970), tra cui sono certamente comprese strumentazioni hardware e software mirate al controllo dell´utente di un sistema di comunicazione elettronica.

Il trattamento dei dati che ne consegue è illecito, a prescindere dall´illiceità dell´installazione stessa. Ciò, anche quando i singoli lavoratori ne siano consapevoli. (6)

In particolare non può ritenersi consentito il trattamento effettuato mediante sistemi hardware e software preordinati al controllo a distanza, grazie ai quali sia possibile ricostruire –a volte anche minuziosamente– l´attività di lavoratori. É il caso, ad esempio:

della lettura e della registrazione sistematica dei messaggi di posta elettronica ovvero dei relativi dati esteriori, al di là di quanto tecnicamente necessario per svolgere il servizio e-mail;
della riproduzione ed eventuale memorizzazione sistematica delle pagine web visualizzate dal lavoratore;
della lettura e della registrazione dei caratteri inseriti tramite la tastiera o analogo dispositivo;
dell´analisi occulta di computer portatili affidati in uso.
Il controllo a distanza vietato dalla legge riguarda l´attività lavorativa in senso stretto e altre condotte personali poste in essere nel luogo di lavoro. (7) A parte eventuali responsabilità civili e penali, i dati trattati illecitamente non sono utilizzabili (art. 11, comma 2, del Codice). (8)

5. Programmi che consentono controlli “indiretti”

5.1. Il datore di lavoro, utilizzando sistemi informativi per esigenze produttive o organizzative (ad es., per rilevare anomalie o per manutenzioni) o, comunque, quando gli stessi si rivelano necessari per la sicurezza sul lavoro, può avvalersi legittimamente, nel rispetto dello Statuto dei lavoratori (art. 4, comma 2), di sistemi che consentono indirettamente un controllo a distanza (c.d. controllo preterintenzionale) e determinano un trattamento di dati personali riferiti o riferibili ai lavoratori. (9) Ciò, anche in presenza di attività di controllo discontinue. (10)

Il trattamento di dati che ne consegue può risultare lecito. Resta ferma la necessità di rispettare le procedure di informazione e di consultazione di lavoratori e sindacati in relazione all´introduzione o alla modifica di sistemi automatizzati per la raccolta e l´utilizzazione dei dati (11), nonché in caso di introduzione o di modificazione di procedimenti tecnici destinati a controllare i movimenti o la produttività dei lavoratori. (12)

5.2. Principio di necessità
In applicazione del menzionato principio di necessità il datore di lavoro è chiamato a promuovere ogni opportuna misura, organizzativa e tecnologica volta a prevenire il rischio di utilizzi impropri (da preferire rispetto all´adozione di misure “repressive”) e, comunque, a “minimizzare” l´uso di dati riferibili ai lavoratori (artt. 3, 11, comma 1, lett. d) e 22, commi 3 e 5, del Codice; aut. gen. al trattamento dei dati sensibili n. 1/2005, punto 4).

Dal punto di vista organizzativo è quindi opportuno che:

si valuti attentamente l´impatto sui diritti dei lavoratori (prima dell´installazione di apparecchiature suscettibili di consentire il controllo a distanza e dell´eventuale trattamento);
si individui preventivamente (anche per tipologie) a quali lavoratori è accordato l´utilizzo della posta elettronica e l´accesso a Internet; (13)
si determini quale ubicazione è riservata alle postazioni di lavoro per ridurre il rischio di un loro impiego abusivo.
Il datore di lavoro ha inoltre l´onere di adottare tutte le misure tecnologiche volte a minimizzare l´uso di dati identificativi (c.d. privacy enhancing technologies–PETs ). Le misure possono essere differenziate a seconda della tecnologia impiegata (ad es., posta elettronica o navigazione in Internet).

a) Internet: la navigazione web
Il datore di lavoro, per ridurre il rischio di usi impropri della “navigazione” in Internet (consistenti in attività non correlate alla prestazione lavorativa quali la visione di siti non pertinenti, l´upload o il download di file, l´uso di servizi di rete con finalità ludiche o estranee all´attività), deve adottare opportune misure che possono, così, prevenire controlli successivi sul lavoratore. Tali controlli, leciti o meno a seconda dei casi, possono determinare il trattamento di informazioni personali, anche non pertinenti o idonei a rivelare convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, opinioni politiche, lo stato di salute o la vita sessuale (art. 8 l. n. 300/1970; artt. 26 e 113 del Codice; Provv. 2 febbraio 2006, cit. ).

In particolare, il datore di lavoro può adottare una o più delle seguenti misure opportune, tenendo conto delle peculiarità proprie di ciascuna organizzazione produttiva e dei diversi profili professionali:

individuazione di categorie di siti considerati correlati o meno con la prestazione lavorativa;
configurazione di sistemi o utilizzo di filtri che prevengano determinate operazioni –reputate inconferenti con l´attività lavorativa– quali l´upload o l´accesso a determinati siti (inseriti in una sorta di black list) e/o il download di file o software aventi particolari caratteristiche (dimensionali o di tipologia di dato);
trattamento di dati in forma anonima o tale da precludere l´immediata identificazione di utenti mediante loro opportune aggregazioni (ad es., con riguardo ai file di log riferiti al traffico web, su base collettiva o per gruppi sufficientemente ampi di lavoratori);
eventuale conservazione nel tempo dei dati strettamente limitata al perseguimento di finalità organizzative, produttive e di sicurezza.
b) Posta elettronica
Il contenuto dei messaggi di posta elettronica –come pure i dati esteriori delle comunicazioni e i file allegati– riguardano forme di corrispondenza assistite da garanzie di segretezza tutelate anche costituzionalmente, la cui ratio risiede nel proteggere il nucleo essenziale della dignità umana e il pieno sviluppo della personalità nelle formazioni sociali; un´ulteriore protezione deriva dalle norme penali a tutela dell´inviolabilità dei segreti (artt. 2 e 15 Cost.; Corte cost. 17 luglio 1998, n. 281 e 11 marzo 1993, n. 81; art. 616, quarto comma, c.p.; art. 49 Codice dell´amministrazione digitale). (14)

Tuttavia, con specifico riferimento all´impiego della posta elettronica nel contesto lavorativo e in ragione della veste esteriore attribuita all´indirizzo di posta elettronica nei singoli casi, può risultare dubbio se il lavoratore, in qualità di destinatario o mittente, utilizzi la posta elettronica operando quale espressione dell´organizzazione datoriale o ne faccia un uso personale pur operando in una struttura lavorativa.

La mancata esplicitazione di una policy al riguardo può determinare anche una legittima aspettativa del lavoratore, o di terzi, di confidenzialità rispetto ad alcune forme di comunicazione.

Tali incertezze si riverberano sulla qualificazione, in termini di liceità, del comportamento del datore di lavoro che intenda apprendere il contenuto di messaggi inviati all´indirizzo di posta elettronica usato dal lavoratore (posta “in entrata”) o di quelli inviati da quest´ultimo (posta “in uscita”).

É quindi particolarmente opportuno che si adottino accorgimenti anche per prevenire eventuali trattamenti in violazione dei principi di pertinenza e non eccedenza. Si tratta di soluzioni che possono risultare utili per contemperare le esigenze di ordinato svolgimento dell´attività lavorativa con la prevenzione di inutili intrusioni nella sfera personale dei lavoratori, nonché violazioni della disciplina sull´eventuale segretezza della corrispondenza.

In questo quadro è opportuno che:

il datore di lavoro renda disponibili indirizzi di posta elettronica condivisi tra più lavoratori (ad esempio, info@ente.it, ufficiovendite@ente.it, ufficioreclami@società.com, urp@ente.it, etc.), eventualmente affiancandoli a quelli individuali (ad esempio, m.rossi@ente.it, rossi@società.com, mario.rossi@società.it);
il datore di lavoro valuti la possibilità di attribuire al lavoratore un diverso indirizzo destinato ad uso privato del lavoratore; (15)
il datore di lavoro metta a disposizione di ciascun lavoratore apposite funzionalità di sistema, di agevole utilizzo, che consentano di inviare automaticamente, in caso di assenze (ad es., per ferie o attività di lavoro fuori sede), messaggi di risposta contenenti le “coordinate” (anche elettroniche o telefoniche) di un altro soggetto o altre utili modalità di contatto della struttura. É parimenti opportuno prescrivere ai lavoratori di avvalersi di tali modalità, prevenendo così l´apertura della posta elettronica. (16) In caso di eventuali assenze non programmate (ad es., per malattia), qualora il lavoratore non possa attivare la procedura descritta (anche avvalendosi di servizi webmail), il titolare del trattamento, perdurando l´assenza oltre un determinato limite temporale, potrebbe disporre lecitamente, sempre che sia necessario e mediante personale appositamente incaricato (ad es., l´amministratore di sistema oppure, se presente, un incaricato aziendale per la protezione dei dati), l´attivazione di un analogo accorgimento, avvertendo gli interessati;
in previsione della possibilità che, in caso di assenza improvvisa o prolungata e per improrogabili necessità legate all´attività lavorativa, si debba conoscere il contenuto dei messaggi di posta elettronica, l´interessato sia messo in grado di delegare un altro lavoratore (fiduciario) a verificare il contenuto di messaggi e a inoltrare al titolare del trattamento quelli ritenuti rilevanti per lo svolgimento dell´attività lavorativa. A cura del titolare del trattamento, di tale attività dovrebbe essere redatto apposito verbale e informato il lavoratore interessato alla prima occasione utile;
i messaggi di posta elettronica contengano un avvertimento ai destinatari nel quale sia dichiarata l´eventuale natura non personale dei messaggi stessi, precisando se le risposte potranno essere conosciute nell´organizzazione di appartenenza del mittente e con eventuale rinvio alla predetta policy datoriale.

6. Pertinenza e non eccedenza

6.1. Graduazione dei controlli
Nell´effettuare controlli sull´uso degli strumenti elettronici deve essere evitata un´interferenza ingiustificata sui diritti e sulle libertà fondamentali di lavoratori, come pure di soggetti esterni che ricevono o inviano comunicazioni elettroniche di natura personale o privata.

L´eventuale controllo è lecito solo se sono rispettati i principi di pertinenza e non eccedenza.

Nel caso in cui un evento dannoso o una situazione di pericolo non sia stato impedito con preventivi accorgimenti tecnici, il datore di lavoro può adottare eventuali misure che consentano la verifica di comportamenti anomali.

Deve essere per quanto possibile preferito un controllo preliminare su dati aggregati, riferiti all´intera struttura lavorativa o a sue aree.

Il controllo anonimo può concludersi con un avviso generalizzato relativo ad un rilevato utilizzo anomalo degli strumenti aziendali e con l´invito ad attenersi scrupolosamente a compiti assegnati e istruzioni impartite. L´avviso può essere circoscritto a dipendenti afferenti all´area o settore in cui è stata rilevata l´anomalia. In assenza di successive anomalie non è di regola giustificato effettuare controlli su base individuale.

Va esclusa l´ammissibilità di controlli prolungati, costanti o indiscriminati.

6.2. Conservazione
I sistemi software devono essere programmati e configurati in modo da cancellare periodicamente ed automaticamente (attraverso procedure di sovraregistrazione come, ad esempio, la cd. rotazione dei log file ) i dati personali relativi agli accessi ad Internet e al traffico telematico, la cui conservazione non sia necessaria.
In assenza di particolari esigenze tecniche o di sicurezza, la conservazione temporanea dei dati relativi all´uso degli strumenti elettronici deve essere giustificata da una finalità specifica e comprovata e limitata al tempo necessario –e predeterminato– a raggiungerla (v. art. 11, comma 1, lett. e), del Codice ).

Un eventuale prolungamento dei tempi di conservazione va valutato come eccezionale e può aver luogo solo in relazione:

ad esigenze tecniche o di sicurezza del tutto particolari;
all´indispensabilità del dato rispetto all´esercizio o alla difesa di un diritto in sede giudiziaria;
all´obbligo di custodire o consegnare i dati per ottemperare ad una specifica richiesta dell´autorità giudiziaria o della polizia giudiziaria.
In questi casi, il trattamento dei dati personali (tenendo conto, con riguardo ai dati sensibili, delle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni generali nn. 1/2005 e 5/2005 adottate dal Garante) deve essere limitato alle sole informazioni indispensabili per perseguire finalità preventivamente determinate ed essere effettuato con logiche e forme di organizzazione strettamente correlate agli obblighi, compiti e finalità già esplicitati.

7. Presupposti di liceità del trattamento: bilanciamento di interessi

7.1. Datori di lavoro privati
I datori di lavoro privati e gli enti pubblici economici, se ricorrono i presupposti sopra indicati (v., in particolare, art. 4, secondo comma, dello Statuto ), possono effettuare lecitamente il trattamento dei dati personali diversi da quelli sensibili.

Ciò, può avvenire:

a) se ricorrono gli estremi del legittimo esercizio di un diritto in sede giudiziaria (art. 24, comma 1, lett. f) del Codice );
b) in caso di valida manifestazione di un libero consenso;
c) anche in assenza del consenso, ma per effetto del presente provvedimento che individua un legittimo interesse al trattamento in applicazione della disciplina sul c.d. bilanciamento di interessi (art. 24, comma 1, lett. g), del Codice ).

Per tale bilanciamento si è tenuto conto delle garanzie che lo Statuto prevede per il controllo “indiretto” a distanza presupponendo non il consenso degli interessati, ma un accordo con le rappresentanze sindacali (o, in difetto, l´autorizzazione di un organo periferico dell´amministrazione del lavoro).

L´eventuale trattamento di dati sensibili è consentito con il consenso degli interessati o, senza il consenso, nei casi previsti dal Codice (in particolare, esercizio di un diritto in sede giudiziaria, salvaguardia della vita o incolumità fisica; specifici obblighi di legge anche in caso di indagine giudiziaria: art. 26).

7.2. Datori di lavoro pubblici
Per quanto riguarda i soggetti pubblici restano fermi i differenti presupposti previsti dal Codice a seconda della natura dei dati, sensibili o meno (artt. 18-22 e 112).

In tutti i casi predetti resta impregiudicata la facoltà del lavoratore di opporsi al trattamento per motivi legittimi (art. 7, comma 4, lett. a), del Codice ).

8. Individuazione dei soggetti preposti

Il datore di lavoro può ritenere utile la designazione (facoltativa), specie in strutture articolate, di uno o più responsabili del trattamento cui impartire precise istruzioni sul tipo di controlli ammessi e sulle relative modalità (art. 29 del Codice ).

Nel caso di eventuali interventi per esigenze di manutenzione del sistema, va posta opportuna cura nel prevenire l´accesso a dati personali presenti in cartelle o spazi di memoria assegnati a dipendenti.

Resta fermo l´obbligo dei soggetti preposti al connesso trattamento dei dati (in particolare, gli incaricati della manutenzione) di svolgere solo operazioni strettamente necessarie al perseguimento delle relative finalità, senza realizzare attività di controllo a distanza, anche di propria iniziativa.

Resta parimenti ferma la necessità che, nell´individuare regole di condotta dei soggetti che operano quali amministratori di sistema o figure analoghe cui siano rimesse operazioni connesse al regolare funzionamento dei sistemi, sia svolta un´attività formativa sui profili tecnico-gestionali e di sicurezza delle reti, sui principi di protezione dei dati personali e sul segreto nelle comunicazioni (cfr. Allegato B) al Codice, regola n. 19.6; Parere n. 8/2001 cit., punto 9).

TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE

1) prescrive ai datori di lavoro privati e pubblici, ai sensi dell´art. 154, comma 1, lett. c), del Codice, di adottare la misura necessaria a garanzia degli interessati, nei termini di cui in motivazione, riguardante l´onere di specificare le modalità di utilizzo della posta elettronica e della rete Internet da parte dei lavoratori (punto 3.1.), indicando chiaramente le modalità di uso degli strumenti messi a disposizione e se, in che misura e con quali modalità vengano effettuati controlli;

2) indica inoltre, ai medesimi datori di lavoro, le seguenti linee guida a garanzia degli interessati, nei termini di cui in motivazione, per ciò che riguarda:

a) l´adozione e la pubblicizzazione di un disciplinare interno (punto 3.2.);

b) l´adozione di misure di tipo organizzativo (punto 5.2.) affinché, segnatamente:

si proceda ad un´attenta valutazione dell´impatto sui diritti dei lavoratori;
si individui preventivamente (anche per tipologie) a quali lavoratori è accordato l´utilizzo della posta elettronica e dell´accesso a Internet;
si individui quale ubicazione è riservata alle postazioni di lavoro per ridurre il rischio di impieghi abusivi;
c) l´adozione di misure di tipo tecnologico, e segnatamente:

I. rispetto alla “navigazione” in Internet (punto 5.2., a):

l´individuazione di categorie di siti considerati correlati o non correlati con la prestazione lavorativa;
la configurazione di sistemi o l´utilizzo di filtri che prevengano determinate operazioni;
il trattamento di dati in forma anonima o tale da precludere l´immediata identificazione degli utenti mediante opportune aggregazioni;
l´eventuale conservazione di dati per il tempo strettamente limitato al perseguimento di finalità organizzative, produttive e di sicurezza;
la graduazione dei controlli (punto 6.1.);
II. rispetto all´utilizzo della posta elettronica (punto 5.2., b):

la messa a disposizione di indirizzi di posta elettronica condivisi tra più lavoratori, eventualmente affiancandoli a quelli individuali;
l´eventuale attribuzione al lavoratore di un diverso indirizzo destinato ad uso privato;
la messa a disposizione di ciascun lavoratore, con modalità di agevole esecuzione, di apposite funzionalità di sistema che consentano di inviare automaticamente, in caso di assenze programmate, messaggi di risposta che contengano le “coordinate” di altro soggetto o altre utili modalità di contatto dell´istituzione presso la quale opera il lavoratore assente;
consentire che, qualora si debba conoscere il contenuto dei messaggi di posta elettronica in caso di assenza improvvisa o prolungata e per improrogabili necessità legate all´attività lavorativa, l´interessato sia messo in grado di delegare un altro lavoratore (fiduciario) a verificare il contenuto di messaggi e a inoltrare al titolare del trattamento quelli ritenuti rilevanti per lo svolgimento dell´attività lavorativa. Di tale attività dovrebbe essere redatto apposito verbale e informato il lavoratore interessato alla prima occasione utile;
l´inserzione nei messaggi di un avvertimento ai destinatari nel quale sia dichiarata l´eventuale natura non personale del messaggio e sia specificato se le risposte potranno essere conosciute nell´organizzazione di appartenenza del mittente;
la graduazione dei controlli (punto 6.1.);

3) vieta ai datori di lavoro privati e pubblici, ai sensi dell´art. 154, comma 1, lett. d), del Codice, di effettuare trattamenti di dati personali mediante sistemi hardware e software che mirano al controllo a distanza di lavoratori (punto 4), svolti in particolare mediante:

a) la lettura e la registrazione sistematica dei messaggi di posta elettronica ovvero dei relativi dati esteriori, al di là di quanto tecnicamente necessario per svolgere il servizio e-mail;

b) la riproduzione e l´eventuale memorizzazione sistematica delle pagine web visualizzate dal lavoratore;

c) la lettura e la registrazione dei caratteri inseriti tramite la tastiera o analogo dispositivo;

d) l´analisi occulta di computer portatili affidati in uso;

4) individua, ai sensi dell´art. 24, comma 1, lett. g), del Codice, nei termini di cui in motivazione (punto 7), i casi nei quali il trattamento dei dati personali di natura non sensibile possono essere effettuati per perseguire un legittimo interesse del datore di lavoro anche senza il consenso degli interessati;

5) dispone che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Ministero della giustizia-Ufficio pubblicazione leggi e decreti, per la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana ai sensi dell´art. 143, comma 2, del Codice.

Roma, 1° marzo 2007

IL PRESIDENTE
Pizzetti

IL RELATORE
Paissan

IL SEGRETARIO GENERALE
Buttarelli


Il datore di lavoro non può controllare le e-mail nè i siti web visitati dal dipendente

Il garante per la protezione dei dati personali, in data 1° marzo 2007, ha emanato un provvedimento generale diretto a fornire concrete indicazioni circa l’utilizzo del computer nei luoghi di lavoro, con particolar attenzione all’uso di internet e della posta elettronica. Al riguardo, atteso che la verifica dei siti web visitati dal dipendente e l’esame dei messaggi di posta elettronica può comportare l’acquisizione di informazioni che rilevano nella sfera privata dello stesso, il provvedimento, mira a predisporre delle misure idonee a prevenire usi arbitrari di tali strumenti informatici, al fine di tutelare la riservatezza degli stessi lavoratori, vietando il monitoraggio delle attività informatiche. In particolare, si prescrive il divieto per i datori di lavoro pubblici e privati di controllare la posta elettronica e la navigazione in internet dei dipendenti, salvo limitati casi connotati da carattere di eccezionalità, anche perché, l’attività di monitoraggio delle pagine web e della posta integrerebbe un controllo a distanza del lavoratore espressamente precluso dall’art. 4 dello statuto dei lavoratori. Si prevede, altresì, che gli stessi datori di lavoro dovranno informare preventivamente e dettagliatamente i dipendenti sull’utilizzo del computer sul luogo di lavoro e della possibilità dell’effettuazione di controlli. Tra le iniziative suggerite dallo stesso garante si segnalano: – la individuazione preventiva dei siti accessibili compatibili con le politiche del lavoro relativo all’azienda interessata; – l’utilizzo di filtri che impediscano operazioni non consentite; – la valutazione della possibilità di un indirizzo alternativo per messaggi di posta elettronica privata, delegando formalmente un altro lavoratore per il controllo della posta elettronica in caso di assenza prolungata. Specifiche misure di tutela sono state previste dal Garante per le professioni


Cass. civ., Sez. III, Sent., (data ud. 17/11/2006) 29/03/2007, n. 7737

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Consigliere

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere

Dott. TALEVI Alberto – rel. Consigliere

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

ISTITUTO AUTONOMO CASE POPOLARI DI TARANTO, in persona del Commissario Straordinario dott. V.C. elettivamente domiciliato in ROMA LUNGOTEVERE FLAMINIO N. 46 pal. IV sc. B, presso lo studio dell’avvocato Gian Marco Grez, difeso dall’avvocato Giuseppe Adeo Ostilio, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

IMPRESA EDILE “ing. P.N.” in concordato preventivo, in persona del suo Liquidatore avv. Carlo Schiavoni, elettivamente domiciliata a Roma viale Giulio Cesare n. 71 (studio dell’avv. Vito Nanna) presso l’avv. Vito Spinelli che la difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 59/03 della Corte d’Appello di Lecce Sezione distaccata di Taranto emessa il 17.03.03, depositata il 07.04.03; rg. 445/01;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/11/06 dal Consigliere Dott. Alberto Talevi;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Nell’impugnata decisione lo svolgimento del processo è esposto come segue.

Con atto di citazione del 5 gennaio 1995 l’Istituto Autonomo Case Popolari di Taranto riassumeva dinanzi al Tribunale di Taranto il giudizio di opposizione all’esecuzione intrapresa per l’importo di Lire trecento milioni dall’impresa P.N. in concordato preventivo con il pignoramento del proprio credito nei confronti della Banca del Salento; a sostegno dell’opposizione, spiegata inizialmente dinanzi al pretore di Taranto, l’istituto aveva dedotto la prescrizione del diritto fatto valere dall’impresa menzionata, costituito a suo parere dai lodi arbitrali depositati a composizione delle controversie insorte sul pagamento di somme relative all’esecuzione dei contratti di appalto conclusi con l’impresa stessa; negava altresì, l’istante, il diritto della ditta P. di esercitare l’azione esecutiva perché esso era mutuatario della Cassa Depositi e Prestiti, e dunque le azioni esecutive non potevano essere iniziate e proseguite senza il preventivo nulla-osta del Ministro dei lavori Pubblici. Nella specie il pignoramento presso terzi aveva impedito all’istituto di procedere a pagamenti indifferibili e di pagare gli stipendi dei dipendenti, che a loro volta avevano avviato procedure esecutive in proprio danno.

Dichiaratosi incompetente per valore il pretore adito, con l’atto di citazione in riassunzione l’Iacp chiedeva al tribunale di Tarante dichiarare inammissibile c/o improcedibile l’azione esecutiva avviata dalla ditta P., e perciò nullo il pignoramento.

Si costituivano all’udienza di prima comparizione delle parti del 23 marzo 1995 l’impresa P.N. in concordato preventivo e la Banca del Salento con il deposito delle comparse di risposta; la prima per domandare il rigetto dell’opposizione per le ragioni spiegate al pretore, la seconda per rimettersi alle decisioni del tribunale, ricordando di avere leso già la dichiarazione negativa.

Compiuta l’istruttoria, il Tribunale di Taranto I sezione stralcio in composizione monocratica con sentenza del 15 maggio-15 settembre 2000 rigettava l’opposizione dell’Iacp e lo condannava a pagare le spese del giudizio.

Con atto d’appello notificato il 26 ottobre 2001 l’ente soccombente ha chiesto la riforma di tale pronuncia, l’accoglimento delle domande proposte al primo giudice; ha resistito all’appello l’impresa P.N. in concordato preventivo che, costituitasi con comparsa di risposta depositata all’udienza di prima comparizione delle parti in data 15 gennaio 2002, ha insistito nella conferma della sentenza gravata. Compiuta la fase istruttoria, la causa è stata riservata in decisione sulle conclusioni trascritte in epigrafe all’udienza collegiale del 7 marzo 2003.” Con sentenza 17.3-7.4.2003 la Corte di Appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto – decideva come segue: “…rigetta l’appello proposto dall’Istituto Autonomo case Popolari di Taranto con atto notificato il 26 ottobre 2001 in contraddittorio con l’Impresa edile Ing. P.N. in concordato preventivo avverso la sentenza del Tribunale di Taranto I sezione stralcio in composizione monocratica in data 15 maggio – 15 settembre 2000; condanna l’appellante, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento delle spese sostenute in questo grado di giudizio dall’appellata, che liquida in Euro 2.683,00, di cui Euro 113,00 per spese, Euro 685,00 per diritti ed Euro l885,00 per onorario di avvocato, oltre accessori di legge… Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Istituto Autonomo Case Popolari di Taranto.

Ha resistito con controricorso l’”IMPRESA EDILE “ing. P.N.” in concordato preventivo (omologato dal Tribunale di Bari con sentenza 7/20.7.1986 n. 2516), in persona del suo Liquidatore avv. CARLO SCHIAVONI”.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione
Va anzitutto rilevato che non sussistono le ragioni di inammissibilità del ricorso e dei relativi motivi dedotte dalla parte controricorrente.

Osserva in particolare il collegio che la sentenza di primo grado non aveva per oggetto solo una opposizione all’esecuzione, ma anche altre domande (v. in particolare le domande dell’I.A.C.P. definite “riconvenzionali” nella decisione della Corte di merito); con la conseguenza che era applicabile la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale e che l’appello giustamente è stato (implicitamente) considerato tempestivo da detta Corte d’Appello. Inoltre i motivi di ricorso (salvo per quanto verrà esposto in seguito) sono specifici e rituali (pur se privi di pregio).

I due motivi di ricorso vanno esaminati insieme in quanto connessi.

Con il primo motivo l’Istituto Autonomo Case Popolari di Taranto denuncia ex “Art. 360 c.p.c., n. 3 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 474 c.p.c. e dei principi di natura sostanziale e procedurale in tema di sentenze dichiarative e della loro inidoneità ad essere azionate in executivis” esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. Nella sentenza n. 1000/92 passata in giudicato, il Tribunale di Taranto ha accolto la domanda dello IACP per quanto di ragione. Trascurando le altre statuizioni della sentenza che, in accoglimento delle domande proposte in via riconvenzionale dallo IACP, hanno condannato la Impresa Edile ing. P.N. al pagamento in suo favore delle somme ivi indicate, è indubbio che la sentenza, nella parte relativa all’accoglimento delle opposizioni ai precetti, sia pure per quanto di ragione, aveva ed ha tutt’ora natura dichiarativa con la conseguenza che essa, per quanto statuito ai punti sub 1 e 2, non ha valenza di titolo esecutivo dal momento che non condanna la parte IACP al pagamento di somme in favore della Impresa P., ma afferma solo che questa, in forza dei lodi pronunziati dai Collegi Arbitrali avrebbe dovuto intimare precetti soltanto in forza dei lodi relativi agli appalti denominati Canale A e Canale B e solo per gli importi dalla stessa sentenza indicati. La Corte di Appello di Lecce, avendo rilevato che sia il precetto e sia il pignoramento presso terzi erano stati posti in essere non in forza dei lodi arbitrali che rimanevano (se non prescritta l’actio judicati) gli unici titoli esecutivi regolanti rapporti tra le parti ivi definiti, avrebbe dovuto accogliere l’opposizione e dichiarare che l’esecuzione era nulla, al pari dei relativi atti, perché intrapresa senza titolo esecutivo. La Corte di merito invece ha ritenuto la sentenza n. 1000/92, pur nelle statuizioni dichiarative, titolo esecutivo, così affermando che essa, nonostante la sua natura dichiarativa sul punto, era stata correttamente posta a base della esecuzione intrapresa. Invece avrebbe dovuto accogliere il gravame negando che la Impresa ing. P.N. potesse azionare la sentenza n. 1000/92 come titolo esecutivo per un suo credito verso lo IACP di Taranto.

Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia “Art. 360 c.p.c., n. 3.

– Violazione e falsa applicazione della normativa in tema di prescrizione dell’actio judicati e di interruzione della prescrizione ed in ispecie del disposto di cui agli artt. 2946, 2943 e 2945 c.c.” esponendo doglianze che vanno riassunte come segue. E’ pacifico: – che la Impresa Ing. P.N., una volta intervenute le pronunzie dei due lodi arbitrali del 26/4/80, ne ha conseguito la relativa declaratoria di esecutorietà in data 29/4/1980 e che, intervenuta la pronunzia del lodo arbitrale del 26/9/1980, ne ha conseguito la esecutorietà il successivo 27/9/1980;

– che la Impresa Ing. P.N. in data 31/10/1983 ebbe a notificare allo IACP di Taranto i tre lodi arbitrali spediti in forma esecutiva e tre atti di precetto, ognuno dei quali in forza del lodo di riferimento;

– che avverso le dette intimazioni lo IACP propose il 10/11/1983 tre distinte opposizioni a precetto nelle quali negò di dovere gli interessi successivi alla pronunzia dei lodi e spiegò domanda riconvenzionale per l’accertamento di suoi crediti verso la intimante e, quindi, la condanna della Impresa Ing. P.N. a tali pagamenti in suo favore;

– che la Impresa Ing. P.N. lasciò perimere i precetti intimati, in quanto non diede poi corso ad esecuzione eseguendo pignoramento in forza degli stessi; – che nei dieci anni successivi alla intimazione dei precetti, avvenuta il 31/10/1983, la Impresa ing. P.N. non ne reiterò la notifica e né richiese in alcuna delle forme indicate nell’art. 2943 c.c. il pagamento del suo credito ancora insoddisfatto e portato dai tre lodi arbitrali. L’Impresa Ing. P.N. avrebbe dovuto interrompere il termine prescrizionale decennale della actio judicati entro il 31/10/1993 compiendo uno degli atti dei quali era onerato a tal fine e che l’art. 2943 c.c. tassativamente individua. Sostiene la Corte di Appello di Lecce che, poiché a seguito della opposizione a precetto si instaura un giudizio ordinario in cui l’intimante si costituisce e sostiene la fondatezza del proprio diritto e, dunque, la sua affermazione, il termine di prescrizione rimane interrotto sino alla definizione del giudizio con sentenza passata in giudicato; ma con tale affermazione la Corte di Appello di Lecce non ha dato corretta applicazione né al disposto di cui all’art. 2943 c.c. e art. 2945 c.c., comma 2 e né ancora al disposto dell’art. 2946 c.c. e per di più ha anche disatteso il costante insegnamento sul punto della Suprema Corte (Cass. 25/3/2002 n. 4203). Nel caso di specie il comportamento del creditore fu di semplice resistenza alla domanda della quale richiese il rigetto. Nella fattispecie, dunque, difettava e difetta da parte della Impresa Ing. P.N. il compimento di atto che, dando inizio al giudizio, abbia avuto effetti interruttivi permanenti della prescrizione propri della domanda giudiziale e dell’azione esecutiva e/o cautelare.

Il ricorso non può essere accolto.

Occorre premettere che la parte ricorrente sembra impostare il suo assunto difensivo essenzialmente sulla negazione del diritto della controparte di procedere all’esecuzione in quanto detto diritto era prescritto con riferimento agli originari titoli (i tre lodi suddetti) e non sussisteva con riferimento alla sentenza n. 1000/92 in quanto questa non costituiva titolo esecutivo.

Una volta assodato che questa è la tesi fondamentale contenuta nel ricorso per cassazione, va anzitutto osservato che basta la non accoglibilità delle doglianze concernenti tale prescrizione per togliere ogni valida base al ricorso medesimo, in quanto, stando anche alla tesi medesima il diritto della controparte di procedere all’esecuzione dovrebbe in tal caso ritenersi sussistente non essendo rimasto prescritto (se la parte ricorrente sostiene che il diritto di procedere all’esecuzione non può basarsi sui tre lodi a causa della prescrizione, e solo a causa di questa, implicitamente ammette che in assenza di prescrizione il diritto medesimo dovrebbe considerarsi sussistente; e ciò a prescindere da qualsivoglia considerazione circa la possibilità di considerare titolo esecutivo la sentenza n. 1000/92; è appena il caso di ricordare che ovviamente possono essere esaminate solo le doglianze esposte e nei limiti in cui sono state ritualmente enunciate).

Così delimitato l’ambito del presente giudizio, va anzitutto confermato il principio di diritto secondo cui “Il precetto, non costituendo atto diretto alla instaurazione di un giudizio né del processo esecutivo, interrompe la prescrizione senza effetti permanenti, ed il carattere solo istantaneo dell’efficacia interruttiva sussiste anche nel caso in cui, dopo la sua notificazione, l’intimato abbia proposto opposizione, atteso che l’opposizione ex art. 615 c.p.c. più che atto di impugnazione del precetto è atto con il quale il debitore, minacciato di esecuzione, chiede l’accertamento negativo del credito” (v. la recente sent. Cass. n. 15190 del 19/07/2005; oltre la sopra citata Cass. n. 4203 del 25/03/2002).

Va però rilevato che mentre la mera opposizione dell’intimato (e quindi l’attività processuale solo di detta parte) non può avere affetti ai fini della predetta interruzione, la questione si pone in termini nettamente diversi con riferimento all’eventuale attività processuale del creditore opposto in detto processo di opposizione.

Infatti se costui si costituisce formulando una domanda comunque tendente all’affermazione del proprio diritto di procedere all’esecuzione (ed in tale categoria va compresa certamente anche la mera richiesta di rigetto dell’opposizione) compie una attività processuale rientrante nella fattispecie astratta prevista dal secondo comma dell’art. 2943 c.c. “…E’ pure interrotta dalla domanda proposta nel corso di un giudizio…”.

Ad ulteriore suffragio di quanto ora esposto va in particolare rilevato che nelle fattispecie come quella in questione, in cui il diritto predetto deriva da un provvedimento giurisdizionale, il creditore convenuto nel giudizio di opposizione a precetto non ha altro modo per tutelare il diritto medesimo che chiedere il rigetto dell’opposizione; quindi non può negarsi a detta attività processuale il valore di atto espressivo della volontà di esercitare il diritto di credito con effetti non solo processuali ma anche concernenti l’interruzione della prescrizione.

Di conseguenza va enunciato il seguente principio di diritto: “La mera proposizione di opposizione ex art. 615 c.p.c. da parte dell’intimato dopo la notificazione del precetto non modifica il carattere solo istantaneo dell’efficacia interruttiva di detta notifica; ma se il creditore opposto si costituisce formulando una domanda comunque tendente all’affermazione del proprio diritto di procedere all’esecuzione (ed in tale categoria va compresa certamente anche la mera richiesta di rigetto dell’opposizione) compie una attività processuale rientrante nella fattispecie astratta prevista dal secondo comma dell’art. 2943 c.c.; e quindi, ai sensi dell’art. 2945 c.c., comma 2 la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio”.

Sulla base di quanto ora esposto appare incontestabile l’infondatezza in diritto della tesi della parte ricorrente circa l’interruzione della prescrizione.

Tale infondatezza comporta a sua volta l’infondatezza di tutte le doglianze comunque concernenti detta interruzione (negata dall’IACP) in relazione al sopra citato giudizio di opposizione riassunto innanzi al Tribunale di Taranto.

Ma a questo punto appare altresì incontestabile l’irrilevanza delle doglianze svolte nel primo motivo, in quanto l’impugnata sentenza è comunque destinata a rimanere ferma in base alla ratio decidendi concernente l’affermato (dalla Corte) effetto interruttivo a carattere permanente.

E’ opportuno aggiungere che qualora la parte ricorrente avesse inteso porre concretamente a base del ricorso per cassazione anche la tesi che (pure a prescindere dalle problematiche predette circa la prescrizione; e quindi pure ipotizzando la sussistenza del diritto della controparte di procedere all’esecuzione sulla base dei lodi) comunque l’Impresa edile “Ing. P.N.” irritualmente ha notificato il precetto in questione sulla base della sentenza n. 1000/92 (in quanto erano in ogni caso i lodi arbitrali – se non prescritta l’actio judicati – gli unici titoli esecutivi da porre a base dell’esecuzione) si sarebbe di fronte ad una tesi difensiva inammissibile per le seguenti ragioni.

Affermare che dei titoli esecutivi esistono (nell’ipotesi di mancata prescrizione) e (implicitamente) che quindi sussiste il diritto di procedere all’esecuzione; ma che a base del precetto (e – eventualmente – degli atti successivi) è stato posto un titolo errato (invece di quelli giusti) significa (non negare la sussistenza del diritto di procedere all’esecuzione ma) denunciare semplicemente una irritualità formale del precetto (e/o degli atti successivi). Significa cioè proporre doglianze inquadrabili nell’ambito della fattispecie astratta prevista dall’art. 617 c.p.c. (opposizione agli atti esecutivi). Ma l’IACP sembra negare di aver mai inteso proporre un siffatto tipo di opposizione. Le eventuali doglianze in questione sarebbero dunque inammissibili in quanto nuove (persino stando a quanto emerge dalle argomentazioni di detta parte opponente); e comunque sarebbero inammissibili in quanto non corredate da adeguato e specifico (ex art. 617 c.p.c.) supporto argomentativo.

Infine (pure a prescindere da quanto ora osservato) va rilevato che dovrebbe in ogni caso essere dichiarata d’ufficio l’inammissibilità dell’opposizione ex art. 617 c.p.c. per mancato rispetto (a quanto sembra emergere dagli atti disponibili) del termine previsto nella norma medesima.

Sulla base di quanto sopra esposto il ricorso va respinto.

Data la peculiarità e parziale novità delle problematiche giuridiche in questione, debbono ritenersi sussistenti giusti motivi per compensare le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso a Roma, il 17 novembre 2006.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2007


Bilancio 2006

Atti relativi al Bilancio dell’Associazione dell’anno 2006 approvato dalla Giunta Esecutiva del 13.03.2007 e dal Consiglio Generale del 16.03.2007

Leggi: Bilancio 2006


Cons. Stato Sez. VI, (ud. 30-01-2007) 20-03-2007, n. 1309

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Sesta)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto da D.A., rappresentato e difeso dall’avv. Domenico Condemi, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, via Costantino Morin, 45

contro

l’I.N.P.S. – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Valerio Mercanti e dall’avv. Patrizia Tadris, e con loro elettivamente domiciliato in Roma, via della Frezza, n. 17, presso l’Ufficio Legale dell’Istituto;

per l’annullamento

della sentenza n. 10729 del 2001 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. III, resa inter partes..

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti tutti della causa;

Visto l’atto di costituzione dell’INPS;

Viste le memorie delle parti a sostegno delle rispettive difese;

Alla pubblica udienza del 30 gennaio 2007, relatore il Consigliere Giuseppe Romeo, uditi l’avv. Condemi e l’avv. Tadris;

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1.- Il TAR Lazio, con la sentenza di cui si chiede la riforma, ha respinto il ricorso dell’istante avverso la deliberazione del Consiglio di Amministrazione dell’INPS di rigetto della sua domanda intesa ad ottenere il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle lesioni dallo stesso subite a seguito di incidente stradale, in cui era rimasto coinvolto con la propria autovettura, mentre si recava al luogo di lavoro.

Il TAR ha individuato la ragione dell’infondatezza del ricorso, nel fatto che l’incidente in questione è stato causato da un errore di guida inescusabile del ricorrente, che si è immesso in una importante via di comunicazione, senza fermarsi allo “stop”. Sotto questo profilo, è parso legittimo il deliberato del Consiglio di Amministrazione che ha denegato il riconoscimento richiesto, dal momento che la condotta del ricorrente integra gli estremi della colpa grave, per cui, ai sensi dell’art. 1 del regolamento Organico, deve essere escluso il nesso di causalità tra il servizio prestato e l’infortunio subito “in itinere”.

2.- Appella l’interessato, il quale contesta la sentenza impugnata, giacché questa non avrebbe tenuto conto della normativa in materia (D.P.R. n. 411/1976; D.P.R. n. 1092/1973; D.P.R. n. 1124/1965) e avrebbe avallato acriticamente “la descrizione della dinamica” dell’incidente, che i Carabinieri avrebbero fatto in modo lacunoso. In ogni caso, se volesse ravvisarsi nella specie la colpa grave del ricorrente, al fine di escludere il nesso di causalità ai sensi dell’art. 1 del Regolamento Organico, occorre evidenziare che tale disposizione regolamentare è illegittima, perché contrasta con la normativa avanti citata. La consulenza tecnica di parte, la cui perizia è stata depositata in giudizio, dimostrerebbe però che la responsabilità del sinistro “è attribuibile al conducente dell’altra autovettura”, e immotivatamente il Consiglio di Amministrazione avrebbe recepito “il verbale dei Carabinieri”.

3.- Resiste l’INPS, chiedendo la reiezione del ricorso, siccome infondato.

4.- Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’udienza del 30 gennaio 2007.

Il Consiglio di Amministrazione dell’INPS, pronunciandosi sulla domanda dell’interessato volta ad ottenere il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle lesioni dallo stesso subite a seguito di un incidente stradale nel quale è rimasto coinvolto, mentre si recava, con la sua autovettura, al lavoro, ha escluso nella specie il nesso di casualità tra servizio prestato e infortunio “in itinere” occorso. La ragione del contestato diniego (riconosciuta legittima dal TAR) è stata esplicitata nel provvedimento impugnato: il dipendente “ometteva di fermarsi allo “stop”, secondo quanto risulta dal verbale redatto dai Carabinieri di Cisterna intervenuti sul luogo dell’incidente”.

La motivazione è chiara, precisa e circostanziata, e il Collegio non può che condividerla, non essendo chiamato a ricostruire (come pretende l’appellante, il quale analizza in dettaglio “la dinamica dell’incidente” con l’ausilio di una consulenza tecnica di parte) le modalità dell’incidente.

Una adesione alla versione dell’incidente, tendente ad escludere la responsabilità dell’interessato per attribuirla all’altro conducente, che “procedeva ad alta velocità nonostante l’incrocio segnalato ed il pericolo di uscita di automezzi”, non era nella disponibilità del Consiglio di Amministrazione dell’INPS, a fronte di una attenta ricostruzione dell’incidente da parte dei Carabinieri, “intervenuti sul luogo dell’incidente”.

Per questo, non possono giovare all’istante i successivi sviluppi (relativi ai profili risarcitori) che la vicenda ha avuto nel giudizio promosso dall’altro conducente incidentato (accordo transattivo con accettazione del concorso di colpa al 50%). Neppure giova all’appellante la ulteriore considerazione che il Consiglio di Amministrazione non poteva “sottoporre a verifica” il giudizio del Collegio Medico, che, diversamente da quanto sostiene il ricorrente (pag. 3 del ricorso), non si è pronunciato sul nesso causale tra “le malattie denunciate” ed il servizio, ma ha dichiarato che “le infermità in diagnosi ad eccezione della patologia a carico del ginocchio sinistro sono in rapporto causale diretto tra l’infortunio occorso”.

Il Consiglio di Amministrazione non ha, quindi, “sottoposto a verifica” il parere del Collegio Medico, ma, nell’ambito della sua competenza, ha deliberato, in modo convincente e chiaro, sulla domanda del ricorrente, non riconoscendo la sussistenza di un nesso causale diretto tra le infermità subite dall’interessato e il servizio (non l’incidente).

L’appellante introduce un’altra problematica, relativa alla distinzione tra dolo e colpa grave, e richiama un orientamento giurisprudenziale del giudice ordinario, secondo il quale (con la sola eccezione di casi caratterizzati da “rischio elettivo) “la possibile colpa del lavoratore nella causazione dell’incidente non interrompe il nesso di causalità”.

In effetti, l’orientamento del giudice ordinario non conferma le conclusioni alle quali intende pervenire l’interessato, dal momento che è stato statuito in modo univoco che “la violazione di norme fondamentali del codice della strada può integrare (secondo una valutazione rimessa al giudice) un aggravamento del rischio tutelato talmente esorbitante dalle finalità di tutela da escludere la stessa in radice”(si veda, Cass. Sez. Lav. n. 11885 del 6.8.2003). E nella specie, il dubbio che il ricorrente abbia violato gravemente le norme del codice della strada, per non essersi fermato allo “stop”, non è stato per nulla fugato, sicché è irrilevante, ai fini che interessano, che, in ipotesi, vi sia stato un concorso di colpa dell’altro conducente.

L’appello va, pertanto respinto.

Sussistono motivi per disporre la compensazione delle spese.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge l’appello in epigrafe. Compensa le spese.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2007 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) nella Camera di Consiglio con l’intervento dei Signori:

Claudio Varrone Presidente

Carmine Volpe Consigliere

Giuseppe Romeo Consigliere est.

Luciano Barra Caracciolo Consigliere

Lanfranco Balucani Consigliere


Cass. civ. Sez. V, (ud. 01-03-2007) 21-03-2007, n. 6750

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAOLINI Giovanni – Presidente

Dott. MERONE Antonio – Consigliere

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Consigliere

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Signor T.M. domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso, giusta delega in atti, dall’avv. Patrizia Artioli del foro di Modena;

– ricorrente –

contro

Comune Di San Possidonio, in persona del Sindaco p.t.;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria Regionale dell’Emilia Romagna n. 2/IV/05 depositata il 03.02.2005;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 1/3/2007 dal Relatore Cons. Dott. GENOVESE Francesco Antonio;

lette le conclusioni scritte del P.M.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
OSSERVA

Rilevato che il Comune di San Possidonio ha notificato al signor T.M. un avviso di accertamento per omessa denuncia ICI, per l’anno d’imposta 1999;

che il signor T. ha proposto ricorso alla C.T.P. di Modena, che l’ha parzialmente accolto;

che il contribuente ha proposto appello e la C.T.R. dell’Emilia Romagna ha dichiarato inammissibile l’impugnazione, perché proposto oltre il termine breve d’impugnazione, a seguito di notificazione della sentenza di prime cure;

che, secondo la C.T.R. il termine per appellare sarebbe scaduto il 3 aprile 2004, considerato che la sentenza di primo grado era stata notificata al contribuente il 3 febbraio 2004, mentre l’impugnazione era stata notificata, dal signor T., solo in data 15 aprile 2004;

che il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, contro cui non resiste il Comune;

che con l’unico motivo di ricorso (con il quale si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 51, dell’art. 137 c.p.c., comma 2, e dell’art. 148 c.p.c.) il ricorrente afferma che la notifica della sentenza di primo grado sarebbe stata effettuata in maniera irrituale perché la relata, anziché essere apposta in calce all’atto, sarebbe stato annotato sul frontespizio e deduce, pertanto, che al ricorrente sarebbe stato – di conseguenza – al più, notificato il solo frontespizio e non anche la parte restante del documento;

che, richiesto del parere ai sensi dell’art. 375 c.p.c., il PM ha concluso per la manifesta fondatezza del ricorso.

Considerato che tale conclusione deve essere condivisa;

che, va premesso quanto stabilisce l’art. 148 c.p.c., e cioè che “L’ufficiale giudiziario certifica l’eseguita notificazione mediante relazione da lui datata e sottoscritta, apposta in calce all’originale e alla copia dell’atto” (primo comma);

che tale previsione è dettata a presidio dell’attività di notificazione degli atti, ossia della regolare consegna di copia integrale degli stessi, in osservanza del principio della loro consegna in conformità all’originale;

che, proprio la regolare osservanza delle prescrizioni formali, imposte dalla legge all’Ufficiale Giudiziario, in funzione del principio di recezione, è il fondamento degli effetti che dalla notificazione scaturiscono (decadenza dal diritto di impugnazione) che la regolare osservanza delle formalità compiute dall’Ufficiale Giudiziario sono consegnate in un atto pubblico, facente fede fino a querela di falso;

che la relazione, che la legge vuole sia apposta solo in calce alla copia dell’atto notificato, e non in qualsiasi altra sede “topografica” del documento, ha la funzione, garantistica, di richiamare l’attenzione dell’Ufficiale Giudiziario alla regolare esecuzione dell’operazione di consegna della copia conforme all’originale dell’atto;

che solo la regolare esecuzione di un tale adempimento conferisce fede privilegiata alla relazione redatta dal Pubblico Ufficiale;

che, infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sentenza n. 15199 del 2004), l’eccezione di inammissibilità di un atto d’impugnazione, proposta sotto il profilo dell’incompletezza della copia notificatagli, per mancanza di alcuno dei fogli o delle pagine, deve respingersi qualora l’originale dell’atto, depositato dall’impugnante rechi “in calce” la relazione di notificazione redatta dall’ufficiale giudiziario, contenente l’attestazione dell’eseguita consegna della copia del ricorso, ed essa non sia stata impugnata con la querela di falso, dovendosi ritenere, in difetto di tale querela, che detta attestazione, per effetto di tale locuzione, sia estesa alla conformità della copia consegnata all’originale completo, ciò ricavandosi dal combinato disposto dell’art. 137 c.p.c., comma 2, e dell’art. 148 c.p.c.;

che tale principio, però, non può essere esteso al caso – come quello in esame – della relata apposta, anziché “in calce”, sul frontespizio dell’originale della sentenza;

che, in tal caso, infatti, il mancato rispetto delle formalità non offre garanzia che la consegna dell’atto sia avvenuta nella sua integralità e, di conseguenza, non comporta il prodursi dell’effetto giuridico ad esso conseguente, onde deve dirsi nulla la notificazione così eseguita, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 2, perché “l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo”;

che, pertanto, il ricorso del contribuente deve essere accolto e la sentenza impugnata, siccome illegittima, per essere stata resa in contrasto con la menzionata regula iuris, deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della stessa C.T.R., la quale provvederà anche in ordine alla spese di questa fase.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese di questa fase, ad altra sezione C.T.R. dell’Emilia-Romagna.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V sezione civile della Corte di cassazione, dai magistrati sopraindicati, il 1 Marzo 2007.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2007


Pubblici dipendenti: hanno diritto al rimborso delle spese legali nel limite previsto dall’Avvocatura

Il rimborso delle spese legali, sostenute nei giudizi intrapresi nei confronti dei dipendenti delle Amministrazioni statali per responsabilità civili, penali ed amministrative, in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza che escluda la loro responsabilità, deve essere effettuato, ai sensi dell’art. 18 del d.l. n. 67 del 1997, convertito in legge n. 135/97, nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato. Questa la decisione della Corte di Cassazione, Sezione lavoro, nella sentenza 23 gennaio 2007, n. 1418. In pratica, per la Suprema Corte, il dipendente, ingiustamente accusato, ha diritto al rimborso da parte della Amministrazione di appartenenza delle spese sopportate per la sua difesa, “ma entro il limite di quanto strettamente necessario (trattandosi di erogazioni che gravano sulla finanza pubblica e devono quindi essere contenute al massimo) secondo il parere di un organo tecnico altamente qualificato per valutare sia le necessità difensive del funzionario, in relazione alle accuse che gli vengono mosse ed ai rischi del giudizio penale, e sia la conformità della parcella presentata dal difensore alla tariffa professionale”. La Corte ha ritenuto, pertanto, “fuor di luogo il richiamo al parere di congruità espresso dal Consiglio dell’ordine su richiesta dell’avvocato che intenda agire nei confronti del cliente per il recupero delle sue spettanza, sia perché quel parere non è obbligatorio, come nella specie, ma necessario, sia perché la valutazione dell’Avvocatura riguarda non solo la conformità della parcella alla tariffa forense (oltre la quale il rimborso sarebbe illegittimo), ma il rapporto fra l’importanza e delicatezza della causa e le somme spese per la difesa e delle quali si chiede il rimborso”.

Corte di Cassazione, Sez. lavoro, 23.1.2007, n. 1418


Corso Formazione di base – Maserà di Padova – 23 marzo 2007

Venerdì 23 marzo 2007 ore 9:30 – 17:00

Comune di Maserà di Padova
Corte Benedettina da Zara
Via Conselvana, 97
Maserà di Padova (PD)

Con il patrocinio del Comune di Maserà di Padova

Quote di partecipazione al corso:
Soci A.N.N.A.: € 60,00 (Iscritti alla data del 31.12.2006 e rinnovo per l’anno 2007 alla data del 31.01.2007) (**)
Non iscritti ad A.N.N.A.: € 120,00 comprensivi della quota di iscrizione all’Associazione (**)
Non iscritti ad A.N.N.A.: € 150,00 oltre I.V.A (*) (**)

La quota di iscrizione dovrà essere versata entro la data di effettuazione del Corso, tramite :
Conto Corrente Postale n. 55115356
Conto Corrente Bancario n. 55115356 (Poste Italiane)

ABI 07601
CAB 12100
CIN J
Intestato a:
Associazione Nazionale Notifiche Atti
Causale: Corso Padova 2007
(*) Se la fattura è intestata ad Ente Pubblico, la quota è esente IVA, ai sensi dell’art. 10, D.P.R. n. 633/72 e successive modificazioni,

(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento.

La quota di iscrizione comprende: accesso in sala e materiale didattico.

L’associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.
L’iscrizione al corso potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo articolo a cui dovrà seguire il versamento della quota di iscrizione al Corso.

I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

Bizzotto Paolo
Messo del Giudice di Pace del Comune di Padova
Membro della Giunta Esecutiva di A.N.N.A


Riunione Giunta Esecutiva del 16.03.2007

Atti della riunione della Giunta Esecutiva del 16 marzo 2007 svoltasi a Bologna

Vedi: Verbale GE 16 03 2007


Riunione Consiglio Generale del 16.03.2007

Atti della riunione del Consiglio Generale svoltasi a Bologna il 16 marzo 2007

Ai sensi dell’Art. 13 dello Statuto, viene convocata la riunione del Consiglio Generale che si svolgerà venerdì 16 marzo p.v. alle ore 11:00 presso l’Hotel Re Enzo – Via Santa Croce, 26 – Bologna (tel. 051.523322), in prima convocazione, e alle ore 13:00 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:

  1. Bilancio consuntivo anno 2006 (Mandato A.G. del 14.06.2005);
  2. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione;
  3. Iniziative proselitismo Associazione;
  4. Programma attività dell’Associazione per l’anno 2007;
  5. Varie ed eventuali

Leggi: Verbale CG del 16 03 2007


Corso Formazione di base – Alessandria 27 aprile 2007

Venerdì 27 aprile 2007 ore 9:15- 17:00

Comune di Alessandria

Sala Circoscrizione EUROPISTA – Locali “Taglieria del Pelo Borsalino”

Via Wagner 38/D

Alessandria

Con il patrocinio del Comune di Alessandria

Quote di partecipazione al corso:
Soci A.N.N.A.: € 60,00 (Iscritti alla data del 31.12.2006 e rinnovo per l’anno 2007 alla data del 28.02.2007) (**)
Non iscritti ad A.N.N.A.: € 120,00 comprensivi della quota di iscrizione all’Associazione (**)
Non iscritti ad A.N.N.A.: € 150,00 oltre I.V.A.(*) (**)

La quota di iscrizione dovrà essere versata entro la data di effettuazione del Corso, tramite :
Conto Corrente Postale n. 55115356
Conto Corrente Bancario n. 55115356 (Poste Italiane)

ABI 07601
CAB 12100
CIN J
Intestato a:
Associazione Nazionale Notifiche Atti
Causale: Corso Alessandria 2007
(*) Se la fattura è intestata ad Ente Pubblico, la quota è esente IVA, ai sensi dell’art. 10, D.P.R. n. 633/72 e successive modificazioni,

(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento.

La quota di iscrizione comprende: accesso in sala e materiale didattico.

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.
L’iscrizione al corso potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo articolo a cui dovrà seguire il versamento della quota di iscrizione al Corso.

I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

Lombardi Giuseppe

Resp. Messi comunali del Comune di Alessandria

Membro del Consiglio Generale di A.N.N.A.

Iscrizione on line