Corte Suprema di Cassazione civ. Sez. Unite, 10-05-2002, n. 6737

REVOCAZIONE (GIUDIZIO DI)

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Vincenzo CARBONE – Primo Presidente f.f. –

Dott. Rafaele CORONA – Presidente di sezione –

Dott. Giovanni PRESTIPINO – Consigliere –

Dott. Erminio RAVAGNANI – Consigliere –

Dott. Alessandro CRISCUOLO – Consigliere –

Dott. Vincenzo PROTO – Consigliere –

Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI – Consigliere –

Dott. Mario Rosario MORELLI – Consigliere –

Dott. Stefanomaria EVANGELISTA – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

MONTANA GIUSEPPE, MONTANA MARIO, SCARFA ANTONIETTA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PRINI 12, presso lo studio dell’avvocato TIZIANA CAPEZZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato ARMANDO CALAFATO, giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrenti –

GUCCIARDO (*) ANTONINO , elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONINO MARIA CREMONA, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 768/96 del Tribunale di AGRIGENTO, depositata il 25/09/96;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/02/02 dal Consigliere Dott. Stefanomaria EVANGELISTA;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. Domenico IANNELLI che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 15 febbraio 1989, Giuseppe Montana, Mario Montana ed Antonietta Scarfa, convennero in giudizio davanti al pretore di Agrigento Antonio (*) Guicciardo, Francesco Barrafato e Lorenza Tamburello, al fine di ottenere la costituzione coattiva, ex art. 1051 cod. civ., di una servitù di passaggio.

Il giudice adito accolse la domanda in contumacia dei convenuti, con sentenza del 14 dicembre 1989, notificata nelle date del 28 marzo e 7 luglio 1990.

Con citazione in appello notificata nelle date del 25, 27 e 30 maggio 1991, Antonio (*) Guicciardo, rappresentato dal fratello Antonio (*), suo procuratore generale, impugnò la sentenza, sostenendo, nonostante il decorso del termine di cuiall’art. 327 cod. proc. civ., la tempestività del gravame, per avere egli ignorato l’esistenza del giudizio a causa della nullità della notificazione del relativo atto introduttivo. Questa, invero, era stata eseguita con le formalità previstedall’art. 143 cod. proc. civ., laddove le risultanze anagrafiche, dalle quali emergeva che egli si era trasferito all’estero, e precisamente a Detroit, negli Stati Uniti d’America, avrebbero consentito di conoscere il suo esatto indirizzo facendo uso dell’ordinaria diligenza, ossia consultando sul punto le autorità consolari competenti.

Il Tribunale di Agrigento, con sentenza depositata in cancelleria il 25 settembre 1996, accolse l’appello, ritenuto ammissibile in base al rilievo che, da un lato, l’indicazione dell’indirizzo estero è da escludere dal novero degli adempimenti anagrafici connessi alla dichiarazione di trasferimento; e dall’altro lato, il notificante, prima di ricorrere alle formalitàdell’art. 143 cod. proc. civ., avrebbe dovuto, facendo uso dell’ordinaria diligenza, verificare se le carenti informazioni anagrafiche potessero essere integrate con altre da assumersi presso le competenti autorità consolari, atteso anche il disposto dell’art.6dellalegge n. 470 del 1988(istitutivo dell’obbligo del cittadino che si trasferisca all’estero di darne comunicazione entro novanta giorni all’ufficio consolare nella cui circoscrizione si trova la sua nuova residenza).

Per la cassazione di questa sentenza hanno proposto ricorso, affidato a due motivi, Giuseppe Montana, Mario Montana e Scarfa Antonietta. Ha resistito con controricorso Antonino Guicciardo, per il tramite del suo procuratore generale, Giuseppe Guicciardo (*).

La seconda Sezione civile di questa Corte, con ordinanza n. 461 del 24 maggio 2000, ha trasmesso gli atti al Primo Presidente, ai fini dell’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, in relazione al contrasto di giurisprudenza riscontrato sulla questione, introdotta col primo motivo del ricorso stesso, se, a carico del soggetto che intenda notificare un atto nei confronti di destinatario trasferitosi in una città estera risultante dai registri anagrafici, i quali non contengano, peraltro, l’indicazione dell’indirizzo dello stesso, sia configurabile l’onere di compiere ulteriori ricerche prima di poter procedere alla notificazione secondo le modalità di cuiall’art. 143 cod. proc. civ.

Il Primo Presidente ha provveduto in conformità.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso, denunciandosi violazione dell’art. 143 cod. proc. civ. e vizi di motivazione, si sostiene che colui il quale trasferisca definitivamente all’estero la propria residenza è tenuto a dichiarare sia la località, sia l’esatto indirizzo, ai fini della iscrizione nell’apposito registro anagrafico e dell’opponibilità ai terzi delle relative risultanze.

Si aggiunge che il difetto di tale adempimento – richiesto non solo dal combinato disposto dell’art. 2 della legge 24 dicembre 1954, n. 1120 e dell’art. 11 del D.P.R. 31 gennaio 1958, n. 136, ma anche dall’art.2 della legge 27 ottobre 1988, n. 470, in cui, relativamente all’istituita anagrafe dei cittadini italiani all’estero, si stabilisce che “l’ufficiale di anagrafe annota sulle schede individuali l’indirizzo all’estero comunicato dall’interessato o comunque accertato” – è imputabile a colpevole inerzia del destinatario dell’atto da notificare, il cui comportamento omissivo non può tradursi nell’onere del notificante di provvedere ad accertamenti ulteriori rispetto a quelli condotti sulle risultanze anagrafiche.

Col secondo motivo di ricorso, denunciandosi violazione dell’art. 2909 cod. civ e vizi di motivazione, si assume che, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza resa dal pretore di Agrigento in esito al giudizio introdotto da Antonio (*) Guicciardo per la revocazione della stessa sentenza contro la quale era stato proposto appello, il Tribunale avrebbe dovuto ritenere precluso l’esame della questione concernente la tempestività di tale ultimo gravame, poiché il giudizio sul merito dell’istanza revocatoria proposta ex art. 396, primo comma, cod. proc. civ., implicitamente, ma necessariamente, presupponeva l’accertamento della conseguita inappellabilità della sentenza revocanda.

L’esame del secondo motivo di ricorso è pregiudiziale, poiché, ove dovesse affermarsi l’efficacia panprocessuale dell’eccepito giudicato (formatosi relativamente all’implicito accertamento dell’inoppugnabilità della sentenza oggetto della suddetta istanza revocatoria), dovrebbe trarsene la conseguenza della preclusione di identico accertamento nel presente giudizio e, quindi, dell’inammissibilità – a prescindere dalla questione della validità o meno della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio – dell’appello sul quale è stata pronunciata la sentenza qui impugnata.

L’eccezione è, però, infondata.

L’implicito accertamento (relativo all’avvenuta scadenza dei termini per la proposizione dell’appello) della condizione di ammissibilità dell’istanza di revocazione straordinaria ex art. 396, primo comma, cod. proc. civ., riguarda questione di natura meramente processuale, e la Corte reputa di non doversi discostare dall’orientamento giurisprudenziale, prevalente e condiviso da autorevole parte della dottrina, secondo cui la soluzione (implicita o esplicita) di questioni pregiudiziali di rito, avendo funzione meramente preparatoria della decisione finale sul merito, non può formare oggetto di cosa giudicata in senso sostanziale, ma può operare soltanto con effetti limitati al processo in cui è stata pronunciata.

Tale avviso discende dalla considerazione che la diversità di efficacia tra le sentenze che accolgono o respingono la domanda e le sentenze processuali si ricollega al particolare oggetto e contenuto di queste ultime: in ogni processo sono individuabili due distinti e non confondibili oggetti di giudizio, l’uno (processuale) concernente la sussistenza del dovere del giudice di decidere il merito della causa, l’altro (sostanziale) relativo alla fondatezza della domanda proposta; e se può, per tale ragione, riconoscersi che anche le pronunzie di rito partecipano a pieno titolo dell’accertamento giudiziale (di cui è espressa menzione nell’art. 2909 cod. civ.), non è men vero che tali decisioni sono destinate a vedere confinata la loro rilevanza nel giudizio in cui sono state rese, avendo un oggetto che è, per definizione, strettamente inerente alla vicenda processuale in corso, perché ad essa esclusivamente attiene l’accertamento del suddetto dovere e perché la questione processuale decisa (nella specie, la scadenza dei termini per l’appello) è confinata nell’ambito della cognizione pregiudiziale rispetto alla statuizione di rito, che esclude o riconosce “principaliter” l’esistenza di questo stesso dovere del giudice di pronunciare sulla fondatezza della domanda.

Correttamente, pertanto, il giudice dell’appello ha provveduto allo scrutinio di ammissibilità del gravame e ad autonomo accertamento della sussistenza delle condizioni che, ai sensi dell’art. 327, secondo comma, consentono tale ammissibilità pur dopo la scadenza del termine annuale previsto dal primo comma della medesima norma, così escludendo qualsiasi preclusione derivante dalla sentenza del giudice della revocazione.

La ritenuta correttezza di siffatta esclusione comporta, dunque, col rigetto del primo motivo di ricorso, la necessità di stabilire se sia conforme a diritto la statuizione del giudice di appello concernente la nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, in riferimento alle condizioni che legittimano il ricorso alle modalità di cuiall’art. 143 cod. proc. civ.

Sulla questione implicata dalle censure svolte, al riguardo, col primo motivo di ricorso, la giurisprudenza della Corte ha espresso orientamenti contrastanti.

Secondo un primo orientamento – di cui è precipua espressione la sentenza 4 aprile 1986, n. 2341 – le garanzie del diritto di difesa, dalle quali discende la necessità che le forme della notificazione risultino idonee ad assicurare la conoscibilità, da parte del destinatario, dell’atto notificategli, impongono altresì di ritenere legittimo il ricorso alle forme di cuiall’art. 143 cod. proc. civ.solo in presenza di una situazione di irreperibilità che derivi da comportamento imputabile al destinatario medesimo e non sia superabile se non tramite complesse indagini: donde l’affermazione dell’insufficienza del mancato reperimento di quest’ultimo presso la sua residenza in Italia, a seguito di trasferimento all’estero, quando egli, in conformità a quanto disposto dall’art. 11 delD.P.R. 31 gennaio 1958, n. 136 (e con gli effetti di opponibilità ai terzi di cui all’art. 44 cod. civ. e all’art. 31 disp. att. c.c.), abbia provveduto a far annotare, presso l’anagrafe del comune di detta ultima residenza, lo Stato estero e la nuova località di residenza, mentre è in proposito irrilevante l’omessa indicazione anche dell’indirizzo della nuova abitazione, tenendo conto che essa non è prescritta dalla citata norma, e che comunque si tratta di un dato agevolmente acquisibile, tramite le autorità consolari.

In quest’ordine di idee si collocano anche le sentenze 8 maggio 1978, n. 2221 e 28 marzo 1991, n. 3358; la prima, infatti, ha formulato il principio per cui, qualora dai registri anagrafici risulti che la parte, alla quale deve essere notificato un atto processuale, si è trasferita all’estero, ma non risulti il comune, o l’analoga unità territoriale, del nuovo domicilio, la notificazione viene legittimamente effettuata secondo le forme dell’art. 143 solo ove il giudice del merito abbia accertato, con apprezzamento incensurabile, il vano espletamento di ricerche diligenti da parte del notificante; la seconda – emessa in una fattispecie in cui dai registri anagrafici era risultato che il convenuto era emigrato in Colombia, ma non era emerso neanche in quale città egli si trovasse -, ha ugualmente escluso la validità della notifica eseguita ai sensidell’art. 143 cod. proc. civ.in assenza del compimento di indagini diverse da quelle anagrafiche, concluse con esito negativo.

Di segno opposto è, invece, l’orientamento espresso dalla sentenza 29 novembre 1994, n. 10223, ad avviso della quale il principio secondo cui il ricorso alle modalità di notificazione di cui all’art. 143 cod. proc. civ. (notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuto) è consentito solo se sono state eseguite le ricerche suggerite dall’ordinaria diligenza per individuare un indirizzo presso cui eseguire la notificazione, non comporta l’onere di svolgere indagini nel caso in cui dalle ricerche anagrafiche effettuate nell’ultimo domicilio risulti il trasferimento in una città estera (nella specie, una città australiana), ma non il nuovo indirizzo.

In buona sostanza, mentre il primo dei riferiti orientamenti giurisprudenziali esige, per il ricorso alle formalità di notificazione di cui all’art. 143 cod. proc. civ., la duplice condizione che il difetto di risultanza anagrafica sia imputabile a colpevole inadempimento del destinatario e non superabile con informazioni che il notificante possa assumere facendo uso dell’ordinaria diligenza, l’altro sottolinea la portata, ed i limiti, della nozione di ordinaria diligenza, al cui ambito ritiene estranea, in caso di generica risultanza anagrafica circa il trasferimento all’estero del destinatario, ogni onere del notificante di attivarsi per acquisire la conoscenza dell’esatto indirizzo del destinatario medesimo.

È avviso delle Sezioni unite che debba essere accordata preferenza al primo dei segnalati orientamenti, ancorché per ragioni non pienamente coincidenti con quelle alle quali esso è stato affidato dalle ricordate sentenze, stante l’evoluzione del quadro normativo di riferimento, nel frattempo realizzatosi, anche per effetto della giurisprudenza costituzionale sul regime delle notificazioni.

In particolare, la sentenza n. 2341 del 1986 appare per larga parte improntata alla riconosciuta inesistenza di un obbligo del cittadino che trasferisca all’estero la propria residenza di comunicare all’ufficio anagrafico competente anche il proprio indirizzo.

Questa conclusione, con riguardo al caso di specie, non è più pienamente mutuabile, poiché, attesa la data dell’atto introduttivo del giudizio, il suddetto quadro normativo di riferimento, per le procedure anagrafiche di trasferimento all’estero, si era ormai arricchito delle disposizioni della legge 27 ottobre 1988, n. 470, recante “Anagrafe e censimento degli italiani all’estero”, con la quale sono state istituite le Aire (anagrafi dei cittadini italiani residenti all’estero), tenute dai Comuni e dal Ministero dell’interno sulla base delle schede, individuali e di famiglia, eliminate dall’anagrafe della popolazione residente in dipendenza del trasferimento permanente all’estero delle persone cui esse si riferiscono.

L’art. 2 della legge citata, dopo avere elencato, al comma 1, i casi di iscrizione nelle menzionate anagrafi, tra i quali figura, alla lett. a), il trasferimento della residenza da un comune italiano all’estero, dichiarato o accertato a norma del regolamento di esecuzione dellalegge n. 1228 del 1954, al comma 2 precisa che l’ufficiale di anagrafe annota sulle schede individuali “l’indirizzo all’estero comunicato dall’interessato o comunque accertato”.

L’art. 3 della stessa legge dispone che nelle istituite anagrafi degli italiani residenti all’estero devono essere registrate le mutazioni conseguenti, tra l’altro, alle dichiarazioni, rese dagli interessati, concernenti i “trasferimenti di residenza o di abitazione” che hanno avuto luogo all’estero (lett. a).

Inoltre, l’art. 6, dopo avere stabilito, al comma 1, che i cittadini italiani che trasferiscono la loro residenza da un comune italiano all’estero devono fame dichiarazione all’ufficio consolare della circoscrizione di immigrazione entro novanta giorni dalla immigrazione, prevede, al comma 2, per i cittadini già residenti all’estero alla data di entrata in vigore della legge, l’obbligo di dichiarare la propria residenza al competente ufficio consolare entro un anno da tale data ed aggiunge, al comma 3, che i cittadini residenti all’estero, in caso di mutamento della residenza o “dell’abitazione”, devono farne dichiarazione entro novanta giorni all’ufficio consolare nella cui circoscrizione si trova la nuova residenza o la nuova abitazione.

Il Regolamento per l’esecuzione dellalegge n. 470 del 1988, approvato conD.P.R. 6 settembre 1989, n. 323, all’art. 4, fa riferimento all’”indirizzo estero”, annoverandolo fra i dati da riportare, “in quanto disponibili”, per ciascuno dei cittadini italiani iscritti nelle Aire, il cui elenco nominativo i comuni, a norma dello stesso art. 4, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del regolamento stesso, devono trasmettere alle competenti prefetture per il successivo inoltro al Ministero dell’interno, ai fini della prima formazione della pane principale dell’anagrafe presso lo stesso Ministero.

Giova, peraltro, porre H luce che, l’acquisizione dei dati rilevanti ai fini della formazione degli schedari di cui sopra, se è in via prioritaria rimessa all’onere del cittadino tenuto alle relative dichiarazioni (delle quali è responsabile ex art. 6 delD.P.R. n. 223 del 1989, anche nel caso di trasferimento all’estero, come emerge dal successivo art. 13, comma 1, lett. a), è, in via sussidiaria, oggetto di una specifica funzione dell’Amministrazione competente, essendo stabilito dall’art.6, comma 5 della legge n. 470 del 1988che, scaduti i termini per la presentazione delle dichiarazioni oggetto dell’onere anzidetto, “gli uffici consolari provvedono ad iscrivere d’ufficio nei predetti schedari i cittadini italiani che non abbiano presentato le dichiarazioni, ma dei quali gli uffici consolari abbiano conoscenza, in base ai dati il loro possesso”. Né è senza rilievo la prevista rilevazione dei cittadini italiani all’estero (che, giusta l’art. 8 della stessa legge, ha luogo contemporaneamente al censimento dei cittadini residenti in Italia), ai fini della quale è del pari prevista un’iniziativa officiosa delle rappresentanze diplomatiche e degli uffici consolari, cui è demandato di “svolgere ogni opportuna azione intesa ad ottenere la segnalazione da parte delle pubbliche autorità locali dei nominativi e del recapito di cittadini italiani che si trovano nella loro circoscrizione” (art. 13), con conseguente acquisizione di dati dei quali è espressamente stabilita la destinazione, fra l’altro, ad aggiornamento degli schedari dell’Aire (art. 14, terzo comma e art. 18).

Ne emerge, dunque, un sistema che, a differenza di quello esaminato dalla sentenza del 1986, indubbiamente contempla la necessità di registrazione del dato concernente l’indirizzo del cittadino che si trasferisca all’estero o che vi risieda al momento dell’entrata in vigore della legge: necessità soddisfatta per il tramite dei competenti Uffici consolari, quali organi amministrativi destinatari dell’adempimento dell’obbligo di tali cittadini di fornire le informazioni necessarie alla propria reperibilità, ovvero titolari essi stessi del potere – dovere di provvedere agli opportuni accertamenti.

La consultazione dell’Aire è, dunque, il primo ed indispensabile adempimento cui il notificante è tenuto, allorché le risultanze dell’anagrafe ordinaria indichino l’avvenuto trasferimento all’estero del destinatario della notificazione, atteso che tale schedario speciale è lo strumento che, a normadell’art. 44 cod. civ., assume la funzione di rendere opponibili ai terzi i dati dichiarati, nei modi prescritti dalla legge, dai cittadini non residenti, sicché la detta consultazione si configura come un mero completamento di quella iniziata con riguardo ai registri anagrafici dei cittadini residenti nella Repubblica.

Da ciò, tuttavia non è dato trarre la conclusione che il difetto di risultanza anagrafica (ordinaria e speciale) circa l’esatto indirizzo del destinatario all’estero sia condizione sufficiente per esonerare il notificante da qualsivoglia ricerca ulteriore.

Vi ostano due fondamentali ragioni: l’una tutta interna alla disciplina stessa che ha istituito l’obbligo suddetto; l’altra, di carattere sistematico, che induce a negare un effettivo collegamento fra l’inadempimento dell’obbligo gravante sul destinatario e l’ambito della diligenza richiesta al notificante in ordine alla ricerca dei dati di identificazione del luogo in cui il primo può essere raggiunto.

Sotto il primo aspetto, rileva la posizione centrale che nella descritta disciplina assumono ali uffici consolari.

La disposizione per cui, in via sussidiaria, è rimesso al potere – dovere degli stessi Uffici di provvedere all’accertamento diretto dei medesimi dati non comunicati tempestivamente dall’interessato ha un effetto additivo rispetto alle fonti di conoscenza, con conseguente impossibilità di rinvenire nell’inerzia di quest’ultimo la ragione di un’impossibilità pratica di colmare la lacuna informativa del notificante circa quei dati. Correlativamente, passando dal piano pratico a quello giuridico, è plausibile il rilievo che i suddetti Uffici, in quanto collettori dell’informazione destinata ad alimentare i registri anagrafici, sia essa ottenuta per adempimento dell’obbligo suddetto o per iniziativa autonoma degli uffici medesimi, si collocano in una posizione non dissimile da quella delle Amministrazioni competenti alla tenuta di tali registri e, pertanto, rappresentano, anche istituzionalmente, organi che possono essere utilmente aditi per la soddisfazione delle menzionate necessità informative: il che va ribadito anche alla luce del disposto dell’art.67 del D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200, il quale, nel prevedere che presso ogni ufficio consolare è istituito e mantenuto uno schedario il più possibile aggiornato, tenuto conto delle circostanze locali, dei cittadini residenti nella circoscrizione, stabilisce che l’autorità consolare può rilasciare certificazione dei dati risultanti dallo schedario stesso.

Né il ricorso a questa possibile fonte alternativa di acquisizione del dato d’interesse del notificante comporta a carico del medesimo oneri abnormi, trattandosi di uffici esattamente identificati dalla legge, compulsabili senza necessità di osservare procedure complesse ed eventualmente anche per il tramite dell’Amministrazione centrale cui essi fanno capo, nonché con l’ausilio di mezzi elettronici, idonei ad assicurare l’evasione della richiesta in “tempo reale”, come emerge dalle prescrizioni dell’art. 4 delD.P.R. 6 settembre 1989, n. 323, in coerenza col disposto anche dell’art. 74 del citato D.P.R. n. 200 del 1967, che autorizza l’utilizzazione del mezzo telegrafico o telefonico nei rapporti fra l’Amministrazione centrale e l’ufficio consolare che trasmette informazioni.

Per quanto attiene al secondo, e più complesso, aspetto, deve porsi in evidenza che la disciplina della notificazione in generale e, in particolare di quella che governa il caso di destinatario non residente, né dimorante, né domiciliato nella Repubblica, costituisce punto di equilibrio fra esigenze contrapposte, ancorché parimenti presidiate dalle garanzie che l’art. 24 Cost.somministra al diritto di agire in giudizio ed a quello di difendersi dall’altrui azione. Sta, invero, da un lato, la necessità di garantire al notificante, anche in relazione ai termini di prescrizione o decadenza che questi sia eventualmente tenuto ad osservare, il libero e sollecito esercizio dei propri diritti; e, dall’altro, la non minore importanza delle garanzie di effettiva conoscenza dell’atto che devono essere offerte al destinatario, per assicurargli concretamente la possibilità di difendersi dalle pretese svolte nei suoi confronti.

Gli interventi della Corte Costituzionale e del legislatore, susseguitisi sugli artt. 142 e 143, terzo comma ne sono convincente dimostrazione, in quanto concorrono a costituire un sistema strutturato sulla distinzione tra perfezionamento ed efficacia dell’atto, che, già proprio, nei suoi aspetti sostanziali, dell’impianto originario delle norme codificate, si ulteriormente arricchito di precisazioni successive, intese a meglio salvaguardare ora l’interesse all’effettività della conoscenza, ora quello alla speditezza del procedimento.

Così, la dichiarazione di illegittimità costituzionale (sentenza n. 10 del 1978) dell’originario comma terzo dell’art. 143, nella parte in cui non prevedeva che, in ipotesi di notificazione diretta a persona non residente, né dimorante, né domiciliata nel territorio della Repubblica, la sua applicazione fosse subordinata all’accertata impossibilità di eseguire nei modi consentiti dalle convenzioni internazionali e dal D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200, recante disposizioni sulle funzioni e sui poteri consolari, privilegia, rispetto al principio di conoscenza legale, le esigenze di conoscenza effettiva, attraverso il richiamo alla preliminare rilevanza della disciplina pattizia, generalmente improntata al principio dell’effettività della conoscenza.

Di qui il successivo intervento del Legislatore, che con lalegge 6 febbraio 1981, n. 42, di ratifica ed esecuzione della convenzione relativa alla notifica all’estero di atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile o commerciale, adottata a l’Aja il 15 novembre 19658, ha modificato (articoli 8, 9 e 10) definitivamente il testo degliartt. 142 e 143 cod. proc. civ., inserendo nell’art. 142 un terzo comma, che prevede che “le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano soltanto nei casi in cui risulta impossibile eseguire la notificazione in uno dei modi consentiti dalle convenzioni internazionali e dagli artt.30e75 del D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200”; e sostituendo il terzo comma dell’art. 143 nel senso che “nei casi previsti dal presente articolo e nei primi due commi dell’articolo precedente, la notificazione si ha per eseguita nel ventesimo giorno successivo a quello in cui sono compiute le formalità prescritte”.

Un riequilibrio a favore delle garanzie di effettività dell’esercizio dei diritti del notificante si è realizzato con la sentenza della Corte Costituzionale n. 69 del 1994, con la quale è stata dichiarata la illegittimità costituzionale, per violazione degliartt. 3 e 24 Cost., del combinato dispostodell’art. 142, terzo comma, c.p.c.dell’art. 143, terzo comma, c.p.c. e dell’art. 680, primo comma, cod. proc. civ.nella parte in cui non prevedono che la notificazione all’estero del sequestro si perfezioni, ai fini dell’osservanza del prescritto termine, con il compimento delle formalità imposte al notificante dalle convenzioni internazionali e dalla legge consolare.

E la stessa Corte Costituzionale, con la successiva sentenza n. 358 del 1996 (nel rigettare la questione di legittimità costituzionale, sollevata per contrasto con l’art. 3 Cost.) e l’art. 24 Cost.,dell’art. 669-octies cod. proc. civ., nella parte in cui prevede che in ipotesi di rilascio “ante causam” della misura cautelare, il giudizio di merito debba essere instaurato entro il termine stabilito dal giudice e comunque non superiore a trenta giorni, senza distinzione a seconda che la notifica dell’atto di citazione debba essere effettuata in Italia oppure all’estero) ha specificato che il meccanismo della notificazione all’estero, sotto l’aspetto funzionale, è stato modificato dalla intervenuta declaratoria di illegittimità di cui alla citata sentenza n. 69 del 1994, la quale assume una valenza generale poiché trascende la specifica fattispecie oggetto di quel giudizio e coinvolge il complessivo sistema notificatorio degli atti processuali risultante dagliartt. 142 e 143 cod. proc. civ. delimitandone l’ambito di operatività, le modalità ed i momenti di perfezionamento a seconda dei soggetti coinvolti e, soprattutto, a prescindere dal contenuto degli atti stessi.

Si riconosce, dunque, elevato a principio fondamentale della materia l’anticipazione del perfezionamento dell’atto, nei riguardi della parte notificante, al compimento delle formalità volta a volta indicate dalla legge – e, in particolare, dalle convenzioni internazionali vigenti in materia – con persistente operatività della suesposta regola della scissione tra il detto perfezionamento e la successiva efficacia dell’atto nei confronti del destinatario e con riguardo alla esigenza di operare un bilanciamento dei valori tutelati dalla Costituzione, ponendo quale limite al concreto esercizio del diritto di difesa del destinatario la esigenza dell’istante al rituale e spedito svolgimento del processo, che si estrinseca in un sistema idoneo ad una più agevole notificazione degli atti.

Del resto, seguendo la “ratio” della necessità di assicurare un siffatto bilanciamento, la Corte Costituzionale, già con la sentenza n. 213 del 1975, aveva espressamente formulato il principio secondo il quale nel processo civile, a differenza di quanto accade nel processo penale, “il diritto di difesa di ciascuna parte va contemperato con quello dell’altra, cosicché, con riguardo alle notifiche, a ragione vengono tenuti presenti non solo gli interessi del destinatario dell’atto, ma anche le esigenze del notificante, sul quale possono gravare oneri di notifica entro termini di decadenza”.

Orbene, identica “ratio” appare sottesa alla giurisprudenza di questa Corte sull’interpretazione dell’art. 143 cod. proc. civ., improntata a costante affermazione del principio per cui, al fine della validità della notificazione eseguita secondo questa norma, occorre che la conoscenza del luogo di residenza, dimora o domicilio del notificando sia oggettivamente impossibile per il notificante, nel senso che l’ignoranza di tali dati non sia superabile con l’impiego dell’ordinaria diligenza, la quale comporta la necessità di ricerche e richieste di informazioni suggerite dal caso concreto, non limitabili alla riscontrata insufficienza delle risultanze anagrafiche (si vedano, fra le tante, Cass., 26 marzo 2001, n. 4339; Id., 3 febbraio 1998, n. 1092; Id., 2 maggio 1997, n. 3799; Id., 18 luglio 1997, n. 6618; Id., 10 luglio 1997, n. 6257; Id. 20 dicembre 1996, n. 11428; Id., 25 novembre 1995, n. 12223; Id., 13 maggio 1991, n. 5329).

In effetti, come le contrapposte esigenze cui deve assicurare soddisfazione il procedimento notificatorio confluiscono e si contemperano nell’operatività della regola della scissione del momento del perfezionamento rispetto a quello dell’efficacia, così si esclude un rapporto di causalità – dipendenza fra l’onere (di colui che voglia rendere opponibile ai terzi la propria reperibilità in un determinato luogo) di provvedere ad un’apposita dichiarazione finalizzata alle opportune annotazioni in pubblici registri e l’onere del notificante di ricercare diligentemente i dati personali del destinatario della notificazione, anche al di là di tali annotazioni: i comportamenti richiesti ai soggetti portatori delle esigenze suddette rilevano su piani diversi, essendo il puntuale assolvimento del proprio onere, da parte del destinatario, funzionale alla realizzazione delle condizioni in presenza delle quali deve farsi luogo a formalità di notificazione che meglio assecondano la realizzazione dell’effettiva conoscenza dell’atto; mentre l’onere, imposto al notificante di provvedere alla suddetta ricerca è strumentale all’interesse al perfezionamento del procedimento notificatorio, anche con eventuale ricorso a formalità che, rispetto all’esigenza dell’effettività della conoscenza, privilegino questo stesso interesse, con compressione dei diritti di difesa del destinatario che non avrebbe ragion d’essere qualora, nonostante l’esito negativo della consultazione dei registri, ancorché determinato dalla negligenza del destinatario medesimo, rimanessero sperimentabili, ma inesplorate, ulteriori possibilità di ricerca, richiedenti l’impiego di normale diligenza, non diversa da quella implicata da siffatta consultazione.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, può, conclusivamente affermarsi in via di principio che, sebbene la disciplina degli adempimenti anagrafici dovuti dal cittadini italiani che trasferiscano all’estero la propria residenza risulti improntata al principio dell’acquisizione anche del dato costituito dall’indirizzo dell’interessato e della disponibilità del medesimo attraverso i registri dell’AIRE, il difetto di risultanze anagrafiche relative ad esso, ancorché imputabile, in via prioritaria, ad inerzia del destinatario di una notificazione, non legittima, per questo solo fatto il notificante al ricorso alle formalità di notificazione di cuiall’art. 143 cod. proc. civ., che resta, invece, subordinato all’esito negativo di ulteriori ricerche eseguibili con l’impiego dell’ordinaria diligenza presso l’Ufficio consolare di cui all’art.6 della legge 27 ottobre 1988, n. 470, che costituisce non solo il tramite istituzionale attraverso il quale il contenuto informativo dell’adempimento degli obblighi di dichiarazione del cittadino all’estero perviene alle amministrazioni competenti alla tenuta dei menzionati registri, ma anche l’organo cui competono poteri sussidiari di accertamento e rilevazione, intesi a porre rimedio alle lacune informative derivanti dall’inerzia suddetta.

Le statuizioni della sentenza impugnata, in punto di nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio eseguita ai sensi dell’art. 143 cod. proc. civ., senza alcuna preventiva indagine presso i competenti uffici consolari, si palesano, dunque, conformi al diritto, con conseguente infondatezza anche del primo motivo del ricorso.

Il ricorso stesso va, pertanto, va rigettato.

Il contrasto di giurisprudenza esistente sull’esaminata questione costituisce giusto motivo di compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma il 21 febbraio 2002.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IN DATA 10 MAGGIO 2002.

(*) ndr: così nel testo.


Cass. pen. Sez. VI, (ud. 14-11-2001) 01-02-2002, n. 3883

Composta dagli Ill.mi Sigg.:

Dott. Francesco Romano Presidente

1. Dott. Dolfo Di Virginio Consigliere

2. ” Antonio Stefano Agrò “

3. ” Nicola Milo (rel.)”

4. ” Giorgio Colla “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da , nato a Teggiano l’1-2-1950,

avverso la sentenza 9-11-2000 della Corte d’Appello di Salerno:

Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso,

Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere dr. N. Milo;

Udito il Pubblico Ministero in persona del dr. Enrico Delehaye che ha concluso per il rigetto del ricorso;

il difensore avv. M. Pinto non è comparso.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
La Corte d’Appello di Salerno, con sentenza 9-11-’00, riformando in parte quella in data 14-10-’98 del GUP del Tribunale di Sala Consilina che, all’esito del rito abbreviato, aveva dichiarato colpevole del reato di cui all’art. 314/2^ c.p., attenuato ex artt. 62 bis e 62 n. 6 c.p., concedeva all’imputato anche l’attenuante della speciale tenuità del danno (art. 62 n. 4 c.p.) e riduceva la pena principale, già condizionalmente sospesa, a mesi due e giorni dieci di reclusione, ferma restando la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici.

Al , in particolare, si era addebitato di avere ripetutamente fatto uso, per ragioni personali e private, tra il maggio e il giugno 1995, dell’utenza telefonica installata presso il Comune di Teggiano, della quale, in quanto consigliere comunale, aveva la disponibilità.

Ha proposto, tramite il proprio difensore, ricorso per cassazione il prevenuto e ha lamentato la violazione degli art. 323 bis c.p. e 53 della legge 689/’81, nonché il connesso vizio di motivazione, sostenendo che ricorrevano i presupposti per ritenere il fatto di particolare tenuità e per accordargli la sostituzione della pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria.

La difesa dell’imputato ha depositato, in data 21-5-2001, memoria, con la quale, insistendo nelle censure già articolate, ha dedotto una ulteriore doglianza finalizzata a sostenere, attraverso il richiamo di un precedente giurisprudenziale di questa Corte, l’irrilevanza penale del fatto.

All’odierna udienza pubblica, assente il difensore del ricorrente, il P.G. ha concluso come da epigrafe.

Preliminarmente, va disattesa l’istanza di differimento della trattazione del presente procedimento, per allegato impedimento del difensore. Detta istanza, infatti, è supportata da una documentazione giustificativa generica e non è stata comunicata tempestivamente, ma solo in data 5 novembre u.s.

Il ricorso, in quanto manifestamente infondato, va dichiarato inammissibile.

Non ha pregio il motivo aggiunto di cui alla memoria 21-5-2001.

Il richiamo che in questa si è fatto al recente precedente di questa Corte (sentenza n. 554 del 20-4-2001, P.M. c. ) è fuori luogo, perché la soluzione in quel caso adottata, in quanto coerente con una certa ricostruzione fattuale, non può essere, per così dire, “estesa” al caso in esame, per ritenere l’irrilevanza penale dello stesso.

Quel precedente giurisprudenziale va, anzi, tenuto presente per qualificare più correttamente, “sub specie iuris”, la condotta scritta all’imputato.

Posto che questa è consistita nell’utilizzazione dell’utenza telefonica del Comune di Teggiano, per lunghe e ripetute conversazioni personali dal contenuto erotico – sentimentale, va precisato che, in questo caso, si è verificata una vera e definitiva appropriazione degli impulsi elettronici attraverso i quali si trasmette la voce, atteso che l’art. 624/2^c.p. dispone che “agli effetti della legge penale, si considera cosa mobile anche l’energia elettrica ed ogni altra energia che abbia valore economico”.

Se, quindi, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, disponendo, per ragione dell’ufficio o del servizio, dell’utenza telefonica intestata alla P.A. la utilizza per effettuare chiamate d’interesse personale, il fatto lesivo si sostanzia non nell’uso dell’apparecchio telefonico quale oggetto fisico, come ritenuto in sede di merito, bensì nell’appropriazione, che attraverso tale uso si consegue, delle energie, entrate a fare parte della sfera di disponibilità della P.A., occorrenti per le conversazioni telefoniche.

Ciò porta a inquadrare l’ipotesi in esame nel peculato ordinario di cui al primo comma dell’art. 314 c.p., considerato che non sono immediatamente restituibili, dopo l’uso, le energie utilizzate (e lo stesso eventuale rimborso delle somme corrispondenti all’entità dell’utilizzo non potrebbe che valere come ristoro del danno arrecato).

Nel caso specifico, a differenza dell’episodio oggetto della decisione di questa Corte richiamata nella memoria difensiva, non ricorrono, avuto riguardo al tenore delle conversazioni, quelle “rilevanti e contingenti esigenze personali” che, in via eccezionale, potrebbero giustificare l’utilizzo della linea telefonica di una pubblica amministrazione.

Nessun riflesso sul trattamento sanzionatorio, difettando il gravame del P.M.

La Corte di merito ha, poi, dato conto, con motivazione adeguata e immune da vizi logici. delle ragioni che l’hanno indotta a non accordare la sollecitata attenuante di cui all’art. 323 bis C.P. e la sostituzione della pena detentiva: si è fatto leva su argomentazioni non meramente formali e tangibili, ma indicativi della particolare gravità del fatto e della negativa personalità dell’agente, apprezzamenti questi che, implicano una valutazione fattuale, non possono essere contestati in questa sede, anche perché sono in linea con la “ratio” delle norme di legge denunciate.

Consegue, di diritto, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese e della sanzione pecuniaria di L 1.000.000 (ritenuta congrua) alla Cassa delle ammende.

P.Q.M.
Qualificato il fatto come peculato di cui al primo comma dell’art. 314 C.P., dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di L 1.000.000 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 14.11.’01

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 1 FEB. 2002


Legge n. 459 del 27.12.2001

LEGGE 27 dicembre 2001, n. 459(1).

Norme per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero (2).

(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 5 gennaio 2002, n. 4.

(2) Per il regolamento di attuazione della presente legge vedi il D.P.R. 2 aprile 2003, n. 104.

Art. 1.

1. I cittadini italiani residenti all’estero, iscritti nelle liste elettorali di cui all’articolo 5, comma 1, votano nella circoscrizione Estero, di cui all’articolo 48 della Costituzione, per l’elezione delle Camere e per i referendum previsti dagli articoli 75 e 138 della Costituzione, nei limiti e nelle forme previsti dalla presente legge.

2. Gli elettori di cui al comma 1 votano per corrispondenza.

3. Gli elettori di cui al comma 1 possono esercitare il diritto di voto in Italia, e in tale caso votano nella circoscrizione del territorio nazionale relativa alla sezione elettorale in cui sono iscritti, previa opzione da esercitare per ogni votazione e valida limitatamente ad essa.

Art. 2.

1. Le rappresentanze diplomatiche e consolari provvedono ad informare periodicamente gli elettori di cui all’articolo 1, comma 1, delle norme contenute nella presente legge, con riferimento alle modalità di voto per corrispondenza e all’esercizio del diritto di opzione di cui all’articolo 1, comma 3, utilizzando a tale fine tutti gli idonei strumenti di informazione, sia in lingua italiana che nella lingua degli Stati di residenza.

2. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge le rappresentanze diplomatiche e consolari inviano a ciascun elettore un plico contenente un apposito modulo per l’aggiornamento dei dati anagrafici e di residenza all’estero che lo riguardano e una busta affrancata con l’indirizzo dell’ufficio consolare competente. Gli elettori rispediscono la busta contenente il modulo con i dati aggiornati entro trenta giorni dalla data di ricezione.

Art. 3.

1. Ai fini della presente legge con l’espressione «uffici consolari» si intendono gli uffici di cui all’articolo 29 della legge 24 gennaio 1979, n. 18, e successive modificazioni.

Art. 4.

1. In occasione di ogni consultazione elettorale l’elettore può esercitare l’opzione per il voto in Italia di cui all’articolo 1, comma 3, dandone comunicazione scritta alla rappresentanza diplomatica o consolare operante nella circoscrizione consolare di residenza entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello previsto per la scadenza naturale della legislatura.

2. In caso di scioglimento anticipato delle Camere o di indizione di referendum popolare, l’elettore può esercitare l’opzione per il voto in Italia entro il decimo giorno successivo alla indizione delle votazioni (3).

3. Il Ministero degli affari esteri comunica, senza ritardo, al Ministero dell’interno i nominativi degli elettori che hanno esercitato il diritto di opzione per il voto in Italia, ai sensi dei commi 1 e 2. Almeno trenta giorni prima della data stabilita per le votazioni in Italia il Ministero dell’interno comunica i nominativi degli elettori che hanno esercitato l’opzione per il voto in Italia ai comuni di ultima residenza in Italia. I comuni adottano le conseguenti misure necessarie per l’esercizio del voto in Italia.

4. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge le rappresentanze diplomatiche e consolari, sulla base delle istruzioni impartite a tale fine dal Ministero degli affari esteri, informano, con apposita comunicazione, l’elettore della possibilità di esercitare l’opzione per il voto in Italia specificando in particolare che l’eventuale opzione è valida esclusivamente per una consultazione elettorale o referendaria e che deve essere esercitata nuovamente in occasione della successiva consultazione.

5. L’elettore che intenda esercitare l’opzione per il voto in Italia per la prima consultazione elettorale o referendaria successiva alla data di entrata in vigore della presente legge lo comunica, entro il sessantesimo giorno dalla ricezione della comunicazione, alla rappresentanza diplomatica o consolare operante nella circoscrizione consolare di residenza e comunque entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello previsto per la scadenza naturale della legislatura.

(3) Per la decorrenza del termine vedi il comma 1-bis dell’art. 1, D.L. 15 febbraio 2008, n. 24, aggiunto dalla relativa legge di conversione.

Art. 5.

1. Il Governo, mediante unificazione dei dati dell’anagrafe degli italiani residenti all’estero e degli schedari consolari, provvede a realizzare l’elenco aggiornato dei cittadini italiani residenti all’estero finalizzato alla predisposizione delle liste elettorali, distinte secondo le ripartizioni di cui all’articolo 6, per le votazioni di cui all’articolo 1, comma 1.

2. Sono ammessi ad esprimere il proprio voto in Italia solo i cittadini residenti all’estero che hanno esercitato l’opzione di cui all’articolo 1, comma 3.

Art. 6.

1. Nell’àmbito della circoscrizione Estero sono individuate le seguenti ripartizioni comprendenti Stati e territori afferenti a:

a) Europa, compresi i territori asiatici della Federazione russa e della Turchia;

b) America meridionale;

c) America settentrionale e centrale;

d) Africa, Asia, Oceania e Antartide.

2. In ciascuna delle ripartizioni di cui al comma 1 è eletto un deputato e un senatore, mentre gli altri seggi sono distribuiti tra le stesse ripartizioni in proporzione al numero dei cittadini italiani che vi risiedono, secondo l’elenco di cui all’articolo 5, comma 1, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.

Art. 7.

1. Presso la corte di appello di Roma, entro tre giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto di convocazione dei comizi elettorali, è istituito l’ufficio centrale per la circoscrizione Estero composto da sei magistrati, dei quali uno con funzioni di presidente ed uno con funzioni di vicepresidente vicario, scelti dal presidente della Corte di appello. L’ufficio opera con la presenza di almeno tre componenti, tra cui il presidente o il vicepresidente (4).

(4) Comma così modificato dall’art. 1, D.L. 15 febbraio 2008, n. 24.

Art. 8.

1. Ai fini della presentazione dei contrassegni e delle liste per l’attribuzione dei seggi da assegnare nella circoscrizione Estero, si osservano, in quanto compatibili, le norme di cui agli articoli da 14 a 26 del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni, e in ogni caso le seguenti disposizioni:

a) le liste di candidati sono presentate per ciascuna delle ripartizioni di cui al comma 1 dell’articolo 6;

b) i candidati devono essere residenti ed elettori nella relativa ripartizione;

c) la presentazione di ciascuna lista deve essere sottoscritta da almeno 500 e da non più di 1000 elettori residenti nella relativa ripartizione;

d) le liste dei candidati devono essere presentate alla cancelleria della corte di appello di Roma dalle ore 8 del trentacinquesimo giorno alle ore 20 del trentaquattresimo giorno antecedenti quello delle votazioni.

2. Più partiti o gruppi politici possono presentare liste comuni di candidati. In tale caso, le liste devono essere contrassegnate da un simbolo composito, formato dai contrassegni di tutte le liste interessate.

3. Le liste sono formate da un numero di candidati almeno pari al numero dei seggi da assegnare nella ripartizione e non superiore al doppio di esso. Nessun candidato può essere incluso in più liste, anche se con il medesimo contrassegno.

4. Gli elettori residenti all’estero che non hanno esercitato l’opzione di cui all’articolo 1, comma 3, non possono essere candidati nelle circoscrizioni del territorio nazionale.

Art. 9.

1. … (5).

(5) Sostituisce con tre commi, i commi secondo e terzo dell’art. 7, D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361.

Art. 10.

1. … (6).

(6) Aggiunge l’art. 1-bis alla L. 13 febbraio 1953, n. 60.

Art. 11.

1. L’assegnazione dei seggi tra le liste concorrenti è effettuata in ragione proporzionale per ciascuna ripartizione, con le modalità previste dagli articoli 15 e 16.

2. Le schede sono di carta consistente, di colore diverso per ciascuna votazione e per ciascuna ripartizione; sono fornite, sotto la responsabilità del Ministero degli affari esteri, attraverso le rappresentanze diplomatiche e consolari, con le caratteristiche essenziali del modello di cui alle tabelle A, B, C e D allegate alla presente legge e riproducono in facsimile i contrassegni di tutte le liste di candidati presentate nella ripartizione. L’ordine dei contrassegni è stabilito secondo le modalità previste per le liste di candidati dall’articolo 24, n. 2), del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni. Accanto ad ogni contrassegno, nell’àmbito degli stessi spazi, sono stampate le righe per l’attribuzione del voto di preferenza.

3. L’elettore vota tracciando un segno sul contrassegno corrispondente alla lista da lui prescelta o comunque sul rettangolo che lo contiene. Ciascun elettore può inoltre esprimere due voti di preferenza nelle ripartizioni alle quali sono assegnati due o più deputati o senatori e un voto di preferenza nelle altre. Il voto di preferenza è espresso scrivendo il cognome del candidato nella apposita riga posta accanto al contrassegno votato. È nullo il voto di preferenza espresso per un candidato incluso in altra lista. Il voto di preferenza espresso validamente per un candidato è considerato quale voto alla medesima lista se l’elettore non ha tracciato altro segno in altro spazio della scheda.

Art. 12.

1. Il Ministero dell’interno consegna al Ministero degli affari esteri le liste dei candidati e i modelli delle schede elettorali non più tardi del ventiseiesimo giorno antecedente la data delle votazioni.

2. Sulla base delle istruzioni fornite dal Ministero degli affari esteri, le rappresentanze diplomatiche e consolari preposte a tale fine dallo stesso Ministero provvedono alla stampa del materiale elettorale da inserire nel plico di cui al comma 3 e per i casi di cui al comma 5.

3. Non oltre diciotto giorni prima della data stabilita per le votazioni in Italia, gli uffici consolari inviano, con il sistema postale più affidabile e, ove possibile, con posta raccomandata, o con altro mezzo di analoga affidabilità, agli elettori che non hanno esercitato l’opzione di cui all’articolo 1, comma 3, il plico contenente il certificato elettorale, la scheda elettorale e la relativa busta ed una busta affrancata recante l’indirizzo dell’ufficio consolare competente; il plico contiene, altresì, un foglio con le indicazioni delle modalità per l’espressione del voto e le liste dei candidati nella ripartizione di appartenenza di cui all’articolo 6 (7).

4. Nel caso in cui le schede elettorali siano più di una per ciascun elettore, esse sono spedite nello stesso plico e sono inviate dall’elettore in unica busta. Un plico non può contenere i documenti elettorali di più di un elettore.

5. Gli elettori di cui al presente articolo che, a quattordici giorni dalla data delle votazioni in Italia, non abbiano ricevuto al proprio domicilio il plico di cui al comma 3 possono farne richiesta al capo dell’ufficio consolare; questi, all’elettore che si presenti personalmente, può rilasciare, previa annotazione su apposito registro, un altro certificato elettorale munito di apposito sigillo e una seconda scheda elettorale che deve comunque essere inviata secondo le modalità di cui ai commi 4 e 6 del presente articolo.

6. Una volta espresso il proprio voto sulla scheda elettorale, l’elettore introduce nell’apposita busta la scheda o le schede elettorali, sigilla la busta, la introduce nella busta affrancata unitamente al tagliando staccato dal certificato elettorale comprovante l’esercizio del diritto di voto e la spedisce non oltre il decimo giorno precedente la data stabilita per le votazioni in Italia. Le schede e le buste che le contengono non devono recare alcun segno di riconoscimento.

7. I responsabili degli uffici consolari inviano, senza ritardo, all’ufficio centrale per la circoscrizione Estero le buste comunque pervenute non oltre le ore 16, ora locale, del giovedì antecedente la data stabilita per le votazioni in Italia, unitamente alla comunicazione del numero degli elettori della circoscrizione consolare che non hanno esercitato l’opzione di cui all’articolo 1, comma 3. Le buste sono inviate con una spedizione unica, per via aerea e con valigia diplomatica.

8. I responsabili degli uffici consolari provvedono, dopo l’invio dei plichi in Italia, all’immediato incenerimento delle schede pervenute dopo la scadenza del termine di cui al comma 7 e di quelle stampate per i casi di cui al comma 5 e non utilizzate. Di tali operazioni viene redatto apposito verbale, che viene trasmesso al Ministero degli affari esteri.

(7) Comma così modificato dall’art. 1, D.L. 15 febbraio 2008, n. 24.

Art. 13.

1. Presso l’ufficio centrale per la circoscrizione Estero è costituito un seggio elettorale per un minimo di duemila e un massimo di tremila elettori residenti all’estero che non abbiano esercitato l’opzione di cui all’articolo 1, comma 3, con il compito di provvedere alle operazioni di spoglio e di scrutinio dei voti inviati dagli elettori. Ciascun seggio elettorale è competente per lo spoglio dei voti provenienti da un’unica ripartizione di cui all’articolo 6, comma 1. L’assegnazione delle buste contenenti le schede ai singoli seggi è effettuata a cura dell’ufficio centrale per la circoscrizione Estero (8).

2. Per la costituzione dei seggi, per l’onorario da corrispondere ai rispettivi componenti e per le modalità di effettuazione dello spoglio e dello scrutinio dei voti si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 1994, n. 408, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 1994, n. 483, intendendosi sostituito il riferimento all’ufficio elettorale con il riferimento all’ufficio centrale per la circoscrizione Estero.

3. L’ufficio elettorale costituito presso ciascun seggio è composto dal presidente, dal segretario e da quattro scrutatori, di cui uno assume, a scelta del presidente, le funzioni di vicepresidente. Il presidente, prima dell’insediamento dell’ufficio elettorale, sceglie il segretario tra gli elettori in possesso di titolo di studio non inferiore al diploma di istruzione secondaria di secondo grado (9).

(8) Comma così modificato dall’art. 1, D.L. 15 febbraio 2008, n. 24.

(9) Comma così sostituito dall’art. 1, D.L. 15 febbraio 2008, n. 24.

Art. 14.

1. Le operazioni di scrutinio, cui partecipano i rappresentanti di lista, avvengono contestualmente alle operazioni di scrutinio dei voti espressi nel territorio nazionale.

2. Insieme al plico contenente le buste inviate dagli elettori, l’ufficio centrale per la circoscrizione Estero consegna al presidente del seggio copia autentica dell’elenco di cui al comma 1 dell’articolo 5, dei cittadini aventi diritto all’espressione del voto per corrispondenza nella ripartizione assegnata.

3. Costituito il seggio elettorale, il presidente procede alle operazioni di apertura dei plichi e delle buste assegnate al seggio dall’ufficio centrale per la circoscrizione Estero e, successivamente, alle operazioni di scrutinio. A tale fine il presidente, coadiuvato dal vicepresidente e dal segretario:

a) accerta che il numero delle buste ricevute corrisponda al numero delle buste indicate nella lista compilata e consegnata insieme alle buste medesime dall’ufficio centrale per la circoscrizione Estero;

b) accerta contestualmente che le buste ricevute provengano soltanto da un’unica ripartizione elettorale estera;

c) procede successivamente all’apertura di ciascuna delle buste esterne compiendo per ciascuna di esse le seguenti operazioni:

1) accerta che la busta contenga il tagliando del certificato elettorale di un solo elettore e la seconda busta nella quale deve essere contenuta la scheda o, in caso di votazione contestuale per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, le schede con l’espressione del voto;

2) accerta che il tagliando incluso nella busta appartenga ad elettore incluso nell’elenco di cui al comma 2;

3) accerta che la busta contenente la scheda o le schede con l’espressione del voto sia chiusa, integra e non rechi alcun segno di riconoscimento e la inserisce nell’apposita urna sigillata;

4) annulla, senza procedere allo scrutinio del voto, le schede incluse in una busta che contiene più di un tagliando del certificato elettorale, o un tagliando di elettore che ha votato più di una volta, o di elettore non appartenente alla ripartizione elettorale assegnata, o infine contenute in una busta aperta, lacerata o che reca segni di riconoscimento; in ogni caso separa dal relativo tagliando di certificato elettorale la busta recante la scheda annullata in modo tale che non sia possibile procedere alla identificazione del voto;

d) completata l’apertura delle buste esterne e l’inserimento nell’urna sigillata di tutte le buste interne recanti la scheda con l’espressione del voto, procede alle operazioni di spoglio. A tale fine:

1) il vicepresidente del seggio estrae successivamente dall’urna ciascuna delle buste contenenti la scheda che reca l’espressione del voto; aperta la busta imprime il bollo della sezione sul retro di ciascuna scheda, nell’apposito spazio;

2) il presidente, ricevuta la scheda, enuncia ad alta voce la votazione per la quale tale voto è espresso e, in caso di votazione contestuale per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, enuncia la votazione per la quale il voto è espresso e consegna la scheda al segretario (10);

3) il segretario enuncia ad alta voce i voti espressi e prende nota dei voti di ciascuna lista e di ciascun candidato; pone quindi le schede scrutinate entro scatole separate per ciascuna votazione.

4. Tutte le operazioni di cui al comma 3 sono compiute nell’ordine indicato; del compimento e del risultato di ciascuna di esse è fatta menzione nel verbale.

5. Alle operazioni di scrutinio, spoglio e vidimazione delle schede si applicano le disposizioni recate dagli articoli 45, 67 e 68 del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni, in quanto non diversamente disposto dal presente articolo.

(10) Numero così modificato dall’art. 1, D.L. 15 febbraio 2008, n. 24.

Art. 15.

1. Concluse le operazioni di scrutinio, l’ufficio centrale per la circoscrizione Estero per ciascuna delle ripartizioni di cui all’articolo 6:

a) determina la cifra elettorale di ciascuna lista. La cifra elettorale della lista è data dalla somma dei voti di lista validi ottenuti nell’àmbito della ripartizione;

b) determina la cifra elettorale individuale di ciascun candidato. La cifra elettorale individuale è data dalla somma dei voti di preferenza riportati dal candidato nella ripartizione;

c) procede all’assegnazione dei seggi tra le liste di cui alla lettera a). A tale fine divide la somma delle cifre elettorali di tutte le liste presentate nella ripartizione per il numero dei seggi da assegnare in tale àmbito; nell’effettuare tale divisione, trascura la eventuale parte frazionaria del quoziente. Il risultato costituisce il quoziente elettorale della ripartizione. Divide, quindi, la cifra elettorale di ciascuna lista per tale quoziente. La parte intera del risultato di tale divisione rappresenta il numero di seggi da assegnare a ciascuna lista. I seggi che rimangono eventualmente ancora da attribuire sono assegnati alle liste per le quali le divisioni abbiano dato i maggiori resti e, in caso di parità di resti, alla lista con la più alta cifra elettorale;

d) proclama quindi eletti in corrispondenza dei seggi attribuiti a ciascuna lista, i candidati della lista stessa secondo l’ordine delle rispettive cifre elettorali. A parità di cifra sono proclamati eletti coloro che precedono nell’ordine della lista.

Art. 16.

1. Il seggio attribuito ai sensi dell’articolo 15 che rimanga vacante, per qualsiasi causa, anche sopravvenuta, è attribuito nell’àmbito della medesima ripartizione al candidato che nella lista segue immediatamente l’ultimo degli eletti nella graduatoria delle cifre elettorali individuali o, in assenza di questi, nell’ordine della lista.

Art. 17.

1. Lo svolgimento della campagna elettorale è regolato da apposite forme di collaborazione che lo Stato italiano conclude, ove possibile, con gli Stati nel cui territorio risiedono gli elettori di cittadinanza italiana.

2. I partiti, i gruppi politici e i candidati si attengono alle leggi vigenti nel territorio italiano sulla base delle forme di collaborazione di cui al comma 1.

3. Le rappresentanze diplomatiche e consolari italiane adottano iniziative atte a promuovere la più ampia comunicazione politica sui giornali quotidiani e periodici italiani editi e diffusi all’estero e sugli altri mezzi di informazione in lingua italiana o comunque rivolti alle comunità italiane all’estero, in conformità ai princìpi recati dalla normativa vigente nel territorio italiano sulla parità di accesso e di trattamento e sull’imparzialità rispetto a tutti i soggetti politici.

Art. 18.

1. Chi commette in territorio estero taluno dei reati previsti dal testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni, è punito secondo la legge italiana. Le sanzioni previste all’articolo 100 del citato testo unico, in caso di voto per corrispondenza si intendono raddoppiate.

2. Chiunque, in occasione delle elezioni delle Camere e dei referendum, vota sia per corrispondenza che nel seggio di ultima iscrizione in Italia, ovvero vota più volte per corrispondenza è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 52 euro a 258 euro.

Art. 19.

1. Le rappresentanze diplomatiche italiane concludono intese in forma semplificata con i Governi degli Stati ove risiedono cittadini italiani per garantire:

a) che l’esercizio del voto per corrispondenza si svolga in condizioni di eguaglianza, di libertà e di segretezza;

b) che nessun pregiudizio possa derivare per il posto di lavoro e per i diritti individuali degli elettori e degli altri cittadini italiani in conseguenza della loro partecipazione a tutte le attività previste dalla presente legge.

2. Il Ministro degli affari esteri informa il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro dell’interno delle intese in forma semplificata concluse, che entrano in vigore, in accordo con la controparte, all’atto della firma.

3. Le disposizioni della presente legge riguardanti il voto per corrispondenza non si applicano ai cittadini italiani residenti negli Stati con i cui Governi non sia possibile concludere le intese in forma semplificata di cui al comma 1. Ad essi si applicano le disposizioni relative all’esercizio del voto in Italia.

4. Le disposizioni relative all’esercizio del voto in Italia si applicano anche agli elettori di cui all’articolo 1, comma 1, residenti in Stati la cui situazione politica o sociale non garantisce, anche temporaneamente, l’esercizio del diritto di voto secondo le condizioni di cui alle lettere a) e b) del comma 1 del presente articolo. A tale fine, il Ministro degli affari esteri informa il Presidente del Consiglio dei ministri ed il Ministro dell’interno del verificarsi, nei diversi Stati, di tali situazioni affinché siano adottate le misure che consentano l’esercizio del diritto di voto in Italia.

Art. 20.

1. Sono abolite le agevolazioni di viaggio previste dall’articolo 117 del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni, e dall’articolo 26 del testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica, di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, nonché, limitatamente alle elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, quelle previste dall’articolo 2 della legge 26 maggio 1969, n. 241.

2. Gli elettori residenti negli Stati in cui non vi sono rappresentanze diplomatiche italiane ovvero con i cui Governi non sia stato possibile concludere le intese in forma semplificata di cui all’articolo 19, comma 1, nonché negli Stati che si trovino nelle situazioni di cui all’articolo 19, comma 4, hanno diritto al rimborso del 75 per cento del costo del biglietto di viaggio. A tale fine l’elettore deve presentare apposita istanza all’ufficio consolare della circoscrizione di residenza o, in assenza di tale ufficio nello Stato di residenza, all’ufficio consolare di uno degli Stati limitrofi, corredata del certificato elettorale e del biglietto di viaggio.

Art. 21.

1. … (11).

(11) Sostituisce il primo comma dell’art. 55, D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361.

Art. 22.

1. Al fine di individuare nelle circoscrizioni della Camera dei deputati i seggi da attribuire alla circoscrizione Estero, si applica l’articolo 56, quarto comma, della Costituzione, fermi restando i collegi uninominali di ciascuna circoscrizione già definiti in applicazione della legge elettorale vigente.

2. Al fine di individuare nelle regioni i seggi del Senato della Repubblica da attribuire alla circoscrizione Estero, si applicano i commi terzo e quarto dell’articolo 57 della Costituzione, fermi restando i collegi uninominali di ciascuna regione già definiti in applicazione della legge elettorale vigente.

Art. 23.

1. I cittadini italiani residenti all’estero di cui all’articolo 1, comma 1, partecipano alla richiesta di indizione dei referendum popolari previsti dagli articoli 75 e 138 della Costituzione.

2. Ai fini di cui al comma 1, alla legge 25 maggio 1970, n. 352, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 7, primo comma, dopo le parole: «di un comune della Repubblica», sono inserite le seguenti: «o nell’elenco dei cittadini italiani residenti all’estero di cui alla legge in materia di esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero»;

b) all’articolo 8, secondo comma, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «ovvero, per i cittadini italiani residenti all’estero, la loro iscrizione nelle liste elettorali dell’anagrafe unica dei cittadini italiani residenti all’estero»;

c)(12).

d) all’articolo 8, sesto comma, primo periodo, dopo le parole: «elettorali dei comuni medesimi», sono aggiunte le seguenti: «ovvero, per i cittadini italiani residenti all’estero, la loro iscrizione nell’elenco dei cittadini italiani residenti all’estero di cui alla legge in materia di esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero»;

e) all’articolo 50, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «nonché, per i cittadini italiani residenti all’estero, le disposizioni della legge in materia di esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero».

(12) Aggiunge un periodo, dopo il primo, al terzo comma dell’art. 8, L. 25 maggio 1970, n. 352.

Art. 24.

1. All’onere derivante dall’attuazione della presente legge si provvede a carico del «Fondo da ripartire per fronteggiare le spese derivanti dalle elezioni politiche, amministrative, del Parlamento europeo e dall’attuazione dei referendum», iscritto nell’àmbito dell’unità previsionale di base 7.1.3.2 «Spese elettorali» dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.

Art. 25.

1. Per tutto ciò che non è disciplinato dalla presente legge, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni.

Art. 26.

1. Con regolamento adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera b), della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono disciplinate le modalità di attuazione della presente legge.

2. Lo schema di regolamento di cui al comma 1 è trasmesso alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perché su di esso sia espresso, entro sessanta giorni dalla data di trasmissione, il parere delle Commissioni competenti per materia. Decorso inutilmente tale termine il regolamento è emanato anche in mancanza del parere parlamentare (13).

(13) In attuazione di quanto previsto dal presente articolo vedi il D.P.R. 2 aprile 2003, n. 104.

Art. 27.

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Tabella A

(v. art. 11, comma 2)

Tabella B (14)

(v. art. 11, comma 2)

(14) Tabella così sostituita dall’allegato 1 al D.L. 15 febbraio 2008, n. 24, ai sensi di quanto disposto dall’art. 1 dello stesso decreto.

Tabella C

(v. art. 11, comma 2)

Tabella D (15)

(v. art. 11, comma 2)

(15) Tabella così sostituita dall’allegato 2 al D.L. 15 febbraio 2008, n. 24, ai sensi di quanto disposto dall’art. 1 dello stesso decreto.


Cass. civ. Sez. lavoro, 14-08-2001, n. 11105

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Antonio SAGGIO – Presidente –

Dott. Alberto SPANÒ – Consigliere –

Dott. Attilio CELENTANO – Rel. Consigliere –

Dott. Paolo STILE – Consigliere –

Dott. Aldo DE MATTEIS – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

LATTANZI BRUNO, elettivamente domiciliato in ROMA V.LE MAZZINI 6, presso lo studio dell’avvocato ELIO VITALE, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA A FAVORE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VLE DELLE MILIZIE 19, presso lo studio dell’avvocato ALDO LUCIO LANIA, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 668/99 del Tribunale di MACERATA, depositata il 10/11/99 R.G.N. 10/97;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/06/01 dal Consigliere Dott. Attilio CELENTANO;

udito l’Avvocato VITALE;

udito l’Avvocato LANIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Renato FINOCCHI GHERSI che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Con ricorso del 17 marzo 1989 il signor Bruno Lattanzi chiedeva al Pretore di Ancona la condanna della Cassa Nazionale Previdenza ed Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti a corrispondergli la pensione di vecchiaia, negata in sede amministrativa.

Costituitasi, la convenuta si opponeva alla domanda, sostenendo che dalla documentazione prodotta dal Lattanzi erano risultate solo sporadiche prestazioni professionali, per le quali il ricorrente non aveva ricevuto compensi.

Con sentenza del 23 maggio/27 novembre 1990 il Pretore rigettava la domanda, escludendo l’esercizio di un’attività qualificabile come libera professione.

Il Tribunale di Ancona, adito in sede di appello dal Lattanzi, riconosceva invece l’esistenza del diritto vantato dall’appellante e condannava la Cassa al pagamento della pensione. I giudici di secondo grado osservavano che il Lattanzi aveva maturato il diritto alla pensione prima dell’entrata in vigore della legge n. 21 del 29 gennaio 1986, che aveva sancito l’obbligo di iscrizione alla Cassa solo per i dottori commercialisti, iscritti all’albo professionale, che esercitassero la libera professione con carattere di continuità.

Secondo la previgente disciplina, applicabile alla posizione del Lattanzi, la iscrizione alla Cassa era obbligatoria a prescindere dalla continuità dell’esercizio dell’attività professionale, per cui era irrilevante l’entità di tale esercizio, spettando la pensione anche con il versamento della sola contribuzione minima obbligatoria.

Avverso tale sentenza la Cassa ricorreva per cassazione, sostenendo che fin dalla legge 3 febbraio 1983 n. 100 il libero professionista, per avere diritto alla pensione, doveva in ogni caso ricavare dalla sua attività un reddito, anche modesto; il che non era avvenuto nel caso del Lattanzi, il quale, per sua esplicita ammissione, negli anni dal 1972 al 1981 aveva lavorato, in regime di subordinazione, alle dipendenze del Consorzio nazionale obbligatorio tra gli esattori delle imposte dirette, mentre prima del 1972 aveva lavorato alle dipendenze dell’istituto Bancario, tanto da essere pensionato INPDAI.

Il ricorso veniva accolto “per quanto di ragione” da questa Corte con sentenza n. 3493 del 13 aprile 1996.

Ricordato che secondo l’art. 2 della legge 3 febbraio 1963 n. 100, applicabile alla fattispecie, il diritto alla pensione sorge pur sempre quando vi sia stata una effettiva pratica professionale, pur essendo irrilevante l’entità e la intensità del lavoro concretamente svolto e sussistendo, inoltre, una presunzione semplice di esercizio dell’attività professionale per chi fosse iscritto alla Cassa, la Corte rilevava che il Tribunale di Ancona non aveva affatto proceduto ad accertare se il Lattanzi avesse effettivamente esercitato la professione, sia pure senza il carattere della continuità (punto sul quale le circostanze di fatto non erano per nulla pacifiche).

Cassava, pertanto, la sentenza impugnata e rinviava la causa al Tribunale di Macerata, perché accertasse in fatto “la natura e la entità, sia pur minima dell’attività svolta dal Lattanzi nel corso di tutto il suo periodo di iscrizione alla Cassa, al fine del raggiungimento del periodo minimo di contribuzione”.

La Cassa riassumeva la causa davanti al giudice di rinvio, chiedendo rigettarsi la domanda del ricorrente; il Lattanzi si costituiva, chiedendo, invece, l’accoglimento del suo ricorso.

Con sentenza del 27 ottobre/10 novembre 1999 il Tribunale di Macerata rigettava l’appello, confermando quindi la sentenza del Pretore di Ancona.

Il giudice del rinvio osservava, da un lato, che il Lattanzi non aveva provato la prestazione da parte sua di attività libero professionale di dottore commercialista per il periodo necessario al maturare del diritto alla pensione e, dall’altro, che dalla istruttoria espletata in primo grado era risultato che per almeno tredici anni il Lattanzi aveva svolto attività di vice direttore del Consorzio nazionale per la meccanizzazione, di assorbente impegno, sicché veniva confermato anche il mancato compimento del periodo temporale necessario per il maturare del diritto alla prestazione previdenziale.

Per la cassazione della sentenza del Tribunale di Macerata ricorre, formulando tre motivi di censura, illustrati con memoria, il dottor Bruno Lattanzi.

La Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei dottori commercialisti resiste con controricorso.

Motivi della decisione
Con il primo motivo, denunciando “violazione delle norme di diritto relative alle presunzioni”, la difesa del dott. Lattanzi deduce che erroneamente il Tribunale ha rigettato la domanda per la mancata prova dell’esercizio dell’attività professionale. Assume che, sussistendo una presunzione semplice di esercizio, sia pur minimo, di attività professionale per gli iscritti alla Cassa, non competeva al ricorrente dimostrare l’esistenza di tale attività, ma alla Cassa dimostrare il mancato esercizio.

Aggiunge che, comunque, il Tribunale ha illegittimamente escluso che le prove addotte fossero idonee ad attivare una attività istruttoria di ufficio, non essendosi tenuto conto del fatto che la stessa controparte aveva riconosciuto che nel periodo considerato, 1972/1976, il Lattanzi aveva svolto attività libero professionale, contestando solo il requisito della continuità.

Con il secondo motivo la difesa del dottor Lattanzi denuncia violazione delle norme relative al procedimento di rinvio, con particolare riguardo all’art 112 in relazione all’art. 394 c.p.c..

Assume che il Tribunale di Macerata ha errato nel ritenere insufficienti gli elementi probatori prodotti dal Lattanzi, ed in particolare la dichiarazione della Consulmarche.

Rileva, poi, che il Lattanzi non poteva, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, chiedere di espletare nuova attività istruttoria, atteso il carattere chiuso del processo di rinvio.

Con il terzo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione delle norme di legge in ordine alla valutazione delle prove.

Si deduce che, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza impugnata circa la carenza di elementi identificativi della Consulmarche (pag. 6, ultimo capoverso), erano depositai in atti, fin dal primo grado, “oltre alla dichiarazione del 3.7.87 del Presidente della succitata Società, anche diversi depliant pubblicitari relativi alla Consulmarche srl e relativi sia a convegni da essa organizzati, sia di presentazione della stessa, oltre a numerosi bollettini informativi predisposti dalla stessa Società la quale, sarà bene precisarlo è una società di consulenza aziendale che vanta tra i propri Clienti i maggiori Industriali delle Marche a cui fornisce vari servizi, tra i quali anche quelli tributari, commerciali, e di formazione”.

Il ricorso, i cui tre motivi si trattano congiuntamente in considerazione della loro stretta connessione, non è fondato, anche se alcune censure appaiono esatte; si tratta però di erronee affermazioni, da parte del giudice di rinvio, che non hanno inciso sulla correttezza della decisione.

Va infatti sottolineato che la sentenza del Tribunale di Macerata si fonda su una doppia motivazione.

Da una parte il Tribunale ha affermato che il dottor Lattanzi, cui incombeva l’onere di dimostrare l’esercizio di attività professionale per il periodo necessario al maturare del diritto alla pensione, non aveva chiesto l’espletamento di alcuna nuova attività istruttoria in sede di rinvio, e che la dichiarazione in data 3.7.87 a firma illeggibile del presidente della srl Consulmarche (della quale non venivano forniti ulteriori elementi identificatori) si limitava ad attestare che il Lattanzi avrebbe collaborato “per diversi anni” al periodico “consulmarche informa”, che avrebbe avuto contenuto amministrativo e fiscale; per il resto la dichiarazione era generica e ricognitiva di giudizi piuttosto che di fatti inerenti l’attività professionali del Lattanzi. La domanda andava pertanto rigettata per il mancato assolvimento dell’onere della prova da parte del dottore commercialista.

Né il Tribunale riteneva che la documentazione prodotta, attesa la scarsa o nulla valenza probatoria in ordine allo svolgimento di attività professionale, giustificasse l’attivarsi istruttorio dell’Ufficio.

Dall’altra, il giudice di rinvio ha osservato che dalla istruttoria pretorile era risultato che per almeno tredici anni il Lattanzi aveva svolto attività di vice direttore del Consorzio per la meccanizzazione, di assorbente impegno per la importanza e molteplicità delle attività connesse, per cui veniva confermata la circostanza del mancato compimento del periodo temporale necessario per il maturare del diritto alla prestazione previdenziale.

La prima motivazione contiene, indubbiamente, alcune inesattezze.

Avendo la sentenza rescindente affermato che esiste, per chi sia iscritto alla Cassa, la presunzione semplice dell’effettivo esercizio di attività libero – professionale, il che sposta sulla Cassa l’onere di dimostrare la insussistenza dell’esercizio della libera professione (pag. 9 della sentenza n. 3493/96), erroneamente il Tribunale di Macerata ha addossato l’onere della prova al dottor Lattanzi (salvo per quanto concerne la prova di elementi atti a contrastare gli opposti elementi forniti dalla Cassa). Ed erroneamente ha ritenuto che nel giudizio di rinvio – nel quale non risultavano spostati i termini del contendere – avrebbero potuto essere richiesti, dalle parti, nuovi mezzi istruttori.

Questa seconda affermazione non tiene conto del fatto che l’art. 394 c.p.c. vieta alle parti di prendere conclusioni diverse da quelle prese nel giudizio nel quale fu pronunciata la sentenza cassata (salvo che la necessità delle nuove conclusioni sorga dalla sentenza di cassazione), per cui nel giudizio di rinvio non possono essere articolate prove non dedotte nel primo giudizio di appello, a meno che dalla sentenza di annullamento non risulti modificato il thema decidendum (Cass., 12 ottobre 1994 n. 8334; 14 aprile 1999 n. 3680).

La seconda motivazione, invece, appare corretta ed è da sola idonea a fondare la decisione di rigetto della richiesta di prestazione previdenziale.

Il Tribunale di Macerata ha ritenuto, infatti, che dalla istruttoria pretorile era risultato che per almeno tredici anni il Lattanzi aveva svolto attività di vice direttore di un consorzio, attività di assorbente impegno, sicché veniva comunque a mancare il compimento del periodo temporale necessario per il maturare del diritto alla pensione.

Tale seconda motivazione non viene puntualmente censurata dal ricorrente, il quale si limita a criticare genericamente la valutazione che il Tribunale ha dato della dichiarazione 3.7.87 a firma del presidente della Consulmarche srl.

Va però ribadito che i documenti provenienti da terzi estranei alla lite possono offrire solo elementi indiziari che, in concorso con altre risultanze, sono suscettibili, secondo il prudente apprezzamento del giudice di merito, di integrare il fondamento della decisione; e che tale apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità (cfr. Cass., 1° agosto 2000 n. 10041).

Nella fattispecie in esame il Tribunale dì Macerata ha ampiamente esposto le ragioni per le quali il contenuto della dichiarazione proveniente da un non identificato presidente della Consulmarche srl non fosse idoneo a dimostrare l’espletamento, “per il periodo necessario al maturare del diritto previdenziale”, di attività libero professionale di dottore commercialista: la estrema genericità della dichiarazione, priva di riferimenti precisi, temporali e spaziali, ricognitiva di giudizi piuttosto che di fatti.

Quanto poi al mancato esercizio dei poteri istruttori di ufficio, il Tribunale lo ha spiegato con la scarsa o nulla consistenza della documentazione prodotta (mentre l’istruttoria pretorile aveva dimostrato l’esercizio, per tredici anni, di una attività subordinata di assorbente impegno).

Si tratta di una motivazione congrua e non illogica, donde la sua insindacabilità in sede di legittimità.

Né è poi vero che la Cassa nei precedenti gradi di giudizio avesse ammesso, nella comparsa di costituzione o “negli altri atti del procedimento”, l’espletamento di attività libero professionale, negando solo la continuità.

Non vengono riportate le dedotte ammissioni, con violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione; e comunque la memoria difensiva in primo grado – l’unico “atto del procedimento” indicato specificamente – non contiene alcuna ammissione di espletamento di attività libero professionale, essendosi limitata la Cassa, dopo aver sottolineato che il ricorrente aveva svolto attività subordinata di dirigente amministrativo, tale da procurargli la pensione di vecchiaia INPDAI, a dichiarare di aver appreso dal medesimo dr. Lattanzi che lo stesso non aveva “mai esercitato se non saltuariamente e con incarichi di poco conto e senza remunerazione, la professione di dottore commercialista: tanto vero che non ha mai conseguito redditi soggetti ad IRPEF ed IVA!”.

Per tutto quanto esposto il ricorso va rigettato; nessun provvedimento va preso in ordine alle spese, atteso il carattere previdenziale della controversia e la carenza della temerarietà della pretesa (art. 152 disp att. c.p.c.).

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso: nulla per le spese.

Così deciso in Roma il 6 giugno 2001.

DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 14 AGO. 2001.


Decreto Presidente della Repubblica 8 giugno 2001 n. 327 [1][6]

Decreto Presidente della Repubblica 8 giugno 2001 n. 327[1][6]
Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità (Testo A)[2] [3] [5] [4]
Note:
[1]Pubblicato nella Gazz. Uff 16 agosto 2001, n. 189, S.O.
[2] A norma dell’art. 5, comma 2, L. 1° agosto 2002, n. 166, le disposizioni del presente testo unico non si applicano ai progetti per i quali, alla data di entrata in vigore del medesimo, sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza.
[3] A norma dell’art. 1-sexies, comma 7, D.L. 29 agosto 2003, n. 239, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 ottobre 2003, n. 290, come modificato dall’art. 2, comma 12, L. 27 luglio 2004, n. 186, le disposizioni del presente testo unico si applicano alle reti energetiche a decorrere dal 31 dicembre 2004.
[4]Il presente testo unico raccoglie le disposizioni legislative e regolamentari contenute nel D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 325 e nel D.P.R. 8 giugno 2001, n. 326. Tali disposizioni sono contrassegnate nel testo, rispettivamente, con le lettere “L” ed “R”.
[5]Il termine di entrata in vigore del presente provvedimento è stato prorogato:
– al 30 giugno 2002, dall’art. 5, D.L. 23 novembre 2001, n. 411, convertito, con modificazioni, dalla L. 31 dicembre 2001, n. 463;
– al 31 dicembre 2002, dall’art. 5, comma 3, L. 1° agosto 2002, n. 166; vedi, anche, i commi 2 e 4 del medesimo art. 5, L. 166/2002;
– al 30 giugno 2003, dall’art. 3, D.L. 20 giugno 2002, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla L. 1° agosto 2002, n. 185.
[6]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Preambolo

Titolo I
OGGETTO ED AMBITO DI APPLICAZIONE DEL TESTO UNICO
Art. 1 (L) Oggetto

Art. 2 (L) Principio di legalità dell’azione amministrativa

Art. 3 (L) Definizioni

Art. 4 (L) Beni non espropriabili o espropriabili in casi particolari

Art. 5 (L) Ambito di applicazione nei confronti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano

Art. 6 (L) Regole generali sulla competenza

Art. 7 (L) Competenze particolari dei Comuni

Titolo II
DISPOSIZIONI GENERALI
Capo I
Identificazione delle fasi che precedono il decreto d’esproprio
Art. 8 (L) Le fasi del procedimento espropriativo

Capo II
La fase della sottoposizione del bene al vincolo preordinato all’esproprio
Art. 9 (L) Vincoli derivanti da piani urbanistici

Art. 10 (L) Vincoli derivanti da atti diversi dai piani urbanistici generali

Art. 11 (L) La partecipazione degli interessati

Capo III
La fase della dichiarazione di pubblica utilità
Sezione I
Disposizioni sul procedimento
Art. 12 (L) Gli atti che comportano la dichiarazione di pubblica utilità

Art. 13 (L) Contenuto ed effetti dell’atto che comporta la dichiarazione di pubblica utilità

Art. 14 (L) Istituzione degli elenchi degli atti che dichiarano la pubblica utilità

Sezione II
Disposizioni particolari sulla approvazione del progetto definitivo dell’opera
Art. 15 (L) Disposizioni sulla redazione del progetto

Art. 16 (L) Le modalità che precedono l’approvazione del progetto definitivo

Art. 17 (L) L’approvazione del progetto definitivo

Sezione III
Disposizioni sull’approvazione di un progetto di un’opera non conforme alle previsioni urbanistiche.
Art. 18 (L) Disposizioni applicabili per le operazioni preliminari alla progettazione

Art. 19 (L) L’approvazione del progetto

Capo IV
La fase di emanazione del decreto di esproprio
Sezione I
Del modo di determinare l’indennità di espropriazione
Art. 20 (L) La determinazione provvisoria dell’indennità di espropriazione

Art. 21 (L) Procedimento di determinazione definitiva dell’indennità di espropriazione

Art. 22 (L) Determinazione urgente dell’indennità provvisoria

Art. 22-bis (L) Occupazione d’urgenza preordinata all’espropriazione

Sezione II
Del decreto di esproprio
Art. 23 (L-R) Contenuto ed effetti del decreto di esproprio

Art. 24 (L-R) Esecuzione del decreto di esproprio

Art. 25 (L) Effetti dell’espropriazione per i terzi

Capo V
Il pagamento dell’indennità di esproprio
Sezione I
Disposizioni generali
Art. 26 (R) Pagamento o deposito dell’indennità provvisoria

Art. 27 (R) Pagamento o deposito definitivo dell’indennità a seguito della perizia di stima dei tecnici o della Commissione provinciale

Art. 28 (R) Pagamento definitivo della indennità

Art. 29 (L) Pagamento dell’indennità a seguito di procedimento giurisdizionale

Sezione II
Pagamento dell’indennità a incapaci, a enti e associazioni
Art. 30 (R) Regola generale

Art. 31 (R) Disposizioni sulla indennità

Capo VI
Dell’entità dell’indennità di espropriazione
Sezione I
Disposizioni generali
Art. 32 (L) Determinazione del valore del bene

Art. 33 (L) Espropriazione parziale di un bene unitario

Art. 34 (L) Soggetti aventi titolo all’indennità

Art. 35 (L) Regime fiscale

Sezione II
Opere private di pubblica utilità
Art. 36 (L) Determinazione dell’indennità nel caso di esproprio per la realizzazione di opere private che non consistano in abitazioni dell’edilizia residenziale pubblica

Sezione III
Determinazione dell’indennità nel caso di esproprio di un’area edificabile o legittimamente edificata.
Art. 37 (L) Determinazione dell’indennità nel caso di esproprio di un’area edificabile

Art. 38 (L) Determinazione dell’indennità nel caso di esproprio di un’area legittimamente edificata

Art. 39 (L-R) Indennità dovuta in caso di incidenza di previsioni urbanistiche su particolari aree comprese in zone edificabili

Sezione IV
Determinazione dell’indennità nel caso di esproprio di un area non edificabile
Art. 40 (L) Disposizioni generali

Art. 41 (L-R) Commissione competente alla determinazione dell’indennità definitiva

Art. 42 (L) Indennità aggiuntive

Art. 42-bis Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico

Capo VII
Conseguenze della utilizzazione di un bene per scopi di interesse pubblico, in assenza del valido provvedimento ablatorio.
Art. 43 (L) Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico

Capo VIII
Indennità dovuta al titolare del bene non espropriato
Art. 44 (L) Indennità per l’imposizione di servitù

Capo IX
La cessione volontaria
Art. 45 (L) Disposizioni generali

Capo X
La retrocessione
Art. 46 (L) La retrocessione totale

Art. 47 (L-R) La retrocessione parziale

Art. 48 (L) Disposizioni comuni per la retrocessione totale e per quella parziale

Capo XI
L’occupazione temporanea
Art. 49 (L-R) L’occupazione temporanea di aree non soggette ad esproprio

Art. 50 (L-R) Indennità per l’occupazione

Titolo III
DISPOSIZIONI PARTICOLARI
Capo I
L’espropriazione per opere militari e di beni culturali
Art. 51 (L-R) L’espropriazione per opere militari

Art. 52 (L) L’espropriazione di beni culturali

Capo II
Disposizioni in materia di infrastrutture lineari energetiche
Art. 52-bis L’espropriazione per infrastrutture lineari energetiche

Art. 52-ter Procedure di comunicazione, notificazione e pubblicità degli atti del procedimento

Art. 52-quater Disposizioni generali in materia di conformità urbanistica, apposizione del vincolo preordinato all’esproprio e pubblica utilità

Art. 52-quinquies Disposizioni particolari per le infrastrutture lineari energetiche facenti parte delle reti energetiche nazionali

Art. 52-sexies Disposizioni particolari per le infrastrutture lineari energetiche non facenti parte delle reti energetiche nazionali

Art. 52-septies Disposizioni sulla redazione del progetto

Art. 52-octies Decreto di imposizione di servitù

Art. 52-nonies Determinazione dell’indennità di espropriazione

Titolo IV
DISPOSIZIONI SULLA TUTELA GIURISDIZIONALE
Art. 53 (L) Disposizioni processuali

Art. 54 (L) Opposizioni alla stima

Titolo V
NORME FINALI E TRANSITORIE
Art. 55 (L) Occupazioni senza titolo, anteriori al 30 settembre 1996

Art. 56 (L) Disposizioni sulla determinazione dell’indennità di espropriazione

Art. 57 (L) Ambito di applicazione della normativa sui procedimenti in corso

Art. 57-bis (Applicazione della normativa ai procedimenti in corso relativi alle infrastrutture lineari energetiche).

Art. 58 (L) Abrogazione di norme

Art. 59 Entrata in vigore del testo unico

Preambolo
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visto l’articolo 87, comma quinto, della Costituzione;

Visti gli articoli 14 e 16 della legge 23 agosto 1988, n. 400;

Visto l’articolo 20, comma 8, della legge 1997, n. 59, nonché il numero 19 dell’allegato 1, richiamato nel medesimo comma;[7]

Visto l’articolo 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50, come modificato dall’articolo 1, comma 6, lettera e), della legge 24 novembre 2000, n. 340;

Visto l’articolo 7, comma 5, della legge 8 marzo 1999, n. 50, che ha consentito al Governo di demandare la redazione degli schemi di testi unici al Consiglio di Stato;

Visto il decreto legislativo recante testo unico delle disposizioni legislative in materia di espropriazione per pubblica utilità;

Visto il decreto del Presidente della Repubblica recante testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità;

Acquisito il testo redatto dal Consiglio di Stato, come definito nella Adunanza Generale del 29 marzo 2001;

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 4 aprile 2001;

Acquisito il parere della competente commissione della Camera dei Deputati e decorso inutilmente il termine per il rilascio del parere da parte della competente commissione del Senato della Repubblica;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 31 maggio 2001;

Su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro per i lavori pubblici;

Emana

il seguente decreto:

Note:
[7] Capoverso così corretto da Comunicato 14 settembre 2001, pubblicato nella G.U. 14 settembre 2001, n. 214.
Titolo I
OGGETTO ED AMBITO DI APPLICAZIONE DEL TESTO UNICO

Art. 1 (L) Oggetto[9] [11]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Il presente testo unico disciplina l’espropriazione, anche a favore di privati, dei beni immobili o di diritti relativi ad immobili per l’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità. (L)
2. Si considera opera pubblica o di pubblica utilità anche la realizzazione degli interventi necessari per l’utilizzazione da parte della collettività di beni o di terreni, o di un loro insieme, di cui non è prevista la materiale modificazione o trasformazione. (L)
[ 3. I principi desumibili dalle disposizioni legislative del presente testo unico costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale. (L) [10] ]
4. Le norme del presente testo unico non possono essere derogate, modificate o abrogate se non per dichiarazione espressa, con specifico riferimento a singole disposizioni. (L)
Note:
[9] A norma dell’art. 1-sexies, comma 7, D.L. 29 agosto 2003, n. 239, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 ottobre 2003, n. 290, come modificato dall’art. 2, comma 12, L. 27 luglio 2004, n. 186 e dall’art, 1, comma 25, legge 23 agosto 2004, n. 239, le disposizioni del presente testo unico si applicano alle reti energetiche a decorrere dal 31 dicembre 2004.
[10] Comma soppresso dall’art. 1, comma 1, lett. a), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[11]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 2 (L) Principio di legalità dell’azione amministrativa [12]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. L’espropriazione dei beni immobili o di diritti relativi ad immobili di cui all’articolo 1 può essere disposta nei soli casi previsti dalle leggi e dai regolamenti. (L)
2. I procedimenti di cui al presente testo unico si ispirano ai principi di economicità, di efficacia, di efficienza, di pubblicità e di semplificazione dell’azione amministrativa. (L)
Note:
[12]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 3 (L) Definizioni[13] [14]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Ai fini del presente testo unico:
a) per “espropriato”, si intende il soggetto, pubblico o privato, titolare del diritto espropriato;
b) per “autorità espropriante”, si intende, l’autorità amministrativa titolare del potere di espropriare e che cura il relativo procedimento, ovvero il soggetto privato, al quale sia stato attribuito tale potere, in base ad una norma;
c) per “beneficiario dell’espropriazione”, si intende il soggetto, pubblico o privato, in cui favore è emesso il decreto di esproprio;
d) per “promotore dell’espropriazione”, si intende il soggetto, pubblico o privato, che chiede l’espropriazione. (L)
2. Tutti gli atti della procedura espropriativa, ivi incluse le comunicazioni ed il decreto di esproprio, sono disposti nei confronti del soggetto che risulti proprietario secondo i registri catastali, salvo che l’autorità espropriante non abbia tempestiva notizia dell’eventuale diverso proprietario effettivo. Nel caso in cui abbia avuto notizia della pendenza della procedura espropriativa dopo la comunicazione dell’indennità provvisoria al soggetto che risulti proprietario secondo i registri catastali, il proprietario effettivo può, nei trenta giorni successivi, concordare l’indennità ai sensi dell’articolo 45, comma 2. (L)
3. Colui che risulta proprietario secondo i registri catastali e riceva la notificazione o comunicazione di atti del procedimento espropriativo, ove non sia più proprietario è tenuto di comunicarlo all’amministrazione procedente entro trenta giorni dalla prima notificazione, indicando altresì, ove ne sia a conoscenza, il nuovo proprietario, o comunque fornendo copia degli atti in suo possesso utili a ricostruire le vicende dell’immobile. (L)
Note:
[13] Articolo così sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. b), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[14]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 4 (L) Beni non espropriabili o espropriabili in casi particolari [18]
In vigore dal 29 aprile 2022
1. I beni appartenenti al demanio pubblico non possono essere espropriati fino a quando non ne viene pronunciata la sdemanializzazione. (L)
1-bis. I beni gravati da uso civico non possono essere espropriati o asserviti coattivamente se non viene pronunciato il mutamento di destinazione d’uso, fatte salve le ipotesi in cui l’opera pubblica o di pubblica utilità sia compatibile con l’esercizio dell’uso civico. (L) [19]
1-ter. Fermo restando il rispetto della normativa paesaggistica, si intendono di norma compatibili con l’esercizio dell’uso civico gli elettrodotti di cui all’articolo 52-quinquies, comma 1, fatta salva la possibilità che la regione, o un comune da essa delegato, possa esprimere caso per caso una diversa valutazione, con congrua motivazione, nell’ambito del procedimento autorizzativo per l’adozione del provvedimento che dichiara la pubblica utilità dell’infrastruttura. (L) [20]
1-quater. Fermo restando il rispetto della normativa paesaggistica, si intendono sempre compatibili con l’esercizio dell’uso civico le ricostruzioni di elettrodotti aerei o interrati, già esistenti, di cui all’articolo 52-quin-quies, comma 1, che si rendano necessarie per ragioni di obsolescenza, purché siano realizzate con le migliori tecnologie esistenti e siano effettuate sul medesimo tracciato della linea già esistente o nelle sue immediate adiacenze. (L) [20]
2. I beni appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato e degli altri enti pubblici possono essere espropriati per perseguire un interesse pubblico di rilievo superiore a quello soddisfatto con la precedente destinazione. (L)
3. I beni descritti dagli articoli 13, 14, 15 e 16 della legge 27 maggio 1929, n. 810, non possono essere espropriati se non vi è il previo accordo con la Santa Sede. (L)[15]
4. Gli edifici aperti al culto non possono essere espropriati se non per gravi ragioni previo accordo:[16]
a) con la competente autorità ecclesiastica, se aperti al culto cattolico;
b) con l’Unione delle Chiese cristiane, se aperti al culto pubblico avventista;
c) con il presidente delle Assemblee di Dio in Italia, se aperti al culto pubblico delle chiese ad esse associate;
d) con l’Unione delle Comunità ebraiche italiane, se destinati all’esercizio pubblico del culto ebraico;
e) con l’Unione cristiana evangelica battista d’Italia, se aperti al culto pubblico delle chiese che ne facciano parte;
f) con il Decano della Chiesa evangelica luterana in Italia con l’organo responsabile della comunità interessata, se aperti al culto della medesima Chiesa;[17]
g) col rappresentante di ogni altra confessione religiosa, nei casi previsti dalla legge. (L)
5. Si applicano le regole sull’espropriazione dettate dal diritto internazionale generalmente riconosciuto e da trattati internazionali cui l’Italia aderisce. (L)
Note:
[15] Comma corretto da Comunicato 14 settembre 2001, pubblicato nella G.U. 14 settembre 2001, n. 214 e, successivamente, così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. c), n. 1), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[16] Alinea così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. c), n. 2), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[17] Lettera così corretta da Comunicato 14 settembre 2001, pubblicato nella G.U. 14 settembre 2001, n. 214
[18]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
[19]Comma inserito dall’art. 74, comma 1, L. 28 dicembre 2015, n. 221. Il presente comma era stato modificato dall’art. 60, comma 4, lett. a), D.L. 16 luglio 2020, n. 76; successivamente, tale modifica non è stata confermata dalla legge di conversione (L. 11 settembre 2020, n. 120).
[20]Comma inserito dall’art. 13-bis, comma 1, lett. a), D.L. 1 marzo 2022, n. 17, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 aprile 2022, n. 34.
Art. 5 (L) Ambito di applicazione nei confronti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano[21] [22] [23]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Le Regioni a statuto ordinario esercitano la potestà legislativa concorrente, in ordine alle espropriazioni strumentali alle materie di propria competenza, nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale nonché dei principi generali dell’ordinamento giuridico desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico. (L)
2. Le Regioni a statuto speciale, nonché le Province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la propria potestà legislativa in materia di espropriazione per pubblica utilità nel rispetto dei rispettivi statuti e delle relative norme di attuazione, anche con riferimento alle disposizioni del titolo V, parte seconda, della Costituzione per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite. (L)
3. Le disposizioni del testo unico operano direttamente nei riguardi delle Regioni fino a quando esse non esercitano la propria potestà legislativa in materia, nel rispetto delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2. La Regione Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e Bolzano adeguano la propria legislazione ai sensi degli articoli 4 e 8 dello statuto di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, e dell’articolo 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266. (L)
4. Nell’ambito delle funzioni amministrative conferite dallo Stato alle Regioni e alle Province autonome di Trento e di Bolzano ai sensi delle leggi vigenti rientrano anche quelle concernenti i procedimenti di espropriazione per pubblica utilità e quelli concernenti la materiale acquisizione delle aree. (L)
Note:
[21] Articolo così sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. d), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[22]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
[23]La Corte costituzionale, con sentenza 23-27 gennaio 2006, n. 20 (Gazz. Uff. 1° febbraio 2006, n. 5, 1ª Serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera h) del D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302, sostitutivo dell’art. 11, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 sollevata in riferimento agli artt. 8, numero 1, e 16 del D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 ed all’art. 2 del D.Lgs. 16 marzo 1992, n. 266, dalla Provincia autonoma di Trento; ha inoltre dichiarato cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera d), del decreto legislativo n. 302 del 2002, sostitutivo dell’art. 5, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327.
Art. 6 (L) Regole generali sulla competenza[24] [25]
In vigore dal 28 luglio 2023
1. L’autorità competente alla realizzazione di un’opera pubblica o di pubblica utilità è anche competente all’emanazione degli atti del procedimento espropriativo che si renda necessario. (L)
2. Le amministrazioni statali, le Regioni, le Province, i Comuni e gli altri enti pubblici individuano ed organizzano l’ufficio per le espropriazioni, ovvero attribuiscono i relativi poteri ad un ufficio già esistente. (L)
3. Le Regioni a statuto speciale o a statuto ordinario e le Province autonome di Trento e di Bolzano emanano tutti gli atti dei procedimenti espropriativi strumentali alla cura degli interessi da esse gestiti, anche nel caso di delega di funzioni statali. (L)
4. Gli enti locali possono istituire un ufficio comune per le espropriazioni e possono costituirsi in consorzio o in un’altra forma associativa prevista dalla legge. (L)
5. All’ufficio per le espropriazioni è preposto un dirigente o, in sua mancanza, il dipendente con la qualifica più elevata. (L)
6. Per ciascun procedimento, è designato un responsabile che dirige, coordina e cura tutte le operazioni e gli atti del procedimento, anche avvalendosi dell’ausilio di tecnici. (L)
7. Il dirigente dell’ufficio per le espropriazioni emana ogni provvedimento conclusivo del procedimento o di singole fasi di esso, anche se non predisposto dal responsabile del procedimento. (L)
8. Se l’opera pubblica o di pubblica utilità va realizzata da un concessionario o contraente generale, l’amministrazione titolare del potere espropriativo può delegare, in tutto o in parte, l’esercizio dei propri poteri espropriativi, determinando chiaramente l’ambito della delega nella concessione o nell’atto di affidamento, i cui estremi vanno specificati in ogni atto del procedimento espropriativo. A questo scopo i soggetti privati cui sono attribuiti per legge o per delega poteri espropriativi, possono avvalersi di società controllata. I soggetti privati possono altresì avvalersi di società di servizi ai fini delle attività preparatorie. (L)[27]
9. Per le espropriazioni finalizzate alla realizzazione di opere private, l’autorità espropriante è l’Ente che emana il provvedimento dal quale deriva la dichiarazione di pubblica utilità. (L)
9-bis. L’autorità espropriante, nel caso di opere di minore entità e nei casi di cui all’articolo 52-quinquies, comma 2.1, del presente decreto, può delegare, in tutto o in parte, al soggetto proponente l’esercizio dei propri poteri espropriativi, determinando chiaramente l’ambito della delega nell’atto di affidamento, i cui estremi vanno specificati in ogni atto del procedimento espropriativo. A questo scopo i soggetti cui sono delegati i poteri espropriativi possono avvalersi di società controllate nonché di società di servizi ai fini delle attività preparatorie. (L) [26]
Note:
[24] Articolo così sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. e), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[25]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
[26]Comma aggiunto dall’art. 60, comma 4, lett. b), D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, e, successivamente, così modificato dall’art. 3-sexies, comma 3, lett. a), D.L. 29 maggio 2023, n. 57, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 luglio 2023, n. 95.
[27]Vedi, anche, l’art. 176, comma 2, D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163.
Art. 7 (L) Competenze particolari dei Comuni [28]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Il Comune può espropriare:
a) le aree inedificate e quelle su cui vi siano costruzioni in contrasto con la destinazione di zona o abbiano carattere provvisorio, a seguito dell’approvazione del piano regolatore generale, per consentirne l’ordinata attuazione nelle zone di espansione;
b) l’immobile al quale va incorporata un’area inserita in un piano particolareggiato e non utilizzata, quando il suo proprietario non intenda acquistarla o non comunichi le proprie determinazioni, entro il termine di sessanta giorni, decorrente dalla ricezione di un avviso del dirigente dell’ufficio per le espropriazioni;
c) gli immobili necessari per delimitare le aree fabbricabili e per attuare il piano regolatore, nel caso di mancato accordo tra i proprietari del comprensorio;
d) le aree inedificate e le costruzioni da trasformare secondo speciali prescrizioni, quando decorre inutilmente il termine, non inferiore a novanta giorni, fissato nell’atto determinativo della formazione del consorzio, notificato ai proprietari interessati. (L)
Note:
[28]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Titolo II
DISPOSIZIONI GENERALI

Capo I
Identificazione delle fasi che precedono il decreto d’esproprio

Art. 8 (L) Le fasi del procedimento espropriativo [29]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Il decreto di esproprio può essere emanato qualora:
a) l’opera da realizzare sia prevista nello strumento urbanistico generale, o in un atto di natura ed efficacia equivalente, e sul bene da espropriare sia stato apposto il vincolo preordinato all’esproprio;
b) vi sia stata la dichiarazione di pubblica utilità;
c) sia stata determinata, anche se in via provvisoria, l’indennità di esproprio. (L)
Note:
[29]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Capo II
La fase della sottoposizione del bene al vincolo preordinato all’esproprio

Art. 9 (L) Vincoli derivanti da piani urbanistici [34]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Un bene è sottoposto al vincolo preordinato all’esproprio quando diventa efficace l’atto di approvazione del piano urbanistico generale, ovvero una sua variante, che prevede la realizzazione di un opera pubblica o di pubblica utilità. (L)
2. Il vincolo preordinato all’esproprio ha la durata di cinque anni. Entro tale termine, può essere emanato il provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera. (L) [35]
3. Se non è tempestivamente dichiarata la pubblica utilità dell’opera, il vincolo preordinato all’esproprio decade e trova applicazione la disciplina dettata dall’articolo 9 del testo unico in materia edilizia approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. (L)[30]
4. Il vincolo preordinato all’esproprio, dopo la sua decadenza, può essere motivatamente reiterato, con la rinnovazione dei procedimenti previsti nel comma 1 e tenendo conto delle esigenze di soddisfacimento degli standard. (L)[31]
5. Nel corso dei cinque anni di durata del vincolo preordinato all’esproprio, il consiglio comunale può motivatamente disporre o autorizzare che siano realizzate sul bene vincolato opere pubbliche o di pubblica utilità diverse da quelle originariamente previste nel piano urbanistico generale. In tal caso, se la Regione o l’ente da questa delegato all’approvazione del piano urbanistico generale non manifesta il proprio dissenso entro il termine di novanta giorni, decorrente dalla ricezione della delibera del Consiglio comunale e della relativa completa documentazione, si intende approvata la determinazione del Consiglio comunale, che in una successiva seduta ne dispone l’efficacia. (L)[32]
6. Salvo quanto previsto dal comma 5, nulla è innovato in ordine alla normativa statale o regionale sulla adozione e sulla approvazione degli strumenti urbanistici. (L)[33]
Note:
[30] Comma corretto da Comunicato 14 settembre 2001, pubblicato nella G.U. 14 settembre 2001, n. 214 e, successivamente, così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. f), n. 1), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[31] Comma così corretto da Comunicato 14 settembre 2001, pubblicato nella G.U. 14 settembre 2001, n. 214.
[32] Comma corretto da Comunicato 14 settembre 2001, pubblicato nella G.U. 14 settembre 2001, n. 214 e, successivamente, così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. f), n. 2), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[33] Comma così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. f), n. 3), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[34]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
[35]In deroga alle disposizioni di cui al presente comma, vedi l’art. 165, comma 7-bis, D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163.
Art. 10 (L) Vincoli derivanti da atti diversi dai piani urbanistici generali[36] [37]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Se la realizzazione di un’opera pubblica o di pubblica utilità non è prevista dal piano urbanistico generale, il vincolo preordinato all’esproprio può essere disposto, ove espressamente se ne dia atto, su richiesta dell’interessato ai sensi dell’articolo 14, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero su iniziativa dell’amministrazione competente all’approvazione del progetto, mediante una conferenza di servizi, un accordo di programma, una intesa ovvero un altro atto, anche di natura territoriale, che in base alla legislazione vigente comporti la variante al piano urbanistico. (L)
2. Il vincolo può essere altresì disposto, dandosene espressamente atto, con il ricorso alla variante semplificata al piano urbanistico da realizzare, anche su richiesta dell’interessato, con le modalità e secondo le procedure di cui all’articolo 19, commi 2 e seguenti. (L)
3. Per le opere per le quali sia già intervenuto, in conformità alla normativa vigente, uno dei provvedimenti di cui ai commi 1 e 2 prima della data di entrata in vigore del presente testo unico, il vincolo si intende apposto, anche qualora non ne sia stato dato esplicitamente atto. (L)
Note:
[36] Articolo così sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. g), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[37]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 11 (L) La partecipazione degli interessati[38] [39] [40] [41]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Al proprietario, del bene sul quale si intende apporre il vincolo preordinato all’esproprio, va inviato l’avviso dell’avvio del procedimento:
a) nel caso di adozione di una variante al piano regolatore per la realizzazione di una singola opera pubblica, almeno venti giorni prima della delibera del consiglio comunale;
b) nei casi previsti dall’articolo 10, comma 1, almeno venti giorni prima dell’emanazione dell’atto se ciò risulti compatibile con le esigenze di celerità del procedimento. (L)
2. L’avviso di avvio del procedimento è comunicato personalmente agli interessati alle singole opere previste dal piano o dal progetto. Allorché il numero dei destinatari sia superiore a 50, la comunicazione è effettuata mediante pubblico avviso, da affiggere all’albo pretorio dei Comuni nel cui territorio ricadono gli immobili da assoggettare al vincolo, nonché su uno o più quotidiani a diffusione nazionale e locale e, ove istituito, sul sito informatico della Regione o Provincia autonoma nel cui territorio ricadono gli immobili da assoggettare al vincolo. L’avviso deve precisare dove e con quali modalità può essere consultato il piano o il progetto. Gli interessati possono formulare entro i successivi trenta giorni osservazioni che vengono valutate dall’autorità espropriante ai fini delle definitive determinazioni. (L)
3. La disposizione di cui al comma 2 non si applica ai fini dell’approvazione del progetto preliminare delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi ricompresi nei programmi attuativi dell’articolo 1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001, n. 443. (L)
4. Ai fini dell’avviso dell’avvio del procedimento delle conferenze di servizi in materia di lavori pubblici, si osservano le forme previste dal decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554. (L)
5. Salvo quanto previsto dal comma 2, restano in vigore le disposizioni vigenti che regolano le modalità di partecipazione del proprietario dell’area e di altri interessati nelle fasi di adozione e di approvazione degli strumenti urbanistici. (L)
Note:
[38] Articolo corretto da Comunicato 14 settembre 2001, pubblicato nella G.U. 14 settembre 2001, n. 214 e, successivamente, così sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. h), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[39]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
[40]Vedi, anche, l’art. 4, comma 2, D.Lgs. 20 agosto 2002, n. 190 e l’art. 2, comma 5, D.L. 28 aprile 2009, n. 39. In deroga alle disposizioni contenute nel presente articolo vedi l’art. 166, comma 2, D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163.
[41]La Corte costituzionale, con sentenza 23-27 gennaio 2006, n. 20 (Gazz. Uff. 1° febbraio 2006, n. 5, 1ª Serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera h) del D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302, sostitutivo dell’art. 11, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 sollevata in riferimento agli artt. 8, numero 1, e 16 del D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 ed all’art. 2 del D.Lgs. 16 marzo 1992, n. 266, dalla Provincia autonoma di Trento; ha inoltre dichiarato cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera d), del decreto legislativo n. 302 del 2002, sostitutivo dell’art. 5, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327.
Capo III
La fase della dichiarazione di pubblica utilità

Sezione I
Disposizioni sul procedimento

Art. 12 (L) Gli atti che comportano la dichiarazione di pubblica utilità[42] [43] [44] [45]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. La dichiarazione di pubblica utilità si intende disposta:
a) quando l’autorità espropriante approva a tale fine il progetto definitivo dell’opera pubblica o di pubblica utilità, ovvero quando sono approvati il piano particolareggiato, il piano di lottizzazione, il piano di recupero, il piano di ricostruzione, il piano delle aree da destinare a insediamenti produttivi, ovvero quando è approvato il piano di zona;
b) in ogni caso, quando in base alla normativa vigente equivale a dichiarazione di pubblica utilità l’approvazione di uno strumento urbanistico, anche di settore o attuativo, la definizione di una conferenza di servizi o il perfezionamento di un accordo di programma, ovvero il rilascio di una concessione, di una autorizzazione o di un atto avente effetti equivalenti. (L)
2. Le varianti derivanti dalle prescrizioni della conferenza di servizi, dell’accordo di programma o di altro atto di cui all’articolo 10, nonché le successive varianti in corso d’opera, qualora queste ultime non comportino variazioni di tracciato al di fuori delle zone di rispetto previste ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 753, nonché ai sensi del decreto ministeriale 1° aprile 1968, sono approvate dall’autorità espropriante ai fini della dichiarazione di pubblica utilità e non richiedono nuova apposizione del vincolo preordinato all’esproprio. (L)
3. Qualora non sia stato apposto il vincolo preordinato all’esproprio la dichiarazione di pubblica utilità diventa efficace al momento di tale apposizione a norma degli articoli 9 e 10. (L)
Note:
[42] Articolo così sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. i), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[43]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
[44]Ad integrazione delle disposizioni di cui al presente articolo, vedi l’art. 27, comma 2, D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50.
[45]Vedi, anche, l’art. 44, comma 1-quater, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, come modificato dall’art. 33, comma 1, lett. a), n. 1-bis), D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 13 (L) Contenuto ed effetti dell’atto che comporta la dichiarazione di pubblica utilità [48]
In vigore dal 29 aprile 2022
1. Il provvedimento che dispone la pubblica utilità dell’opera può essere emanato fino a quando non sia decaduto il vincolo preordinato all’esproprio. (L)
2. Gli effetti della dichiarazione di pubblica utilità si producono anche se non sono espressamente indicati nel provvedimento che la dispone. (L)
3. Nel provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera può essere stabilito il termine entro il quale il decreto di esproprio va emanato. (L)[46]
4. Se manca l’espressa determinazione del termine di cui al comma 3, il decreto di esproprio può essere emanato entro il termine di cinque anni, decorrente dalla data in cui diventa efficace l’atto che dichiara la pubblica utilità dell’opera. (L)[47]
5. L’autorità che ha dichiarato la pubblica utilità dell’opera può disporre proroghe dei termini previsti dai commi 3 e 4 per casi di forza maggiore o per altre giustificate ragioni. Le proroghe possono essere disposte, anche d’ufficio, prima della scadenza del termine e per un periodo di tempo complessivo non superiore a quattro anni. (L) [49] [50]
6. La scadenza del termine entro il quale può essere emanato il decreto di esproprio determina l’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità. (L)
7. Restano in vigore le disposizioni che consentono l’esecuzione delle previsioni dei piani territoriali o urbanistici, anche di settore o attuativi, entro termini maggiori di quelli previsti nel comma 4. (L)
8. Qualora il vincolo preordinato all’esproprio riguardi immobili da non sottoporre a trasformazione fisica, la dichiarazione di pubblica utilità ha luogo mediante l’adozione di un provvedimento di destinazione ad uso pubblico dell’immobile vincolato, con cui sono indicate le finalità dell’intervento, i tempi previsti per eventuali lavori di manutenzione, nonché i relativi costi previsti. (L)
Note:
[46] Comma così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. l), n. 1), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[47] Comma così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. l), n. 2), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[48]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
[49]Comma così sostituito dall’art. 13-bis, comma 1, lett. b), D.L. 1 marzo 2022, n. 17, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 aprile 2022, n. 34.
[50]In deroga alle disposizioni di cui al presente comma, vedi l’art. 166, comma 4-bis, D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163.
Art. 14 (L) Istituzione degli elenchi degli atti che dichiarano la pubblica utilità[51] [52]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. L’autorità che emana uno degli atti previsti dall’articolo 12, comma 1, ovvero esegue un decreto di espropriazione, ne trasmette una copia al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per le opere di competenza statale, e al presidente della Regione, per le opere di competenza regionale. (L)
2. Con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ovvero del presidente della Regione, rispettivamente per le opere di competenza statale o regionale, sono indicati gli uffici competenti all’aggiornamento degli elenchi degli atti da cui deriva la dichiarazione di pubblica utilità ovvero con cui è disposta l’espropriazione, distinti in relazione alle diverse amministrazioni che li hanno adottati; nello stesso decreto può prevedersi che i medesimi o altri uffici possano dare indicazioni operative alle autorità esproprianti per la corretta applicazione del presente testo unico. (L) [53]
3. L’autorità espropriante comunica all’ufficio di cui al comma 2:
a) quale sia lo stato del procedimento d’esproprio, almeno sei mesi e non oltre tre mesi prima della data di scadenza degli effetti della dichiarazione di pubblica utilità;
b) se sia stato eseguito entro il prescritto termine il decreto d’esproprio ovvero se il medesimo termine sia inutilmente scaduto;
c) se siano stati impugnati gli atti di adozione e di approvazione del piano urbanistico generale, l’atto che dichiara la pubblica utilità dell’opera o il decreto di esproprio. (L)
Note:
[51] Articolo corretto da Comunicato 14 settembre 2001, pubblicato nella G.U. 14 settembre 2001, n. 214 e, successivamente, così sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. m), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[52]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
[53]In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il D.M. 18 novembre 2016.
Sezione II
Disposizioni particolari sulla approvazione del progetto definitivo dell’opera

Art. 15 (L) Disposizioni sulla redazione del progetto[54] [55]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Per le operazioni planimetriche e le altre operazioni preparatorie necessarie per la redazione dello strumento urbanistico generale, di una sua variante o di un atto avente efficacia equivalente nonché per l’attuazione delle previsioni urbanistiche e per la progettazione di opere pubbliche e di pubblica utilità, i tecnici incaricati, anche privati, possono essere autorizzati ad introdursi nell’area interessata. (L)
2. Chiunque chieda il rilascio della autorizzazione deve darne notizia, mediante atto notificato con le forme degli atti processuali civili o lettera raccomandata con avviso di ricevimento, al proprietario del bene, nonché al suo possessore, se risulti conosciuto. L’autorità espropriante tiene conto delle eventuali osservazioni, formulate dal proprietario o dal possessore entro sette giorni dalla relativa notifica o comunicazione, e può accogliere la richiesta solo se risultano trascorsi almeno ulteriori dieci giorni dalla data in cui è stata notificata o comunicata la richiesta di introdursi nella altrui proprietà. (L)
3. L’autorizzazione indica i nomi delle persone che possono introdursi nell’altrui proprietà ed è notificata o comunicata mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento almeno sette giorni prima dell’inizio delle operazioni. (L)
4. Il proprietario e il possessore del bene possono assistere alle operazioni, anche mediante persone di loro fiducia. (L)
5. L’autorizzazione di cui al comma 1 si estende alle ricerche archeologiche, alla bonifica da ordigni bellici e alla bonifica dei siti inquinati. Le ricerche archeologiche sono compiute sotto la vigilanza delle competenti soprintendenze, che curano la tempestiva programmazione delle ricerche ed il rispetto della medesima, allo scopo di evitare ogni ritardo all’avvio delle opere (L)
Note:
[54] Articolo così sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. n), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[55]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 16 (L) Le modalità che precedono l’approvazione del progetto definitivo[56] [57]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Il soggetto, anche privato, diverso da quello titolare del potere di approvazione del progetto di un’opera pubblica o di pubblica utilità, può promuovere l’adozione dell’atto che dichiara la pubblica utilità dell’opera. A tale fine, egli deposita pressa l’ufficio per le espropriazioni il progetto dell’opera, unitamente ai documenti ritenuti rilevanti e ad una relazione sommaria, la quale indichi la natura e lo scopo delle opere da eseguire, nonché agli eventuali nulla osta, alle autorizzazioni o agli altri atti di assenso, previsti dalla normativa vigente. (L)
2. In ogni caso, lo schema dell’atto di approvazione del progetto deve richiamare gli elaborati contenenti la descrizione dei terreni e degli edifici di cui è prevista l’espropriazione, con l’indicazione dell’estensione e dei confini, nonché, possibilmente, dei dati identificativi catastali e con il nome ed il cognome dei proprietari iscritti nei registri catastali. (L)
3. L’autorizzazione rilasciata ai sensi dell’articolo 15 consente anche l’effettuazione delle operazioni previste dal comma 2. (L)
4. Al proprietario dell’area ove è prevista la realizzazione dell’opera è inviato l’avviso dell’avvio del procedimento e del deposito degli atti di cui al comma 1, con l’indicazione del nominativo del responsabile del procedimento. (L)
5. Allorché il numero dei destinatari sia superiore a 50 si osservano le forme di cui all’articolo 11, comma 2. (L)
6. Ai fini dell’approvazione del progetto definitivo degli interventi di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 443, l’avviso di avvio del procedimento di dichiarazione di pubblica utilità è comunicato con le modalità di cui all’articolo 4, comma 2, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190. (L)
7. Se la comunicazione prevista dal comma 4 non ha luogo per irreperibilità o assenza del proprietario risultante dai registri catastali, il progetto può essere ugualmente approvato. (L)
8. Se risulta la morte del proprietario iscritto nei registri catastali e non risulta il proprietario attuale, la comunicazione di cui al comma 4 è sostituita da un avviso, affisso per venti giorni consecutivi all’albo pretorio dei comuni interessati e da un avviso pubblicato su uno o più quotidiani a diffusione nazionale e locale. (L)
9. L’autorità espropriante non è tenuta a dare alcuna comunicazione a chi non risulti proprietario del bene. (L)
10. Il proprietario e ogni altro interessato possono formulare osservazioni al responsabile del procedimento, nel termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione o dalla pubblicazione dell’avviso. (L)
11. Nei casi previsti dall’articolo 12, comma 1, il proprietario dell’area, nel formulare le proprie osservazioni, può chiedere che l’espropriazione riguardi anche le frazioni residue dei suoi beni che non siano state prese in considerazione, qualora per esse risulti una disagevole utilizzazione ovvero siano necessari considerevoli lavori per disporne una agevole utilizzazione. (L)
12. L’autorità espropriante si pronuncia sulle osservazioni, con atto motivato. Se l’accoglimento in tutto o in parte delle osservazioni comporta la modifica dello schema del progetto con pregiudizio di un altro proprietario che non abbia presentato osservazioni, sono ripetute nei suoi confronti le comunicazioni previste dal comma 4. (L)
13. Se le osservazioni riguardano solo una parte agevolmente separabile dell’opera, l’autorità espropriante può approvare per la restante parte il progetto, in attesa delle determinazioni sulle osservazioni. (L)
14. Qualora nel corso dei lavori si manifesti la necessità o l’opportunità di espropriare altri terreni o altri edifici, attigui a quelli già espropriati, con atto motivato l’autorità espropriante integra il provvedimento con cui è stato approvato il progetto ai fini della dichiarazione di pubblica utilità. Si applicano le disposizioni dei precedenti commi. (L) [58]
Note:
[56] Articolo così sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. o), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[57]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
[58]In deroga alle disposizioni contenute nel presente comma, vedi l’art. 166, comma 2, D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163.
Art. 17 (L) L’approvazione del progetto definitivo[59] [60]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Il provvedimento che approva il progetto definitivo, ai fini della dichiarazione di pubblica utilità, indica gli estremi degli atti da cui è sorto il vincolo preordinato all’esproprio. (L)
2. Mediante raccomandata con avviso di ricevimento o altra forma di comunicazione equipollente al proprietario è data notizia della data in cui è diventato efficace l’atto che ha approvato il progetto definitivo e della facoltà di prendere visione della relativa documentazione. Al proprietario è contestualmente comunicato che può fornire ogni utile elemento per determinare il valore da attribuire all’area ai fini della liquidazione della indennità di esproprio. (L)
Note:
[59] Articolo corretto da Comunicato 14 settembre 2001, pubblicato nella G.U. 14 settembre 2001, n. 214 e, successivamente, così sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. p), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[60]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Sezione III
Disposizioni sull’approvazione di un progetto di un’opera non conforme alle previsioni urbanistiche.

Art. 18 (L) Disposizioni applicabili per le operazioni preliminari alla progettazione [61]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Le disposizioni contenute negli articoli 16 e 17 si applicano anche quando un soggetto pubblico o privato intende redigere un progetto di opera pubblica o di pubblica utilità non conforme alle previsioni urbanistiche. (L)
Note:
[61]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 19 (L) L’approvazione del progetto[62] [63] [64]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Quando l’opera da realizzare non risulta conforme alle previsioni urbanistiche, la variante al piano regolatore può essere disposta con le forme di cui all’articolo 10, comma 1, ovvero con le modalità di cui ai commi seguenti. (L)
2. L’approvazione del progetto preliminare o definitivo da parte del consiglio comunale, costituisce adozione della variante allo strumento urbanistico. (L)
3. Se l’opera non è di competenza comunale, l’atto di approvazione del progetto preliminare o definitivo da parte della autorità competente è trasmesso al consiglio comunale, che può disporre l’adozione della corrispondente variante allo strumento urbanistico. (L)
4. Nei casi previsti dai commi 2 e 3, se la Regione o l’ente da questa delegato all’approvazione del piano urbanistico comunale non manifesta il proprio dissenso entro il termine di novanta giorni, decorrente dalla ricezione della delibera del consiglio comunale e della relativa completa documentazione, si intende approvata la determinazione del consiglio comunale, che in una successiva seduta ne dispone l’efficacia. (L)
Note:
[62] Articolo corretto da Comunicato 14 settembre 2001, pubblicato nella G.U. 14 settembre 2001, n. 214 e, successivamente, così sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. q), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[63]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
[64]In deroga a quanto disposto dal presente articolo vedi l’art. 1, comma 40, L. 27 dicembre 2019, n. 160.
Capo IV
La fase di emanazione del decreto di esproprio

Sezione I
Del modo di determinare l’indennità di espropriazione

Art. 20 (L) La determinazione provvisoria dell’indennità di espropriazione[65] [67]
In vigore dal 1 gennaio 2008
1. Divenuto efficace l’atto che dichiara la pubblica utilità, entro i successivi trenta giorni il promotore dell’espropriazione compila l’elenco dei beni da espropriare, con una descrizione sommaria, e dei relativi proprietari, ed indica le somme che offre per le loro espropriazioni. L’elenco va notificato a ciascun proprietario, nella parte che lo riguarda, con le forme degli atti processuali civili. Gli interessati nei successivi trenta giorni possono presentare osservazioni scritte e depositare documenti. (L)
2. Ove lo ritenga opportuno in considerazione dei dati acquisiti e compatibile con le esigenze di celerità del procedimento, l’autorità espropriante invita il proprietario e, se del caso, il beneficiario dell’espropriazione a precisare, entro un termine non superiore a venti giorni ed eventualmente anche in base ad una relazione esplicativa, quale sia il valore da attribuire all’area ai fini della determinazione della indennità di esproprio. (L)
3. Valutate le osservazioni degli interessati, l’autorità espropriante, anche avvalendosi degli uffici degli enti locali, dell’ufficio tecnico erariale o della commissione provinciale prevista dall’articolo 41, che intenda consultare, prima di emanare il decreto di esproprio accerta il valore dell’area e determina in via provvisoria la misura della indennità di espropriazione. (L)
4. L’atto che determina in via provvisoria la misura della indennità di espropriazione è notificato al proprietario con le forme degli atti processuali civili e al beneficiario dell’esproprio, se diverso dall’autorità procedente. (L)
5. Nei trenta giorni successivi alla notificazione, il proprietario può comunicare all’autorità espropriante che condivide la determinazione della indennità di espropriazione. La relativa dichiarazione è irrevocabile. (L)
6. Qualora abbia condiviso la determinazione dell’indennità di espropriazione, il proprietario è tenuto a consentire all’autorità espropriante che ne faccia richiesta l’immissione nel possesso. In tal caso, il proprietario ha diritto a ricevere un acconto dell’80 per cento dell’indennità, previa autocertificazione, attestante la piena e libera proprietà del bene. Dalla data dell’immissione in possesso il proprietario ha altresì diritto agli interessi nella misura del tasso legale sulla indennità, sino al momento del pagamento dell’eventuale acconto e del saldo. In caso di opposizione all’immissione in possesso l’autorità espropriante può procedervi egualmente con la presenza di due testimoni. (L)
7. Il proprietario può limitarsi a designare un tecnico di propria fiducia, al fine dell’applicazione dell’articolo 21, comma 2. (L)
8. Qualora abbia condiviso la determinazione della indennità di espropriazione e abbia dichiarato l’assenza di diritti di terzi sul bene il proprietario è tenuto a depositare nel termine di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione di cui al comma 5, la documentazione comprovante, anche mediante attestazione notarile, la piena e libera proprietà del bene. In tal caso l’intera indennità, ovvero il saldo di quella già corrisposta a titolo di acconto, è corrisposta entro il termine dei successivi sessanta giorni. Decorso tale termine, al proprietario sono dovuti gli interessi, nella misura del tasso legale anche ove non sia avvenuta la immissione in possesso. (L)
9. Il beneficiario dell’esproprio ed il proprietario stipulano l’atto di cessione del bene qualora sia stata condivisa la determinazione della indennità di espropriazione e sia stata depositata la documentazione attestante la piena e libera proprietà del bene. Nel caso in cui il proprietario percepisca la somma e si rifiuti di stipulare l’atto di cessione del bene, può essere emesso senza altre formalità il decreto di esproprio, che dà atto di tali circostanze, e può esservi l’immissione in possesso, salve le conseguenze risarcitorie dell’ingiustificato rifiuto di addivenire alla stipula. (L)
10. L’atto di cessione volontaria è trasmesso per la trascrizione, entro quindici giorni presso l’ufficio dei registri immobiliari, a cura e a spese dell’acquirente. (L)
11. Dopo aver corrisposto l’importo concordato, l’autorità espropriante, in alternativa alla cessione volontaria, può procedere, anche su richiesta del promotore dell’espropriazione, alla emissione e all’esecuzione del decreto di esproprio. (L)
12. L’autorità espropriante, anche su richiesta del promotore dell’espropriazione, può altresì emettere ed eseguire il decreto di esproprio, dopo aver ordinato il deposito dell’indennità condivisa presso la Cassa depositi e prestiti qualora il proprietario abbia condiviso la indennità senza dichiarare l’assenza di diritti di terzi sul bene, ovvero qualora non effettui il deposito della documentazione di cui al comma 8 nel termine ivi previsto ovvero ancora non si presti a ricevere la somma spettante. (L)
13. Al proprietario che abbia condiviso l’indennità offerta spetta l’importo di cui all’articolo 45, comma 2, anche nel caso in cui l’autorità espropriante abbia emesso il decreto di espropriazione ai sensi dei commi 11 e 12. (L)
14. Decorsi inutilmente trenta giorni dalla notificazione di cui al comma 4, si intende non concordata la determinazione dell’indennità di espropriazione. L’autorità espropriante dispone il deposito, entro trenta giorni, presso la Cassa depositi e prestiti Spa, della somma senza le maggiorazioni di cui all’articolo 45. Effettuato il deposito, l’autorità espropriante può emettere ed eseguire il decreto d’esproprio. (L) [66]
15. Qualora l’efficacia della pubblica utilità derivi dall’approvazione di piani urbanistici esecutivi, i termini per gli adempimenti di cui al comma 1 del presente articolo decorrono dalla data di inserimento degli immobili da espropriare nel programma di attuazione dei piani stessi. (L)
Note:
[65] Articolo corretto da Comunicato 14 settembre 2001, pubblicato nella G.U. 14 settembre 2001, n. 214 e, successivamente, sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. r), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[66]Comma così modificato dall’art. 2, comma 89, lett. c), L. 24 dicembre 2007, n. 244, a decorrere dal 1° gennaio 2008.
[67]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 21 (L) Procedimento di determinazione definitiva dell’indennità di espropriazione[68] [69]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. L’autorità espropriante forma l’elenco dei proprietari che non hanno concordato la determinazione della indennità di espropriazione. (L)
2. Se manca l’accordo sulla determinazione dell’indennità di espropriazione, l’autorità espropriante invita il proprietario interessato, con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, a comunicare entro i successivi venti giorni se intenda avvalersi, per la determinazione dell’indennità, del procedimento previsto nei seguenti commi e, in caso affermativo, designare un tecnico di propria fiducia. (L)
3. Nel caso di comunicazione positiva del proprietario, l’autorità espropriante nomina due tecnici, tra cui quello eventualmente già designato dal proprietario, e fissa il termine entro il quale va presentata la relazione da cui si evinca la stima del bene. Il termine non può essere superiore a novanta giorni, decorrente dalla data in cui è nominato il tecnico di cui al comma 4, ma è prorogabile per effettive e comprovate difficoltà. (L)
4. Il presidente del tribunale civile, nella cui circoscrizione si trova il bene da stimare, nomina il terzo tecnico, su istanza di chi vi abbia interesse. (L)
5. Il presidente del tribunale civile sceglie il terzo tecnico tra i professori universitari, anche associati, di estimo, ovvero tra coloro che risultano inseriti nell’albo dei periti o dei consulenti tecnici del tribunale civile nella cui circoscrizione si trova il bene. (L)
6. Le spese per la nomina dei tecnici:
a) sono liquidate dall’autorità espropriante, in base alle tariffe professionali;
b) sono poste a carico del proprietario se la stima è inferiore alla somma determinata in via provvisoria, sono divise per metà tra il beneficiario dell’esproprio e l’espropriato se la differenza con la somma determinata in via provvisoria non supera in aumento il decimo e, negli altri casi, sono poste a carico del beneficiario dell’esproprio. (L)
7. I tecnici comunicano agli interessati il luogo, la data e l’ora delle operazioni, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento o strumento telematico, almeno sette giorni prima della data stabilita. (L)
8. Gli interessati possono assistere alle operazioni anche tramite persone di loro fiducia, formulare osservazioni orali e presentare memorie scritte e documenti, di cui i tecnici tengono conto. (L)
9. L’opposizione contro la nomina dei tecnici non impedisce o ritarda le operazioni, salvo il diritto di contestare in sede giurisdizionale la nomina e le operazioni peritali. (L)
10. La relazione dei tecnici è depositata presso l’autorità espropriante, che ne dà notizia agli interessati mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, avvertendoli che possono prenderne visione ed estrarne copia entro i successivi trenta giorni. (L)
11. In caso di dissenso di uno dei tecnici, la relazione è adottata a maggioranza. (L)
12. Ove l’interessato accetti in modo espresso l’indennità risultante dalla relazione, l’autorità espropriante autorizza il pagamento o il deposito della eventuale parte di indennità non depositata; il proprietario incassa la indennità depositata a norma dell’articolo 26. Ove non sia stata manifestata accettazione espressa entro trenta giorni dalla scadenza del termine di cui al comma 10, l’autorità espropriante ordina il deposito presso la Cassa depositi e prestiti dell’eventuale maggior importo della indennità. (L)
13. Il proprietario ha il diritto di chiedere che la somma depositata o da depositare sia impiegata in titoli del debito pubblico. (L)
14. Salve le disposizioni del testo unico, si applicano le norme del codice di procedura civile per quanto riguarda le operazioni peritali e le relative relazioni. (L)
15. Qualora il proprietario non abbia dato la tempestiva comunicazione di cui al comma 2, l’autorità espropriante chiede la determinazione dell’indennità alla commissione prevista dall’articolo 41 che provvede entro novanta giorni dalla richiesta. (L)
16. La relazione della commissione è depositata e comunicata secondo le previsioni del comma 10 e si procede a norma del comma 12. (L)
Note:
[68] Articolo corretto da Comunicato 14 settembre 2001, pubblicato nella G.U. 14 settembre 2001, n. 214 e, successivamente, così sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. s), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[69]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 22 (L) Determinazione urgente dell’indennità provvisoria[70] [72]
In vigore dal 1 gennaio 2008
1. Qualora l’avvio dei lavori rivesta carattere di urgenza, tale da non consentire l’applicazione delle disposizioni dell’articolo 20, il decreto di esproprio può essere emanato ed eseguito in base alla determinazione urgente della indennità di espropriazione, senza particolari indagini o formalità. Nel decreto si dà atto della determinazione urgente dell’indennità e si invita il proprietario, nei trenta giorni successivi alla immissione in possesso, a comunicare se la condivide. (L)
2. Il decreto di esproprio può altresì essere emanato ed eseguito in base alla determinazione urgente della indennità di espropriazione senza particolari indagini o formalità, nei seguenti casi:
a) per gli interventi di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 443;
b) allorché il numero dei destinatari della procedura espropriativa sia superiore a 50. (L)
3. Ricevuta dall’espropriato la comunicazione di cui al comma 1 e la documentazione comprovante la piena e libera disponibilità del bene, l’autorità espropriante dispone il pagamento dell’indennità di espropriazione nel termine di sessanta giorni. Decorso tale termine al proprietario sono dovuti gli interessi nella misura del tasso legale. (L)[71]
4. Se non condivide la determinazione della misura della indennità di espropriazione, entro il termine previsto dal comma 1 l’espropriato può chiedere la nomina dei tecnici, ai sensi dell’articolo 21 e, se non condivide la relazione finale, può proporre l’opposizione alla stima. (L)
5. In assenza della istanza del proprietario, l’autorità espropriante chiede la determinazione dell’indennità alla commissione provinciale prevista dall’articolo 41, che provvede entro il termine di trenta giorni, e dà comunicazione della medesima determinazione al proprietario, con avviso notificato con le forme degli atti processuali civili. (L)
Note:
[70] Articolo sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. t), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[71]Comma così modificato dall’art. 2, comma 89, lett. d), L. 24 dicembre 2007, n. 244, a decorrere dal 1° gennaio 2008.
[72]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 22-bis (L) Occupazione d’urgenza preordinata all’espropriazione[73] [74]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Qualora l’avvio dei lavori rivesta carattere di particolare urgenza, tale da non consentire, in relazione alla particolare natura delle opere, l’applicazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 20, può essere emanato, senza particolari indagini e formalità, decreto motivato che determina in via provvisoria l’indennità di espropriazione, e che dispone anche l’occupazione anticipata dei beni immobili necessari. Il decreto contiene l’elenco dei beni da espropriare e dei relativi proprietari, indica i beni da occupare e determina l’indennità da offrire in via provvisoria. Il decreto è notificato con le modalità di cui al comma 4 e seguenti dell’articolo 20 con l’avvertenza che il proprietario, nei trenta giorni successivi alla immissione in possesso, può, nel caso non condivida l’indennità offerta, presentare osservazioni scritte e depositare documenti. (L)
2. Il decreto di cui al comma 1, può altresì essere emanato ed eseguito in base alla determinazione urgente della indennità di espropriazione senza particolari indagini o formalità, nei seguenti casi:
a) per gli interventi di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 443;
b) allorché il numero dei destinatari della procedura espropriativa sia superiore a 50. (L)
3. Al proprietario che abbia condiviso la determinazione dell’indennità è riconosciuto l’acconto dell’80% con le modalità di cui al comma 6, dell’articolo 20. (L)
4. L’esecuzione del decreto di cui al comma 1, ai fini dell’immissione in possesso, è effettuata con le medesime modalità di cui all’articolo 24 e deve aver luogo entro il termine perentorio di tre mesi dalla data di emanazione del decreto medesimo. (L)
5. Per il periodo intercorrente tra la data di immissione in possesso e la data di corresponsione dell’indennità di espropriazione o del corrispettivo, stabilito per l’atto di cessione volontaria è dovuta l’indennità di occupazione, da computare ai sensi dell’articolo 50, comma 1. (L)
6. Il decreto che dispone l’occupazione ai sensi del comma 1 perde efficacia qualora non venga emanato il decreto di esproprio nel termine di cui all’articolo 13. (L)
Note:
[73] Articolo inserito dall’art. 1, comma 1, lett. u), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[74]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Sezione II
Del decreto di esproprio

Art. 23 (L-R) Contenuto ed effetti del decreto di esproprio [76]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Il decreto di esproprio:
a) è emanato entro il termine di scadenza dell’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità;
b) indica gli estremi degli atti da cui è sorto il vincolo preordinato all’esproprio e del provvedimento che ha approvato il progetto dell’opera;
c) indica quale sia l’indennità determinata in via provvisoria o urgente e precisa se essa sia stata accettata dal proprietario o successivamente corrisposta, ovvero se essa sia stata depositata presso la Cassa depositi e prestiti;
d) dà atto della eventuale nomina dei tecnici incaricati di determinare in via definitiva l’indennità di espropriazione, precisando se essa sia stata accettata dal proprietario o successivamente corrisposta, ovvero se essa sia stata depositata presso la Cassa depositi e prestiti;
e) dà atto della eventuale sussistenza dei presupposti previsti dall’articolo 22, comma 1, e della determinazione urgente della indennità provvisoria;
e-bis) dà atto degli estremi del decreto emanato ai sensi dell’articolo 22-bis e del relativo stato di esecuzione;[75]
f) dispone il passaggio del diritto di proprietà, o del diritto oggetto dell’espropriazione, sotto la condizione sospensiva che il medesimo decreto sia successivamente notificato ed eseguito;
g) è notificato al proprietario nelle forme degli atti processuali civili, con un avviso contenente l’indicazione del luogo, del giorno e dell’ora in cui è prevista l’esecuzione del decreto di espropriazione, almeno sette giorni prima di essa;
h) è eseguito mediante l’immissione in possesso del beneficiario dell’esproprio, con la redazione del verbale di cui all’articolo 24. (L)
2. Il decreto di esproprio è trascritto senza indugio presso l’ufficio dei registri immobiliari. (L)
3. La notifica del decreto di esproprio può avere luogo contestualmente alla sua esecuzione. Qualora vi sia l’opposizione del proprietario o del possessore del bene, nel verbale si dà atto dell’opposizione e le operazioni di immissione in possesso possono essere differite di dieci giorni. (L)
4. Le operazioni di trascrizione e di voltura nel catasto e nei libri censuari hanno luogo senza indugio, a cura e a spese del beneficiario dell’esproprio. (R)
5. Un estratto del decreto di esproprio è trasmesso entro cinque giorni per la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica o nel Bollettino Ufficiale della Regione nel cui territorio si trova il bene. L’opposizione del terzo è proponibile entro i trenta giorni successivi alla pubblicazione dell’estratto. Decorso tale termine in assenza di impugnazioni, anche per il terzo l’indennità resta fissata nella somma depositata. (L)
Note:
[75] Lettera inserita dall’art. 1, comma 1, lett. v), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[76]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 24 (L-R) Esecuzione del decreto di esproprio [77]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. L’esecuzione del decreto di esproprio ha luogo per iniziativa dell’autorità espropriante o del suo beneficiario, con il verbale di immissione in possesso, entro il termine perentorio di due anni. (L)
2. Lo stato di consistenza del bene può essere compilato anche successivamente alla redazione del verbale di immissione in possesso, senza ritardo e prima che sia mutato lo stato dei luoghi. (L)
3. Lo stato di consistenza e il verbale di immissione sono redatti in contraddittorio con l’espropriato o, nel caso di assenza o di rifiuto, con la presenza di almeno due testimoni che non siano dipendenti del beneficiario dell’espropriazione. Possono partecipare alle operazioni i titolari di diritti reali o personali sul bene. (L)[78]
4. Si intende effettuata l’immissione in possesso anche quando, malgrado la redazione del relativo verbale, il bene continua ad essere utilizzato, per qualsiasi ragione, da chi in precedenza ne aveva la disponibilità. (L)
5. L’autorità espropriante, in calce al decreto di esproprio, indica la data in cui è avvenuta l’immissione in possesso e trasmette copia del relativo verbale all’ufficio per i registri immobiliari, per la relativa annotazione. (R)
6. L’autorità che ha eseguito il decreto di esproprio ne dà comunicazione all’ufficio istituito ai sensi dell’articolo 14, comma 1. (R)
7. Decorso il termine previsto nel comma 1, entro i successivi tre anni può essere emanato un ulteriore atto che comporta la dichiarazione di pubblica utilità. (L)
Note:
[77]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
[78]In deroga a quanto disposto dal presente comma vedi l’art. 36-ter, comma 12, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 7, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 25 (L) Effetti dell’espropriazione per i terzi [79] [80]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. L’espropriazione del diritto di proprietà comporta l’estinzione automatica di tutti gli altri diritti, reali o personali, gravanti sul bene espropriato, salvo quelli compatibili con i fini cui l’espropriazione è preordinata. (L)
2. Le azioni reali e personali esperibili sul bene espropriando non incidono sul procedimento espropriativo e sugli effetti del decreto di esproprio. (L)
3. Dopo la trascrizione del decreto di esproprio, tutti i diritti relativi al bene espropriato possono essere fatti valere unicamente sull’indennità. (L)
4. A seguito dell’esecuzione del decreto di esproprio, il Prefetto convoca tempestivamente, e comunque non oltre dieci giorni dalla richiesta, il soggetto proponente e i soggetti gestori di servizi pubblici titolari del potere di autorizzazione e di concessione di attraversamento, per la definizione degli spostamenti concernenti i servizi interferenti e delle relative modalità tecniche. Il soggetto proponente, qualora i lavori di modifica non siano stati avviati entro sessanta giorni, può provvedervi direttamente, attenendosi alle modalità tecniche eventualmente definite ai sensi del presente comma. (L)
Note:
[79]Ad integrazione e parziale deroga delle previsioni di cui al presente articolo, vedi l’art. 5, D.Lgs. 20 agosto 2002, n. 190 e l’art. 170, D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163.
[80]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Capo V
Il pagamento dell’indennità di esproprio

Sezione I
Disposizioni generali

Art. 26 (R) Pagamento o deposito dell’indennità provvisoria [83]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Trascorso il termine di trenta giorni dalla notificazione dell’atto determinativo dell’indennità provvisoria, l’autorità espropriante ordina che il promotore dell’espropriazione effettui il pagamento delle indennità che siano state accettate, ovvero il deposito delle altre indennità presso la Cassa depositi e prestiti. (R)
1-bis. L’autorità espropriante ordina il pagamento diretto dell’indennità al proprietario nei casi di cui all’articolo 20, comma 8. (R)[81]
2. L’autorità espropriante può ordinare altresì il pagamento diretto dell’indennità al proprietario, qualora questi abbia assunto ogni responsabilità in ordine ad eventuali diritti dei terzi, e può disporre che sia prestata una idonea garanzia entro un termine all’uopo stabilito. (R)[82]
3. Se il bene è gravato di ipoteca, al proprietario è corrisposta l’indennità previa esibizione di una dichiarazione del titolare del diritto di ipoteca, con firma autenticata, che autorizza la riscossione della somma. (R)
4. Se il bene è gravato da altri diritti reali, ovvero se sono presentate opposizioni al pagamento della indennità, in assenza di accordo sulle modalità della sua riscossione, il beneficiario dell’espropriazione deposita la somma presso la Cassa depositi e prestiti. In tal caso, l’effettivo pagamento ha luogo in conformità alla pronuncia dell’autorità giudiziaria, adita su domanda di chi vi abbia interesse. (R)
5. Qualora manchino diritti dei terzi sul bene, il proprietario può in qualunque momento percepire la somma depositata, con riserva di chiedere in sede giurisdizionale l’importo effettivamente spettante. (R)
6. La Cassa depositi e prestiti provvede al pagamento delle somme ricevute a titolo di indennità di espropriazione e in relazione alle quali non vi sono opposizioni di terzi, quando il proprietario produca una dichiarazione in cui assume ogni responsabilità in relazione ad eventuali diritti dei terzi. (R)
7. Dei provvedimenti di cui ai commi 1 e 2 è data immediata notizia al terzo che risulti titolare di un diritto ed è curata la pubblicazione, per estratto, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica o nel Bollettino Ufficiale della Regione nel cui territorio si trova il bene. (R)
8. Il provvedimento dell’autorità espropriante diventa esecutivo col decorso di trenta giorni dal compimento delle relative formalità, se non è proposta dai terzi l’opposizione per l’ammontare dell’indennità o per la garanzia. (R)
9. Se è proposta una tempestiva opposizione, l’autorità espropriante dispone il deposito delle indennità accettate o convenute presso la Cassa depositi e prestiti. (R)
10. Il promotore dell’espropriazione esegue il pagamento dell’indennità accettata o determinata dai tecnici, entro il termine di sessanta giorni, decorrente dalla comunicazione del decreto che ha ordinato il pagamento, salvo il caso in cui egli abbia proposto, entro lo stesso termine, l’opposizione alla stima definitiva della indennità. (R)
11. In seguito alla presentazione, da parte del promotore dell’espropriazione, degli atti comprovanti l’eseguito deposito o pagamento dell’indennità di espropriazione, l’autorità espropriante emette senz’altro il decreto di esproprio. (R)
Note:
[81] Comma inserito dall’art. 1, comma 1, lett. z), n. 1), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[82] Comma così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. z), n. 2), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[83]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 27 (R) Pagamento o deposito definitivo dell’indennità a seguito della perizia di stima dei tecnici o della Commissione provinciale[84] [86]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. La relazione di stima è depositata dai tecnici ovvero della Commissione provinciale presso l’ufficio per le espropriazioni. L’autorità espropriante dà notizia dell’avvenuto deposito mediante raccomandata con avviso di ricevimento e segnala la facoltà di prenderne visione ed estrarne copia. (R)[85]
2. Decorsi trenta giorni dalla comunicazione del deposito, l’autorità espropriante, in base alla relazione peritale e previa liquidazione e pagamento delle spese della perizia, su proposta del responsabile del procedimento autorizza il pagamento dell’indennità, ovvero ne ordina il deposito presso la Cassa depositi e prestiti. (R)
3. In seguito alla presentazione, da parte del promotore dell’espropriazione, degli arti comprovanti l’eseguito deposito o pagamento dell’indennità di espropriazione, l’autorità espropriante emette senz’altro il decreto di esproprio. (R)
Note:
[84] Rubrica così modificata dall’art. 1, comma 1, lett. aa), n. 1), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[85] Comma così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. aa), n. 2), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[86]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 28 (R) Pagamento definitivo della indennità [87]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. L’autorità espropriante autorizza il pagamento della somma depositata al proprietario od agli aventi diritto, qualora sia divenuta definitiva rispetto a tutti la determinazione dell’indennità di espropriazione, ovvero non sia stata tempestivamente notificata l’opposizione al pagamento o sia stato concluso tra tutte le parti interessate l’accordo per la distribuzione dell’indennità. (R)
2. L’autorizzazione è disposta su istanza delle parti interessate, su proposta del responsabile del procedimento successiva alla audizione delle parti, da cui risulti anche la mancata notifica di opposizioni di terzi. (R)
3. Unitamente all’istanza, vanno depositati:
a) un certificato dei registri immobiliari, da cui risulta che non vi sono trascrizioni o iscrizioni di diritti o di azioni di terzi;
b) un attestato del promotore dell’espropriazione, da cui risulti che non gli sono state notificate opposizioni di terzi. (R)
Note:
[87]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 29 (L) Pagamento dell’indennità a seguito di procedimento giurisdizionale [88]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Qualora esistano diritti reali sul fondo espropriato o vi siano opposizioni al pagamento, ovvero le parti non si siano accordate sulla distribuzione, il pagamento delle indennità agli aventi diritto è disposto dall’autorità giudiziaria, su domanda di chi ne abbia interesse. (L)
Note:
[88]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Sezione II
Pagamento dell’indennità a incapaci, a enti e associazioni

Art. 30 (R) Regola generale [89]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Se il bene da espropriare appartiene ad un minore, ad un interdetto, ad un assente, ad un ente o ad una associazione che non abbia la libera facoltà di alienare immobili, gli atti del procedimento non richiedono alcuna particolare autorizzazione. (R)
Note:
[89]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 31 (R) Disposizioni sulla indennità [90]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. I tutori e gli altri amministratori dei soggetti indicati nell’articolo precedente devono chiedere l’approvazione del tribunale civile per la determinazione consensuale o per l’accettazione dell’indennità offerta dal promotore dell’espropriazione, ovvero per la conclusione dell’accordo di cessione. (R)
2. Se lo Stato o un altro ente pubblico è titolare del bene, si applicano le disposizioni riguardanti la transazione. (R)
3. Le somme depositate per le indennità di beni espropriati spettanti ad un minore, ad un interdetto, ad un assente, ad un ente o ad una associazione che non abbia la libera facoltà di alienare immobili, non possono essere riscosse dal tutore o dagli altri amministratori, salvo che siano impiegate con le formalità prescritte dalle leggi civili. (R)
4. Non occorre alcuna approvazione per accettare l’indennità determinata dai tecnici ai sensi dell’articolo 21 o per la conversione delle indennità in titoli del debito pubblico. (R)
Note:
[90]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Capo VI
Dell’entità dell’indennità di espropriazione

Sezione I
Disposizioni generali

Art. 32 (L) Determinazione del valore del bene [91]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Salvi gli specifici criteri previsti dalla legge, l’indennità di espropriazione è determinata sulla base delle caratteristiche del bene al momento dell’accordo di cessione o alla data dell’emanazione del decreto di esproprio, valutando l’incidenza dei vincoli di qualsiasi natura non aventi natura espropriativa e senza considerare gli effetti del vincolo preordinato all’esproprio e quelli connessi alla realizzazione dell’eventuale opera prevista, anche nel caso di espropriazione di un diritto diverso da quello di proprietà o di imposizione di una servitù. (L)
2. Il valore del bene è determinato senza tenere conto delle costruzioni, delle piantagioni e delle migliorie, qualora risulti, avuto riguardo al tempo in cui furono fatte e ad altre circostanze, che esse siano state realizzate allo scopo di conseguire una maggiore indennità. Si considerano realizzate allo scopo di conseguire una maggiore indennità, le costruzioni, le piantagioni e le migliorie che siano state intraprese sui fondi soggetti ad esproprio dopo la comunicazione dell’avvio del procedimento. (L)
3. Il proprietario, a sue spese, può asportare dal bene i materiali e tutto ciò che può essere tolto senza pregiudizio dell’opera da realizzare. (L)
Note:
[91]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 33 (L) Espropriazione parziale di un bene unitario [92]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Nel caso di esproprio parziale di un bene unitario, il valore della parte espropriata è determinato tenendo conto della relativa diminuzione di valore. (L)
2. Se dall’esecuzione dell’opera deriva un vantaggio immediato e speciale alla parte non espropriata del bene, dalla somma relativa al valore della parte espropriata è detratto l’importo corrispondente al medesimo vantaggio. (L)
3. Non si applica la riduzione di cui al comma 2, qualora essa risulti superiore ad un quarto della indennità dovuta ed il proprietario abbandoni l’intero bene. L’espropriante può non accettare l’abbandono, qualora corrisponda una somma non inferiore ai tre quarti dell’indennità dovuta. In ogni caso l’indennità dovuta dall’espropriante non può essere inferiore alla metà di quella che gli spetterebbe ai sensi del comma 1. (L)
Note:
[92]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 34 (L) Soggetti aventi titolo all’indennità [94]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. L’indennità di esproprio spetta al proprietario del bene da espropriare ovvero all’enfiteuta, se ne sia anche possessore. (L)
2. Dopo la trascrizione del decreto di esproprio o dell’atto di cessione, tutti i diritti relativi al bene espropriato possono essere fatti valere esclusivamente sull’indennità. (L)[93]
3. L’espropriante non è tenuto ad intervenire nelle controversie tra il proprietario e l’enfiteuta e non sopporta aumenti di spesa a causa del riparto tra di loro dell’indennità. (L)
4. Salvo quanto previsto dall’articolo 42, il titolare di un diritto reale o personale sul bene non ha diritto ad una indennità aggiuntiva, può far valere il suo diritto sull’indennità di esproprio e può proporre l’opposizione alla stima, ovvero intervenire nel giudizio promosso dal proprietario. (L)
Note:
[93] Comma così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. bb), n. 1), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[94]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 35 (L) Regime fiscale [97]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Si applica l’articolo 81, comma 1, lettera b), ultima parte, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato col decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, qualora sia corrisposta a chi non eserciti una impresa commerciale una somma a titolo di indennità di esproprio, ovvero di corrispettivo di cessione volontaria o di risarcimento del danno per acquisizione coattiva, di un terreno ove sia stata realizzata un’opera pubblica, un intervento di edilizia residenziale pubblica o una infrastruttura urbana all’interno delle zone omogenee di tipo A, B, C e D, come definite dagli strumenti urbanistici. (L)
2. Il soggetto che corrisponde la somma opera la ritenuta nella misura del venti per cento, a titolo di imposta. Con la dichiarazione dei redditi, il contribuente può optare per la tassazione ordinaria, col computo della ritenuta a titolo di acconto. (L)
3. Le disposizioni del comma 2 si applicano anche quando il pagamento avvenga a seguito di un pignoramento presso terzi e della conseguente ordinanza di assegnazione. (L)
4. Le modalità di adempimento degli obblighi previsti nei commi precedenti sono disciplinate con regolamento del Ministro dell’economia e delle finanze. (L)[95]
5. Si applica l’articolo 28, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, per il versamento della ritenuta, per gli obblighi della dichiarazione e per le sanzioni da irrogare. (L)
6. Gli interessi percepiti per il ritardato pagamento della somma di cui al comma 1 e l’indennità di occupazione costituiscono reddito imponibile e concorrono alla formazione dei redditi diversi. (L)[96]
Note:
[95] Comma così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. cc), n. 1), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[96]L’art. 1, comma 444, L. 23 dicembre 2005, n. 266, ha interpretato il presente comma nel senso che le indennità di occupazione costituiscono reddito imponibile e concorrono alla formazione dei redditi diversi se riferite a terreni ricadenti nelle zone omogenee di tipo A, B, C e D, come definite dagli strumenti urbanistici.
[97]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Sezione II
Opere private di pubblica utilità

Art. 36 (L) Determinazione dell’indennità nel caso di esproprio per la realizzazione di opere private che non consistano in abitazioni dell’edilizia residenziale pubblica [100]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Se l’espropriazione è finalizzata alla realizzazione di opere private di pubblica utilità, che non rientrino nell’ambito dell’edilizia residenziale pubblica, convenzionata, agevolata o comunque denominata nonché nell’ambito dei piani di insediamenti produttivi di iniziativa pubblica, l’indennità di esproprio è determinata nella misura corrispondente al valore venale del bene e non si applicano le disposizioni contenute nelle sezioni seguenti. (L)[98]
1-bis. E’ fatto salvo il disposto dell’articolo 27, comma 5, della legge 1° agosto 2002, n. 166.[99]
Note:
[98] Comma così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. dd), n. 1), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[99] Comma aggiunto dall’art. 1, comma 1, lett. dd), n. 2), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[100]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Sezione III
Determinazione dell’indennità nel caso di esproprio di un’area edificabile o legittimamente edificata.

Art. 37 (L) Determinazione dell’indennità nel caso di esproprio di un’area edificabile [106]
In vigore dal 1 gennaio 2008
1. L’indennità di espropriazione di un’area edificabile è determinata nella misura pari al valore venale del bene. Quando l’espropriazione è finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale, l’indennità è ridotta del 25 per cento (L).[104]
2. Nei casi in cui è stato concluso l’accordo di cessione, o quando esso non è stato concluso per fatto non imputabile all’espropriato ovvero perché a questi è stata offerta un’indennità provvisoria che, attualizzata, risulta inferiore agli otto decimi di quella determinata in via definitiva, l’indennità è aumentata del 10 per cento (L).[104]
3. Ai soli fini dell’applicabilità delle disposizioni della presente sezione, si considerano le possibilità legali ed effettive di edificazione, esistenti al momento dell’emanazione del decreto di esproprio o dell’accordo di cessione. In ogni caso si esclude il rilievo di costruzioni realizzate abusivamente. (L)
4. Salva la disposizione dell’articolo 32, comma 1, non sussistono le possibilità legali di edificazione quando l’area è sottoposta ad un vincolo di inedificabilità assoluta in base alla normativa statale o regionale o alle previsioni di qualsiasi atto di programmazione o di pianificazione del territorio, ivi compresi il piano paesistico, il piano del parco, il piano di bacino, il piano regolatore generale, il programma di fabbricazione, il piano attuativo di iniziativa pubblica o privata anche per una parte limitata del territorio comunale per finalità di edilizia residenziale o di investimenti produttivi, ovvero in base ad un qualsiasi altro piano o provvedimento che abbia precluso il rilascio di atti, comunque denominati, abilitativi della realizzazione di edifici o manufatti di natura privata. (L)
5. I criteri e i requisiti per valutare l’edificabilità di fatto dell’area sono definiti con regolamento da emanare con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti. (L)[101]
6. Fino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 5, si verifica se sussistano le possibilità effettive di edificazione, valutando le caratteristiche oggettive dell’area. (L)
7. L’indennità è ridotta ad un importo pari al valore indicato nell’ultima dichiarazione o denuncia presentata dall’espropriato ai fini dell’imposta comunale sugli immobili prima della determinazione formale dell’indennità nei modi stabiliti dall’art. 20, comma 3, e dall’art. 22, comma 1 e dell’art. 22-bis, qualora il valore dichiarato risulti contrastante con la normativa vigente ed inferiore all’indennità di espropriazione come determinata in base ai commi precedenti. (L)[102] [105] [107]
8. Se per il bene negli ultimi cinque anni è stata pagata dall’espropriato o dal suo dante causa un’imposta in misura maggiore dell’imposta da pagare sull’indennità, la differenza è corrisposta dall’espropriante all’espropriato. (L)
9. Qualora l’area edificabile sia utilizzata a scopi agricoli, spetta al proprietario coltivatore diretto anche una indennità pari al valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura effettivamente praticato. La stessa indennità spetta al fittavolo, al mezzadro o al compartecipante che, per effetto della procedura, sia costretto ad abbandonare in tutto o in parte il fondo direttamente coltivato, da almeno un anno, col lavoro proprio e di quello dei familiari. (L)[103]
Note:
[101] Comma così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. ee), n. 1), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[102] Comma così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. ee), n. 2), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[103] Comma così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. ee), n. 3), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[104]Comma così sostituito dall’art. 2, comma 89, lett. a), L. 24 dicembre 2007, n. 244, a decorrere dal 1° gennaio 2008; per l’applicazione di tale disposizione, vedi il comma 90 del medesimo art. 2, L. 244/2007.
[105]La Corte costituzionale, con sentenza 12-22 dicembre 2011, n. 338 (Gazz. Uff. 28 dicembre 2011, n. 54 – Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l’altro, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale, in via consequenziale, del presente comma.
[106]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
[107]La Corte costituzionale, con ordinanza 10 – 19 ottobre 2012, n. 235 (Gazz. Uff. 24 ottobre 2012, n. 42, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 37, comma 7, sollevata in riferimento agli artt. 42, terzo comma e 117, primo comma, della Costituzione, per sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale.
Art. 38 (L) Determinazione dell’indennità nel caso di esproprio di un’area legittimamente edificata [110]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Nel caso di espropriazione di una costruzione legittimamente edificata, l’indennità è determinata nella misura pari al valore venale. (L)
2. Qualora la costruzione ovvero parte di essa sia stata realizzata in assenza della concessione edilizia o della autorizzazione paesistica, ovvero in difformità, l’indennità è calcolata tenendo conto della sola area di sedime in base all’articolo 37 ovvero tenendo conto della sola parte della costruzione realizzata legittimamente. (L)[108]
2-bis. Ove sia pendente una procedura finalizzata alla sanatoria della costruzione, l’autorità espropriante, sentito il comune, accerta la sanabilità ai soli fini della corresponsione delle indennità. (L) [109]
Note:
[108] Comma così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. ff), n. 1), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[109] Comma aggiunto dall’art. 1, comma 1, lett. ff), n. 2), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[110]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 39 (L-R) Indennità dovuta in caso di incidenza di previsioni urbanistiche su particolari aree comprese in zone edificabili [111]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. In attesa di una organica risistemazione della materia, nel caso di reiterazione di un vincolo preordinato all’esproprio o di un vincolo sostanzialmente espropriativo è dovuta al proprietario una indennità, commisurata all’entità del danno effettivamente prodotto. (L)
2. Qualora non sia prevista la corresponsione dell’indennità negli atti che determinano gli effetti di cui al comma 1, l’autorità che ha disposto la reiterazione del vincolo è tenuta a liquidare l’indennità, entro il termine di due mesi dalla data in cui abbia ricevuto la documentata domanda di pagamento ed a corrisponderla entro i successivi trenta giorni, decorsi i quali sono dovuti anche gli interessi legali. (R)
3. Con atto di citazione innanzi alla corte d’appello nel cui distretto si trova l’area, il proprietario può impugnare la stima effettuata dall’autorità. L’opposizione va proposta, a pena di decadenza, entro il termine di trenta giorni, decorrente dalla notifica dell’atto di stima. (L)
4. Decorso il termine di due mesi, previsto dal comma 2, il proprietario può chiedere alla corte d’appello di determinare l’indennità. (L)
5. Dell’indennità liquidata al sensi dei commi precedenti non si tiene conto se l’area è successivamente espropriata. (L)
Note:
[111]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Sezione IV
Determinazione dell’indennità nel caso di esproprio di un area non edificabile

Art. 40 (L) Disposizioni generali [115]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Nel caso di esproprio di un’area non edificabile, l’indennità definitiva è determinata in base al criterio del valore agricolo, tenendo conto delle colture effettivamente praticate sul fondo e del valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati, anche in relazione all’esercizio dell’azienda agricola, senza valutare la possibile o l’effettiva utilizzazione diversa da quella agricola. (L)[112]
2. Se l’area non è effettivamente coltivata, l’indennità è commisurata al valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura prevalente nella zona ed al valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati. (L)[114]
3. Per l’offerta da formulare ai sensi dell’articolo 20, comma 1, e per la determinazione dell’indennità provvisoria, si applica il criterio del valore agricolo medio di cui all’articolo 41, comma 4, corrispondente al tipo di coltura in atto nell’area da espropriare. (L) [113] [114]
4. Al proprietario coltivatore diretto o imprenditore agricolo a titolo principale spetta un’indennità aggiuntiva, determinata in misura pari al valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura effettivamente praticata. (L)
5. Nei casi previsti dai commi precedenti, l’indennità è aumentata delle somme pagate dall’espropriato per qualsiasi imposta relativa all’ultimo trasferimento dell’immobile. (L)
Note:
[112] Comma così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. gg), n. 1), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[113] Comma così sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. gg), n. 2), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[114]La Corte costituzionale, con sentenza 7-10 giugno 2011, n. 181 (Gazz. Uff. 15 giugno 2011, n. 26 – Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l’altro, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità, in via consequenziale, del presente comma.
[115]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 41 (L-R) Commissione competente alla determinazione dell’indennità definitiva[116] [118]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. In ogni provincia, la Regione istituisce una commissione composta:
a) dal presidente della Provincia, o da un suo delegato, che la presiede;
b) dall’ingegnere capo dell’ufficio tecnico erariale, o da un suo delegato;
c) dall’ingegnere capo del genio civile, o da un suo delegato;
d) dal presidente dell’Istituto autonomo delle case popolari della Provincia, o da un suo delegato;
e) da due esperti in materia urbanistica ed edilizia, nominati dalla Regione;
f) da tre esperti in materia di agricoltura e di foreste, nominati dalla Regione su terne proposte dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative. (L)
2. La Regione può nominare altri componenti e disporre la formazione di sottocommissioni, aventi la medesima composizione della commissione prevista dal comma 1. (L)
3. La commissione ha sede presso l’ufficio tecnico erariale. Il dirigente dell’Ufficio distrettuale delle imposte cura la costituzione della segreteria della commissione e l’assegnazione del personale necessario. (R)[117]
4. Nell’ambito delle singole regioni agrarie, delimitate secondo l’ultima pubblicazione ufficiale dell’Istituto centrale di statistica, entro il 31 gennaio di ogni anno la commissione determina il valore agricolo medio, nel precedente anno solare, dei terreni, considerati non oggetto di contratto agrario, secondo i tipi di coltura effettivamente praticati. (R)[117]
Note:
[116] Rubrica così modificata dall’art. 1, comma 1, lett. hh), n. 1), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[117] Comma così corretto da Comunicato 14 settembre 2001, pubblicato nella G.U. 14 settembre 2001, n. 214.
[118]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 42 (L) Indennità aggiuntive [120]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Spetta una indennità aggiuntiva al fittavolo, al mezzadro o al compartecipante che, per effetto della procedura espropriativa o della cessione volontaria, sia costretto ad abbandonare in tutto o in parte l’area direttamente coltivata da almeno un anno prima della data in cui vi è stata la dichiarazione di pubblica utilità. (L) [121]
2. L’indennità aggiuntiva è determinata ai sensi dell’articolo 40, comma 4, ed è corrisposta a seguito di una dichiarazione dell’interessato e di un riscontro della effettiva sussistenza dei relativi presupposti. (L)[119]
Note:
[119] Comma così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. ii), n. 1), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[120]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
[121]Vedi, anche, l’art. 4, D.Lgs. 27 maggio 2005, n. 101.
Art. 42-bis Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico[122] [123] [124]
In vigore dal 6 luglio 2011
1. Valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene.
2. Il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche quando sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un’opera o il decreto di esproprio. Il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche durante la pendenza di un giudizio per l’annullamento degli atti di cui al primo periodo del presente comma, se l’amministrazione che ha adottato l’atto impugnato lo ritira. In tali casi, le somme eventualmente già erogate al proprietario a titolo di indennizzo, maggiorate dell’interesse legale, sono detratte da quelle dovute ai sensi del presente articolo.
3. Salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale di cui al comma 1 è determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l’occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell’articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7. Per il periodo di occupazione senza titolo è computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l’interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma.
4. Il provvedimento di acquisizione, recante l’indicazione delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell’area e se possibile la data dalla quale essa ha avuto inizio, è specificamente motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione; nell’atto è liquidato l’indennizzo di cui al comma 1 e ne è disposto il pagamento entro il termine di trenta giorni. L’atto è notificato al proprietario e comporta il passaggio del diritto di proprietà sotto condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute ai sensi del comma 1, ovvero del loro deposito effettuato ai sensi dell’articolo 20, comma 14; è soggetto a trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari a cura dell’amministrazione procedente ed è trasmesso in copia all’ufficio istituito ai sensi dell’articolo 14, comma 2.
5. Se le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 4 sono applicate quando un terreno sia stato utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata o convenzionata, ovvero quando si tratta di terreno destinato a essere attribuito per finalità di interesse pubblico in uso speciale a soggetti privati, il provvedimento è di competenza dell’autorità che ha occupato il terreno e la liquidazione forfetaria dell’indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale è pari al venti per cento del valore venale del bene.
6. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche quando è imposta una servitù e il bene continua a essere utilizzato dal proprietario o dal titolare di un altro diritto reale; in tal caso l’autorità amministrativa, con oneri a carico dei soggetti beneficiari, può procedere all’eventuale acquisizione del diritto di servitù al patrimonio dei soggetti, privati o pubblici, titolari di concessioni, autorizzazioni o licenze o che svolgono servizi di interesse pubblico nei settori dei trasporti, telecomunicazioni, acqua o energia.
7. L’autorità che emana il provvedimento di acquisizione di cui al presente articolo nè dà comunicazione, entro trenta giorni, alla Corte dei conti mediante trasmissione di copia integrale.
8. Le disposizioni del presente articolo trovano altresì applicazione ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore ed anche se vi è già stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato o annullato, ma deve essere comunque rinnovata la valutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubblico a disporre l’acquisizione; in tal caso, le somme già erogate al proprietario, maggiorate dell’interesse legale, sono detratte da quelle dovute ai sensi del presente articolo.
Note:
[122]Articolo inserito dall’art. 34, comma 1, D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 luglio 2011, n. 111.
[123]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
[124]La Corte costituzionale, con sentenza interpretativa di rigetto, sentenza 11 marzo – 30 aprile 2015, n. 71 (Gazz. Uff. 6 maggio 2015, n. 18, 1ª Serie speciale), ha dichiarato: 1) non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 42-bis, sollevata in riferimento agli artt. 42, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, dalla Corte di cassazione, sezioni unite civili; 2) non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 42-bis, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 113 Cost., dalla Corte di cassazione, sezioni unite civili; 3) inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 42-bis, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 42, 97, 111, primo e secondo comma, 113 e 117, primo comma, Cost., dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda. La stessa Corte, con successiva ordinanza 20 aprile – 6 maggio 2016, n. 100 (Gazz. Uff. 11 maggio 2016, n. 19, 1ª Serie speciale), ha dichiarato manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 42-bis, introdotto dall’art. 34, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, sollevate in riferimento agli artt. 3, 24, 42, 97 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.
Capo VII
Conseguenze della utilizzazione di un bene per scopi di interesse pubblico, in assenza del valido provvedimento ablatorio.

Art. 43 (L) Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico[127] [128]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni. (L) [129]
2. L’atto di acquisizione:
a) può essere emanato anche quando sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un’opera o il decreto di esproprio;
b) dà atto delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell’area, indicando, ove risulti, la data dalla quale essa si è verificata;
c) determina la misura del risarcimento del danno e ne dispone il pagamento, entro il termine di trenta giorni, senza pregiudizio per l’eventuale azione già proposta;
d) è notificato al proprietario nelle forme degli atti processuali civili;
e) comporta il passaggio del diritto di proprietà;
f) è trascritto senza indugio presso l’ufficio dei registri immobiliari;
g) è trasmesso all’ufficio istituito ai sensi dell’articolo 14, comma 2. (L)[125]
3. Qualora sia impugnato uno dei provvedimenti indicati nei commi 1 e 2 ovvero sia esercitata una azione volta alla restituzione di un bene utilizzato per scopi di interesse pubblico, l’amministrazione che ne ha interesse o chi utilizza il bene può chiedere che il giudice amministrativo, nel caso di fondatezza del ricorso o della domanda, disponga la condanna al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo. (L)
4. Qualora il giudice amministrativo abbia escluso la restituzione del bene senza limiti di tempo ed abbia disposto la condanna al risarcimento del danno, l’autorità che ha disposto l’occupazione dell’area emana l’atto di acquisizione, dando atto dell’avvenuto risarcimento del danno. Il decreto è trascritto nei registri immobiliari, a cura e spese della medesima autorità. (L)
5. Le disposizioni di cui ai precedenti commi si applicano, in quanto compatibili, anche quando un terreno sia stato utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata e convenzionata nonché quando sia imposta una servitù di diritto privato o di diritto pubblico ed il bene continui ad essere utilizzato dal proprietario o dal titolare di un altro diritto reale. (L)
6. Salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, nei casi previsti nei precedenti commi il risarcimento del danno è determinato:
a) nella misura corrispondente al valore del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l’occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell’articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7;
b) col computo degli interessi moratori, a decorrere dal giorno in cui il terreno sia stato occupato senza titolo. (L)
6-bis. Ai sensi dell’articolo 3 della legge 1° agosto 2002, n. 166, l’autorità espropriante può procedere, ai sensi dei commi precedenti, disponendo, con oneri di esproprio a carico dei soggetti beneficiari, l’eventuale acquisizione del diritto di servitù al patrimonio di soggetti, privati o pubblici, titolari di concessioni, autorizzazioni o licenze o che svolgono, anche in base alla legge, servizi di interesse pubblico nei settori dei trasporti, telecomunicazioni, acqua, energia. (L) [126]
Note:
[125] Lettera così corretta da Comunicato 14 settembre 2001, pubblicato nella G.U. 14 settembre 2001, n. 214
[126] Comma aggiunto dall’art. 1, comma 1, lett. ll), n. 1), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[127]La Corte Costituzionale, con sentenza 4-8 ottobre 2010, n. 293 (Gazz. Uff. 13 ottobre 2010, n. 41 – Prima serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo.
[128]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
[129]Vedi, anche, l’art. 2, comma 8, D.L. 28 aprile 2009, n. 39, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 giugno 2009, n. 77, e l’art. 17-ter, comma 5, D.L. 30 dicembre 2009, n. 195, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 2010, n. 26.
Capo VIII
Indennità dovuta al titolare del bene non espropriato

Art. 44 (L) Indennità per l’imposizione di servitù [130]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. E’ dovuta una indennità al proprietario del fondo che, dalla esecuzione dell’opera pubblica o di pubblica utilità, sia gravato da una servitù o subisca una permanente diminuzione di valore per la perdita o la ridotta possibilità di esercizio del diritto di proprietà. (L)
2. L’indennità è calcolata senza tenere conto del pregiudizio derivante dalla perdita di una utilità economica cui il proprietario non ha diritto. (L)
3. L’indennità è dovuta anche se il trasferimento della proprietà sia avvenuto per effetto dell’accordo di cessione o nei casi previsti dall’articolo 43. (L)
4. Le disposizioni dei commi precedenti non si applicano per le servitù disciplinate da leggi speciali. (L)
5. Non è dovuta alcuna indennità se la servitù può essere conservata o trasferita senza grave incomodo del fondo dominante o di quello servente. In tal caso l’espropriante, se non effettua direttamente le opere, rimborsa le spese necessarie per la loro esecuzione. (L)
6. L’indennità può anche essere concordata fra gli interessati prima o durante la realizzazione dell’opera e delle relative misure di contenimento del danno. (L)
Note:
[130]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Capo IX
La cessione volontaria

Art. 45 (L) Disposizioni generali [135]
In vigore dal 1 gennaio 2008
1. Fin da quando è dichiarata la pubblica utilità dell’opera e fino alla data in cui è eseguito il decreto di esproprio, il proprietario ha il diritto di stipulare col soggetto beneficiario dell’espropriazione l’atto di cessione del bene o della sua quota di proprietà. (L)[131]
2. Il corrispettivo dell’atto di cessione:[132]
a) se riguarda un’area edificabile, è calcolato ai sensi dell’articolo 37, con l’aumento del dieci per cento di cui al comma 2 dell’articolo 37[134];
b) se riguarda una costruzione legittimamente edificata, è calcolato nella misura venale del bene ai sensi dell’articolo 38;[133]
c) se riguarda un’area non edificabile, è calcolato aumentando del cinquanta per cento l’importo dovuto ai sensi dell’articolo 40, comma 3;[133]
d) se riguarda un’area non edificabile, coltivata direttamente dal proprietario, è calcolato moltiplicando per tre l’importo dovuto ai sensi dell’articolo 40, comma 3. In tale caso non compete l’indennità aggiuntiva di cui all’articolo 40, comma 4. (L)[133]
3. L’accordo di cessione produce gli effetti del decreto di esproprio e non li perde se l’acquirente non corrisponde la somma entro il termine concordato. (L)
4. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del capo X. (L)
Note:
[131] Comma così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. mm), n. 1), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[132] Alinea così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. mm), n. 2), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[133] Lettera così modificata dall’art. 1, comma 1, lett. mm), n. 2), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[134]Lettera così modificata dall’art. 2, comma 89, lett. b), L. 24 dicembre 2007, n. 244, a decorrere dal 1° gennaio 2008; per l’applicazione di tale disposizione, vedi il comma 90 del medesimo art. 2, L. 244/2007.
[135]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Capo X
La retrocessione

Art. 46 (L) La retrocessione totale[136] [137]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Se l’opera pubblica o di pubblica utilità non è stata realizzata o cominciata entro il termine di dieci anni, decorrente dalla data in cui è stato eseguito il decreto di esproprio, ovvero se risulta anche in epoca anteriore l’impossibilità della sua esecuzione, l’espropriato può chiedere che sia accertata la decadenza della dichiarazione di pubblica utilità e che siano disposti la restituzione del bene espropriato e il pagamento di una somma a titolo di indennità. (L)
2. Dal rilascio del provvedimento di autorizzazione paesistica e sino all’inizio dei lavori decorre il termine di validità di cinque anni previsto dall’articolo 16 del regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357, dell’autorizzazione stessa. Qualora i lavori siano iniziati nel quinquennio, l’autorizzazione si considera valida per tutta la durata degli stessi. (L)
Note:
[136] Articolo così sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. nn), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[137]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 47 (L-R) La retrocessione parziale [138]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Quando è stata realizzata l’opera pubblica o di pubblica utilità, l’espropriato può chiedere la restituzione della parte del bene, già di sua proprietà, che non sia stata utilizzata. In tal caso, il soggetto beneficiario della espropriazione, con lettera raccomandata con avviso di ricevimento, trasmessa al proprietario ed al Comune nel cui territorio si trova il bene, indica i beni che non servono all’esecuzione dell’opera pubblica o di pubblica utilità e che possono essere ritrasferiti, nonché il relativo corrispettivo. (L)
2. Entro i tre mesi successivi, l’espropriato invia copia della sua originaria istanza all’autorità che ha emesso il decreto di esproprio e provvede al pagamento della somma, entro i successivi trenta giorni. (R)
3. Se non vi è l’indicazione dei beni, l’espropriato può chiedere all’autorità che ha emesso il decreto di esproprio di determinare la parte del bene espropriato che non serve più per la realizzazione dell’opera pubblica o di pubblica utilità. (L)
Note:
[138]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 48 (L) Disposizioni comuni per la retrocessione totale e per quella parziale [139]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Il corrispettivo della retrocessione, se non è concordato dalle parti, è determinato dall’ufficio tecnico erariale o dalla commissione provinciale prevista dall’articolo 41, su istanza di chi vi abbia interesse, sulla base dei criteri applicati per la determinazione dell’indennità di esproprio e con riguardo al momento del ritrasferimento. (L)
2. Avverso la stima, è proponibile opposizione alla corte d’appello nel cui distretto si trova il bene espropriato. (L)
3. Per le aree comprese nel suo territorio e non utilizzate per realizzare le opere oggetto della dichiarazione di pubblica utilità, il Comune può esercitare il diritto di prelazione, entro il termine di centottanta giorni, decorrente dalla data in cui gli è notificato l’accordo delle parti, contenente con precisione i dati identificativi dell’area e il corrispettivo, ovvero entro il termine di sessanta giorni, decorrente dalla notifica dell’atto che ha determinato il corrispettivo. Le aree così acquisite fanno parte del patrimonio indisponibile. (L)
Note:
[139]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Capo XI
L’occupazione temporanea

Art. 49 (L-R) L’occupazione temporanea di aree non soggette ad esproprio [140]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. L’autorità espropriante può disporre l’occupazione temporanea di aree non soggette al procedimento espropriativo anche individuate ai sensi dell’articolo 12, se ciò risulti necessario per la corretta esecuzione dei lavori previsti. (L)
2. Al proprietario del fondo è notificato, nelle forme degli atti processuali civili, un avviso contenente l’indicazione del luogo, del giorno e dell’ora in cui è prevista l’esecuzione dell’ordinanza che dispone l’occupazione temporanea. (L)
3. Al momento della immissione in possesso, è redatto il verbale sullo stato di consistenza dei luoghi. (L)
4. Il verbale è redatto in contraddittorio con il proprietario o, nel caso di assenza o di rifiuto, con la presenza di almeno due testimoni che non siano dipendenti del soggetto espropriante. Possono partecipare alle operazioni il possessore e i titolari di diritti reali o personali sul bene da occupare. (R)
5. Le disposizioni di cui ai precedenti commi si applicano, in quanto compatibili, nel caso di frane, alluvioni, rottura di argini e in ogni altro caso in cui si utilizzano beni altrui per urgenti ragioni di pubblica utilità. (L)
Note:
[140]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 50 (L-R) Indennità per l’occupazione [141]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Nel caso di occupazione di un’area, è dovuta al proprietario una indennità per ogni anno pari ad un dodicesimo di quanto sarebbe dovuto nel caso di esproprio dell’area e, per ogni mese o frazione di mese, una indennità pari ad un dodicesimo di quella annua. (L)
2. Se manca l’accordo, su istanza di chi vi abbia interesse la commissione provinciale prevista dall’articolo 41 determina l’indennità e ne dà comunicazione al proprietario, con atto notificato con le forme degli atti processuali civili. (R)
3. Contro la determinazione della commissione, è proponibile l’opposizione alla stima. Si applicano le disposizioni dell’articolo 54 in quanto compatibili. (L)
Note:
[141]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Titolo III
DISPOSIZIONI PARTICOLARI

Capo I
L’espropriazione per opere militari e di beni culturali [142]
Art. 51 (L-R) L’espropriazione per opere militari [143]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Il Ministero della difesa dichiara la pubblica utilità delle opere destinate alla difesa militare ed individua i beni da espropriare. (L)
2. L’elenco dei proprietari dei beni da espropriare e delle indennità da corrispondere è trasmesso al Sindaco nel cui territorio essi si trovano. (R)
3. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste dal titolo II. (L)
4. Nulla è innovato in ordine alla disciplina sulle servitù militari. (L)
Note:
[142] Capo inserito dall’art. 1, comma 1, lett. a), D.Lgs. 27 dicembre 2004, n. 330.
[143]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 52 (L) L’espropriazione di beni culturali [144]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Nei casi di espropriazione per fini strumentali e per interesse archeologico, previsti dagli articoli 92, 93 e 94 del testo unico approvato con il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, si applicano in quanto compatibili le disposizioni del presente testo unico. (L)
Note:
[144]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Capo II
Disposizioni in materia di infrastrutture lineari energetiche [145]
Art. 52-bis L’espropriazione per infrastrutture lineari energetiche [146] [147]
In vigore dal 10 dicembre 2023
1. Ai fini del presente decreto si intendono per infrastrutture lineari energetiche i gasdotti, gli elettrodotti, gli oleodotti e le reti di trasporto di fluidi termici, ivi incluse le opere, gli impianti e i servizi accessori connessi o funzionali all’esercizio degli stessi, le condotte necessarie per il trasporto e funzionali per lo stoccaggio di biossido di carbonio, nonché i gasdotti e gli oleodotti necessari per la coltivazione e lo stoccaggio degli idrocarburi.[148]
2. I procedimenti amministrativi relativi alle infrastrutture di cui al comma 1 si ispirano ai principi di economicità, di efficacia, di efficienza, di pubblicità, di razionalizzazione, unificazione e semplificazione.
3. Sono fatte salve le disposizioni dell’articolo 19 del regio decreto-legge 2 novembre 1933, n. 1741, convertito dalla legge 8 febbraio 1934, n. 367, dell’articolo 31, quarto comma, della legge 21 luglio 1967, n. 613, dell’articolo 31 del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, dell’articolo 1, commi 77 e 82, della legge 23 agosto 2004, n. 239. Alle infrastrutture lineari energetiche strategiche di preminente interesse nazionale si applicano le disposizioni della legge 21 dicembre 2001, n. 443, e del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, nonché le disposizioni di cui al presente Capo, in quanto compatibili.
4. Le disposizioni di cui al presente Capo si applicano, in quanto compatibili, alla realizzazione delle infrastrutture lineari energetiche, alle opere e agli impianti oggetto dell’autorizzazione unica di cui al decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2002, n. 55.
5. Entro il perimetro della concessione di coltivazione, le opere necessarie per il trasporto e la trasmissione dell’energia sono considerate di pubblica utilità.
6. Ai procedimenti di espropriazione finalizzati alla realizzazione di infrastrutture lineari energetiche si applicano, per quanto non previsto dal presente Capo, le disposizioni del presente testo unico in quanto compatibili.
7. Le disposizioni del presente Capo operano direttamente nei riguardi delle Regioni fino a quando esse non esercitano la propria potestà legislativa in materia.
8. Resta ferma la disciplina prevista dalla normativa vigente in materia di tutela ambientale e di rischi di incidenti rilevanti.
Note:
[145] Capo inserito dall’art. 1, comma 1, lett. b), D.Lgs. 27 dicembre 2004, n. 330.
[146] Articolo inserito dall’art. 1, comma 1, lett. b) e c), D.Lgs. 27 dicembre 2004, n. 330, che ha inserito l’intero Capo II.
[147]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
[148]Comma così modificato dall’art. 7, comma 5, D.L. 9 dicembre 2023, n. 181, convertito, con modificazioni, dalla L. 2 febbraio 2024, n. 11.
Art. 52-ter Procedure di comunicazione, notificazione e pubblicità degli atti del procedimento [149] [150]
In vigore dal 16 febbraio 2005
1. Per le infrastrutture lineari energetiche, qualora il numero dei destinatari sia superiore a cinquanta, ogni comunicazione, notificazione o avviso previsto dal presente testo unico e riguardante l’iter per l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio o la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera è effettuato mediante pubblico avviso da affiggere all’albo pretorio dei Comuni nel cui territorio ricadono gli immobili interessati dalla infrastruttura lineare energetica, nonché su uno o più quotidiani a diffusione nazionale o locale e, ove istituito, sul sito informatico della Regione o Provincia autonoma nel cui territorio ricadono gli immobili interessati dall’opera. L’avviso deve precisare dove e con quali modalità può essere consultato il piano o il progetto. Gli interessati possono formulare entro i successivi trenta giorni osservazioni che vengono valutate dall’autorità espropriante ai fini delle definitive determinazioni.
2. Le comunicazioni o notificazioni non eseguite per irreperibilità o assenza del proprietario sono sostituite da un avviso affisso per almeno venti giorni consecutivi all’albo pretorio dei Comuni interessati dalla infrastruttura lineare energetica e pubblicato su uno o più quotidiani a diffusione nazionale o locale.
Note:
[149] Articolo inserito dall’art. 1, comma 1, lett. b) e c), D.Lgs. 27 dicembre 2004, n. 330, che ha inserito l’intero Capo II.
[150]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 52-quater Disposizioni generali in materia di conformità urbanistica, apposizione del vincolo preordinato all’esproprio e pubblica utilità [151] [152]
In vigore dal 16 febbraio 2005
1. Per le infrastrutture lineari energetiche, l’accertamento della conformità urbanistica delle opere, l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio e la dichiarazione di pubblica utilità, di cui ai capi II e III del titolo II, sono effettuate nell’ambito di un procedimento unico, mediante convocazione di una conferenza dei servizi ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.
2. Fatto salvo quanto disposto dall’articolo 12, comma 1, il procedimento di cui al comma 1 può essere avviato anche sulla base di un progetto preliminare, comunque denominato, integrato da un adeguato elaborato cartografico che individui le aree potenzialmente interessate dal vincolo preordinato all’esproprio, le eventuali fasce di rispetto e le necessarie misure di salvaguardia, nonché da una relazione che indichi le motivazioni per le quali si rende necessario avviare il procedimento di cui al comma 1 sulla base di tale progetto.
3. Il provvedimento, emanato a conclusione del procedimento di cui al comma 1 e al quale partecipano anche i soggetti preposti ad esprimersi in relazione ad eventuali interferenze con altre infrastrutture esistenti, comprende la valutazione di impatto ambientale, ove prevista dalla normativa vigente, ovvero la valutazione di incidenza naturalistico-ambientale di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e sostituisce, anche ai fini urbanistici ed edilizi, fatti salvi gli adempimenti previsti dalle norme di sicurezza vigenti, ogni altra autorizzazione, concessione, approvazione, parere e nulla osta comunque denominati necessari alla realizzazione e all’esercizio delle infrastrutture energetiche e costituisce variazione degli strumenti urbanistici vigenti. Il provvedimento finale comprende anche l’approvazione del progetto definitivo, con le indicazioni di cui all’articolo 16, comma 2, e determina l’inizio del procedimento di esproprio di cui al Capo IV del titolo II.
4. Qualora la dichiarazione di pubblica utilità consegua ad un procedimento specificatamente instaurato per tale fine con atto propulsivo del beneficiario o promotore dell’espropriazione, il termine entro il quale deve concludersi il relativo procedimento è di sei mesi dal ricevimento dell’istanza.
5. Sono escluse dalla procedura di apposizione del vincolo preordinato all’esproprio le aree interessate dalla realizzazione di linee elettriche per le quali il promotore dell’espropriazione non richieda la dichiarazione di inamovibilità.
6. Le varianti derivanti dalle prescrizioni della conferenza dei servizi di cui al comma 1, nonché le successive varianti in corso d’opera, qualora queste ultime non comportino variazioni di tracciato al di fuori delle zone di rispetto previste per ciascun tipo di infrastruttura lineare energetica dalle norme vigenti, sono approvate dall’autorità espropriante e non richiedono nuova apposizione del vincolo preordinato all’esproprio.
7. Della conclusione del procedimento di cui al comma 1 è data notizia agli interessati secondo le disposizioni di cui all’articolo 17, comma 2.
Note:
[151] Articolo inserito dall’art. 1, comma 1, lett. b) e c), D.Lgs. 27 dicembre 2004, n. 330, che ha inserito l’intero Capo II.
[152]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 52-quinquies Disposizioni particolari per le infrastrutture lineari energetiche facenti parte delle reti energetiche nazionali [153] [154]
In vigore dal 28 luglio 2023
1. Alle infrastrutture lineari energetiche facenti parte della rete nazionale di trasmissione dell’energia elettrica, individuate nel piano di sviluppo della rete elettrica di cui all’articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, ed all’articolo 1-ter, comma 2, del decreto-legge 29 agosto 2003, n. 239, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 ottobre 2003, n. 290, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 1-sexies del citato decreto-legge 29 agosto 2003, n. 239, come modificate dall’articolo 1, comma 26, della legge 23 agosto 2004, n. 239, nonché le disposizioni di cui al comma 6 e all’articolo 52-quater, comma 6.
2. Per le infrastrutture lineari energetiche, individuate dall’Autorità competente come appartenenti alla rete nazionale dei gasdotti di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, per i gasdotti di approvvigionamento di gas dall’estero, incluse le operazioni preparatorie necessarie alla redazione dei progetti e le relative opere connesse, e per gli oleodotti facenti parte delle reti nazionali di trasporto, l’autorizzazione alla costruzione ed all’esercizio delle stesse, rilasciata dalla stessa amministrazione, comprende la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, la valutazione di impatto ambientale, ove prevista dalla normativa vigente, ovvero la valutazione di incidenza naturalistico-ambientale di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio dei beni in essa compresi e la variazione degli strumenti urbanistici e dei piani di gestione e tutela del territorio comunque denominati. L’autorizzazione inoltre sostituisce, anche ai fini urbanistici ed edilizi nonché paesaggistici, ogni altra autorizzazione, concessione, approvazione, parere, atto di assenso e nulla osta comunque denominati, previsti dalle norme vigenti, costituendo titolo a costruire e ad esercire tutte le opere e tutte le attività previste nel progetto approvato, fatti salvi gli adempimenti previsti dalle norme di sicurezza vigenti. Per il rilascio dell’autorizzazione, ai fini della verifica della conformità urbanistica dell’opera, è fatto obbligo di richiedere il parere motivato degli enti locali nel cui territorio ricadano le opere da realizzare. Il rilascio del parere non può incidere sul rispetto del termine entro il quale è prevista la conclusione del procedimento. I soggetti titolari o gestori di beni demaniali, di aree demaniali marittime e lacuali, fiumi, torrenti, canali, miniere e foreste demaniali, strade pubbliche, aeroporti, ferrovie, funicolari, teleferiche, e impianti similari, linee di telecomunicazione di pubblico servizio, linee elettriche, che siano interessati dal passaggio di gasdotti della rete nazionale di trasporto o da gasdotti di importazione di gas dall’estero, partecipano al procedimento di autorizzazione alla costruzione e in tale ambito sono tenuti ad indicare le modalità di attraversamento degli impianti ed aree interferenti. Qualora tali modalità non siano indicate entro i termini di conclusione del procedimento, il soggetto richiedente l’autorizzazione alla costruzione dei gasdotti entro i successivi trenta giorni propone direttamente ai soggetti sopra indicati le modalità di attraversamento, che, trascorsi ulteriori trenta giorni senza osservazioni, si intendono comunque assentite definitivamente e approvate con il decreto di autorizzazione alla costruzione. Il procedimento si conclude, in ogni caso, entro il termine di nove mesi dalla data di presentazione della richiesta, o di sei mesi dalla stessa data ove non sia prescritta la procedura di valutazione di impatto ambientale. Il provvedimento finale comprende anche l’approvazione del progetto definitivo e determina l’inizio del procedimento di esproprio di cui al Capo IV del titolo II. [155]
2.1. Fermo restando quanto previsto all’articolo 6, comma 9-bis, ai fini della realizzazione delle infrastrutture lineari energetiche di cui al comma 2 del presente articolo, l’autorità espropriante, nei casi in cui l’avvio dei lavori rivesta carattere di urgenza ovvero qualora sussistano particolari ragioni di natura tecnica ovvero operativa, può delegare, in tutto o in parte, al soggetto proponente l’esercizio dei poteri espropriativi, determinando con chiarezza l’ambito della delega nell’atto di affidamento, i cui estremi devono essere specificati in ogni atto del procedimento di espropriazione. A tale scopo, i soggetti cui sono delegati i poteri espropriativi possono avvalersi delle società controllate nonché di società di servizi ai fini delle attività preparatorie.[158]
2-bis. Nel caso in cui, per le infrastrutture energetiche lineari, venga determinato, nell’ambito della procedura di VIA, che debba svolgersi anche la verifica preventiva dell’interesse archeologico disciplinata dall’articolo 25 del Codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016 n. 50, il proponente presenta il piano per l’espletamento delle operazioni di cui alle lettere a), b) e c) del comma 8 del medesimo articolo 25 del decreto legislativo n. 50 del 2016; tale verifica preventiva è realizzata a integrazione della progettazione preliminare e viene completata con la redazione della relazione archeologica definitiva di cui al citato articolo 25, comma 9; ai sensi del comma 9 dell’articolo 25 del decreto legislativo n. 50 del 2016, la procedura si conclude con l’approvazione del soprintendente di settore territorialmente competente entro un termine non superiore a sessanta giorni dalla data in cui il soggetto proponente ha comunicato gli esiti delle attività svolte in attuazione del piano. [157]
2-ter. Fermi restando i vincoli di esercizio e il rispetto della normativa ambientale e paesaggistica, sono sottoposti al regime di denuncia di inizio attività i rifacimenti di metanodotti esistenti, necessari per ragioni di obsolescenza, che siano effettuati sul medesimo tracciato, nonché le relative dismissioni dei tratti esistenti. [157]
3. Qualora l’avvio dei lavori rivesta carattere di urgenza, oltre ai casi previsti dagli articoli 22, comma 2, e 22-bis, comma 2, il decreto di esproprio o di occupazione anticipata può altresì essere emanato ed eseguito, in base alla determinazione urgente delle indennità di espropriazione, senza particolari indagini o formalità, con le modalità di cui all’articolo 52-nonies, per le infrastrutture lineari energetiche, dichiarate di pubblica utilità. Gli stessi decreti sono emanati nel termine di sessanta giorni dalla data di ricevimento dell’istanza del beneficiario dell’espropriazione.
4. L’autorizzazione di cui al comma 2 indica le prescrizioni e gli obblighi di informativa posti a carico del soggetto proponente per garantire il coordinamento e la salvaguardia del sistema energetico nazionale e la tutela ambientale e dei beni culturali, nonché il termine entro il quale l’infrastruttura lineare energetica è realizzata.
5. Per le infrastrutture lineari energetiche di cui al comma 2, l’atto conclusivo del procedimento di cui al comma 2 è adottato d’intesa con le Regioni interessate, previa acquisizione del parere degli enti locali ove ricadono le infrastrutture, da rendere entro trenta giorni dalla richiesta, decorsi i quali il parere si intende acquisito. [156]
6. In caso di mancata definizione dell’intesa con la Regione o le Regioni interessate nel termine prescritto per il rilascio dell’autorizzazione, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione, si provvede, entro i successivi sei mesi, a mezzo di un collegio tecnico costituito d’intesa tra il Ministro delle attività produttive e la Regione interessata, ad una nuova valutazione dell’opera e dell’eventuale proposta alternativa formulata dalla Regione dissenziente. Ove permanga il dissenso, l’opera è autorizzata nei successivi novanta giorni, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, integrato con il Presidente della Regione interessata, su proposta del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro competente, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
7. Alle infrastrutture lineari energetiche di cui al comma 2 si applicano le disposizioni dell’articolo 52-quater, commi 2, 4 e 6.
Note:
[153] Articolo inserito dall’art. 1, comma 1, lett. b) e c), D.Lgs. 27 dicembre 2004, n. 330, che ha inserito l’intero Capo II.
[154]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
[155]Comma così modificato dall’art. 37, comma 2, lett. a), b) e c), D.L. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 novembre 2014, n. 164.
[156]Comma così modificato dall’art. 37, comma 2, lett. c-bis), D.L. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 novembre 2014, n. 164.
[157]Comma inserito dall’art. 60, comma 4, lett. c), D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 settembre 2020, n. 120.
[158]Comma inserito dall’art. 3-sexies, comma 3, lett. b), D.L. 29 maggio 2023, n. 57, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 luglio 2023, n. 95.
Art. 52-sexies Disposizioni particolari per le infrastrutture lineari energetiche non facenti parte delle reti energetiche nazionali [159] [160]
In vigore dal 16 febbraio 2005
1. Fatto salvo quanto disposto dall’articolo 5, comma 3, il provvedimento di cui all’articolo 52-quater relativo a infrastrutture lineari energetiche non facenti parte delle reti energetiche nazionali è adottato dalla Regione competente o dal soggetto da essa delegato, entro i termini stabiliti dalle leggi regionali.
2. Le funzioni amministrative in materia di espropriazione di infrastrutture lineari energetiche che, per dimensioni o per estensione, hanno rilevanza o interesse esclusivamente locale sono esercitate dal comune.
3. Nel caso di inerzia del comune o del soggetto procedente delegato dalla Regione, protrattasi per oltre sessanta giorni dalla richiesta di avvio del procedimento, la Regione può esercitare nelle forme previste dall’ordinamento regionale e nel rispetto dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione, il potere sostitutivo.
Note:
[159] Articolo inserito dall’art. 1, comma 1, lett. b) e c), D.Lgs. 27 dicembre 2004, n. 330, che ha inserito l’intero Capo II.
[160]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 52-septies Disposizioni sulla redazione del progetto [161] [162]
In vigore dal 16 febbraio 2005
1. Fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 110 del regio decreto-legge 11 dicembre 1933, n. 1775, convertito dalla legge 8 febbraio 1934, n. 367, qualora il numero dei soggetti interessati sia superiore a venti, per lo svolgimento delle operazioni planimetriche e delle altre operazioni preparatorie necessarie per la redazione del progetto di infrastrutture lineari energetiche, i tecnici incaricati, anche privati, possono introdursi nei fondi previa pubblicazione, per venti giorni all’albo pretorio dei Comuni interessati, dell’autorizzazione rilasciata dalla Prefettura che deve contenere i nomi delle persone che possono introdursi nell’altrui proprietà. Tale pubblicazione all’albo pretorio sostituisce a tutti gli effetti le comunicazioni o notificazioni previste all’articolo 15, commi 2 e 3.
Note:
[161] Articolo inserito dall’art. 1, comma 1, lett. b) e c), D.Lgs. 27 dicembre 2004, n. 330, che ha inserito l’intero Capo II.
[162]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 52-octies Decreto di imposizione di servitù [163] [164]
In vigore dal 16 febbraio 2005
1. Il decreto di imposizione di servitù relativo alle infrastrutture lineari energetiche, oltre ai contenuti previsti dall’articolo 23, dispone l’occupazione temporanea delle aree necessarie alla realizzazione delle opere e la costituzione del diritto di servitù, indica l’ammontare delle relative indennità, e ha esecuzione secondo le disposizioni dell’articolo 24.
Note:
[163] Articolo inserito dall’art. 1, comma 1, lett. b) e c), D.Lgs. 27 dicembre 2004, n. 330, che ha inserito l’intero Capo II.
[164]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 52-nonies Determinazione dell’indennità di espropriazione [165] [166]
In vigore dal 16 febbraio 2005
1. Per le infrastrutture lineari energetiche, l’autorità espropriante per la determinazione dell’indennità provvisoria o definitiva di cui agli articoli 20 e 21, può avvalersi dei soggetti di cui all’articolo 20, comma 3, ovvero di propri uffici tecnici.
Note:
[165] Articolo inserito dall’art. 1, comma 1, lett. b) e c), D.Lgs. 27 dicembre 2004, n. 330, che ha inserito l’intero Capo II.
[166]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Titolo IV
DISPOSIZIONI SULLA TUTELA GIURISDIZIONALE[167]

Art. 53 (L) Disposizioni processuali[168] [169]
In vigore dal 16 settembre 2010
1. La tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo è disciplinata dal codice del processo amministrativo (L).
2. Resta ferma la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa (L).
Note:
[167] Rubrica così corretta da Comunicato 14 settembre 2001, pubblicato nella G.U. 14 settembre 2001, n. 214.
[168]Articolo corretto da Comunicato 14 settembre 2001, pubblicato nella G.U. 14 settembre 2001, n. 214 e, successivamente, così sostituito dall’art. 3, comma 10, dell’Allegato 4 al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, a decorrere dal 16 settembre 2010, ai sensi di quanto disposto dall’art. 2, comma 1, del medesimo D.Lgs. 104/2010.
[169]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 54 (L) Opposizioni alla stima [172]
In vigore dal 6 ottobre 2011
1. Decorsi trenta giorni dalla comunicazione prevista dall’articolo 27, comma 2, il proprietario espropriato, il promotore dell’espropriazione o il terzo che ne abbia interesse può impugnare innanzi all’autorità giudiziaria gli atti dei procedimenti di nomina dei periti e di determinazione dell’indennità, la stima fatta dai tecnici, la liquidazione delle spese di stima e comunque può chiedere la determinazione giudiziale dell’indennità. Le controversie di cui al presente comma sono disciplinate dall’articolo 29 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150. (L)[170]
[ 2. L’opposizione di cui al comma 1 va proposta, a pena di decadenza, entro il termine di trenta giorni, decorrente dalla notifica del decreto di esproprio o dalla notifica della stima peritale, se quest’ultima sia successiva al decreto di esproprio. (L)[171] ]
[ 3. L’opposizione alla stima è proposta con atto di citazione notificato all’autorità espropriante, al promotore dell’espropriazione e, se del caso, al beneficiario dell’espropriazione, se attore è il proprietario del bene, ovvero notificato all’autorità espropriante e al proprietario del bene, se attore è il promotore dell’espropriazione. (L)[171] ]
[ 4. L’atto di citazione va notificato anche al concessionario dell’opera pubblica, se a questi sia stato affidato il pagamento dell’indennità. (L)[171] ]
5. Trascorso il termine per la proposizione dell’opposizione alla stima, l’indennità è fissata definitivamente nella somma risultante dalla perizia. (L)
Note:
[170]Comma modificato dall’art. 1, comma 1, lett. oo), n. 1), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302 e, successivamente, così sostituito dall’art. 34, comma 37, lett. a), D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150; per l’applicazione di tale ultima disposizione, vedi l’art. 36 del medesimo D.Lgs. 150/2011.
[171]Comma abrogato dall’art. 34, comma 37, lett. b), D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150; per l’applicazione di tale disposizione, vedi l’art. 36 del medesimo D.Lgs. 150/2011.
[172]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Titolo V
NORME FINALI E TRANSITORIE

Art. 55 (L) Occupazioni senza titolo, anteriori al 30 settembre 1996 [174]
In vigore dal 1 gennaio 2008
1. Nel caso di utilizzazione di un suolo edificabile per scopi di pubblica utilità, in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio alla data del 30 settembre 1996, il risarcimento del danno è liquidato in misura pari al valore venale del bene (L).[173]
2. Il comma 1 si applica anche ai giudizi pendenti alla data del 1° gennaio 1997. (L)
Note:
[173] Comma modificato dall’art. 1, comma 1, lett. pp), n. 1), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302 e, successivamente, così sostituito dall’art. 2, comma 89, lett. e), L. 24 dicembre 2007, n. 244, a decorrere dal 1° gennaio 2008.
[174]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 56 (L) Disposizioni sulla determinazione dell’indennità di espropriazione [175]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Il soggetto già espropriato alla data dell’entrata in vigore della legge 8 agosto 1992, n. 359, può accettare l’indennità provvisoria con esclusione della riduzione del quaranta per cento, di cui all’articolo 37, se alla stessa data risultava ancora contestabile la determinazione dell’indennità di esproprio. (L)
Note:
[175]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 57 (L) Ambito di applicazione della normativa sui procedimenti in corso[176] [178]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Le disposizioni del presente testo unico non si applicano ai progetti per i quali, alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza. In tal caso continuano ad applicarsi tutte le normative vigenti a tale data. (L)[177]
2. Restano in vigore le disposizioni regionali che attribuiscono ad autorità diverse dal presidente della Regione la competenza ad adottare atti del procedimento espropriativo. (L)
Note:
[176] Rubrica così modificata dall’art. 1, comma 1, lett. qq), n. 1), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[177] Comma così sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. qq), n. 2), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[178]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 57-bis (Applicazione della normativa ai procedimenti in corso relativi alle infrastrutture lineari energetiche). [179] [180]
In vigore dal 16 febbraio 2005
1. Per le infrastrutture lineari energetiche per le quali, alla data del 31 dicembre 2004, sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità ovvero siano decorsi i termini previsti per la formulazione delle osservazioni da parte dei soggetti interessati a seguito degli avvisi di cui alle norme vigenti, non si applicano le disposizioni del presente testo unico a meno che il beneficiario dell’espropriazione o il proponente dell’opera infrastrutturale lineare energetica, abbia optato espressamente per l’applicazione del presente testo unico ai procedimenti in corso relativamente alle fasi procedimentali non ancora concluse.
Note:
[179] Articolo inserito dall’art. 1, comma 1, lett. d), D.Lgs. 27 dicembre 2004, n. 330.
[180]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 58 (L) Abrogazione di norme [192]
In vigore dal 16 febbraio 2005
1. Con l’entrata in vigore del presente testo unico, sono o restano abrogati, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 57, comma 1 e dall’articolo 57-bis:[181]
1) la legge 25 giugno 1865, n. 2359, e successive modificazioni ed integrazioni;
2) la legge 18 dicembre 1879, n. 5188;
3) la legge 15 gennaio 1885, n. 2892;
4) il regio decreto 12 marzo 1885, n. 3003;
5) il regio decreto 12 marzo 1885, n. 3004;
6) l’articolo 8 della legge 14 luglio 1887, n. 4730;
7) il regio decreto 3 gennaio 1889, n. 5902;
8) l’articolo 4 della legge 20 luglio 1890, n. 6980;
9) l’articolo 37 della legge 2 agosto 1897, n. 382;
10) la legge 7 luglio 1902, n. 290;
11) l’articolo 4 della legge 7 luglio 1902, n. 306;
12) l’articolo 47 della legge 31 marzo 1904, n. 140;
13) il regio decreto 14 gennaio 1904, n. 27;
14) l’articolo 2 della legge 30 giugno 1904, n. 293;
15) gli articoli 4 e 18 della legge 8 luglio 1904, n. 351;
16) l’articolo 31 della legge 25 giugno 1906, n. 255;
17) l’articolo 54 della legge 19 luglio 1906, n. 390;
18) la legge 7 luglio 1907, n. 417;
19) gli articoli 76 e 77 della legge 7 luglio 1907, n. 429, come modificati dalla legge 7 aprile 1921, n. 368, e dall’articolo 1 del regio decreto 24 settembre 1923, n. 2119;
20) gli articoli 5 e 18 della legge 11 luglio 1907, n. 502;
21) l’articolo 58 della legge 10 novembre 1907, n. 844;
22) l’articolo 20 della legge 27 febbraio 1908, n. 89;
23) gli articoli 2 e 4 della legge 6 aprile 1908, n. 116;
24) la legge 5 luglio 1908, n. 351, modificata dall’articolo 8 della legge 12 marzo 1911, n. 258;
25) la legge 5 luglio 1908, n. 378;
26) gli articoli 18, 22, 46 e 64 della legge 9 luglio 1908, n. 445;
27) gli articoli 3 e 4 della legge 12 gennaio 1909, n. 12;
28) l’articolo 3 del decreto-legge 25 aprile 1909, n. 217;
29) l’articolo 3 del decreto-legge 6 maggio 1909, n. 264;
30) il decreto-legge 15 luglio 1909, n. 542;
31) gli articoli 4 e 12 delle leggi 30 giugno 1909, n. 407;
32) l’articolo 2 della legge 17 luglio 1910, n. 578;
33) l’articolo 19 della legge 13 aprile 1911, n. 311;
34) l’articolo 28 della legge 4 giugno 1911, n. 487;
35) l’articolo 8 della legge 15 luglio 1911, n. 575;
36) l’articolo 3 della legge 30 giugno 1912, n. 798;
37) la legge 12 luglio 1912, n. 783;
38) la legge 16 giugno 1912, n. 619;
39) la legge 23 giugno 1912, n. 621;
40) la legge 30 giugno 1912, n. 746;
41) la legge 12 luglio 1912, n. 866;
42) la legge 21 luglio 1912, n. 902;
43) la legge 25 maggio 1913, n. 553;
44) la legge 26 giugno 1913, n. 776;
45) la legge 26 giugno 1913, n. 807;
46) la legge 5 giugno 1913, n. 525;
47) il regio decreto 25 febbraio 1915, n. 205;
48) l’articolo 3 del regio decreto-legge 29 aprile 1915, n. 582;
49) gli articoli da 173 a 185 del testo unico approvato col regio decreto 19 agosto 1917, n. 1399, come modificati dall’articolo 2 del decreto-legge 3 novembre 1918, n. 1857, dall’articolo 1 del decreto-legge 31 dicembre 1923, n. 3146, dall’articolo 27 del decreto-legge 9 marzo 1924, n. 494, dall’articolo 2, lettere a) e c), della legge 24 dicembre 1928, n. 3193, dall’articolo 1 del decreto-legge 21 dicembre 1933, n. 1919, dalla legge 11 dicembre 1952, n. 2467;
50) il decreto luogotenenziale 27 febbraio 1919, n. 219, convertito nella legge 24 agosto 1921, n. 1290;
51) gli articoli 30, secondo comma, 32, 33, 34 e 39 del regio decreto 8 febbraio 1923, n. 422;
52) il regio decreto 11 marzo 1923, n. 691;
53) gli articoli 39 e 48 del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3267;
54) la legge 3 aprile 1926, n. 686;
55) l’articolo 109 del regio decreto 5 febbraio 1928, n. 577;
56) l’articolo 4 del regio decreto-legge 8 luglio 1931, n. 981;
57) l’articolo 5 della legge 23 marzo 1932, n. 355;
58) l’articolo 2, secondo comma, della legge 20 dicembre 1932, n. 1849, come sostituito dalla legge 8 marzo 1968, n. 180;
59) il testo unico delle disposizioni sulle acque e sugli impianti elettrici, approvato col regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, limitatamente agli articoli 29, 33, 34 e 123 ed alle altre norme riguardanti l’espropriazione;
60) l’articolo 46, quarto comma, del testo unico approvato col regio decreto 28 aprile 1938, n. 1165;
61) l’articolo 1 del regio decreto-legge 2 febbraio 1939, n. 302, convertito nella legge 2 giugno 1939, n. 739, come modificato dalla legge 2 aprile 1968, n. 426, limitatamente alle norme riguardanti l’espropriazione;[182]
62) gli articoli 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 limitatamente alle norme riguardanti l’espropriazione;[183]
63) l’articolo 7 del decreto legislativo 1° marzo 1945, n. 154;
64) l’articolo 71 del decreto legislativo 10 aprile 1947, n. 261;
65) l’articolo 4 del decreto legislativo 14 dicembre 1947, n. 1598;
66) gli articoli 2 e 5 del decreto legislativo 11 marzo 1948, n. 409;
67) l’articolo 3 del decreto legislativo 17 aprile 1948, n. 740;
68) gli articoli 1 e 7 della legge 9 dicembre 1948, n. 1482[184] ;
69) l’articolo 23 della legge 28 febbraio 1949, n. 43;
70) l’articolo 21, secondo comma, della legge 2 luglio 1949, n. 408;
71) l’articolo 4, comma 1, della legge 5 aprile 1950, n. 225;
72) la legge 12 maggio 1950, n. 230;
73) l’articolo 4 della legge 10 agosto 1950, n. 646;
74) la legge 21 ottobre 1950, n. 841;
75) gli articoli 2 e 3 della legge 13 giugno 1951, n. 528;
76) l’articolo 2 della legge 4 novembre 1951, n. 1295;
77) l’articolo 3 della legge 22 marzo 1952 n. 166;
78) l’articolo 23 della legge 10 febbraio 1953, n. 136;
79) l’articolo 5, secondo comma, della legge 9 febbraio 1954, n. 640;[185]
80) l’articolo 10 della legge 9 agosto 1954, n. 645;
81) l’articolo 4 della legge 10 agosto 1950, n. 646, come modificato dall’articolo 3 della legge 22 marzo 1952, n. 166;
82) l’articolo 8 della legge 21 maggio 1955, n. 463;
83) la legge 4 febbraio 1958, n. 158, come modificata dalla legge 10 ottobre 1969, n. 739;
84) l’articolo 4 della legge 13 giugno 1961, n. 528;
85) l’articolo 11 della legge 24 luglio 1961, n. 729;
86) la legge 1° dicembre 1961, n. 1441;
87) l’articolo 12 della legge 18 aprile 1962, n. 167, come sostituito dalla legge 21 luglio 1965, n. 904;
88) l’articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 25 febbraio 1965, n. 138;
89) l’articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 18 marzo 1965, n. 342;
90) l’articolo 1, comma 2, del decreto-legge 29 marzo 1966, n. 128, come convertito nella legge 26 maggio 1966, n. 311;
91) gli articoli 2, terzo comma, e 3 della legge 23 febbraio 1967, n. 104;
92) l’articolo 14, ultimo comma, della legge 28 luglio 1967, n. 1641;
93) gli articoli 29 e 147 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1967, n. 1523;
94) gli articoli 11 e 13 del decreto-legge 27 febbraio 1968, n. 79, come convertito nella legge 18 marzo 1968, n. 241;
95) la legge 20 marzo 1968, n. 391;
96) l’articolo 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187;
97) l’articolo 20 della legge 5 febbraio 1970, n. 21;
98) l’articolo 64, primo comma, del decreto-legge 26 ottobre 1970, n. 745, come convertito nella legge 18 dicembre 1970, n. 1034;
99) il titolo II della legge 22 ottobre 1971, n. 865;
100) l’articolo 15, secondo comma, della legge 1° giugno 1971, n. 291;
101) l’articolo 1 ter del decreto-legge 28 dicembre 1971, n. 1119, come convertito nella legge 25 febbraio 1972, n. 13;
102) il decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1972, n. 1036;
103) l’articolo 185 del testo unico approvato col decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156;
104) l’articolo 4 del decreto-legge 12 febbraio 1973, n. 8, convertito nella legge 15 aprile 1973, n. 94;
105) l’articolo 4, primo comma del decreto-legge 2 maggio 1974, n. 115, come convertito nella legge 27 giugno 1974, n. 247;
106) l’articolo 21 della legge 26 aprile 1976, n. 178;[186]
107) l’articolo 106 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616;
108) gli articoli 1, 3, 4 e 23, secondo comma, della legge 3 gennaio 1978, n. 1, e successive modificazioni e integrazioni;
109) gli articoli 49 e 135 del testo unico approvato col decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1978, n. 218;
110) l’articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 15 agosto 1978, n. 988:
111) il decreto del Presidente della Repubblica 11 maggio 1979, n. 468;
112) l’articolo 8, ottavo comma, della legge 24 aprile 1980, n. 146;
113) la legge 29 luglio 1980, n. 385;
114) l’articolo 3, quinto comma, del decreto-legge 26 novembre 1980, n. 776, come convertito nella legge 22 dicembre 1980, n. 874;
115) il decreto-legge 8 gennaio 1981, n. 58[187] , convertito nella legge 12 marzo 1981, n. 58;
116) l’articolo 80 del decreto-legge 18 marzo 1981, n. 75[188] , come convertito nella legge 14 maggio 1981, n. 219, come recepito nell’articolo 37 del testo unico approvato col decreto legislativo 30 marzo 1990, n. 76, per la parte riguardante la determinazione dell’indennità di esproprio;
117) il decreto-legge 28 luglio 1981, n. 396, convertito nella legge 28 settembre 1981, n. 535;
118) il decreto-legge 29 maggio 1982, n. 298, convertito nellalegge 29 luglio 1982, n. 481;
119) la legge 29 luglio 1982, n. 481;
120) la legge 23 dicembre 1982, n. 943;
121) il decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 747, convertito nella legge 27 febbraio 1984, n. 18;
122) l’articolo 6, quarto e quinto comma, del decreto-legge 28 febbraio 1984, n. 19, convertito nella legge 18 aprile 1984, n. 80;
123) l’articolo 1, comma 5-bis, del decreto-legge 22 dicembre 1984, n. 901, convertito nella legge 1° marzo 1985, n. 42;
124) l’articolo 5, comma 5, della legge 2 luglio 1985, n. 372[189] ;
125) l’articolo 1, comma 1, numero 3, del decreto-legge 28 febbraio 1986, n. 48, convertito nella legge 18 aprile 1986, n. 119;
126) l’articolo 14 del decreto-legge 29 dicembre 1987, n. 534, convertito nella legge 29 febbraio 1988, n. 47;
127) l’articolo 3, primo comma, della legge 27 ottobre 1988, n. 458;
128) l’articolo 4 della legge 6 agosto 1990, n. 223;
129) gli articoli 7 ed 8 della legge 15 dicembre 1990, n. 396, per la parte riguardante la determinazione dell’indennità di esproprio;
130) la legge 2 maggio 1991, n. 158[190] ;
131) l’articolo 11, comma 9, della legge 30 dicembre 1991, n. 413;
132) la legge 2 maggio 1991, n. 158[190] ;
133) l’articolo 5-bis del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, come convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359;
134) l’articolo 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504;
135) l’articolo 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995, n. 549;
136) l’articolo 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662;
137) l’articolo 32 della legge 3 agosto 1999, n. 265;
138) l’articolo 121 del testo unico approvato col decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;
139) l’articolo 12 della legge 9 ottobre 2000, n. 285;
140) l’articolo 4, comma 2, della legge 9 marzo 2001, n. 59;
140-bis) i commi 1, 2, 3 e 5 dell’articolo 31 della legge 21 luglio 1967, n. 613, l’articolo 8 della legge 26 aprile 1974, n. 170, i commi 1, 2, 3, 5 dell’articolo 16 della legge 9 dicembre 1986, n. 896, i commi 2, 3 e 5 dell’articolo 30 e il comma 2 dell’articolo 32 del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164; [191]
141) tutte le altre norme di legge e di regolamento, riguardanti gli atti ed i procedimenti volti alla dichiarazione di pubblica utilità o di indifferibilità e urgenza, all’esproprio all’occupazione d’urgenza, nonché quelle riguardanti la determinazione dell’indennità di espropriazione o di occupazione d’urgenza.
Note:
[181] Alinea così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. rr), n. 1), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302 e, successivamente, dall’art. 1, comma 1, lett. e), D.Lgs. 27 dicembre 2004, n. 330.
[182] Numero così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. rr), n. 1), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302.
[183] Numero così modificato dall’art. 5, comma 1, L. 1° agosto 2002, n. 166.
[184] NDR: Leggasi L. 29 dicembre 1948, n. 1482.
[185] NDR: Leggasi L. 9 agosto 1954, n. 640.
[186] NDR: Leggasi L. 29 aprile 1976, n. 178.
[187] NDR: Leggasi D.L. 8 gennaio 1981, n. 4.
[188] NDR: Leggasi D.L. 19 marzo 1981, n. 75.
[189] NDR: Leggasi L. 23 luglio 1985, n. 372.
[190] NDR: Leggasi L. 20 maggio 1991, n. 158.
[191] Numero inserito dall’art. 1, comma 1, lett. f), D.Lgs. 27 dicembre 2004, n. 330.
[192]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.
Art. 59 Entrata in vigore del testo unico [194]
In vigore dal 30 giugno 2003
1. Le disposizioni del presente testo unico entrano in vigore a decorrere dal 30 giugno 2003 [193] .
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Note:
[193]Il presente termine, già prorogato al 30 giugno 2002 dall’art. 5, comma 1, D.L. 23 novembre 2001, n. 411, convertito dalla L. 31 dicembre 2001, n. 463; al 31 dicembre 2002 dall’art. 5, comma 3, legge 1° agosto 2002, n. 166; al 30 giugno 2003 dall’art. 3, comma 1, D.L. 20 giugno 2002, n. 122, convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, L. 1° agosto 2002, n. 185, è stato successivamente così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. ss), n. 1), D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302 che ha fissato la data di entrata in vigore del presente provvedimento al 30 giugno 2003.
[194]Per la riduzione dei termini di legge previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 10, comma 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, l’art. 2, comma 2-quinquies, D.L. 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2017, n. 18, come modificato dall’art. 18-bis, comma 1, D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, l’art. 36-ter, comma 11, D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, e, successivamente, l’art. 14, comma 6, D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 aprile 2023, n. 41.


Cass. civ., Sez. III, (data ud. 23/04/2001) 23/04/2001, n. 5963

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Ernesto LUPO – Presidente –

Dott. Vincenzo SALLUZZO – Rel. Consigliere –

Dott. Michele VARRONE – Consigliere –

Dott. Italo PURCARO – Consigliere –

Dott. Giuliano LUCENTINI – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

ATZORI SILVANA, elettivamente domiciliata in ROMA VIA LUCA SIGNORELLI 12, presso lo studio dell’avvocato ABATE ROSARIO, che la difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

RENTMACCHINE SPA, in liquidazione – in persona del liquidatore, legale rappresentante della società, corrente in Bologna, elettivamente domiciliato in ROM VIA GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato OZZOLA MASSIMO, che lo difende unitamente all’avvocato DI MARCO DANIELE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3404/97 della Corte d’Appello di ROMA, emessa il 22/10/1997, depositata il 20/11/97; RG. 3474/1995;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/10/00 dal Consigliere Dott. Vincenzo SALLUZZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Raffaele PALMIERI che ha concluso per preliminarmente inammissibilità del controricorso; nel merito: rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Con istanza rivolta al Presidente del Tribunale di Viterbo la s.p.a. Rentmacchine (già Cimino Leasing spa), assumendo di avere concesso in locazione a Silvana Atzori, con contratto stipulato il 7.11.1989, una macchina lavasecco verso corrispettivo di pagamento, oltre l’anticipo, di 59 canoni mensili dell’importo di L. 569.400 ciascuno, determinando il valore del riscatto in L. 260.000 e pattuendo, per il caso di mora, la corresponsione di interessi al tasso mensile del 3%; che nel contratto era stato convenuto che, in caso di ritardato o mancato pagamento anche di una sola rata, il rapporto si sarebbe risolto di diritto, con obbligo per la locataria di restituire il bene e corrispondere una penale pari ai canoni insoluti, ai relativi interessi, al valore di riscatto e alla metà dei canoni non ancora scaduti; che la Atzori si era resa morosa nel pagamento di numerose rate onde essa società le aveva comunicato che intendeva valersi della clausola risolutiva; chiedeva emettersi contro la stessa ingiunzione per il pagamento del complessivo importo di L. 19.986.714, con interessi moratori dalla risoluzione al saldo.

Accordata, con decreto reso il 22.12.1992, l’invocata ingiunzione, la Atzori, con atto notificato il 29.1.1993, proponeva opposizione e conveniva la spa Rentmacchine dinanzi al Tribunale di Viterbo per sentirne dichiarare la nullità ed inefficacia.

Sosteneva che già con citazione notificata il 2.5.1990 aveva promosso un giudizio dinanzi al Tribunale di Roma al fine di ottenere la risoluzione del contratto per vizi della cosa ed eccepiva quindi la litispendenza e la continenza di cause dietro l’assunto che l’esistenza dello stesso aveva determinato l’incompetenza del Presidente del tribunale di Viterbo ad emanare il provvedimento monitorio.

Negava infine l’esistenza del preteso credito per esserle stata fornita una macchina inidonea all’uso.

La Rentmacchine, costituendosi, contestava la fondatezza dell’opposizione e ne chiedeva il rigetto.

Con sentenza in data 7.5.1995 l’adito Tribunale rigettava l’opposizione e condannava l’opponente alla rifusione delle spese.

Avverso tale decisione proponeva gravame la Atzori al quale resisteva la Rentmacchine.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza in data 22.10-20.11.1997, rigettava l’impugnazione ed onerava l’appellante delle spese del grado.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la Atzori affidandone l’accoglimento ad un solo motivo.

Resiste con controricorso la Rentmacchine.

Motivi della decisione
Va preliminarmente rilevata l’inammissibilità del controricorso per nullità della procura a margine che risulta rilasciata dal liquidatore – legale rappresentante della società intimata del quale, tuttavia, né nella procura medesima, né nell’epigrafe del controricorso vengono indicati il nome ed il cognome, mentre la firma apposta in calce alla procura non è leggibile.

Per costante, pacifica giurisprudenza di questa Suprema Corte, infatti (v. ex plurimis Cass. 23.5.1998 n. 5154, 20.5.1998 n. 5023, 4.10.1995 n. 10427 e 18.5.1995 n. 5455) “nel conferimento della procura alle liti ai sensi dell’art. 83 comma terzo cod. proc. civ.

la certificazione da parte del difensore dell’autografia della sottoscrizione del conferente postula che ne sia accertata l’identità ed esige perciò che ne sia indicato il nome. Pertanto, quando né dall’intestazione del ricorso per cassazione (o del controricorso) proposto da una società o da altro ente collettivo, né nella procura speciale ex art. 365 cod. proc. civ. risulti il nome della persona fisica che l’ha conferita, perché non vi è nominativamente indicata e la firma è illegibile (*), l’incertezza sulla persona del conferente, preclusiva della successiva indagine sulla esistenza in capo a lui dei necessari poteri rappresentativi, rende invalida la procura e inammissibile il ricorso (o il controricorso) a meno che, entro i limiti di cui all’art. 372 cod. proc. civ., e tanto non si è sicuramente verificato nel caso che ci occupa – sia idoneamente documentato, mediante la produzione di atti già esistenti al momento del conferimento, il riferimento della già indicata qualità di legale rappresentante ad una ben individuata persona fisica”.

Tanto non esonera però questa Corte dall’esame della dedotta questione di inammissibilità del ricorso che va verificato d’ufficio prescindendo da qualsiasi eccezione di controparte.

A tale specifico riguardo va affermata l’assoluta irrilevanza della effettuata notifica alla Rentmacchine s.p.a. (vecchia denominazione sociale) anziché alla Rentmacchine srl (nuova ragione sociale della resistente – per come è dato evincere dal prodotto certificato della CCIAA di Bologna) e cioé, almeno apparentemente, a soggetto diverso.

Come questo Supremo Collegio ha infatti già avuto modo di precisare (cfr. ex plurimis Cass. 4.11.1998 n. 1107 e 9 aprile 1987 n. 3481) la trasformazione di una società da uno ad altro dei tipi previsti dalla legge, ancorché dotato di personalità giuridica, non si traduce nell’estinzione di un soggetto e correlativa creazione di altro soggetto, in luogo di quello precedente, ma configura una vicenda meramente evolutiva e modificativa del medesimo soggetto, la quale non incide sui rapporti sostanziali e processuali che ad esso fanno capo.

Quanto al merito del ricorso va osservato che con l’unico mezzo la ricorrente, deducendo “contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.) – violazione dell’art. 39 c.p.c.” si duole che il giudice dell’opposizione non abbia dichiarato la propria incompetenza nel dimostrato presupposto della pendenza tra le parti di causa anteriormente proposta davanti al Tribunale di Roma avente ad oggetto la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno e quindi della sussistenza di una situazione di continenza di tale causa rispetto a quella instaurata con il decreto monitorio.

Il ricorso è fondato.

É pacifico tra le parti, e risulta comunque dall’impugnata sentenza, che con citazione notificata il 2.5.1990 Silvana Atzori, adducendo l’inefficienza della macchina vendutale, ha convenuto in giudizio la srl IGEA, quale fornitrice, e la spa Barclays Cimino Leasing, quale locatrice, al fine di sentir dichiarare la risoluzione del contratto di vendita e la nullità, o la risoluzione, del contratto di locazione, nonché al fine di ottenere la restituzione degli acconti versati ed il risarcimento del danno.

Ed atteso quanto sopra deve riconoscersi l’esistenza tra le due cause – contrariamente all’assunto della corte territoriale – di un rapporto di continenza.

Al riguardo deve premettersi che la nozione di continenza ricomprende quelle situazioni caratterizzate dalla pendenza di cause in cui le questioni dedotte con la domanda anteriormente incardinata, e da risolvere con efficacia di giudicato, costituiscano il necessario presupposto della definizione del giudizio successivo, nel senso cioé della sussistenza tra le due cause di un nesso di pregiudizialità logico – giuridica, come avviene quando le contrapposte domande concernano il riconoscimento e la tutela di diritti che derivino dallo stesso rapporto negoziale ed il loro esito dipenda dalla soluzione di una o più questioni comuni (v. Cass. 95/10676, 95/10594, 94/2803 e 90/3146).

Ne consegue, alla stregua di tale principio, che si deve riconoscere che nella causa proposta anteriormente dalla attuale ricorrente davanti al Tribunale di Roma, avente ad oggetto la risoluzione del contratto di vendita, la nullità o la risoluzione del contratto di locazione ed il risarcimento del danno, si era dedotta una questione la cui soluzione costituiva il necessario antecedente logico – giuridico della causa introdotta successivamente con la richiesta di decreto ingiuntivo da parte della Rentmacchine e con l’opposizione proposta dalla Atzori. E tanto considerato che la decisione sul diritto al pagamento delle rate di leasing, che costituiva l’oggetto della seconda causa, era condizionata dall’esito della prima e cioé dall’accoglimento o dal rigetto della domanda di risoluzione del contratto, in quanto fatto costitutivo del diritto azionato nell’altra.

Infatti, se la continenza di causa non è idonea a spostare la competenza funzionale ed inderogabile del giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo, come questa Corte ha ripetutamente affermato anche a sezioni unite (v. al riguardo Cass. 8.2.92 n. 10985, 26.4.93 n. 4807, 19.6.93 n. 6838, 12.7.93 n. 7684 e 8.10.93 n. 9988) essa tuttavia determina, ai sensi dell’art. 39 comma 2° c.p.c., l’incompetenza del giudice che ha emesso il decreto e la competenza del giudice preventivamente adito, se competente anche per la causa successivamente proposta. E in conseguenza di ciò è il giudice dell’opposizione che in tale caso deve dichiarare l’incompetenza del giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo e la nullità dello stesso (v. in termini Cass. 95/10676, 95/10594, 93/9988, 91/10484 e 90/12083).

Sulla scorta degli esposti principi va quindi pronunciato l’accoglimento del ricorso, cassata senza rinvio l’impugnata sentenza e con decisione nel merito accolta l’opposizione e dichiarata la nullità del decreto ingiuntivo.

Quanto alle spese dell’intero processo sussistono giusti motivi, ai sensi dell’art. 92, comma 2° cod. proc. civ., per disporre la compensazione tra le parti.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa senza rinvio l’impugnata sentenza e pronunciando nel merito accoglie l’opposizione e, dichiara la nullità del decreto ingiuntivo e compensa le spese dell’intero processo.

Cosi deciso in Roma nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione il 30.10.2000.

(*) ndr: così nel testo.

DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 23 APR. 2001.


D.L. n. 165 del 30 marzo 2001 – Amministrazioni pubbliche

DECRETO LEGISLATIVO 30 marzo 2001, n. 165(1).

Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 9 maggio 2001, n. 106, S.O.

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 76 ed 87 della Costituzione.

Vista la legge 23 ottobre 1992, n. 421, ed in particolare l’articolo 2;

Vista la legge 15 marzo 1997, n. 59;

Visto il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni;

Visto l’articolo 1, comma 8, della legge 24 novembre 2000, n. 340:

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri adottata nella seduta del 7 febbraio 2001;

Acquisito il parere dalla Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, espresso in data 8 febbraio 2001;

Acquisito il parere delle competenti Commissioni del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, rispettivamente in data 27 e 28 febbraio 2001;

Viste le deliberazioni del Consiglio dei Ministri, adottate nelle sedute del 21 e 30 marzo 2001;

Su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministero per la funzione pubblica;

Emana il seguente decreto legislativo:

TITOLO I

Principi generali

1.  Finalità ed ambito di applicazione.

(Art. 1 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come modificato dall’art. 1 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Le disposizioni del presente decreto disciplinano l’organizzazione degli uffici e i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, tenuto conto delle autonomie locali e di quelle delle regioni e delle province autonome, nel rispetto dell’articolo 97, comma primo, della Costituzione, al fine di:

a) accrescere l’efficienza delle amministrazioni in relazione a quella dei corrispondenti uffici e servizi dei Paesi dell’Unione europea, anche mediante il coordinato sviluppo di sistemi informativi pubblici;

b) razionalizzare il costo del lavoro pubblico, contenendo la spesa complessiva per il personale, diretta e indiretta, entro i vincoli di finanza pubblica;

c) realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni, assicurando la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti, applicando condizioni uniformi rispetto a quelle del lavoro privato, garantendo pari opportunità alle lavoratrici ed ai lavoratori nonché l’assenza di qualunque forma di discriminazione e di violenza morale o psichica (2).

2. Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (3).

3. Le disposizioni del presente decreto costituiscono princìpi fondamentali ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione. Le Regioni a statuto ordinario si attengono ad esse tenendo conto delle peculiarità dei rispettivi ordinamenti. I princìpi desumibili dall’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, e successive modificazioni, e dall’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni ed integrazioni, costituiscono altresì, per le Regioni a statuto speciale e per le provincie autonome di Trento e di Bolzano, norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica.

(2) Lettera così sostituita dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 21, L. 4 novembre 2010, n. 183.

(3)  Comma così modificato dall’art. 1, L. 15 luglio 2002, n. 145. Vedi, anche, l’art. 9, D.L. 24 dicembre 2002, n. 282, l’art. 1, D.L. 12 luglio 2004, n. 168 e l’art. 67, comma 8, l’art. 71, comma 1, l’art. 72, commi 5 e 11, D.L. 25 giugno 2008, n. 112. Vedi, anche, i commi da 10 a 13 dell’art. 17, D.L. 1° luglio 2009, n. 78. Sull’applicabilità delle disposizioni di cui al presente comma vedi il comma 2-bis dell’art. 18, D.L. 25 giugno 2008, n. 112 aggiunto dal comma 1 dell’art. 19, D.L. 1° luglio 2009, n. 78.

2.  Fonti.

(Art. 2, commi da 1 a 3 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituiti prima dall’art. 2 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e poi dall’art. 2 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo princìpi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; determinano le dotazioni organiche complessive. Esse ispirano la loro organizzazione ai seguenti criteri:

a) funzionalità rispetto ai compiti e ai programmi di attività, nel perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità. A tal fine, periodicamente e comunque all’atto della definizione dei programmi operativi e dell’assegnazione delle risorse, si procede a specifica verifica e ad eventuale revisione;

b) ampia flessibilità, garantendo adeguati margini alle determinazioni operative e gestionali da assumersi ai sensi dell’articolo 5, comma 2;

c) collegamento delle attività degli uffici, adeguandosi al dovere di comunicazione interna ed esterna, ed interconnessione mediante sistemi informatici e statistici pubblici;

d) garanzia dell’imparzialità e della trasparenza dell’azione amministrativa, anche attraverso l’istituzione di apposite strutture per l’informazione ai cittadini e attribuzione ad un unico ufficio, per ciascun procedimento, della responsabilità complessiva dello stesso;

e) armonizzazione degli orari di servizio e di apertura degli uffici con le esigenze dell’utenza e con gli orari delle amministrazioni pubbliche dei Paesi dell’Unione europea.

1-bis. I criteri di organizzazione di cui al presente articolo sono attuati nel rispetto della disciplina in materia di trattamento dei dati personali (4).

2. I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle legge sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo. Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge (5).

3. I rapporti individuali di lavoro di cui al comma 2 sono regolati contrattualmente. I contratti collettivi sono stipulati secondo i criteri e le modalità previste nel titolo III del presente decreto; i contratti individuali devono conformarsi ai princìpi di cui all’articolo 45, comma 2. L’attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi e salvo i casi previsti dai commi 3-ter e 3-quater dell’articolo 40 e le ipotesi di tutela delle retribuzioni di cui all’articolo 47-bis, o, alle condizioni previste, mediante contratti individuali. Le disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti da contratti cessano di avere efficacia a far data dall’entrata in vigore del relativo rinnovo contrattuale. I trattamenti economici più favorevoli in godimento sono riassorbiti con le modalità e nelle misure previste dai contratti collettivi e i risparmi di spesa che ne conseguono incrementano le risorse disponibili per la contrattazione collettiva (6).

3-bis. Nel caso di nullità delle disposizioni contrattuali per violazione di norme imperative o dei limiti fissati alla contrattazione collettiva, si applicano gli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile (7).

(4)  Comma aggiunto dal comma 2 dell’art. 176, D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a decorrere dal 1° gennaio 2004.

(5) Comma così modificato prima dal comma 1 dell’art. 1, L. 4 marzo 2009, n. 15 e poi dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 33, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150. Vedi, anche, il comma 2 del citato articolo 1.

(6) Comma così modificato dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 33, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150. Vedi, anche, la Dir.P.C.M. 1° marzo 2002 e il D.P.R. 14 maggio 2007, n. 99.

(7) Comma aggiunto dalla lettera c) del comma 1 dell’art. 33, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

3.  Personale in regime di diritto pubblico.

(Art. 2, comma 4 e 5 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituiti dall’art. 2 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e successivamente modificati dall’art. 2, comma 2 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. In deroga all’articolo 2, commi 2 e 3, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e le Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall’articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n. 287.

1-bis. In deroga all’articolo 2, commi 2 e 3, il rapporto di impiego del personale, anche di livello dirigenziale, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, esclusi il personale volontario previsto dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 2 novembre 2000, n. 362, e il personale volontario di leva, è disciplinato in regime di diritto pubblico secondo autonome disposizioni ordinamentali (8).

1-ter. In deroga all’articolo 2, commi 2 e 3, il personale della carriera dirigenziale penitenziaria è disciplinato dal rispettivo ordinamento (9).

2. Il rapporto di impiego dei professori e dei ricercatori universitari resta disciplinato dalle disposizioni rispettivamente vigenti, in attesa della specifica disciplina che la regoli in modo organico ed in conformità ai princìpi della autonomia universitaria di cui all’articolo 33 della Costituzione ed agli articoli 6 e seguenti della legge 9 maggio 1989, n. 168, e successive modificazioni ed integrazioni, tenuto conto dei princìpi di cui all’articolo 2, comma 1, della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (10).

(8)  Comma aggiunto dall’art. 1, L. 30 settembre 2004, n. 252.

(9)  Comma aggiunto dall’art. 2, L. 27 luglio 2005, n. 154.

(10)  Vedi, anche, l’art. 2-septies, D.L. 26 aprile 2005, n. 63, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, l’art. 40, comma 2, l’art. 66, comma 11 e l’art. 69, D.L. 25 giugno 2008, n. 112.

4.  Indirizzo politico-amministrativo. Funzioni e responsabilità.

(Art. 3 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall’art. 2 del D.Lgs. n. 470 del 1993 poi dall’art. 3 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall’art. 1 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. Gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti. Ad essi spettano, in particolare:

a) le decisioni in materia di atti normativi e l’adozione dei relativi atti di indirizzo interpretativo ed applicativo;

b) la definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali per l’azione amministrativa e per la gestione;

c) la individuazione delle risorse umane, materiali ed economico-finanziarie da destinare alle diverse finalità e la loro ripartizione tra gli uffici di livello dirigenziale generale;

d) la definizione dei criteri generali in materia di ausili finanziari a terzi e di determinazione di tariffe, canoni e analoghi oneri a carico di terzi;

e) le nomine, designazioni ed atti analoghi ad essi attribuiti da specifiche disposizioni;

f) le richieste di pareri alle autorità amministrative indipendenti ed al Consiglio di Stato;

g) gli altri atti indicati dal presente decreto.

2. Ai dirigenti spetta l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati.

3. Le attribuzioni dei dirigenti indicate dal comma 2 possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative.

4. Le amministrazioni pubbliche i cui organi di vertice non siano direttamente o indirettamente espressione di rappresentanza politica, adeguano i propri ordinamenti al principio della distinzione tra indirizzo e controllo, da un lato, e attuazione e gestione dall’altro. A tali amministrazioni è fatto divieto di istituire uffici di diretta collaborazione, posti alle dirette dipendenze dell’organo di vertice dell’ente (11) (12).

(11) Periodo aggiunto dal comma 632 dell’art. 2, L. 24 dicembre 2007, n. 244.

(12) In deroga a quanto disposto dal presente articolo vedi il comma 2 dell’art. 1, D.L. 23 maggio 2008, n. 90.

5.  Potere di Organizzazione.

(Art. 4 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall’art. 3 del D.Lgs. n. 546 del 1993, successivamente modificato dall’art. 9 del D.Lgs. n. 396 del 1997, e nuovamente sostituito dall’art. 4 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Le amministrazioni pubbliche assumono ogni determinazione organizzativa al fine di assicurare l’attuazione dei princìpi di cui all’articolo 2, comma 1, e la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa.

2. Nell’ambito delle leggi e degli atti organizzativi di cui all’articolo 2, comma 1, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, fatta salva la sola informazione ai sindacati, ove prevista nei contratti di cui all’articolo 9. Rientrano, in particolare, nell’esercizio dei poteri dirigenziali le misure inerenti la gestione delle risorse umane nel rispetto del principio di pari opportunità, nonché la direzione, l’organizzazione del lavoro nell’ambito degli uffici (13).

3. Gli organismi di controllo interno verificano periodicamente la rispondenza delle determinazioni organizzative ai princìpi indicati all’articolo 2, comma 1, anche al fine di proporre l’adozione di eventuali interventi correttivi e di fornire elementi per l’adozione delle misure previste nei confronti dei responsabili della gestione.

3-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle Autorità amministrative indipendenti (14).

(13) Comma così sostituito dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 34, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(14) Comma aggiunto dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 34, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

6.  Organizzazione e disciplina degli uffici e dotazioni organiche.

(Art. 6 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall’art. 4 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e poi dall’art. 5 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall’art. 2 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. Nelle amministrazioni pubbliche l’organizzazione e la disciplina degli uffici, nonché la consistenza e la variazione delle dotazioni organiche sono determinate in funzione delle finalità indicate all’articolo 1, comma 1, previa verifica degli effettivi fabbisogni e previa consultazione delle organizzazioni sindacali rappresentative ai sensi dell’articolo 9. Nell’individuazione delle dotazioni organiche, le amministrazioni non possono determinare, in presenza di vacanze di organico, situazioni di soprannumerarietà di personale, anche temporanea, nell’ambito dei contingenti relativi alle singole posizioni economiche delle aree funzionali e di livello dirigenziale. Ai fini della mobilità collettiva le amministrazioni effettuano annualmente rilevazioni delle eccedenze di personale su base territoriale per categoria o area, qualifica e profilo professionale. Le amministrazioni pubbliche curano l’ottimale distribuzione delle risorse umane attraverso la coordinata attuazione dei processi di mobilità e di reclutamento del personale (15).

2. Per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, si applica l’articolo 17, comma 4-bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400. La distribuzione del personale dei diversi livelli o qualifiche previsti dalla dotazione organica può essere modificata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro competente di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, ove comporti riduzioni di spesa o comunque non incrementi la spesa complessiva riferita al personale effettivamente in servizio al 31 dicembre dell’anno precedente.

3. Per la ridefinizione degli uffici e delle dotazioni organiche si procede periodicamente e comunque a scadenza triennale, nonché ove risulti necessario a seguito di riordino, fusione, trasformazione o trasferimento di funzioni. Ogni amministrazione procede adottando gli atti previsti dal proprio ordinamento.

4. Le variazioni delle dotazioni organiche già determinate sono approvate dall’organo di vertice delle amministrazioni in coerenza con la programmazione triennale del fabbisogno di personale di cui all’articolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni ed integrazioni, e con gli strumenti di programmazione economico-finanziaria pluriennale. Per le amministrazioni dello Stato, la programmazione triennale del fabbisogno di personale è deliberata dal Consiglio dei ministri e le variazioni delle dotazioni organiche sono determinate ai sensi dell’articolo 17, comma 4-bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

4-bis. Il documento di programmazione triennale del fabbisogno di personale ed i suoi aggiornamenti di cui al comma 4 sono elaborati su proposta dei competenti dirigenti che individuano i profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti istituzionali delle strutture cui sono preposti (16).

5. Per la Presidenza del Consiglio dei ministri, per il Ministero degli affari esteri, nonché per le amministrazioni che esercitano competenze istituzionali in materia di difesa e sicurezza dello Stato, di polizia e di giustizia, sono fatte salve le particolari disposizioni dettate dalle normative di settore. L’articolo 5, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, relativamente al personale appartenente alle Forze di polizia ad ordinamento civile, si interpreta nel senso che al predetto personale non si applica l’articolo 16 dello stesso decreto. Restano salve le disposizioni vigenti per la determinazione delle dotazioni organiche del personale degli istituti e scuole di ogni ordine e grado e delle istituzioni educative. Le attribuzioni del Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, relative a tutto il personale tecnico e amministrativo universitario, ivi compresi i dirigenti, sono devolute all’università di appartenenza. Parimenti sono attribuite agli osservatori astronomici, astrofisici e vesuviano tutte le attribuzioni del Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica in materia di personale, ad eccezione di quelle relative al reclutamento del personale di ricerca.

6. Le amministrazioni pubbliche che non provvedono agli adempimenti di cui al presente articolo non possono assumere nuovo personale, compreso quello appartenente alle categorie protette.

(15)  Comma così modificato dall’art. 11, D.L. 10 gennaio 2006, n. 4.

(16) Comma aggiunto dal comma 1 dell’art. 35, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

6-bis.  Misure in materia di organizzazione e razionalizzazione della spesa per il funzionamento delle pubbliche amministrazioni.

1. Le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, nonché gli enti finanziati direttamente o indirettamente a carico del bilancio dello Stato sono autorizzati, nel rispetto dei principi di concorrenza e di trasparenza, ad acquistare sul mercato i servizi, originariamente prodotti al proprio interno, a condizione di ottenere conseguenti economie di gestione e di adottare le necessarie misure in materia di personale e di dotazione organica.

2. Relativamente alla spesa per il personale e alle dotazioni organiche, le amministrazioni interessate dai processi di cui al presente articolo provvedono al congelamento dei posti e alla temporanea riduzione dei fondi della contrattazione, fermi restando i conseguenti processi di riduzione e di rideterminazione delle dotazioni organiche nel rispetto dell’articolo 6 nonché i conseguenti processi di riallocazione e di mobilità del personale.

3. I collegi dei revisori dei conti e gli organi di controllo interno delle amministrazioni che attivano i processi di cui al comma 1 vigilano sull’applicazione del presente articolo, dando evidenza, nei propri verbali, dei risparmi derivanti dall’adozione dei provvedimenti in materia di organizzazione e di personale, anche ai fini della valutazione del personale con incarico dirigenziale di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286 (17).

(17) Articolo aggiunto dal comma 1 dell’art. 22, L. 18 giugno 2009, n. 69.

7.  Gestione delle risorse umane.

(Art. 7 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall’art. 5 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e poi modificato dall’art. 3 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. Le pubbliche amministrazioni garantiscono parità e pari opportunità tra uomini e donne e l’assenza di ogni forma di discriminazione, diretta e indiretta, relativa al genere, all’età, all’orientamento sessuale, alla razza, all’origine etnica, alla disabilità, alla religione o alla lingua, nell’accesso al lavoro, nel trattamento e nelle condizioni di lavoro, nella formazione professionale, nelle promozioni e nella sicurezza sul lavoro. Le pubbliche amministrazioni garantiscono altresì un ambiente di lavoro improntato al benessere organizzativo e si impegnano a rilevare, contrastare ed eliminare ogni forma di violenza morale o psichica al proprio interno (18).

2. Le amministrazioni pubbliche garantiscono la libertà di insegnamento e l’autonomia professionale nello svolgimento dell’attività didattica, scientifica e di ricerca.

3. Le amministrazioni pubbliche individuano criteri certi di priorità nell’impiego flessibile del personale, purché compatibile con l’organizzazione degli uffici e del lavoro, a favore dei dipendenti in situazioni di svantaggio personale, sociale e familiare e dei dipendenti impegnati in attività di volontariato ai sensi della legge 11 agosto 1991, n. 266.

4. Le amministrazioni pubbliche curano la formazione e l’aggiornamento del personale, ivi compreso quello con qualifiche dirigenziali, garantendo altresì l’adeguamento dei programmi formativi, al fine di contribuire allo sviluppo della cultura di genere della pubblica amministrazione.

5. Le amministrazioni pubbliche non possono erogare trattamenti economici accessori che non corrispondano alle prestazioni effettivamente rese.

6. Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità:

a) l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell’amministrazione conferente;

b) l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;

c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;

d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti di collaborazione di natura occasionale o coordinata e continuativa per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell’arte, dello spettacolo, dei mestieri artigianali o dell’attività informatica nonché a supporto dell’attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro di cui al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, purché senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore.

Il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l’utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti. Il secondo periodo dell’articolo 1, comma 9, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191, è soppresso (19). Si applicano le disposizioni previste dall’articolo 36, comma 3, del presente decreto (20).

6-bis. Le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione (21).

6-ter. I regolamenti di cui all’articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, si adeguano ai principi di cui al comma 6 (22).

6-quater. Le disposizioni di cui ai commi 6, 6-bis e 6-ter non si applicano ai componenti degli organismi di controllo interno e dei nuclei di valutazione, nonché degli organismi operanti per le finalità di cui all’articolo 1, comma 5, della legge 17 maggio 1999, n. 144 (23) (24).

(18) Comma così sostituito dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 21, L. 4 novembre 2010, n. 183.

(19) L’originario comma 6 era stato sostituito con i commi 6, 6-bis e 6-ter dall’art. 13, D.L. 10 gennaio 2006, n. 4, soppresso dalla relativa legge di conversione. Successivamente l’art. 32, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, come modificato dalla relativa legge di conversione, ha nuovamente disposto la sostituzione del citato comma 6 con gli attuali commi 6, 6-bis e 6-ter. Infine, il citato comma 6 è stato ulteriormente modificato dal comma 76 dell’art. 3, L. 24 dicembre 2007, n. 244, sostituito dall’art. 46, comma 1, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, come modificato dalla relativa legge di conversione, e così modificato dal comma 2 dell’art. 22, L. 18 giugno 2009, n. 69 e dall’art. 17, comma 27, D.L. 1° luglio 2009, n. 78. Sui termini di applicabilità delle disposizioni di cui al presente comma vedi il comma 1 dell’art. 35, D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, come sostituito dalla relativa legge di conversione.

(20) Comma così modificato dall’art. 17, comma 26, lett. a), D.L. 1° luglio 2009, n. 78.

(21)  L’originario comma 6 era stato sostituito, con i commi 6, 6-bis e 6-ter dall’art. 13, D.L. 10 gennaio 2006, n. 4, soppresso dalla relativa legge di conversione. Successivamente l’art. 32, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, come modificato dalla relativa legge di conversione, ha, nuovamente disposto la sostituzione del citato comma 6 con gli attuali commi 6, 6-bis e 6-ter. Con Comunicato 28 novembre 2006 (Gazz. Uff. 28 novembre 2006, n. 277) e con Comunicato 11 novembre 2008 (Gazz. Uff. 11 novembre 2008, n. 264) il Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione ha reso noto di aver pubblicato sul proprio sito internet l’avviso concernente l’aggiornamento e la disciplina della procedura comparativa prevista dal presente comma.

(22)  L’originario comma 6 era stato sostituito, con i commi 6, 6-bis e 6-ter dall’art. 13, D.L. 10 gennaio 2006, n. 4, soppresso dalla relativa legge di conversione. Successivamente l’art. 32, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, come modificato dalla relativa legge di conversione, ha, nuovamente disposto la sostituzione del citato comma 6 con gli attuali commi 6, 6-bis e 6-ter.

(23) Comma aggiunto dal comma 77 dell’art. 3, L. 24 dicembre 2007, n. 244.

(24) In deroga a quanto disposto dal presente articolo vedi l’art. 1, O.P.C.M. 10 giugno 2008, n. 3682 e il comma 11 dell’art. 1, D.L. 4 novembre 2009, n. 152.

7-bis.  Formazione del personale.

1. Le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, con esclusione delle università e degli enti di ricerca, nell’àmbito delle attività di gestione delle risorse umane e finanziarie, predispongono annualmente un piano di formazione del personale, compreso quello in posizione di comando o fuori ruolo, tenendo conto dei fabbisogni rilevati, delle competenze necessarie in relazione agli obiettivi, nonché della programmazione delle assunzioni e delle innovazioni normative e tecnologiche. Il piano di formazione indica gli obiettivi e le risorse finanziarie necessarie, nei limiti di quelle, a tale scopo, disponibili, prevedendo l’impiego delle risorse interne, di quelle statali e comunitarie, nonché le metodologie formative da adottare in riferimento ai diversi destinatari.

2. Le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, nonché gli enti pubblici non economici, predispongono entro il 30 gennaio di ogni anno il piano di formazione del personale e lo trasmettono, a fini informativi, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero dell’economia e delle finanze. Decorso tale termine e, comunque, non oltre il 30 settembre, ulteriori interventi in materia di formazione del personale, dettati da esigenze sopravvenute o straordinarie, devono essere specificamente comunicati alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero dell’economia e delle finanze indicando gli obiettivi e le risorse utilizzabili, interne, statali o comunitarie. Ai predetti interventi formativi si dà corso qualora, entro un mese dalla comunicazione, non intervenga il diniego della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze. Il Dipartimento della funzione pubblica assicura il raccordo con il Dipartimento per l’innovazione e le tecnologie relativamente agli interventi di formazione connessi all’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (25).

(25)  Articolo aggiunto dall’art. 4, L. 16 gennaio 2003, n. 3. Vedi, anche, la Dir.Min. 6 agosto 2004 e l’art. 13, D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82.

8.  Costo del lavoro, risorse finanziarie e controlli.

(Art. 9 del D.Lgs. n. 29 del 1993)

1. Le amministrazioni pubbliche adottano tutte le misure affinché la spesa per il proprio personale sia evidente, certa e prevedibile nella evoluzione. Le risorse finanziarie destinate a tale spesa sono determinate in base alle compatibilità economico-finanziarie definite nei documenti di programmazione e di bilancio.

2. L’incremento del costo del lavoro negli enti pubblici economici e nelle aziende pubbliche che producono servizi di pubblica utilità, nonché negli enti di cui all’articolo 70, comma 4, è soggetto a limiti compatibili con gli obiettivi e i vincoli di finanza pubblica.

9.  Partecipazione sindacale.

(Art. 10 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 6 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 5, comma 2, i contratti collettivi nazionali disciplinano le modalità e gli istituti della partecipazione (26).

(26) Articolo così sostituito dal comma 1 dell’art. 36, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

TITOLO II

Organizzazione

Capo I – Relazioni con il pubblico

10.  Trasparenza delle amministrazioni pubbliche.

(Art. 11 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come modificato dall’art. 43, comma 9 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. L’organismo di cui all’articolo 2, comma 1, lettera mm), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, ai fini della trasparenza e rapidità del procedimento, definisce, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera c), i modelli e i sistemi informativi utili alla interconnessione tra le amministrazioni pubbliche.

2. La Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica ed i comitati metropolitani di cui all’articolo 18 del decreto-legge 24 novembre 1990, n. 344, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 gennaio 1991, n. 21, promuovono, utilizzando il personale degli uffici di cui all’articolo 11, la costituzione di servizi di accesso polifunzionale alle amministrazioni pubbliche nell’àmbito dei progetti finalizzati di cui all’articolo 26 della legge 11 marzo 1988, n. 67, e successive modificazioni ed integrazioni.

11.  Ufficio relazioni con il pubblico.

(Art. 12, commi da 1 a 5-ter del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituiti dall’art. 7 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e successivamente modificati dall’art. 3 del decreto legge n. 163 del 1995, convertito con modificazioni della legge n. 273 del 1995)

1. Le amministrazioni pubbliche, al fine di garantire la piena attuazione della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e integrazioni, individuano, nell’àmbito della propria struttura uffici per le relazioni con il pubblico.

2. Gli uffici per le relazioni con il pubblico provvedono, anche mediante l’utilizzo di tecnologie informatiche:

a) al servizio all’utenza per i diritti di partecipazione di cui al capo III della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni ed integrazioni;

b) all’informazione all’utenza relativa agli atti e allo stato dei procedimenti;

c) alla ricerca ed analisi finalizzate alla formulazione di proposte alla propria amministrazione sugli aspetti organizzativi e logistici del rapporto con l’utenza.

3. Agli uffici per le relazioni con il pubblico viene assegnato, nell’àmbito delle attuali dotazioni organiche delle singole amministrazioni, personale con idonea qualificazione e con elevata capacità di avere contatti con il pubblico, eventualmente assicurato da apposita formazione.

4. Al fine di assicurare la conoscenza di normative, servizi e strutture, le amministrazioni pubbliche programmano ed attuano iniziative di comunicazione di pubblica utilità; in particolare, le amministrazioni dello Stato, per l’attuazione delle iniziative individuate nell’àmbito delle proprie competenze, si avvalgono del Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri quale struttura centrale di servizio, secondo un piano annuale di coordinamento del fabbisogno di prodotti e servizi, da sottoporre all’approvazione del Presidente del Consiglio dei ministri.

5. Per le comunicazioni previste dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni ed integrazioni, non si applicano le norme vigenti che dispongono la tassa a carico del destinatario.

6. Il responsabile dell’ufficio per le relazioni con il pubblico e il personale da lui indicato possono promuovere iniziative volte, anche con il supporto delle procedure informatiche, al miglioramento dei servizi per il pubblico, alla semplificazione e all’accelerazione delle procedure e all’incremento delle modalità di accesso informale alle informazioni in possesso dell’amministrazione e ai documenti amministrativi.

7. L’organo di vertice della gestione dell’amministrazione o dell’ente verifica l’efficacia dell’applicazione delle iniziative di cui al comma 6, ai fini dell’inserimento della verifica positiva nel fascicolo personale del dipendente. Tale riconoscimento costituisce titolo autonomamente valutabile in concorsi pubblici e nella progressione di carriera del dipendente. Gli organi di vertice trasmettono le iniziative riconosciute ai sensi del presente comma al Dipartimento della funzione pubblica, ai fini di un’adeguata pubblicizzazione delle stesse. Il Dipartimento annualmente individua le forme di pubblicazione.

12.  Uffici per la gestione del contenzioso del lavoro.

(Art. 12-bis del D.Lgs. n. 29 del 1999, aggiunto dall’art. 7 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Le amministrazioni pubbliche provvedono, nell’àmbito dei rispettivi ordinamenti, ad organizzare la gestione del contenzioso del lavoro, anche creando appositi uffici, in modo da assicurare l’efficace svolgimento di tutte le attività stragiudiziali e giudiziali inerenti alle controversie. Più amministrazioni omogenee o affini possono istituire, mediante convenzione che ne regoli le modalità di costituzione e di funzionamento, un unico ufficio per la gestione di tutto o parte del contenzioso comune.

Capo II – Dirigenza

Sezione I – Qualifiche, uffici dirigenziali ed attribuzioni

13.  Amministrazioni destinatarie.

(Art. 13 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall’art. 3 del D.Lgs. n. 470 del 1993 e poi dall’art. 8 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Le disposizioni del presente capo si applicano alle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo.

14.  Indirizzo politico-amministrativo.

(Art. 14 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall’art. 8 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e poi dall’art. 9 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Il Ministro esercita le funzioni di cui all’articolo 4, comma 1. A tal fine periodicamente, e comunque ogni anno entro dieci giorni (27) dalla pubblicazione della legge di bilancio, anche sulla base delle proposte dei dirigenti di cui all’articolo 16:

a) definisce obiettivi, priorità, piani e programmi da attuare ed emana le conseguenti direttive generali per l’attività amministrativa e per la gestione;

b) effettua, ai fini dell’adempimento dei compiti definiti ai sensi della lettera a), l’assegnazione ai dirigenti preposti ai centri di responsabilità delle rispettive amministrazioni delle risorse di cui all’articolo 4, comma 1, lettera c), del presente decreto, ivi comprese quelle di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, e successive modificazioni e integrazioni, ad esclusione delle risorse necessarie per il funzionamento degli uffici di cui al comma 2; provvede alle variazioni delle assegnazioni con le modalità previste dal medesimo decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, tenendo altresì conto dei procedimenti e subprocedimenti attribuiti ed adotta gli altri provvedimenti ivi previsti.

2. Per l’esercizio delle funzioni di cui al comma 1 il Ministro si avvale di uffici di diretta collaborazione, aventi esclusive competenze di supporto e di raccordo con l’amministrazione, istituiti e disciplinati con regolamento adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 4-bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400. A tali uffici sono assegnati, nei limiti stabiliti dallo stesso regolamento: dipendenti pubblici anche in posizione di aspettativa, fuori ruolo o comando; collaboratori assunti con contratti a tempo determinato disciplinati dalle norme di diritto privato; esperti e consulenti per particolari professionalità e specializzazioni con incarichi di collaborazione coordinata e continuativa. All’atto del giuramento del Ministro, tutte le assegnazioni di personale, ivi compresi gli incarichi anche di livello dirigenziale e le consulenze e i contratti, anche a termine, conferiti nell’ambito degli uffici di cui al presente comma, decadono automaticamente ove non confermati entro trenta giorni dal giuramento del nuovo Ministro. Per i dipendenti pubblici si applica la disposizione di cui all’articolo 17, comma 14, della legge 15 maggio 1997, n. 127. Con lo stesso regolamento si provvede al riordino delle segretarie particolari dei Sottosegretari di Stato. Con decreto adottato dall’autorità di governo competente, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, è determinato, in attuazione dell’articolo 12, comma 1, lettera n) della legge 15 marzo 1997, n. 59, senza aggravi di spesa e, per il personale disciplinato dai contratti collettivi nazionali di lavoro, fino ad una specifica disciplina contrattuale, il trattamento economico accessorio, da corrispondere mensilmente, a fronte delle responsabilità, degli obblighi di reperibilità e di disponibilità ad orari disagevoli, ai dipendenti assegnati agli uffici dei Ministri e dei Sottosegretari di Stato. Tale trattamento, consiste in un unico emolumento, è sostitutivo dei compensi per il lavoro straordinario, per la produttività collettiva e per la qualità della prestazione individuale. Con effetto dall’entrata in vigore del regolamento di cui al presente comma sono abrogate le norme del regio decreto legge 10 luglio 1924, n. 1100, e successive modificazioni ed integrazioni, ed ogni altra norma riguardante la costituzione e la disciplina dei gabinetti dei Ministri e delle segretarie particolari dei Ministri e dei Sottosegretari di Stato (28).

3. Il Ministro non può revocare, riformare, riservare o avocare a sé o altrimenti adottare provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti. In caso di inerzia o ritardo il Ministro può fissare un termine perentorio entro il quale il dirigente deve adottare gli atti o i provvedimenti. Qualora l’inerzia permanga, o in caso di grave inosservanza delle direttive generali da parte del dirigente competente, che determinano pregiudizio per l’interesse pubblico, il Ministro può nominare, salvi i casi di urgenza previa contestazione, un commissario ad acta, dando comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri del relativo provvedimento. Resta salvo quanto previsto dall’articolo 2, comma 3, lett. p) della legge 23 agosto 1988, n. 400. Resta altresì salvo quanto previsto dall’articolo 6 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni ed integrazioni, e dall’articolo 10 del relativo regolamento emanato con regio decreto 6 maggio 1940, n. 635. Resta salvo il potere di annullamento ministeriale per motivi di legittimità (29).

(27)  Il termine era stato prorogato dal comma 8 dell’art. 1, D.L. 10 gennaio 2006, n. 4, soppresso dalla relativa legge di conversione.

(28)  Comma così modificato dal comma 24-bis dell’art. 1, D.L. 18 maggio 2006, n. 181, aggiunto dalla relativa legge di conversione. Per la decorrenza del termine di cui al presente comma vedi il comma 24-ter dello stesso articolo 1. Il regolamento di organizzazione degli uffici di cui al presente comma è stato adottato:

– con D.P.R. 22 settembre 2000, n. 451, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica;

– con D.P.R. 6 marzo 2001, n. 216, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro della sanità;

– con D.P.R. 6 marzo 2001, n. 230, per gli uffici di diretta collaborazione dei Ministri;

– con D.P.R. 6 marzo 2001, n. 243, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro dei lavori pubblici;

– con D.P.R. 6 marzo 2001, n. 245, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro dell’ambiente;

– con D.P.R. 24 aprile 2001, n. 225, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro dei trasporti e della navigazione;

– con D.P.R. 24 aprile 2001, n. 320, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;

– con D.P.R. 3 maggio 2001, n. 291, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro del commercio con l’estero;

– con D.P.R. 14 maggio 2001, n. 258, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro delle comunicazioni;

– con D.P.R. 14 maggio 2001, n. 303, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro delle politiche agricole e forestali;

– con D.P.R. 17 maggio 2001, n. 297, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro del lavoro;

– con D.P.R. 24 maggio 2001, n. 233, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro degli affari esteri;

– con D.P.R. 6 luglio 2001, n. 307, corretto con Comunicato 4 agosto 2001 (Gazz. Uff. 4 agosto 2001, n. 180), per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro per i beni e le attività culturali;

– con D.P.R. 25 luglio 2001, n. 315, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro della giustizia;

– con D.P.R. 7 settembre 2001, n. 398, per gli uffici centrali di livello dirigenziale generale del Ministero dell’interno;

– con D.P.R. 21 marzo 2002, n. 98, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro dell’interno;

– con D.P.R. 26 marzo 2002, n. 128 (Gazz. Uff. 3 luglio 2002, n. 154) e con D.P.R. 14 gennaio 2009, n. 16, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca;

– con D.P.R. 12 giugno 2003, n. 208, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro della salute;

– con D.P.R. 3 luglio 2003, n. 227, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro dell’economia e delle finanze;

– con D.P.R. 14 ottobre 2003, n. 316, per gli uffici di diretta collaborazione del vice Ministro delle attività produttive;

– con D.P.R. 24 febbraio 2006, n. 162, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro della difesa;

– con D.P.R. 13 febbraio 2007, n. 57, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro dell’università e della ricerca;

– con D.P.R. 28 novembre 2008, n. 198, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro dello sviluppo economico.

(29) In deroga a quanto disposto dal presente articolo vedi il comma 2 dell’art. 1, D.L. 23 maggio 2008, n. 90.

15.  Dirigenti.

(Art. 15 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 4 del D.Lgs. n. 470 del 1993 e successivamente modificato dall’art. 10 del D.Lgs. n. 80 del 1998; Art. 27 del D.Lgs. n. 29 del 1993, commi 1 e 3, come sostituiti dall’art. 7 del D.Lgs. n. 470 del 1993)

1. Nelle amministrazioni pubbliche di cui al presente capo, la dirigenza è articolata nelle due fasce dei ruoli di cui all’articolo 23. Restano salve le particolari disposizioni concernenti le carriere diplomatica e prefettizia e le carriere delle Forze di polizia e delle Forze armate. Per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, è fatto salvo quanto previsto dall’articolo 6 (30) .

2. Nelle istituzioni e negli enti di ricerca e sperimentazione, nonché negli altri istituti pubblici di cui al sesto comma dell’articolo 33 della Costituzione, le attribuzioni della dirigenza amministrativa non si estendono alla gestione della ricerca e dell’insegnamento.

3. Per ciascuna struttura organizzativa non affidata alla direzione del dirigente generale, il dirigente preposto all’ufficio di più elevato livello è sovraordinato al dirigente preposto ad ufficio di livello inferiore.

4. Per le regioni, il dirigente cui sono conferite funzioni di coordinamento è sovraordinato, limitatamente alla durata dell’incarico, al restante personale dirigenziale.

5. Per il Consiglio di Stato e per i tribunali amministrativi regionali, per la Corte dei conti e per l’Avvocatura generale dello Stato, le attribuzioni che il presente decreto demanda agli organi di Governo sono di competenza rispettivamente, del Presidente del Consiglio di Stato, del Presidente della Corte dei conti e dell’Avvocato generale dello Stato; le attribuzioni che il presente decreto demanda ai dirigenti preposti ad uffici dirigenziali di livello generale sono di competenza dei segretari generali dei predetti istituti.

(30)  Comma così modificato dall’art. 3, comma 8, lettera a), L. 15 luglio 2002, n. 145. Vedi, anche, il D.P.R. 23 aprile 2004, n. 108.

16.  Funzioni dei dirigenti di uffici dirigenziali generali.

(Art. 16 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall’art. 9 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e poi dall’art. 11 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall’art. 4 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. I dirigenti di uffici dirigenziali generali, comunque denominati, nell’àmbito di quanto stabilito dall’articolo 4 esercitano, fra gli altri, i seguenti compiti e poteri:

a) formulano proposte ed esprimono pareri al Ministro nelle materie di sua competenza;

a-bis) propongono le risorse e i profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti dell’ufficio cui sono preposti anche al fine dell’elaborazione del documento di programmazione triennale del fabbisogno di personale di cui all’articolo 6, comma 4 (31);

b) curano l’attuazione dei piani, programmi e direttive generali definite dal Ministro e attribuiscono ai dirigenti gli incarichi e la responsabilità di specifici progetti e gestioni; definiscono gli obiettivi che i dirigenti devono perseguire e attribuiscono le conseguenti risorse umane, finanziarie e materiali;

c) adottano gli atti relativi all’organizzazione degli uffici di livello dirigenziale non generale;

d) adottano gli atti e i provvedimenti amministrativi ed esercitano i poteri di spesa e quelli di acquisizione delle entrate rientranti nella competenza dei propri uffici, salvo quelli delegati ai dirigenti;

d-bis) adottano i provvedimenti previsti dall’articolo 17, comma 2, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni (32);

e) dirigono, coordinano e controllano l’attività dei dirigenti e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con potere sostitutivo in caso di inerzia, e propongono l’adozione, nei confronti dei dirigenti, delle misure previste dall’articolo 21;

f) promuovono e resistono alle liti ed hanno il potere di conciliare e di transigere, fermo restando quanto disposto dall’articolo 12, comma 1, della legge 3 aprile 1979, n. 103;

g) richiedono direttamente pareri agli organi consultivi dell’amministrazione e rispondono ai rilievi degli organi di controllo sugli atti di competenza;

h) svolgono le attività di organizzazione e gestione del personale e di gestione dei rapporti sindacali e di lavoro;

i) decidono sui ricorsi gerarchici contro gli atti e i provvedimenti amministrativi non definitivi dei dirigenti;

l) curano i rapporti con gli uffici dell’Unione europea e degli organismi internazionali nelle materie di competenza secondo le specifiche direttive dell’organo di direzione politica, sempreché tali rapporti non siano espressamente affidati ad apposito ufficio o organo;

l-bis) concorrono alla definizione di misure idonee a prevenire e contrastare i fenomeni di corruzione e a controllarne il rispetto da parte dei dipendenti dell’ufficio cui sono preposti (33).

2. I dirigenti di uffici dirigenziali generali riferiscono al Ministro sull’attività da essi svolta correntemente e in tutti i casi in cui il Ministro lo richieda o lo ritenga opportuno.

3. L’esercizio dei compiti e dei poteri di cui al comma 1 può essere conferito anche a dirigenti preposti a strutture organizzative comuni a più amministrazioni pubbliche, ovvero alla attuazione di particolari programmi, progetti e gestioni.

4. Gli atti e i provvedimenti adottati dai dirigenti preposti al vertice dell’amministrazione e dai dirigenti di uffici dirigenziali generali di cui al presente articolo non sono suscettibili di ricorso gerarchico.

5. Gli ordinamenti delle amministrazioni pubbliche al cui vertice è preposto un segretario generale, capo dipartimento o altro dirigente comunque denominato, con funzione di coordinamento di uffici dirigenziali di livello generale, ne definiscono i compiti ed i poteri (34).

(31) Lettera aggiunta dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 38, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(32) Lettera aggiunta dal comma 10 dell’art. 8, D.L. 31 maggio 2010, n. 78.

(33) Lettera aggiunta dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 38, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(34) In deroga a quanto disposto dal presente articolo vedi il comma 2 dell’art. 1, D.L. 23 maggio 2008, n. 90.

17.  Funzioni dei dirigenti.

(Art. 17 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 10 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e poi dall’art. 12 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. I dirigenti, nell’àmbito di quanto stabilito dall’articolo 4, esercitano, fra gli altri, i seguenti compiti e poteri:

a) formulano proposte ed esprimono pareri ai dirigenti degli uffici dirigenziali generali;

b) curano l’attuazione dei progetti e delle gestioni ad essi assegnati dai dirigenti degli uffici dirigenziali generali, adottando i relativi atti e provvedimenti amministrativi ed esercitando i poteri di spesa e di acquisizione delle entrate;

c) svolgono tutti gli altri compiti ad essi delegati dai dirigenti degli uffici dirigenziali generali;

d) dirigono, coordinano e controllano l’attività degli uffici che da essi dipendono e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con poteri sostitutivi in caso di inerzia;

d-bis) concorrono all’individuazione delle risorse e dei profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti dell’ufficio cui sono preposti anche al fine dell’elaborazione del documento di programmazione triennale del fabbisogno di personale di cui all’articolo 6, comma 4 (35);

e) provvedono alla gestione del personale e delle risorse finanziarie e strumentali assegnate ai propri uffici, anche ai sensi di quanto previsto all’articolo 16, comma 1, lettera l-bis (36);

e-bis) effettuano la valutazione del personale assegnato ai propri uffici, nel rispetto del principio del merito, ai fini della progressione economica e tra le aree, nonché della corresponsione di indennità e premi incentivanti (37).

1-bis. I dirigenti, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, alcune delle competenze comprese nelle funzioni di cui alle lettere b), d) ed e) del comma 1 a dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell’àmbito degli uffici ad essi affidati. Non si applica in ogni caso l’articolo 2103 del codice civile (38).

(35) Lettera aggiunta dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 39, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(36) Lettera così modificata dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 39, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(37) Lettera aggiunta dalla lettera c) del comma 1 dell’art. 39, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(38)  Comma aggiunto dall’art. 2, L. 15 luglio 2002, n. 145.

17-bis.  Vicedirigenza.

1. La contrattazione collettiva del comparto Ministeri disciplina l’istituzione di un’apposita separata area della vicedirigenza nella quale è ricompreso il personale laureato appartenente alle posizioni C2 e C3, che abbia maturato complessivamente cinque anni di anzianità in dette posizioni o nelle corrispondenti qualifiche VIII e IX del precedente ordinamento. In sede di prima applicazione la disposizione di cui al presente comma si estende al personale non laureato che, in possesso degli altri requisiti richiesti, sia risultato vincitore di procedure concorsuali per l’accesso alla ex carriera direttiva anche speciale. I dirigenti possono delegare ai vice dirigenti parte delle competenze di cui all’articolo 17 (39).

2. La disposizione di cui al comma 1 si applica, ove compatibile, al personale dipendente dalle altre amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, appartenente a posizioni equivalenti alle posizioni C2 e C3 del comparto Ministeri; l’equivalenza delle posizioni è definita con decreto del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Restano salve le competenze delle regioni e degli enti locali secondo quanto stabilito dall’articolo 27 (40).

(39)  Comma così modificato dall’art. 14-octies, D.L. 30 giugno 2005, n. 115, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(40)  Articolo aggiunto dall’art. 7, comma 3, L. 15 luglio 2002, n. 145. Per l’interpretazione autentica del presente articolo vedi l’art. 8, L. 4 marzo 2009, n. 15.

18.  Criteri di rilevazione e analisi dei costi e dei rendimenti.

(Art. 18 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 5 del D.Lgs. n. 470 del 1993)

1. Sulla base delle indicazioni di cui all’articolo 59 del presente decreto, i dirigenti preposti ad uffici dirigenziali di livello generale adottano misure organizzative idonee a consentire la rilevazione e l’analisi dei costi e dei rendimenti dell’attività amministrativa, della gestione e delle decisioni organizzative.

2. Il Dipartimento della funzione pubblica può chiedere all’Istituto nazionale di statistica-ISTAT l’elaborazione di norme tecniche e criteri per le rilevazioni ed analisi di cui al comma 1 e, all’Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione-AIPA (41), l’elaborazione di procedure informatiche standardizzate allo scopo di evidenziare gli scostamenti dei costi e dei rendimenti rispetto a valori medi e standards.

(41)  La denominazione «Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione» è da intendersi sostituita da quella di «Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione» ai sensi di quanto disposto dall’art. 176, D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196.

19.  Incarichi di funzioni dirigenziali.

(Art. 19 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall’art. 11 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e poi dall’art. 13 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall’art. 5 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. Ai fini del conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale si tiene conto, in relazione alla natura e alle caratteristiche degli obiettivi prefissati ed alla complessità della struttura interessata, delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente, dei risultati conseguiti in precedenza nell’amministrazione di appartenenza e della relativa valutazione, delle specifiche competenze organizzative possedute, nonché delle esperienze di direzione eventualmente maturate all’estero, presso il settore privato o presso altre amministrazioni pubbliche, purché attinenti al conferimento dell’incarico. Al conferimento degli incarichi e al passaggio ad incarichi diversi non si applica l’articolo 2103 del codice civile (42).

1-bis. L’amministrazione rende conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti di funzione che si rendono disponibili nella dotazione organica ed i criteri di scelta; acquisisce le disponibilità dei dirigenti interessati e le valuta (43).

1-ter. Gli incarichi dirigenziali possono essere revocati esclusivamente nei casi e con le modalità di cui all’articolo 21, comma 1, secondo periodo (44).

2. Tutti gli incarichi di funzione dirigenziale nelle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, sono conferiti secondo le disposizioni del presente articolo. Con il provvedimento di conferimento dell’incarico, ovvero con separato provvedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro competente per gli incarichi di cui al comma 3, sono individuati l’oggetto dell’incarico e gli obiettivi da conseguire, con riferimento alle priorità, ai piani e ai programmi definiti dall’organo di vertice nei propri atti di indirizzo e alle eventuali modifiche degli stessi che intervengano nel corso del rapporto, nonché la durata dell’incarico, che deve essere correlata agli obiettivi prefissati e che, comunque, non può essere inferiore a tre anni né eccedere il termine di cinque anni. La durata dell’incarico può essere inferiore a tre anni se coincide con il conseguimento del limite di età per il collocamento a riposo dell’interessato. Gli incarichi sono rinnovabili. Al provvedimento di conferimento dell’incarico accede un contratto individuale con cui è definito il corrispondente trattamento economico, nel rispetto dei princìpi definiti dall’articolo 24. È sempre ammessa la risoluzione consensuale del rapporto. In caso di primo conferimento ad un dirigente della seconda fascia di incarichi di uffici dirigenziali generali o di funzioni equiparate, la durata dell’incarico è pari a tre anni. Resta fermo che per i dipendenti statali titolari di incarichi di funzioni dirigenziali ai sensi del presente articolo, ai fini dell’applicazione dell’articolo 43, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, e successive modificazioni, l’ultimo stipendio va individuato nell’ultima retribuzione percepita in relazione all’incarico svolto (45).

3. Gli incarichi di Segretario generale di ministeri, gli incarichi di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali e quelli di livello equivalente sono conferiti con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente, a dirigenti della prima fascia dei ruoli di cui all’articolo 23 o, con contratto a tempo determinato, a persone in possesso delle specifiche qualità professionali e nelle percentuali previste dal comma 6 (46).

4. Gli incarichi di funzione dirigenziale di livello generale sono conferiti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente, a dirigenti della prima fascia dei ruoli di cui all’articolo 23 o, in misura non superiore al 70 per cento della relativa dotazione, agli altri dirigenti appartenenti ai medesimi ruoli ovvero, con contratto a tempo determinato, a persone in possesso delle specifiche qualità professionali richieste dal comma 6 (47).

4-bis. I criteri di conferimento degli incarichi di funzione dirigenziale di livello generale, conferiti ai sensi del comma 4 del presente articolo, tengono conto delle condizioni di pari opportunità di cui all’articolo 7 (48).

5. Gli incarichi di direzione degli uffici di livello dirigenziale sono conferiti, dal dirigente dell’ufficio di livello dirigenziale generale, ai dirigenti assegnati al suo ufficio ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettera c).

5-bis. Gli incarichi di cui ai commi da 1 a 5 possono essere conferiti, da ciascuna amministrazione, entro il limite del 10 per cento della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia dei ruoli di cui all’articolo 23 e del 5 per cento della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia, anche a dirigenti non appartenenti ai ruoli di cui al medesimo articolo 23, purché dipendenti delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, ovvero di organi costituzionali, previo collocamento fuori ruolo, comando o analogo provvedimento secondo i rispettivi ordinamenti (49).

5-ter. I criteri di conferimento degli incarichi di direzione degli uffici di livello dirigenziale, conferiti ai sensi del comma 5 del presente articolo, tengono conto delle condizioni di pari opportunità di cui all’articolo 7 (50).

6. Gli incarichi di cui ai commi da 1 a 5 possono essere conferiti, da ciascuna amministrazione, entro il limite del 10 per cento della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia dei ruoli di cui all’articolo 23 e dell’8 per cento della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia, a tempo determinato ai soggetti indicati dal presente comma. La durata di tali incarichi, comunque, non può eccedere, per gli incarichi di funzione dirigenziale di cui ai commi 3 e 4, il termine di tre anni, e, per gli altri incarichi di funzione dirigenziale il termine di cinque anni. Tali incarichi sono conferiti, fornendone esplicita motivazione, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell’Amministrazione, che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza, o che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato. Il trattamento economico può essere integrato da una indennità commisurata alla specifica qualificazione professionale, tenendo conto della temporaneità del rapporto e delle condizioni di mercato relative alle specifiche competenze professionali. Per il periodo di durata dell’incarico, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni sono collocati in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell’anzianità di servizio (51).

6-bis. Fermo restando il contingente complessivo dei dirigenti di prima o seconda fascia il quoziente derivante dall’applicazione delle percentuali previste dai commi 4, 5-bis e 6, è arrotondato all’unità inferiore, se il primo decimale è inferiore a cinque, o all’unità superiore, se esso è uguale o superiore a cinque (52).

6-ter. Il comma 6 ed il comma 6-bis si applicano alle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2 (53).

7. [Gli incarichi di direzione degli uffici dirigenziali di cui ai commi precedenti sono revocati nelle ipotesi di responsabilità dirigenziale per inosservanza delle direttive generali e per i risultati negativi dell’attività amministrativa e della gestione, disciplinate dall’articolo 21, ovvero nel caso di risoluzione consensuale del contratto individuale di cui all’articolo 24, comma 2] (54).

8. Gli incarichi di funzione dirigenziale di cui al comma 3 cessano decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al Governo (55).

9. Degli incarichi di cui ai commi 3 e 4 è data comunicazione al Senato della Repubblica ed alla Camera dei deputati, allegando una scheda relativa ai titoli ed alle esperienze professionali dei soggetti prescelti.

10. I dirigenti ai quali non sia affidata la titolarità di uffici dirigenziali svolgono, su richiesta degli organi di vertice delle amministrazioni che ne abbiano interesse, funzioni ispettive, di consulenza, studio e ricerca o altri incarichi specifici previsti dall’ordinamento, ivi compresi quelli presso i collegi di revisione degli enti pubblici in rappresentanza di amministrazioni ministeriali (56).

11. Per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, per il ministero degli affari esteri nonché per le amministrazioni che esercitano competenze in materia di difesa e sicurezza dello Stato, di polizia e di giustizia, la ripartizione delle attribuzioni tra livelli dirigenziali differenti è demandata ai rispettivi ordinamenti.

12. Per il personale di cui all’articolo 3, comma 1, il conferimento degli incarichi di funzioni dirigenziali continuerà ad essere regolato secondo i rispettivi ordinamenti di settore. Restano ferme le disposizioni di cui all’articolo 2 della legge 10 agosto 2000, n. 246 (57) .

12-bis. Le disposizioni del presente articolo costituiscono norme non derogabili dai contratti o accordi collettivi (58).

(42) Comma così sostituito prima dall’art. 3, comma 1, lettera a), L. 15 luglio 2002, n. 145 e poi dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 40, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(43) Comma aggiunto dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 40, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(44) Comma aggiunto dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 40, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 e poi così modificato dal comma 32 dell’art. 9, D.L. 31 maggio 2010, n. 78.

(45) Comma prima sostituito dall’art. 3, comma 1, lettera b), L. 15 luglio 2002, n. 145 e poi così modificato dall’art. 14-sexies, comma 1, D.L. 30 giugno 2005, n. 115, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, e dalla lettera c) del comma 1 dell’art. 40, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150. Vedi, anche, il comma 2 del citato articolo 14-sexies.

(46) Comma così modificato prima dall’art. 3, comma 1, lettera c), L. 15 luglio 2002, n. 145 e poi dalla lettera d) del comma 1 dell’art. 40, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(47)  Comma prima sostituito dall’art. 3, comma 1, lettera d), L. 15 luglio 2002, n. 145 e poi così modificato dall’art. 3, comma 147, L. 24 dicembre 2003, n. 350. Vedi, anche, le ulteriori disposizioni del citato comma 147.

(48)  Comma aggiunto dall’art. 3, comma 1, lettera e), L. 15 luglio 2002, n. 145.

(49)  Comma aggiunto dall’art. 3, comma 1, lettera f), L. 15 luglio 2002, n. 145. Vedi, anche, il comma 10-bis dell’art. 1, D.L. 18 maggio 2006, n. 181 e il comma 16-quaterdecies dell’art. 41, D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, entrambi aggiunti dalle relative leggi di conversioni.

(50)  Comma aggiunto dall’art. 3, comma 1, lettera f), L. 15 luglio 2002, n. 145.

(51) In deroga al presente comma vedi l’art. 5- bis, D.L. 7 settembre 2001, n. 343, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione. Successivamente il presente comma è stato sostituito dall’art. 3, comma 1, lettera g), L. 15 luglio 2002, n. 145 e dall’art. 14-sexies, D.L. 30 giugno 2005, n. 115, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, e così modificato dalla lettera e) del comma 1 dell’art. 40, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150. L’art. 4, D.L. 29 novembre 2004, n. 280, non convertito in legge, aveva fornito l’interpretazione autentica delle disposizioni di cui al presente comma. Inoltre, il presente comma era stato modificato dall’art. 15, D.L. 10 gennaio 2006, n. 4, soppresso dalla relativa legge di conversione. Vedi, anche, il comma 10-bis dell’art. 1, D.L. 18 maggio 2006, n. 181 e il comma 16-quaterdecies dell’art. 41, D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, entrambi aggiunti dalle relative leggi di conversione, e il comma 359 dell’art. 1, L. 24 dicembre 2007, n. 244.

(52) Comma aggiunto dalla lettera f) del comma 1 dell’art. 40, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(53) Comma aggiunto dalla lettera f) del comma 1 dell’art. 40, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(54)  Comma abrogato dall’art. 3, comma 1, lettera h), L. 15 luglio 2002, n. 145.

(55) Comma prima sostituito dall’art. 3, comma 1, lettera i), L. 15 luglio 2002, n. 145 e poi così modificato dal comma 159 dell’art. 2, D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, come modificato dalla relativa legge di conversione, e dalla lettera g) del comma 1 dell’art. 40, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150. Vedi, anche, i commi 160 e 161 del citato art. 2.

(56)  Comma così sostituito dall’art. 3, comma 1, lettera l), L. 15 luglio 2002, n. 145.

(57)  Comma così modificato dall’art. 3, comma 1, lettera m), L. 15 luglio 2002, n. 145.

(58)  Comma aggiunto dall’art. 3, comma 1, lettera n), L. 15 luglio 2002, n. 145. Vedi, anche, il comma 7 dello stesso articolo.

20.  Verifica dei risultati.

(Art. 20 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 6 del D.Lgs. n. 470 del 1993 e successivamente modificato prima dall’art. 43, comma 1 del D.Lgs. n. 80 del 1998 poi dall’art. 6 del D.Lgs. n. 387 del 1998 e, infine, dagli artt. 5, comma 5 e 10, comma 2 del D.Lgs. n. 286 del 1999)

1. Per la Presidenza del Consiglio dei ministri e per le amministrazioni che esercitano competenze in materia di difesa e sicurezza dello Stato, di polizia e di giustizia, le operazioni di verifica sono effettuate dal Ministro per i dirigenti e dal Consiglio dei ministri per i dirigenti preposti ad ufficio di livello dirigenziale generale. I termini e le modalità di attuazione del procedimento di verifica dei risultati da parte del Ministro competente e del Consiglio dei ministri sono stabiliti rispettivamente con regolamento ministeriale e con decreto del Presidente della Repubblica adottato ai sensi dell’articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni ed integrazioni, ovvero fino alla data di entrata in vigore di tale decreto, provvedimenti dei singoli ministeri interessati.

21.  Responsabilità dirigenziale.

(Art. 21, commi 1, 2 e 5 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituiti prima dall’art. 12 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e poi dall’art. 14 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificati dall’art. 7 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. Il mancato raggiungimento degli obiettivi accertato attraverso le risultanze del sistema di valutazione di cui al Titolo II del decreto legislativo di attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni ovvero l’inosservanza delle direttive imputabili al dirigente comportano, previa contestazione e ferma restando l’eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo, l’impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale. In relazione alla gravità dei casi, l’amministrazione può inoltre, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio, revocare l’incarico collocando il dirigente a disposizione dei ruoli di cui all’articolo 23 ovvero recedere dal rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo (59).

1-bis. Al di fuori dei casi di cui al comma 1, al dirigente nei confronti del quale sia stata accertata, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio secondo le procedure previste dalla legge e dai contratti collettivi nazionali, la colpevole violazione del dovere di vigilanza sul rispetto, da parte del personale assegnato ai propri uffici, degli standard quantitativi e qualitativi fissati dall’amministrazione, conformemente agli indirizzi deliberati dalla Commissione di cui all’articolo 13 del decreto legislativo di attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, la retribuzione di risultato è decurtata, sentito il Comitato dei garanti, in relazione alla gravità della violazione di una quota fino all’ottanta per cento (60).

2. [Nel caso di grave inosservanza delle direttive impartite dall’organo competente o di ripetuta valutazione negativa, ai sensi del comma 1, il dirigente, previa contestazione e contraddittorio, può essere escluso dal conferimento di ulteriori incarichi di livello dirigenziale corrispondente a quello revocato, per un periodo non inferiore a due anni. Nei casi di maggiore gravità, l’amministrazione può recedere dal rapporto di lavoro, secondo le disposizioni del codice civile e dei contratti collettivi] (61).

3. Restano ferme le disposizioni vigenti per il personale delle qualifiche dirigenziali delle Forze di polizia, delle carriere diplomatica e prefettizia e delle Forze armate nonché del Corpo nazionale dei vigili del fuoco (62) .

(59) Comma così sostituito prima dall’art. 3, comma 2, lettera a), L. 15 luglio 2002, n. 145 e poi dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 41, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(60) Comma aggiunto dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 41, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(61)  Comma abrogato dall’art. 3, comma 2, lettera b), L. 15 luglio 2002, n. 145.

(62)  Comma così modificato dall’art. 73, D.Lgs. 13 ottobre 2005, n. 217, con la decorrenza ed i limiti indicati nell’art. 175 dello stesso decreto.

22.  Comitato dei garanti.

(Art. 21, comma 3 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 14 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. I provvedimenti di cui all’articolo 21, commi 1 e 1-bis, sono adottati sentito il Comitato dei garanti, i cui componenti, nel rispetto del principio di genere, sono nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Comitato dura in carica tre anni e l’incarico non è rinnovabile.

2. Il Comitato dei garanti è composto da un consigliere della Corte dei conti, designato dal suo Presidente, e da quattro componenti designati rispettivamente, uno dal Presidente della Commissione di cui all’articolo 13 del decreto legislativo di attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico, e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, uno dal Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, scelto tra un esperto scelto tra soggetti con specifica qualificazione ed esperienza nei settori dell’organizzazione amministrativa e del lavoro pubblico, e due scelti tra dirigenti di uffici dirigenziali generali di cui almeno uno appartenente agli Organismi indipendenti di valutazione, estratti a sorte fra coloro che hanno presentato la propria candidatura. I componenti sono collocati fuori ruolo e il posto corrispondente nella dotazione organica dell’amministrazione di appartenenza è reso indisponibile per tutta la durata del mandato. Per la partecipazione al Comitato non è prevista la corresponsione di emolumenti o rimborsi spese.

3. Il parere del Comitato dei garanti viene reso entro il termine di quarantacinque giorni dalla richiesta; decorso inutilmente tale termine si prescinde dal parere (63).

(63) Articolo prima modificato dall’art. 3, comma 3, L. 15 luglio 2002, n. 145 e poi così sostituito dal comma 1 dell’art. 42, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150. Per la costituzione del comitato di cui al presente articolo vedi il D.P.C.M. 10 giugno 2005.

23.  Ruolo dei dirigenti.

(Art. 23 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 15 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall’art. 8 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. In ogni amministrazione dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, è istituito il ruolo dei dirigenti, che si articola nella prima e nella seconda fascia, nel cui àmbito sono definite apposite sezioni in modo da garantire la eventuale specificità tecnica. I dirigenti della seconda fascia sono reclutati attraverso i meccanismi di accesso di cui all’articolo 28. I dirigenti della seconda fascia transitano nella prima qualora abbiano ricoperto incarichi di direzione di uffici dirigenziali generali o equivalenti, in base ai particolari ordinamenti di cui all’articolo 19, comma 11, per un periodo pari almeno a cinque anni senza essere incorsi nelle misure previste dall’articolo 21 per le ipotesi di responsabilità dirigenziale (64).

2. È assicurata la mobilità dei dirigenti, nei limiti dei posti disponibili, in base all’articolo 30 del presente decreto. I contratti o accordi collettivi nazionali disciplinano, secondo il criterio della continuità dei rapporti e privilegiando la libera scelta del dirigente, gli effetti connessi ai trasferimenti e alla mobilità in generale in ordine al mantenimento del rapporto assicurativo con l’ente di previdenza, al trattamento di fine rapporto e allo stato giuridico legato all’anzianità di servizio e al fondo di previdenza complementare. La Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica cura una banca dati informatica contenente i dati relativi ai ruoli delle amministrazioni dello Stato (65) (66) .

(64) Comma così modificato prima dall’art. 14-sexies, D.L. 30 giugno 2005, n. 115, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, e poi dal comma 1 dell’art. 43, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150. Vedi, anche, il comma 2 del citato art. 43. Precedentemente il presente comma era stato modificato dall’art. 4, D.L. 29 novembre 2004, n. 280, non convertito in legge.

(65)  Comma così modificato dall’art. 3-bis, D.L. 28 maggio 2004, n. 136, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(66)  Articolo così sostituito dall’art. 3, comma 4, L. 15 luglio 2002, n. 145. Vedi, anche, il D.P.R. 23 aprile 2004, n. 108.

23-bis.  Disposizioni in materia di mobilità tra pubblico e privato.

1. In deroga all’articolo 60 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, i dirigenti delle pubbliche amministrazioni, nonché gli appartenenti alla carriera diplomatica e prefettizia e, limitamente agli incarichi pubblici, i magistrati ordinari, amministrativi e contabili e gli avvocati e procuratori dello Stato sono collocati, salvo motivato diniego dell’amministrazione di appartenenza in ordine alle proprie preminenti esigenze organizzative, in aspettativa senza assegni per lo svolgimento di attività presso soggetti e organismi, pubblici o privati, anche operanti in sede internazionale, i quali provvedono al relativo trattamento previdenziale. Resta ferma la disciplina vigente in materia di collocamento fuori ruolo nei casi consentiti. Il periodo di aspettativa comporta il mantenimento della qualifica posseduta. È sempre ammessa la ricongiunzione dei periodi contributivi a domanda dell’interessato, ai sensi della legge 7 febbraio 1979, n. 29, presso una qualsiasi delle forme assicurative nelle quali abbia maturato gli anni di contribuzione. Quando l’incarico è espletato presso organismi operanti in sede internazionale, la ricongiunzione dei periodi contributivi è a carico dell’interessato, salvo che l’ordinamento dell’amministrazione di destinazione non disponga altrimenti (67).

2. I dirigenti di cui all’articolo 19, comma 10, sono collocati a domanda in aspettativa senza assegni per lo svolgimento dei medesimi incarichi di cui al comma 1 del presente articolo, salvo motivato diniego dell’amministrazione di appartenenza in ordine alle proprie preminenti esigenze organizzative (68).

3. Per i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, e per gli avvocati e procuratori dello Stato, gli organi competenti deliberano il collocamento in aspettativa, fatta salva per i medesimi la facoltà di valutare ragioni ostative all’accoglimento della domanda.

4. Nel caso di svolgimento di attività presso soggetti diversi dalle amministrazioni pubbliche, il periodo di collocamento in aspettativa di cui al comma 1 non può superare i cinque anni e non è computabile ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza.

5. L’aspettativa per lo svolgimento di attività o incarichi presso soggetti privati o pubblici da parte del personale di cui al comma 1 non può comunque essere disposta se:

a) il personale, nei due anni precedenti, è stato addetto a funzioni di vigilanza, di controllo ovvero, nel medesimo periodo di tempo, ha stipulato contratti o formulato pareri o avvisi su contratti o concesso autorizzazioni a favore di soggetti presso i quali intende svolgere l’attività. Ove l’attività che si intende svolgere sia presso una impresa, il divieto si estende anche al caso in cui le predette attività istituzionali abbiano interessato imprese che, anche indirettamente, la controllano o ne sono controllate, ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile;

b) il personale intende svolgere attività in organismi e imprese private che, per la loro natura o la loro attività, in relazione alle funzioni precedentemente esercitate, possa cagionare nocumento all’immagine dell’amministrazione o comprometterne il normale funzionamento o l’imparzialità.

6. Il dirigente non può, nei successivi due anni, ricoprire incarichi che comportino l’esercizio delle funzioni individuate alla lettera a) del comma 5.

7. Sulla base di appositi protocolli di intesa tra le parti, le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, possono disporre, per singoli progetti di interesse specifico dell’amministrazione e con il consenso dell’interessato, l’assegnazione temporanea di personale presso altre pubbliche amministrazioni o imprese private. I protocolli disciplinano le funzioni, le modalità di inserimento, l’onere per la corresponsione del trattamento economico da porre a carico delle imprese destinatarie. Nel caso di assegnazione temporanea presso imprese private i predetti protocolli possono prevedere l’eventuale attribuzione di un compenso aggiuntivo, con oneri a carico delle imprese medesime (69).

8. Il servizio prestato dai dipendenti durante il periodo di assegnazione temporanea di cui al comma 7 costituisce titolo valutabile ai fini della progressione di carriera.

9. Le disposizioni del presente articolo non trovano comunque applicazione nei confronti del personale militare e delle Forze di polizia, nonché del Corpo nazionale dei vigili del fuoco (70).

10. Con regolamento da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono individuati i soggetti privati e gli organismi internazionali di cui al comma 1 e sono definite le modalità e le procedure attuative del presente articolo (71).

(67) Comma così modificato dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 44, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150. Per l’interpretazione autentica del presente comma vedi il comma 578 dell’art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296.

(68) Comma così modificato dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 44, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(69)  Comma così sostituito dall’art. 5, D.L. 31 gennaio 2005, n. 7.

(70) In deroga a quanto previsto dal presente comma vedi il comma 36 dell’art. 2, L. 23 dicembre 2009, n. 191.

(71)  Articolo aggiunto dall’art. 7, comma 1, L. 15 luglio 2002, n. 145. Vedi, anche, il comma 4-bis dell’art. 101, D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 aggiunto dal comma 2 dell’art. 7 della citata legge n. 145 del 2002.

24.  Trattamento economico.

(Art. 24 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall’art. 13 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e poi dall’art. 16 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato prima dall’art. 9 del D.Lgs. n. 387 del 1998 e poi dall’art. 26, comma 6 della legge n. 448 del 1998)

1. La retribuzione del personale con qualifica di dirigente è determinata dai contratti collettivi per le aree dirigenziali, prevedendo che il trattamento economico accessorio sia correlato alle funzioni attribuite, alle connesse responsabilità e ai risultati conseguiti. La graduazione delle funzioni e responsabilità ai fini del trattamento accessorio è definita, ai sensi dell’articolo 4, con decreto ministeriale per le amministrazioni dello Stato e con provvedimenti dei rispettivi organi di governo per le altre amministrazioni o enti, ferma restando comunque l’osservanza dei criteri e dei limiti delle compatibilità finanziarie fissate dal Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica (72).

1-bis. Il trattamento accessorio collegato ai risultati deve costituire almeno il 30 per cento della retribuzione complessiva del dirigente considerata al netto della retribuzione individuale di anzianità e degli incarichi aggiuntivi soggetti al regime dell’onnicomprensività (73).

1-ter. I contratti collettivi nazionali incrementano progressivamente la componente legata al risultato, in modo da adeguarsi a quanto disposto dal comma 1-bis, entro la tornata contrattuale successiva a quella decorrente dal 1° gennaio 2010, destinando comunque a tale componente tutti gli incrementi previsti per la parte accessoria della retribuzione. La disposizione di cui al comma 1-bis non si applica alla dirigenza del Servizio sanitario nazionale e dall’attuazione del medesimo comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica (74).

1-quater. La parte della retribuzione collegata al raggiungimento dei risultati della prestazione non può essere corrisposta al dirigente responsabile qualora l’amministrazione di appartenenza, decorso il periodo transitorio di sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, non abbia predisposto il sistema di valutazione di cui al Titolo II del citato decreto legislativo (75).

2. Per gli incarichi di uffici dirigenziali di livello generale ai sensi dell’articolo 19, commi 3 e 4, con contratto individuale è stabilito il trattamento economico fondamentale, assumendo come parametri di base i valori economici massimi contemplati dai contratti collettivi per le aree dirigenziali, e sono determinati gli istituti del trattamento economico accessorio, collegato al livello di responsabilità attribuito con l’incarico di funzione ed ai risultati conseguiti nell’attività amministrativa e di gestione, ed i relativi importi. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze sono stabiliti i criteri per l’individuazione dei trattamenti accessori massimi, secondo principi di contenimento della spesa e di uniformità e perequazione (76) (77) .

3. Il trattamento economico determinato ai sensi dei commi 1 e 2 remunera tutte le funzioni ed i compiti attribuiti ai dirigenti in base a quanto previsto dal presente decreto, nonché qualsiasi incarico ad essi conferito in ragione del loro ufficio o comunque conferito dall’amministrazione presso cui prestano servizio o su designazione della stessa; i compensi dovuti dai terzi sono corrisposti direttamente alla medesima amministrazione e confluiscono nelle risorse destinate al trattamento economico accessorio della dirigenza (78).

4. Per il restante personale con qualifica dirigenziale indicato dall’articolo 3, comma 1, la retribuzione è determinata ai sensi dell’articolo 2, commi 5 e 7, della legge 6 marzo 1992, n. 216, nonché dalle successive modifiche ed integrazioni della relativa disciplina.

5. Il bilancio triennale e le relative leggi finanziarie, nell’àmbito delle risorse da destinare ai miglioramenti economici delle categorie di personale di cui all’articolo 3, indicano le somme da destinare, in caso di perequazione, al riequilibro del trattamento economico del restante personale dirigente civile e militare non contrattualizzato con il trattamento previsto dai contratti collettivi nazionali per i dirigenti del comparto ministeri, tenendo conto dei rispettivi trattamenti economici complessivi e degli incrementi comunque determinatesi a partire dal febbraio 1993, e secondo i criteri indicati nell’articolo 1, comma 2, della legge 2 ottobre 1997, n. 334.

6. I fondi per la perequazione di cui all’articolo 2 della legge 2 ottobre 1997, n. 334, destinati al personale di cui all’articolo 3, comma 2, sono assegnati alle università e da queste utilizzati per l’incentivazione dell’impegno didattico dei professori e ricercatori universitari, con particolare riferimento al sostegno dell’innovazione didattica, delle attività di orientamento e tutorato, della diversificazione dell’offerta formativa. Le università possono destinare allo stesso scopo propri fondi, utilizzando anche le somme attualmente stanziate per il pagamento delle supplenze e degli affidamenti. Le università possono erogare, a valere sul proprio bilancio, appositi compensi incentivanti ai professori e ricercatori universitari che svolgono attività di ricerca nell’àmbito dei progetti e dei programmi dell’Unione europea e internazionali. L’incentivazione, a valere sui fondi di cui all’articolo 2 della predetta legge n. 334 del 1997, è erogata come assegno aggiuntivo pensionabile.

7. I compensi spettanti in base a norme speciali ai dirigenti dei ruoli di cui all’articolo 23 o equiparati sono assorbiti nel trattamento economico attribuito ai sensi dei commi precedenti (79).

8. Ai fini della determinazione del trattamento economico accessorio le risorse che si rendono disponibili ai sensi del comma 7 confluiscono in appositi fondi istituiti presso ciascuna amministrazione, unitamente agli altri compensi previsti dal presente articolo.

9. [Una quota pari al 10 per cento delle risorse di ciascun fondo confluisce in un apposito fondo costituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. Le predette quote sono ridistribuite tra i fondi di cui al comma 8, secondo criteri diretti ad armonizzare la quantità di risorse disponibili] (80) (81).

(72) Comma così modificato dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 45, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(73) Comma aggiunto dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 45, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(74) Comma aggiunto dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 45, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(75) Comma aggiunto dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 45, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(76) Periodo aggiunto dall’art. 34, D.L. 4 luglio 2006, n. 223. Vedi, anche, la Dir.Min. 26 luglio 2006, n. 4/06.

(77) Vedi, anche, il comma 577 dell’art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296.

(78)  Vedi, anche, il comma 1 dell’art. 16, L. 28 dicembre 2001, n. 448 e il comma 22-bis dell’art. 1, D.L. 18 maggio 2006, n. 181, modificato dal comma 156 dell’art. 2, D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, come modificato dalla relativa legge di conversione.

(79)  Comma così modificato dall’art. 1-ter, D.L. 28 maggio 2004, n. 136, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(80)  Comma abrogato dall’art. 1-ter, D.L. 28 maggio 2004, n. 136, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(81) In deroga a quanto disposto dal presente articolo vedi gli articoli 1 e 8, O.P.C.M. 10 giugno 2008, n. 3682 e l’art. 5, O.P.C.M. 2 luglio 2009. Vedi, anche, quanto disposto dall’art. 12 della stessa O.P.C.M. 2 luglio 2009.

25.  Dirigenti delle istituzioni scolastiche.

(Art. 25-bis del D.Lgs. n. 29 del 1993, aggiunto dall’art. 1 del D.Lgs. n. 59 del 1998; Art. 25-ter del D.Lgs. n. 29 del 1993, aggiunto dall’art. 1 del D.Lgs. n. 59 del 1998)

1. Nell’àmbito dell’amministrazione scolastica periferica è istituita la qualifica dirigenziale per i capi di istituto preposti alle istituzioni scolastiche ed educative alle quali è stata attribuita personalità giuridica ed autonoma a norma dell’articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni ed integrazioni. I dirigenti scolastici sono inquadrati in ruoli di dimensione regionale e rispondono, agli effetti dell’articolo 21, in ordine ai risultati, che sono valutati tenuto conto della specificità delle funzioni e sulla base delle verifiche effettuate da un nucleo di valutazione istituito presso l’amministrazione scolastica regionale, presieduto da un dirigente e composto da esperti anche non appartenenti all’amministrazione stessa.

2. Il dirigente scolastico assicura la gestione unitaria dell’istituzione, ne ha la legale rappresentanza, è responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio. Nel rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici, spettano al dirigente scolastico autonomi poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane. In particolare, il dirigente scolastico, organizza l’attività scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia formative ed è titolare delle relazioni sindacali.

3. Nell’esercizio delle competenze di cui al comma 2, il dirigente scolastico promuove gli interventi per assicurare la qualità dei processi formativi e la collaborazione delle risorse culturali, professionali, sociali ed economiche del territorio, per l’esercizio della libertà di insegnamento, intesa anche come libertà di ricerca e innovazione metodologica e didattica, per l’esercizio della libertà di scelta educativa delle famiglie e per l’attuazione del diritto all’apprendimento da parte degli alunni.

4. Nell’àmbito delle funzioni attribuite alle istituzioni scolastiche, spetta al dirigente l’adozione dei provvedimenti di gestione delle risorse e del personale.

5. Nello svolgimento delle proprie funzioni organizzative e amministrative il dirigente può avvalersi di docenti da lui individuati, ai quali possono essere delegati specifici compiti, ed è coadiuvato dal responsabile amministrativo, che sovrintende, con autonomia operativa, nell’àmbito delle direttive di massima impartite e degli obiettivi assegnati, ai servizi amministrativi ed ai servizi generali dell’istituzione scolastica, coordinando il relativo personale.

6. Il dirigente presenta periodicamente al consiglio di circolo o al consiglio di istituto motivata relazione sulla direzione e il coordinamento dell’attività formativa, organizzativa e amministrativa al fine di garantire la più ampia informazione e un efficace raccordo per l’esercizio delle competenze degli organi della istituzione scolastica.

7. I capi di istituto con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ivi compresi i rettori e i vicerettori dei convitti nazionali, le direttrici e vice direttrici degli educandati, assumono la qualifica di dirigente, previa frequenza di appositi corsi di formazione, all’atto della preposizione alle istituzioni scolastiche dotate di autonomia e della personalità giuridica a norma dell’articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni ed integrazioni, salvaguardando, per quanto possibile, la titolarità della sede di servizio.

8. Il Ministro della pubblica istruzione, con proprio decreto, definisce gli obiettivi, i contenuti e la durata della formazione; determina le modalità di partecipazione ai diversi moduli formativi e delle connesse verifiche; definisce i criteri di valutazione e di certificazione della qualità di ciascun corso; individua gli organi dell’amministrazione scolastica responsabili dell’articolazione e del coordinamento dei corsi sul territori, definendone i criteri; stabilisce le modalità di svolgimento dei corsi con il loro affidamento ad università, agenzie specializzate ed enti pubblici e privati anche tra loro associati o consorziati.

9. La direzione dei conservatori di musica, delle accademie di belle arti, degli istituti superiori per le industrie artistiche e delle accademie nazionali di arte drammatica e di danza, è equiparata alla dirigenza dei capi d’istituto. Con decreto del Ministro della pubblica istruzione sono disciplinate le modalità di designazione e di conferimento e la durata dell’incarico, facendo salve le posizioni degli attuali direttori di ruolo.

10. Contestualmente all’attribuzione della qualifica dirigenziale, ai vicerettori dei convitti nazionali e delle vicedirettrici degli educandati sono soppressi i corrispondenti posti. Alla conclusione delle operazioni sono soppressi i relativi ruoli.

11. I capi d’istituto che rivestano l’incarico di Ministro o Sottosegretario di Stato, ovvero siano in aspettativa per mandato parlamentare o amministrativo o siano in esonero sindacale, distaccati, comandati, utilizzati o collocati fuori ruolo possono assolvere all’obbligo di formazione mediante la frequenza di appositi moduli nell’àmbito della formazione prevista dal presente articolo, ovvero della formazione di cui all’articolo 29. In tale ultimo caso l’inquadramento decorre ai fini giuridici dalla prima applicazione degli inquadramenti di cui al comma 7 ed ai fini economici dalla data di assegnazione ad una istituzione scolastica autonoma.

26.  Norme per la dirigenza del Servizio sanitario nazionale.

(Art. 26, commi 1, 2-quinquies e 3 del D.Lgs. n. 29 del 1993, modificati prima dall’art. 14 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e poi dall’art. 45, comma 15 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Alla qualifica di dirigente dei ruoli professionale, tecnico ed amministrativo del Servizio sanitario nazionale si accede mediante concorso pubblico per titoli ed esami, al quale sono ammessi candidati in possesso del relativo diploma di laurea, con cinque anni di servizio effettivo corrispondente alla medesima professionalità prestato in enti del Servizio sanitario nazionale nella posizione funzionale di settimo e ottavo livello, ovvero in qualifiche funzionali di settimo, ottavo e nono livello di altre pubbliche amministrazioni. Relativamente al personale del ruolo tecnico e professionale, l’ammissione è altresì consentita ai candidati in possesso di esperienze lavorative con rapporto di lavoro libero-professionale o di attività coordinata e continuata presso enti o pubbliche amministrazioni, ovvero di attività documentate presso studi professionali privati, società o istituti di ricerca, aventi contenuto analogo a quello previsto per corrispondenti profili del ruolo medesimo.

2. Nell’attribuzione degli incarichi dirigenziali determinati in relazione alla struttura organizzativa derivante dalle leggi regionali di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, si deve tenere conto della posizione funzionale posseduta dal relativo personale all’atto dell’inquadramento nella qualifica di dirigente. È assicurata la corrispondenza di funzioni, a parità di struttura organizzativa, dei dirigenti di più elevato livello dei ruoli di cui al comma 1 con i dirigenti di secondo livello del ruolo sanitario.

3. Fino alla ridefinizione delle piante organiche non può essere disposto alcun incremento dalle dotazioni organiche per ciascuna delle attuali posizioni funzionali dirigenziali del ruolo sanitario, professionale, tecnico ed amministrativo.

27.  Criteri di adeguamento per le pubbliche amministrazioni non statali.

(Art. 27-bis del D.Lgs. n. 29 del 1993, aggiunto dall’art. 17 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Le regioni a statuto ordinario, nell’esercizio della propria potestà statutaria, legislativa e regolamentare, e le altre pubbliche amministrazioni, nell’esercizio della propria potestà statutaria e regolamentare, adeguano ai princìpi dell’articolo 4 e del presente capo i propri ordinamenti, tenendo conto delle relative peculiarità. Gli enti pubblici non economici nazionali si adeguano, anche in deroga alle speciali disposizioni di legge che li disciplinano, adottando appositi regolamenti di organizzazione.

2. Le pubbliche amministrazioni di cui al comma 1 trasmettono, entro due mesi dalla adozione, le deliberazioni, le disposizioni ed i provvedimenti adottati in attuazione del medesimo comma alla Presidenza del Consiglio dei ministri, che ne cura la raccolta e la pubblicazione.

Sezione II – Accesso alla dirigenza e riordino della Scuola superiore della pubblica amministrazione

28.  Accesso alla qualifica di dirigente della seconda fascia (82).

(Art. 28 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall’art. 8 del D.Lgs. n. 470 del 1993, poi dall’art. 15 del D.Lgs. n. 546 del 1993, successivamente modificato dall’art. 5-bis del decreto legge n. 163 del 1995, convertito con modificazioni della legge n. 273 del 1995, e poi nuovamente sostituito dall’art. 10 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. L’accesso alla qualifica di dirigente nelle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, e negli enti pubblici non economici avviene per concorso per esami indetto dalle singole amministrazioni ovvero per corso-concorso selettivo di formazione bandito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione.

2. Al concorso per esami possono essere ammessi i dipendenti di ruolo delle pubbliche amministrazioni, muniti di laurea, che abbiano compiuto almeno cinque anni di servizio o, se in possesso del dottorato di ricerca o del diploma di specializzazione conseguito presso le scuole di specializzazione individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, almeno tre anni di servizio, svolti in posizioni funzionali per l’accesso alle quali è richiesto il possesso del dottorato di ricerca o del diploma di laurea. Per i dipendenti delle amministrazioni statali reclutati a seguito di corso-concorso, il periodo di servizio è ridotto a quattro anni. Sono, altresì, ammessi soggetti in possesso della qualifica di dirigente in enti e strutture pubbliche non ricomprese nel campo di applicazione dell’articolo 1, comma 2, muniti del diploma di laurea, che hanno svolto per almeno due anni le funzioni dirigenziali. Sono, inoltre, ammessi coloro che hanno ricoperto incarichi dirigenziali o equiparati in amministrazioni pubbliche per un periodo non inferiore a cinque anni, purché muniti di diploma di laurea. Sono altresì ammessi i cittadini italiani, forniti di idoneo titolo di studio universitario, che hanno maturato, con servizio continuativo per almeno quattro anni presso enti od organismi internazionali, esperienze lavorative in posizioni funzionali apicali per l’accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea (83).

3. Al corso-concorso selettivo di formazione possono essere ammessi, con le modalità stabilite nel regolamento di cui al comma 5, soggetti muniti di laurea nonché di uno dei seguenti titoli: laurea specialistica, diploma di specializzazione, dottorato di ricerca, o altro titolo post-universitario rilasciato da istituti universitari italiani o stranieri, ovvero da primarie istituzioni formative pubbliche o private, secondo modalità di riconoscimento disciplinate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e la Scuola superiore della pubblica amministrazione. Al corso-concorso possono essere ammessi dipendenti di ruolo delle pubbliche amministrazioni, muniti di laurea, che abbiano compiuto almeno cinque anni di servizio, svolti in posizioni funzionali per l’accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea. Possono essere ammessi, altresì, dipendenti di strutture private, collocati in posizioni professionali equivalenti a quelle indicate nel comma 2 per i dipendenti pubblici, secondo modalità individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. Tali dipendenti devono essere muniti del diploma di laurea e avere maturato almeno cinque anni di esperienza lavorativa in tali posizioni professionali all’interno delle strutture stesse (84).

4. Il corso di cui al comma 3 ha la durata di dodici mesi ed è seguito, previo superamento di esame, da un semestre di applicazione presso amministrazioni pubbliche o private. Al termine, i candidati sono sottoposti ad un esame-concorso finale. Ai partecipanti al corso e al periodo di applicazione è corrisposta una borsa di studio a carico della Scuola superiore della pubblica amministrazione (85).

5. Con regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro per la funzione pubblica sentita, per la parte relativa al corso-concorso, la Scuola superiore della pubblica amministrazione, sono definiti:

a) le percentuali, sul complesso dei posti di dirigente disponibili, riservate al concorso per esami e, in misura non inferiore al 30 per cento, al corso-concorso;

b) la percentuale di posti che possono essere riservati al personale di ciascuna amministrazione che indice i concorsi pubblici per esami;

c) i criteri per la composizione e la nomina delle commissioni esaminatrici;

d) le modalità di svolgimento delle selezioni, prevedendo anche la valutazione delle esperienze di servizio professionali maturate nonché, nella fase di prima applicazione del concorso di cui al comma 2, una riserva di posti non superiore al 30 per cento per il personale appartenente da almeno quindici anni alla qualifica apicale, comunque denominata, della carriera direttiva;

e) l’ammontare delle borse di studio per i partecipanti al corso-concorso (86).

6. I vincitori dei concorsi di cui al comma 2, anteriormente al conferimento del primo incarico dirigenziale, frequentano un ciclo di attività formative organizzato dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione e disciplinato ai sensi del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 287. Tale ciclo può comprendere anche l’applicazione presso amministrazioni italiane e straniere, enti o organismi internazionali, istituti o aziende pubbliche o private. Il medesimo ciclo formativo, di durata non superiore a dodici mesi, può svolgersi anche in collaborazione con istituti universitari italiani o stranieri, ovvero primarie istituzioni formative pubbliche o private.

7. In coerenza con la programmazione del fabbisogno di personale delle amministrazioni pubbliche ai sensi dell’articolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, le amministrazioni di cui al comma 1 comunicano, entro il 30 giugno di ciascun anno, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica, il numero dei posti che si renderanno vacanti nei propri ruoli dei dirigenti. Il Dipartimento della funzione pubblica, entro il 31 luglio di ciascun anno, comunica alla Scuola superiore della pubblica amministrazione i posti da coprire mediante corso-concorso di cui al comma 3. Il corso-concorso è bandito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione entro il 31 dicembre di ciascun anno (87).

7-bis. Le amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, e gli enti pubblici non economici comunicano, altresì, entro il 30 giugno di ciascun anno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica i dati complessivi e riepilogativi relativi ai ruoli, alla dotazione organica, agli incarichi dirigenziali conferiti, anche ai sensi dell’articolo 19, commi 5-bis e 6, nonché alle posizioni di comando, fuori ruolo, aspettativa e mobilità, con indicazione della decorrenza e del termine di scadenza. Le informazioni sono comunicate e tempestivamente aggiornate per via telematica a cura delle amministrazioni interessate, con inserimento nella banca dati prevista dall’articolo 23, comma 2, secondo le modalità individuate con circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica (88).

8. Restano ferme le vigenti disposizioni in materia di accesso alle qualifiche dirigenziali delle carriere diplomatica e prefettizia, delle Forze di polizia, delle Forze armate e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

9. Per le finalità di cui al presente articolo, è attribuito alla Scuola superiore della pubblica amministrazione un ulteriore contributo di 1.500 migliaia di euro a decorrere dall’anno 2002.

10. All’onere derivante dall’attuazione del comma 9, pari a 1.500 migliaia di euro a decorrere dall’anno 2002, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2002-2004, nell’àmbito dell’unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2002, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero (89).

(82) Rubrica così sostituita dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 46, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(83) Comma così modificato prima dall’art. 14, L. 29 luglio 2003, n. 229 e poi dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 46, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150. Il presente comma era stato modificato anche dall’art. 25, D.L. 10 gennaio 2006, n. 4, soppresso dalla relativa legge di conversione.

(84)  In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il D.P.C.M. 29 settembre 2004, n. 295.

(85)  Comma così modificato dall’art. 34, comma 25, L. 27 dicembre 2002, n. 289.

(86)  In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il D.P.R. 24 settembre 2004, n. 272. Vedi, anche, il D.P.C.M. 18 maggio 2005.

(87)  Comma così sostituito dall’art. 34, comma 25, L. 27 dicembre 2002, n. 289.

(88)  Comma aggiunto dall’art. 3-bis, D.L. 28 maggio 2004, n. 136, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(89)  Articolo così sostituito dall’art. 3, comma 5, L. 15 luglio 2002, n. 145. Il regolamento recante le modalità per l’ammissione al corso-concorso selettivo di formazione dirigenziale di cui al presente articolo è stato adottato con D.P.C.M. 11 febbraio 2004, n. 118.

28-bis.  Accesso alla qualifica di dirigente della prima fascia.

1. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 19, comma 4, l’accesso alla qualifica di dirigente di prima fascia nelle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, e negli enti pubblici non economici avviene, per il cinquanta per cento dei posti, calcolati con riferimento a quelli che si rendono disponibili ogni anno per la cessazione dal servizio dei soggetti incaricati, tramite concorso pubblico per titoli ed esami indetto dalle singole amministrazioni, sulla base di criteri generali stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previo parere della Scuola superiore della pubblica amministrazione.

2. Nei casi in cui lo svolgimento dei relativi incarichi richieda specifica esperienza e peculiare professionalità, alla copertura di singoli posti e comunque di una quota non superiore alla metà di quelli da mettere a concorso ai sensi del comma 1 si può provvedere, con contratti di diritto privato a tempo determinato, attraverso concorso pubblico aperto ai soggetti in possesso dei requisiti professionali e delle attitudini manageriali corrispondenti al posto di funzione da coprire. I contratti sono stipulati per un periodo non superiore a tre anni.

3. Al concorso per titoli ed esami di cui al comma 1 possono essere ammessi i dirigenti di ruolo delle pubbliche amministrazioni, che abbiano maturato almeno cinque anni di servizio nei ruoli dirigenziali e gli altri soggetti in possesso di titoli di studio e professionali individuati nei bandi di concorso, con riferimento alle specifiche esigenze dell’Amministrazione e sulla base di criteri generali di equivalenza stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previo parere della Scuola superiore della pubblica amministrazione, sentito il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca. A tale fine le amministrazioni che bandiscono il concorso tengono in particolare conto del personale di ruolo che ha esercitato per almeno cinque anni funzioni di livello dirigenziale generale all’interno delle stesse ovvero del personale appartenente all’organico dell’Unione europea in virtù di un pubblico concorso organizzato da dette istituzioni.

4. I vincitori del concorso di cui al comma 1 sono assunti dall’amministrazione e, anteriormente al conferimento dell’incarico, sono tenuti all’espletamento di un periodo di formazione presso uffici amministrativi di uno Stato dell’Unione europea o di un organismo comunitario o internazionale. In ogni caso il periodo di formazione è completato entro tre anni dalla conclusione del concorso.

5. La frequenza del periodo di formazione è obbligatoria ed è a tempo pieno, per una durata pari a sei mesi, anche non continuativi, e si svolge presso gli uffici di cui al comma 4, scelti dal vincitore tra quelli indicati dall’amministrazione.

6. Con regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, e sentita la Scuola superiore della pubblica amministrazione, sono disciplinate le modalità di compimento del periodo di formazione, tenuto anche conto di quanto previsto nell’articolo 32.

7. Al termine del periodo di formazione è prevista, da parte degli uffici di cui al comma 4, una valutazione del livello di professionalità acquisito che equivale al superamento del periodo di prova necessario per l’immissione in ruolo di cui all’articolo 70, comma 13.

8. Le spese sostenute per l’espletamento del periodo di formazione svolto presso le sedi estere di cui al comma 4 sono a carico delle singole amministrazioni nell’ambito delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente (90).

(90) Articolo aggiunto dal comma 1 dell’art. 47, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

29.  Reclutamento dei dirigenti scolastici.

(Art. 28-bis del D.Lgs. n. 29 del 1993, aggiunto dall’art. 1 del D.Lgs. n. 59 del 1998 e successivamente modificato dall’art. 11, comma 15 della legge n. 124 del 1999)

1. Il reclutamento dei dirigenti scolastici si realizza mediante un corso concorso selettivo di formazione, indetto con decreto del Ministro della pubblica istruzione, svolto in sede regionale con cadenza periodica, comprensivo di moduli di formazione comune e di moduli di formazione specifica per la scuola elementare e media, per la scuola secondaria superiore e per gli istituti educativi. Al corso concorso è ammesso il personale docente ed educativo delle istituzioni statali che abbia maturato, dopo la nomina in ruolo, un servizio effettivamente prestato di almeno sette anni con possesso di laurea, nei rispettivi settori formativi, fatto salvo quanto previsto al comma 4.

2. Il numero di posti messi a concorso in sede regionale rispettivamente per la scuola elementare e media, per la scuola secondaria superiore e per le istituzioni educative è calcolato sommando i posti già vacanti e disponibili per la nomina in ruolo alla data della sua indizione, residuati dopo gli inquadramenti di cui all’articolo 25, ovvero dopo la nomina di tutti i vincitori del precedente concorso, e i posti che si libereranno nel corso del triennio successivo per collocamento a riposo per limiti di età, maggiorati della percentuale media triennale di cessazione dal servizio per altri motivi e di un’ulteriore percentuale del 25 per cento, tenendo conto dei posti da riservare alla mobilità.

3. Il corso concorso, si articola in una selezione per titoli, in un concorso di ammissione, in un periodo di formazione e in un esame finale. Al concorso di ammissione accedono coloro che superano la selezione per titoli disciplinata dal bando di concorso. Sono ammessi al periodo di formazione i candidati utilmente inseriti nella graduatoria del concorso di ammissione entro il limite del numero dei posti messi a concorso a norma del comma 2 rispettivamente per la scuola elementare e media, per la scuola secondaria superiore e per le istituzioni educative, maggiorati del dieci per cento. Nel primo corso concorso, bandito per il numero di posti determinato ai sensi del comma 2 dopo l’avvio delle procedure di inquadramento di cui all’articolo 25, il 50 per cento dei posti così determinati è riservato a coloro che abbiano effettivamente ricoperto per almeno un triennio le funzioni di preside incaricato previo superamento di un esame di ammissione a loro riservato. Ai fini dell’accesso al corso di formazione il predetto personale viene graduato tenendo conto dell’esito del predetto esame di ammissione, dei titoli culturali e professionali posseduti e dell’anzianità di servizio maturata quale preside incaricato (91).

4. Il periodo di formazione, di durata non inferiore a quello previsto dal decreto di cui all’articolo 25, comma 2, comprende periodi di tirocinio ed esperienze presso enti e istituzioni; il numero dei moduli di formazione comune e specifica, i contenuti, la durata e le modalità di svolgimento sono disciplinati con decreto del Ministro della pubblica istruzione, d’intesa con il Ministro per la funzione pubblica, che individua anche i soggetti abilitati a realizzare la formazione. Con lo stesso decreto sono disciplinati i requisiti e i limiti di partecipazione al corso concorso per posti non coerenti con la tipologia del servizio prestato.

5. In esito all’esame finale sono dichiarati vincitori coloro che l’hanno superato, in numero non superiore ai posti messi a concorso, rispettivamente per la scuola elementare e media, per la scuola secondaria e per le istituzioni educative. Nel primo corso concorso bandito dopo l’avvio delle procedure d’inquadramento di cui all’articolo 25, il 50 per cento dei posti messi a concorso è riservato al personale in possesso dei requisiti di servizio come preside incaricato indicati al comma 3. I vincitori sono assunti in ruolo nel limite dei posti annualmente vacanti e disponibili, nell’ordine delle graduatorie definitive. In caso di rifiuto della nomina sono depennati dalla graduatoria. L’assegnazione della sede è disposta sulla base dei princìpi del presente decreto, tenuto conto delle specifiche esperienze professionali. I vincitori in attesa di nomina continuano a svolgere l’attività docente. Essi possono essere temporaneamente utilizzati, per la sostituzione dei dirigenti assenti per almeno tre mesi. Dall’anno scolastico successivo alla data di approvazione della prima graduatoria non sono più conferiti incarichi di presidenza.

6. Alla frequenza dei moduli di formazione specifica sono ammessi, nel limite del contingente stabilito in sede di contrattazione collettiva, anche i dirigenti che facciano domanda di mobilità professionale tra i diversi settori. L’accoglimento della domanda è subordinato all’esito positivo dell’esame finale relativo ai moduli frequentati.

7. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della pubblica istruzione, di concerto col Ministro per la funzione pubblica sono definiti i criteri per la composizione delle commissioni esaminatrici (92) (93).

(91)  Vedi, anche, i commi da 8 a 11 dell’art. 22, L. 28 dicembre 2001, n. 448.

(92)  In attuazione di quanto disposto nel presente comma, vedi il D.P.C.M. 30 maggio 2001, n. 341. Vedi, anche, il D.Dirett. 20 gennaio 2003 e l’art. 8-bis, D.L. 28 maggio 2004, n. 136, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(93) Per l’abrogazione parziale delle disposizioni di cui al presente articolo vedi l’art. 12, D.P.R. 10 luglio 2008, n. 140.

Capo III – Uffici, piante organiche, mobilità e accessi

29-bis.  Mobilità intercompartimentale

1. Al fine di favorire i processi di mobilità fra i comparti di contrattazione del personale delle pubbliche amministrazioni, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previo parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997, sentite le Organizzazioni sindacali è definita, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, una tabella di equiparazione fra i livelli di inquadramento previsti dai contratti collettivi relativi ai diversi comparti di contrattazione (94).

(94) Articolo aggiunto dal comma 1 dell’art. 48, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

30.  Passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse.

(Art. 33 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall’art. 13 del D.Lgs. n. 470 del 1993 e poi dall’art. 18 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall’art. 20, comma 2 della legge n. 488 del 1999)

1. Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione del contratto di lavoro di dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. Le amministrazioni devono in ogni caso rendere pubbliche le disponibilità dei posti in organico da ricoprire attraverso passaggio diretto di personale da altre amministrazioni, fissando preventivamente i criteri di scelta. Il trasferimento è disposto previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale è o sarà assegnato sulla base della professionalità in possesso del dipendente in relazione al posto ricoperto o da ricoprire (95).

1-bis. Fermo restando quanto previsto al comma 2, con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e previa intesa con la conferenza unificata, sentite le confederazioni sindacali rappresentative, sono disposte le misure per agevolare i processi di mobilità, anche volontaria, per garantire l’esercizio delle funzioni istituzionali da parte delle amministrazioni che presentano carenze di organico (96).

2. I contratti collettivi nazionali possono definire le procedure e i criteri generali per l’attuazione di quanto previsto dal comma 1. In ogni caso sono nulli gli accordi, gli atti o le clausole dei contratti collettivi volti ad eludere l’applicazione del principio del previo esperimento di mobilità rispetto al reclutamento di nuovo personale (97).

2-bis. Le amministrazioni, prima di procedere all’espletamento di procedure concorsuali, finalizzate alla copertura di posti vacanti in organico, devono attivare le procedure di mobilità di cui al comma 1, provvedendo, in via prioritaria, all’immissione in ruolo dei dipendenti, provenienti da altre amministrazioni, in posizione di comando o di fuori ruolo, appartenenti alla stessa area funzionale, che facciano domanda di trasferimento nei ruoli delle amministrazioni in cui prestano servizio. Il trasferimento è disposto, nei limiti dei posti vacanti, con inquadramento nell’area funzionale e posizione economica corrispondente a quella posseduta presso le amministrazioni di provenienza (98).

2-ter. L’immissione in ruolo di cui al comma 2-bis, limitatamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Ministero degli affari esteri, in ragione della specifica professionalità richiesta ai propri dipendenti, avviene previa valutazione comparativa dei titoli di servizio e di studio, posseduti dai dipendenti comandati o fuori ruolo al momento della presentazione della domanda di trasferimento, nei limiti dei posti effettivamente disponibili (99).

2-quater. La Presidenza del Consiglio dei Ministri, per fronteggiare le situazioni di emergenza in atto, in ragione della specifica professionalità richiesta ai propri dipendenti può procedere alla riserva di posti da destinare al personale assunto con ordinanza per le esigenze della Protezione civile e del servizio civile, nell’ambito delle procedure concorsuali di cui all’articolo 3, comma 59, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e all’articolo 1, comma 95, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (100).

2-quinquies. Salvo diversa previsione, a seguito dell’iscrizione nel ruolo dell’amministrazione di destinazione, al dipendente trasferito per mobilità si applica esclusivamente il trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi vigenti nel comparto della stessa amministrazione (101).

2-sexies. Le pubbliche amministrazioni, per motivate esigenze organizzative, risultanti dai documenti di programmazione previsti all’articolo 6, possono utilizzare in assegnazione temporanea, con le modalità previste dai rispettivi ordinamenti, personale di altre amministrazioni per un periodo non superiore a tre anni, fermo restando quanto già previsto da norme speciali sulla materia, nonché il regime di spesa eventualmente previsto da tali norme e dal presente decreto (102).

(95) Comma prima modificato dall’art. 16, L. 28 novembre 2005, n. 246 e poi così sostituito dal comma 1 dell’art. 49, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(96) Comma aggiunto dal comma 2 dell’art. 49, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(97)  Periodo aggiunto dall’art. 16, L. 28 novembre 2005, n. 246.

(98)  Comma aggiunto dal comma 1-quater dell’art. 5, D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(99)  Comma aggiunto dal comma 1-quater dell’art. 5, D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(100)  Comma aggiunto dal comma 1-quater dell’art. 5, D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(101)  Comma aggiunto dall’art. 16, L. 28 novembre 2005, n. 246.

(102) Comma aggiunto dal comma 2 dell’art. 13, L. 4 novembre 2010, n. 183.

31.  Passaggio di dipendenti per effetto di trasferimento di attività.

(Art. 34 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 19 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Fatte salve le disposizioni speciali, nel caso di trasferimento o conferimento di attività, svolte da pubbliche amministrazioni, enti pubblici o loro aziende o strutture, ad altri soggetti, pubblici o privati, al personale che passa alle dipendenze di tali soggetti si applicano l’articolo 2112 del codice civile e si osservano le procedure di informazione e di consultazione di cui all’articolo 47, commi da 1 a 4, della legge 29 dicembre 1990, n. 428.

32.  Scambio di funzionari appartenenti a Paesi diversi e temporaneo servizio all’estero.

(Art. 33-bis del D.Lgs. n. 29 del 1993, aggiunto dall’art. 11 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. Anche al fine di favorire lo scambio internazionale di esperienze amministrative, i dipendenti delle amministrazioni pubbliche, a seguito di appositi accordi di reciprocità stipulati tra le amministrazioni interessate, d’intesa con il Ministero degli affari esteri ed il Dipartimento della funzione pubblica, possono essere destinati a prestare temporaneamente servizio presso amministrazioni pubbliche degli Stati membri dell’Unione europea, degli Stati candidati all’adesione e di altri Stati con cui l’Italia intrattiene rapporti di collaborazione, nonché presso gli organismi dell’Unione europea e le organizzazioni ed enti internazionali cui l’Italia aderisce.

2. Il trattamento economico potrà essere a carico delle amministrazioni di provenienza, di quelle di destinazione o essere suddiviso tra esse, ovvero essere rimborsato in tutto o in parte allo Stato italiano dall’Unione europea o da una organizzazione o ente internazionale.

3. Il personale che presta temporaneo servizio all’estero resta a tutti gli effetti dipendente dell’amministrazione di appartenenza. L’esperienza maturata all’estero è valutata ai fini dello sviluppo professionale degli interessati.

33.  Eccedenze di personale e mobilità collettiva.

(Art. 35 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall’art. 14 del D.Lgs. n. 470 del 1993 e dall’art. 16 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e poi dall’art. 20 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall’art. 12 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. Le pubbliche amministrazioni che rilevino eccedenze di personale sono tenute ad informare preventivamente le organizzazioni sindacali di cui al comma 3 e ad osservare le procedure previste dal presente articolo. Si applicano, salvo quanto previsto dal presente articolo, le disposizioni di cui alla legge 23 luglio 1991, n. 223, ed in particolare l’articolo 4, comma 11 e l’articolo 5, commi 1 e 2, e successive modificazioni ed integrazioni.

1-bis. La mancata individuazione da parte del dirigente responsabile delle eccedenze delle unità di personale, ai sensi del comma 1, è valutabile ai fini della responsabilità per danno erariale (103).

2. Il presente articolo trova applicazione quando l’eccedenza rilevata riguardi almeno dieci dipendenti. Il numero di dieci unità si intende raggiunto anche in caso di dichiarazione di eccedenza distinte nell’arco di un anno. In caso di eccedenze per un numero inferiore a 10 unità agli interessati si applicano le disposizioni previste dai commi 7 e 8.

3. La comunicazione preventiva di cui all’articolo 4, comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223, viene fatta alle rappresentanze unitarie del personale e alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale del comparto o area. La comunicazione deve contenere l’indicazione dei motivi che determinano la situazione di eccedenza; dei motivi tecnici e organizzativi per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a riassorbire le eccedenze all’interno della medesima amministrazione; del numero, della collocazione, delle qualifiche del personale eccedente, nonché del personale abitualmente impiegato, delle eventuali proposte per risolvere la situazione di eccedenza e dei relativi tempi di attuazione, delle eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale dell’attuazione delle proposte medesime.

4. Entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 1, a richiesta delle organizzazioni sindacali di cui al comma 3, si procede all’esame delle cause che hanno contribuito a determinare l’eccedenza del personale e delle possibilità di diversa utilizzazione del personale eccedente, o di una sua parte. L’esame è diretto a verificare le possibilità di pervenire ad un accordo sulla ricollocazione totale o parziale del personale eccedente o nell’àmbito della stessa amministrazione, anche mediante il ricorso a forme flessibili di gestione del tempo di lavoro o a contratti di solidarietà, ovvero presso altre amministrazioni comprese nell’àmbito della Provincia o in quello diverso determinato ai sensi del comma 6. Le organizzazioni sindacali che partecipano all’esame hanno diritto di ricevere, in relazione a quanto comunicato dall’amministrazione, le informazioni necessarie ad un utile confronto.

5. La procedura si conclude decorsi quarantacinque giorni dalla data del ricevimento della comunicazione di cui al comma 3, o con l’accordo o con apposito verbale nel quale sono riportate le diverse posizioni delle parti. In caso di disaccordo, le organizzazioni sindacali possono richiedere che il confronto prosegua, per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e gli enti pubblici nazionali, presso il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, con l’assistenza dell’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni – ARAN, e per le altre amministrazioni, ai sensi degli articoli 3 e 4 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, e successive modificazioni ed integrazioni. La procedura si conclude in ogni caso entro sessanta giorni dalla comunicazione di cui al comma 1.

6. I contratti collettivi nazionali possono stabilire criteri generali e procedure per consentire, tenuto conto delle caratteristiche del comparto, la gestione delle eccedenze di personale attraverso il passaggio diretto ad altre amministrazioni nell’àmbito della provincia o in quello diverso che, in relazione alla distribuzione territoriale delle amministrazioni o alla situazione del mercato del lavoro, sia stabilito dai contratti collettivi nazionali. Si applicano le disposizioni dell’articolo 30.

7. Conclusa la procedura di cui ai commi 3, 4 e 5, l’amministrazione colloca in disponibilità il personale che non sia possibile impiegare diversamente nell’àmbito della medesima amministrazione e che non possa essere ricollocato presso altre amministrazioni, ovvero che non abbia preso servizio presso la diversa amministrazione che, secondo gli accordi intervenuti ai sensi dei commi precedenti, ne avrebbe consentito la ricollocazione.

8. Dalla data di collocamento in disponibilità restano sospese tutte le obbligazioni inerenti al rapporto di lavoro e il lavoratore ha diritto ad un’indennità pari all’80 per cento dello stipendio e dell’indennità integrativa speciale, con esclusione di qualsiasi altro emolumento retributivo comunque denominato, per la durata massima di ventiquattro mesi. I periodi di godimento dell’indennità sono riconosciuti ai fini della determinazione dei requisiti di accesso alla pensione e della misura della stessa. È riconosciuto altresì il diritto all’assegno per il nucleo familiare di cui all’articolo 2 del decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 1988, n. 153, e successive modificazioni ed integrazioni (104).

(103) Comma aggiunto dal comma 1 dell’art. 50, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(104) In deroga a quanto disposto dal presente articolo vedi il comma 25 dell’art. 9, D.L. 31 maggio 2010, n. 78.

34.  Gestione del personale in disponibilità.

(Art. 35-bis del D.Lgs. n. 29 del 1993, aggiunto dall’art. 21 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Il personale in disponibilità è iscritto in appositi elenchi secondo l’ordine cronologico di sospensione del relativo rapporto di lavoro (105).

2. Per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo e per gli enti pubblici non economici nazionali, il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri forma e gestisce l’elenco, avvalendosi anche, ai fini della riqualificazione professionale del personale e della sua ricollocazione in altre amministrazioni, della collaborazione delle strutture regionali e provinciali di cui al decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, e realizzando opportune forme di coordinamento con l’elenco di cui al comma 3.

3. Per le altre amministrazioni, l’elenco è tenuto dalle strutture regionali e provinciali di cui al decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, e successive modificazioni ed integrazioni, alle quali sono affidati i compiti di riqualificazione professionale e ricollocazione presso altre amministrazioni del personale. Le leggi regionali previste dal decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, nel provvedere all’organizzazione del sistema regionale per l’impiego, si adeguano ai princìpi di cui al comma 2.

4. Il personale in disponibilità iscritto negli appositi elenchi ha diritto all’indennità di cui all’articolo 33, comma 8, per la durata massima ivi prevista. La spesa relativa grava sul bilancio dell’amministrazione di appartenenza sino al trasferimento ad altra amministrazione, ovvero al raggiungimento del periodo massimo di fruizione dell’indennità di cui al medesimo comma 8. Il rapporto di lavoro si intende definitivamente risolto a tale data, fermo restando quanto previsto nell’articolo 33. Gli oneri sociali relativi alla retribuzione goduta al momento del collocamento in disponibilità sono corrisposti dall’amministrazione di appartenenza all’ente previdenziale di riferimento per tutto il periodo della disponibilità.

5. I contratti collettivi nazionali possono riservare appositi fondi per la riqualificazione professionale del personale trasferito ai sensi dell’articolo 33 o collocato in disponibilità e per favorire forme di incentivazione alla ricollocazione del personale, in particolare mediante mobilità volontaria.

6. Nell’àmbito della programmazione triennale del personale di cui all’articolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni ed integrazioni, le nuove assunzioni sono subordinate alla verificata impossibilità di ricollocare il personale in disponibilità iscritto nell’apposito elenco.

7. Per gli enti pubblici territoriali le economie derivanti dalla minore spesa per effetto del collocamento in disponibilità restano a disposizione del loro bilancio e possono essere utilizzate per la formazione e la riqualificazione del personale nell’esercizio successivo.

8. Sono fatte salve le procedure di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, relative al collocamento in disponibilità presso gli enti che hanno dichiarato il dissesto.

(105)  Comma così sostituito dal comma 1-quinquies dell’art. 5, D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

34-bis.  Disposizioni in materia di mobilità del personale.

1. Le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, con esclusione delle amministrazioni previste dall’articolo 3, comma 1, ivi compreso il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, prima di avviare le procedure di assunzione di personale, sono tenute a comunicare ai soggetti di cui all’articolo 34, commi 2 e 3, l’area, il livello e la sede di destinazione per i quali si intende bandire il concorso nonché, se necessario, le funzioni e le eventuali specifiche idoneità richieste.

2. La Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze e le strutture regionali e provinciali di cui all’articolo 34, comma 3, provvedono, entro quindici giorni dalla comunicazione, ad assegnare secondo l’anzianità di iscrizione nel relativo elenco il personale collocato in disponibilità ai sensi degli articoli 33 e 34. Le predette strutture regionali e provinciali, accertata l’assenza negli appositi elenchi di personale da assegnare alle amministrazioni che intendono bandire il concorso, comunicano tempestivamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica le informazioni inviate dalle stesse amministrazioni. Entro quindici giorni dal ricevimento della predetta comunicazione, la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, provvede ad assegnare alle amministrazioni che intendono bandire il concorso il personale inserito nell’elenco previsto dall’articolo 34, comma 2. A seguito dell’assegnazione, l’amministrazione destinataria iscrive il dipendente in disponibilità nel proprio ruolo e il rapporto di lavoro prosegue con l’amministrazione che ha comunicato l’intenzione di bandire il concorso (106).

3. Le amministrazioni possono provvedere a organizzare percorsi di qualificazione del personale assegnato ai sensi del comma 2.

4. Le amministrazioni, decorsi due mesi dalla ricezione della comunicazione di cui al comma 1 da parte del Dipartimento della funzione pubblica direttamente per le amministrazioni dello Stato e per gli enti pubblici non economici nazionali, comprese le università, e per conoscenza per le altre amministrazioni, possono procedere all’avvio della procedura concorsuale per le posizioni per le quali non sia intervenuta l’assegnazione di personale ai sensi del comma 2 (107).

5. Le assunzioni effettuate in violazione del presente articolo sono nulle di diritto. Restano ferme le disposizioni previste dall’articolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni (108).

5-bis. Ove se ne ravvisi l’esigenza per una più tempestiva ricollocazione del personale in disponibilità iscritto nell’elenco di cui all’articolo 34, comma 2, il Dipartimento della funzione pubblica effettua ricognizioni presso le amministrazioni pubbliche per verificare l’interesse all’acquisizione in mobilità dei medesimi dipendenti. Si applica l’articolo 4, comma 2, del decreto-legge 12 maggio 1995, n. 163, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 luglio 1995, n. 273 (109) (110).

(106)  Comma così sostituito dal comma 1-sexies dell’art. 5, D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(107)  Comma così modificato dal comma 1-septies dell’art. 5, D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(108)  Articolo aggiunto dall’art. 7, L. 16 gennaio 2003, n. 3.

(109)  Comma aggiunto dal comma 1-octies dell’art. 5, D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(110)  In deroga alle disposizioni contenute nel presente articolo vedi il comma 247 dell’art. 1, L. 23 dicembre 2005, n. 266.

35.  Reclutamento del personale.

(Art. 36, commi da 1 a 6 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituiti prima dall’art. 17 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e poi dall’art. 22 del D.Lgs. n. 80 del 1998, successivamente modificati dall’art. 2, comma 2-ter del decreto-legge 17 giugno 1999, n. 180 convertito con modificazioni dalla legge n. 269 del 1999; Art. 36-bis del D.Lgs. n. 29 del 1993, aggiunto dall’art. 23 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall’art. 274, comma 1 lettera aa) del D.Lgs. n. 267 del 2000)

1. L’assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene con contratto individuale di lavoro:

a) tramite procedure selettive, conformi ai princìpi del comma 3, volte all’accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano in misura adeguata l’accesso dall’esterno;

b) mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento ai sensi della legislazione vigente per le qualifiche e profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell’obbligo, facendo salvi gli eventuali ulteriori requisiti per specifiche professionalità.

2. Le assunzioni obbligatorie da parte delle amministrazioni pubbliche, aziende ed enti pubblici dei soggetti di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68, avvengono per chiamata numerica degli iscritti nelle liste di collocamento ai sensi della vigente normativa, previa verifica della compatibilità della invalidità con le mansioni da svolgere. Per il coniuge superstite e per i figli del personale delle Forze armate, delle Forze dell’ordine, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e del personale della Polizia municipale deceduto nell’espletamento del servizio, nonché delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata di cui alla legge 13 agosto 1980, n. 466, e successive modificazioni ed integrazioni, tali assunzioni avvengono per chiamata diretta nominativa.

3. Le procedure di reclutamento nelle pubbliche amministrazioni si conformano ai seguenti princìpi:

a) adeguata pubblicità della selezione e modalità di svolgimento che garantiscano l’imparzialità e assicurino economicità e celerità di espletamento, ricorrendo, ove è opportuno, all’ausilio di sistemi automatizzati, diretti anche a realizzare forme di preselezione;

b) adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti, idonei a verificare il possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire;

c) rispetto delle pari opportunità tra lavoratrici e lavoratori (111);

d) decentramento delle procedure di reclutamento;

e) composizione delle commissioni esclusivamente con esperti di provata competenza nelle materie di concorso, scelti tra funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime, che non siano componenti dell’organo di direzione politica dell’amministrazione, che non ricoprano cariche politiche e che non siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni professionali.

4. Le determinazioni relative all’avvio di procedure di reclutamento sono adottate da ciascuna amministrazione o ente sulla base della programmazione triennale del fabbisogno di personale deliberata ai sensi dell’articolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni ed integrazioni. Per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, ivi compresa l’Agenzia autonoma per la gestione dell’albo dei segretari comunali e provinciali, gli enti pubblici non economici e gli enti di ricerca, con organico superiore alle 200 unità, l’avvio delle procedure concorsuali è subordinato all’emanazione di apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare su proposta del Ministro per la funzione pubblica di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze (112) (113).

4-bis. L’avvio delle procedure concorsuali mediante l’emanazione di apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, di cui al comma 4 si applica anche alle procedure di reclutamento a tempo determinato per contingenti superiori alle cinque unità, inclusi i contratti di formazione e lavoro, e tiene conto degli aspetti finanziari, nonché dei criteri previsti dall’articolo 36 (114).

5. I concorsi pubblici per le assunzioni nelle amministrazioni dello Stato e nelle aziende autonome si espletano di norma a livello regionale. Eventuali deroghe, per ragioni tecnico-amministrative o di economicità, sono autorizzate dal Presidente del Consiglio dei ministri. Per gli uffici aventi sede regionale, compartimentale o provinciale possono essere banditi concorsi unici circoscrizionali per l’accesso alle varie professionalità (115).

5-bis. I vincitori dei concorsi devono permanere nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a cinque anni. La presente disposizione costituisce norma non derogabile dai contratti collettivi (116).

5-ter. Le graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche rimangono vigenti per un termine di tre anni dalla data di pubblicazione. Sono fatti salvi i periodi di vigenza inferiori previsti da leggi regionali. Il principio della parità di condizioni per l’accesso ai pubblici uffici è garantito, mediante specifiche disposizioni del bando, con riferimento al luogo di residenza dei concorrenti, quando tale requisito sia strumentale all’assolvimento di servizi altrimenti non attuabili o almeno non attuabili con identico risultato (117).

6. Ai fini delle assunzioni di personale presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e le amministrazioni che esercitano competenze istituzionali in materia di difesa e sicurezza dello Stato, di polizia, di giustizia ordinaria, amministrativa, contabile e di difesa in giudizio dello Stato, si applica il disposto di cui all’articolo 26 della legge 1° febbraio 1989, n. 53, e successive modificazioni ed integrazioni.

7. Il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi degli enti locali disciplina le dotazioni organiche, le modalità di assunzione agli impieghi, i requisiti di accesso e le procedure concorsuali, nel rispetto dei princìpi fissati dai commi precedenti (118).

(111) Vedi, anche, la Dir.Min. 23 maggio 2007.

(112)  Periodo così sostituito dal comma 104 dell’art. 1, L. 30 dicembre 2004, n. 311.

(113)  Le determinazioni relative all’avvio delle procedure di reclutamento di cui al presente comma sono state adottate:

– per il Ministero degli affari esteri, con D.P.R. 17 aprile 2002 (Gazz. Uff. 20 giugno 2002, n. 143), con D.P.R. 12 maggio 2003 (Gazz. Uff. 8 luglio 2003, n. 156), con D.P.R. 1° giugno 2004 (Gazz. Uff. 14 luglio 2004, n. 163) e con D.P.C.M. 26 luglio 2005.

– per il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, con D.P.R. 21 ottobre 2002 (Gazz. Uff. 20 gennaio 2003, n. 15) e con D.P.R. 3 luglio 2004 (Gazz. Uff. 2 settembre 2004, n. 206);

– per il Ministero della giustizia, con D.P.R. 12 maggio 2003 (Gazz. Uff. 8 luglio 2003, n. 156);

– per il Ministero dell’interno – Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso e della difesa civile, con D.P.R. 1° giugno 2004 (Gazz. Uff. 14 luglio 2004, n. 163);

– per i Ministeri, gli enti pubblici non economici, le agenzie e gli enti di ricerca con D.P.C.M. 4 agosto 2005;

– per i Ministeri, gli enti pubblici non economici e le agenzie con D.P.C.M. 16 gennaio 2007;

– per i Ministeri e gli enti pubblici non economici con D.P.C.M. 11 marzo 2008;

– per il Ministero dell’economia e delle finanze con D.P.C.M. 5 giugno 2009;

– per varie amministrazioni con D.P.C.M. 26 ottobre 2009.

Vedi, anche, la Dir.Min. 3 novembre 2005, n. 3/05.

(114)  Comma aggiunto dall’art. 4, D.L. 10 gennaio 2006, n. 4.

(115)  Vedi, anche, la Dir.Min. 26 febbraio 2002.

(116)  Comma aggiunto dal comma 230 dell’art. 1, L. 23 dicembre 2005, n. 266.

(117) Comma aggiunto dal comma 87 dell’art. 3, L. 24 dicembre 2007, n. 244 e poi così modificato dal comma 1 dell’art. 51, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150. In deroga al presente comma vedi l’art. 24-quater, D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, aggiunto dalla relativa legge di conversione.

(118) In deroga a quanto disposto dal presente articolo vedi il comma 2 dell’art. 1, O.P.C.M. 19 giugno 2008, n. 3685.

36.  Utilizzo di contratti di lavoro flessibile.

1. Per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato seguendo le procedure di reclutamento previste dall’articolo 35.

2. Per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali le amministrazioni pubbliche possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, nel rispetto delle procedure di reclutamento vigenti. Ferma restando la competenza delle amministrazioni in ordine alla individuazione delle necessità organizzative in coerenza con quanto stabilito dalle vigenti disposizioni di legge, i contratti collettivi nazionali provvedono a disciplinare la materia dei contratti di lavoro a tempo determinato, dei contratti di formazione e lavoro, degli altri rapporti formativi e della somministrazione di lavoro ed il lavoro accessorio di cui alla lettera d), del comma 1, dell’articolo 70 del decreto legislativo n. 276/2003, e successive modificazioni ed integrazioni, in applicazione di quanto previsto dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, dall’articolo 3 del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863, dall’articolo 16 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451, dal decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 per quanto riguarda la somministrazione di lavoro ed il lavoro accessorio di cui alla lettera d), del comma 1, dell’articolo 70 del medesimo decreto legislativo n. 276 del 2003, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché da ogni successiva modificazione o integrazione della relativa disciplina con riferimento alla individuazione dei contingenti di personale utilizzabile. Non è possibile ricorrere alla somministrazione di lavoro per l’esercizio di funzioni direttive e dirigenziali (119).

3. Al fine di combattere gli abusi nell’utilizzo del lavoro flessibile, entro il 31 dicembre di ogni anno, sulla base di apposite istruzioni fornite con Direttiva del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, le amministrazioni redigono, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, un analitico rapporto informativo sulle tipologie di lavoro flessibile utilizzate da trasmettere, entro il 31 gennaio di ciascun anno, ai nuclei di valutazione o ai servizi di controllo interno di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, nonché alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica che redige una relazione annuale al Parlamento. Al dirigente responsabile di irregolarità nell’utilizzo del lavoro flessibile non può essere erogata la retribuzione di risultato (120).

4. Le amministrazioni pubbliche comunicano, nell’ambito del rapporto di cui al precedente comma 3, anche le informazioni concernenti l’utilizzo dei lavoratori socialmente utili (121).

5. In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le amministrazioni hanno l’obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave. I dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente articolo sono responsabili anche ai sensi dell’articolo 21 del presente decreto. Di tali violazioni si terrà conto in sede di valutazione dell’operato del dirigente ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286 (122).

5-bis. Le disposizioni previste dall’articolo 5, commi 4-quater, 4-quinquies e 4-sexies del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 si applicano esclusivamente al personale reclutato secondo le procedure di cui all’articolo 35, comma 1, lettera b), del presente decreto (123) (124).

(119) Comma così modificato dall’art. 17, comma 26, lett. a), D.L. 1° luglio 2009, n. 78, come modificato dalla relativa legge di conversione.

(120) Comma così sostituito dall’art. 17, comma 26, lett. b), D.L. 1° luglio 2009, n. 78, come modificato dalla relativa legge di conversione.

(121) Comma così sostituito dall’art. 17, comma 26, lett. c), D.L. 1° luglio 2009, n. 78. Vedi, anche, la Dir.Stato 16 febbraio 2010, n. 2/2010.

(122) Articolo prima modificato dall’art. 4, D.L. 10 gennaio 2006, n. 4, come modificato dalla relativa legge di conversione, poi così sostituito dal comma 79 dell’art. 3, L. 24 dicembre 2007, n. 244 ed infine così sostituito dall’art. 49, D.L. 25 giugno 2008, n. 112. Vedi, anche, i commi 345 e 346 dell’art. 1 della stessa legge n. 244 del 2007 e il comma 2 dell’art. 1, O.P.C.M. 19 giugno 2008, n. 3685.

(123) Comma aggiunto dall’art. 17, comma 26, lett. d), D.L. 1° luglio 2009, n. 78, come modificato dalla relativa legge di conversione.

(124) In deroga a quanto disposto dal presente articolo vedi il comma 11 dell’art. 1, D.L. 4 novembre 2009, n. 152.

37.  Accertamento delle conoscenze informatiche e di lingue straniere nei concorsi pubblici.

(Art. 36-ter del D.Lgs. n. 29 del 1993, aggiunto dall’art. 13 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. A decorrere dal 1° gennaio 2000 i bandi di concorso per l’accesso alle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, prevedono l’accertamento della conoscenza dell’uso delle apparecchiature e delle applicazioni informatiche più diffuse e di almeno una lingua straniera.

2. Per i dirigenti il regolamento di cui all’articolo 28 definisce il livello di conoscenza richiesto e le modalità per il relativo accertamento.

3. Per gli altri dipendenti delle amministrazioni dello Stato, con regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni ed integrazioni, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, sono stabiliti i livelli di conoscenza, anche in relazione alla professionalità cui si riferisce il bando, e le modalità per l’accertamento della conoscenza medesima. Il regolamento stabilisce altresì i casi nei quali il comma 1 non si applica.

38.  Accesso dei cittadini degli Stati membri della Unione europea.

(Art. 37 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come modificato dall’art. 24 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. I cittadini degli Stati membri dell’Unione europea possono accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell’interesse nazionale.

2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni ed integrazioni, sono individuati i posti e le funzioni per i quali non può prescindersi dal possesso della cittadinanza italiana, nonché i requisiti indispensabili all’accesso dei cittadini di cui al comma 1.

3. Nei casi in cui non sia intervenuta una disciplina di livello comunitario, all’equiparazione dei titoli di studio e professionali si provvede con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta dei Ministri competenti. Con eguale procedura si stabilisce l’equivalenza tra i titoli accademici e di servizio rilevanti ai fini dell’ammissione al concorso e della nomina.

39.  Assunzioni obbligatorie delle categorie protette e tirocinio per portatori di handicap.

(Art. 42 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e modificato prima dall’art. 43, comma 1 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e poi dall’art. 22, comma 1 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. Le amministrazioni pubbliche promuovono o propongono programmi di assunzione per portatori di handicap ai sensi dell’articolo 11 della legge 12 marzo 1999, n. 68, sulla base delle direttive impartite dalla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica e dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, cui confluisce il Dipartimento degli affari sociali della Presidenza del Consiglio dei ministri ai sensi dell’articolo 45, comma 3 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 con le decorrenze previste dall’articolo 10, commi 3 e 4, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303 (125).

(125) In attuazione di quanto disposto dal presente articolo vedi il Provv. 16 novembre 2006, n. 992/CU.

TITOLO III

Contrattazione collettiva e rappresentatività sindacale

40.  Contratti collettivi nazionali e integrativi.

(Art. 45 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall’art. 15 del D.Lgs. n. 470 del 1993 e poi dall’art. 1 del D.Lgs. n. 396 del 1997 e successivamente modificato dall’art. 43, comma 1 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. La contrattazione collettiva determina i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro, nonché le materie relative alle relazioni sindacali. Sono, in particolare, escluse dalla contrattazione collettiva le materie attinenti all’organizzazione degli uffici, quelle oggetto di partecipazione sindacale ai sensi dell’articolo 9, quelle afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17, la materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali, nonché quelle di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 23 ottobre 1992, n. 421. Nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità e delle progressioni economiche, la contrattazione collettiva è consentita negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge (126).

2. Tramite appositi accordi tra l’ARAN e le Confederazioni rappresentative, secondo le procedure di cui agli articoli 41, comma 5, e 47, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, sono definiti fino a un massimo di quattro comparti di contrattazione collettiva nazionale, cui corrispondono non più di quattro separate aree per la dirigenza. Una apposita sezione contrattuale di un’area dirigenziale riguarda la dirigenza del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale, per gli effetti di cui all’articolo 15 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni. Nell’ambito dei comparti di contrattazione possono essere costituite apposite sezioni contrattuali per specifiche professionalità (127).

3. La contrattazione collettiva disciplina, in coerenza con il settore privato, la struttura contrattuale, i rapporti tra i diversi livelli e la durata dei contratti collettivi nazionali e integrativi. La durata viene stabilita in modo che vi sia coincidenza fra la vigenza della disciplina giuridica e di quella economica (128).

3-bis. Le pubbliche amministrazioni attivano autonomi livelli di contrattazione collettiva integrativa, nel rispetto dell’articolo 7, comma 5, e dei vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. La contrattazione collettiva integrativa assicura adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici, incentivando l’impegno e la qualità della performance ai sensi dell’articolo 45, comma 3. A tale fine destina al trattamento economico accessorio collegato alla performance individuale una quota prevalente del trattamento accessorio complessivo comunque denominato. Essa si svolge sulle materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono; essa può avere ambito territoriale e riguardare più amministrazioni. I contratti collettivi nazionali definiscono il termine delle sessioni negoziali in sede decentrata. Alla scadenza del termine le parti riassumono le rispettive prerogative e libertà di iniziativa e decisione (129).

3-ter. Al fine di assicurare la continuità e il migliore svolgimento della funzione pubblica, qualora non si raggiunga l’accordo per la stipulazione di un contratto collettivo integrativo, l’amministrazione interessata può provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo, fino alla successiva sottoscrizione. Agli atti adottati unilateralmente si applicano le procedure di controllo di compatibilità economico-finanziaria previste dall’articolo 40-bis (130).

3-quater. La Commissione di cui all’articolo 13 del decreto legislativo di attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, fornisce, entro il 31 maggio di ogni anno, all’ARAN una graduatoria di performance delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali. Tale graduatoria raggruppa le singole amministrazioni, per settori, su almeno tre livelli di merito, in funzione dei risultati di performance ottenuti. La contrattazione nazionale definisce le modalità di ripartizione delle risorse per la contrattazione decentrata tra i diversi livelli di merito assicurando l’invarianza complessiva dei relativi oneri nel comparto o nell’area di contrattazione (131).

3-quinquies. La contrattazione collettiva nazionale dispone, per le amministrazioni di cui al comma 3 dell’articolo 41, le modalità di utilizzo delle risorse indicate all’articolo 45, comma 3-bis, individuando i criteri e i limiti finanziari entro i quali si deve svolgere la contrattazione integrativa. Le regioni, per quanto concerne le proprie amministrazioni, e gli enti locali possono destinare risorse aggiuntive alla contrattazione integrativa nei limiti stabiliti dalla contrattazione nazionale e nei limiti dei parametri di virtuosità fissati per la spesa di personale dalle vigenti disposizioni, in ogni caso nel rispetto dei vincoli di bilancio e del patto di stabilità e di analoghi strumenti del contenimento della spesa. Lo stanziamento delle risorse aggiuntive per la contrattazione integrativa è correlato all’effettivo rispetto dei principi in materia di misurazione, valutazione e trasparenza della performance e in materia di merito e premi applicabili alle regioni e agli enti locali secondo quanto previsto dagli articoli 16 e 31 del decreto legislativo di attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni. Le pubbliche amministrazioni non possono in ogni caso sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con i vincoli e con i limiti risultanti dai contratti collettivi nazionali o che disciplinano materie non espressamente delegate a tale livello negoziale ovvero che comportano oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Nei casi di violazione dei vincoli e dei limiti di competenza imposti dalla contrattazione nazionale o dalle norme di legge, le clausole sono nulle, non possono essere applicate e sono sostituite ai sensi degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile. In caso di accertato superamento di vincoli finanziari da parte delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, del Dipartimento della funzione pubblica o del Ministero dell’economia e delle finanze è fatto altresì obbligo di recupero nell’ambito della sessione negoziale successiva. Le disposizioni del presente comma trovano applicazione a decorrere dai contratti sottoscritti successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo di attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni (132).

3-sexies. A corredo di ogni contratto integrativo le pubbliche amministrazioni redigono una relazione tecnico-finanziaria ed una relazione illustrativa, utilizzando gli schemi appositamente predisposti e resi disponibili tramite i rispettivi siti istituzionali dal Ministero dell’economia e delle finanze di intesa con il Dipartimento della funzione pubblica. Tali relazioni vengono certificate dagli organi di controllo di cui all’articolo 40-bis, comma 1 (133).

4. Le pubbliche amministrazioni adempiono agli obblighi assunti con i contratti collettivi nazionali o integrativi dalla data della sottoscrizione definitiva e ne assicurano l’osservanza nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti (134).

(126) Gli attuali commi da 1 a 3-sexies così sostituiscono gli originari commi da 1 a 3 ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 54, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(127) Gli attuali commi da 1 a 3-sexies così sostituiscono gli originari commi da 1 a 3 ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 54, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150. Precedentemente, il comma 2 era stato modificato dall’art. 7, comma 4, L. 15 luglio 2002, n. 145, dall’art. 14, L. 29 luglio 2003, n. 229 e dal comma 125 dell’art. 1, L. 30 dicembre 2004, n. 311.

(128) Gli attuali commi da 1 a 3-sexies così sostituiscono gli originari commi da 1 a 3 ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 54, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(129) Gli attuali commi da 1 a 3-sexies così sostituiscono gli originari commi da 1 a 3 ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 54, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(130) Gli attuali commi da 1 a 3-sexies così sostituiscono gli originari commi da 1 a 3 ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 54, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(131) Gli attuali commi da 1 a 3-sexies così sostituiscono gli originari commi da 1 a 3 ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 54, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(132) Gli attuali commi da 1 a 3-sexies così sostituiscono gli originari commi da 1 a 3 ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 54, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(133) Gli attuali commi da 1 a 3-sexies così sostituiscono gli originari commi da 1 a 3 ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 54, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(134) Il presente articolo era stato modificato, con l’aggiunta del comma 2-bis, dall’art. 10, D.L. 10 gennaio 2006, n. 4, soppresso dalla relativa legge di conversione.

40-bis.  Controlli in materia di contrattazione integrativa.

1. Il controllo sulla compatibilità dei costi della contrattazione collettiva integrativa con i vincoli di bilancio e quelli derivanti dall’applicazione delle norme di legge, con particolare riferimento alle disposizioni inderogabili che incidono sulla misura e sulla corresponsione dei trattamenti accessori è effettuato dal collegio dei revisori dei conti, dal collegio sindacale, dagli uffici centrali di bilancio o dagli analoghi organi previsti dai rispettivi ordinamenti. Qualora dai contratti integrativi derivino costi non compatibili con i rispettivi vincoli di bilancio delle amministrazioni, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 40, comma 3-quinquies, sesto periodo.

2. Per le amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, nonché per gli enti pubblici non economici e per gli enti e le istituzioni di ricerca con organico superiore a duecento unità, i contratti integrativi sottoscritti, corredati da una apposita relazione tecnico-finanziaria ed una relazione illustrativa certificate dai competenti organi di controllo previsti dal comma 1, sono trasmessi alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, che, entro trenta giorni dalla data di ricevimento, ne accertano, congiuntamente, la compatibilità economico-finanziaria, ai sensi del presente articolo e dell’articolo 40, comma 3-quinquies. Decorso tale termine, che può essere sospeso in caso di richiesta di elementi istruttori, la delegazione di parte pubblica può procedere alla stipula del contratto integrativo. Nel caso in cui il riscontro abbia esito negativo, le parti riprendono le trattative.

3. Le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, inviano entro il 31 maggio di ogni anno, specifiche informazioni sui costi della contrattazione integrativa, certificate dagli organi di controllo interno, al Ministero dell’economia e delle finanze, che predispone, allo scopo, uno specifico modello di rilevazione, d’intesa con la Corte dei conti e con la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica. Tali informazioni sono volte ad accertare, oltre il rispetto dei vincoli finanziari in ordine sia alla consistenza delle risorse assegnate ai fondi per la contrattazione integrativa sia all’evoluzione della consistenza dei fondi e della spesa derivante dai contratti integrativi applicati, anche la concreta definizione ed applicazione di criteri improntati alla premialità, al riconoscimento del merito ed alla valorizzazione dell’impegno e della qualità della performance individuale, con riguardo ai diversi istituti finanziati dalla contrattazione integrativa, nonché a parametri di selettività, con particolare riferimento alle progressioni economiche. Le informazioni sono trasmesse alla Corte dei conti che, ferme restando le ipotesi di responsabilità eventualmente ravvisabili le utilizza, unitamente a quelle trasmesse ai sensi del Titolo V, anche ai fini del referto sul costo del lavoro.

4. Le amministrazioni pubbliche hanno l’obbligo di pubblicare in modo permanente sul proprio sito istituzionale, con modalità che garantiscano la piena visibilità e accessibilità delle informazioni ai cittadini, i contratti integrativi stipulati con la relazione tecnico-finanziaria e quella illustrativa certificate dagli organi di controllo di cui al comma 1, nonché le informazioni trasmesse annualmente ai sensi del comma 3. La relazione illustrativa, fra l’altro, evidenzia gli effetti attesi in esito alla sottoscrizione del contratto integrativo in materia di produttività ed efficienza dei servizi erogati, anche in relazione alle richieste dei cittadini. Il Dipartimento per la funzione pubblica di intesa con il Ministero dell’economia e delle finanze e in sede di Conferenza unificata predispone un modello per la valutazione, da parte dell’utenza, dell’impatto della contrattazione integrativa sul funzionamento dei servizi pubblici, evidenziando le richieste e le previsioni di interesse per la collettività. Tale modello e gli esiti della valutazione vengono pubblicati sul sito istituzionale delle amministrazioni pubbliche interessate dalla contrattazione integrativa.

5. Ai fini dell’articolo 46, comma 4, le pubbliche amministrazioni sono tenute a trasmettere all’ARAN, per via telematica, entro cinque giorni dalla sottoscrizione, il testo contrattuale con l’allegata relazione tecnico-finanziaria ed illustrativa e con l’indicazione delle modalità di copertura dei relativi oneri con riferimento agli strumenti annuali e pluriennali di bilancio. I predetti testi contrattuali sono altresì trasmessi al CNEL.

6. Il Dipartimento della funzione pubblica, il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato presso il Ministero dell’economia e delle finanze e la Corte dei conti possono avvalersi ai sensi dell’articolo 17, comma 14, della legge 15 maggio 1997, n. 127, di personale in posizione di fuori ruolo o di comando per l’esercizio delle funzioni di controllo sulla contrattazione integrativa.

7. In caso di mancato adempimento delle prescrizioni del presente articolo, oltre alle sanzioni previste dall’articolo 60, comma 2, è fatto divieto alle amministrazioni di procedere a qualsiasi adeguamento delle risorse destinate alla contrattazione integrativa. Gli organi di controllo previsti dal comma 1 vigilano sulla corretta applicazione delle disposizioni del presente articolo (135).

(135) Articolo aggiunto dal comma 2 dell’art. 17, L. 28 dicembre 2001, n. 448, modificato dall’art. 14, L. 16 gennaio 2003, n. 3 e così sostituito dal comma 1 dell’art. 55, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

41.  Poteri di indirizzo nei confronti dell’ARAN.

(Art. 46 del D.Lgs n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 3 del D.Lgs. n. 396 del 1997 e successivamente modificato prima dall’art. 44, comma 3 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e poi dall’art. 55 del D.Lgs. n. 300 del 1999; Art. 44, comma 8 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Il potere di indirizzo nei confronti dell’ARAN e le altre competenze relative alle procedure di contrattazione collettiva nazionale sono esercitati dalle pubbliche amministrazioni attraverso le proprie istanze associative o rappresentative, le quali costituiscono comitati di settore che regolano autonomamente le proprie modalità di funzionamento e di deliberazione. In ogni caso, le deliberazioni assunte in materia di indirizzo all’ARAN o di parere sull’ipotesi di accordo nell’ambito della procedura di contrattazione collettiva di cui all’articolo 47, si considerano definitive e non richiedono ratifica da parte delle istanze associative o rappresentative delle pubbliche amministrazioni del comparto.

2. È costituito un comitato di settore nell’ambito della Conferenza delle Regioni, che esercita, per uno dei comparti di cui all’articolo 40, comma 2, le competenze di cui al comma 1, per le regioni, i relativi enti dipendenti, e le amministrazioni del Servizio sanitario nazionale; a tale comitato partecipa un rappresentante del Governo, designato dal Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali per le competenze delle amministrazioni del Servizio sanitario nazionale. È costituito un comitato di settore nell’ambito dell’Associazione nazionale dei Comuni italiani (ANCI), dell’Unione delle province d’Italia (UPI) e dell’Unioncamere che esercita, per uno dei comparti di cui all’articolo 40, comma 2, le competenze di cui al comma 1, per i dipendenti degli enti locali, delle Camere di commercio e dei segretari comunali e provinciali.

3. Per tutte le altre amministrazioni opera come comitato di settore il Presidente del Consiglio dei Ministri tramite il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Al fine di assicurare la salvaguardia delle specificità delle diverse amministrazioni e delle categorie di personale ivi comprese, gli indirizzi sono emanati per il sistema scolastico, sentito il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, nonché, per i rispettivi ambiti di competenza, sentiti i direttori delle Agenzie fiscali, la Conferenza dei rettori delle università italiane; le istanze rappresentative promosse dai presidenti degli enti di ricerca e degli enti pubblici non economici ed il presidente del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro.

4. Rappresentanti designati dai Comitati di settore possono assistere l’ARAN nello svolgimento delle trattative. I comitati di settore possono stipulare con l’ARAN specifici accordi per i reciproci rapporti in materia di contrattazione e per eventuali attività in comune. Nell’ambito del regolamento di organizzazione dell’ARAN per assicurare il miglior raccordo tra i Comitati di settore delle Regioni e degli enti locali e l’ARAN, a ciascun comitato corrisponde una specifica struttura, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

5. Per la stipulazione degli accordi che definiscono o modificano i comparti o le aree di contrattazione collettiva di cui all’articolo 40, comma 2, o che regolano istituti comuni a più comparti le funzioni di indirizzo e le altre competenze inerenti alla contrattazione collettiva sono esercitate collegialmente dai comitati di settore (136).

(136) Articolo prima modificato dall’art. 3, D.Lgs. 3 luglio 2003, n. 173 e poi così sostituito dal comma 1 dell’art. 56, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

42.  Diritti e prerogative sindacali nei luoghi di lavoro.

(Art. 47 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 6 del D.Lgs. n. 396 del 1997)

1. Nelle pubbliche amministrazioni la libertà e l’attività sindacale sono tutelate nelle forme previste dalle disposizioni della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni. Fino a quando non vengano emanate norme di carattere generale sulla rappresentatività sindacale che sostituiscano o modifichino tali disposizioni, le pubbliche amministrazioni, in attuazione dei criteri di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b) della legge 23 ottobre 1992, n. 421, osservano le disposizioni seguenti in materia di rappresentatività delle organizzazioni sindacali ai fini dell’attribuzione dei diritti e delle prerogative sindacali nei luoghi di lavoro e dell’esercizio della contrattazione collettiva.

2. In ciascuna amministrazione, ente o struttura amministrativa di cui al comma 8, le organizzazioni sindacali che, in base ai criteri dell’articolo 43, siano ammesse alle trattative per la sottoscrizione dei contratti collettivi, possono costituire rappresentanze sindacali aziendali ai sensi dell’articolo 19 e seguenti della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni. Ad esse spettano, in proporzione alla rappresentatività, le garanzie previste dagli articoli 23, 24 e 30 della medesima legge n. 300 del 1970, e le migliori condizioni derivanti dai contratti collettivi.

3. In ciascuna amministrazione, ente o struttura amministrativa di cui al comma 8, ad iniziativa anche disgiunta delle organizzazioni sindacali di cui al comma 2, viene altresì costituito, con le modalità di cui ai commi seguenti, un organismo di rappresentanza unitaria del personale mediante elezioni alle quali è garantita la partecipazione di tutti i lavoratori.

4. Con appositi accordi o contratti collettivi nazionali, tra l’ARAN e le confederazioni o organizzazioni sindacali rappresentative ai sensi dell’articolo 43, sono definite la composizione dell’organismo di rappresentanza unitaria del personale e le specifiche modalità delle elezioni, prevedendo in ogni caso il voto segreto, il metodo proporzionale e il periodico rinnovo, con esclusione della prorogabilità. Deve essere garantita la facoltà di presentare liste, oltre alle organizzazioni che, in base ai criteri dell’articolo 43, siano ammesse alle trattative per la sottoscrizione dei contratti collettivi, anche ad altre organizzazioni sindacali, purché siano costituite in associazione con un proprio statuto e purché abbiano aderito agli accordi o contratti collettivi che disciplinano l’elezione e il funzionamento dell’organismo. Per la presentazione delle liste, può essere richiesto a tutte le organizzazioni sindacali promotrici un numero di firme di dipendenti con diritto al voto non superiore al 3 per cento del totale dei dipendenti nelle amministrazioni, enti o strutture amministrative fino a duemila dipendenti, e del 2 per cento in quelle di dimensioni superiori (137).

5. I medesimi accordi o contratti collettivi possono prevedere che, alle condizioni di cui al comma 8, siano costituite rappresentanze unitarie del personale comuni a più amministrazioni o enti di modeste dimensioni ubicati nel medesimo territorio. Essi possono altresì prevedere che siano costituiti organismi di coordinamento tra le rappresentanze unitarie del personale nelle amministrazioni e enti con pluralità di sedi o strutture di cui al comma 8.

6. I componenti della rappresentanza unitaria del personale sono equiparati ai dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali ai fini della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, e del presente decreto. Gli accordi o contratti collettivi che regolano l’elezione e il funzionamento dell’organismo, stabiliscono i criteri e le modalità con cui sono trasferite ai componenti eletti della rappresentanza unitaria del personale le garanzie spettanti alle rappresentanze sindacali aziendali delle organizzazioni sindacali di cui al comma 2 che li abbiano sottoscritti o vi aderiscano.

7. I medesimi accordi possono disciplinare le modalità con le quali la rappresentanza unitaria del personale esercita in via esclusiva i diritti di informazione e di partecipazione riconosciuti alle rappresentanze sindacali aziendali dall’articolo 9 o da altre disposizioni della legge e della contrattazione collettiva. Essi possono altresì prevedere che, ai fini dell’esercizio della contrattazione collettiva integrativa, la rappresentanza unitaria del personale sia integrata da rappresentanti delle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale del comparto.

8. Salvo che i contratti collettivi non prevedano, in relazione alle caratteristiche del comparto, diversi criteri dimensionali, gli organismi di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo possono essere costituiti, alle condizioni previste dai commi precedenti, in ciascuna amministrazione o ente che occupi oltre quindici dipendenti. Nel caso di amministrazioni o enti con pluralità di sedi o strutture periferiche, possono essere costituiti anche presso le sedi o strutture periferiche che siano considerate livelli decentrati di contrattazione collettiva dai contratti collettivi nazionali.

9. Fermo restando quanto previsto dal comma 2, per la costituzione di rappresentanze sindacali aziendali ai sensi dell’articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, la rappresentanza dei dirigenti nelle amministrazioni, enti o strutture amministrative è disciplinata, in coerenza con la natura delle loro funzioni, agli accordi o contratti collettivi riguardanti la relativa area contrattuale.

10. Alle figure professionali per le quali nel contratto collettivo del comparto sia prevista una disciplina distinta ai sensi dell’articolo 40, comma 2, deve essere garantita una adeguata presenza negli organismi di rappresentanza unitaria del personale, anche mediante l’istituzione. tenuto conto della loro incidenza quantitativa e del numero dei componenti dell’organismo, di specifici collegi elettorali.

11. Per quanto riguarda i diritti e le prerogative sindacali delle organizzazioni sindacali delle minoranze linguistiche, nell’àmbito della provincia di Bolzano e della regione Valle d’Aosta, si applica quanto previsto dall’articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 6 gennaio 1978, n. 58, e dal decreto legislativo 28 dicembre 1989 n. 430.

(137) In deroga a quanto previsto dal presente comma vedi il comma 3 dell’art. 65, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

43.  Rappresentatività sindacale ai fini della contrattazione collettiva.

(Art. 47-bis del D.Lgs. n. 29 del 1993, aggiunto dall’art. 7 del D.Lgs. n. 396 del 1997, modificato dall’art. 44, comma 4 del D.Lgs. n. 80 del 1998; Art. 44 comma 7 del D.Lgs. n. 80 del 1998, come modificato dall’art. 22, comma 4 del D.Lgs n. 387 del 1998)

1. L’ARAN ammette alla contrattazione collettiva nazionale le organizzazioni sindacali che abbiano nel comparto o nell’area una rappresentatività non inferiore al 5 per cento, considerando a tal fine la media tra il dato associativo e il dato elettorale. Il dato associativo è espresso dalla percentuale delle deleghe per il versamento dei contributi sindacali rispetto al totale delle deleghe rilasciate nell’àmbito considerato. Il dato elettorale è espresso dalla percentuale dei voti ottenuti nelle elezioni delle rappresentanze unitarie del personale, rispetto al totale dei voti espressi nell’àmbito considerato.

2. Alla contrattazione collettiva nazionale per il relativo comparto o area partecipano altresì le confederazioni alle quali le organizzazioni sindacali ammesse alla contrattazione collettiva ai sensi del comma 1 siano affiliate.

3. L’ARAN sottoscrive i contratti collettivi verificando previamente, sulla base della rappresentatività accertata per l’ammissione alle trattative ai sensi del comma 1, che le organizzazioni sindacali che aderiscono all’ipotesi di accordo rappresentino nel loro complesso almeno il 51 per cento come media tra dato associativo e dato elettorale nel comparto o nell’area contrattuale, o almeno il 60 per cento del dato elettorale nel medesimo àmbito.

4. L’ARAN ammette alla contrattazione collettiva per la stipulazione degli accordi o contratti collettivi che definiscono o modificano i comparti o le aree o che regolano istituti comuni a tutte le pubbliche amministrazioni o riguardanti più comparti, le confederazioni sindacali alle quali, in almeno due comparti o due aree contrattuali, siano affiliate organizzazioni sindacali rappresentative ai sensi del comma 1.

5. I soggetti e le procedure della contrattazione collettiva integrativa sono disciplinati, in conformità all’articolo 40, commi 3-bis e seguenti, dai contratti collettivi nazionali, fermo restando quanto previsto dall’articolo 42, comma 7, per gli organismi di rappresentanza unitaria del personale (138).

6. Agli effetti dell’accordo tra l’ARAN e le confederazioni sindacali rappresentative, previsto dall’articolo 50, comma 1, e dei contratti collettivi che regolano la materia, le confederazioni e le organizzazioni sindacali ammesse alla contrattazione collettiva nazionale ai sensi dei commi precedenti, hanno titolo ai permessi, aspettative e distacchi sindacali, in quota proporzionale alla loro rappresentatività ai sensi del comma 1, tenendo conto anche della diffusione territoriale e della consistenza delle strutture organizzative nel comparto o nell’area.

7. La raccolta dei dati sui voti e sulle deleghe è assicurata dall’ARAN. I dati relativi alle deleghe rilasciate a ciascuna amministrazione nell’anno considerato sono rilevati e trasmessi all’ARAN non oltre il 31 marzo dell’anno successivo dalle pubbliche amministrazioni, controfirmati da un rappresentante dell’organizzazione sindacale interessata, con modalità che garantiscano la riservatezza delle informazioni. Le pubbliche amministrazioni hanno l’obbligo di indicare il funzionario responsabile della rilevazione e della trasmissione dei dati. Per il controllo sulle procedure elettorali e per la raccolta dei dati relativi alle deleghe l’ARAN si avvale, sulla base di apposite convenzioni, della collaborazione del Dipartimento della funzione pubblica, del Ministero del lavoro, delle istanze rappresentative o associative delle pubbliche amministrazioni.

8. Per garantire modalità di rilevazione certe ed obiettive, per la certificazione dei dati e per la risoluzione delle eventuali controversie è istituito presso l’ARAN un comitato paritetico, che può essere articolato per comparti, al quale partecipano le organizzazioni sindacali ammesse alla contrattazione collettiva nazionale.

9. Il comitato procede alla verifica dei dati relativi ai voti ed alle deleghe. Può deliberare che non siano prese in considerazione, ai fini della misurazione del dato associativo, le deleghe a favore di organizzazioni sindacali che richiedano ai lavoratori un contributo economico inferiore di più della metà rispetto a quello mediamente richiesto dalle organizzazioni sindacali del comparto o dell’area.

10. Il comitato delibera sulle contestazioni relative alla rilevazione dei voti e delle deleghe. Qualora vi sia dissenso, e in ogni caso quando la contestazione sia avanzata da un soggetto sindacale non rappresentato nel comitato, la deliberazione è adottata su conforme parere del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro – CNEL, che lo emana entro quindici giorni dalla richiesta. La richiesta di parere è trasmessa dal comitato al Ministro per la funzione pubblica, che provvede a presentarla al CNEL entro cinque giorni dalla ricezione.

11. Ai fini delle deliberazioni, l’ARAN e le organizzazioni sindacali rappresentate nel comitato votano separatamente e il voto delle seconde è espresso dalla maggioranza dei rappresentanti presenti.

12. A tutte le organizzazioni sindacali vengono garantite adeguate forme di informazione e di accesso ai dati, nel rispetto della legislazione sulla riservatezza delle informazioni di cui alla legge 31 dicembre 1996, n. 675, e successive disposizioni correttive ed integrative.

13. Ai sindacati delle minoranze linguistiche della Provincia di Bolzano e delle regioni Valle D’Aosta e Friuli-Venezia Giulia, riconosciuti rappresentativi agli effetti di speciali disposizioni di legge regionale e provinciale o di attuazione degli Statuti, spettano, eventualmente anche con forme di rappresentanza in comune, i medesimi diritti, poteri e prerogative, previsti per le organizzazioni sindacali considerate rappresentative in base al presente decreto. Per le organizzazioni sindacali che organizzano anche lavoratori delle minoranze linguistiche della provincia di Bolzano e della regione della Val d’Aosta, i criteri per la determinazione della rappresentatività si riferiscono esclusivamente ai rispettivi ambiti territoriali e ai dipendenti ivi impiegati.

(138) Comma così modificato dal comma 1 dell’art. 64, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

44.  Nuove forme di partecipazione alla organizzazione del lavoro.

(Art. 48 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 16 del D.Lgs n. 470 del 1993)

1. In attuazione dell’articolo 2, comma 1 lettera a), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, la contrattazione collettiva nazionale definisce nuove forme di partecipazione delle rappresentanze del personale ai fini dell’organizzazione del lavoro nelle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2. Sono abrogate le norme che prevedono ogni forma di rappresentanza, anche elettiva, del personale nei consigli di amministrazione delle predette amministrazioni pubbliche, nonché nelle commissioni di concorso. La contrattazione collettiva nazionale indicherà forme e procedure di partecipazione che sostituiranno commissioni del personale e organismi di gestione, comunque denominati.

45.  Trattamento economico.

(Art. 49 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 23 del D.Lgs. n. 546 del 1993)

1. Il trattamento economico fondamentale ed accessorio fatto salvo quanto previsto all’articolo 40, commi 3-ter e 3-quater, e all’articolo 47-bis, comma 1, è definito dai contratti collettivi (139).

2. Le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti di cui all’articolo 2, comma 2, parità di trattamento contrattuale e comunque trattamenti non inferiori a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi.

3. I contratti collettivi definiscono, in coerenza con le disposizioni legislative vigenti, trattamenti economici accessori collegati:

a) alla performance individuale;

b) alla performance organizzativa con riferimento all’amministrazione nel suo complesso e alle unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola l’amministrazione;

c) all’effettivo svolgimento di attività particolarmente disagiate ovvero pericolose o dannose per la salute (140).

3-bis. Per premiare il merito e il miglioramento della performance dei dipendenti, ai sensi delle vigenti disposizioni di legge, sono destinate, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, apposite risorse nell’ambito di quelle previste per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro (141).

4. I dirigenti sono responsabili dell’attribuzione dei trattamenti economici accessori.

5. Le funzioni ed i relativi trattamenti economici accessori del personale non diplomatico del Ministero degli affari esteri, per i servizi che si prestano all’estero presso le rappresentanze diplomatiche, gli uffici consolari e le istituzioni culturali e scolastiche, sono disciplinati, limitatamente al periodo di servizio ivi prestato, dalle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché dalle altre pertinenti normative di settore del Ministero degli affari esteri.

(139) Comma così modificato dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 57, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(140) Comma così sostituito dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 57, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(141) Comma aggiunto dalla lettera c) del comma 1 dell’art. 57, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

46.  Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni.

(Art. 50, commi da 1 a 12 e 16 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituiti prima dall’art. 17 del D.Lgs. n. 470 del 1993 e poi dall’art. 2 del D.Lgs. n. 396 del 1997)

1. Le pubbliche amministrazioni sono legalmente rappresentate dall’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni – ARAN, agli effetti della contrattazione collettiva nazionale. L’ARAN esercita a livello nazionale, in base agli indirizzi ricevuti ai sensi degli articoli 41 e 47, ogni attività relativa alle relazioni sindacali, alla negoziazione dei contratti collettivi e alla assistenza delle pubbliche amministrazioni ai fini dell’uniforme applicazione dei contratti collettivi. Sottopone alla valutazione della commissione di garanzia dell’attuazione della legge 12 giugno 1990, n. 146, e successive modificazioni e integrazioni, gli accordi nazionali sulle prestazioni indispensabili ai sensi dell’articolo 2 della legge citata.

2. Le pubbliche amministrazioni possono avvalersi dell’assistenza dell’ARAN ai fini della contrattazione integrativa. Sulla base di apposite intese, l’assistenza può essere assicurata anche collettivamente ad amministrazioni dello stesso tipo o ubicate nello stesso àmbito territoriale. Su richiesta dei comitati di settore, in relazione all’articolazione della contrattazione collettiva integrativa nel comparto ed alle specifiche esigenze delle pubbliche amministrazioni interessate, possono essere costituite, anche per periodi determinati, delegazioni dell’ARAN su base regionale o pluriregionale.

3. L’ARAN cura le attività di studio, monitoraggio e documentazione necessarie all’esercizio della contrattazione collettiva. Predispone a cadenza semestrale, ed invia al Governo, ai comitati di settore dei comparti regioni e autonomie locali e sanità e alle commissioni parlamentari competenti, un rapporto sull’evoluzione delle retribuzioni di fatto dei pubblici dipendenti. A tale fine l’ARAN si avvale della collaborazione dell’ISTAT per l’acquisizione di informazioni statistiche e per la formulazione di modelli statistici di rilevazione. L’ARAN si avvale, altresì, della collaborazione del Ministero dell’economia e delle finanze che garantisce l’accesso ai dati raccolti in sede di predisposizione del bilancio dello Stato, del conto annuale del personale e del monitoraggio dei flussi di cassa e relativi agli aspetti riguardanti il costo del lavoro pubblico (142).

4. L’ARAN effettua il monitoraggio sull’applicazione dei contratti collettivi nazionali e sulla contrattazione collettiva integrativa e presenta annualmente al Dipartimento della funzione pubblica, al Ministero dell’economia e delle finanze nonché ai comitati di settore, un rapporto in cui verifica l’effettività e la congruenza della ripartizione fra le materie regolate dalla legge, quelle di competenza della contrattazione nazionale e quelle di competenza dei contratti integrativi nonché le principali criticità emerse in sede di contrattazione collettiva nazionale ed integrativa (143).

5. Sono organi dell’ARAN:

a) il Presidente;

b) il Collegio di indirizzo e controllo (144).

6. Il Presidente dell’ARAN è nominato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione previo parere della Conferenza unificata. Il Presidente rappresenta l’agenzia ed è scelto fra esperti in materia di economia del lavoro, diritto del lavoro, politiche del personale e strategia aziendale, anche estranei alla pubblica amministrazione, nel rispetto delle disposizioni riguardanti le incompatibilità di cui al comma 7-bis. Il Presidente dura in carica quattro anni e può essere riconfermato per una sola volta. La carica di Presidente è incompatibile con qualsiasi altra attività professionale a carattere continuativo; se dipendente pubblico, è collocato in aspettativa o in posizione di fuori ruolo secondo l’ordinamento dell’amministrazione di appartenenza (145).

7. Il collegio di indirizzo e controllo è costituito da quattro componenti scelti tra esperti di riconosciuta competenza in materia di relazioni sindacali e di gestione del personale, anche estranei alla pubblica amministrazione e dal presidente dell’Agenzia che lo presiede; due di essi sono designati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta, rispettivamente, del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione e del Ministro dell’economia e delle finanze e gli altri due, rispettivamente, dall’ANCI e dall’UPI e dalla Conferenza delle Regioni e delle province autonome. Il collegio coordina la strategia negoziale e ne assicura l’omogeneità, assumendo la responsabilità per la contrattazione collettiva e verificando che le trattative si svolgano in coerenza con le direttive contenute negli atti di indirizzo. Nell’esercizio delle sue funzioni il collegio delibera a maggioranza, su proposta del presidente. Il collegio dura in carica quattro anni e i suoi componenti possono essere riconfermati per una sola volta (146).

7-bis. Non possono far parte del collegio di indirizzo e controllo né ricoprire funzioni di presidente, persone che rivestano incarichi pubblici elettivi o cariche in partiti politici ovvero che ricoprano o abbiano ricoperto nei cinque anni precedenti alla nomina cariche in organizzazioni sindacali. L’incompatibilità si intende estesa a qualsiasi rapporto di carattere professionale o di consulenza con le predette organizzazioni sindacali o politiche. L’assenza delle predette cause di incompatibilità costituisce presupposto necessario per l’affidamento degli incarichi dirigenziali nell’agenzia (147).

8. Per la sua attività, l’ARAN si avvale:

a) delle risorse derivanti da contributi posti a carico delle singole amministrazioni dei vari comparti, corrisposti in misura fissa per dipendente in servizio. La misura annua del contributo individuale è definita, sentita l’ARAN, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della pubblica amministrazione e l’innovazione, d’intesa con la Conferenza unificata ed è riferita a ciascun triennio contrattuale (148) (149);

b) di quote per l’assistenza alla contrattazione integrativa e per le altre prestazioni eventualmente richieste, poste a carico dei soggetti che se ne avvalgano.

9. La riscossione dei contributi di cui al comma 8 è effettuata:

a) per le amministrazioni dello Stato mediante l’assegnazione di risorse pari all’ammontare dei contributi che si prevedono dovuti nell’esercizio di riferimento. L’assegnazione è effettuata annualmente sulla base della quota definita al comma 8, lettera a), con la legge annuale di bilancio, con imputazione alla pertinente unità previsionale di base dello stato di previsione del Ministero dell’economia e finanze (150);

b) per le amministrazioni diverse dallo Stato, mediante un sistema di trasferimenti da definirsi tramite decreti del Ministro per la funzione pubblica di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e, a seconda del comparto, dei Ministri competenti, nonché, per gli aspetti di interesse regionale e locale, previa intesa espressa dalla Conferenza unificata Stato-regioni e Stato-città.

10. L’ARAN ha personalità giuridica di diritto pubblico. Ha autonomia organizzativa e contabile nei limiti del proprio bilancio. Affluiscono direttamente al bilancio dell’ARAN i contributi di cui al comma 8. L’ARAN definisce con propri regolamenti le norme concernenti l’organizzazione interna, il funzionamento e la gestione finanziaria. I regolamenti sono soggetti al controllo del Dipartimento della funzione pubblica e del Ministero dell’economia e delle finanze, adottati d’intesa con la Conferenza unificata, da esercitarsi entro quarantacinque giorni dal ricevimento degli stessi. La gestione finanziaria è soggetta al controllo consuntivo della Corte dei conti (151).

11. Il ruolo del personale dipendente dell’ARAN è definito in base ai regolamenti di cui al comma 10. Alla copertura dei relativi posti si provvede nell’àmbito delle disponibilità di bilancio tramite concorsi pubblici, ovvero mediante assunzioni con contratto di lavoro a tempo determinato, regolati dalle norme di diritto privato (152).

12. L’ARAN può altresì avvalersi di un contingente di personale, anche di qualifica dirigenziale, proveniente dalle pubbliche amministrazioni rappresentate, in posizione di comando o fuori ruolo in base ai regolamenti di cui al comma 10. I dipendenti comandati o collocati fuori ruolo conservano lo stato giuridico ed il trattamento economico delle amministrazioni di provenienza. Ad essi sono attribuite dall’ARAN, secondo le disposizioni contrattuali vigenti, le voci retributive accessorie, ivi compresa la produttività per il personale non dirigente e per i dirigenti la retribuzione di posizione e di risultato. Il collocamento in posizione di comando o di fuori ruolo è disposto secondo le disposizioni vigenti nonché ai sensi dell’articolo 17, comma 14, della legge 15 maggio 1997, n. 127. L’ARAN può utilizzare, sulla base di apposite intese, anche personale direttamente messo a disposizione dalle amministrazioni e dagli enti rappresentati, con oneri a carico di questi. L’ARAN può avvalersi di esperti e collaboratori esterni con modalità di rapporto stabilite con i regolamenti adottati ai sensi del comma 10, nel rispetto dell’articolo 7, commi 6 e seguenti (153).

13. Le regioni a statuto speciale e le province autonome possono avvalersi, per la contrattazione collettiva di loro competenza, di agenzie tecniche istituite con legge regionale o provinciale ovvero dell’assistenza dell’ARAN ai sensi del comma 2.

(142) Comma così sostituito dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 58, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(143) Comma così sostituito dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 58, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(144) Comma così sostituito dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 58, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(145) Comma così sostituito dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 58, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(146) Comma così sostituito dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 58, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(147) Comma aggiunto dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 58, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(148) Lettera così modificata dalla lettera c) del comma 1 dell’art. 58, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(149)  All’individuazione dei contributi annuali che le regioni sono tenute a versare all’ARAN si è provveduto, per l’anno 2002, con D.M. 13 dicembre 2001 (Gazz. Uff. 15 febbraio 2002, n. 39); per l’anno 2003, con D.M. 12 novembre 2002 (Gazz. Uff. 10 dicembre 2002, n. 289); per l’anno 2004, con D.M. 21 novembre 2003 (Gazz. Uff. 5 dicembre 2003, n. 283); per l’anno 2005, con D.M. 6 dicembre 2004 (Gazz. Uff. 14 dicembre 2004, n. 292); per l’anno 2006, con D.M. 3 febbraio 2006 (Gazz. Uff. 7 marzo 2006, n. 55); per l’anno 2007, con D.M. 11 ottobre 2006 (Gazz. Uff. 31 ottobre 2006, n. 254); per l’anno 2008, con D.M. 17 ottobre 2007 (Gazz. Uff. 29 dicembre 2007, n. 301); per l’anno 2009, con D.M. 11 novembre 2008 (Gazz. Uff. 19 novembre 2008, n. 271); per l’anno 2010, con D.M. 28 ottobre 2009 (Gazz. Uff. 9 dicembre 2009, n. 286).

(150) Lettera così sostituita dalla lettera d) del comma 1 dell’art. 58, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(151) Comma così modificato dalla lettera e) del comma 1 dell’art. 58, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(152) Comma così modificato dalla lettera f) del comma 1 dell’art. 58, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(153) Comma così modificato dalla lettera g) del comma 1 dell’art. 58, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

47.  Procedimento di contrattazione collettiva.

(Art. 51 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall’art. 18 del D.Lgs. n. 470 del 1993 e poi dall’art. 4 del D.Lgs. n. 396 del 1997 e successivamente modificato dall’art. 14, comma 1 del D.Lgs. n. 387 del 1998; Art. 44, comma 6 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Gli indirizzi per la contrattazione collettiva nazionale sono emanati dai Comitati di settore prima di ogni rinnovo contrattuale.

2. Gli atti di indirizzo delle amministrazioni di cui all’articolo 41, comma 2, emanati dai rispettivi comitati di settore, sono sottoposti al Governo che, nei successivi venti giorni, può esprimere le sue valutazioni per quanto attiene agli aspetti riguardanti la compatibilità con le linee di politica economica e finanziaria nazionale. Trascorso inutilmente tale termine l’atto di indirizzo può essere inviato all’ARAN.

3. Sono altresì inviati appositi atti di indirizzo all’ARAN in tutti gli altri casi in cui è richiesta una attività negoziale. L’ARAN informa costantemente i comitati di settore e il Governo sullo svolgimento delle trattative.

4. L’ipotesi di accordo è trasmessa dall’ARAN, corredata dalla prescritta relazione tecnica, ai comitati di settore ed al Governo entro 10 giorni dalla data di sottoscrizione. Per le amministrazioni di cui all’articolo 41, comma 2, il comitato di settore esprime il parere sul testo contrattuale e sugli oneri finanziari diretti e indiretti a carico dei bilanci delle amministrazioni interessate. Fino alla data di entrata in vigore dei decreti di attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, il Consiglio dei Ministri può esprimere osservazioni entro 20 giorni dall’invio del contratto da parte dell’ARAN. Per le amministrazioni di cui al comma 3 del medesimo articolo 41, il parere è espresso dal Presidente del Consiglio dei Ministri, tramite il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri.

5. Acquisito il parere favorevole sull’ipotesi di accordo, nonché la verifica da parte delle amministrazioni interessate sulla copertura degli oneri contrattuali, il giorno successivo l’ARAN trasmette la quantificazione dei costi contrattuali alla Corte dei conti ai fini della certificazione di compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio di cui all’articolo 1-bis della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. La Corte dei conti certifica l’attendibilità dei costi quantificati e la loro compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio. La Corte dei conti delibera entro quindici giorni dalla trasmissione della quantificazione dei costi contrattuali, decorsi i quali la certificazione si intende effettuata positivamente. L’esito della certificazione viene comunicato dalla Corte all’ARAN, al comitato di settore e al Governo. Se la certificazione è positiva, il presidente dell’ARAN sottoscrive definitivamente il contratto collettivo.

6. La Corte dei conti può acquisire elementi istruttori e valutazioni sul contratto collettivo da parte di tre esperti in materia di relazioni sindacali e costo del lavoro individuati dal Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, tramite il Capo del Dipartimento della funzione pubblica di intesa con il Capo del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, nell’ambito di un elenco definito di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Nel caso delle amministrazioni di cui all’articolo 41, comma 2, la designazione di due esperti viene effettuata dall’ANCI, dall’UPI e dalla Conferenza delle Regioni e delle province autonome.

7. In caso di certificazione non positiva della Corte dei conti le parti contraenti non possono procedere alla sottoscrizione definitiva dell’ipotesi di accordo. Nella predetta ipotesi, il Presidente dell’ARAN, d’intesa con il competente comitato di settore, che può dettare indirizzi aggiuntivi, provvede alla riapertura delle trattative ed alla sottoscrizione di una nuova ipotesi di accordo adeguando i costi contrattuali ai fini delle certificazioni. In seguito alla sottoscrizione della nuova ipotesi di accordo si riapre la procedura di certificazione prevista dai commi precedenti. Nel caso in cui la certificazione non positiva sia limitata a singole clausole contrattuali l’ipotesi può essere sottoscritta definitivamente ferma restando l’inefficacia delle clausole contrattuali non positivamente certificate.

8. I contratti e accordi collettivi nazionali, nonché le eventuali interpretazioni autentiche sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana oltre che sul sito dell’ARAN e delle amministrazioni interessate.

9. Dal computo dei termini previsti dal presente articolo sono esclusi i giorni considerati festivi per legge, nonché il sabato (154).

(154) Articolo prima modificato dal comma 1 dell’art. 17, L. 28 dicembre 2001, n. 448, dal comma 548 dell’art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296 e dall’art. 67, comma 7, D.L. 25 giugno 2008, n. 112 e poi così sostituito dal comma 1 dell’art. 59, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

47-bis. Tutela retributiva per i dipendenti pubblici.

1. Decorsi sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge finanziaria che dispone in materia di rinnovi dei contratti collettivi per il periodo di riferimento, gli incrementi previsti per il trattamento stipendiale possono essere erogati in via provvisoria previa deliberazione dei rispettivi comitati di settore, sentite le organizzazioni sindacali rappresentative. salvo conguaglio all’atto della stipulazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro.

2. In ogni caso a decorrere dal mese di aprile dell’anno successivo alla scadenza del contratto collettivo nazionale di lavoro, qualora lo stesso non sia ancora stato rinnovato e non sia stata disposta l’erogazione di cui al comma 1, è riconosciuta ai dipendenti dei rispettivi comparti di contrattazione, nella misura e con le modalità stabilite dai contratti nazionali, e comunque entro i limiti previsti dalla legge finanziaria in sede di definizione delle risorse contrattuali, una copertura economica che costituisce un’anticipazione dei benefici complessivi che saranno attribuiti all’atto del rinnovo contrattuale (155).

(155) Articolo aggiunto dal comma 2 dell’art. 59, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

48.  Disponibilità destinate alla contrattazione collettiva nelle amministrazioni pubbliche e verifica.

(Art. 52 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall’art. 19 del D.Lgs. n. 470 del 1993 e poi dall’art. 5 del D.Lgs. n. 396 del 1997 e successivamente modificato dall’art. 14, commi da 2 a 4 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. Il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, quantifica, in coerenza con i parametri previsti dagli strumenti di programmazione e di bilancio di cui all’articolo 1-bis della legge 5 agosto 1978, n. 468 e successive modificazioni e integrazioni, l’onere derivante dalla contrattazione collettiva nazionale a carico del bilancio dello Stato con apposita norma da inserire nella legge finanziaria ai sensi dell’articolo 11 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni ed integrazioni. Allo stesso modo sono determinati gli eventuali oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato per la contrattazione integrativa delle amministrazioni dello Stato di cui all’articolo 40, comma 3-bis (156).

2. Per le amministrazioni di cui all’articolo 41, comma 2, nonché per le università italiane, gli enti pubblici non economici e gli enti e le istituzioni di ricerca, ivi compresi gli enti e le amministrazioni di cui all’articolo 70, comma 4, gli oneri derivanti dalla contrattazione collettiva nazionale sono determinati a carico dei rispettivi bilanci nel rispetto dell’articolo 40, comma 3-quinquies. Le risorse per gli incrementi retributivi per il rinnovo dei contratti collettivi nazionali delle amministrazioni regionali, locali e degli enti del Servizio sanitario nazionale sono definite dal Governo, nel rispetto dei vincoli di bilancio, del patto di stabilità e di analoghi strumenti di contenimento della spesa, previa consultazione con le rispettive rappresentanze istituzionali del sistema delle autonomie (157).

3. I contratti collettivi sono corredati da prospetti contenenti la quantificazione degli oneri nonché l’indicazione della copertura complessiva per l’intero periodo di validità contrattuale, prevedendo con apposite clausole la possibilità di prorogare l’efficacia temporale del contratto ovvero di sospenderne l’esecuzione parziale o totale in caso di accertata esorbitanza dai limiti di spesa.

4. La spesa posta a carico del bilancio dello Stato è iscritta in apposito fondo dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica in ragione dell’ammontare complessivo. In esito alla sottoscrizione dei singoli contratti di comparto, il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica è autorizzato a ripartire, con propri decreti, le somme destinate a ciascun comparto mediante assegnazione diretta a favore dei competenti capitoli di bilancio, anche di nuova istituzione per il personale dell’amministrazione statale, ovvero mediante trasferimento ai bilanci delle amministrazioni autonome e degli enti in favore dei quali sia previsto l’apporto finanziario dello Stato a copertura dei relativi oneri. Per le amministrazioni diverse dalle amministrazioni dello Stato e per gli altri enti cui si applica il presente decreto, l’autorizzazione di spesa relativa al rinnovo dei contratti collettivi è disposta nelle stesse forme con cui vengono approvati i bilanci, con distinta indicazione dei mezzi di copertura.

5. Le somme provenienti dai trasferimenti di cui al comma 4 devono trovare specifica allocazione nelle entrate dei bilanci delle amministrazioni ed enti beneficiari, per essere assegnate ai pertinenti capitoli di spesa dei medesimi bilanci. I relativi stanziamenti sia in entrata che in uscita non possono essere incrementati se non con apposita autorizzazione legislativa.

6. [Il controllo sulla compatibilità dei costi della contrattazione collettiva integrativa con i vincoli di bilancio ai sensi dell’articolo 40, comma 3, è effettuato dal collegio dei revisori dei conti ovvero, laddove tale organo non sia previsto, dai nuclei di valutazione o dai servizi di controllo interno ai sensi del D.Lgs 30 luglio 1999, n. 286] (158).

7. Ferme restando le disposizioni di cui al titolo V del presente decreto, la Corte dei conti, anche nelle sue articolazioni regionali di controllo, verifica periodicamente gli andamenti della spesa per il personale delle pubbliche amministrazioni, utilizzando, per ciascun comparto, insiemi significativi di amministrazioni. A tal fine, la Corte dei conti può avvalersi, oltre che dei servizi di controllo interno o nuclei di valutazione, di esperti designati a sua richiesta da amministrazioni ed enti pubblici.

(156) Comma così modificato dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 60, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150. Vedi, anche, il comma 88 dell’art. 1, L. 30 dicembre 2004, n. 311.

(157) Comma così sostituito dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 60, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(158) Comma abrogato dalla lettera c) del comma 1 dell’art. 60, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

49.  Interpretazione autentica dei contratti collettivi.

(Art. 53 del D.Lgs n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 24 del D.Lgs n. 546 del 1993 e successivamente modificato dall’art. 43, comma 1 del D.Lgs n. 80 del 1998)

1. Quando insorgano controversie sull’interpretazione dei contratti collettivi, le parti che li hanno sottoscritti si incontrano per definire consensualmente il significato delle clausole controverse.

2. L’eventuale accordo di interpretazione autentica, stipulato con le procedure di cui all’articolo 47, sostituisce la clausola in questione sin dall’inizio della vigenza del contratto. Qualora tale accordo non comporti oneri aggiuntivi e non vi sia divergenza sulla valutazione degli stessi, il parere del Presidente del Consiglio dei Ministri è espresso tramite il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze (159).

(159) Articolo così sostituito dal comma 1 dell’art. 61, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

50.  Aspettative e permessi sindacali.

(Art. 54, commi da 1 a 3 e 5 del D.Lgs n. 29 del 1993, come modificati prima dall’art. 20 del D.Lgs n. 470 del 1993 poi dall’art. 2 del decreto legge n. 254 del 1996, convertito con modificazioni dalla legge n. 365 del 1996, e, infine, dall’art. 44, comma 5 del D.Lgs n. 80 del 1998)

1. Al fine del contenimento, della trasparenza e della razionalizzazione delle aspettative e dei permessi sindacali nel settore pubblico, la contrattazione collettiva ne determina i limiti massimi in un apposito accordo, tra l’ARAN e le confederazioni sindacali rappresentative ai sensi dell’articolo 43.

2. La gestione dell’accordo di cui al comma 1, ivi comprese le modalità di utilizzo e distribuzione delle aspettative e dei permessi sindacali tra le confederazioni e le organizzazioni sindacali aventi titolo sulla base della loro rappresentatività e con riferimento a ciascun comparto e area separata di contrattazione, è demandata alla contrattazione collettiva, garantendo a decorrere dal 1° agosto 1996 in ogni caso l’applicazione della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni. Per la provincia autonoma di Bolzano si terrà conto di quanto previsto dall’articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 6 gennaio 1978, n. 58.

3. Le amministrazioni pubbliche sono tenute a fornire alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica – il numero complessivo ed i nominativi dei beneficiari dei permessi sindacali.

4. Oltre ai dati relativi ai permessi sindacali, le pubbliche amministrazioni sono tenute a fornire alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica gli elenchi nominativi, suddivisi per qualifica, del personale dipendente collocato in aspettativa, in quanto chiamato a ricoprire una funzione pubblica elettiva, ovvero per motivi sindacali. I dati riepilogativi dei predetti elenchi sono pubblicati in allegato alla relazione annuale da presentare al Parlamento ai sensi dell’articolo 16 della legge 29 marzo 1983, n. 93.

TITOLO IV

Rapporto di lavoro

51.  Disciplina del rapporto di lavoro.

(Art. 55 del D.Lgs n. 29 del 1993)

1. Il rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche è disciplinato secondo le disposizioni degli articoli 2, commi 2 e 3, e 3, comma 1.

2. La legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, si applica alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti.

52.  Disciplina delle mansioni.

(Art. 56 del D.Lgs n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 25 del D.Lgs n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall’art. 15 del D.Lgs n. 387 del 1998)

1. Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell’ambito dell’area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive di cui all’articolo 35, comma 1, lettera a). L’esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore o dell’assegnazione di incarichi di direzione (160).

1-bis. I dipendenti pubblici, con esclusione dei dirigenti e del personale docente della scuola, delle accademie, conservatori e istituti assimilati, sono inquadrati in almeno tre distinte aree funzionali. Le progressioni all’interno della stessa area avvengono secondo principi di selettività, in funzione delle qualità culturali e professionali, dell’attività svolta e dei risultati conseguiti, attraverso l’attribuzione di fasce di merito. Le progressioni fra le aree avvengono tramite concorso pubblico, ferma restando la possibilità per l’amministrazione di destinare al personale interno, in possesso dei titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno, una riserva di posti comunque non superiore al 50 per cento di quelli messi a concorso. La valutazione positiva conseguita dal dipendente per almeno tre anni costituisce titolo rilevante ai fini della progressione economica e dell’attribuzione dei posti riservati nei concorsi per l’accesso all’area superiore (161).

1-ter. Per l’accesso alle posizioni economiche apicali nell’ambito delle aree funzionali è definita una quota di accesso nel limite complessivo del 50 per cento da riservare a concorso pubblico sulla base di un corso-concorso bandito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione (162).

2. Per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro può essere adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore:

a) nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti come previsto al comma 4;

b) nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell’assenza per ferie, per la durata dell’assenza.

3. Si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente articolo, soltanto l’attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni.

4. Nei casi di cui al comma 2, per il periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore. Qualora l’utilizzazione del dipendente sia disposta per sopperire a vacanze dei posti in organico, immediatamente, e comunque nel termine massimo di novanta giorni dalla data in cui il dipendente è assegnato alle predette mansioni, devono essere avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti.

5. Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l’assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore. Il dirigente che ha disposto l’assegnazione risponde personalmente del maggiore onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave.

6. Le disposizioni del presente articolo si applicano in sede di attuazioni della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita. I medesimi contratti collettivi possono regolare diversamente gli effetti di cui ai commi 2, 3 e 4. Fino a tale data, in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza, può comportare il diritto ad avanzamenti automatici nell’inquadramento professionale del lavoratore.

(160) Gli attuali commi da 1 a 1-ter così sostituiscono l’originario comma 1 ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 62, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(161) Gli attuali commi da 1 a 1-ter così sostituiscono l’originario comma 1 ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 62, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(162) Gli attuali commi da 1 a 1-ter così sostituiscono l’originario comma 1 ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 62, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

53.  Incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi.

(Art. 58 del D.Lgs n. 29 del 1993, come modificato prima dall’art. 2 del decreto-legge n. 358 del 1993, convertito dalla legge n. 448 del 1993, poi dall’art. 1 del decreto-legge n. 361 del 1995, convertito con modificazioni dalla legge n. 437 del 1995, e, infine, dall’art. 26 del D.Lgs n. 80 del 1998, nonché dall’art. 16 del D.Lgs n. 387 del 1998)

1. Resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, salva la deroga prevista dall’articolo 23-bis del presente decreto, nonché, per i rapporti di lavoro a tempo parziale, dall’articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 marzo 1989, n. 117 e dall’articolo 1, commi 57 e seguenti della legge 23 dicembre 1996, n. 662. Restano ferme altresì le disposizioni di cui agli articoli 267, comma 1, 273, 274, 508 nonché 676 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, all’articolo 9, commi 1 e 2, della legge 23 dicembre 1992, n. 498, all’articolo 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, ed ogni altra successiva modificazione ed integrazione della relativa disciplina (163).

1-bis. Non possono essere conferiti incarichi di direzione di strutture deputate alla gestione del personale a soggetti che rivestano o abbiano rivestito negli ultimi due anni cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali o che abbiano avuto negli ultimi due anni rapporti continuativi di collaborazione o di consulenza con le predette organizzazioni (164).

2. Le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati (165).

3. Ai fini previsti dal comma 2, con appositi regolamenti, da emanarsi ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono individuati gli incarichi consentiti e quelli vietati ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, nonché agli avvocati e procuratori dello Stato, sentiti, per le diverse magistrature, i rispettivi istituti.

4. Nel caso in cui i regolamenti di cui al comma 3 non siano emanati, l’attribuzione degli incarichi è consentita nei soli casi espressamente previsti dalla legge o da altre fonti normative.

5. In ogni caso, il conferimento operato direttamente dall’amministrazione, nonché l’autorizzazione all’esercizio di incarichi che provengano da amministrazione pubblica diversa da quella di appartenenza, ovvero da società o persone fisiche, che svolgono attività d’impresa o commerciale, sono disposti dai rispettivi organi competenti secondo criteri oggettivi e predeterminati, che tengano conto della specifica professionalità, tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell’interesse del buon andamento della pubblica amministrazione.

6. I commi da 7 a 13 del presente articolo si applicano ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, compresi quelli di cui all’articolo 3, con esclusione dei dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno, dei docenti universitari a tempo definito e delle altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-professionali. Gli incarichi retribuiti, di cui ai commi seguenti, sono tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso. Sono esclusi i compensi derivanti:

a) dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili;

b) dalla utilizzazione economica da parte dell’autore o inventore di opere dell’ingegno e di invenzioni industriali;

c) dalla partecipazione a convegni e seminari;

d) da incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate;

e) da incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o fuori ruolo;

f) da incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita;

f-bis) da attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione (166).

7. I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza. Con riferimento ai professori universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell’autorizzazione nei casi previsti dal presente decreto. In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti.

8. Le pubbliche amministrazioni non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti di altre amministrazioni pubbliche senza la previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi. Salve le più gravi sanzioni, il conferimento dei predetti incarichi, senza la previa autorizzazione, costituisce in ogni caso infrazione disciplinare per il funzionario responsabile del procedimento; il relativo provvedimento è nullo di diritto. In tal caso l’importo previsto come corrispettivo dell’incarico, ove gravi su fondi in disponibilità dell’amministrazione conferente, è trasferito all’amministrazione di appartenenza del dipendente ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti.

9. Gli enti pubblici economici e i soggetti privati non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi. In caso di inosservanza si applica la disposizione dell’articolo 6, comma 1, del decreto legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, e successive modificazioni ed integrazioni. All’accertamento delle violazioni e all’irrogazione delle sanzioni provvede il Ministero delle finanze, avvalendosi della Guardia di finanza, secondo le disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni ed integrazioni. Le somme riscosse sono acquisite alle entrate del Ministero delle finanze.

10. L’autorizzazione, di cui ai commi precedenti, deve essere richiesta all’amministrazione di appartenenza del dipendente dai soggetti pubblici o privati, che intendono conferire l’incarico; può, altresì, essere richiesta dal dipendente interessato. L’amministrazione di appartenenza deve pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta stessa.

Per il personale che presta comunque servizio presso amministrazioni pubbliche diverse da quelle di appartenenza, l’autorizzazione è subordinata all’intesa tra le due amministrazioni. In tal caso il termine per provvedere è per l’amministrazione di appartenenza di 45 giorni e si prescinde dall’intesa se l’amministrazione presso la quale il dipendente presta servizio non si pronunzia entro 10 giorni dalla ricezione della richiesta di intesa da parte dell’amministrazione di appartenenza. Decorso il termine per provvedere, l’autorizzazione, se richiesta per incarichi da conferirsi da amministrazioni pubbliche, si intende accordata; in ogni altro caso, si intende definitivamente negata.

11. Entro il 30 aprile di ciascun anno, i soggetti pubblici o privati che erogano compensi a dipendenti pubblici per gli incarichi di cui al comma 6 sono tenuti a dare comunicazione all’amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi dei compensi erogati nell’anno precedente.

12. Entro il 30 giugno di ciascun anno, le amministrazioni pubbliche che conferiscono o autorizzano incarichi retribuiti ai propri dipendenti sono tenute a comunicare, in via telematica o su apposito supporto magnetico, al Dipartimento della funzione pubblica l’elenco degli incarichi conferiti o autorizzati ai dipendenti stessi nell’anno precedente, con l’indicazione dell’oggetto dell’incarico e del compenso lordo previsto o presunto. L’elenco è accompagnato da una relazione nella quale sono indicate le norme in applicazione delle quali gli incarichi sono stati conferiti o autorizzati, le ragioni del conferimento o dell’autorizzazione, i criteri di scelta dei dipendenti cui gli incarichi sono stati conferiti o autorizzati e la rispondenza dei medesimi ai princìpi di buon andamento dell’amministrazione, nonché le misure che si intendono adottare per il contenimento della spesa. Nello stesso termine e con le stesse modalità le amministrazioni che, nell’anno precedente, non hanno conferito o autorizzato incarichi ai propri dipendenti, anche se comandati o fuori ruolo, dichiarano di non aver conferito o autorizzato incarichi.

13. Entro lo stesso termine di cui al comma 12 le amministrazioni di appartenenza sono tenute a comunicare al Dipartimento della funzione pubblica, in via telematica o su apposito supporto magnetico, per ciascuno dei propri dipendenti e distintamente per ogni incarico conferito o autorizzato, i compensi, relativi all’anno precedente, da esse erogati o della cui erogazione abbiano avuto comunicazione dai soggetti di cui al comma 11.

14. Al fine della verifica dell’applicazione delle norme di cui all’articolo 1, commi 123 e 127, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e successive modificazioni e integrazioni, le amministrazioni pubbliche sono tenute a comunicare al Dipartimento della funzione pubblica, in via telematica o su supporto magnetico, entro il 30 giugno di ciascun anno, i compensi percepiti dai propri dipendenti anche per incarichi relativi a compiti e doveri d’ufficio; sono altresì tenute a comunicare semestralmente l’elenco dei collaboratori esterni e dei soggetti cui sono stati affidati incarichi di consulenza, con l’indicazione della ragione dell’incarico e dell’ammontare dei compensi corrisposti. Le amministrazioni rendono noti, mediante inserimento nelle proprie banche dati accessibili al pubblico per via telematica, gli elenchi dei propri consulenti indicando l’oggetto, la durata e il compenso dell’incarico. Entro il 31 dicembre di ciascun anno il Dipartimento della funzione pubblica trasmette alla Corte dei conti l’elenco delle amministrazioni che hanno omesso di effettuare la comunicazione, avente ad oggetto l’elenco dei collaboratori esterni e dei soggetti cui sono stati affidati incarichi di consulenza (167).

15. Le amministrazioni che omettono gli adempimenti di cui ai commi da 11 a 14 non possono conferire nuovi incarichi fino a quando non adempiono. I soggetti di cui al comma 9 che omettono le comunicazioni di cui al comma 11 incorrono nella sanzione di cui allo stesso comma 9.

16. Il Dipartimento della funzione pubblica, entro il 31 dicembre di ciascun anno, riferisce al Parlamento sui dati raccolti, adotta le relative misure di pubblicità e trasparenza e formula proposte per il contenimento della spesa per gli incarichi e per la razionalizzazione dei criteri di attribuzione degli incarichi stessi (168) (169).

16-bis. La Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica può disporre verifiche del rispetto delle disposizioni del presente articolo e dell’articolo 1, commi 56 e seguenti, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, per il tramite dell’Ispettorato per la funzione pubblica. A tale fine quest’ultimo opera d’intesa con i Servizi ispettivi di finanza pubblica del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato (170).

(163)  Comma prima rettificato con Comunicato 16 ottobre 2001 (Gazz. Uff. 16 ottobre 2001, n. 241) e successivamente così modificato dall’art. 3, comma 8, lettera b), L. 15 luglio 2002, n. 145.

(164) Comma aggiunto dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 52, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(165)  Vedi, anche, il comma 67 dell’art. 52, L. 28 dicembre 2001, n. 448.

(166)  Lettera aggiunta dall’art. 7-novies, D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(167) Comma così modificato prima dall’art. 34, D.L. 4 luglio 2006, n. 223 e poi dal comma 4 dell’art. 61, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, come sostituito dalla relativa legge di conversione.

(168) Comma così modificato dall’art. 34, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, come modificato dalla relativa legge di conversione.

(169) In deroga a quanto disposto dal presente articolo vedi gli articoli 1 e 8, O.P.C.M. 10 giugno 2008, n. 3682.

(170) Comma aggiunto dall’art. 47, D.L. 25 giugno 2008, n. 112 e poi così sostituito dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 52, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

54.  Codice di comportamento.

(Art. 58-bis del D.Lgs. n. 29 del 1993, aggiunto dall’art. 26 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e successivamente sostituito dall’art. 27 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Il Dipartimento della funzione pubblica, sentite le confederazioni sindacali rappresentative ai sensi dell’articolo 43, definisce un codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, anche in relazione alle necessarie misure organizzative da adottare al fine di assicurare la qualità dei servizi che le stesse amministrazioni rendono ai cittadini.

2. Il codice è pubblicato nella Gazzetta ufficiale e consegnato al dipendente all’atto dell’assunzione.

3. Le pubbliche amministrazioni formulano all’ARAN indirizzi, ai sensi dell’articolo 41, comma 1 e dell’articolo 70, comma 4, affinché il codice venga recepito nei contratti, in allegato, e perché i suoi princìpi vengano coordinati con le previsioni contrattuali in materia di responsabilità disciplinare.

4. Per ciascuna magistratura e per l’Avvocatura dello Stato, gli organi delle associazioni di categoria adottano un codice etico che viene sottoposto all’adesione degli appartenenti alla magistratura interessata. In caso di inerzia il codice è adottato dall’organo di autogoverno.

5. L’organo di vertice di ciascuna pubblica amministrazione verifica, sentite le organizzazioni sindacali rappresentative ai sensi dell’articolo 43 e le associazioni di utenti e consumatori, l’applicabilità del codice di cui al comma 1, anche per apportare eventuali integrazioni e specificazioni al fine della pubblicazione e dell’adozione di uno specifico codice di comportamento per ogni singola amministrazione.

6. Sull’applicazione dei codici di cui al presente articolo vigilano i dirigenti responsabili di ciascuna struttura.

7. Le pubbliche amministrazioni organizzano attività di formazione del personale per la conoscenza e la corretta applicazione dei codici di cui al presente articolo.

55.  Responsabilità, infrazioni e sanzioni, procedure conciliative.

(Art. 59 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 27 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e successivamente modificato dall’art. 2 del decreto legge n. 361 del 1995, convertito con modificazioni dalla legge n. 437 del 1995, nonché dall’art. 27, comma 2 e dall’art. 45, comma 16 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Le disposizioni del presente articolo e di quelli seguenti, fino all’articolo 55-octies, costituiscono norme imperative, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile, e si applicano ai rapporti di lavoro di cui all’articolo 2, comma 2, alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2.

2. Ferma la disciplina in materia di responsabilità civile, amministrativa, penale e contabile, ai rapporti di lavoro di cui al comma 1 si applica l’articolo 2106 del codice civile. Salvo quanto previsto dalle disposizioni del presente Capo, la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è definita dai contratti collettivi. La pubblicazione sul sito istituzionale dell’amministrazione del codice disciplinare, recante l’indicazione delle predette infrazioni e relative sanzioni, equivale a tutti gli effetti alla sua affissione all’ingresso della sede di lavoro.

3. La contrattazione collettiva non può istituire procedure di impugnazione dei provvedimenti disciplinari. Resta salva la facoltà di disciplinare mediante i contratti collettivi procedure di conciliazione non obbligatoria, fuori dei casi per i quali è prevista la sanzione disciplinare del licenziamento, da instaurarsi e concludersi entro un termine non superiore a trenta giorni dalla contestazione dell’addebito e comunque prima dell’irrogazione della sanzione. La sanzione concordemente determinata all’esito di tali procedure non può essere di specie diversa da quella prevista, dalla legge o dal contratto collettivo, per l’infrazione per la quale si procede e non è soggetta ad impugnazione. I termini del procedimento disciplinare restano sospesi dalla data di apertura della procedura conciliativa e riprendono a decorrere nel caso di conclusione con esito negativo. Il contratto collettivo definisce gli atti della procedura conciliativa che ne determinano l’inizio e la conclusione.

4. Fermo quanto previsto nell’articolo 21, per le infrazioni disciplinari ascrivibili al dirigente ai sensi degli articoli 55-bis, comma 7, e 55-sexies, comma 3, si applicano, ove non diversamente stabilito dal contratto collettivo, le disposizioni di cui al comma 4 del predetto articolo 55-bis, ma le determinazioni conclusive del procedimento sono adottate dal dirigente generale o titolare di incarico conferito ai sensi dell’articolo 19, comma 3 (171).

(171) Articolo così sostituito dal comma 1 dell’art. 68, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

55-bis. Forme e termini del procedimento disciplinare.

1. Per le infrazioni di minore gravità, per le quali è prevista l’irrogazione di sanzioni superiori al rimprovero verbale ed inferiori alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per più di dieci giorni, il procedimento disciplinare, se il responsabile della struttura ha qualifica dirigenziale, si svolge secondo le disposizioni del comma 2. Quando il responsabile della struttura non ha qualifica dirigenziale o comunque per le infrazioni punibili con sanzioni più gravi di quelle indicate nel primo periodo, il procedimento disciplinare si svolge secondo le disposizioni del comma 4. Alle infrazioni per le quali è previsto il rimprovero verbale si applica la disciplina stabilita dal contratto collettivo.

2. Il responsabile, con qualifica dirigenziale, della struttura in cui il dipendente lavora, anche in posizione di comando o di fuori ruolo, quando ha notizia di comportamenti punibili con taluna delle sanzioni disciplinari di cui al comma 1, primo periodo, senza indugio e comunque non oltre venti giorni contesta per iscritto l’addebito al dipendente medesimo e lo convoca per il contraddittorio a sua difesa, con l’eventuale assistenza di un procuratore ovvero di un rappresentante dell’associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato, con un preavviso di almeno dieci giorni. Entro il termine fissato, il dipendente convocato, se non intende presentarsi, può inviare una memoria scritta o, in caso di grave ed oggettivo impedimento, formulare motivata istanza di rinvio del termine per l’esercizio della sua difesa. Dopo l’espletamento dell’eventuale ulteriore attività istruttoria, il responsabile della struttura conclude il procedimento, con l’atto di archiviazione o di irrogazione della sanzione, entro sessanta giorni dalla contestazione dell’addebito. In caso di differimento superiore a dieci giorni del termine a difesa, per impedimento del dipendente, il termine per la conclusione del procedimento è prorogato in misura corrispondente. Il differimento può essere disposto per una sola volta nel corso del procedimento. La violazione dei termini stabiliti nel presente comma comporta, per l’amministrazione, la decadenza dall’azione disciplinare ovvero, per il dipendente, dall’esercizio del diritto di difesa.

3. Il responsabile della struttura, se non ha qualifica dirigenziale ovvero se la sanzione da applicare è più grave di quelle di cui al comma 1, primo periodo, trasmette gli atti, entro cinque giorni dalla notizia del fatto, all’ufficio individuato ai sensi del comma 4, dandone contestuale comunicazione all’interessato.

4. Ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari ai sensi del comma 1, secondo periodo. Il predetto ufficio contesta l’addebito al dipendente, lo convoca per il contraddittorio a sua difesa, istruisce e conclude il procedimento secondo quanto previsto nel comma 2, ma, se la sanzione da applicare è più grave di quelle di cui al comma 1, primo periodo, con applicazione di termini pari al doppio di quelli ivi stabiliti e salva l’eventuale sospensione ai sensi dell’articolo 55-ter. Il termine per la contestazione dell’addebito decorre dalla data di ricezione degli atti trasmessi ai sensi del comma 3 ovvero dalla data nella quale l’ufficio ha altrimenti acquisito notizia dell’infrazione, mentre la decorrenza del termine per la conclusione del procedimento resta comunque fissata alla data di prima acquisizione della notizia dell’infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora. La violazione dei termini di cui al presente comma comporta, per l’amministrazione, la decadenza dall’azione disciplinare ovvero, per il dipendente, dall’esercizio del diritto di difesa.

5. Ogni comunicazione al dipendente, nell’ambito del procedimento disciplinare, è effettuata tramite posta elettronica certificata, nel caso in cui il dipendente dispone di idonea casella di posta, ovvero tramite consegna a mano. Per le comunicazioni successive alla contestazione dell’addebito, il dipendente può indicare, altresì, un numero di fax, di cui egli o il suo procuratore abbia la disponibilità. In alternativa all’uso della posta elettronica certificata o del fax ed altresì della consegna a mano, le comunicazioni sono effettuate tramite raccomandata postale con ricevuta di ritorno. Il dipendente ha diritto di accesso agli atti istruttori del procedimento. È esclusa l’applicazione di termini diversi o ulteriori rispetto a quelli stabiliti nel presente articolo.

6. Nel corso dell’istruttoria, il capo della struttura o l’ufficio per i procedimenti disciplinari possono acquisire da altre amministrazioni pubbliche informazioni o documenti rilevanti per la definizione del procedimento. La predetta attività istruttoria non determina la sospensione del procedimento, né il differimento dei relativi termini.

7. Il lavoratore dipendente o il dirigente, appartenente alla stessa amministrazione pubblica dell’incolpato o ad una diversa, che, essendo a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio di informazioni rilevanti per un procedimento disciplinare in corso, rifiuta, senza giustificato motivo, la collaborazione richiesta dall’autorità disciplinare procedente ovvero rende dichiarazioni false o reticenti, è soggetto all’applicazione, da parte dell’amministrazione di appartenenza, della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, commisurata alla gravità dell’illecito contestato al dipendente, fino ad un massimo di quindici giorni.

8. In caso di trasferimento del dipendente, a qualunque titolo, in un’altra amministrazione pubblica, il procedimento disciplinare è avviato o concluso o la sanzione è applicata presso quest’ultima. In tali casi i termini per la contestazione dell’addebito o per la conclusione del procedimento, se ancora pendenti, sono interrotti e riprendono a decorrere alla data del trasferimento.

9. In caso di dimissioni del dipendente, se per l’infrazione commessa è prevista la sanzione del licenziamento o se comunque è stata disposta la sospensione cautelare dal servizio, il procedimento disciplinare ha egualmente corso secondo le disposizioni del presente articolo e le determinazioni conclusive sono assunte ai fini degli effetti giuridici non preclusi dalla cessazione del rapporto di lavoro (172).

(172) Articolo aggiunto dal comma 1 dell’art. 69, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

55-ter. Rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale.

1. Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni di minore gravità, di cui all’articolo 55-bis, comma 1, primo periodo, non è ammessa la sospensione del procedimento. Per le infrazioni di maggiore gravità, di cui all’articolo 55-bis, comma 1, secondo periodo, l’ufficio competente, nei casi di particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all’esito dell’istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l’irrogazione della sanzione, può sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale, salva la possibilità di adottare la sospensione o altri strumenti cautelari nei confronti del dipendente.

2. Se il procedimento disciplinare, non sospeso, si conclude con l’irrogazione di una sanzione e, successivamente, il procedimento penale viene definito con una sentenza irrevocabile di assoluzione che riconosce che il fatto addebitato al dipendente non sussiste o non costituisce illecito penale o che il dipendente medesimo non lo ha commesso, l’autorità competente, ad istanza di parte da proporsi entro il termine di decadenza di sei mesi dall’irrevocabilità della pronuncia penale, riapre il procedimento disciplinare per modificarne o confermarne l’atto conclusivo in relazione all’esito del giudizio penale.

3. Se il procedimento disciplinare si conclude con l’archiviazione ed il processo penale con una sentenza irrevocabile di condanna, l’autorità competente riapre il procedimento disciplinare per adeguare le determinazioni conclusive all’esito del giudizio penale. Il procedimento disciplinare è riaperto, altresì, se dalla sentenza irrevocabile di condanna risulta che il fatto addebitabile al dipendente in sede disciplinare comporta la sanzione del licenziamento, mentre ne è stata applicata una diversa.

4. Nei casi di cui ai commi 1, 2 e 3 il procedimento disciplinare è, rispettivamente, ripreso o riaperto entro sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza all’amministrazione di appartenenza del lavoratore ovvero dalla presentazione dell’istanza di riapertura ed è concluso entro centottanta giorni dalla ripresa o dalla riapertura. La ripresa o la riapertura avvengono mediante il rinnovo della contestazione dell’addebito da parte dell’autorità disciplinare competente ed il procedimento prosegue secondo quanto previsto nell’articolo 55-bis. Ai fini delle determinazioni conclusive, l’autorità procedente, nel procedimento disciplinare ripreso o riaperto, applica le disposizioni dell’articolo 653, commi 1 ed 1-bis, del codice di procedura penale (173).

(173) Articolo aggiunto dal comma 1 dell’art. 69, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

55-quater. Licenziamento disciplinare.

1. Ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo e salve ulteriori ipotesi previste dal contratto collettivo, si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento nei seguenti casi:

a) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia;

b) assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell’arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall’amministrazione;

c) ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall’amministrazione per motivate esigenze di servizio;

d) falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera;

e) reiterazione nell’ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o minacciose o ingiuriose o comunque lesive dell’onore e della dignità personale altrui;

f) condanna penale definitiva, in relazione alla quale è prevista l’interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero l’estinzione, comunque denominata, del rapporto di lavoro.

2. Il licenziamento in sede disciplinare è disposto, altresì, nel caso di prestazione lavorativa, riferibile ad un arco temporale non inferiore al biennio, per la quale l’amministrazione di appartenenza formula, ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche, una valutazione di insufficiente rendimento e questo è dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione stessa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell’amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento di cui all’articolo 54.

3. Nei casi di cui al comma 1, lettere a), d), e) ed f), il licenziamento è senza preavviso (174).

(174) Articolo aggiunto dal comma 1 dell’art. 69, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

55-quinquies. False attestazioni o certificazioni.

1. Fermo quanto previsto dal codice penale, il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustifica l’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 400 ad euro 1.600. La medesima pena si applica al medico e a chiunque altro concorre nella commissione del delitto.

2. Nei casi di cui al comma 1, il lavoratore, ferme la responsabilità penale e disciplinare e le relative sanzioni, è obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché il danno all’immagine subiti dall’amministrazione.

3. La sentenza definitiva di condanna o di applicazione della pena per il delitto di cui al comma 1 comporta, per il medico, la sanzione disciplinare della radiazione dall’albo ed altresì, se dipendente di una struttura sanitaria pubblica o se convenzionato con il servizio sanitario nazionale, il licenziamento per giusta causa o la decadenza dalla convenzione. Le medesime sanzioni disciplinari si applicano se il medico, in relazione all’assenza dal servizio, rilascia certificazioni che attestano dati clinici non direttamente constatati né oggettivamente documentati (175).

(175) Articolo aggiunto dal comma 1 dell’art. 69, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

55-sexies. Responsabilità disciplinare per condotte pregiudizievoli per l’amministrazione e limitazione della responsabilità per l’esercizio dell’azione disciplinare.

1. La condanna della pubblica amministrazione al risarcimento del danno derivante dalla violazione, da parte del lavoratore dipendente, degli obblighi concernenti la prestazione lavorativa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell’amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento di cui all’articolo 54, comporta l’applicazione nei suoi confronti, ove già non ricorrano i presupposti per l’applicazione di un’altra sanzione disciplinare, della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di tre giorni fino ad un massimo di tre mesi, in proporzione all’entità del risarcimento.

2. Fuori dei casi previsti nel comma 1, il lavoratore, quando cagiona grave danno al normale funzionamento dell’ufficio di appartenenza, per inefficienza o incompetenza professionale accertate dall’amministrazione ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche, è collocato in disponibilità, all’esito del procedimento disciplinare che accerta tale responsabilità, e si applicano nei suoi confronti le disposizioni di cui all’articolo 33, comma 8, e all’articolo 34, commi 1, 2, 3 e 4. Il provvedimento che definisce il giudizio disciplinare stabilisce le mansioni e la qualifica per le quali può avvenire l’eventuale ricollocamento. Durante il periodo nel quale è collocato in disponibilità, il lavoratore non ha diritto di percepire aumenti retributivi sopravvenuti.

3. Il mancato esercizio o la decadenza dell’azione disciplinare, dovuti all’omissione o al ritardo, senza giustificato motivo, degli atti del procedimento disciplinare o a valutazioni sull’insussistenza dell’illecito disciplinare irragionevoli o manifestamente infondate, in relazione a condotte aventi oggettiva e palese rilevanza disciplinare, comporta, per i soggetti responsabili aventi qualifica dirigenziale, l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione in proporzione alla gravità dell’infrazione non perseguita, fino ad un massimo di tre mesi in relazione alle infrazioni sanzionabili con il licenziamento, ed altresì la mancata attribuzione della retribuzione di risultato per un importo pari a quello spettante per il doppio del periodo della durata della sospensione. Ai soggetti non aventi qualifica dirigenziale si applica la predetta sanzione della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, ove non diversamente stabilito dal contratto collettivo.

4. La responsabilità civile eventualmente configurabile a carico del dirigente in relazione a profili di illiceità nelle determinazioni concernenti lo svolgimento del procedimento disciplinare è limitata, in conformità ai principi generali, ai casi di dolo o colpa grave (176).

(176) Articolo aggiunto dal comma 1 dell’art. 69, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

55-septies. Controlli sulle assenze.

1. Nell’ipotesi di assenza per malattia protratta per un periodo superiore a dieci giorni, e, in ogni caso, dopo il secondo evento di malattia nell’anno solare l’assenza viene giustificata esclusivamente mediante certificazione medica rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale.

2. In tutti i casi di assenza per malattia la certificazione medica è inviata per via telematica, direttamente dal medico o dalla struttura sanitaria che la rilascia, all’Istituto nazionale della previdenza sociale, secondo le modalità stabilite per la trasmissione telematica dei certificati medici nel settore privato dalla normativa vigente, e in particolare dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri previsto dall’articolo 50, comma 5-bis, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, introdotto dall’articolo 1, comma 810, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e dal predetto Istituto è immediatamente inoltrata, con le medesime modalità, all’amministrazione interessata.

3. L’Istituto nazionale della previdenza sociale, gli enti del servizio sanitario nazionale e le altre amministrazioni interessate svolgono le attività di cui al comma 2 con le risorse finanziarie, strumentali e umane disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

4. L’inosservanza degli obblighi di trasmissione per via telematica della certificazione medica concernente assenze di lavoratori per malattia di cui al comma 2 costituisce illecito disciplinare e, in caso di reiterazione, comporta l’applicazione della sanzione del licenziamento ovvero, per i medici in rapporto convenzionale con le aziende sanitarie locali, della decadenza dalla convenzione, in modo inderogabile dai contratti o accordi collettivi.

5. L’Amministrazione dispone il controllo in ordine alla sussistenza della malattia del dipendente anche nel caso di assenza di un solo giorno, tenuto conto delle esigenze funzionali e organizzative. Le fasce orarie di reperibilità del lavoratore, entro le quali devono essere effettuate le visite mediche di controllo, sono stabilite con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione (177).

6. Il responsabile della struttura in cui il dipendente lavora nonché il dirigente eventualmente preposto all’amministrazione generale del personale, secondo le rispettive competenze, curano l’osservanza delle disposizioni del presente articolo, in particolare al fine di prevenire o contrastare, nell’interesse della funzionalità dell’ufficio, le condotte assenteistiche. Si applicano, al riguardo, le disposizioni degli articoli 21 e 55-sexies, comma 3 (178).

(177) In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il D.M. 18 dicembre 2009, n. 206.

(178) Articolo aggiunto dal comma 1 dell’art. 69, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150. Sull’applicabilità delle disposizioni contenute nel presente articolo vedi il comma 1 dell’art. 25, L. 4 novembre 2010, n. 183.

55-octies. Permanente inidoneità psicofisica.

1. Nel caso di accertata permanente inidoneità psicofisica al servizio dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, di cui all’articolo 2, comma 2, l’amministrazione può risolvere il rapporto di lavoro. Con regolamento da emanarsi, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera b), della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono disciplinati, per il personale delle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, nonché degli enti pubblici non economici:

a) la procedura da adottare per la verifica dell’idoneità al servizio, anche ad iniziativa dell’Amministrazione;

b) la possibilità per l’amministrazione, nei casi di pericolo per l’incolumità del dipendente interessato nonché per la sicurezza degli altri dipendenti e degli utenti, di adottare provvedimenti di sospensione cautelare dal servizio, in attesa dell’effettuazione della visita di idoneità, nonché nel caso di mancata presentazione del dipendente alla visita di idoneità, in assenza di giustificato motivo;

c) gli effetti sul trattamento giuridico ed economico della sospensione di cui alla lettera b), nonché il contenuto e gli effetti dei provvedimenti definitivi adottati dall’amministrazione in seguito all’effettuazione della visita di idoneità;

d) la possibilità, per l’amministrazione, di risolvere il rapporto di lavoro nel caso di reiterato rifiuto, da parte del dipendente, di sottoporsi alla visita di idoneità (179).

(179) Articolo aggiunto dal comma 1 dell’art. 69, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

55-novies. Identificazione del personale a contatto con il pubblico.

1. I dipendenti delle amministrazioni pubbliche che svolgono attività a contatto con il pubblico sono tenuti a rendere conoscibile il proprio nominativo mediante l’uso di cartellini identificativi o di targhe da apporre presso la postazione di lavoro.

2. Dall’obbligo di cui al comma 1 è escluso il personale individuato da ciascuna amministrazione sulla base di categorie determinate, in relazione ai compiti ad esse attribuiti, mediante uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, su proposta del Ministro competente ovvero, in relazione al personale delle amministrazioni pubbliche non statali, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano o di Conferenza Stato-città ed autonomie locali (180) (181).

(180) In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il D.P.C.M. 28 luglio 2010.

(181) Articolo aggiunto dal comma 1 dell’art. 69, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150. Vedi, anche, il comma 2 dell’art. 73 dello stesso provvedimento.

56.  Impugnazione delle sanzioni disciplinari.

(Art. 59-bis del D.Lgs. n. 29 del 1993, aggiunto dall’art. 28 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

[1. Se i contratti collettivi nazionali non hanno istituito apposite procedure di conciliazione e arbitrato, le sanzioni disciplinari possono essere impugnate dal lavoratore davanti al collegio di conciliazione di cui all’articolo 66, con le modalità e con gli effetti di cui all’articolo 7, commi sesto e settimo, della legge 20 maggio 1970, n. 300] (182).

(182) Articolo abrogato dalla lettera c) del comma 1 dell’art. 72, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

57.  Pari opportunità.

(Art. 61 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 29 del D.Lgs. n. 546 del 1993, successivamente modificato prima dall’art. 43, comma 8 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e poi dall’art. 17 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

01. Le pubbliche amministrazioni costituiscono al proprio interno, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, il “Comitato unico di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni“ che sostituisce, unificando le competenze in un solo organismo, i comitati per le pari opportunità e i comitati paritetici sul fenomeno del mobbing, costituiti in applicazione della contrattazione collettiva, dei quali assume tutte le funzioni previste dalla legge, dai contratti collettivi relativi al personale delle amministrazioni pubbliche o da altre disposizioni (183).

02. Il Comitato unico di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni ha composizione paritetica ed è formato da un componente designato da ciascuna delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello di amministrazione e da un pari numero di rappresentanti dell’amministrazione in modo da assicurare nel complesso la presenza paritaria di entrambi i generi. Il presidente del Comitato unico di garanzia è designato dall’amministrazione (184).

03. Il Comitato unico di garanzia, all’interno dell’amministrazione pubblica, ha compiti propositivi, consultivi e di verifica e opera in collaborazione con la consigliera o il consigliere nazionale di parità. Contribuisce all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico, migliorando l’efficienza delle prestazioni collegata alla garanzia di un ambiente di lavoro caratterizzato dal rispetto dei princìpi di pari opportunità, di benessere organizzativo e dal contrasto di qualsiasi forma di discriminazione e di violenza morale o psichica per i lavoratori (185).

04. Le modalità di funzionamento dei Comitati unici di garanzia sono disciplinate da linee guida contenute in una direttiva emanata di concerto dal Dipartimento della funzione pubblica e dal Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione (186).

05. La mancata costituzione del Comitato unico di garanzia comporta responsabilità dei dirigenti incaricati della gestione del personale, da valutare anche al fine del raggiungimento degli obiettivi (187).

1. Le pubbliche amministrazioni, al fine di garantire pari opportunità tra uomini e donne per l’accesso al lavoro ed il trattamento sul lavoro:

a) riservano alle donne, salva motivata impossibilità, almeno un terzo dei posti di componente delle commissioni di concorso, fermo restando il principio di cui all’articolo 35, comma 3, lettera e);

b) adottano propri atti regolamentari per assicurare pari opportunità fra uomini e donne sul lavoro, conformemente alle direttive impartite dalla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica;

c) garantiscono la partecipazione delle proprie dipendenti ai corsi di formazione e di aggiornamento professionale in rapporto proporzionale alla loro presenza nelle amministrazioni interessate ai corsi medesimi, adottando modalità organizzative atte a favorirne la partecipazione, consentendo la conciliazione fra vita professionale e vita familiare;

d) possono finanziare programmi di azioni positive e l’attività dei Comitati unici di garanzia per le pari opportunità, per la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni, nell’ambito delle proprie disponibilità di bilancio (188).

2. Le pubbliche amministrazioni, secondo le modalità di cui all’articolo 9, adottano tutte le misure per attuare le direttive dell’Unione europea in materia di pari opportunità, contrasto alle discriminazioni ed alla violenza morale o psichica, sulla base di quanto disposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica (189).

(183) Comma premesso dalla lettera c) del comma 1 dell’art. 21, L. 4 novembre 2010, n. 183.

(184) Comma premesso dalla lettera c) del comma 1 dell’art. 21, L. 4 novembre 2010, n. 183.

(185) Comma premesso dalla lettera c) del comma 1 dell’art. 21, L. 4 novembre 2010, n. 183.

(186) Comma premesso dalla lettera c) del comma 1 dell’art. 21, L. 4 novembre 2010, n. 183.

(187) Comma premesso dalla lettera c) del comma 1 dell’art. 21, L. 4 novembre 2010, n. 183.

(188) Lettera così sostituita dalla lettera d) del comma 1 dell’art. 21, L. 4 novembre 2010, n. 183.

(189) Comma così sostituito dalla lettera e) del comma 1 dell’art. 21, L. 4 novembre 2010, n. 183.

TITOLO V

Controllo della spesa

58.  Finalità.

(Art. 63 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 30 del D.Lgs. n. 546 del 1993)

1. Al fine di realizzare il più efficace controllo dei bilanci, anche articolati per funzioni e per programmi, e la rilevazione dei costi, con particolare riferimento al costo del lavoro, il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, d’intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica, provvede alla acquisizione delle informazioni sui flussi finanziari relativi a tutte le amministrazioni pubbliche.

2. Per le finalità di cui al comma 1, tutte le amministrazioni pubbliche impiegano strumenti di rilevazione e sistemi informatici e statistici definiti o valutati dall’Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione (190) di cui al decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 39, e successive modificazioni ed integrazioni, sulla base delle indicazioni definite dal Ministero del tesoro, d’intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica.

3. Per l’immediata attivazione del sistema di controllo della spesa del personale di cui al comma 1, il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica d’intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica, avvia un processo di integrazione dei sistemi informativi delle amministrazioni pubbliche che rilevano i trattamenti economici e le spese del personale, facilitando la razionalizzazione delle modalità di pagamento delle retribuzioni. Le informazioni acquisite dal sistema informativo del Dipartimento della ragioneria generale dello Stato sono disponibili per tutte le amministrazioni e gli enti interessati.

(190)  La denominazione «Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione» è da intendersi sostituita da quella di «Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione» ai sensi di quanto disposto dall’art. 176, D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196.

59.  Rilevazione dei costi.

(Art. 64 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 31 del D.Lgs. n. 546 del 1993)

1. Le amministrazioni pubbliche individuano i singoli programmi di attività e trasmettono alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica, al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica tutti gli elementi necessari alla rilevazione ed al controllo dei costi.

2. Ferme restando le attuali procedure di evidenziazione della spesa ed i relativi sistemi di controllo, il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica al fine di rappresentare i profili economici della spesa, previe intese con la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica, definisce procedure interne e tecniche di rilevazione e provvede, in coerenza con le funzioni di spesa riconducibili alle unità amministrative cui compete la gestione dei programmi, ad un’articolazione dei bilanci pubblici a carattere sperimentale.

3. Per la omogeneizzazione delle procedure presso i soggetti pubblici diversi dalle amministrazioni sottoposte alla vigilanza ministeriale, la Presidenza del Consiglio dei ministri adotta apposito atto di indirizzo e coordinamento.

60.  Controllo del costo del lavoro.

(Art. 65 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 32 del D.Lgs. n. 546 del 1993)

1. Il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, d’intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica, definisce un modello di rilevazione della consistenza del personale, in servizio e in quiescenza, e delle relative spese, ivi compresi gli oneri previdenziali e le entrate derivanti dalle contribuzioni, anche per la loro evidenziazione a preventivo e a consuntivo, mediante allegati ai bilanci. Il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica elabora, altresì, un conto annuale che evidenzi anche il rapporto tra contribuzioni e prestazioni previdenziali relative al personale delle amministrazioni statali.

2. Le amministrazioni pubbliche presentano, entro il mese di maggio di ogni anno, alla Corte dei conti, per il tramite del Dipartimento della ragioneria generale dello Stato ed inviandone copia alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica, il conto annuale delle spese sostenute per il personale, rilevate secondo il modello di cui al comma 1. Il conto è accompagnato da una relazione, con cui le amministrazioni pubbliche espongono i risultati della gestione del personale, con riferimento agli obiettivi che, per ciascuna amministrazione, sono stabiliti dalle leggi, dai regolamenti e dagli atti di programmazione. La mancata presentazione del conto e della relativa relazione determina, per l’anno successivo a quello cui il conto si riferisce, l’applicazione delle misure di cui all’articolo 30, comma 11, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni ed integrazioni. Le comunicazioni previste dal presente comma sono trasmesse, a cura del Ministero dell’economia e delle finanze, anche all’Unione delle province d’Italia (UPI), all’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e all’Unione nazionale comuni, comunità, enti montani (UNCEM), per via telematica (191).

3. Gli enti pubblici economici e le aziende che producono servizi di pubblica utilità nonché gli enti e le aziende di cui all’articolo 70, comma 4, sono tenuti a comunicare alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, il costo annuo del personale comunque utilizzato, in conformità alle procedure definite dal Ministero del tesoro, d’intesa con il predetto Dipartimento della funzione pubblica.

4. La Corte dei conti riferisce annualmente al Parlamento sulla gestione delle risorse finanziarie destinate al personale del settore pubblico, avvalendosi di tutti i dati e delle informazioni disponibili presso le amministrazioni pubbliche. Con apposite relazioni in corso d’anno, anche a richiesta del Parlamento, la Corte riferisce altresì in ordine a specifiche materie, settori ed interventi.

5. Il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, anche su espressa richiesta del Ministro per la funzione pubblica, dispone visite ispettive, a cura dei servizi ispettivi di finanza del Dipartimento della ragioneria generale dello Stato, coordinate anche con altri analoghi servizi, per la valutazione e la verifica delle spese, con particolare riferimento agli oneri dei contratti collettivi nazionali e decentrati, denunciando alla Corte dei conti le irregolarità riscontrate. Tali verifiche vengono eseguite presso le amministrazioni pubbliche, nonché presso gli enti e le aziende di cui al comma 3. Ai fini dello svolgimento integrato delle verifiche ispettive, i servizi ispettivi di finanza del Dipartimento della ragioneria generale dello Stato esercitano presso le predette amministrazioni, enti e aziende sia le funzioni di cui all’articolo 3, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 20 febbraio 1998, n. 38 e all’articolo 2, comma 1, lettera b) del decreto del Presidente della Repubblica 28 aprile 1998, n. 154, sia i compiti di cui all’articolo 27, comma quarto, della legge 29 marzo 1983, n. 93.

6. 6. Presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica è istituito l’Ispettorato per la funzione pubblica, che opera alle dirette dipendenze del Ministro delegato. L’Ispettorato vigila e svolge verifiche sulla conformità dell’azione amministrativa ai principi di imparzialità e buon andamento, sull’efficacia della sua attività con particolare riferimento alle riforme volte alla semplificazione delle procedure, sul corretto conferimento degli incarichi, sull’esercizio dei poteri disciplinari, sull’osservanza delle disposizioni vigenti in materia di controllo dei costi, dei rendimenti, dei risultati, di verifica dei carichi di lavoro. Collabora alle verifiche ispettive di cui al comma 5. Nell’ambito delle proprie verifiche, l’Ispettorato può avvalersi della Guardia di Finanza che opera nell’esercizio dei poteri ad essa attribuiti dalle leggi vigenti. Per le predette finalità l’Ispettorato si avvale altresì di un numero complessivo di dieci funzionari scelti tra esperti del Ministero dell’economia e delle finanze, del Ministero dell’interno, o comunque tra il personale di altre amministrazioni pubbliche, in posizione di comando o fuori ruolo, per il quale si applicano l’articolo 17, comma 14, della legge 15 maggio 1997, n. 127, e l’articolo 56, comma 7, del Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, e successive modificazioni. Per l’esercizio delle funzioni ispettive connesse, in particolare, al corretto conferimento degli incarichi e ai rapporti di collaborazione, svolte anche d’intesa con il Ministero dell’economia e delle finanze, l’Ispettorato si avvale dei dati comunicati dalle amministrazioni al Dipartimento della funzione pubblica ai sensi dell’articolo 53. L’Ispettorato, inoltre, al fine di corrispondere a segnalazioni da parte di cittadini o pubblici dipendenti circa presunte irregolarità, ritardi o inadempienze delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, può richiedere chiarimenti e riscontri in relazione ai quali l’amministrazione interessata ha l’obbligo di rispondere, anche per via telematica, entro quindici giorni. A conclusione degli accertamenti, gli esiti delle verifiche svolte dall’ispettorato costituiscono obbligo di valutazione, ai fini dell’individuazione delle responsabilità e delle eventuali sanzioni disciplinari di cui all’articolo 55, per l’amministrazione medesima. Gli ispettori, nell’esercizio delle loro funzioni, hanno piena autonomia funzionale ed hanno l’obbligo, ove ne ricorrano le condizioni, di denunciare alla Procura generale della Corte dei conti le irregolarità riscontrate (192).

(191) Periodo aggiunto dall’art. 34-quater, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(192) Comma prima modificato dall’art. 14-septies, D.L. 30 giugno 2005, n. 115, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, e dal comma 1 dell’art. 10-bis, D.L. 30 settembre 2005, n. 203, aggiunto dalla relativa legge di conversione, e poi così sostituito dal comma 1 dell’art. 71, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

61.  Interventi correttivi del costo del personale.

(Art. 66 del D.Lgs. n. 29 del 1993)

1. Fermo restando il disposto dell’articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni ed integrazioni, e salvi i casi di cui ai commi successivi, qualora si verifichino o siano prevedibili, per qualunque causa, scostamenti rispetto agli stanziamenti previsti per le spese destinate al personale, il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, informato dall’amministrazione competente, ne riferisce al Parlamento, proponendo l’adozione di misure correttive idonee a ripristinare l’equilibrio del bilancio. La relazione è trasmessa altresì al nucleo di valutazione della spesa relativa al pubblico impiego istituito presso il CNEL.

1-bis. Le pubbliche amministrazioni comunicano alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero dell’economia e delle finanze l’esistenza di controversie relative ai rapporti di lavoro dalla cui soccombenza potrebbero derivare oneri aggiuntivi significativamente rilevanti per il numero dei soggetti direttamente o indirettamente interessati o comunque per gli effetti sulla finanza pubblica. La Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica, d’intesa con il Ministero dell’economia e delle finanze, può intervenire nel processo ai sensi dell’articolo 105 del codice di procedura civile (193).

2. Le pubbliche amministrazioni che vengono, in qualunque modo, a conoscenza di decisioni giurisdizionali che comportino oneri a carico del bilancio, ne danno immediata comunicazione alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica, al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica. Ove tali decisioni producano nuovi o maggiori oneri rispetto alle spese autorizzate, il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica presenta, entro trenta giorni dalla data di pubblicazione delle sentenze della Corte costituzionale o dalla conoscenza delle decisioni esecutive di altre autorità giurisdizionali, una relazione al Parlamento, impegnando Governo e Parlamento a definire con procedura d’urgenza una nuova disciplina legislativa idonea a ripristinare i limiti della spesa globale.

3. Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica provvede, con la stessa procedura di cui al comma 2, a seguito di richieste pervenute alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica per la estensione generalizzata di decisioni giurisdizionali divenute esecutive, atte a produrre gli effetti indicati nel medesimo comma 2 sulla entità della spesa autorizzata.

(193)  Comma aggiunto dal comma 133 dell’art. 1, L. 30 dicembre 2004, n. 311.

62.  Commissario del Governo.

(Art. 67 del D.Lgs. n. 29 del 1993)

1. Il Commissario del Governo, fino all’entrata in vigore del regolamento di cui all’articolo 11, comma 4, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n.300, rappresenta lo Stato nel territorio regionale. Egli è responsabile, nei confronti del Governo, del flusso di informazioni degli enti pubblici operanti nel territorio, in particolare di quelli attivati attraverso gli allegati ai bilanci e il conto annuale di cui all’articolo 60, comma 1. Ogni comunicazione del Governo alla regione avviene tramite il Commissario del Governo.

TITOLO VI

Giurisdizione

63.  Controversie relative ai rapporti di lavoro.

(Art. 68 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall’art. 33 del D.Lgs. n. 546 del 1993, e poi dall’art. 29 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall’art. 18 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro di cui al comma 4, incluse le controversie concernenti l’assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti. Quando questi ultimi siano rilevanti ai fini della decisione, il giudice li disapplica, se illegittimi. L’impugnazione davanti al giudice amministrativo dell’atto amministrativo rilevante nella controversia non è causa di sospensione del processo .

2. Il giudice adotta, nei confronti delle pubbliche amministrazioni, tutti i provvedimenti, di accertamento, costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati. Le sentenze con le quali riconosce il diritto all’assunzione, ovvero accerta che l’assunzione è avvenuta in violazione di norme sostanziali o procedurali, hanno anche effetto rispettivamente costitutivo o estintivo del rapporto di lavoro.

3. Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni ai sensi dell’articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, e le controversie, promosse da organizzazioni sindacali, dall’ARAN o dalle pubbliche amministrazioni, relative alle procedure di contrattazione collettiva di cui all’articolo 40 e seguenti del presente decreto .

4. Restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, nonché, in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie relative ai rapporti di lavoro di cui all’articolo 3, ivi comprese quelle attinenti ai diritti patrimoniali connessi .

5. Nelle controversie di cui ai commi 1 e 3 e nel caso di cui all’articolo 64, comma 3, il ricorso per cassazione può essere proposto anche per violazione o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di cui all’articolo 40.

63-bis.  Intervento dell’ARAN nelle controversie relative ai rapporti di lavoro.

1. L’ARAN può intervenire nei giudizi innanzi al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, aventi ad oggetto le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui agli articoli 1, comma 2, e 70, comma 4, al fine di garantire la corretta interpretazione e l’uniforme applicazione dei contratti collettivi. Per le controversie relative al personale di cui all’articolo 3, derivanti dalle specifiche discipline ordinamentali e retributive, l’intervento in giudizio può essere assicurato attraverso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica, d’intesa con il Ministero dell’economia e delle finanze (194).

(194)  Articolo aggiunto dal comma 134 dell’art. 1, L. 30 dicembre 2004, n. 311.

64.  Accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi.

(Art. 68-bis del D.Lgs. n. 29 del 1993, aggiunto dall’art. 30 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall’art. 19, commi 1 e 2 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. Quando per la definizione di una controversia individuale di cui all’articolo 63, è necessario risolvere in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale, sottoscritto dall’ARAN ai sensi dell’articolo 40 e seguenti, il giudice, con ordinanza non impugnabile, nella quale indica la questione da risolvere, fissa una nuova udienza di discussione non prima di centoventi giorni e dispone la comunicazione, a cura della cancelleria, dell’ordinanza, del ricorso introduttivo e della memoria difensiva all’ARAN .

2. Entro trenta giorni dalla comunicazione di cui al comma 1, l’ARAN convoca le organizzazioni sindacali firmatarie per verificare la possibilità di un accordo sull’interpretazione autentica del contratto o accordo collettivo, ovvero sulla modifica della clausola controversa. All’accordo sull’interpretazione autentica o sulla modifica della clausola si applicano le disposizioni dell’articolo 49. Il testo dell’accordo è trasmesso, a cura dell’ARAN, alla cancelleria del giudice procedente, la quale provvede a darne avviso alle parti almeno dieci giorni prima dell’udienza. Decorsi novanta giorni dalla comunicazione di cui al comma 1, in mancanza di accordo, la procedura si intende conclusa .

3. Se non interviene l’accordo sull’interpretazione autentica o sulla modifica della clausola controversa, il giudice decide con sentenza sulla sola questione di cui al comma 1, impartendo distinti provvedimenti per l’ulteriore istruzione o, comunque, per la prosecuzione della causa. La sentenza è impugnabile soltanto con ricorso immediato per Cassazione, proposto nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione dell’avviso di deposito della sentenza. Il deposito nella cancelleria del giudice davanti a cui pende la causa di una copia del ricorso per cassazione, dopo la notificazione alle altre parti, determina la sospensione del processo .

4. La Corte di cassazione, quando accoglie il ricorso a norma dell’articolo 383 del codice di procedura civile, rinvia la causa allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza cassata. La riassunzione della causa può essere fatta da ciascuna delle parti entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza di cassazione. In caso di estinzione del processo, per qualsiasi causa, la sentenza della Corte di cassazione conserva i suoi effetti.

5. L’ARAN e le organizzazioni sindacali firmatarie possono intervenire nel processo anche oltre il termine previsto dall’articolo 419 del codice di procedura civile e sono legittimate, a seguito dell’intervento alla proposizione dei mezzi di impugnazione delle sentenze che decidono una questione di cui al comma 1. Possono, anche se non intervenute, presentare memorie nel giudizio di merito ed in quello per cassazione. Della presentazione di memorie è dato avviso alle parti, a cura della cancelleria.

6. In pendenza del giudizio davanti alla Corte di cassazione, possono essere sospesi i processi la cui definizione dipende dalla risoluzione della medesima questione sulla quale la Corte è chiamata a pronunciarsi. Intervenuta la decisione della Corte di cassazione, il giudice fissa, anche d’ufficio, l’udienza per la prosecuzione del processo.

7. Quando per la definizione di altri processi è necessario risolvere una questione di cui al comma 1 sulla quale è già intervenuta una pronuncia della Corte di cassazione e il giudice non ritiene di uniformarsi alla pronuncia della Corte, si applica il disposto del comma 3.

8. La Corte di cassazione, nelle controversie di cui è investita ai sensi del comma 3, può condannare la parte soccombente, a norma dell’articolo 96 del codice di procedura civile, anche in assenza di istanza di parte.

65.  Tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie individuali.

(Art. 69 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall’art. 34 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e poi dall’art. 31 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato prima dall’art. 19, commi da 3 a 6 del D.Lgs. n. 387 del 1998 e poi dall’art. 45, comma 22 della legge n. 448 del 1998)

[1. Per le controversie individuali di cui all’articolo 63, il tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all’articolo 410 del codice di procedura civile si svolge con le procedure previste dai contratti collettivi, ovvero davanti al collegio di conciliazione di cui all’articolo 66, secondo le disposizioni dettate dal presente decreto.

2. La domanda giudiziale diventa procedibile trascorsi novanta giorni dalla promozione del tentativo di conciliazione.

3. Il giudice che rileva che non è stato promosso il tentativo di conciliazione secondo le disposizioni di cui all’articolo 66, commi 2 e 3, o che la domanda giudiziale è stata proposta prima della scadenza del termine di novanta giorni dalla promozione del tentativo, sospende il giudizio e fissa alle parti il termine perentorio di sessanta giorni per promuovere il tentativo di conciliazione. Si applica l’articolo 412-bis, commi secondo e quinto, del codice di procedura civile. Espletato il tentativo di conciliazione o decorso il termine di novanta giorni, il processo può essere riassunto entro il termine perentorio di centottanta giorni. La parte contro la quale è stata proposta la domanda in violazione dell’articolo 410 del codice di procedura civile, con l’atto di riassunzione o con memoria depositata in cancelleria almeno dieci giorni prima dell’udienza fissata, può modificare o integrare le proprie difese e proporre nuove eccezioni processuali e di merito, che non siano rilevabili d’ufficio. Ove il processo non sia stato tempestivamente riassunto, il giudice dichiara d’ufficio l’estinzione del processo con decreto cui si applica la disposizione di cui all’articolo 308 del codice di procedura civile.

4. Il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, di intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica ed il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, provvede, mediante mobilità volontaria interministeriale, a dotare le Commissioni di conciliazione territoriali degli organici indispensabili per la tempestiva realizzazione del tentativo obbligatorio di conciliazione delle controversie individuali di lavoro nel settore pubblico e privato] (195).

(195) Articolo abrogato dal comma 9 dell’art. 31, L. 4 novembre 2010, n. 183.

66.  Collegio di conciliazione.

(Art. 69-bis del D.Lgs. n. 29 del 1993, aggiunto dall’art. 32 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall’art. 19, comma 7 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

[1. Ferma restando la facoltà del lavoratore di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, il tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all’articolo 65 si svolge, con le procedure di cui ai commi seguenti, dinanzi ad un collegio di conciliazione istituito presso la Direzione provinciale del lavoro nella cui circoscrizione si trova l’ufficio cui il lavoratore è addetto, ovvero era addetto al momento della cessazione del rapporto. Le medesime procedure si applicano, in quanto compatibili, se il tentativo di conciliazione è promosso dalla pubblica amministrazione. Il collegio di conciliazione è composto dal direttore della Direzione o da un suo delegato, che lo presiede, da un rappresentante del lavoratore e da un rappresentante dell’amministrazione.

2. La richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dal lavoratore, è consegnata alla Direzione presso la quale è istituito il collegio di conciliazione competente o spedita mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Copia della richiesta deve essere consegnata o spedita a cura dello stesso lavoratore all’amministrazione di appartenenza.

3. La richiesta deve precisare:

a) l’amministrazione di appartenenza e la sede alla quale il lavoratore è addetto;

b) il luogo dove gli devono essere fatte le comunicazioni inerenti alla procedura;

c) l’esposizione sommaria dei fatti e delle ragioni poste a fondamento della pretesa;

d) la nomina del proprio rappresentante nel collegio di conciliazione o la delega per la nomina medesima ad un’organizzazione sindacale.

4. Entro trenta giorni dal ricevimento della copia della richiesta, l’amministrazione, qualora non accolga la pretesa del lavoratore, deposita presso la Direzione osservazioni scritte. Nello stesso atto nomina il proprio rappresentante in seno al collegio di conciliazione. Entro i dieci giorni successivi al deposito, il Presidente fissa la comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione. Dinanzi al collegio di conciliazione, il lavoratore può farsi rappresentare o assistere anche da un’organizzazione cui aderisce o conferisce mandato. Per l’amministrazione deve comparire un soggetto munito del potere di conciliare.

5. Se la conciliazione riesce, anche limitatamente ad una parte della pretesa avanzata dal lavoratore, viene redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti del collegio di conciliazione. Il verbale costituisce titolo esecutivo. Alla conciliazione non si applicano le disposizioni dell’articolo 2113, commi, primo, secondo e terzo del codice civile.

6. Se non si raggiunge l’accordo tra le parti, il collegio di conciliazione deve formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia. Se la proposta non è accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti.

7. Nel successivo giudizio sono acquisiti, anche di ufficio, i verbali concernenti il tentativo di conciliazione non riuscito. Il giudice valuta il comportamento tenuto dalle parti nella fase conciliativa ai fini del regolamento delle spese.

8. La conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la pubblica amministrazione, in adesione alla proposta formulata dal collegio di cui al comma 1, ovvero in sede giudiziale ai sensi dell’articolo 420, commi primo, secondo e terzo, del codice di procedura civile, non può dar luogo a responsabilità amministrativa] (196).

(196) Articolo abrogato dal comma 9 dell’art. 31, L. 4 novembre 2010, n. 183.

TITOLO VII

Disposizioni diverse e norme transitorie finali

Capo I – Disposizioni diverse

67.  Integrazione funzionale del Dipartimento della funzione pubblica con la Ragioneria generale dello Stato.

(Art. 70 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 35 del D.Lgs. n. 546 del 1993)

1. Il più efficace perseguimento degli obiettivi di cui all’articolo 48, commi da 1 a 3, ed agli articoli da 58 a 60 è realizzato attraverso l’integrazione funzionale della Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica con il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, da conseguirsi mediante apposite conferenze di servizi presiedute dal Ministro per la funzione pubblica o da un suo delegato.

2. L’applicazione dei contratti collettivi di lavoro, nazionali e decentrati, per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche, è oggetto di verifica del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e della Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica, con riguardo, rispettivamente, al rispetto dei costi prestabiliti ed agli effetti degli istituti contrattuali sull’efficiente organizzazione delle amministrazioni pubbliche e sulla efficacia della loro azione.

3. Gli schemi di provvedimenti legislativi e i progetti di legge, comunque sottoposti alla valutazione del Governo, contenenti disposizioni relative alle amministrazioni pubbliche richiedono il necessario concerto del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e del Dipartimento della funzione pubblica. I provvedimenti delle singole amministrazioni dello Stato incidenti nella medesima materia sono adottati d’intesa con il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e con la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica in apposite conferenze di servizi da indire ai sensi e con le modalità di cui all’articolo 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni ed integrazioni.

68.  Aspettativa per mandato parlamentare.

(Art. 71, commi da 1 a 3 e 5 del D.Lgs. n. 29 del 1993)

1. I dipendenti delle pubbliche amministrazioni eletti al Parlamento nazionale, al Parlamento europeo e nei Consigli regionali sono collocati in aspettativa senza assegni per la durata del mandato. Essi possono optare per la conservazione, in luogo dell’indennità parlamentare e dell’analoga indennità corrisposta ai consiglieri regionali, del trattamento economico in godimento presso l’amministrazione di appartenenza, che resta a carico della medesima.

2. Il periodo di aspettativa è utile ai fini dell’anzianità di servizio e del trattamento di quiescenza e di previdenza.

3. Il collocamento in aspettativa ha luogo all’atto della proclamazione degli eletti; di questa le Camere ed i Consigli regionali danno comunicazione alle amministrazioni di appartenenza degli eletti per i conseguenti provvedimenti.

4. Le regioni adeguano i propri ordinamenti ai princìpi di cui ai commi 1, 2 e 3.

Capo II – Norme transitorie e finali

69.  Norme transitorie.

(Art. 25, comma 4 del D.Lgs. n. 29 del 1993; art. 50, comma 14 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall’art. 17 del D.Lgs. n. 470 del 1993 e poi dall’art. 2 del D.Lgs. n. 396 del 1997; art. 72, commi 1 e 4 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituiti dall’art. 36 del D.Lgs. n. 546 del 1993, art. 73, comma 2 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 37 del D.Lgs. n. 546 del 1993; art. 28, comma 2 del D.Lgs. n. 80 del 1998; art. 45, commi 5, 9, 17 e 25 del D.Lgs. n. 80 del 1998, come modificati dall’art. 22, comma 6 del D.Lgs. n. 387 del 1998; art. 24, comma 3 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. Salvo che per le materie di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, gli accordi sindacali recepiti in decreti del Presidente della Repubblica in base alla legge 29 marzo 1983, n. 93, e le norme generali e speciali del pubblico impiego, vigenti alla data del 13 gennaio 1994 e non abrogate, costituiscono, limitatamente agli istituti del rapporto di lavoro, la disciplina di cui all’articolo 2, comma 2. Tali disposizioni sono inapplicabili a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994-1997, in relazione ai soggetti e alle materie dagli stessi contemplati. Tali disposizioni cessano in ogni caso di produrre effetti dal momento della sottoscrizione, per ciascun àmbito di riferimento, dei contratti collettivi del quadriennio 1998-2001 (197).

2. In attesa di una nuova regolamentazione contrattuale della materia, resta ferma per i dipendenti di cui all’articolo 2, comma 2, la disciplina vigente in materia di trattamento di fine rapporto.

3. Il personale delle qualifiche ad esaurimento di cui agli articoli 60 e 61 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748, e successive modificazioni ed integrazioni, e quello di cui all’articolo 15 della legge 9 marzo 1989, n. 88, i cui ruoli sono contestualmente soppressi dalla data del 21 febbraio 1993, conserva le qualifiche ad personam. A tale personale sono attribuite funzioni vicarie del dirigente e funzioni di direzione di uffici di particolare rilevanza non riservati al dirigente, nonché compiti di studio, ricerca, ispezione e vigilanza ad esse delegati dal dirigente. Il trattamento economico è definito tramite il relativo contratto collettivo (198).

4. La disposizione di cui all’articolo 56, comma 1, si applica, per ciascun àmbito di riferimento, a far data dalla entrata in vigore dei contratti collettivi del quadriennio contrattuale 1998-2001.

5. Le disposizioni di cui all’articolo 22, commi 17 e 18, della legge 29 dicembre 1994, n. 724, continuano ad applicarsi alle amministrazioni che non hanno ancora provveduto alla determinazione delle dotazioni organiche previa rilevazione dei carichi di lavoro.

6. Con riferimento ai rapporti di lavoro di cui all’articolo 2, comma 3, del presente decreto, non si applica l’articolo 199 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3.

7. Sono attribuite al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie di cui all’articolo 63 del presente decreto, relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998. Le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000 (199) (200).

8. Fino all’entrata in vigore della nuova disciplina derivante dal contratto collettivo per il comparto scuola, relativo al quadriennio 1998-2001, continuano ad applicarsi al personale della scuola le procedure di cui all’articolo 484 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297.

9. Per i primi due bandi successivi alla data del 22 novembre 1998, relativi alla copertura di posti riservati ai concorsi di cui all’articolo 28, comma 2, lettera b, del presente decreto, con il regolamento governativo di cui al comma 3, del medesimo articolo è determinata la quota di posti per i quali sono ammessi soggetti anche se non in possesso del previsto titolo di specializzazione.

10. Sino all’applicazione dell’articolo 46, comma 12, l’ARAN utilizza personale in posizione di comando e fuori ruolo nei limiti massimi delle tabelle previste dal decreto del Presidente della Repubblica 25 gennaio 1994, n. 144, come modificato dall’articolo 8, comma 4, della legge 15 maggio 1997, n. 127.

11. In attesa di una organica normativa nella materia, restano ferme le norme che disciplinano, per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche, l’esercizio delle professioni per le quali sono richieste l’abilitazione o l’iscrizione ad ordini o albi professionali. Il personale di cui all’articolo 6, comma 5, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni ed integrazioni, può iscriversi, se in possesso dei prescritti requisiti, al relativo ordine professionale.

(197)  Articolo aggiunto dall’art. 4, L. 16 gennaio 2003, n. 3. Vedi, anche, la Dir.Min. 6 agosto 2004 e l’art. 13, D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82.

(198)  Vedi, anche, l’art. 5, L. 15 luglio 2002, n. 145.

(199) La stessa Corte, con successiva ordinanza 28 settembre-7 ottobre 2005, n. 382 (Gazz. Uff. 12 ottobre 2005, n. 41, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 7, sollevata in riferimento agli articoli 3, 24, 113 e 76 della Costituzione; ha infine dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 7, sollevata in riferimento agli articoli 3, 24 e 113 della Costituzione.

(200) La Corte costituzionale, con ordinanza 3-11 maggio 2006, n. 197 (Gazz. Uff. 17 maggio 2006, n. 20, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 7, sollevata in riferimento agli articoli 3, 24 e 36 della Costituzione.

70.  Norme finali.

(Art. 73, commi 1, 3, 4, 5 e 6-bis del D.Lgs. n. 29 del 1993, come modificati dall’art. 21 del D.Lgs. n. 470 del 1993, successivamente sostituiti dall’art. 37 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e modificati dall’art. 9, comma 2 del D.Lgs. n. 396 del 1997, dall’art. 45, comma 4 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e dall’art. 20 del D.Lgs. n. 387 del 1998; art. 45, commi 1, 2, 7, 10, 11, 21, 22 e 23 del D.Lgs. n. 80 del 1998, come modificati dall’art. 22, comma 6 del D.Lgs. n. 387 del 1998, dall’art. 89 della legge n. 342 del 2000 e dall’art. 51, comma 13, della legge n. 388 del 2000)

1. Restano salve per la regione Valle d’Aosta le competenze in materia, le norme di attuazione e la disciplina sul bilinguismo. Restano comunque salve, per la provincia autonoma di Bolzano, le competenze in materia, le norme di attuazione, la disciplina vigente sul bilinguismo e la riserva proporzionale di posti nel pubblico impiego.

2. Restano ferme le disposizioni di cui al titolo IV, capo II del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, riguardanti i segretari comunali e provinciali, e alla legge 7 marzo 1986, n. 65 – esclusi gli articoli 10 e 13 – sull’ordinamento della Polizia municipale. Per il personale disciplinato dalla stessa legge 7 marzo 1986, n. 65 il trattamento economico e normativo è definito nei contratti collettivi previsti dal presente decreto, nonché, per i segretari comunali e provinciali, dall’art. 11, comma 8 del decreto del Presidente della Repubblica 4 dicembre 1997, n. 465.

3. Il rapporto di lavoro dei dipendenti degli enti locali è disciplinato dai contratti collettivi previsti dal presente decreto nonché dal decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

4. Le aziende e gli enti di cui alle L. 26 dicembre 1936, n. 2174, e successive modificazioni ed integrazioni, L. 13 luglio 1984, n. 312, L. 30 maggio 1988, n. 186, L. 11 luglio 1988, n. 266, L. 31 gennaio 1992, n. 138, L. 30 dicembre 1986, n. 936, decreto legislativo 25 luglio 1997, n. 250, decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 39, adeguano i propri ordinamenti ai princìpi di cui al titolo I. I rapporti di lavoro dei dipendenti dei predetti enti ed aziende nonché della Cassa depositi e prestiti sono regolati da contratti collettivi ed individuali in base alle disposizioni di cui agli articoli 2, comma 2, all’articolo 8, comma 2, ed all’articolo 60, comma 3 (201) (202).

5. Le disposizioni di cui all’articolo 7 del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, vanno interpretate nel senso che le medesime, salvo quelle di cui al comma 7, non si riferiscono al personale di cui al decreto legislativo 26 agosto 1998, n. 319.

6. A decorrere dal 23 aprile 1998, le disposizioni che conferiscono agli organi di governo l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi di cui all’articolo 4, comma 2, del presente decreto, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti.

7. A decorrere dal 23 aprile 1998, le disposizioni vigenti a tale data, contenute in leggi, regolamenti, contratti collettivi o provvedimenti amministrativi riferite ai dirigenti generali si intendono riferite ai dirigenti di uffici dirigenziali generali.

8. Le disposizioni del presente decreto si applicano al personale della scuola. Restano ferme le disposizioni di cui all’articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59 e del decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 35. Sono fatte salve le procedure di reclutamento del personale della scuola di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 e successive modificazioni ed integrazioni.

9. Per il personale della carriera prefettizia di cui all’articolo 3, comma 1 del presente decreto, gli istituti della partecipazione sindacale di cui all’articolo 9 del medesimo decreto sono disciplinati attraverso apposito regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni ed integrazioni (203).

10. I limiti di cui all’articolo 19, comma 6, del presente decreto non si applicano per la nomina dei direttori degli Enti parco nazionale.

11. Le disposizioni in materia di mobilità di cui agli articoli 30 e seguenti del presente decreto non si applicano al personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

12. In tutti i casi, anche se previsti da normative speciali, nei quali enti pubblici territoriali, enti pubblici non economici o altre amministrazioni pubbliche, dotate di autonomia finanziaria sono tenute ad autorizzare la utilizzazione da parte di altre pubbliche amministrazioni di proprio personale, in posizione di comando, di fuori ruolo, o in altra analoga posizione, l’amministrazione che utilizza il personale rimborsa all’amministrazione di appartenenza l’onere relativo al trattamento fondamentale. La disposizione di cui al presente comma si applica al personale comandato, fuori ruolo o in analoga posizione presso l’ARAN a decorrere dalla completa attuazione del sistema di finanziamento previsto dall’articolo 46, commi 8 e 9, del presente decreto, accertata dall’organismo di coordinamento di cui all’articolo 41, comma 6 del medesimo decreto. Il trattamento economico complessivo del personale inserito nel ruolo provvisorio ad esaurimento del Ministero delle finanze istituito dall’articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 1998, n. 283, in posizione di comando, di fuori ruolo o in altra analoga posizione, presso enti pubblici territoriali, enti pubblici non economici o altre amministrazioni pubbliche dotate di autonomia finanziaria, rimane a carico dell’amministrazione di appartenenza.

13. In materia di reclutamento, le pubbliche amministrazioni applicano la disciplina prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487, e successive modificazioni ed integrazioni, per le parti non incompatibili con quanto previsto dagli articoli 35 e 36, salvo che la materia venga regolata, in coerenza con i princìpi ivi previsti, nell’àmbito dei rispettivi ordinamenti.

(201) Comma così modificato prima dal comma 5 dell’art. 47, L. 28 dicembre 2001, n. 448, poi dal comma 1-bis dell’art. 5, D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, e, infine, dal comma 3 dell’art. 66, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(202) Vedi, anche, l’art. 1, comma 189, L. 23 dicembre 2005. n. 266, sostituito dall’art. 67, comma 5, D.L. 25 giugno 2008, n. 112. Vedi, altresì, l’art. 72, comma 1 e l’art. 74 del suddetto decreto.

(203)  Con D.P.R. 20 settembre 2002, n. 247 è stato emanato il regolamento di cui al presente comma.

71.  Disposizioni inapplicabili a seguito della sottoscrizione di contratti collettivi.

1. Ai sensi dell’art. 69, comma 1, secondo periodo, a seguito della stipulazione dei contratti collettivi per il quadriennio 1994-1997, cessano di produrre effetti per ciascun àmbito di riferimento le norme di cui agli allegati A) e B) al presente decreto, con le decorrenze ivi previste, in quanto contenenti le disposizioni espressamente disapplicate dagli stessi contratti collettivi. Rimangono salvi gli effetti di quanto previsto dallo stesso comma 1 dell’articolo 69, con riferimento all’inapplicabilità delle norme incompatibili con quanto disposto dalla contrattazione collettiva nazionale.

2. Per il personale delle Regioni ed autonomie locali, cessano di produrre effetti, a seguito della stipulazione dei contratti collettivi della tornata 1998-2001, le norme contenute nell’allegato C), con le decorrenze ivi previste.

3. Alla fine della tornata contrattuale 1998-2001 per tutti i comparti ed aree di contrattazione verranno aggiornati gli allegati del presente decreto, ai sensi dell’articolo 69, comma 1, ultimo periodo. La contrattazione relativa alla tornata contrattuale 1998-2001, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, provvederà alla disapplicazione espressa delle disposizioni generali o speciali del pubblico impiego, legislative o recepite in decreto del Presidente della Repubblica, che risulteranno incompatibili con la stipula dei contratti collettivi nazionali o dei contratti quadro.

72.  Abrogazioni di norme.

(Art. 74 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 38 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e modificato prima dall’art. 43, comma 2 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e poi dall’art. 21 del D.Lgs. n. 387 del 1998; art. 43, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 7 del D.Lgs. n. 80 del 1998, come modificati dall’art. 22, commi da 1 a 3 del D.Lgs. n. 387 del 1998; art. 28, comma 2 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Sono abrogate o rimangono abrogate le seguenti norme:

a) articolo 32 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) capo I, titolo I, del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748, e successive modificazioni ed integrazioni, ad eccezione delle disposizioni di cui agli articoli da 4 a 12, nonché 15, 19, 21, 24 e 25, che, nei limiti di rispettiva applicazione, continuano ad applicarsi al personale dirigenziale delle carriere previste dall’articolo 15, comma 1, secondo periodo del presente decreto, nonché le altre disposizioni del medesimo decreto del Presidente delle Repubblica n. 748 del 1972 incompatibili con quelle del presente decreto;

c) articolo 5, commi secondo e terzo della legge 11 agosto 1973, n. 533;

d) articoli 4, commi decimo, undicesimo, dodicesimo e tredicesimo e 6 della legge 11 luglio 1980, n. 312;

e) articolo 2 del decreto legge 6 giugno 1981, n. 283, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 1981, n. 432;

f) articoli da 2 a 15, da 17 a 21, 22, a far data dalla stipulazione dei contratti collettivi per il quadriennio 1994-1997; 23, 26, comma quarto, 27, comma primo, n. 5, 28 e 30, comma terzo della legge 29 marzo 1983, n. 93;

g) legge 10 luglio 1984, n. 301, ad esclusione delle disposizioni che riguardano l’accesso alla qualifica di primo dirigente del Corpo forestale dello Stato;

h) articolo 2 della legge 8 marzo 1985, n. 72;

i) articoli 27 e 28 del decreto del Presidente della Repubblica 8 maggio 1987, n. 266, come integrato dall’articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica 17 settembre 1987, n. 494;

j) decreto del Presidente della Repubblica 5 dicembre 1987, n. 551;

k) articoli 4, commi 3 e 4, e articolo 5 della legge 7 luglio 1988, n. 254;

l) articolo 17, comma 1, lettera e), della legge 23 agosto 1988, n. 400;

m) articolo 9 della legge 9 maggio 1989, n. 168;

n) articoli 4, comma 9, limitatamente alla disciplina sui contratti di lavoro riguardanti i dipendenti delle amministrazioni, aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale; e 10, comma 2 della legge 30 dicembre 1991, n. 412;

o) articolo 2, comma 8, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, limitatamente al personale disciplinato dalla legge 4 giugno 1985, n. 281;

p) articolo 7, comma 1, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, limitatamente al personale disciplinato dalla legge 4 giugno 1985, n. 281 e dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287;

q) articolo 10, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 533;

r) articolo 10 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 534;

s) articolo 6-bis del decreto legge 18 gennaio 1993, n. 9, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 marzo 1993, n. 67;

t) decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29;

u) articolo 3, commi 5, 6, 23, 27, 31 ultimo periodo e da 47 a 52 della legge 24 dicembre 1993, n. 537;

v) articolo 3, comma 1, lettera e), della legge 14 gennaio 1994, n. 20;

w) decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 16 settembre 1994, n. 716;

x) articolo 2, lettere b), d) ed e) del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 18 ottobre 1994, n. 692, a decorrere dalla data di attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 19 del presente decreto;

y) articolo 22, comma 15, della legge 23 dicembre 1994, n. 724;

z) decreto ministeriale 27 febbraio 1995, n. 112 del Ministro per la funzione pubblica;

aa) decreto legislativo 4 novembre 1997, n. 396;

bb) decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 ad eccezione degli articoli da 33 a 42 e 45, comma 18;

cc) decreto legislativo 29 ottobre 1998, n. 387 ad eccezione degli articoli 19, commi da 8 a 18 e 23 .

2. Agli adempimenti e alle procedure già previsti dall’articolo 31 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni e integrazioni, continuano ad essere tenute le amministrazioni che non vi hanno ancora provveduto alla data di entrata in vigore del presente decreto.

3. A far data dalla stipulazione dei contratti collettivi per il quadriennio 1994-1997, per ciascun àmbito di riferimento, sono abrogate tutte le disposizioni in materia di sanzioni disciplinari per i pubblici impiegati incompatibili con le disposizioni del presente decreto.

4. A far data dalla stipulazione dei contratti collettivi per il quadriennio 1994-1997, per ciascun àmbito di riferimento, ai dipendenti di cui all’articolo 2, comma 2, non si applicano gli articoli da 100 a 123 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, e le disposizioni ad essi collegate.

5. A far data dalla entrata in vigore dei contratti collettivi del quadriennio 1998-2001, per ciascun àmbito di riferimento, cessano di produrre effetti i commi 7, 8 e 9 dell’articolo 55 del presente decreto.

6. Contestualmente alla definizione della normativa contenente la disciplina di cui all’articolo 50, sono abrogate le disposizioni che regolano la gestione e la fruizione delle aspettative e dei permessi sindacali nelle amministrazioni pubbliche.

73.  Norma di rinvio.

1. Quando leggi, regolamenti, decreti, contratti collettivi od altre norme o provvedimenti, fanno riferimento a norme del D.Lgs. n. 29 del 1993 ovvero del D.Lgs. n. 396 del 1997, del D.Lgs. n. 80 del 1998 e del D.Lgs. n. 387 del 1998, e fuori dai casi di abrogazione per incompatibilità, il riferimento si intende effettuato alle corrispondenti disposizioni del presente decreto, come riportate da ciascun articolo.

Allegato A

(Art. 71, comma 1)

Norme generali e speciali del pubblico impiego, vigenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 29 del 1993 e dei relativi decreti correttivi emanati ai sensi dell’art. 2, comma 5 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, che cessano di produrre effetti a seguito della sottoscrizione dei contratti collettivi per il quadriennio 1994-1997 per il personale non dirigenziale ai sensi dell’art. 69, comma 1, secondo periodo del presente decreto.

I. Ministeri

1. Dal 17 maggio 1995 (art. 43 CCNL 1994-1997):

a) articoli da 12 a 17, 36, 37, da 39 a 41, 68, commi da 1 a 8; 70, 71, da 78 a 87, da 91 a 99, 134, 146, commi 1, lettera d) e parte successiva, e 2, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) articoli 18, da 30 a 34 e 61, decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

c) art. 15, legge 11 luglio 1980, n. 312;

d) art. 25, legge 29 marzo 1983, n. 93;

e) art. 8, legge 8 agosto 1985, n. 455;

f) art. 4, comma 4, decreto-legge 19 dicembre 1984, n. 853, convertito con legge 17 febbraio 1985, n. 17;

g) art. 4, da 11 a 14, 18, 20 e 21, comma 1, lettera b), decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

h) art. 10, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 giugno 1986;

i) art. 19, comma 8, legge 1° dicembre 1986, n. 870;

j) art. 23, comma 8, legge 30 dicembre 1986, n. 936;

k) articoli 13, 15, 16, 18, 19, 32 e 50, decreto del Presidente della Repubblica 8 maggio 1987, n. 266;

l) art. 4, decreto-legge 28 agosto 1987, n. 356, convertito con legge 27 ottobre 1987, n. 436;

m) articoli da 5 a 7, decreto del Presidente della Repubblica 17 settembre 1987, n. 494;

n) art. 9, comma 4, decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86, convertito con legge 20 maggio 1988, n. 160;

o) articoli 4, 15 e 16, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 395;

p) legge 22 giugno 1988, n. 221;

q) articoli 1, comma 1; 2, comma 1; da 3 a 6, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 17 marzo 1989, n. 117;

r) art. 3, comma 1, lettera i) punto 2, legge 10 ottobre 1989, n. 349;

s) articoli 2 e 3, legge 29 dicembre 1989, n. 412;

t) articoli 7, 8, commi da 12 a 14; 10, 14, decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1990, n. 44;

u) art. 14, legge 7 agosto 1990, n. 245;

v) art. 10, commi 1 e 2, decreto-legge 29 marzo 1991, n. 108, convertito con legge 1° giugno 1991, n. 169;

w) art. 1, legge 25 febbraio 1992, n. 209;

x) art. 3, comma 3, decreto-legge 4 dicembre 1992, n. 469, convertito con legge 2 febbraio 1993, n. 23;

y) art. 3, commi da 37 a 41, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

2. Dal 13 gennaio 1996 (art. 10, CCNL integrativo del 12 gennaio 1996):

a) articoli 9, commi 7 e 8; da 10 a 12, decreto del Presidente della Repubblica 8 maggio 1987, n. 266.

3. Dal 23 ottobre 1997 (art. 8, CCNL integrativo del 22 ottobre 1997):

a) articoli 10, 67, 69, 70 e 124, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) art. 50, legge 18 marzo 1968, n. 249;

c) articoli 29 e 31, decreto del Presidente della Repubblica 8 maggio 1987, n. 266;

d) articoli da 14 a 16, decreto del Presidente della Repubblica 18 maggio 1987, n. 269;

e) articoli 15 e 21, decreto del Presidente della Repubblica 4 agosto 1990, n. 335;

f) art. 1, legge 15 gennaio 1991, n. 14.

4. Dal 27 febbraio 1998 (art 7 CCNL integrativo del 26 febbraio 1998, relativo al personale dell’amministrazione civile dell’interno):

a) articoli 9, 10 e 11, fatto salvo il disposto della legge 27 ottobre 1977, n. 801; 13, 17, 18, limitatamente al personale della carriera di ragioneria; da 20 a 27 e 43, decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 340.

II. Enti pubblici non economici

1. Dal 7 luglio 1995 (art. 50, CCNL 1994 -1997):

a) articoli 8, comma 1; 9, comma 1 e 2, salvo quanto previsto dall’art. 3, decreto del Presidente della Repubblica 26 maggio 1976, n. 411, e comma 3, per la parte relativa alle assenze per gravidanza e puerperio e per infermità; 11, 12, 23, 27 e 28, legge 20 marzo 1975, n. 70;

b) articoli 7 e 18, decreto del Presidente della Repubblica 26 maggio 1976, n. 411;

c) articoli 6, 17 e 21, decreto del Presidente della Repubblica 16 ottobre 1979, n. 509;

d) articoli 2 e 5, decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1983, n. 346;

e) articoli 22 e 25, legge 29 marzo 1983, n. 93;

f) articoli 4, 7, 8, da 11 a 14, 18, 20 e 21 lettera b), decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

g) articoli 5, commi da 1 a 7, 7, da 10 a 16 e 24, decreto del Presidente della Repubblica 8 maggio 1987, n. 267;

h) art. 7, decreto del Presidente della Repubblica 17 settembre 1987, n. 494;

i) articoli 2, 4, 15 e 16, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 395;

j) articoli 1, comma 1; 2, comma 1; da 3 a 6, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 17 marzo 1989, n. 117;

k) articoli 5 e 13, decreto del Presidente della Repubblica 13 gennaio 1990, n. 43;

l) art. 3, commi da 37 a 42, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

2. Dal 12 ottobre 1996 (art. 96 CCNL 1994-97 per il personale con qualifica dirigenziale – sezione II):

a) articoli 9 e 10, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) articoli 8, comma 1; 9, comma 1; commi 1, 2 e 3, per la parte relativa alle assenze per gravidanza e puerperio e per infermità; 11, 12, 23, 27 e 28, legge 20 marzo 1975, n. 70;

c) articoli 17 e 18, decreto del Presidente della Repubblica 26 maggio 1976, n. 411;

d) articoli 6, 17, 21, decreto del Presidente della Repubblica 16 ottobre 1979, n. 509;

e) articoli 2 e 7, con le decorrenze di cui all’art. 66 ultimo periodo del contratto collettivo nazionale del lavoro per il personale con qualifica dirigenziale, decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1983, n. 346;

f) articoli 22 e 25, legge 29 marzo 1983, n. 93;

g) articoli da 11 a 14 e da 18 a 21, decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

h) articoli 4, 5, commi da 1 a 7; 7, 9, con le decorrenze di cui all’art. 66, ultimo periodo del Contratto collettivo nazionale del lavoro, per il personale con qualifica dirigenziale; da 10 a 16 e 24, decreto del Presidente della Repubblica 8 maggio 1987, n. 267;

i) articoli 7 e 10, decreto del Presidente della Repubblica 17 settembre 1987, n. 494;

j) articoli 2, 4 e 15, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 395;

k) articoli 1, da 3 a 5, 12 e 13, decreto del Presidente della Repubblica 13 gennaio 1990, n. 43;

l) art. 17, decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487;

m) art. 3, commi da 37 a 42, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

III. Regioni ed autonomie locali

1. Dal 7 luglio 1995 (art. 47 CCNL 1994-1997):

a) articoli da 12 a 17, 37, 68, commi da 1 a 7; 70 e 71, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) articoli da 30 a 34, decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

c) art. 9, decreto del Presidente della Repubblica 7 novembre 1980, n. 810;

d) art. 25, legge 29 marzo 1983, n. 93;

e) articoli 7, 8, da 17 a 19, decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1983, n. 347;

f) articoli 4, 11 e da 18 a 21, decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

g) articoli 2, 4, lettera a) comma 1 e lettera b) commi 6 e 7; 11, commi da 1 a 11, 14, 15, da 25 a 29, 34, comma 1, lettere a) e b); 56 e 61, decreto del Presidente della Repubblica 13 maggio 1987, n. 268;

h) articoli 4 e 16, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 395;

i) art. 7, comma 6, legge 29 dicembre 1988, n. 554, disapplicato fino al 13 maggio 1996;

j) articoli 1, comma 1, 2 comma 1; da 3 a 6, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 17 marzo 1989, n. 117;

k) articoli 1 e 5, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 30 marzo 1989, n. 127;

l) articoli 3, 4 e 5, con effetto dal 1° gennaio 1996; 6, con effetto dal 1° gennaio 1996; 16, da 30 a 32, da 43 a 47, decreto del Presidente della Repubblica 3 agosto 1990, n. 333;

m) art. 51, commi 9 e 10, legge 8 giugno 1990, n. 142;

n) art. 3, comma 23 e da 37 a 41, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

2. Dal 14 maggio 1996 (art. 10 del CCNL integrativo del 13 maggio 1996):

a) art. 124, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) art. 25, decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1983, n. 347;

c) art. 18, decreto del Presidente della Repubblica 3 agosto 1990, n. 333.

IV. Sanità

1. Dal 2 settembre 1995 (art. 56 CCNL 1994-1997):

a) articoli da 12 a 17; da 37 a 41, 67, 68, commi da 1 a 7; da 69 a 71, da 78 a 123, 129 e 130, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) articoli da 30 a 34 e 61, decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

c) art. 7, comma 3, legge 30 dicembre 1971, n. 1204, limitatamente ai primi 30 giorni di permessi retribuiti fruibili nel primo triennio di vita del bambino;

d) articoli 9, comma 4; 14, 27, comma 1, limitatamente alla parola «doveri»; 27, comma 4, 32, 33, 37, 38, da 39 a 42, 47, 51, 52 da 54 a 58, 60, 61 e 63, ultimo comma, decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761;

e) articoli 18, commi 3 e 4, 19 e 20, decreto ministeriale 30 gennaio 1982 del Ministro della sanità;

f) art. 25, legge 29 marzo 1983, n. 93;

g) decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1983, n. 348;

h) articoli 4, 11, da 18 a 21, decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

i) articoli da 2 a 4, 11, 16, 26, 28, 29, 31, 38, 40, 55, 57 e 112, decreto del Presidente della Repubblica 20 maggio 1987, n. 270;

j) art. 46, decreto del Presidente della Repubblica 17 settembre 1987, n. 494;

k) decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 30 marzo 1989, n. 127;

l) art. 7, comma 6, ultimi due periodi, legge 29 dicembre 1988, n. 554;

m) art. 4, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 395;

n) articoli 1, comma 1; 2, comma 1; da 3 a 6, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 17 marzo 1989, n. 117;

o) articoli 1, da 3 a 7; 23, commi 1, 4 e 5; 34, da 41 a 43, 46, comma 1, relativamente all’indennità di bilinguismo e comma 2, ultimo periodo; 49, comma 1, primo periodo e comma 2, per la parte riferita al medesimo periodo del comma 1 nonché commi da 3 a 7; da 50 a 52 e da 57 a 67, con effetto dal 1° gennaio 1996, fatto salvo quanto disposto dall’art. 47, comma 8 del contratto collettivo nazionale del lavoro per il quale la disapplicazione dell’art. 57, lettera b) dello stesso decreto del Presidente della Repubblica decorre dal 1° gennaio 1997; 68, commi da 4 a 7, decreto del Presidente della Repubblica 28 novembre 1990, n. 384;

p) art. 3, commi 23 e da 37 a 41, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

2. Dal 2 settembre 1995 (art. 14, comma 2, e art. 18, comma 1 CCNL del 22 maggio 1997):

a) art. 87, del decreto del Presidente della Repubblica 20 maggio 1987, n. 270.

V. Istituzioni ed enti di ricerca

1. Dall’8 ottobre 1996 (art. 55 CCNL 1994-1997):

a) articoli 9, 10, da 12 a 17, 36, 37, 39, 40, 41, 68 commi da 1 a 7, e 8 ad esclusione della parte relativa all’equo indennizzo; 70, 71, da 78 a 87, da 91 a 99, 124, 126, 127, 129, 130, 131, 134, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) art. 14, 18, da 30 a 34 e 61, decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

c) articoli 8, comma 1, 9, commi 1 e 3, per la parte relativa alle assenze per gravidanza, puerperio e infermità; 11, 12, 23, 36, 39, legge 20 marzo 1975, n. 70;

d) articoli 7, 18, 52, 53 e 65, decreto del Presidente della Repubblica 26 maggio 1976, n. 411;

e) articoli 11, commi 3 e 4; 21, decreto del Presidente della Repubblica 16 ottobre 1979, n. 509;

f) articoli 22 e 25, legge 29 marzo 1983, n. 93;

g) articoli 4, 7, 8, 11, 18, 20 commi 1, 2, 4; 21 lettera b), decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

h) articoli da 3 a 6, da 9 a 11, 29 e 36, decreto del Presidente della Repubblica 28 settembre 1987, n. 568;

i) articoli 2 e 4, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 395;

j) art. 7, commi da 2 a 6, legge 29 dicembre 1988, n. 554;

k) articoli 1, comma 1; 2, comma 1; da 3 a 6, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 17 marzo 1989, n. 117;

l) art. 1, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 30 marzo 1989, n. 127;

m) articoli 11, 15, 16, 17, comma 15; 21, con esclusione del comma 5; 23, fatti salvi gli effetti delle assunzioni già avvenute alla data di stipulazione del Contratto collettivo nazionale del lavoro; 34 37, 38, comma 3, 39, decreto del Presidente della Repubblica 12 febbraio 1991, n. 171;

n) art. 3, commi da 37 a 41, della legge 24 dicembre 1993, n. 537.

VI. Scuola

1. Dal 5 agosto 1995 (art. 82 CCNL 1994-97):

a) art. 39, regio decreto 30 aprile 1924, n. 965;

b) art. 350, regio decreto 26 aprile 1928, n. 1297;

c) art. 2, comma 1, decreto legislativo n. 576 del 1948;

d) articoli 12, da 13 a 17, solo con riferimento al personale ATA, da 14 a 17, 37, 39, 40, comma 1; 68, comma 7; 70, 71, solo con riferimento al personale ATA; da 78 a 87, da 91 a 99, da 100 a 123 e 134, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

e) articoli da 30 a 34 e 61, decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

f) art. 28, legge 15 novembre 1973, n. 734;

g) articoli 60, commi da 1 a 10; 88, commi 1 e 3, decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n. 417;

h) art. 50, legge 11 luglio 1980, n. 312;

i) art. 19, legge 20 maggio 1982, n. 270;

j) art. 25, legge 29 marzo 1983, n. 93;

k) art. 7, comma 15, legge 22 dicembre 1984, n. 887;

l) decreto del Presidente della Repubblica 7 marzo 1985, n. 588;

m) articoli 4, da 18 a 20, 21, lett. b), decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

n) articoli 2, comma 7; 5, con esclusione del comma 2; 7, 9, 11, 12, commi 1, 5, 6 e 8; da 13 a 21, 23 e 30, decreto del Presidente della Repubblica 10 aprile 1987, n. 209;

o) art. 67, decreto del Presidente della Repubblica n. 494 del 1987;

p) articoli 4, 11 e 16, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 395;

q) articoli 2, 3, commi da 1 a 5, 8 e 9; 4, commi 1, 2 e 12; da 6 a 13, 14, commi da 1 a 6, 7, primo periodo, da 8 a 11, 14, 18, 19 e 21; 15, 16, 18, 20, da 23 a 26, 28 e 29, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 399;

r) articoli 1, commi 1 e 3; da 2 a 6, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 17 marzo 1989, n. 117;

s) articoli 3, commi 37, 38, 39, 40, 41; 4, comma 20, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

2. Dal 2 maggio 1996 (art. 9 dell’accordo successivo, con riguardo al personale in servizio presso le istituzioni educative):

a) articoli da 92 a 102, regio decreto 1° settembre 1925, n. 2009;

b) art. 14, comma 16, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 399.

VII. Università

1. Dal 22 maggio 1996 (art. 56 del CCNL 1994-1997):

a) articoli 9, 10, da 12 a 17, 36, 37, da 39 a 41, 68, commi da 1 a 8; 70, 71, da 78 a 87, da 91 a 99, 124, 126, 127, da 129 a 131 e 134, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) articoli 14, 18, da 30 a 34 e 61 del decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

c) art. 50, legge 18 marzo 1968, n. 249;

d) art. 5, legge 25 ottobre 1977, n. 808;

e) articoli 15 e 170, legge 11 luglio 1980, n. 312;

f) art. 26, decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382;

g) articoli 22 e 25, legge 29 marzo 1983, n. 93;

h) articoli 4, 7, 8, da 11 a 14, da 18 a 20 e 21 lettera b), decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

i) articoli 2, 23, commi da 1 a 3; 24, comma 3, legge 29 gennaio 1986, n. 23;

j) articoli da 2 a 7; 8, con la decorrenza prevista nello stesso art. 56 del Contratto collettivo nazionale del lavoro, 9, 12, 13, 20, comma 5; 23 comma 2; da 24 a 28, decreto del Presidente della Repubblica 28 settembre 1987, n. 567;

k) articoli 2, 4, 15 e 16, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 395;

l) art. 7, commi da 2 a 6, legge 29 dicembre 1988, n. 554;

m) articoli 1, comma 1; 2, commi 1; da 3 a 6, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 17 marzo 1989, n. 117;

n) art. 1, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 30 marzo 1989, n. 127;

o) articoli 5, 7, 10, 13, commi 1 e 2; 14, 16, 18, commi 2 e 3, 27, commi 3 e 4, decreto del Presidente della Repubblica 3 agosto 1990, n. 319;

p) art. 3, commi da 37 a 41, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

VIII. Aziende autonome

1. Dal 6 aprile 1996 (art. 73 CCNL 1994-1997):

a) articoli 10, da 12 a 17, 36, 37, 39, 40, 41, comma 1, 68, commi da 1 a 8; 70, 71, da 78 a 87, da 91 a 99 e 134, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) articoli 18, da 30 a 34 e 61, decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

c) art. 50, legge 18 marzo 1968, n. 249;

d) art. 15, legge 11 luglio 1980, n. 312;

e) art. 25, legge 29 marzo 1983, n. 93;

f) articoli 4, 11, 18, 20 e 21, decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

g) art. 10, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 giugno 1986;

h) art. 53, decreto del Presidente della Repubblica 17 settembre 1987, n. 494;

i) articoli da 2 a 5, 11, da 14 a 16, 27, 37 e 105 lett. d), decreto del Presidente della Repubblica 18 maggio 1987, n. 269;

j) art. 6, legge 10 agosto 1988, n. 357;

k) articoli 4 e 16, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 395;

l) art. 32, commi da 1 a 5, legge 5 dicembre 1988, n. 521;

m) articoli 1, comma 1; 2, comma 1; da 3 a 6, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 17 marzo 1989, n. 117;

n) articoli 5, 15 e 21, decreto del Presidente della Repubblica 4 agosto 1990, n. 335;

o) articoli 3, commi 23, 37, 38, 39, 40, 4; 4, comma 20, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

IX. Enea

1. Dal 4 agosto 1997 (art. 79 CCNL 1994-1997):

a) art. 3, commi da 39 a 41, legge 24 dicembre 1993, n. 537;

b) articoli 1, 1-bis, 1-ter, da 2 a 19, 19-bis, 19-ter, 20, 20-bis 22, da 24 a 27, da 29 a 33, da 35 a 39, 41, 42, comma 1, da 44 a 55, 57, 59, 60, da 63 a 79 del C.C.L. ENEA 31 dicembre 1988 – 30 dicembre 1991;

c) Parte generale, allegati, appendici e codici di autoregolamentazione del diritto di sciopero afferenti al previgente C.C.L. ENEA 31 dicembre 1988-30 dicembre 1991.

Allegato B

(Art 71, comma 1)

Norme generali e speciali del pubblico impiego, vigenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 29 del 1993 e dei relativi decreti correttivi emanati ai sensi dell’art. 2, comma 5 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, che cessano di produrre effetti a seguito della sottoscrizione dei contratti collettivi per il quadriennio 1994-1997 per il personale dirigenziale ai sensi dell’art. 69, comma 1, secondo periodo del presente decreto.

I. Ministeri

1. Dal 10 gennaio 1997 (art. 45 CCNL 1994-1997):

a) articoli 10, 12, 36, 37, da 39 a 41, 68, commi da 1 a 8; 70, 71 da 78 a 87, da 91 a 99 e 200, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) articoli 18, da 30 a 34, decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

c) art. 20, da 47 a 50, del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748;

d) decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1977, n. 422;

e) articoli da 133 a 135, legge 11 luglio 1980, n. 312;

f) decreto-legge 27 settembre 1982, n. 681, convertito con legge 20 novembre 1982, n. 869;

g) legge 17 aprile 1984, n. 79;

h) art. 8, legge 8 agosto 1985, n. 455;

i) art. 4, comma 4, decreto-legge 19 dicembre 1984, n. 853, convertito con legge 17 febbraio 1985, n. 17;

j) articoli da 12 a 14, decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

k) art. 19, comma 8, legge 1° dicembre 1986, n. 870;

l) art. 23, comma 8, legge 30 dicembre 1986, n. 936;

m) art. 4, decreto-legge 28 agosto 1987, n. 356, convertito con legge 27 ottobre 1987, n. 436;

n) art. 9, comma 4, decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86, convertito con legge 20 maggio 1988, n. 160;

o) legge 22 giugno 1988, n. 221;

p) art. 3, comma 1, lettera i) parte 2, legge 10 ottobre 1989, n. 349;

q) articoli 2 e 3, legge 29 dicembre 1989, n. 412;

r) art. 14, legge 7 agosto 1990, n. 245;

s) art. 10, commi 1 e 2, decreto-legge 29 marzo 1991, n. 108, convertito con legge 1° giugno 1991, n. 169;

t) art. 1, legge 25 febbraio 1992, n. 209;

u) art. 3, comma 3, decreto-legge 4 dicembre 1992, n. 469, convertito con legge 2 febbraio 1993, n. 23;

v) art. 3, commi da 37 a 41, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

2. Dal 30 settembre 1997 (art. 15 CCNL integrativo 30 settembre 1997):

a) art. 18, comma 2-bis, decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502.

II. Enti pubblici non economici

1. Dal 12 ottobre 1996 (art. 50 CCNL 1994-1997):

a) articoli 9, 10, 37, 66, 68, commi da 1 a 7; 70 e 71, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) art. 20, decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748;

c) articoli 9, comma 2; 23, legge 20 marzo 1975, n. 70;

d) art. 4, legge 17 aprile 1984, n. 79;

e) articoli 2, 3, commi 1 e 2, decreto-legge 11 gennaio 1985, n. 2, convertito, con modificazioni, con legge 8 marzo 1985, n. 72;

f) articoli 5, 6, 12, commi 1 e 2, 14, 15 e 16, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica 5 dicembre 1987, n. 551;

g) art. 13, comma 4, legge 9 marzo 1989, n. 88;

h) art. 5, comma 3, decreto-legge 24 novembre 1990, n. 344, convertito con legge 23 gennaio 1991, n. 21;

i) art. 3, commi da 37 a 42, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

III. Regioni ed autonomie locali

1. Dall’11 aprile 1996 (art. 48 CCNL 1994-1997):

a) articoli 12, 37, 68, commi da 1 a 7; 70 e 71, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) articoli da 30 a 34, decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

c) art. 9, decreto del Presidente della Repubblica 7 novembre 1980 n. 810;

d) art. 25, legge 29 marzo 1983, n. 93;

e) art. 7, da 17 a 19, 25, decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1983, n. 347;

f) articoli 11, da 18 a 21, decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

g) art. 2, 15, da 25 a 29, 34, comma 1, lettera d); da 40 a 42, 56, 61 e 69, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica 13 maggio 1987, n. 268;

h) articoli 4, 16, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 395;

i) art. 51, commi 9 e 10, legge 8 giugno 1990, n. 142, salvo che per i limitati casi di cui all’art. 46;

j) articoli 3, 4, 16, da 30 a 32, da 37 a 40, 43, 44, 46, decreto del Presidente della Repubblica 3 agosto 1990, n. 333;

k) articoli 3, commi dal 37 a 41, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

IV. Sanità

1. Per il personale con qualifica dirigenziale medica e veterinaria, dal 6 dicembre 1996 (articoli 14, comma 6, 72, comma 7 e 75 CCNL 1994-1997):

a) articoli 12, da 37 a 41, 67, 68, commi da 1 a 7; da 69 a 71, da 78 a 123, con l’avvertenza che i procedimenti disciplinari in corso alla data di stipulazione del Contratto collettivo nazionale del lavoro vengono portati a termine secondo le norme e le procedure vigenti alla data del loro inizio, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) articoli da 30 a 34, decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

c) art. 7, comma 3, legge 30 dicembre 1971, n. 1204, limitatamente ai primi 30 giorni di assenza retribuita in ciascun anno di vita del bambino fino al compimento del terzo anno;

d) articoli 14, 16, 27, comma 4; 32, 33, 35, 37, 38, 47, 51, 52, 54, 55, 56, comma a punti 1) e 2); 57, 60, 61, decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761;

e) articoli 18 e 20, decreto 30 gennaio 1982, del Ministro della sanità;

f) art. 25, legge 29 marzo 1983, n. 93;

g) decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1983, n. 348;

h) articoli da 18 a 21, decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

i) art. 69, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica 13 maggio 1987, n. 268;

j) articoli 28, 29, 38, 53, 54, da 73 a 78, 80, da 82 a 90, 92, comma 8; 112, decreto del Presidente della Repubblica 20 maggio 1987, n. 270;

k) art. 4, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 395;

l) articoli 38 e 43, decreto del Presidente della Repubblica 3 agosto 1990, n. 333;

m) articoli 7; da 73 a 76; 79; 86; 102; 104; 108; 109, 110, commi 1, 5 e 6; da 111 a 114, 116, 118, 119, 123, fatto salvo quanto previsto dall’art. 65, comma 9, del Contratto collettivo nazionale del lavoro 1994-1997 per il quale la disapplicazione della lettera b) del sesto comma decorre dal 1° gennaio 1997; da 124 a 132; 134, commi da 4 a 6, decreto del Presidente della Repubblica 28 novembre 1990, n. 384;

n) art. 18, commi 1 lettera f) e 2-bis, eccetto l’ultimo periodo del secondo capoverso, decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502;

o) art. 3, commi da 37 a 41, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

2. Dal 6 agosto 1997 (art. 1 comma 14 del CCNL del 5 agosto 1997):

a) art. 9, comma 4, decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761;

b) art. 9, comma 17, legge 20 maggio 1985, n. 207, limitatamente alla durata dell’incarico;

c) art. 3, comma 23, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

3. Per il personale con qualifica dirigenziale sanitaria professionale, tecnica, amministrativa, dal 6 dicembre 1996 (articoli 14, comma 6 e 72 CCNL 1994-1997):

a) articoli 12, da 37 a 41, 67, 68, commi da 1 a 7, da 69 a 71, da 78 a 123, con l’avvertenza che i procedimenti disciplinari in corso alla data di stipulazione del Contratto collettivo nazionale del lavoro vengono portati a termine secondo le norme e le procedure vigenti alla data del loro inizio, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) articoli da 30 a 34, decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

c) art. 7, comma 3, legge 30 dicembre 1971, n. 1204, limitatamente ai primi trenta giorni di assenza retribuita in ciascun anno di vita del bambino fino al compimento del terzo anno;

d) articoli 14, 16, 27, comma 4; 32, 33, 37, 38, 47, 51, 52, 54, 55, 56, comma 1, punto 1) e 2); 57, 60 e 61, decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761;

e) articoli 18 e 20, decreto 30 gennaio 1982, del Ministro della sanità;

f) art. 25, legge 29 marzo 1983, n. 93;

g) decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1983, n. 348;

h) articoli da 18 a 21, decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

i) art. 69, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica 13 maggio 1987, n. 268;

j) articoli da 2 a 4, 16, 18, 26, 28, 29, 38 e 112, decreto del Presidente della Repubblica 20 maggio 1987, n. 270;

k) art. 4, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 395;

l) articoli 38 e 43, decreto del Presidente della Repubblica 3 agosto 1990, n. 333:

m) articoli da 3 a 7, 9, 10 nei limiti definiti dall’art. 72 del Contratto collettivo nazionale del lavoro; 16, 34, 41, da 44 a 47, 53, da 57 a 67, nei limiti definiti dall’art. 72 del contratto collettivo nazionale del lavoro: 68, commi 4, 5 e 9; 76, decreto del Presidente della Repubblica 28 novembre 1990, n. 384;

n) art. 3, commi da 37 a 41, legge 24 dicembre 1993, n. 537;

o) art. 18, commi 1 p.to f) e 2-bis, eccetto l’ultimo periodo del secondo capoverso, decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502.

4. Dal 6 agosto 1997 (articolo 1 comma 14 del CCNL del 5 agosto 1997):

a) art. 9, comma 4, decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761;

b) art. 7, comma 6, legge 29 dicembre 1988, n. 554;

c) art. 9, comma 17, legge 20 maggio 1985, n. 207, limitatamente alla durata dell’incarico;

d) articoli 1 e 5, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 30 marzo 1989, n. 127;

e) art. 3, comma 23, legge 24 dicembre 1993. n. 537.

V. Istituzioni ed enti di ricerca

1. Dal 6 Marzo 1998 (art. 80 CCNL 1994-1997):

a) articoli 9, 10, 12, 36, 37, da 39 a 41, 68, commi da 1 a 7 e comma 8, con esclusione del riferimento all’equo indennizzo; 70, 71, da 78 a 122, 124, 126, 127, da 129 a 131, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) articoli 14 e 18, decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

c) articoli 8, comma 1, relativamente all’obbligo di residenza; 9, commi 1 e 3; 11, 12, 23 e 39, legge 20 marzo 1975, n. 70:

d) articoli 52, 53 e 65, decreto del Presidente della Repubblica 26 maggio 1976, n. 411;

e) articoli 11, commi 3 e 4, 17, decreto del Presidente della Repubblica 16 ottobre 1979, n. 509;

f) articoli 22 e 25, legge 29 marzo 1983, n. 93;

g) articoli 7, 8, 18, 20, commi 1, 2 e 4; 21, lettera b), decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

h) articoli 1, da 3 a 6, 9, 10, 36, decreto del Presidente della Repubblica 28 settembre 1987, n. 568;

i) articoli 2 e 4, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 395;

l) articoli 1, 11, 17, commi 1 e da 5 a 13, con la decorrenza prevista dall’art. 80 del contratto collettivo nazionale del lavoro; 18, commi 1, 2 e 5, con la decorrenza prevista dall’art. 80 del contratto collettivo nazionale del lavoro e 6; 19, commi 1 e 2; 34, 38, comma 3; 39, decreto del Presidente della Repubblica 12 febbraio 1991, n. 171;

m) art. 3, commi da 37 a 41, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

VI. Università

1. Dal 6 febbraio 1997 (art. 50 CCNL 1994-1997):

a) articoli 9, 10, 12, 36, 37, da 39 a 41, 66, 68, commi da 1 a 7; 70, 71, da 78 a 87, da 91 a 122, 124, 126, 127; 129 e 131, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) articoli 18, 30, da 31 a 34, decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

c) art. 20, decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748;

d) articoli 15, da 133 a 135, legge 11 luglio 1980, n. 312;

e) art. 4, legge 17 aprile 1984, n. 79;

f) art. 4, legge 10 luglio 1984, n. 301;

g) art. 2, 3 comma 2, decreto-legge 11 gennaio 1985, n. 2, convertito con legge 8 marzo 1985, n. 72;

h) art. 21, decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

i) art. 1, decreto-legge 27 dicembre 1989, n. 413, convertito con legge 28 febbraio 1990, n. 37;

j) art. 3, commi da 37 a 42, legge 24 dicembre 1993, n. 537;

k) art. 13, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 21 aprile 1994, n. 439.

VII. Aziende autonome

1. Dall’11 novembre 1997 (art. 53 CCNL 1994-1997):

a) articoli 10, 12, 36, 37, da 39 a 41, 68, commi da 1 a 8, da 69 a 71, da 78 a 87, da 91 a 99 e 200, con le decorrenze previste dall’art. 53 lett. h, del contratto collettivo nazionale del lavoro, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) articoli 18, da 30 a 34, decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

c) legge 3 luglio 1970, n. 483, per la parte relativa al personale con qualifica dirigenziale;

d) articoli 20, da 47 a 50, decreto del Presidente della Repubblica, 30 giugno 1972, n. 748;

e) decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1977, n. 422;

f) articoli da 133 a 135, legge 11 luglio 1980, n. 312;

g) decreto-legge 27 settembre 1982, n. 681, convertito con legge 20 novembre 1982, n. 869;

h) articolo 11, comma 3, legge 13 maggio 1983, n. 197;

i) legge 17 aprile 1984, n. 79;

j) articoli da 12 a 14, decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

k) decreto-legge 10 maggio 1986, n. 154, convertito con legge 11 luglio 1986, n. 341;

l) art. 13 decreto-legge 4 agosto 1987, n. 325, convertito con legge 3 ottobre 1987, n. 402;

m) art. 6, decreto-legge 7 settembre 1987, n. 370, convertito con legge 4 novembre 1987, n. 460;

n) art. 9, comma 4, decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86, convertito con legge 20 maggio 1988, n. 160;

o) art. 6, legge 10 agosto 1988, n. 357;

p) art. 3 commi da 37 a 41, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

VIII. Enea

1. Dal 4 agosto 1997 (art. 90 CCNL 4 agosto 1997):

a) art. 3, commi da 39 a 41, legge 24 dicembre 1993, n. 537;

b) articoli 1, 1-bis, 1-ter, da 2 a 16, 16-bis, 17, 18, 19, 19-bis, 19-ter, 20, 20-bis, 22, da 24 a 27, da 29 a 39, 41, 42, da 44 a 55, 57, 59, 60, 63, 64, 67, 69, 70, 75, da 77 a 79 del previgente CCL ENEA 31 dicembre 1988 – 30 dicembre 1991;

c) Parte generale, gli allegati, e le appendici ed i Codici di autoregolamentazione del diritto di sciopero afferenti al previgente CCL ENEA 31 dicembre 1988-30 dicembre 1991.

Allegato C

(Art. 71, comma 2)

Norme generali e speciali del pubblico impiego, vigenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 29 del 1993 e dei relativi decreti correttivi emanati ai sensi dell’art. 2, comma 5 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, che cessano di produrre effetti a seguito della sottoscrizione dei contratti collettivi nazionali per il quadriennio 1998-2001 per il personale delle Regioni ed autonomie locali (ai sensi dell’art. 69, comma 1, terzo periodo del presente decreto).

I. Personale non dirigenziale

1. Dal 1° aprile 1999 (art. 28 CCNL 1998-2001):

a) articoli 10, 27, e allegato A, decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1983, n. 347;

b) allegato A, decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1984, n. 665;

c) articoli 10, 21, escluso comma 4, da 57 a 59, 62, comma 1; 69, comma 1; 71 e 73, del decreto del Presidente della Repubblica 13 maggio 1987, n. 268;

d) articoli 22, comma 1, 33, escluso comma 5; da 34 a 36, del decreto del Presidente della Repubblica 3 agosto 1990, n. 333 e tabelle 1, 2 e 3 allegate;

e) articoli 16, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 253, dalla data di effettiva attuazione del comma 3, art. 21 del Contratto collettivo nazionale del lavoro.


Decreto legislativo 30/03/2001, n. 165

Articolo 52 Disciplina delle mansioni (Art. 56 del D.Lgs n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 25 del D.Lgs n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall’art. 15 del D.Lgs n. 387 del 1998) 393

In vigore dal 8 agosto 2021
1. Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell’ambito dell’area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive di cui all’articolo 35, comma 1, lettera a). L’esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore o dell’assegnazione di incarichi di direzione.389
1-bis. I dipendenti pubblici, con esclusione dei dirigenti e del personale docente della scuola, delle accademie, dei conservatori e degli istituti assimilati, sono inquadrati in almeno tre distinte aree funzionali. La contrattazione collettiva individua un’ulteriore area per l’inquadramento del personale di elevata qualificazione. Le progressioni all’interno della stessa area avvengono, con modalità stabilite dalla contrattazione collettiva, in funzione delle capacità culturali e professionali e dell’esperienza maturata e secondo principi di selettività, in funzione della qualità dell’attività svolta e dei risultati conseguiti, attraverso l’attribuzione di fasce di merito. Fatta salva una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili destinata all’accesso dall’esterno, le progressioni fra le aree e, negli enti locali, anche fra qualifiche diverse, avvengono tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio, sull’assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area dall’esterno, nonché sul numero e sulla tipologia de gli incarichi rivestiti. In sede di revisione degli ordinamenti professionali, i contratti collettivi nazionali di lavoro di comparto per il periodo 2019-2021 possono definire tabelle di corrispondenza tra vecchi e nuovi inquadramenti, ad esclusione dell’area di cui al secondo periodo, sulla base di requisiti di esperienza e professionalità maturate ed effettivamente utilizzate dall’amministrazione di appartenenza per almeno cinque anni, anche in deroga al possesso del titolo di studio richiesto per l’accesso all’area dall’esterno. All’attuazione del presente comma si provvede nei limiti delle risorse destinate ad assunzioni di personale a tempo indeterminato disponibili a legislazione vigente.390
1-ter. Per l’accesso alle posizioni economiche apicali nell’ambito delle aree funzionali è definita una quota di accesso nel limite complessivo del 50 per cento da riservare a concorso pubblico sulla base di un corso-concorso bandito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione.391 392
2. Per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro può essere adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore:
a) nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti come previsto al comma 4;
b) nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell’assenza per ferie, per la durata dell’assenza.
3. Si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente articolo, soltanto l’attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni.
4. Nei casi di cui al comma 2, per il periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore. Qualora l’utilizzazione del dipendente sia disposta per sopperire a vacanze dei posti in organico, immediatamente, e comunque nel termine massimo di novanta giorni dalla data in cui il dipendente è assegnato alle predette mansioni, devono essere avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti.
5. Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l’assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore. Il dirigente che ha disposto l’assegnazione risponde personalmente del maggior onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave.
6. Le disposizioni del presente articolo si applicano in sede di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita. I medesimi contratti collettivi possono regolare diversamente gli effetti di cui ai commi 2, 3 e 4. Fino a tale data, in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza, può comportare il diritto ad avanzamenti automatici nell’inquadramento professionale del lavoratore.
_____________________________________
389 Comma così sostituito dall’art. 62, comma 1, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, che ha sostituito l’originario comma 1, con gli attuali commi 1, 1-bis e 1-ter.
390 Comma inserito dall’art. 62, comma 1, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, che ha sostituito il comma 1 con i commi 1, 1-bis e 1-ter. Successivamente, il presente comma è stato modificato dall’art. 3-ter, comma 2, lett. c), D.L. 9 gennaio 2020, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 5 marzo 2020, n. 12. Infine, il presente comma è stato così sostituito dall’art. 3, comma 1, D.L. 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2021, n. 113.
391 Comma inserito dall’art. 62, comma 1, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, che ha sostituito il comma 1 con i commi 1, 1-bis e 1-ter.
392 Comma abrogato dall’art. 18, comma 1, lett. e), D.P.R. 16 aprile 2013, n. 70.
393 In deroga ai limiti di durata dei contratti di lavoro a tempo determinato previsti dal presente provvedimento, vedi l’art. 57, comma 2-bis, D.L. 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla L. 13 ottobre 2020, n. 126, e, successivamente, l’art. 1, comma 467, L. 30 dicembre 2021, n. 234.

 


Contratto collettivo nazionale di lavoro per il personale del comparto delle regioni e delle autonomie locali successivo a quello dell’1.4.99 (CODE CONTRATTUALI)

Contratto collettivo nazionale di lavoro per il personale del comparto delle REGIONI e DELLE Autonomie Locali SUCCESSIVO A QUELLO DELL’1.4.1999.

A seguito del parere favorevole espresso, in data 28.7.2000, dal Comitato di Settore del comparto Regioni-Autonomie Locali sul testo dell’accordo relativo al CCNL per il personale del Comparto delle Regioni e delle Autonomie Locali successivo a quello dell’1.4.1999 nonché della certificazione della Corte dei Conti, in data 11 settembre 2000, sull’attendibilità dei costi quantificati per il medesimo e sulla loro compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio, il giorno 14 settembre 2000, alle ore 17,30, ha avuto luogo l’incontro tra: 

L’ARAN:nella persona del Presidente, prof. Carlo Dell’Aringa ed i rappresentanti delle seguenti organizzazioni e confederazioni sindacali:

Al termine della riunione le parti hanno sottoscritto l’allegato CCNL relativo al personale del Comparto delle Regioni e delle Autonomie Locali.

Indice generale

Titolo I Flessibilità del Rapporto  di Lavoro

Art. 1  Disciplina sperimentale del telelavoro

Art. 2  Contratto di fornitura di lavoro temporaneo

Art. 3  Contratto di formazione e lavoro

Art. 4  Rapporto di lavoro a tempo parziale

Art. 5  Orario di lavoro del personale con rapporto di lavoro a tempo parziale

Art. 6  Trattamento economico-normativo del personale con rapporto di lavoro a tempo parziale

Art. 7  Contratto a termine

Art. 8  Mansioni superiori

Titolo II Cause di sospensione del rapporto

Art. 9  Servizio militare

Art.10 Assenze per malattia

Art.10bis Infortuni sul lavoro e malattie dovute a cause di servizio

Art.11 Aspettativa per motivi personali

Art.12 Aspettativa per dottorato di ricerca o borsa di studio

Art.13 Altre aspettative previste da disposizioni di legge

Art.14 Cumulo di aspettative

Art.15 Diritto allo studio

Art.16             Congedi per la formazione

Art.17 Congedi dei genitori

Art.18 Congedi per eventi e cause particolari

Titolo III Disposizioni particolari

Art.19 Pari opportunità

Art.20 Periodo di prova

Art.21 Tutela dei dipendenti in particolari condizioni psico-fisiche

Art.22 Turnazioni

Art.23 Reperibilità

Art.24 Trattamento per attività prestata in giorno festivo- riposo compensativo

Art.25 Passaggio diretto ad altre amministrazioni del personale in eccedenza

Art.26 Ricostituzione del rapporto di lavoro

Art.27 Norma per gli enti provvisti di Avvocatura

Art.28 Patrocinio Legale

Titolo IV Personale dell’Area di Vigilanza

Art.29 Disposizioni speciali per il personale dell’area di vigilanza con particolari responsabilità

Titolo V Personale delle scuole

Art.30 Personale docente delle scuole materne

Art.31 Personale educativo degli asili nido

Art.32 Personale docente delle scuole gestite dagli enti locali

Art.32 bis Docenti addetti al sostegno operanti nelle scuole statali

Art.33 Docenti ed educatori addetti al sostegno operanti nelle istituzioni scolastiche gestite dagli Enti Locali

Art.34 Personale docente dei centri di formazione professionale

Titolo VI Trattamento Economico

Art.35 Retribuzione di posizione per l’area della vigilanza

Art.36 Indennità maneggio valori

Art.37 Indennità di rischio

Art.38 Lavoro straordinario

Art.38 bis Banca delle ore

Art.39 Lavoro straordinario elettorale, per eventi straordinari e calamità nazionali

Art.40 Bilinguismo

Art.41 Trattamento di trasferta

Art.42 Trattamento di trasferimento

Art.43 Copertura assicurativa

Art.44 Trattenute per scioperi brevi

Art.45 Mensa

Art.46 Buoni pasti

Art.47 Trattamento economico dei dipendenti in distacco sindacale

Titolo VII Norme Finali

Art.48 Requisiti per l’integrazione delle risorse destinate alla Contrattazione decentrata integrativa

Art.49 Trattamento di fine rapporto di lavoro

Art.50 Modalità di applicazione di benefici economici previsti da discipline speciali

Art.51 Disapplicazioni

Art.52 Nozione di retribuzione

Art.53 Struttura della busta paga

Art.54 Messi notificatori

Art.55 Attività sociali, culturali e ricreative

Art.56 Diritto di assemblea

Art.57 Decorrenza degli effetti del Contratto

Allegato A tabelle I.I.S. per le diverse categorie del personale

Dichiarazioni congiunte e verbali

Dichiarazione congiunta n.1

Dichiarazione congiunta n.2

Dichiarazione congiunta n.3

Dichiarazione congiunta n.4

Dichiarazione congiunta n.5

Dichiarazione congiunta n.6

Dichiarazione congiunta n.7

Dichiarazione congiunta n.8

Dichiarazione congiunta n.9

Dichiarazione congiunta n.10

Dichiarazione congiunta n.11

Dichiarazione congiunta n.12

Dichiarazione congiunta n.13

Dichiarazione congiunta n.14

Dichiarazione congiunta n.15

Dichiarazione congiunta n.16

Dichiarazione congiunta n.17

Dichiarazione congiunta n.18

Dichiarazione congiunta n.19

Dichiarazione congiunta n.20

TITOLO I

FLESSIBILITA’ DEL RAPPORTO DI LAVORO

In relazione alla nuova disciplina delle forme flessibili di rapporto di lavoro introdotte dal presente contratto, le parti sottolineano la particolare e significativa rilevanza di tali strumenti di gestione delle risorse umane che, nonostante il loro carattere di sperimentalità, offrono agli enti ampi margini di gestione diretta dei servizi, permettendo altresì il superamento del ricorso alle collaborazioni continuate e coordinate nell’espletamento delle attività istituzionali.

Art.1

Disciplina sperimentale del telelavoro

1. Il telelavoro determina una modificazione del luogo di adempimento della prestazione lavorativa realizzabile, con l’ausilio di specifici strumenti telematici, nella forma del telelavoro domiciliare, che comporta la prestazione dell’attività lavorativa dal domicilio del dipendente, o nella forma del lavoro a distanza, che comporta la prestazione dell’attività lavorativa da centri appositamente attrezzati distanti dalla sede dell’ente e al di fuori del controllo diretto di un dirigente.

2. Gli enti, previa informazione ed eventuale incontro con i soggetti sindacali di cui all’art.10, comma 2, del CCNL dell’1.04.1999, possono definire progetti per la sperimentazione del telelavoro nei limiti e con le modalità stabilite dall’art. 3 del DPR 8.3.1999 n. 70 e dal CCNL quadro sottoscritto il 23.3.2000, al fine di razionalizzare l’organizzazione del lavoro e di realizzare economie di gestione attraverso l’impiego flessibile delle risorse umane.

3. I singoli partecipanti ai progetti sperimentali di telelavoro sono individuati secondo le previsioni dell’art.4 del CCNL quadro del 23.3.2000.

4. Gli enti definiscono, in relazione alle caratteristiche dei progetti da realizzare, di intesa con i dipendenti interessati, la frequenza dei rientri nella sede di lavoro originaria,che non può comunque essere inferiore ad un giorno per settimana.

5. L’orario di lavoro, a tempo pieno o nelle diverse forme del tempo parziale, viene distribuito nell’arco della giornata a discrezione del dipendente in relazione all’attività da svolgere, fermo restando che in ogni giornata di lavoro il dipendente deve essere a disposizione per comunicazioni di servizio in due periodi di un’ora ciascuno fissati nell’ambito dell’orario di servizio; in caso di rapporto di lavoro a tempo parziale orizzontale la durata dei due periodi si riduce del 50 %. Per effetto della distribuzione discrezionale del tempo di lavoro, non sono configurabili prestazioni aggiuntive, straordinarie notturne o festive né permessi brevi ed altri istituti che comportano riduzioni di orario.

6. Il lavoratore ha il dovere di riservatezza su tutte le informazioni delle quali venga in possesso per il lavoro assegnatogli e di quelle derivanti dall’utilizzo delle apparecchiature, dei programmi e dei dati in essi contenuti. In nessun caso il lavoratore può eseguire lavori per conto proprio o per terzi utilizzando le attrezzature assegnategli senza previa autorizzazione dell’ente.

7. La postazione di telelavoro deve essere messa a disposizione, installata e collaudata a cura e a spese dell’ente, sul quale gravano i costi di manutenzione e gestione dei sistemi di supporto per il lavoratore. Nel caso di telelavoro a domicilio potrà essere installata una linea telefonica presso l’abitazione del lavoratore, con oneri di impianto ed esercizio a carico dell’ente, espressamente preventivati nel progetto di telelavoro. Lo stesso progetto prevede l’entità dei rimborsi, anche in forma forfettaria, delle spese sostenute dal lavoratore per consumi energetici e telefonici, sulla base delle intese raggiunte in sede di contrattazione integrativa decentrata.

8. Gli enti, nell’ambito delle risorse destinate al finanziamento della sperimentazione del telelavoro, stipulano polizze assicurative per la copertura dei seguenti rischi:

– danni alle attrezzature telematiche in dotazione del lavoratore, con esclusione di quelli derivanti da dolo o colpa grave;
– danni a cose o persone, compresi i familiari del lavoratore, derivanti dall’uso delle stesse attrezzature.

Gli enti provvedono altresì alla copertura assicurativa INAIL

9. La verifica delle condizioni di lavoro e dell’idoneità dell’ambiente di lavoro avviene all’inizio dell’attività e periodicamente ogni sei mesi, concordando preventivamente con l’interessato i tempi e le modalità della stessa in caso di accesso presso il domicilio. Copia del documento di valutazione del rischio, ai sensi dell’art.4, comma 2, del D.Lgs.n.626/1994, è inviata ad ogni dipendente, per la parte che lo riguarda.

10. La contrattazione decentrata integrativa definisce l’eventuale trattamento accessorio compatibile con la specialità della prestazione nell’ambito delle finalità indicate nell’art. 17 del CCNL dell’1.4.1999.

11. E’ garantito al lavoratore l’esercizio dei diritti sindacali e la partecipazione alle assemblee. In particolare, ai fini della sua partecipazione all’attività sindacale, il lavoratore deve poter essere informato attraverso la istituzione di una bacheca sindacale elettronica e l’utilizzo di un indirizzo di posta elettronica con le rappresentanze sindacali sul luogo di lavoro.

12. I lavoratori sono altresì invitati a partecipare alle eventuali conferenze di servizio o di organizzazione previste dall’ordinamento vigente.

13. E’ istituito, presso l’ARAN, un osservatorio nazionale a composizione paritetica con la partecipazione di rappresentanti, del Comitato di Settore e delle organizzazioni sindacali firmatarie del presente CCNL che, con riunioni annuali, verifica l’utilizzo dell’istituto e gli eventuali problemi.

Art.2

Contratto di fornitura di lavoro temporaneo

1. Gli enti possono stipulare contratti di lavoro temporaneo, secondo la disciplina della legge n.196/1997, per soddisfare esigenze a carattere non continuativo e/o a cadenza periodica, o collegate a situazioni di urgenza non fronteggiabili con il personale in servizio o attraverso le modalità del reclutamento ordinario previste dal D.Lgs.n.29/1993.

2. In particolare, oltre che nei casi previsti dall’art.1, comma 2, lett. b) e c) della legge n.196/1997, i contratti di fornitura sono stipulati nelle ipotesi di seguito illustrate e nel rispetto dei criteri generali indicati nel comma 1:

a) per consentire la temporanea utilizzazione di professionalità non previste nell’ordinamento dell’amministrazione, anche al fine di sperimentarne la necessità;

b) in presenza di eventi eccezionali e motivati non considerati in sede di programmazione dei fabbisogni, per la temporanea copertura di posti vacanti, per un periodo massimo di 60 giorni e a condizione che siano state avviate le procedure per la loro copertura; il limite temporale è elevato a 180 giorni per la temporanea copertura di posti relativi a profili professionali non facilmente reperibili o comunque necessari a garantire standard definiti di prestazioni, in particolare nell’ambito dei servizi assistenziali;

c) per punte di attività o per attività connesse ad esigenze straordinarie, derivanti anche da innovazioni legislative che comportino l’attribuzione di nuove funzioni, alle quali non possa farsi fronte con il personale in servizio;

d) per particolari fabbisogni professionali connessi all’attivazione e aggiornamento di sistemi informativi ovvero di controllo di gestione e di elaborazione di manuali di qualità e carte di servizi, che non possono essere soddisfatti ricorrendo unicamente al personale in servizio;

e) per soddisfare specifiche esigenze di supporto tecnico e per creare le relative competenze nel campo della prevenzione, della sicurezza,  dell’ambiente di lavoro e dei servizi alla persona con standards predefiniti.

3. Il numero dei contratti di fornitura di lavoro temporaneo non può superare il tetto del 7%, calcolato su base mensile, dei lavoratori  a tempo indeterminato in servizio presso l’ente, arrotondato, in caso di frazioni,  all’unità superiore.

4. Il ricorso al lavoro temporaneo non è consentito per i profili della categoria A, per quelli dell’area di vigilanza e per quelli del personale educativo e docente degli asili nido e delle scuole materne, elementari, medie e superiori. Sono, altresì, escluse le posizioni di lavoro che comportano l’esercizio di funzioni nell’ambito delle competenze del Sindaco come Ufficiale di Governo.

5. Si rinvia alle disposizioni della L.n.196/1997, e successive modificazioni ed integrazioni,  per gli aspetti non previsti dal presente articolo.

6. I lavoratori con contratto di fornitura di lavoro temporaneo, qualora partecipino a programmi o progetti di produttività hanno titolo a partecipare all’erogazione dei connessi trattamenti. La contrattazione integrativa decentrata definisce casi, condizioni, criteri e modalità per la determinazione e corresponsione dei suddetti trattamenti accessori.

7. L’ente comunica tempestivamente all’impresa fornitrice, titolare del potere disciplinare nei confronti dei lavoratori temporanei, le circostanze di fatto disciplinarmente rilevanti da contestare al lavoratore temporaneo ai sensi dell’art.7 della legge n.300/1970.

8. Gli enti sono tenuti, nei riguardi dei lavoratori temporanei, ad assicurare tutte le misure, le informazioni e gli interventi di formazione relativi alla sicurezza e prevenzione previsti dal D.Lgs.n.626/1994, in particolare per quanto concerne i rischi specifici connessi all’attività lavorativa in cui saranno impegnati.

9. I lavoratori temporanei hanno diritto di esercitare presso gli enti utilizzatori i diritti di libertà e di attività sindacale previsti dalla legge n.300/1970 e possono partecipare alle assemblee del personale dipendente.

10. Gli enti provvedono alla tempestiva e preventiva informazione e consultazione ai soggetti sindacali di cui all’art.10, comma 2, del CCNL dell’1.4.1999, sul numero, sui motivi, sul contenuto, anche economico, sulla durata prevista dei contratti di lavoro temporaneo e sui relativi costi. Nei casi di motivate ragioni d’urgenza le amministrazioni forniscono l’informazione in via successiva, comunque non oltre i cinque giorni successivi alla stipulazione dei contratti di fornitura, ai sensi dell’art.7, comma 4, punto a) della legge 24 giugno 1997, n.196.

11. Alla fine di ciascun anno le amministrazioni forniscono ai soggetti sindacali di cui all’art.10, comma 2, del CCNL dell’1.4.1999 tutte le informazioni  necessarie alla verifica del rispetto della percentuale fissata dal comma 3. Entro lo stesso termine gli enti forniscono alle organizzazioni sindacali di categoria firmatarie del presente CCNL e all’ARAN tutte le informazioni di cui al precedente comma 10.

12. In conformità alle vigenti disposizioni di legge, è fatto divieto agli enti di attivare rapporti per l’assunzione di personale di cui al presente articolo con soggetti diversi dalle agenzie abilitate alla fornitura di lavoro temporaneo dal Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale.

Art.3

Contratto di formazione e lavoro

1. Nell’ambito della programmazione triennale del fabbisogno di personale di cui all’art. 39, comma 2 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, gli enti possono stipulare contratti di formazione e lavoro nel rispetto delle disposizioni di cui all’art. 3 del decreto legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863 e all’art. 16 del decreto legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451.

2. Non possono stipulare contratti di formazione e lavoro gli enti che abbiano proceduto a dichiarazioni di eccedenza o a collocamento in disponibilità di proprio personale nei dodici mesi precedenti la richiesta, salvo che l’assunzione avvenga per l’acquisizione di professionalità diverse da quelle  dichiarate in eccedenza.

3. Le selezioni dei candidati destinatari del contratto di formazione e lavoro avvengono nel rispetto della normativa generale vigente in tema di reclutamento nelle pubbliche amministrazioni, ivi comprese le disposizioni  riferite a riserve, precedenze e  preferenze, utilizzando procedure semplificate.

4. Il contratto di formazione e lavoro può essere stipulato:

a) per l’acquisizione di professionalità elevate;

b) per agevolare l’inserimento professionale mediante un’esperienza lavorativa che consenta un adeguamento delle capacità professionali al contesto organizzativo e di servizio.

5. Le esigenze organizzative che giustificano l’utilizzo dei contratti di formazione e lavoro non possono contestualmente essere utilizzate per altre tipologie di assunzione a tempo determinato.

6. Ai fini del comma 4, in relazione al vigente sistema di classificazione del personale, sono considerate elevate le professionalità inserite nella categoria D.  Il contratto di formazione e lavoro non può essere stipulato per l’acquisizione di professionalità ricomprese nella categoria A.

7. Ai lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, ai sensi delle lettere a) e b) del comma 4, viene corrisposto il trattamento tabellare corrispondente al profilo di assunzione (B1,B3,C1, D1 e D3).

8. Per i lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro ai sensi del comma 4, lett. a), nell’ambito del periodo stabilito di durata del rapporto, è previsto un periodo obbligatorio di formazione, che esclude ogni prestazione lavorativa, non inferiore a 130 ore complessive; per i lavoratori assunti ai sensi dell’art.4, lett. b) il suddetto periodo non può essere inferiore a 20 ore ed è destinato alla formazione di base relativa alla disciplina del rapporto di lavoro, all’organizzazione del lavoro nonché alla prevenzione ambientale ed antinfortunistica. Per il l’area della vigilanza le ore minime di formazione riguardano le materie attinenti alla specifica professionalità. Gli oneri della formazione di cui al presente comma non gravano sulle risorse di cui all’art.23, comma 2, del CCNL dell’1.4.1999.

9. Le eventuali ore aggiuntive devolute alla formazione rispetto a quelle previste dall’art. 16, comma 5 del decreto legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451 non sono retribuite.

10. Il contratto di formazione e lavoro è stipulato in forma scritta, secondo i principi di cui all’art. 14 del CCNL del 6.7.1995, e deve contenere l’indicazione delle caratteristiche, della durata e della tipologia dello stesso. In particolare la durata è fissata in misura non superiore a 24 mesi, nel caso previsto dal comma 4, lett. a) e in misura non superiore a dodici mesi, nel caso previsto dal comma 4, lett. b). Copia del contratto di formazione e lavoro deve essere consegnata al lavoratore.

11. Il trattamento economico spettante ai lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro è costituito dal trattamento tabellare iniziale, dall’indennità integrativa speciale, dalla tredicesima mensilità, dagli altri compensi o indennità connessi alle specifiche caratteristiche della effettiva prestazione lavorativa, se ed in quanto dovute. La contrattazione decentrata può disciplinare l’attribuzione di compensi per particolari condizioni di lavoro o per altri incentivi previsti dall’art.17 del CCNL dell’1.04.1999, utilizzando esclusivamente le risorse previste nel finanziamento del progetto di formazione e lavoro.

12. La disciplina normativa è quella prevista per i lavoratori a tempo determinato, con le seguenti eccezioni:

– la durata del periodo di prova è pari ad un mese di prestazione effettiva per i contratti stipulati ai sensi del comma 4, lett. b); lo stesso periodo è elevato a due mesi per i contratti previsti dal comma 4, lett. a);
– nelle ipotesi di malattia o di infortunio, il lavoratore non in prova ha diritto alla conservazione del posto di lavoro per un periodo pari alla metà del contratto di formazione di cui è titolare.

13. Nella predisposizione dei progetti di formazione e lavoro devono essere rispettati i principi di non discriminazione diretta ed indiretta di cui alla legge 10 aprile 1991, n. 125.

14. Il contratto di formazione lavoro si risolve automaticamente alla scadenza prefissata e non può essere prorogato o rinnovato. Ai soli fini del completamento della formazione prevista, in presenza dei seguenti eventi oggettivamente impeditivi della formazione il contratto può essere prorogato per un periodo corrispondente a quello di durata della sospensione stessa :

– malattia

– gravidanza e puerperio, astensione facoltativa post-partum

– servizio militare di leva e richiamo alle armi

– infortunio sul lavoro

15. Prima della scadenza del termine stabilito nel comma 10 il contratto di formazione e lavoro può essere risolto esclusivamente per giusta causa.

16. Al termine del rapporto l’amministrazione è tenuta ad attestare l’attività svolta ed i risultati formativi conseguiti dal lavoratore. Copia dell’attestato è rilasciata al lavoratore.

17. Il rapporto di formazione e lavoro può essere trasformato in contratto di lavoro a tempo indeterminato ai sensi dell’art. 3, comma 11, del decreto legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863. Gli enti disciplinano, previa concertazione ai sensi dell’art.8 del CCNL dell’1.4.1999, il procedimento ed i criteri per l’accertamento selettivo dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alle posizioni di lavoro da ricoprire, assicurando la partecipazione alle selezioni anche ai lavoratori di cui al comma 14.

18. Nel caso in cui il rapporto di formazione e lavoro si trasformi in rapporto a tempo indeterminato, il periodo di formazione e lavoro viene computato a tutti gli effetti nell’anzianità di servizio.

19. Non è consentita la stipula di contratti di formazione lavoro da parte degli enti che non confermano almeno il 60% dei lavoratori il cui contratto sia scaduto nei 24 mesi precedenti, fatti salvi i casi di comprovata impossibilità correlati ad eventi eccezionali e non prevedibili.

Art.4

Rapporto di lavoro a tempo parziale

1. Gli enti possono costituire rapporti di lavoro a tempo parziale mediante:

a. assunzione, nell’ambito della programmazione triennale del fabbisogno di personale, ai sensi delle vigenti disposizioni;

b. trasformazione di rapporti di lavoro da tempo pieno a tempo parziale su richiesta dei dipendenti interessati.

2. Il numero dei rapporti a tempo parziale non può superare il 25 per cento della dotazione organica complessiva di personale a tempo pieno di ciascuna categoria, con esclusione delle posizioni di lavoro di particolare responsabilità preventivamente individuate dagli enti. Il lavoratore titolare delle stesse può ottenere la trasformazione del suo rapporto in rapporto a tempo parziale solo a seguito di espressa rinuncia all’incarico conferitogli. Il predetto limite è arrotondato per eccesso onde arrivare comunque all’unità.

3. Gli enti, previa analisi delle proprie esigenze organizzative e nell’ambito della programmazione triennale del fabbisogno di personale, previa informazione seguita da incontro, individuano i posti da destinare ai rapporti di lavoro a tempo parziale nel rispetto dei criteri definiti nel precedente comma 2 e nell’art. 5, comma 1, del presente CCNL. Gli stessi posti vengono prioritariamente coperti sulla base delle richieste presentate dal personale in servizio di pari categoria e profilo e, per la parte che residua, mediante assunzione secondo le procedure selettive previste dai regolamenti degli enti.

4. Nel caso che gli enti non abbiano provveduto agli adempimenti previsti nel comma 3, oppure nel limite della eventuale percentuale residua, dopo l’attuazione della disciplina prevista dal medesimo comma, la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale avviene automaticamente entro sessanta giorni dalla ricezione della domanda presentata dal dipendente interessato, nel rispetto delle forme e delle modalità di cui al comma 13. In tal caso opera il solo limite percentuale di cui al comma 2. Nelle domande, da presentare con cadenza semestrale (giugno-dicembre), deve essere  indicata l’eventuale attività  di lavoro subordinato o autonomo che il dipendente intende svolgere ai fini dei commi 7 e ss.

5. L’ente, entro il predetto termine, può, con decisione motivata,  rinviare la trasformazione del rapporto di lavoro  per un periodo non superiore a sei mesi nei casi in cui essa comporti, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa del dipendente,  grave pregiudizio alla funzionalità del servizio.

6. Nel caso di cui al comma 4 continua a trovare applicazione l’art. 1, comma 59,  della L.662/96, l’art. 39, comma 27 della L.n.449/1997 in materia di individuazione ed utilizzazione dei risparmi di spesa e l’art.15, comma 1, lett. e) del CCNL dell’1.04.1999.

7. I dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale, qualora la prestazione lavorativa non sia superiore al 50% di quella a tempo pieno, nel rispetto delle vigenti norme sulle incompatibilità, possono svolgere un’altra attività lavorativa e professionale, subordinata o autonoma, anche mediante l’iscrizione ad albi professionali.

8. Gli enti, ferma restando la valutazione in concreto dei singoli casi, sono tenuti ad individuare le attività che, in ragione della interferenza con i compiti istituzionali non sono comunque  consentite ai dipendenti di cui al comma precedente, con le procedure previste dall’art.1, comma 58 bis della legge 23 dicembre 1996, n. 662 e successive modificazioni ed integrazioni, dandone informazione ai soggetti di cui all’art.10, comma 2, del CCNL dell’1.4.1999.

9. Nel caso di verificata sussistenza di un conflitto di interessi tra l’attività esterna del dipendente – sia subordinata che autonoma – e la specifica attività di servizio, l’ente nega la trasformazione del rapporto a tempo parziale nei casi di cui ai commi 7 e 8.

10. Il dipendente è tenuto a comunicare, entro quindici giorni, all’ente nel quale presta servizio l’eventuale successivo inizio  o la variazione dell’attività lavorativa esterna.

11. In presenza di gravi e documentate situazioni familiari, preventivamente individuate dagli enti in sede di contrattazione integrativa decentrata ai sensi dell’art.4 del CCNL dell’1.4.1999, e tenendo conto delle esigenze organizzative, è possibile elevare il contingente di cui al comma 2 di un ulteriore 10 % massimo. In tali casi, in deroga alle procedure di cui al comma 4, le domande sono presentate senza limiti temporali.

12. Qualora il numero delle richieste relative ai casi dei commi 4 e 11 ecceda i contingenti fissati nei commi stessi, viene data la precedenza:

a. ai dipendenti portatori di handicap o in particolari condizioni psicofisiche;

b. ai familiari che assistono persone portatrici di handicap non inferiore al 70%  o persone in particolari condizioni psico-fisiche o affette da gravi patologie o anziani non autosufficienti;

c. ai genitori con figli minori,  in relazione al loro numero.

13. La costituzione del rapporto a tempo parziale o la trasformazione da tempo pieno a tempo parziale, avviene con contratto di lavoro stipulato in forma scritta e con l’indicazione della durata della prestazione lavorativa nonché della collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno e del relativo trattamento economico.

14. I dipendenti con  rapporto di lavoro a tempo parziale hanno diritto di  tornare a tempo pieno  alla scadenza di un biennio dalla trasformazione, anche in soprannumero oppure, prima della  scadenza del biennio, a condizione che vi sia la disponibilità del posto in organico.

15. I dipendenti assunti con  rapporto di lavoro a tempo parziale hanno diritto di chiedere la trasformazione del rapporto a tempo pieno decorso un triennio dalla data di assunzione, a condizione che vi sia la disponibilità del posto in organico.

16. Gli enti informano con cadenza  semestrale i soggetti sindacali di cui all’art.10, comma 2, del CCNL dell’1.4.1999 sull’andamento delle assunzioni a tempo parziale, sulla tipologia delle stesse e sull’eventuale ricorso al lavoro aggiuntivo e straordinario.

Art.5

Orario di lavoro del personale con rapporto di lavoro a tempo parziale

1. Il dipendente con rapporto di lavoro a tempo parziale copre una frazione di posto di organico corrispondente alla durata della prestazione lavorativa che non può essere inferiore al 30 % di quella a tempo pieno.  In ogni caso, la somma delle frazioni di posto a tempo parziale non può superare il numero complessivo dei posti di organico a tempo pieno trasformati.

2. Il rapporto di lavoro a tempo parziale può essere:

a. orizzontale, con orario normale giornaliero di lavoro in misura ridotta rispetto al tempo pieno e con articolazione della prestazione di servizio ridotta in tutti i giorni lavorativi (5 o  6 giorni);

b. verticale, con  prestazione lavorativa svolta a tempo pieno ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese, dell’anno e con  articolazione della prestazione su alcuni giorni della settimana, del mese, o di determinati periodi dell’anno, in misura tale da rispettare la media della durata del lavoro settimanale prevista per il tempo parziale nell’arco temporale preso in considerazione (settimana, mese o anno);

c. con combinazione delle due modalità indicati nelle lettere a) e b).

3. Il tipo di articolazione della prestazione e la sua distribuzione, in relazione ai posti di cui al comma 3 dell’art. 4 vengono previamente definiti dagli enti e resi noti a tutto il personale, mentre nel caso previsto dal comma 4 dello stesso articolo sono concordati con il dipendente.

Art.6

Trattamento economico – normativo del personale con rapporto di lavoro a tempo parziale.

1. Al personale con rapporto a tempo parziale si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di legge e contrattuali dettate per il rapporto a tempo pieno, tenendo conto della ridotta durata della prestazione e della peculiarità del suo svolgimento

2. Al personale con rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale, e solo con l’espresso consenso dello stesso, può essere richiesta l’effettuazione di prestazioni di lavoro aggiuntivo, di cui all’art.1, comma 2, lett. e) del D.Lgs.n.61/2000, nella misura massima del 10% della durata dell’orario di lavoro a tempo parziale riferita a periodi non superiori ad un mese e da utilizzare nell’arco di più di una settimana.

3. Il ricorso al lavoro aggiuntivo è ammesso per specifiche e comprovate esigenze organizzative o in presenza di particolari situazioni di difficoltà organizzative derivanti da concomitanti assenze di personale non prevedibili ed improvvise.

4. Le ore di lavoro aggiuntivo sono retribuite con un compenso pari alla retribuzione oraria globale di fatto di cui all’art.52, comma 2, lett. d) maggiorata di una percentuale pari al 15%, i  relativi oneri sono a carico delle risorse destinate ai compensi per lavoro straordinario.

5. Il personale con rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale può effettuare prestazioni di lavoro straordinario nelle sole giornate di effettiva attività lavorativa entro il limite massimo di cui al comma 2. Tali ore sono retribuite con un compenso pari alla retribuzione oraria di cui all’art.52, comma 2, lett. b), con una maggiorazione pari al 15%.

6. Qualora le ore di lavoro aggiuntivo o straordinario svolte siano eccedenti rispetto a quelle fissate come limite massimo giornaliero, mensile o annuale dal comma 4, la percentuale di maggiorazione di cui al precedente comma 5 è elevata al 50%.

7. Il consolidamento nell’orario di lavoro, su richiesta del lavoratore, del lavoro aggiuntivo o straordinario, svolto in via non meramente occasionale, avviene previa verifica sull’utilizzo del lavoro aggiuntivo e straordinario per più di sei mesi effettuato dal lavoratore stesso.

8. I dipendenti a tempo parziale orizzontale hanno diritto ad un numero di giorni di ferie pari a quello dei lavoratori a tempo pieno. I lavoratori a tempo parziale verticale hanno diritto ad un numero di giorni di ferie proporzionato alle giornate di lavoro prestate nell’anno. In entrambe le ipotesi il relativo trattamento economico è commisurato alla durata  della prestazione giornaliera.Analogo criterio di proporzionalità si applica anche per le altre assenze dal servizio previste dalla legge e dal CCNL, ivi comprese le assenze per malattia. In presenza di part-time verticale, è comunque riconosciuto per intero il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro previsto dalla L.n.1204/71, anche per la parte non cadente in periodo lavorativo; il relativo trattamento economico, spettante per l’intero periodo di astensione obbligatoria, è commisurato alla durata prevista per la prestazione giornaliera.   Il permesso per matrimonio, l’astensione facoltativa ed i permessi per maternità, spettano per intero solo per i periodi coincidenti con quelli lavorativi, fermo restando che il relativo trattamento economico è commisurato alla durata  prevista per la prestazione giornaliera. In presenza di part-time verticale non si riducono i termini previsti per il periodo di prova e per il preavviso che vanno calcolati con riferimento ai periodi effettivamente lavorati.

9. Il trattamento economico del personale con rapporto di lavoro a tempo parziale è proporzionale alla prestazione lavorativa, con riferimento a tutte le competenze fisse e periodiche, ivi compresa l’indennità integrativa speciale, spettanti al personale con rapporto a tempo pieno appartenente alla stessa categoria e profilo professionale.

10. I trattamenti accessori collegati al raggiungimento di obiettivi o alla realizzazione di progetti, nonché  altri istituti non collegati alla durata della prestazione lavorativa, sono applicati ai dipendenti a tempo parziale anche in misura non frazionata o non direttamente proporzionale al regime orario adottato, secondo la disciplina prevista dai contratti integrativi decentrati.

11. Al ricorrere delle condizioni di legge al lavoratore a tempo parziale sono corrisposte per intero le aggiunte di famiglia.

12. Il trattamento previdenziale e di fine rapporto è disciplinato dalle disposizioni contenute nell’art.8 della legge n.554/1988 e successive modificazioni ed integrazioni.

13. Per tutto quanto non disciplinato dalle clausole contrattuali, in materia di rapporto di lavoro a tempo parziale si applicano le disposizioni contenute nel D.lgs.n.61/2000.

Art.7

Contratto a termine

1. In applicazione e ad integrazione di quanto previsto dalla legge n.230/1962 e successive modificazioni e dall’art.23, comma 1, della legge n.56/1997, gli enti possono stipulare contratti individuali per l’assunzione di personale a tempo determinato nei seguenti casi:

a) per la sostituzione di personale assente con diritto alla conservazione del posto, ivi compresi  i  casi  di personale in distacco  sindacale e quelli relativi ai congedi previsti dagli articoli 4 e 5 della legge n.53/2000; nei casi in cui si tratti di forme di astensione dal lavoro programmate (con l’esclusione delle ipotesi di sciopero), l’assunzione a tempo determinato può essere anticipata fino a trenta giorni al fine di assicurare l’affiancamento del lavoratore che si deve assentare;

b) per la sostituzione di personale assente  per gravidanza e puerperio, nelle ipotesi di astensione obbligatoria e facoltativa previste dagli articoli  4, 5, 7 della legge n.1204/1971 e dagli articoli 6 e 7 della legge n.903/1977, come modificati dall’art.3 della legge n.53/2000; in tali casi l’assunzione a tempo determinato può avvenire anche trenta giorni prima dell’inizio del periodo di astensione;

c) per soddisfare le esigenze organizzative dell’ente nei casi di trasformazione temporanea di rapporti di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, per un periodo di sei mesi;

d) per lo svolgimento di attività stagionali, nell’ambito delle vigenti disposizioni;

e) per soddisfare particolari esigenze straordinarie, anche derivanti dall’assunzione di nuovi servizi o dall’introduzione di nuove tecnologie, non fronteggiabili con il personale in servizio, nel limite massimo di nove mesi;

f) per attività connesse allo svolgimento di specifici progetti o programmi predisposti dagli enti, quando alle stesse non sia possibile far fronte con il personale in servizio,  nel limite massimo di dodici mesi;

g) per la temporanea copertura di posti vacanti nelle diverse categorie, per un periodo massimo di otto mesi e purché siano avviate la procedure per la copertura dei posti stessi.

2. Anche al fine di favorire standards di qualità nell’erogazione dei servizi, gli enti individuano, previa concertazione ai sensi dell’art.8 del CCNL dell’1.4.1999, i fabbisogni di personale da assumere ai sensi del presente articolo.

3. Gli enti disciplinano, con gli atti previsti dai rispettivi ordinamenti, nel rispetto dei principi di cui all’art.36 e 36 bis  del D.Lgs.n.29/1993, le procedure selettive per l’assunzione di personale con contratto di lavoro a termine nelle ipotesi di cui al comma 1.

4. Nei casi di cui alle lettere a) e b), l’ente può procedere ad assunzioni a termine anche per lo svolgimento delle mansioni di altro lavoratore, diverso da quello sostituito, assegnato a sua volta, anche attraverso il ricorso al conferimento di mansioni superiori ai sensi dell’art.56 del D.Lgs.n.29/1993, a quelle proprie del lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto.

5. Nei casi di cui alle lettere a) e b), nel contratto individuale è specificato per iscritto la causa della sostituzione ed il nominativo del dipendente sostituito, intendendosi per tale non solo il dipendente assente con diritto alla conservazione del posto ma anche l’altro dipendente di fatto sostituito nella particolare ipotesi di cui al precedente comma 3. La durata del contratto può comprendere anche periodi di affiancamento necessari per il passaggio delle consegne.

6. Il rapporto di lavoro si risolve automaticamente, senza diritto al preavviso, alla scadenza del termine indicato nel contratto individuale o, prima di tale data, comunque con il rientro in servizio del lavoratore sostituito.

7. In tutti i casi in cui il CCNL del 6.7.1995 prevede la risoluzione del rapporto con preavviso o con corresponsione dell’indennità sostitutiva dello stesso, ad eccezione di quelli previsti dai commi 6 e 9 del presente articolo, per il rapporto di lavoro a tempo determinato il termine di preavviso é fissato in un giorno per ogni periodo di lavoro di 15 giorni contrattualmente stabilito e comunque non può superare i 30 giorni nelle ipotesi di durata dello stesso superiore all’anno.

8. L’assunzione  a tempo determinato può avvenire a tempo pieno ovvero, per i profili professionali per i  quali è consentito, anche a tempo parziale.

9. Il lavoratore assunto a tempo determinato, in relazione alla durata prevista del rapporto di lavoro, può essere sottoposto ad un periodo di prova, secondo la disciplina, dell’art. 14 -bis del CCNL del ai 6.7.1995, non superiore comunque a due settimane per i rapporti di durata fino a sei mesi e di quattro settimane per quelli di durata superiore. In deroga a quanto previsto dall’art.14- bis del CCNL del 6.7.1995, in qualunque momento del periodo di prova, ciascuna delle parti può recedere dal rapporto senza obbligo di preavviso né di indennità sostitutiva del preavviso, fatti salvi i casi di sospensione di cui al successivo comma 10. Il recesso opera dal momento della comunicazione alla controparte e ove posto in essere dall’ente deve essere motivato.

10. Al personale assunto a tempo determinato si applica il trattamento economico e normativo previsto dal presente contratto per il personale assunto a tempo indeterminato, compatibilmente con la natura del contratto a termine, con le seguenti precisazioni:

a) le ferie maturano in proporzione della durata del servizio prestato;

b) in caso di assenza per malattia, fermi restando – in quanto compatibili – i criteri stabiliti dagli artt.21 e 22, si applica l’art. 5 del D.L. 12 settembre 1983 n. 463, convertito con modificazioni nella legge 11 novembre 1983 n. 638. I periodi per i quali spetta il trattamento economico intero e quelli per i quali spetta il trattamento ridotto sono stabiliti secondo i criteri di cui all’art.21, comma 7, del CCNL del 6.7.1995, in misura proporzionalmente rapportata alla durata prevista del servizio, salvo che non si tratti di periodo di assenza inferiore a due mesi. Il trattamento economico non può comunque essere erogato oltre la cessazione del rapporto di lavoro. Il periodo di conservazione del posto è pari alla durata del contratto e non può in ogni caso  superare il termine massimo fissato dal citato art. 21 del CCNL del 6.7.1995;

c) possono essere concessi permessi non retribuiti per motivate esigenze fino a un massimo di 15 giorni complessivi e permessi retribuiti solo in caso di  matrimonio ai sensi dell’art. 19, comma 3, del CCNL del 6.7.1995;

d) in tutti i casi di assunzioni a tempo determinato per esigenze straordinarie e, in generale, quando per la brevità del rapporto a termine non sia possibile applicare il disposto dell’art.14, comma 5, del CCNL stipulato in data 6.7.1995,  il contratto è stipulato con riserva di acquisizione dei documenti prescritti dalla normativa vigente. Nel caso che il dipendente non li presenti  nel  termine  prescritto o che non risulti in possesso dei requisiti previsti per l’assunzione il rapporto è risolto con effetto immediato, salva l’applicazione dell’art. 2126 c.c.

e) sono comunque fatte salve tutte le altre ipotesi di assenza dal lavoro stabilite da specifiche disposizioni di legge per i lavoratori dipendenti, compresa la legge n.53/2000.

11. Il contratto a termine è nullo e produce unicamente gli effetti di cui all’art. 2126 c.c. quando:

a) l’applicazione del termine non risulta da atto scritto;

b) sia stipulato al di fuori delle ipotesi previste nei commi precedenti.

12. La proroga ed il rinnovo deI contratto a tempo determinato sono disciplinati dall’art.2, comma 2, della legge n.230/1962, come modificato ed integrato dall’art.12 della legge n.196/1997.

13. In nessun caso il rapporto di lavoro a tempo determinato può trasformarsi in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

14. I periodi di assunzione con contratto di lavoro a termine presso un ente, per un periodo di almeno 12 mesi, anche non continuativi, possono essere adeguatamente valutati nell’ambito delle selezioni pubbliche disposte dallo stesso ente per la copertura di posti vacanti di profilo e categoria identici a quelli per i quali è stato sottoscritto il contratto a termine.

15. Nel caso in cui la durata complessiva del contratto a termine superi i quattro mesi, fermi restando i limiti e le modalità di legge, il lavoratore dovrà essere informato di quanto previsto dall’art.23, comma 4, della legge n.56/1987 in materia di iscrizione nelle liste di collocamento e relativa graduatoria.

Art.8

Mansioni superiori

1. Il presente articolo completa la disciplina delle mansioni prevista dall’art.56, commi 2, 3 e 4 del D. lgs. n.29/1993 per la parte demandata alla contrattazione.

2. In applicazione di quanto previsto dall’art.3, comma 3, del CCNL del 31.3.1999, il conferimento delle mansioni superiori avviene nei seguenti casi :

a) nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a    dodici  qualora  siano state avviate le procedure per la copertura del posto vacante, anche mediante le selezioni interne di cui all’art.4 del CCNL del 31.3.1999;

b) nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del  posto, con esclusione dell’assenza per ferie, per la durata dell’assenza.

3. Il conferimento delle mansioni superiori di cui ai commi precedenti, anche attraverso rotazione tra più dipendenti,  è disposto dal dirigente o, per gli enti privi di dirigenza, dal responsabile del servizio, nell’ambito delle risorse espressamente assegnate per tale finalità secondo la programmazione dei fabbisogni ed è comunicato per iscritto al dipendente incaricato.

4. I criteri generali per il conferimento delle mansioni superiori sono definiti dagli enti previa concertazione ai sensi dell’art.8 del CCNL dell’1.4.1999.

5. Il dipendente assegnato alle mansioni superiori ha diritto alla differenza tra il trattamento economico iniziale previsto per l’assunzione nel profilo  rivestito e quello iniziale corrispondente alle mansioni superiori di temporanea assegnazione, fermo rimanendo la posizione economica di appartenenza e quanto percepito a titolo di retribuzione individuale di anzianità.

6. Al dipendente di categoria C, assegnato a mansioni superiori della categoria D, possono essere conferite, ricorrendone le condizioni e nel rispetto dei criteri predefiniti dagli enti, gli incarichi di cui agli articoli da 8 a 11 del CCNL del 31.3.1999, con diritto alla percezione dei relativi compensi.

7. Per quanto non previsto dal presente articolo resta ferma la disciplina dell’art. 56 del D.lgs.n.29/1993.

TITOLO II

CAUSE DI SOSPENSIONE DEL RAPPORTO

Art.9

Servizio militare

1. La chiamata alle armi per adempiere gli obblighi di leva o il richiamo alle armi per qualunque esigenza delle Forze Armate, nonché l’arruolamento volontario allo scopo di anticipare il servizio militare obbligatorio, determinano la sospensione del rapporto di lavoro, anche in periodo di prova, ed il dipendente  ha titolo alla conservazione del posto per tutto il periodo del servizio militare di leva, senza  diritto alla retribuzione.

2. I dipendenti  obiettori di coscienza che prestano il servizio sostitutivo civile hanno diritto, anche in periodo di prova, alla conservazione del posto di lavoro per tutta la durata del servizio, senza retribuzione.

3. Entro quindici giorni dal congedo o dall’invio in licenza illimitata in attesa di congedo, il dipendente  deve porsi a disposizione dell’ente per riprendere servizio. Superato tale termine il rapporto di lavoro è risolto, senza diritto ad alcuna indennità di preavviso nei confronti del dipendente, salvo i casi di comprovato impedimento.

4. Il periodo di servizio militare produce sul rapporto di lavoro tutti gli effetti previsti dalle vigenti disposizioni di legge e contrattuali.

5. I dipendenti richiamati alle armi hanno diritto alla conservazione del posto per tutto il periodo del richiamo, che  viene computato  ai   fini dell’anzianità   di   servizio. Al predetto personale gli enti corrispondono l’eventuale differenza tra il trattamento economico erogato dall’Amministrazione militare e quello fondamentale in godimento presso l’ente di appartenenza.

Art.10

Assenze per malattia

1.Dopo il comma 7 dell’art. 21 del CCNL del  6.7. 95, è inserito il seguente:

“7.bis. In caso di patologie gravi che richiedano terapie salvavita ed altre assimilabili, come ad esempio l’emodialisi, la chemioterapia, il trattamento riabilitativo per soggetti affetti da AIDS, ai fini del presente articolo, sono esclusi dal computo dei giorni di assenza per malattia i relativi giorni di ricovero ospedaliero o di day – hospital ed i giorni di assenza dovuti alle citate terapie, debitamente certificati dalla competente Azienda sanitaria Locale o  Struttura Convenzionata. In tali giornate il dipendente ha diritto in ogni caso all’intera retribuzione prevista dal comma 7, lettera a) del presente articolo”.

2. Il comma 4 dell’art.21 del CCNL del 6.7.1995 è sostituito dal seguente:

“Superati i periodi di conservazione del posto previsti dal 1° e 2°comma , nel caso che il dipendente sia riconosciuto idoneo a proficuo lavoro ma non allo svolgimento delle mansioni del proprio profilo professionale, l’ente, compatibilmente con la sua struttura organizzativa e con le disponibilità organiche, può utilizzarlo in mansioni equivalenti a quelle del profilo rivestito, nell’ambito della stessa categoria oppure, ove ciò non sia possibile e con il consenso dell’interessato, anche in mansioni proprie di profilo professionale ascritto a categoria inferiore. In tal caso trova applicazione l’art.4, comma 4, della legge n.68/1999”

Art.10-bis

Infortuni sul lavoro e malattie dovute a causa di servizio

  1. All’art. 22 del CCNL del 6.7.1995 è aggiunto il seguente comma 4
  2. “4. Nel caso di lavoratori che, non essendo disabili al momento dell’assunzione, abbiano acquisito per infortunio sul lavoro o malattia collegata a causa di servizio eventuali disabilità trova applicazione l’art.1, comma 7, della legge n.68/1999”.

Art.11

Aspettativa per motivi personali

1. Al dipendente con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, che ne faccia formale e motivata richiesta possono essere concessi, compatibilmente con le esigenze organizzative o di servizio, periodi di aspettativa  per esigenze personali o di famiglia, senza retribuzione e senza decorrenza dell’anzianità,  per una durata complessiva di dodici mesi in un triennio da fruirsi al massimo in due periodi.

2. I periodi di aspettativa di cui al comma 1 non vengono presi in considerazione ai fini della disciplina contrattuale per il calcolo del periodo di comporto del dipendente.

3. La presente disciplina si aggiunge ai casi espressamente tutelati da specifiche disposizioni di legge o, sulla base di queste, da altre previsioni contrattuali.

Art.12

Aspettativa per dottorato di ricerca o borsa di studio

1. I dipendenti con rapporto a tempo indeterminato ammessi ai corsi di dottorato di ricerca, ai sensi della legge 13 agosto 1984, n. 476  oppure  che usufruiscano delle borse di studio di cui alla legge 30 novembre 1989, n. 398  sono collocati, a domanda, in aspettativa per motivi di studio senza assegni per tutto il periodo di durata del  corso o della borsa.

Art.13

Altre aspettative previste da disposizioni di legge

1. Le aspettative per cariche pubbliche elettive e per volontariato restano disciplinate dalle vigenti disposizioni di legge.

2. Il dipendente, il cui coniuge presti servizio all’estero, può chiedere il collocamento in aspettativa senza assegni qualora l’ente non ritenga di poterlo destinare a prestare servizio nella stessa località in cui si trova il coniuge o qualora non sussistano i presupposti per un suo trasferimento nella località in questione.

3. L’aspettativa concessa ai sensi del comma 2 può avere una durata corrispondente al periodo di tempo in cui permane la situazione che l’ha originata. Essa può essere revocata in qualunque momento per ragioni di servizio o in difetto di effettiva permanenza all’estero del dipendente in aspettativa.

Art.14

Cumulo di aspettative

1. Il dipendente non può usufruire continuativamente di due periodi di aspettativa, anche richiesti per motivi diversi, se tra essi non  intercorrano almeno sei mesi  di servizio attivo. La presente disposizione non si applica in caso di aspettativa per cariche pubbliche elettive, per cariche sindacali, per volontariato e in caso di assenze di cui alla legge n.1204/1971.

2. L’ente, qualora durante il periodo di aspettativa vengano meno i motivi che ne hanno giustificato la concessione, può invitare il dipendente a  riprendere servizio nel termine appositamente fissato. Il dipendente, per le stesse motivazioni, può riprendere servizio di propria iniziativa.

3. Il rapporto di lavoro è risolto, senza diritto ad alcuna indennità sostitutiva di preavviso, nei confronti del dipendente che, salvo casi di comprovato impedimento, non si presenti per riprendere servizio alla scadenza del periodo di aspettativa o del termine di cui al comma 2.

Art.15

Diritto allo studio

1. Ai dipendenti con rapporto di lavoro a tempo indeterminato sono concessi – in aggiunta alle attività formative programmate dall’amministrazione – permessi straordinari retribuiti, nella misura massima di 150 ore individuali per ciascun anno e nel limite massimo del 3% del personale in servizio a tempo indeterminato presso ciascuna amministrazione all’inizio di ogni anno, con arrotondamento all’unità superiore.

2. I permessi di cui al comma 1 sono concessi per la partecipazione a corsi destinati al conseguimento di titoli di studio universitari, post-universitari, di scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute, o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali o attestati professionali riconosciuti dall’ordinamento pubblico e per sostenere i relativi esami.

3. Il personale interessato ai corsi ha diritto all’assegnazione a turni di lavoro che agevolino la frequenza ai corsi stessi e la preparazione agli esami e non può essere obbligato a prestazioni di lavoro straordinario né al lavoro nei giorni festivi o di riposo settimanale.

4. Qualora il numero delle richieste superi il limite massimo del 3 % di cui al comma 1, per la concessione dei permessi si rispetta il seguente ordine di priorità:

a) dipendenti che frequentino l’ultimo anno del corso di studi e, se studenti universitari o post-universitari e abbiano superato gli esami previsti dai programmi relativi agli anni precedenti;

b) dipendenti che frequentino per la prima volta gli anni di corso precedenti l’ultimo e successivamente quelli che, nell’ordine, frequentino, sempre per la prima volta, gli anni ancora precedenti escluso il primo,  ferma restando, per gli studenti universitari e post-universitari, la condizione di cui alla lettera a);

c) dipendenti ammessi a frequentare le attività didattiche, che non si trovino nelle condizioni di cui alle lettere a) e b).

5. Nell’ambito di ciascuna delle fattispecie di cui al comma 4, la precedenza è accordata,  nell’ordine, ai dipendenti che frequentino corsi di studio della scuola media inferiore, della scuola media superiore, universitari o post-universitari.

6. Qualora a seguito dell’applicazione dei criteri indicati nei commi 4 e 5 sussista ancora parità di condizioni, sono ammessi al beneficio i dipendenti che non abbiano mai usufruito dei permessi relativi al diritto allo studio per lo stesso corso e, in caso di ulteriore parità, secondo l’ordine decrescente di età.

7. Per la concessione dei permessi di cui ai commi precedenti i dipendenti interessati debbono presentare, prima dell’inizio dei corsi, il certificato di iscrizione e, al termine degli stessi, l’attestato di partecipazione e quello degli esami sostenuti, anche se con esito negativo. In mancanza delle predette certificazioni, i permessi già utilizzati vengono considerati come aspettativa per motivi personali.

8. Per sostenere gli esami relativi ai corsi indicati nel comma 2 il dipendente può utilizzare, per il solo giorno della prova, anche i permessi per esami previsti dall’art. 19, comma 1, primo alinea del CCNL del 6.7.1995.

Art.16

Congedi per la formazione

1. I congedi per la formazione dei dipendenti, disciplinati dall’art.5 della legge n.53/2000, sono concessi salvo comprovate esigenze di servizio.

2. Ai lavoratori, con anzianità di servizio di almeno cinque anni presso lo stesso ente, possono essere concessi a richiesta congedi per la formazione nella misura percentuale annua complessiva del 10 % del personale delle diverse categorie in servizio, con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, al 31 dicembre di ciascun anno.

3. Per la concessione dei congedi di cui al comma 1, i lavoratori interessati ed in   possesso della prescritta anzianità, devono presentare all’ente di appartenenza una specifica domanda, contenente l’indicazione dell’attività formativa che intendono svolgere, della data di inizio e della durata prevista della stessa. Tale domanda deve essere presentata almeno sessanta giorni prima dell’inizio delle attività formative.

4. Le domande vengono accolte in ordine progressivo di presentazione, nei limiti di cui al comma 2 e secondo la disciplina dei commi 5 e 6.

5. L’ente può non concedere i congedi formativi di cui al comma 1 quando ricorrono le seguenti condizioni:

a) il periodo previsto di assenza superi la durata di 11 mesi consecutivi;

b) non sia oggettivamente possibile assicurare la regolarità e la funzionalità dei servizi.

6. Al fine di contemperare le esigenze organizzative degli uffici con l’interesse formativo del lavoratore, qualora la concessione del congedo possa determinare un grave pregiudizio alla funzionalità del servizio, non risolvibile durante la fase di preavviso di cui al comma 2, l’ente può differire la fruizione del congedo stesso fino ad un massimo di sei mesi.

7. Al lavoratore durante il periodo di congedo si applica l’art.5,comma 3, della legge n.53/2000. Nel caso di infermità previsto dallo stesso articolo 5, relativamente al periodo di comporto, alla determinazione del trattamento economico, alle modalità di comunicazione all’ente ed ai controlli, si applicano le disposizioni contenute nell’art.21 e, ove si tratti di malattie dovute a causa di servizio, nell’art.22 del CCNL del 6.7.1995.

Art.17

Congedi dei genitori

1. Al personale dipendente si applicano le vigenti disposizioni in materia di tutela della maternità contenute nella legge n.1204/1971, come modificata ed integrata dalle leggi n.903/1977 e n.53/2000.

2. Nel presente articolo tutte i richiami alle disposizioni della legge n. 1204/1971 e della legge n.903/1977 si intendono riferiti al testo degli articoli di tali leggi risultante dalle modificazioni, integrazioni e sostituzioni introdotte dalla legge n.53/2000.

3. In caso di parto prematuro alla lavoratrice spettano comunque i mesi di astensione obbligatoria. Qualora il figlio nato prematuro abbia necessità di un periodo di degenza presso una struttura ospedaliera pubblica o privata, la madre ha la facoltà di richiedere che il restante periodo di congedo obbligatorio post-parto ed il periodo ante-parto, qualora non fruito, decorra dalla data di effettivo rientro a casa del figlio.

4. Nel periodo di astensione obbligatoria, ai sensi dell’art.4 della legge n.1204/1971, alla lavoratrice o al lavoratore, anche nell’ipotesi di cui all’art.6 bis della legge n.903/1977, spettano l’intera retribuzione fissa mensile, le quote di salario accessorio fisse e ricorrenti, compresa la retribuzione di posizione,  nonché il salario di produttività.

5. Nell’ambito del periodo di astensione dal lavoro previsto dall’art.7, comma 1, lett. a), della legge n.1204/1971, per le lavoratrici madri o in alternativa per i lavoratori padri, i primi trenta giorni, computati complessivamente  per entrambi i genitori e fruibili anche frazionatamente, non riducono le ferie, sono valutati ai fini dell’anzianità di servizio e sono retribuiti per intero, con esclusione dei compensi per lavoro straordinario e le indennità per prestazioni disagiate, pericolose o dannose per la salute.

6. Successivamente al periodo di astensione di cui al comma 4 e fino al terzo anno, nei casi previsti dall’art.7, comma 4, della legge n.1204/1971, alle lavoratrici madri ed ai lavoratori padri  sono riconosciuti  trenta giorni per ciascun anno, computati complessivamente per entrambi i genitori, di assenza retribuita secondo le modalità di cui al precedente comma 5.

7. I periodi di assenza di cui ai precedenti commi  5 e 6, nel caso di fruizione continuativa, comprendono anche gli eventuali giorni festivi che ricadano all’interno degli stessi. Tale modalità di computo trova applicazione anche nel caso di fruizione frazionata, ove i diversi periodi  di assenza non siano intervallati dal ritorno al lavoro del lavoratore o della lavoratrice.

8. Ai fini della fruizione, anche frazionata, dei periodi di astensione dal lavoro, di cui all’art.7, comma 1, della legge n.1204/1971, la lavoratrice madre o il lavoratore padre presentano la relativa domanda, con la indicazione della durata, all’ufficio di appartenenza almeno quindici giorni prima della data di decorrenza del periodo di astensione. La domanda può essere inviata anche a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento purché sia assicurato comunque il rispetto del termine minimo di quindici giorni. Tale disciplina trova applicazione anche nel caso di proroga dell’originario periodo di astensione.

9. In presenza di particolari e comprovate situazioni personali che rendono  oggettivamente  impossibile il  rispetto della disciplina di cui al precedente comma 8, la domanda può essere presentata entro le quarantotto ore precedenti l’inizio del periodo di astensione dal lavoro.

10. In caso di parto plurimo i periodi di riposo di cui all’art.10 della legge 1204/1971 sono raddoppiati e le ore aggiuntive rispetto a quelle previste dal comma 1 dello stesso art.10 possono essere utilizzate anche dal padre.

11. La presente disciplina sostituisce quella contenuta nell’art.19, commi 7 e 8, del CCNL del 6.7.1995.

Art.18

Congedi per eventi e cause particolari

1. Le lavoratrici e i lavoratori hanno diritto ai permessi ed ai congedi per eventi e cause particolari previsti dall’art.4 della legge n.53/2000.

2. Per i casi di decesso del coniuge, di un parente entro il secondo grado o del convivente, pure previsti nel citato art.4 della legge n.53/2000, trova, invece, applicazione la generale disciplina contenuta nell’art.19, comma 1, secondo alinea, del CCNL del 6.7.1995; la stabile convivenza è accertata sulla base della certificazione anagrafica presentata dal dipendente.

3. Resta confermata la disciplina dei permessi retribuiti contenuta nell’art.19 del CCNL del 6.7.1995.

TITOLO III

Disposizioni particolari

Art.19

Pari opportunità

1. Al fine di attivare misure e meccanismi tesi a consentire una reale parità tra uomini e donne all’interno del comparto, nell’ambito delle più ampie previsioni dell’art. 2, comma 6, della L.125/1991 e degli artt.7, comma 1, e 61 del D.Lgs.n. 29/1993, saranno definiti, con la contrattazione decentrata integrativa, interventi che si concretizzino in “azioni positive” a favore delle lavoratrici.

2. Presso ciascun ente sono inoltre costituiti appositi comitati per le pari opportunità, composti da un rappresentante dell’ente, con funzioni di presidente, da un componente designato da ognuna delle organizzazioni sindacali firmatarie del CCNL e da un pari numero di funzionari in rappresentanza dell’ente, nonché dai rispettivi supplenti, per i casi di assenza dei titolari.

3. I comitati per le pari opportunità hanno il compito di:

a) svolgere, con specifico riferimento alla realtà locale, attività di studio, ricerca e promozione sui principi di parità di cui alla L. 903/1977 e alla L. 125/1991, anche alla luce dell’evoluzione della legislazione italiana ed estera in materia e con riferimento ai programmi  di azione della Comunità Europea;

b) individuare i fattori che ostacolano l’effettiva parità di opportunità tra donne e uomini nel lavoro proponendo iniziative dirette al loro superamento alla luce delle caratteristiche del mercato del lavoro e dell’andamento  dell’occupazione femminile in ambito locale, anche con riferimento alle diverse tipologie di rapporto di lavoro;

c) promuovere interventi idonei a facilitare il reinserimento delle lavoratrici dopo l’assenza per maternità e a salvaguardarne la professionalità;
d) proporre iniziative dirette a prevenire forme di molestie sessuali nei luoghi di lavoro, anche attraverso ricerche sulla diffusione e sulle caratteristiche del fenomeno e l’elaborazione di uno specifico codice di condotta nella lotta contro le molestie sessuali.

4. Gli enti assicurano, mediante specifica disciplina, le condizioni e gli strumenti idonei per il funzionamento dei Comitati di cui al comma 2.

5. In sede di negoziazione decentrata a livello di singolo ente, tenendo conto delle proposte formulate dai comitati per le pari opportunità, sono concordate le misure volte a favorire effettive pari opportunità nelle condizioni di lavoro e di sviluppo professionale, considerando anche la posizione delle lavoratrici in seno alla famiglia, con particolare riferimento a:

a) accesso ai corsi di formazione professionale e modalità di svolgimento degli stessi;

b) flessibilità degli orari di lavoro in rapporto a quelli dei servizi sociali;

c) perseguimento di un effettivo equilibrio di posizioni funzionali a parità di requisiti professionali, di cui si deve tener conto anche nell’attribuzione di incarichi o funzioni più qualificate, nell’ambito delle misure rivolte a superare, per la generalità dei dipendenti, l’assegnazione in via permanente di mansioni estremamente parcellizzate e prive di ogni possibilità di evoluzione professionale;

d) individuazione di iniziative di informazione per promuovere comportamenti coerenti con i principi di pari opportunità nel lavoro.

6. Gli effetti delle iniziative assunte dagli enti, a norma del comma 5, formano oggetto di valutazione dei Comitati di cui al comma 2, che elaborano e diffondono, annualmente, uno specifico rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuno dei profili delle diverse categorie ed in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione e della promozione professionale, dei passaggi di categoria e della progressione economica all’interno della categoria nonché della retribuzione complessiva di fatto percepita.

7. I Comitati per le pari opportunità rimangono in carica per un quadriennio e comunque fino alla costituzione dei nuovi. I loro componenti possono essere rinnovati nell’incarico per una sola volta.

8. I Comitati per le pari opportunità si riuniscono trimestralmente o su richiesta di almeno tre componenti.

Art.20

Periodo di prova

1. L’art. 14 bis, comma 9, del CCNL del 6.7.1995 è sostituito dal seguente:

“9. Durante il periodo di prova, il dipendente ha diritto alla conservazione del posto, senza retribuzione, presso l’ente di provenienza e, in caso di recesso di una delle parti rientra, a domanda, nella precedente categoria e profilo.

La presente disposizione si applica anche al dipendente in prova proveniente da un ente di diverso comparto il cui CCNL preveda analoga disciplina” .

Art.21

Tutela dei dipendenti in particolari condizioni psico-fisiche

1. Allo scopo di favorire la riabilitazione e il recupero dei dipendenti a tempo indeterminato nei confronti dei quali sia stata accertato, da una struttura sanitaria pubblica o da strutture associative convenzionate previste dalle leggi regionali vigenti, lo stato di tossicodipendenza o di alcolismo cronico e che si impegnino a sottoporsi a un progetto terapeutico di recupero predisposto dalle predette strutture, sono stabilite le seguenti misure di sostegno secondo le modalità di sviluppo del progetto:

a) il diritto alla conservazione del posto per l’intera durata del progetto di recupero, con corresponsione del trattamento economico previsto dall’art. 21, comma 7, del CCNL del 6.7.1995; i periodi eccedenti i 18 mesi non sono retribuiti;

b) concessione di permessi giornalieri orari retribuiti nel limite massimo di due ore, per la durata del progetto;

c) riduzione dell’orario di lavoro, con l’applicazione degli istituti normativi e retributivi previsti per il rapporto di lavoro a tempo parziale, limitatamente alla durata del progetto di recupero;

d) assegnazione del lavoratore a mansioni della stessa categoria di inquadramento contrattuale diverse da quelle abituali, quando tale misura sia individuata dalla struttura che gestisce il progetto di recupero come supporto della terapia in atto.

2. I dipendenti i cui parenti entro il secondo grado o, in mancanza, entro il terzo grado, ovvero i conviventi stabili si trovino nelle condizioni previste dal comma 1 ed abbiano iniziato a dare attuazione al progetto di recupero, possono fruire dell’aspettativa per motivi di famiglia per l’intera durata del progetto medesimo. Del relativo periodo non si tiene conto ai fini dell’art. 14 del presente contratto. La stabile convivenza è accertata sulla base della certificazione anagrafica presentata dal dipendente.

3. Qualora i dipendenti di cui al comma 1 non si sottopongano per loro volontà alle previste terapie, l’ente dispone, con le modalità previste dalle disposizioni vigenti, l’accertamento dell’idoneità allo svolgimento della prestazione lavorativa.

4. Il dipendente deve riprendere servizio presso l’ente nei 15 giorni successivi alla data di completamento del progetto di recupero.

Art.22

Turnazioni

1. Gli enti, in relazione alle proprie esigenze organizzative o di servizio funzionali, possono istituire turni giornalieri di lavoro. Il turno consiste in un’effettiva rotazione del personale in prestabilite articolazioni giornaliere.

2. Le prestazioni lavorative svolte in turnazione, ai fini della corresponsione della relativa indennità,  devono essere distribuite nell’arco del mese in modo tale da far risultare una distribuzione equilibrata e avvicendata dei turni effettuati in orario antimeridiano, pomeridiano e, se previsto, notturno, in relazione alla articolazione adottata nell’ente.

3. I turni diurni, antimeridiani e pomeridiani, possono essere attuati in strutture operative che prevedano un orario di servizio giornaliero di almeno 10 ore.

4. I turni notturni non possono essere superiori a 10 nel mese, facendo comunque salve le eventuali esigenze eccezionali o quelle derivanti da calamità o eventi naturali. Per turno notturno si intende il periodo lavorativo ricompreso tra le 22 e le 6 del mattino.

5. Al personale turnista è corrisposta una indennità che compensa interamente il disagio derivante dalla particolare articolazione dell’orario di lavoro i cui  valori sono stabiliti come segue:

– turno diurno antimeridiano e pomeridiano (tra le 6 e le 22.00): maggiorazione oraria del 10% della retribuzione di cui all’art.52, comma 2, lett. c)

– turno notturno o festivo: maggiorazione oraria del 30% della retribuzione  di cui all’art.52, comma 2, lett. c)

– turno festivo notturno: maggiorazione oraria del 50% della retribuzione di cui all’art.52, comma 2, lett. c).

6. L’indennità di cui al comma 5 è corrisposta solo per i periodi di effettiva prestazione di servizio in turno.

7. Agli oneri derivanti dal presente articolo si fa fronte, in ogni caso, con le risorse previste dall’art. 15 del CCNL dell’1.4.1999.

Art.23

Reperibilità

1. Per le aree di pronto intervento individuate dagli enti, può essere istituito il servizio di pronta  reperibilità. Esso è remunerato con la somma di L.20.000 per 12 ore al giorno. Ai relativi oneri si fa fronte in ogni caso con le risorse previste dall’art.15 del CCNL dell’1.4.1999.Tale importo è raddoppiato in caso di reperibilità cadente in  giornata festiva, anche infrasettimanale o di riposo settimanale secondo il turno assegnato.

2. In caso di chiamata l’interessato dovrà raggiungere il posto di lavoro assegnato nell’arco di trenta minuti.

3. Ciascun dipendente non può essere messo in reperibilità per più di 6 volte in un mese; gli enti assicurano la rotazione tra più soggetti anche volontari.

4. L’indennità di reperibilità di cui al comma 1 non compete durante l’orario di servizio a qualsiasi titolo prestato. Detta indennità è frazionabile in misura non inferiore a quattro ore ed è corrisposta in proporzione alla sua durata oraria maggiorata, in tal caso, del 10%. Qualora la pronta reperibilità cada di domenica o comunque di riposo settimanale secondo il turno assegnato, il dipendente ha diritto ad un giorno di riposo compensativo anche se non è chiamato a rendere alcuna prestazione lavorativa. La fruizione del riposo compensativo non comporta, comunque, alcuna riduzione dell’orario di lavoro settimanale.

Art.24

Trattamento per attività prestata in giorno festivo – riposo compensativo

1. Al dipendente che per particolari esigenze di servizio non usufruisce del giorno di riposo settimanale deve essere corrisposta la retribuzione giornaliera di cui all’art.52, comma 2, lett. b) maggiorata del 50%, con diritto al riposo compensativo da fruire di regola entro 15 giorni e comunque non oltre il bimestre successivo.

2. L’attività prestata in giorno festivo infrasettimanale dà titolo, a richiesta del dipendente, a equivalente riposo compensativo o alla corresponsione del compenso per lavoro straordinario con la maggiorazione prevista per il lavoro straordinario festivo.

4. L’attività prestata in giorno feriale non lavorativo, a seguito di articolazione di lavoro su cinque giorni, dà titolo, a richiesta del dipendente, a equivalente riposo compensativo o alla corresponsione del compenso per lavoro straordinario non festivo.

5. La maggiorazione di cui al comma 1 è cumulabile con altro trattamento accessorio collegato alla prestazione.

6. Anche in assenza di rotazione per turno, nel caso di lavoro ordinario notturno e festivo è dovuta una maggiorazione della retribuzione oraria di cui all’art.52, comma 2, lett. b), nella misura del 20%; nel caso di lavoro ordinario festivo-notturno la maggiorazione dovuta è del 30%.

Art.25

Passaggio diretto ad altre amministrazioni del personale in eccedenza

1. In relazione a quanto previsto dall’art. 35, comma 6, del D.lgs.n.29/1993, conclusa la procedura di cui ai commi 3, 4 e 5 dello stesso articolo, allo scopo di facilitare il passaggio diretto del personale dichiarato in eccedenza ad altri enti del comparto e di evitare il collocamento in disponibilità del personale che non sia possibile impiegare diversamente nell’ambito della medesima amministrazione, l’ente interessato comunica a tutti gli enti del comparto aventi sede in ambito provinciale o anche interprovinciale l’elenco del personale in eccedenza distinto per categoria e profilo professionale richiedendo la loro disponibilità al passaggio diretto, in tutto o in parte, di tale personale. Analoga richiesta viene rivolta anche agli altri enti o amministrazioni di cui all’art.1, comma 2, del D.Lgs.n.29/1993, aventi sempre sede in ambito regionale, al fine di verificare ulteriori disponibilità di posti per i passaggi diretti.

2. Gli enti destinatari della richiesta di cui al comma 1, qualora interessati, comunicano, entro il termine di 30 giorni, l’entità dei posti, corrispondenti per categoria e profilo, vacanti nella rispettiva dotazione organica per i quali, tenuto conto della programmazione dei fabbisogni, sussiste l’assenso al passaggio diretto del personale in eccedenza.

3. I posti disponibili sono comunicati ai lavoratori dichiarati in eccedenza che possono indicare le relative preferenze e chiederne le conseguenti assegnazioni, anche con la specificazione delle eventuali priorità; l’ente dispone i trasferimenti nei quindici giorni successivi alla richiesta.

4. Qualora si renda necessaria una selezione tra più aspiranti allo stesso posto, si forma una graduatoria sulla base di criteri definiti dagli enti che tengano conto dei seguenti elementi:

– situazione di famiglia, privilegiando il maggior numero di componenti;

– maggiore anzianità lavorativa presso la pubblica amministrazione;

– situazione personale del lavoratore portatore di handicap in gravi condizioni psico-fisiche;

– particolari condizioni di salute del lavoratore e dei familiari.

4. Gli enti datori di lavoro attivano nei confronti del personale messo in disponibilità le iniziative di formazione e riqualificazione utili per favorirne la ricollocazione, nell’ambito dei piani formativi finanziati dagli enti. Allo stesso personale sono riconosciute le forme di incentivazione di cui all’art. 17, comma 7, del CCNL dell’1.4.1999.

Art.26

Ricostituzione del rapporto di lavoro

1. Il dipendente il cui rapporto di lavoro si sia interrotto per effetto di dimissioni può richiedere, entro 5 anni dalla data delle dimissioni stesse, la ricostituzione del rapporto di lavoro. In caso di accoglimento della richiesta, il dipendente è ricollocato nella medesima posizione rivestita, secondo il sistema di classificazione applicato nell’ente, al momento delle dimissioni.

2. La stessa facoltà di cui al comma 1 è data al dipendente, senza i limiti temporali di cui al medesimo comma 1, nei casi previsti dalle disposizioni di legge relative all’accesso al lavoro presso le pubbliche amministrazioni in correlazione con la perdita e il riacquisto della cittadinanza italiana o di uno dei paesi dell’Unione Europea.

3. Nei casi previsti dai precedenti commi, la ricostituzione del rapporto di lavoro è subordinata alla disponibilità del corrispondente posto nella dotazione organica dell’ente.

Art.27

Norma per gli enti provvisti di Avvocatura

1. Gli enti provvisti di Avvocatura costituita secondo i rispettivi ordinamenti disciplinano la corresponsione dei compensi professionali, dovuti a seguito di sentenza favorevole all’ente, secondo i principi di cui al regio decreto legge 27.11.1933 n. 1578 e disciplinano, altresì, in sede di contrattazione decentrata integrativa la correlazione tra tali compensi professionali e la retribuzione di risultato di cui all’art. 10 del CCNL del 31.3.1999. Sono fatti salvi gli effetti degli atti con i quali gli stessi enti abbiano applicato la disciplina vigente per l’Avvocatura dello Stato anche prima della stipulazione del presente CCNL.

Art.28

Patrocinio legale

1. L’ente, anche a tutela  dei propri diritti ed interessi, ove si verifichi l’apertura di un procedimento di responsabilità civile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio, assumerà a proprio carico, a condizione che non sussista conflitto di interessi, ogni onere di difesa sin dall’apertura del procedimento, facendo assistere il dipendente da un legale di comune gradimento.

2. In caso di sentenza di condanna esecutiva per fatti commessi con dolo o colpa grave, l’ente ripeterà dal dipendente tutti gli oneri sostenuti per la sua difesa in ogni stato e grado del giudizio.

3. La disciplina del presente articolo non si applica ai dipendenti assicurati ai sensi dell’art. 43, comma 1.

TITOLO IV

PERSONALE DELL’AREA DI VIGILANZA

Art.29

Disposizioni speciali per il personale dell’area di vigilanza con particolari responsabilità

1. In attuazione dell’art.24, comma 2, lett. e) del CCNL dell’1.4.1999, e in sede di prima applicazione dell’art.4 del CCNL del 31.3.1999, le parti convengono di assumere le iniziative necessarie per realizzare il passaggio alla categoria D, posizione economica D1, del personale dell’area di vigilanza dell’ex 6^q.f., nelle seguenti ipotesi:

a) personale al quale, con atti formali da parte dell’amministrazione d’appartenenza, siano state attribuite funzioni di responsabile del servizio complessivo dell’intera area di vigilanza;

b) personale addetto all’esercizio di effettivi compiti di coordinamento e controllo di operatori di pari qualifica o di quella inferiore, già collocato, a seguito di procedure concorsuali, nella ex sesta qualifica funzionale su posti istituiti che prevedessero l’esercizio di tali funzioni  anteriormente all’entrata in vigore del D.P.R. n.268/1987;

c) personale addetto all’esercizio di effettivi compiti di coordinamento e controllo  di altri operatori di pari qualifica o di quella inferiore, già collocato nella ex sesta qualifica funzionale, a seguito di procedure concorsuali, su posti, istituiti, successivamente al DPR.n.268/87 che prevedessero formalmente l’esercizio delle predette funzioni, non in applicazione dell’art.21, comma 6, DPR.n.268/1987 stesso, i cui titolari sono esclusi dall’applicazione delle disposizioni del presente articolo.

2. La disciplina di cui al comma 1 trova applicazione solo negli enti la cui dotazione organica complessiva già preveda anche in altre aree, diverse da quella di vigilanza, posti inquadrati in categoria D.

3. In applicazione del disposto del comma 1, lettere a) e b), nell’ambito della programmazione triennale dei fabbisogni di personale, gli enti istituiscono in dotazione organica i corrispondenti posti di categoria D, provvedendo alla copertura finanziaria, anche ai sensi dell’art. 15, comma 5, del CCNL dell’1.4.1999.

4. In applicazione del disposto del comma 1, lett. c), nel rispetto delle previsioni della programmazione triennale dei fabbisogni di personale, gli enti prevedono in dotazione organica il numero di posti di specialisti di vigilanza, di categoria D, necessari, una volta effettuata la preventiva verifica circa lo svolgimento d’effettive funzioni di coordinamento e controllo di altri  operatori di pari qualifica o di quella inferiore, il cui numero sarà da definirsi in sede di concertazione, sulla base della realtà organizzativa di ciascun Ente, in conseguenza della verifica effettuata. La copertura finanziaria relativa potrà avvenire anche ai sensi dell’art.15, comma 5, CCNL dell’1.4.1999.

5. Il passaggio alla categoria D del personale individuato ai sensi del comma 1, lett. a) e b) avviene, previa verifica selettiva dei requisiti richiesti, di cui ai punti a) e b) entro il termine di due mesi dalla data di sottoscrizione del presente CCNL.

6. Il passaggio alla categoria D del personale individuato ai sensi del comma 1, lett.c), avviene sulla base di selezioni mediante valutazioni di titoli culturali, professionali e di servizio; gli enti  individuano i criteri per lo svolgimento delle procedure selettive, attivando le procedure di concertazione previste dall’art.8 del CCNL dell’1.4.1999.

7. A seguito del passaggio nella categoria D, al personale di cui al comma 1, lett. a) viene conseguentemente attribuito il profilo specifico, già previsto o da istituire, di “responsabile dei servizi di polizia municipale e locale”, con contenuti coerenti con la declaratoria della stessa categoria D. Al personale di cui alle lett. b) e c) viene conseguentemente attribuito indicativamente il profilo di “specialista di vigilanza”, con contenuti e mansioni, assorbenti anche le funzioni di base dell’area di vigilanza, indicate nel mansionario allegato sub A al presente contratto, continuando cioè a svolgere anche le funzioni attualmente assegnate.

8. Negli enti la cui dotazione organica complessiva non preveda posti di  categoria D, al fine di valorizzare le posizioni di cui al comma 1, ove non sia stata istituita una posizione organizzativa in base alla disciplina prevista dall’art.11 del CCNL del 31.3.1999, la contrattazione integrativa decentrata remunera le relative responsabilità utilizzando le risorse con un compenso, riassorbibile a seguito di eventuali passaggi di categoria, non superiore alla differenza tra il trattamento economico di categoria in godimento, comprensivo della eventuale posizione economica fruita all’interno della progressione economica orizzontale, ed il trattamento tabellare iniziale della categoria superiore, provvedendo alla copertura dei relativi oneri con le risorse previste dall’art.15 del CCNL dell’1.4.1999, anche attivando le iniziative correlate alla disciplina del comma 5 dello stesso articolo. Tale trattamento cessa di essere corrisposto a seguito dell’inquadramento del personale di categoria D e le relative risorse rientrano nella disponibilità di cui all’art. 15 CCNL dell’1.4.1999.

9. La disciplina del presente articolo ha carattere di specialità e di eccezionalità, ivi compreso il nuovo profilo professionale, e può essere applicata soltanto nei limiti e con riferimento al personale indicato nel comma 1.

SPECIALISTA DI VIGILANZA DELLA POLIZIA MUNICIPALE E LOCALE  (profilo professionale indicativo)

Possiede buone conoscenze plurispecialistiche ed un grado d’esperienza pluriennale, con frequente necessità d’aggiornamento, svolge attività con contenuto tecnico, gestionale, con responsabilità di risultati relativi a diversi processi produttivi/amministrativi, attività che possono essere caratterizzate da elevata complessità dei problemi da affrontare basata su modelli teorici non immediatamente utilizzabili ed ampiezza delle soluzioni possibili, comportanti relazioni organizzative interne di natura negoziale, gestite anche tra unità organizzative diverse da quella d’appartenenza, relazioni esterne (con altre istituzioni) di tipo diretto, anche con rappresentanza istituzionale e relazioni con gli utenti di natura diretta, e negoziale.

Coordina dipendenti della categoria inferiore nella programmazione gestionale delle attività, curando la disciplina e l’impiego tecnico/operativo del personale e fornendo istruzioni nelle aree operative di competenza, s’occupa dell’istruttoria formale delle pratiche e provvedimenti specifici di un certo livello di complessità, elabora dati e programmi nelle materie di competenza.

Svolge inoltre attività di vigilanza nei settori di competenza della Polizia Municipale e locale, utilizzando anche strumenti complessi e segnalando ai competenti uffici eventuali situazioni rilevanti, può compiere tutti gli atti previsti dalle funzioni ricoperte ed anche quelle di base dell’area di vigilanza; conduce tutti i mezzi in dotazione, come gli altri appartenenti alla Polizia Municipale e locale.

TITOLO V

Personale delle scuole

Art.30

Personale docente delle scuole materne

1. L’attività didattica (rapporto diretto insegnante – bambini) è di trenta ore settimanali. Il predetto orario è articolato in modo da coprire l’intero arco di apertura delle scuole.

2. Alle attività integrative è destinato, con esclusione delle settimane di fruizione delle ferie e del periodo di attività di cui al comma 7, un monte orario che comunque non sia superiore a 20 ore mensili.

3. Ai fini del comma 2 sono considerate integrative le attività di programmazione, di documentazione, di valutazione, di formazione ed aggiornamento, di collaborazione con gli organi collegiali e con le famiglie.

4. Gli enti, tenuto conto delle proprie esigenze  delle peculiari caratteristiche organizzative del servizio, possono rideterminare l’orario dell’attività didattica, per periodi predefiniti, in misura non inferiore a 25 ore settimanali, previo espletamento della procedura di concertazione di cui all’art. 8 del CCNL dell’1.4.1999. Tale soluzione è praticabile solo a condizione che:

a) sia stata certificata, dagli organi di controllo interno, l’assenza di oneri aggiuntivi, diretti o indiretti,  tenuto conto anche degli effetti derivanti dall’applicazione del comma 3;

b) sia, in ogni caso, assicurata e  certificata la salvaguardia del livello qualitativo e quantitativo del servizio offerto alla collettività.

5. Nel caso previsto dal comma 4, per il periodo in cui l’attività didattica è ridotta, al personale interessato viene proporzionalmente ridotta l’indennità di tempo potenziato di cui all’art. 37, comma 2, del CCNL del 6.7.1995. I conseguenti risparmi confluiscono nelle risorse di cui all’art. 15 del CCNL del 1.4.1999, sono utilizzati per le finalità previste dall’art. 17 dello stesso CCNL e tornano ad essere disponibili, per il ripristino della predetta indennità, in caso di ritorno all’orario di cui al comma 1.

6. Gli enti, tenuto conto delle proprie esigenze organizzative e delle peculiari caratteristiche del servizio, possono determinare l’orario annuale delle attività integrative anche in misura ridotta rispetto a quello derivante dall’applicazione del comma 2, e comunque in misura non inferiore a 120 ore annue, previo espletamento della procedura di concertazione di cui all’art. 8 del CCNL dell’1.4.1999. Tale soluzione è praticabile a condizione che:

a) i servizi di controllo interno certifichino che siano realizzati risparmi in misura almeno corrispondente ai maggiori oneri aggiuntivi;

b) sia, in ogni caso, assicurata e certificata la salvaguardia del livello qualitativo e quantitativo del servizio offerto alla collettività.

7. Il calendario scolastico, che non può in ogni caso superare le 42 settimane, prevede l’interruzione per Natale e Pasqua, le cui modalità attuative sono definite in sede di concertazione. In tali periodi e negli altri di chiusura delle scuole il personale è a disposizione per attività di formazione ed aggiornamento programmata dall’ente o per attività lavorative connesse al profilo di inquadramento, fermo restando il limite definito nei commi precedenti. Attività ulteriori, rispetto a quelle definite nel calendario scolastico, possono essere previste a livello di ente, in sede di concertazione, per un periodo non superiore a quattro settimane, da utilizzarsi sia per le attività delle scuole che per altre attività didattiche ed aggiornamento professionale, di verifica dei risultati e del piano di lavoro, nell’ambito dei progetti di cui all’art.17, co.1, lett. a) del CCNL dell’1.4.1999; gli incentivi economici sono definiti in sede di contrattazione integrativa decentrata utilizzando le risorse di cui all’art.15 del citato CCNL.

8. Relativamente alla disciplina contenuta nei precedenti commi, sono comunque fatti salvi gli accordi di miglior favore in atto alla data del 30.6.2000. Al personale insegnante delle scuole materne è conservata l’indennità professionale annua lorda di L.900.000, di cui all’art.37, comma 1, lett. d) del CCNL del 6.7.1995 nonché quella di tempo potenziato di cui all’art.37, comma 2, salvo quanto previsto dal comma 5.

9. Ciascun ente, previa informazione, ai sensi dell’art. 7 del CCNL dell’1.4.1999,  definisce le condizioni e le modalità ottimali per l’erogazione del servizio,ivi compreso il numero dei bambini per ciascuna sezione che, di norma, è  di 25 ed il numero degli insegnanti titolari per sezione, prevedendo l’assegnazione di personale docente d’appoggio in presenza di minori disabili.

10. Nei casi di vacanza d’organico, di assenza degli insegnanti titolari per motivi di: salute maternità o per altre legittime cause, gli enti garantiscono attraverso l’istituto della supplenza o della sostituzione le condizioni standard del servizio ed il rapporto educatore bambino. Il personale che superi o che abbia superato le selezioni di accesso al posto di insegnate è idoneo a svolgere la funzione docente.

11. A tal fine disciplinano le modalità di assunzione nell’ambito della disciplina dell’art.7, comma 3, del presente CCNL.

Art.31

Personale educativo degli asili nido

1. La prestazione di lavoro del personale educativo degli asili nido destinata al rapporto diretto educatore – bambini è fissata in trenta ore settimanali. Il predetto orario è articolato in modo da coprire l’intero arco di apertura degli asili.

2. Alle attività integrative è destinato, con esclusione delle settimane destinate alla fruizione delle ferie e del periodo di attività, di cui al comma 5, un monte orario non superiore a 20 ore mensili.

3. Ai fini del comma 2, sono considerate integrative le attività di programmazione, di documentazione, di valutazione, di formazione ed aggiornamento, di collaborazione con gli organi collegiali e con le famiglie.

4. Gli enti, tenuto conto delle proprie esigenze organizzative e delle peculiari caratteristiche del servizio, possono determinare l’orario annuale dell’attività integrativa, anche in misura ridotta rispetto al tetto massimo definito dal comma 2, e comunque in misura non inferiore a 120 ore annue, previo espletamento della procedura di concertazione di cui all’art. 8 del CCNL dell’1.4.1999. Tale soluzione è praticabile a condizione che:

a) i servizi di controllo interno certifichino che siano realizzati risparmi in misura almeno corrispondente ai maggiori oneri aggiuntivi;

b) sia, in ogni caso, assicurata e certificata la salvaguardia del livello qualitativo e quantitativo del servizio offerto alla collettività;

5. Il calendario scolastico, che non può in ogni caso superare le 42 settimane, prevede l’interruzione per Natale e Pasqua, le cui modalità attuative sono definite in sede di concertazione. In tali periodi e negli altri di chiusura delle scuole il personale è a disposizione per attività di formazione ed aggiornamento programmata dall’ente o per attività lavorative connesse al profilo di inquadramento fermo restando il limite definito nei commi precedenti. Attività ulteriori, rispetto a quelle definite nel calendario scolastico, possono essere previste a livello di ente, in sede di concertazione, per un periodo non superiore a quattro settimane, da utilizzarsi sia per le attività dei nidi che per altre attività d’aggiornamento professionale, di verifica dei risultati e del piano di lavoro, nell’ambito dei progetti di cui all’art.17, co.1, lett. a) del CCNL dell’1.4.1999; gli incentivi economici di tali attività sono definiti in sede di contrattazione integrativa decentrata utilizzando le risorse di cui all’art.15 del citato CCNL.

6. Relativamente alla disciplina contenuta nei precedenti commi, sono comunque fatti salvi gli accordi di miglior favore in atto alla data del 30.6.2000.

7. Al personale educativo degli asili nido è confermata l’indennità professionale di L.900.000 annue lorde, prevista dall’art.37, co.1, lett. c) del CCNL del 6.7.1995. Allo stesso personale compete altresì, a decorrere dal 31.12.1999, un’ indennità di L.120.000 mensili lorde, per 10 mesi di anno scolastico.  Al relativo onere si fa fronte utilizzando le risorse indicate nell’art. 15 del CCNL dell’1.4.1999. Tale ultima indennità costituisce trattamento economico accessorio, incide solo sulla seconda quota di pensione, non è valutabile ai fini del trattamento di fine rapporto e non incide su altri istituti di carattere economico.

8. Ciascun ente, previa informazione, ai sensi dell’art. 7 del CCNL dell’1.4.99, definisce le condizioni e le modalità ottimali  per l’erogazione del servizio, il rapporto medio educatore bambini, di norma non superiore ad 1 a 6, fatta salva diversa disciplina, dettata da normativa regionale, o le ipotesi di riduzione di tale rapporto, in presenza di minori disabili, con la previsione di personale educativo d’appoggio.

9. Nei casi di vacanza d’organico o di assenza, a qualsiasi titolo ed anche di breve durata, del personale educativo, gli enti garantiscono le condizioni standard del servizio assicurando la sostituzione dello stesso. A tal fine disciplinano le modalità di assunzione del personale necessario nell’ambito della disciplina dell’art.7,comma 3, del presente CCNL.

Art.32

Personale docente delle scuole gestite dagli enti locali

1. Per il personale insegnante addetto alle istituzioni scolastiche gestite dagli enti locali l’attività oraria settimanale di ciascun docente con gli alunni non deve superare le 24 ore nelle scuole elementari e le 18 ore in quelle medie. Le settimane di attività nell’anno, sempre in rapporto diretto degli insegnanti con gli alunni e gli studenti, devono coprire l’intero calendario scolastico. Per il personale docente che opera all’interno degli istituti di riabilitazione e pena l’orario è fissato in 15 ore settimanali e 3 ore di supplenza.

2. Alle attività integrative è destinato, con esclusione delle settimane destinate alla fruizione delle ferie e del periodo di attività di cui al comma 5 un monte orario che comunque non sia superiore a 20 ore mensili.

3. Ai fini del comma 2, sono considerate integrative le attività di programmazione, di documentazione, di valutazione, di formazione ed aggiornamento, di collaborazione con gli organi collegiali e con le famiglie.

4. Gli enti, tenuto conto delle proprie esigenze organizzative e delle peculiari caratteristiche del servizio, possono determinare l’orario dell’attività integrativa annuale anche in misura ridotta rispetto al tetto massimo definito dal comma 2, e comunque in misura non inferiore a 120 ore, previo espletamento della procedura di concertazione di cui all’art. 8 del CCNL dell’1.4.1999. Tale soluzione è praticabile a condizione che:

c) i servizi di controllo interno certifichino che siano realizzati risparmi in misura almeno corrispondente ai maggiori oneri aggiuntivi;

d) sia, in ogni caso, assicurata e certificata la salvaguardia del livello qualitativo e quantitativo del servizio offerto alla collettività.

5. Il calendario scolastico, che non può in ogni caso superare le 42 settimane, sulla base della normativa ministeriale, prevede l’interruzione per Natale e Pasqua, le cui modalità attuative sono definite in sede di concertazione. In tali periodi e negli altri di chiusura delle scuole il personale è a disposizione per attività di formazione ed aggiornamento programmata dall’ente o per attività lavorative connesse al profilo di inquadramento. Attività ulteriori, rispetto a quelle definite nel calendario scolastico, possono essere previste a livello di ente, in sede di concertazione, per un periodo non superiore a quattro settimane, da utilizzarsi sia per le attività delle scuole che per altre attività didattiche e di aggiornamento professionale, di verifica dei risultati e del piano di lavoro, nell’ambito dei progetti di cui all’art.17, co.1, lett. a) del CCNL dell’1.4.1999; gli incentivi economici di tali attività sono definiti in sede di contrattazione integrativa decentrata utilizzando le risorse di cui all’art.15 del citato CCNL.

6. Relativamente alla disciplina contenuta nei precedenti commi, sono comunque fatti salvi gli accordi di miglior favore in atto alla data del 30.6.2000.

7. Al personale docente delle scuole elementari e secondarie di cui al comma 1 è confermata l’indennità annua lorda di L.900.000, di cui all’art.37, comma 1, lett. d) del CCNL del 6.7.1995.

6. Ciascun ente, previa informazione, ai sensi dell’art. 7 del CCNL dell’1.4.1999, definisce le condizioni e le modalità ottimali  per l’erogazione del servizio.

7. Nei casi di vacanza d’organico o di assenza, a qualsiasi titolo ed anche di breve durata, del personale educativo, gli enti garantiscono le condizioni standard del servizio assicurando la sostituzione dello stesso. A tal fine disciplinano le modalità di assunzione del personale necessario nell’ambito della disciplina dell’art.7, comma 3, del presente CCNL.

Art.32-bis

Docenti addetti al sostegno operanti nelle scuole statali

1. Il calendario del personale docente comunale, utilizzato in attività di sostegno a soggetti portatori di handicap, è lo stesso di quello osservato dagli altri docenti operanti nella stessa istituzione scolastica dipendenti dal Ministero della pubblica istruzione.

2. L’orario di lavoro di rapporto diretto con gli studenti ed alunni portatori di handicap non deve essere superare le 24 ore settimanali; il monte ore delle attività integrative non deve essere superiore alle 20 ore mensili.

3. Attività ulteriori, rispetto a quelle definite nel calendario scolastico, possono essere previste a livello di ente, in sede di concertazione, per un periodo non superiore a quattro settimane, da utilizzarsi sia per le attività delle scuole che per altre attività didattiche e di aggiornamento professionale, di verifica dei  risultati e del piano di lavoro, nell’ambito dei progetti di cui all’art.17, comma 1, lett.a) del CCNL dell’1.4.1999; gli incentivi economici sono definiti in sede di contrattazione integrativa decentrata utilizzando le risorse di cui all’art.15 del CCNL dell’1.4.1999.

4. Relativamente alla disciplina contenuta nei precedenti commi sono comunque fatti salvi gli accordi di miglior favore in atto alla data del 30.6.2000.

5. Al personale docente è conservata l’indennità professionale annua lorda di L.900.000 di cui all’art.37, comma 1, lett. d) del CCNL del 6.7.1995.

Art.33

Docenti ed educatori addetti al sostegno operanti nelle istituzioni scolastiche gestite dagli Enti Locali

1. L’orario di lavoro di rapporto diretto con gli studenti ed alunni del personale docente ed educativo utilizzato in attività di sostegno a soggetti portatori di handicap è identico a quello osservato, nell’istituzione scolastica o educativa presso la quale prestano servizio, dal restante personale educativo e docente.

Art.34

Personale docente dei centri di formazione professionale

1. Fermo restando l’orario contrattuale di lavoro in vigore, il personale docente dei centri di formazione professionale svolge attività didattica, in aula o in laboratorio, entro un monte ore annuo definito dagli enti in stretta relazione con i contenuti della programmazione regionale delle attività formative e della tipologia delle relative iniziative. Le restanti ore sono destinate ad altre attività connesse alla formazione.

2. Al fine di favorire processi di innovazione organizzativa dei centri di formazione professionale e di riqualificazione e riconversione delle attività formativa realizzati nei suddetti centri, anche alla luce delle previsioni del Patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione del 22.12.1998, al personale di cui al comma 1 è corrisposta una indennità professionale il cui importo è stabilito dalla contrattazione decentrata integrativa in proporzione all’entità dell’attività didattica, entro il tetto massimo di L.900.000 annue lorde.

TITOLO VI

TRATTAMENTO ECONOMICO

Art.35

Retribuzione di posizione per l’area della vigilanza

1. Nel testo dell’art.20 del CCNL sottoscritto in data 1.4.1999 è inserito il seguente comma :

” 3. L’indennità prevista dall’art.37, comma 1, lett. b), primo periodo, continua a trovare applicazione, dalla data di conferimento dell’incarico, nei confronti del personale dell’area di vigilanza incaricato di una delle funzioni dell’area delle posizioni organizzative, di cui agli artt.8-11 del CCNL del 31.3.1999.”

Art.36

Indennità maneggio valori

1. Al personale adibito in via continuativa a servizi che comportino maneggio di valori di cassa compete una indennità giornaliera proporzionata al valore medio mensile dei valori maneggiati. Gli importi di tale indennità, stabiliti in sede di contrattazione integrativa decentrata, possono variare da un minimo di L. 1000 a un massimo di L.3000. Ai relativi oneri si fa fronte, in ogni caso, con le risorse di cui all’art. 15 del CCNL dell’1.4.1999.

2. Tale indennità compete per le sole giornate nelle quali il dipendente è effettivamente adibito ai servizi di cui al comma 1.

Art.37

Indennità di rischio

1. Gli enti individuano, in sede di contrattazione integrativa decentrata, le prestazioni di lavoro che comportano continua e diretta esposizione a rischi pregiudizievoli per la salute e per l’integrità personale, assicurando comunque le condizioni di rischio già riconosciute presso l’ente.

2. Ai dipendenti che svolgano le prestazioni di cui al comma 1, compete, per il periodo di effettiva  esposizione al rischio, un’ indennità mensile di L.40.000. Ai relativi oneri si fa fronte, in ogni caso, con le risorse di cui all’art. 15 del CCNL dell’1.4.1999.

3. Sono fatti salvi gli accordi di miglior favore sottoscritti alla data del 30.6.2000.

Art.38

Lavoro straordinario

1. Le prestazioni di lavoro straordinario sono rivolte  a fronteggiare situazioni di lavoro eccezionali e pertanto non possono essere utilizzate come fattore ordinario di programmazione del tempo di lavoro e di copertura dell’orario di lavoro. Ai relativi oneri si fa fronte in ogni caso con le risorse previste dall’art. 14 del CCNL dell’1.4.1999.

2. La prestazione di lavoro straordinario è espressamente autorizzata dal dirigente, sulla base delle esigenze organizzative e di servizio individuate dall’ente, rimanendo esclusa ogni forma generalizzata di autorizzazione.

3. Per esigenze eccezionali  – debitamente motivate in relazione all’attività di diretta assistenza agli organi istituzionali riguardanti un numero di dipendenti non superiore al 2% dell’organico –  il limite massimo individuale di cui all’art. 14, comma 4 del CCNL dell’1.4.1999 può essere elevato in sede di contrattazione decentrata integrativa, fermo restando il limite delle risorse previste dallo stesso art. 14.

4. La misura oraria dei compensi per lavoro straordinario, dalla data di entrata in vigore del presente CCNL, è determinata maggiorando la misura oraria di lavoro ordinario calcolata convenzionalmente dividendo per 156 la retribuzione di cui all’art.52, comma 2, lett. b) incrementata del rateo della 13^mensilità.

5. La maggiorazione di cui al comma precedente è pari:

– al 15% per il lavoro straordinario diurno;

– al 30% per il lavoro straordinario prestato nei giorni festivi o in orario notturno (dalle ore 22 alle ore 6 del giorno successivo);

– al 50% per il lavoro straordinario prestato in orario notturno-festivo.

6. La prestazione individuale di lavoro a qualunque titolo resa non può, in ogni caso, superare, di norma, un arco massimo giornaliero di 10 ore.

7. Su richiesta del dipendente, le prestazioni di lavoro straordinario debitamente autorizzate possono dare luogo a riposo compensativo, da fruire compatibilmente con le esigenze organizzative e di servizio.

8. La disciplina del presente articolo e del successivo art.39 integrano quella dell’art.14 del CCNL dell’1.4.1999.

Art.38 bis

Banca delle ore

1. Al fine di mettere i lavoratori in grado di fruire, in modo retribuito o come permessi compensativi, delle prestazioni di lavoro straordinario, è istituita la Banca delle ore, con un conto individuale per ciascun lavoratore.

2. Nel conto ore confluiscono, su richiesta del dipendente, le ore di prestazione di lavoro straordinario, debitamente autorizzate nel limite complessivo annuo stabilito a livello di contrattazione decentrata integrativa, da utilizzarsi entro l’anno successivo a quello di maturazione.

3. Le ore accantonate possono essere richieste da ciascun lavoratore o in retribuzione o come permessi compensativi per le proprie attività formative o anche per necessità personali e familiari.

4. L’utilizzo come riposi compensativi, con riferimento ai tempi, alla durata ed al numero dei lavoratori, contemporaneamente ammessi alla fruizione, deve essere reso possibile tenendo conto delle esigenze tecniche, organizzative e di servizio.

5. A livello di ente sono realizzati incontri fra le parti finalizzati al monitoraggio dell’andamento della Banca delle ore ed all’assunzione di iniziative tese ad attuarne l’utilizzazione. Nel rispetto dello spirito della norma, possono essere eventualmente individuate finalità e modalità aggiuntive, anche collettive, per l’utilizzo dei riposi accantonati. Le ore accantonate sono evidenziate mensilmente nella busta paga.

6. Le maggiorazioni per le prestazioni di lavoro straordinario vengono pagate il mese successivo alla prestazione lavorativa.

Art.39

Lavoro straordinario elettorale, per eventi straordinari e calamità nazionali

1. Il lavoro straordinario prestato in occasione di consultazioni elettorali o referendarie e quello prestato per fronteggiare eventi straordinari imprevedibili e per  calamità naturali non concorre ai limiti di cui all’art. 14 del CCNL dell’1.4.1999.

2. Gli enti provvedono a calcolare ed acquisire le risorse finanziarie collegate allo straordinario per consultazioni elettorali o referendarie anche per il personale incaricato delle funzioni dell’area delle posizioni organizzative di cui all’art. 8 e ss. del CCNL del 31.3.1999. Tali risorse vengono comunque erogate a detto personale in coerenza con la disciplina della retribuzione di risultato di cui all’art. 10 dello stesso CCNL e, comunque, in aggiunta al relativo compenso, prescindendo dalla valutazione. Analogamente si procede nei casi di cui all’art. 14, comma 5 del CCNL dell’1.4.1999.

Art.40

Bilinguismo

1. Al personale in servizio negli enti aventi sede nella regione autonoma a statuto speciale Valle d’Aosta o negli enti in cui vige istituzionalmente, con carattere di obbligatorietà, il sistema del bilinguismo aventi sede in altre regioni a statuto speciale è attribuita una indennità di bilinguismo, collegata alla professionalità, nella stessa misura e con le stesse modalità previste per il personale in servizio negli enti locali della regione a statuto speciale Trentino Alto Adige.

La presente disciplina produce effetti qualora l’istituto non risulti disciplinato da disposizioni speciali.

Art.41

Trattamento di trasferta

1. Il presente articolo si applica ai dipendenti comandati a prestare la propria attività lavorativa in località diversa dalla dimora abituale e distante più di 10 KM dalla ordinaria sede di servizio.  Nel caso in cui il dipendente venga inviato in trasferta in luogo compreso tra la località sede di servizio e quella di dimora abituale, la distanza si computa dalla località  più vicina a quella della trasferta.  Ove la località della trasferta si trovi oltre la località di dimora abituale le distanze si computano da quest’ultima località.

2. Al personale di cui al comma 1, oltre alla normale retribuzione, compete:

a) una indennità di trasferta, avente natura non retributiva, pari a:

* L.40.000  per ogni periodo di 24 ore di trasferta;

* L.1650 per ogni ora di trasferta, in caso di trasferte di durata inferiore alle 24 ore o per le ore eccedenti le 24 ore, in caso di trasferte di durata superiore alle 24 ore;

b) il rimborso delle spese effettivamente sostenute per i viaggi in ferrovia, aereo, nave ed altri mezzi di trasporto extraurbani, nel limite del costo del biglietto e per la classe stabilita per tutte le categorie di personale come segue:
* 1 classe – cuccetta 1 classe per i viaggi in ferrovia

* classe economica per i viaggi in aereo;

c) il rimborso delle spese per i taxi e per i mezzi di trasporto urbani nei casi e alle condizioni individuati dagli enti secondo la disciplina del comma 12;

d) il compenso per lavoro straordinario, nel caso che l’attività lavorativa nella sede della trasferta si protragga per un tempo superiore al normale orario di lavoro previsto per la giornata. Si considera, a tal fine, solo il tempo effettivamente lavorato, tranne che nel caso degli autisti per i quali si considera attività lavorativa anche il tempo occorrente per il viaggio e quello impiegato per la sorveglianza e custodia del mezzo.

3. Ai soli fini del comma 2, lettera a), nel computo delle ore di trasferta si considera anche il tempo occorrente per il viaggio.

4. Il dipendente può essere eccezionalmente autorizzato ad utilizzare il proprio mezzo di trasporto, sempreché la trasferta riguardi località distante più di 10 Km dalla ordinaria sede di servizio e diversa  dalla dimora abituale, qualora l’uso di tale mezzo risulti più conveniente dei normali servizi di linea. In tal caso si applica l’art.43, commi 2 e ss., e al dipendente spetta l’indennità di cui al comma 2, lettera a), eventualmente ridotta ai sensi del comma 8, il rimborso delle spese autostradali, di parcheggio e dell’eventuale custodia del mezzo ed una indennità chilometrica pari ad un quinto del costo di un litro di benzina verde per ogni Km.

5. Per le trasferte di durata superiore a 12 ore, al dipendente spetta il rimborso della spesa sostenuta per il pernottamento in un albergo a quattro stelle e della spesa per uno o due pasti giornalieri, nel limite di L.43.100 per il primo pasto e di complessive L.85.700 per i due pasti. Per le trasferte di durata non inferiore a 8 ore, compete solo il rimborso per il primo pasto.

Nei casi di missione continuativa nella medesima località di durata non inferiore a trenta giorni è consentito il rimborso della spesa per il pernottamento in residenza turistico alberghiera di categoria corrispondente a quella ammessa per l’albergo, sempreché risulti economicamente più conveniente rispetto al costo medio della categoria consentita nella medesima località.

6. Al personale delle diverse categorie inviato in trasferta al seguito e per collaborare con componenti di delegazione ufficiale dell’ente spettano i rimborsi e le agevolazioni previste per i componenti della predetta delegazione.

7. Gli enti individuano, previo confronto con le organizzazioni Sindacali, particolari situazioni che, in considerazione della impossibilità di fruire, durante le trasferte, del pasto o del pernottamento per mancanza di strutture e servizi di ristorazione,  consentono la corresponsione in luogo dei rimborsi di cui al comma 5 la somma forfettaria di  L. 40.000 lorde. Con la stessa procedura gli enti stabiliscono le condizioni per il rimborso delle spese relative al trasporto del materiale e degli strumenti occorrenti al personale per l’espletamento dell’incarico affidato.

8. Nel caso in cui il dipendente fruisca del rimborso di cui al comma 5, l’indennità di cui al comma 2 viene ridotta del 70%. Non è ammessa in nessun caso l’opzione per l’indennità di trasferta in misura intera.

9. L’indennità di trasferta non viene corrisposta in caso di trasferte di durata inferiore alle 4 ore o svolte come normale servizio d’istituto del personale di vigilanza o di custodia, nell’ambito della circoscrizione di competenza dell’ente.

10. L’indennità di trasferta cessa di essere corrisposta dopo i primi 240 giorni di trasferta continuativa nella medesima località.

11. Il dipendente inviato in trasferta ai sensi del presente articolo ha diritto ad una anticipazione non inferiore al 75% del trattamento complessivo presumibilmente spettante per la trasferta.

12. Gli enti stabiliscono, previa informazione alle organizzazioni sindacali, con gli atti previsti dai rispettivi ordinamenti ed in funzione delle proprie esigenze organizzative, la disciplina della trasferta per gli aspetti di dettaglio o non regolati dal presente articolo, individuando, in particolare, la documentazione necessaria per i rimborsi e le relative modalità procedurali.

13. Le trasferte all’estero sono disciplinate dalle disposizioni del presente articolo con le seguenti modifiche:

– l’indennità di trasferta di cui al comma 1, lettera a) è aumentata del 50% e non trova applicazione la disciplina del comma 8;

– i rimborsi dei pasti di cui al comma 5 sono incrementati del 30%.

14. Agli oneri derivanti dal presente articolo si fa fronte nei limiti delle risorse già previste nei bilanci dei singoli enti per tale specifica finalità.

Art.42

Trattamento di trasferimento

1. Al dipendente trasferito ad altra sede per motivi organizzativi o di servizio, quando il trasferimento comporti il cambio della sua residenza, deve essere corrisposto il rimborso delle spese documentate di viaggio, vitto ed eventuale alloggio per sé e per le persone di famiglia che lo seguono nel trasferimento  (coniuge, figli, parenti entro il 3° grado ed affini entro il 2° grado) nonché il rimborso delle spese documentate di trasporto per gli effetti familiari (mobilio bagaglio ecc.), il tutto nei limiti definiti ai sensi dell’art. 41, comma 12 e previ opportuni accordi da prendersi con l’ente, secondo le condizioni d’uso.

2. Al dipendente competono anche:

– l’indennità di trasferta di cui all’art. 41, comma 2, limitatamente alla durata del viaggio;

– una indennità di trasferimento, il cui importo, maggiore nel caso che il dipendente si trasferisca con la famiglia e variabile da un minimo di tre mensilità ad un massimo di sei mensilità, viene determinato da ciascun ente in sede di contrattazione decentrata integrativa nell’ambito delle risorse di cui al comma 4.

3. Il dipendente ha altresì diritto al rimborso dell’indennizzo per anticipata risoluzione del contratto di locazione regolarmente registrato quando sia tenuto al relativo pagamento per effetto del trasferimento.

4. Agli oneri derivanti dall’applicazione del presente articolo si fa fronte nei limiti delle risorse già previste nei bilanci dei singoli enti per tale specifica finalità.

Art.43

Copertura assicurativa

1. Gli enti assumono le iniziative necessarie per la copertura assicurativa della responsabilità civile dei dipendenti ai quali è attribuito uno degli incarichi di cui agli art. 8 e ss. del CCNL del 31.3.1999, ivi compreso il patrocinio legale, salvo le ipotesi di dolo e colpa grave. Le risorse finanziarie destinate a tale finalità sono indicate nei bilanci, nel rispetto delle effettive capacità di spesa.

2. Gli enti stipulano apposita polizza assicurativa in favore dei dipendenti autorizzati a servirsi, in occasione di trasferte o per adempimenti di servizio fuori dall’ufficio, del proprio mezzo di trasporto, limitatamente al tempo strettamente necessario per l’esecuzione delle prestazioni di servizio.

3. La polizza di cui al comma 2 è rivolta  alla copertura dei rischi, non compresi nell’assicurazione obbligatoria di terzi, di danneggiamento del mezzo di trasporto di proprietà del dipendente e dei beni trasportati, nonché di lesioni o decesso del dipendente medesimo e delle persone di cui sia stato autorizzato il trasporto.

4. Le polizze di assicurazione relative ai mezzi di trasporto di proprietà dell’amministrazione sono in ogni caso integrate con la copertura, nei limiti e con le modalità di cui ai commi 2 e 3, dei rischi di lesioni o decesso del dipendente addetto alla guida e delle persone di cui sia stato autorizzato il trasporto.

5. I massimali delle polizze non possono eccedere quelli previsti, per i corrispondenti danni, dalla legge per l’assicurazione obbligatoria.

6. Gli importi  liquidati dalle società assicuratrici in base alle polizze stipulate da terzi responsabili e di quelle previste dal presente articolo sono detratti  dalle somme eventualmente spettanti a titolo di equo indennizzo per lo stesso evento.

7. Le condizioni delle polizze assicurative sono comunicate ai soggetti sindacali di cui all’art.10,comma 2, del CCNL dell’1.4.1999.

Art.44

Trattenute per scioperi brevi

1. Per gli scioperi di durata inferiore alla giornata lavorativa, le relative trattenute sulle retribuzioni sono limitate all’effettiva durata dell’astensione dal lavoro e, comunque, in misura non inferiore a un’ora. In tal caso, la trattenuta per ogni ora è pari alla misura oraria della retribuzione di cui all’art.52, comma 2, lett. c).

Art.45

Mensa

1. Gli enti, in relazione al proprio assetto organizzativo e compatibilmente con le risorse disponibili, possono istituire mense di servizio o, in alternativa, secondo le modalità indicate nell’art. 46, attribuire al personale buoni pasto sostitutivi, previo confronto con le organizzazioni sindacali.

2. Possono usufruire della mensa i dipendenti che prestino attività lavorativa al mattino con prosecuzione nelle ore pomeridiane, con una pausa non superiore a due ore e non inferiore a trenta minuti. La medesima disciplina si applica anche nei casi di attività per prestazioni di lavoro straordinario o per recupero. Il pasto va consumato al di fuori dell’orario di servizio.

3. Sono fatti salvi gli eventuali accordi di maggior favore in atto.

4. Il dipendente è tenuto a pagare, per ogni pasto, un corrispettivo pari ad un terzo del costo unitario risultante dalla convenzione, se la mensa è gestita da terzi, o un corrispettivo parti ad un terzo dei costi dei generi alimentari e del personale, se la mensa è gestita direttamente dall’ente.

5. Il servizio di mensa è gratuito per il personale che contestualmente è tenuto ad assicurare la vigilanza e l’assistenza ai minori ed alle persone non autosufficienti e per il personale degli enti che gestiscono le mense nonché quelli per il diritto allo studio universitario che sia tenuto a consumare il pasto in orari particolari e disagiati in relazione alla erogazione dei servizi di mensa. Il tempo relativo è valido a tutti gli effetti anche per il completamento dell’orario di servizio.

6. In ogni caso è esclusa ogni forma di monetizzazione indennizzante.

Art.46

Buono pasto

1. Il costo del buono pasto sostitutivo del servizio di mensa è pari alla somma che l’ente sarebbe tenuto a pagare per ogni pasto, ai sensi del comma 4 dell’articolo precedente.

2. I lavoratori hanno titolo, nel rispetto della specifica disciplina sull’orario  adottata dall’ente, ad un buono pasto per ogni giornata effettivamente lavorata nella quale, siano soddisfatte le condizioni di cui all’art. 45, comma 2.

3. Il personale in posizione di comando che si trovi nelle condizioni previste dal presente articolo riceve i buoni pasto dall’ente ove presta servizio.

Art.47

Trattamento economico dei dipendenti  in distacco sindacale

1. Ai dipendenti che usufruiscono dei distacchi di cui all’art. 5 del CCNL quadro del 7.8.1998, compete la retribuzione di cui all’art.52, comma 2, lett. c).

2. Il periodo di distacco o aspettativa sindacale è considerato utile come anzianità di servizio ai fini della progressione verticale di carriera e di quella orizzontale economica.

3. Al personale incaricato delle funzioni dell’area delle posizioni organizzative, di cui agli artt.8-11 del CCNL del 31.3.1999, oltre al trattamento indicato nel comma 1, compete la retribuzione di posizione corrispondente all’incarico attribuito al momento del distacco sindacale o altra di pari valenza in caso di successiva rideterminazione dei relativi valori

TITOLO VII

Norme Finali

Art.48
Requisiti per l’integrazione delle risorse destinate alla contrattazione decentrata integrativa

1. Il termine di cui all’art.16, comma 1, del CCNL dell’1.4.1999, è spostato al 15.11.2000.

2. Limitatamente all’anno 2000, gli enti che, in sede di contrattazione decentrata integrativa,  abbiano già espressamente destinato risorse per le finalità di cui all’art.16, comma 1, del CCNL dell’1.4.1999, possono utilizzare le risorse medesime qualora non si raggiunga l’accordo di cui al comma 1 entro il predetto termine.

3. Limitatamente all’anno 2000, in difetto di stipulazione dell’accordo di cui al comma 1 nel termine ivi previsto, gli enti, diversi da quelli di cui al precedente comma e che si trovino nelle condizioni previste nell’art.16, comma 1, del CCNL dell’1.4.1999, possono destinare alle finalità, di cui al medesimo art.16, comma 1, del CCNL dell’1.4.1999, risorse aggiuntive nel limite massimo del 2% del monte salari riferito al 1999, esclusa la quota relativa ai dirigenti ed al netto dei contributi a carico degli enti, alle stesse condizioni di cui all’art.15, comma 4, del CCNL dell’1.4.1999.

Art.49
Trattamento di fine rapporto di lavoro

La retribuzione annua da prendersi a base per la liquidazione del trattamento di fine rapporto di lavoro ricomprende le seguenti voci:

a)   trattamento economico iniziale;

b)   incrementi economici correlati alla progressione economica nella categoria;

c) indennità integrativa speciale;
d) tredicesima mensilità;
e) retribuzione individuale di anzianità;
f) retribuzione di posizione;
g) indennità di direzione di L.1.500.000 di cui all’art.17, comma 3, del CCNL dell’1.4.1999;
h) indennità di vigilanza di L.1.570.000 e di L.930.000 cui all’art.37,comma 1, lett. b) del CCNL del 6.7.1995;
i) indennità del personale educativo degli asili nido di L.900.000 annue lorde di cui all’art.37, comma 1, lett. c, del CCNL del 6.7.1995; indennità del personale insegnante delle scuole materne, delle scuole elementari e delle scuole secondarie di L.900.000 annue lorde, di cui all’art.37, co.1, lett. d) del CCNL del 6.7.1995; indennità del personale docente di cui all’art.32-bis del presente CCNL;
j) indennità di L.900.000 annue lorde per il personale docente dei centri di formazione professionale;
k) indennità specifica per il personale appartenente alla ex terza e quarta qualifica professionale di L.125.000;
l) assegni ad personam non riassorbibili.

Art.50
Modalità di applicazione di benefici economici previsti da discipline speciali

1. In favore del personale riconosciuto, con provvedimento formale, invalido o mutilato per causa di servizio è riconosciuto un incremento percentuale, nella misura rispettivamente del 2,50% e dell’1,25% del trattamento tabellare in godimento alla data di presentazione della relativa domanda a seconda che l’invalidità sia stata ascritta alle prime sei categorie di menomazione ovvero alle ultime due. Il predetto incremento, non riassorbibile, viene corrisposto a titolo di salario individuale di anzianità.

Art.51
Disapplicazioni

1. Dalla data di stipulazione del presente CCNL, ai sensi dell’art. 72, comma 1, del D.Lgs.n.29/1993, cessano di produrre effetti le norme generali e speciali del pubblico impiego ancora vigenti, limitatamente agli istituti del rapporto di lavoro.

2. Dalla data di  cui al comma 1 sono inapplicabili le norme dei contratti collettivi nazionali di lavoro e quelle emanate dai singoli enti del comparto, in esercizio di potestà legislativa o regolamentare, incompatibili con il presente CCNL.

Art.52
Nozione di retribuzione

1. La retribuzione è corrisposta mensilmente, salvo quelle voci del trattamento economico accessorio per le quali la contrattazione decentrata integrativa prevede diverse modalità temporali di erogazione.

2. La retribuzione corrisposta al personale dipendente dagli enti del comparto Regioni-Autonomie locali è definita come segue:

a) Retribuzione mensile che è costituito dal valore economico mensile previsto per la posizione iniziale di ogni categoria (A1,B1,C1,D1) nonché per le altre posizioni d’accesso previste nelle categorie B e D (B3 e D3);
b) Retribuzione base mensile che è costituita dal valore della retribuzione mensile di cui alla lettera a), dagli incrementi economici derivanti dalla progressione economica nella categoria nonché dall’indennità integrativa speciale, i cui valori sono i riportati nella tabella A allegata al presente CCNL;
c) Retribuzione individuale mensile che è costituita dalla retribuzione base mensile di cui alla precedente lettera b, dalla retribuzione individuale di anzianità, dalla retribuzione di posizione nonché da altri eventuali assegni personali a carattere continuativo e non riassorbibile;
d) Retribuzione  globale di fatto mensile o annuale che è costituita dall’importo della retribuzione individuale per 12 mensilità cui si aggiunge il rateo della 13^mensilità nonché l’importo annuo della retribuzione variabile e delle indennità contrattuali percepite nel mese o nell’anno di riferimento; sono esclusi le somme corrisposte a titolo di rimborso spese o a titolo di indennizzo nonché quelle pagate per trattamento di missione fuori sede e per trasferimento.

3. La retribuzione oraria si ottiene dividendo la corrispondente retribuzione mensile per 156. Nel caso di orario di lavoro ridotto ai sensi dell’art.22 del CCNL dell’1.4.1999 si procede al conseguente riproporzionamento del valore del predetto divisore

4. La retribuzione giornaliera si ottiene dividendo la corrispondente retribuzione mensile per 26.

5. Nell’ipotesi di mancata fruizione delle quattro giornate di riposo di cui all’art.18, comma 6 del CCNL del 6.7.1995, il trattamento economico è lo stesso previsto per i giorni di ferie.

Art.53
Struttura della busta paga

1. Al lavoratore deve essere consegnata una busta paga, in cui devono essere distintamente specificati: la denominazione dell’ente, il nome e la categoria del lavoratore, il periodo di paga cui la retribuzione si riferisce, l’importo dei singoli elementi che concorrono a formularla (stipendio, retribuzione individuale di anzianità, indennità integrativa speciale, straordinario, turnazione ecc.) e l’elencazione delle trattenute di legge e di contratto, ivi comprese le quote sindacali, sia nell’aliquota applicata che nella cifra corrispondente.

2. In conformità alle normative vigenti, resta la possibilità del lavoratore di avanzare reclami per eventuali irregolarità riscontrate.

3. L’ente adotta tutte le misure idonee ad assicurare il rispetto del diritto del lavoratore alla riservatezza su tutti i propri dati personali, ai sensi della legge n.675/96.

Art.54
Messi notificatori

1. Gli enti possono verificare, in sede di concertazione, se esistano le condizioni finanziarie per destinare una quota parte del rimborso spese per ogni notificazione di atti dell’amministrazione finanziaria al fondo di cui all’art.15 del CCNL dell’1.4.1999 per essere finalizzata all’erogazione di incentivi di produttività a favore dei messi notificatori stessi.

Art.55
Attività sociali, culturali e ricreative

1. Le attività sociali, culturali e ricreative, promosse negli enti, sono gestite da organismi formati da rappresentanti dei dipendenti, in conformità a quanto previsto dall’art.11 della legge n.300/1970.

Art.56
Diritto di assemblea

1. I dipendenti degli enti hanno diritto di partecipare, durante l’orario di lavoro, ad assemblee sindacali in idonei locali concordati con l’amministrazione, per 12 ore annue pro capite senza decurtazione della retribuzione.

2. Per tutte le altre modalità di esercizio del diritto di assemblea trova applicazione la specifica disciplina contenuta nell’art.2 dell’Accordo collettivo quadro sulle modalità di utilizzo dei distacchi, aspettative e permessi nonché delle altre prerogative sindacali del 7.8.1998.

Art.57
Decorrenza degli effetti del contratto

1. Gli effetti del presente contratto decorrono dal giorno successivo a quello della definitiva sottoscrizione, salvo diversa prescrizione contenuta nello stesso.

ALLEGATO A
Tabelle indennità integrativa speciale per le diverse categorie

(valori in lire annui lordi per 12 mensilità, cui va aggiunta la 13^mensilità)

Tabellari                                            Valori I.I.S.
Posizione di accesso

A1     12.489.000                                       12.090.354

B1    13.741.000                                12.166.621

B3    15.285.000                                12.273.723

C1    16.695.000                                12.355.767

D1 19.259.000                                12.500.626

D3 24.455.000                                12.846.799

DICHIARAZIONE CONGIUNTA  n.1

Le parti convengono che per il riconoscimento delle malattie derivanti da causa di servizio e per l’equo indennizzo continuano ad applicarsi le norme vigenti, trattandosi di istituti attinenti ad aspetti previdenziali ed assicurativi e quindi estranei alla disciplina del rapporto di lavoro.

DICHIARAZIONE CONGIUNTA n.2

Con riferimento al comma 5 dell’art.29, le parti si danno reciprocamente atto che la verifica selettiva ivi prevista è finalizzata esclusivamente all’accertamento della sussistenza dei requisiti indicati nel comma 1 dell’art.29, lett. a) e b).

DICHIARAZIONE CONGIUNTA n.3

Le parti si impegnano a verificare entro il 31.12.2000 le problematiche relative alle Camere di Commercio con particolare riferimento alle disposizioni contenute nel D.I. 12/7/1982 e successive modificazioni e nel D.I. 20/4/1995  n. 245.

Le parti, inoltre, convengono che, per i dipendenti delle CCIA in servizio alla data di entrata in vigore del DPCM 20.12.1999, pubblicato sulla G.U. n.111 del 15.5.2000, restano confermate le disposizioni di cui al D.I. 12.7.1982 e successive modificazioni e del D.I. 20.4.1995 n.245, relativamente agli istituti dell’indennità di anzianità e dei fondi di previdenza, trattandosi di istituti attinenti ad aspetti previdenziali e, quindi, estranei alla disciplina del rapporto di lavoro.

DICHIARAZIONE CONGIUNTA n.4

Le parti si danno atto che per l’anno 2000 non ci sono limiti contrattuali nell’uso delle risorse per la progressione economica all’interno della categoria, ferma restando la impraticabilità di ulteriori progressioni nella categoria interessata, in caso di superamento dei vincoli di cui all’art.16, comma 2, del CCNL dell’1.4.1999 alla data del 1.1.2001, sino al riallineamento al valore medio di categoria.

DICHIARAZIONE CONGIUNTA n.5

Con riferimento all’art.4 del CCNL dell’1.4.1999, le parti ritengono che gli enti, nell’ambito della propria autonomia regolamentare possono disciplinare anche le modalità di accesso a posti di categoria B3 per il personale appartenente alla categoria A e a posti di categoria D3 per il personale della categoria C,  purché in possesso dei requisiti previsti.

DICHIARAZIONE CONGIUNTA n.6

Le parti s’impegnano, relativamente alle turnazioni, a verificare la praticabilità del passaggio ad una forma di retribuzione stabilita in misura fissa giornaliera.

DICHIARAZIONE CONGIUNTA n.7

In relazione a quanto previsto dall’art.48 del presente CCNL, le parti, sulla base della specifica proposta, anche articolata per regioni, province, comuni e camere di commercio, che l’ARAN consegna alle organizzazioni sindacali entro il 20.9.2000, s’impegnano ad avviare e proseguire il relativo negoziato con continuità per arrivare alla stipulazione dell’accordo entro il 15.11.2000.

DICHIARAZIONE CONGIUNTA n.8

Le parti, tenuto conto dei refusi presenti nell’art.6, comma 6, del presente contratto, che potrebbero tradursi in un ostacolo alla corretta applicazione della disciplina ivi prevista, concordano che essa debba interpretarsi nel senso che in tutti i casi in cui le ore di lavoro aggiuntivo o straordinario svolto siano eccedenti rispetto a quelle previste nel comma 2 dello stesso articolo 6, la percentuale di maggiorazione deve essere riferita sia al comma 5, già citato, che al comma 4.

DICHIARAZIONE CONGIUNTA n.9

Con riferimento all’art.7, comma 12, del presente contratto le parti concordano nel ritenere che il riferimento, ivi contenuto, all’art.2, comma 2, della legge n.230/1962 deve considerarsi un refuso e, pertanto, che il riferimento corretto è all’art.2 della citata legge n.230/1962, senza alcuna specificazione.

DICHIARAZIONE CONGIUNTA n.10

Le parti concordano nel ritenere che la dizione “trattamento fondamentale” contenuta nell’art.9, comma 5, del presente contratto deve essere intesa come riferita alla nozione di retribuzione di cui all’art.52, comma 2, lett. c).

DICHIARAZIONE CONGIUNTA n.11

Al fine di consentire una corretta applicazione della disposizione dell’art.16, comma 6, del presente contratto, le parti concordano nel ritenere che la frase “non risolvibile durante la fase di preavviso di cui al comma 2” rappresenta un refuso e che pertanto non esplica alcuna efficacia nella disciplina dell’istituto.

DICHIARAZIONE CONGIUNTA n.12

Al fine di evitare ogni possibile dubbio circa la effettiva portata applicativa dell’art.24, comma 1, del presente contratto, le parti concordano nel ritenere che la disposizione ivi prevista deve essere interpretata correttamente nel senso che al dipendente che per particolari esigenze di servizio non usufruisce del giorno di riposo settimanale deve essere corrisposto un compenso aggiuntivo pari al 50% della retribuzione oraria di cui all’art.52, comma 2, lett. b).

DICHIARAZIONE CONGIUNTA n.13

In riferimento a quanto previsto dall’art.17, comma 4, del presente contratto, le parti concordano nel ritenere che il trattamento economico ivi previsto trova applicazione non solo nell’ipotesi di astensione obbligatoria prevista dall’art.4 della legge n.1204/1971 ma anche in quella dell’art.5 della stessa legge.

DICHIARAZIONE CONGIUNTA n.14

Le parti concordano nel ritenere che in tutti i testi contrattuali l’espressione “Monte salari annuo……” deve essere intesa al netto degli oneri riflessi a carico degli Enti. Pertanto, i conseguenti incrementi vanno erogati con l’integrazione degli oneri riflessi a carico dell’ente.

DICHIARAZIONE CONGIUNTA n.15

Le parti concordano nel ritenere che la dizione “ competenze fisse e periodiche” utilizzata nell’art.6, comma 9, deve essere riferita alla nozione di retribuzione contenuta nell’art.52, comma 2, lett. c).

DICHIARAZIONE CONGIUNTA n.16

Le parti concordano nel ritenere che la dizione “trattamento tabellare iniziale” utilizzata nell’art.50 deve essere riferita alla nozione di retribuzione di cui all’art.52, comma 2, lett. a).

DICHIARAZIONE CONGIUNTA n.17

Le parti concordano nel ritenere che, ai fini dell’applicazione dell’art.42, comma 2, la nozione di mensilità ivi richiamata deve essere riferita alla nozione di retribuzione di cui all’art.52, comma 2, lett. c).

DICHIARAZIONE CONGIUNTA n.18

Le parti concordano di esaminare eventuali problematiche connesse alla previgente e speciale disciplina del personale delle case da gioco e del Comune di Campione d’Italia in sede di trattativa per il rinnovo del secondo biennio economico di parte economica 2000-2001. In tale sede sarà affrontata anche la tematica relativa al libretto sanitario.

DICHIARAZIONE CONGIUNTA n.19

In relazione alle previsioni dell’art.35, del presente contratto, le parti, al fine di evitare ogni possibile dubbio interpretativo, confermano che l’indennità prevista dall’art.37, comma 1, lett. b), del CCNL del 6.7.1995, continua a trovare  applicazione, con le modalità ivi previste, nei confronti del personale dell’area di vigilanza anche se non incaricato di una posizione organizzativa ai sensi dell’art.8 e ss. del CCNL del 31.3.1999.

DICHIARAZIONE CONGIUNTA n.20

In relazione a quanto disposto dalla lett.a), comma 1, dell’art.29 del presente CCNL, le parti precisano, con riferimento alla definizione di “responsabile del servizio complessivo dell’intera area di vigilanza”, che la predetta disciplina contrattuale si possa applicare anche negli Enti dove attualmente non sia prevista un’autonoma area di vigilanza, in quanto questa pure avendo una propria struttura organizzativa, formata da più addetti, sia inserita all’interno di una struttura più ampia.


DPR 08/09/2000 n. 299 – Tessera elettorale

DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 8 settembre 2000, n. 299 (GU n. 249 del 24/10/2000)
Regolamento concernente l’istituzione, le modalità di rilascio, l’aggiornamento ed il rinnovo della tessera elettorale personale a carattere permanente, a norma dell’articolo 13 della legge 30 aprile 1999, n. 120.

DPR 08/09/2000 n. 299
Epigrafe
Premessa

TITOLO I
Disposizioni sull’istituzione e l’aggiornamento della tessera elettorale

1. Istituzione della tessera elettorale.

2. Caratteristiche della tessera elettorale.

3. Consegna della tessera elettorale.

4. Aggiornamento e sostituzione della tessera elettorale.

5. Protezione dei dati personali.

6. Nomina di un commissario.

7. Impossibilità di consegna della tessera.

8. Sperimentazione della tessera elettorale elettronica.

TITOLO II
Modifiche, integrazioni ed abrogazioni alla normativa sulle consultazioni elettorali e referendarie, conseguenti alla istituzione della tessera elettorale permanente.
9. Apertura degli uffici comunali per il rilascio delle tessere elettorali.

10. Voto dei degenti nei luoghi di cura.

11. Annotazione del voto assistito.

12. Annotazione dell’esercizio del voto.

13. Ammissione al voto dei detenuti.

14. Norma di chiusura.

15. Norme abrogate.

Tabella A – Parte 1

Tabella A – Parte 2

Tabella B – Parte 1

Tabella B – Parte 2

Tabella C – Parte 1

Tabella C – Parte 2

Tabella D – Parte 1

Tabella D – Parte 2

DECRETO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 8 settembre 2000, n. 299(1).

Regolamento concernente l’istituzione, le modalità di rilascio, l’aggiornamento ed il rinnovo della tessera elettorale personale a carattere permanente, a norma dell’articolo 13 della L. 30 aprile 1999, n. 120.

(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 24 ottobre 2000, n. 249.

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visto l’articolo 87, comma quinto, della Costituzione;

Visto l’articolo 13 della legge 30 aprile 1999, n. 120, recante: «Disposizioni in materia di elezione degli organi degli enti locali, nonché disposizioni sugli adempimenti in materia elettorale»;

Vista la legge 31 dicembre 1996, n. 675, recante: «Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali»;

Ritenuto di dover provvedere, conformemente ai princìpi e criteri direttivi contenuti nel citato articolo 13 della legge n. 120 del 1999, ad istituire la tessera elettorale personale, a carattere permanente, che sostituisce integralmente il certificato elettorale;

Considerato di dover disciplinare le modalità di istituzione, rilascio, aggiornamento e rinnovo della suddetta tessera elettorale;

Ritenuto di apportare le conseguenti modifiche, integrazioni ed abrogazioni alla normativa concernente le consultazioni elettorali e referendarie;

Visto l’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400;

Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla sezione consultiva per gli atti normativi nell’adunanza dell’8 novembre 1999;

Sentito il Garante per la protezione dei dati personali;

Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi nell’adunanza del 10 gennaio 2000;

Visto il parere della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, espresso nella seduta del 22 giugno 2000;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 4 agosto 2000;

Sulla proposta del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica;

Emana il seguente regolamento:

TITOLO I

Disposizioni sull’istituzione e l’aggiornamento della tessera elettorale

1. Istituzione della tessera elettorale.

1. In conformità ai princìpi e criteri direttivi contenuti nell’articolo 13, comma 1, della legge 30 aprile 1999, n. 120, è istituita la tessera elettorale personale, a carattere permanente, che sostituisce integralmente e svolge le medesime funzioni del certificato elettorale.

2. La esibizione della tessera presso la sezione elettorale di votazione è necessaria, unitamente ad un documento d’identificazione, per l’ammissione dell’elettore all’esercizio del diritto di voto in occasione di ogni consultazione elettorale o referendaria.

2. Caratteristiche della tessera elettorale.

1. La tessera elettorale ha le caratteristiche essenziali dei modelli descritti nelle tabelle A, B, C e D allegate al presente decreto e può essere adattata alle esigenze dei vari impianti meccanografici o elettronici in uso presso i comuni.

2. In ogni caso, la tessera, che riporta l’indicazione del comune di rilascio, è contrassegnata da una serie e da un numero progressivi e contiene i seguenti dati relativi al titolare:

a) nome e cognome; per le donne coniugate il cognome può essere seguito da quello del marito;

b) luogo e data di nascita;

c) indirizzo;

d) numero, sede ed indirizzo della sezione elettorale di assegnazione;

e) il collegio e la circoscrizione o regione nei quali può esprimere il diritto di voto in ciascun tipo di elezione.

3. Sulla tessera sono previsti appositi spazi, in numero non inferiore a diciotto, per la certificazione dell’avvenuta partecipazione alla votazione, che si effettua mediante apposizione, da parte di uno scrutatore, della data della elezione e del bollo della sezione.

4. La tessera riporta, in avvertenza, il testo del primo comma dell’articolo 58 della Costituzione, nonché un estratto delle disposizioni del presente decreto. Le tessere rilasciate ai cittadini di altri Stati dell’Unione europea residenti in Italia riportano, in avvertenza, l’indicazione delle consultazioni in cui il titolare ha facoltà di esercitare il diritto di voto. Sulle tessere rilasciate dai comuni delle regioni Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta, è inserito un estratto delle rispettive disposizioni che ivi subordinano l’esercizio del diritto di voto per le elezioni regionali ed amministrative al maturare di un ininterrotto periodo di residenza nel relativo territorio; in tutti i casi di mancata maturazione del suddetto prescritto periodo di residenza, il sindaco del comune in cui l’elettore ha diritto di votare per le elezioni regionali o amministrative gli invia una attestazione di ammissione al voto.

5. Gli esemplari della tessera elettorale sono forniti dal Ministero dell’interno – Direzione generale dell’amministrazione civile – Direzione centrale per i servizi elettorali, tramite l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, ai dirigenti degli Uffici elettorali comunali.

6. Le eventuali modificazioni ai modelli di tessera elettorale, di cui alle tabelle A, B, C e D del presente decreto, sono apportate con decreto del Ministro dell’interno.

3. Consegna della tessera elettorale.

1. La consegna della tessera elettorale è eseguita, in plico chiuso, a cura del comune di iscrizione elettorale, all’indirizzo del titolare, ed è constatata mediante ricevuta firmata dall’intestatario o da persona con lui convivente. Qualora l’intestatario non possa o non voglia rilasciare ricevuta, l’addetto alla consegna la sostituisce con la propria dichiarazione.

2. La tessera elettorale viene consegnata ai titolari domiciliati fuori del comune per il tramite del sindaco del comune di domicilio, quando quest’ultimo sia conosciuto.

3. Qualora il titolare risulti irreperibile, la tessera elettorale è restituita al comune che l’ha emessa.

4. Gli elettori residenti all’estero ritirano la tessera presso il comune di iscrizione elettorale in occasione della prima consultazione utile, fermo restando l’invio della cartolina avviso prevista dall’articolo 6 della legge 7 febbraio 1979, n. 40.

4. Aggiornamento e sostituzione della tessera elettorale.

1. In caso di trasferimento di residenza di un elettore da un comune ad un altro, il comune di nuova iscrizione nelle liste elettorali provvede a consegnare al titolare una nuova tessera elettorale, previo ritiro di quella rilasciata dal comune di precedente residenza.

2. Le variazioni dei dati o delle indicazioni contenute nella tessera, conseguenti alle revisioni delle liste elettorali previste dal decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1967, n. 223, vengono effettuate dall’ufficio elettorale comunale, che provvede a trasmettere per posta, all’indirizzo del titolare, un tagliando di convalida adesivo riportante i relativi aggiornamenti, che il titolare stesso incolla all’interno della tessera elettorale, nell’apposito spazio. Analogamente si procede in caso di variazione dei dati relativi al collegio o circoscrizione amministrativa nei quali l’elettore può esprimere il voto.

3. La tessera elettorale è ritirata qualora il titolare perda il diritto di voto ai sensi della normativa vigente; il ritiro è effettuato, a cura del comune, previa notifica all’interessato della relativa comunicazione contenente gli specifici motivi che ostano al godimento dell’elettorato attivo.

4. La tessera ritirata è conservata nel fascicolo personale del titolare.

5. In caso di deterioramento della tessera, con conseguente inutilizzabilità, l’ufficio elettorale del comune rilascia al titolare un duplicato della stessa, previa presentazione da parte dell’interessato di apposita domanda e consegna dell’originale deteriorato.

6. In caso di smarrimento o furto, il comune rilascia il duplicato della tessera al titolare, previa sua domanda, corredata della denuncia presentata ai competenti uffici di pubblica sicurezza.

7. Su domanda dell’interessato, si procede al rinnovo della tessera elettorale personale quando essa non risulti più utilizzabile in seguito all’esaurimento degli spazi ivi contenuti per la certificazione dell’esercizio del diritto di voto.

5. Protezione dei dati personali.

1. Il trattamento dei dati personali e tutte le operazioni previste dal presente decreto, anche con riferimento alla consegna, all’aggiornamento e al ritiro della tessera elettorale, nonché della sua custodia nel fascicolo personale, sono eseguiti nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di riservatezza personale ed, in particolare, della legge 31 dicembre 1996, n. 675, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 135, e del decreto del Presidente della Repubblica 28 luglio 1999, n. 318.

2. A tali fini, gli adempimenti di cui al comma 1 sono posti, in ogni comune, sotto la diretta vigilanza del responsabile del trattamento dei dati personali, che cura, altresì, l’individuazione delle persone incaricate del trattamento.

6. Nomina di un commissario.

1. In caso di mancata, irregolare o ritardata consegna, da parte del comune, delle tessere elettorali, il prefetto, previ sommari accertamenti, nomina un commissario.

7. Impossibilità di consegna della tessera.

1. In occasione di consultazioni elettorali o referendarie, ove, per qualsiasi motivo, non sia possibile il rilascio, la sostituzione o il rinnovo immediato della tessera o del duplicato, è consegnato all’elettore un attestato del sindaco sostitutivo della tessera ai soli fini dell’esercizio del diritto di voto per quella consultazione.

8. Sperimentazione della tessera elettorale elettronica.

1. In applicazione dell’articolo 13, comma 2, secondo periodo, della legge 30 aprile 1999, n. 120, può essere adottata, in via sperimentale, la tessera elettorale su supporto informatico, utilizzando la carta di identità elettronica prevista dall’articolo 2, comma 10, della legge 15 maggio 1997, n. 127, come modificato dall’articolo 2, comma 4, della legge 16 giugno 1998, n. 191.

2. A tale fine, i comuni, contestualmente o successivamente all’introduzione della carta d’identità elettronica, potranno procedere alla relativa sperimentazione attenendosi alle prescrizioni e alle modalità di presentazione ed approvazione dei relativi progetti previste dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 22 ottobre 1999, n. 437, e dal decreto del Ministro dell’interno di cui all’articolo 2, comma 10, della legge 15 maggio 1997, n. 127, come modificato dall’articolo 2, comma 4, della legge 16 giugno 1998, n. 191.

3. Il Ministero dell’interno, in sede di esame dei progetti di sperimentazione, ne valuta la compatibilità con quanto previsto dalla normativa elettorale vigente.

4. Conclusa la fase di sperimentazione, con decreto del Ministro dell’interno sono fissate le modalità per l’adozione a regime della tessera elettorale su supporto informatico, utilizzando la carta di identità elettronica.

TITOLO II

Modifiche, integrazioni ed abrogazioni alla normativa sulle consultazioni elettorali e referendarie, conseguenti alla istituzione della tessera elettorale permanente.

9. Apertura degli uffici comunali per il rilascio delle tessere elettorali.

[1. In occasione di tutte le consultazioni elettorali o referendarie, allo scopo di rilasciare, previa annotazione in apposito registro, le tessere elettorali non consegnate o i duplicati delle tessere in caso di deterioramento, smarrimento o furto dell’originale, l’Ufficio elettorale comunale resta aperto nei cinque giorni antecedenti la elezione dalle ore 9 alle ore 19 e nel giorno della votazione per tutta la durata delle operazioni di voto] (2).

(2) Articolo abrogato dalla lett. g) del comma 400 dell’art. 1, L. 27 dicembre 2013, n. 147, a decorrere dal 1° gennaio 2014.

10. Voto dei degenti nei luoghi di cura.

1. In occasione di tutte le consultazioni elettorali o referendarie, gli elettori ricoverati nei luoghi di cura possono votare negli stessi luoghi esclusivamente previa esibizione della tessera elettorale e dell’attestazione rilasciata dal sindaco concernente l’avvenuta inclusione negli elenchi dei degenti in ospedali e case di cura ammessi a votare nel luogo di ricovero.

2. L’attestazione di cui al comma 1, a cura del presidente del seggio, è ritirata ed allegata al registro contenente i numeri delle tessere elettorali dei votanti.

11. Annotazione del voto assistito.

1. L’annotazione dell’avvenuto assolvimento delle funzioni di accompagnatore, prevista dall’articolo 55, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e dall’articolo 41, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, viene apposta dal presidente di seggio sulla tessera elettorale dell’accompagnatore medesimo, all’interno dello spazio destinato alla certificazione dell’esercizio del voto.

12. Annotazione dell’esercizio del voto.

1. In occasione delle operazioni di votazione per tutte le consultazioni elettorali o referendarie, successivamente al riconoscimento dell’identità personale dell’elettore, e all’esibizione della tessera elettorale, uno scrutatore, prima che il presidente consegni all’elettore la scheda o le schede di votazione ai sensi dell’articolo 58, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, o dell’articolo 49, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, appone sull’apposito spazio della tessera elettorale il timbro della sezione e la data, e provvede, altresì, ad annotare il numero della tessera stessa nell’apposito registro.

13. Ammissione al voto dei detenuti.

1. … (3).

(3) Abroga e sostituisce l’ultimo comma dell’art. 8, L. 23 aprile 1976, n. 136.

14. Norma di chiusura.

1. Salvo che sia diversamente stabilito dal presente regolamento, quando leggi o decreti aventi ad oggetto materia elettorale fanno riferimento al certificato elettorale consegnato ad ogni elettore in occasione di ciascuna consultazione, ovvero ai tagliandi dei medesimi certificati elettorali, il riferimento si intende, in quanto compatibile, rispettivamente alla tessera elettorale personale, ovvero al registro contenente i numeri delle tessere elettorali dei votanti.

15. Norme abrogate.

1. Sono abrogati, ai sensi dell’articolo 13 della legge n. 120 del 1999, gli articoli 27, 28, 54 e 58, primo comma, limitatamente alle parole da: «stacca il tagliando» a: «in apposito plico,», del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, gli articoli 19, 45 e 49, primo comma, limitatamente alle parole da: «stacca il tagliando» a: «in apposito plico,», del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, l’articolo 18 della legge 25 maggio 1970, n. 352, l’articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto-legge 21 maggio 1994, n. 300, convertito dalla legge 16 luglio 1994, n. 453, e l’articolo 2, comma 1, lettera a) del decreto-legge 3 maggio 1976, n. 161, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 1976, n. 240.


D.Lgs. n. 267 del 18.08.2000 – Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali

DECRETO LEGISLATIVO 18 agosto 2000, n. 267 (1) (2).

Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.

(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 28 settembre 2000, n. 227, S.O.

(2) Per le nuove disposizioni in materia di città metropolitane, province e unioni e fusioni di comuni, vedi la L. 7 aprile 2014, n. 56.

Leggi: DECRETO LEGISLATIVO 18 agosto 2000, n. 267


DM 14 marzo 2000(1). – Determinazione delle somme spettanti ai comuni per la notificazione degli atti delle pubbliche amministrazioni.

(1) Pubblicato in Gazz. Uff. del 06/06/2000 n. 130

Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, di concerto con il Ministro dell’interno e il Ministro delle finanze:

Visto l’art. 10, comma 2, della legge 3 agosto 1999, n. 265, che demanda al Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica di concerto con i Ministri dell’interno e delle finanze la determinazione delle somme spettanti ai comuni per la notifica degli atti delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, a mezzo dei messi comunali;

Decreta:

Articolo unico  1. Le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, possono avvalersi, per le notificazioni dei propri atti, qualora non sia possibile eseguirle utilmente mediante il servizio postale o le altre forme previste dalla legge, dei messi comunali.

2. Al comune che vi provvede spetta, per ogni singolo atto notificato, la somma di lire diecimila, oltre alle spese di spedizione a mezzo posta raccomandata con avviso di ricevimento secondo le tariffe vigenti nelle ipotesi previste dall’art. 140 del codice di procedura civile. La suddetta somma è aggiornata ogni tre anni in relazione all’andamento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati accertato dall’ISTAT, con decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica di concerto con i Ministri dell’interno e delle finanze.

3. L’ente locale richiede, con cadenza semestrale, alle singole amministrazioni la liquidazione ed il pagamento delle somme spettanti per tutte le notificazioni effettuate per conto delle stesse amministrazioni, allegando la documentazione giustificativa. Alla liquidazione ed al pagamento delle somme dovute per tutte le notificazioni effettuate per conto della stessa amministrazione dello Stato, provvede, con cadenza semestrale, il dipendente ufficio periferico avente sede nella provincia di appartenenza dell’ente locale interessato.

4. Le relative spese sono poste a carico della pertinente unità previsionale di base all’uopo individuata da ciascuna amministrazione.


Corte cost., Ord., (ud. 13-04-2000) 03-05-2000, n. 128

La Corte Costituzionale

ha pronunciato la seguente

Ordinanza

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 17 della legge 13 aprile 1977, n. 114, secondo, terzo, quarto e quinto comma (Modificazioni alla disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche), promosso con ordinanza emessa il 27 gennaio 1999 dal Pretore di Udine, sezione distaccata di Latisana, nel procedimento civile vertente tra Meneghello Bertilla e Ministero delle finanze ed altra, iscritta al n. 212 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 1999.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udito nella Camera di Consiglio del 22 marzo 2000 il Giudice relatore Annibale Marini.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Ritenuto che il Pretore di Udine, con ordinanza emessa il 27 gennaio 1999, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 15, 24, 29 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 della legge 13 aprile 1977, n. 114, secondo, terzo, quarto e quinto comma (Modificazioni alla disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche);

che, ad avviso del rimettente, la norma denunciata sarebbe lesiva del principio di eguaglianza tra i coniugi, in quanto – prevedendo che gli accertamenti in rettifica, in caso di dichiarazione congiunta dei redditi da parte di coniugi non legalmente ed effettivamente separati, siano notificati al solo marito – attribuirebbe a questi una posizione di ingiustificato vantaggio rispetto alla moglie;

che di contro la moglie, per il solo fatto di essersi avvalsa della facoltà di presentare la dichiarazione dei redditi unitamente al coniuge, subirebbe una limitazione del proprio diritto di conoscere atti idonei ad incidere nella propria sfera giuridica;

che qualsiasi presunzione di conoscibilità degli atti notificati al marito, da parte della donna coniugata, sarebbe d’altro canto esclusa nei casi di mancanza di coabitazione, per effetto di separazione o divorzio, con sicura violazione, in danno di costei, del diritto di difesa e del diritto all’inviolabilità della corrispondenza;

che, sotto un diverso aspetto, la medesima norma, nel prevedere – secondo l’interpretazione costituente diritto vivente – la responsabilità solidale dei coniugi non solo per gli obblighi tributari risultanti dalla dichiarazione dei redditi, ma anche per quelli derivanti da futuri accertamenti e dipendenti da comportamenti omissivi non riconducibili alla sfera volitiva e cognitiva di entrambi, determinerebbe, stante la non identità dei rapporti tributari facenti capo ai coniugi stessi, un’irragionevole ipotesi di responsabilità patrimoniale per fatto altrui;

che nel giudizio “a quo” la ricorrente – assoggettata a pignoramento, senza previa notifica della cartella esattoriale né dell’avviso di mora, per debiti d’imposta accertati nei confronti del coniuge separato, relativamente ad un periodo d’imposta, anteriore alla separazione, per il quale era stata presentata dichiarazione congiunta – ha proposto opposizione di terzo all’esecuzione sul presupposto della propria estraneità al rapporto tributario ed alla stessa attività di impresa svolta dal coniuge;

che alla medesima ricorrente, proprio in considerazione del vincolo di solidarietà passiva derivante dalla norma della cui legittimità costituzionale il rimettente dubita, andrebbe tuttavia negata la qualità di terzo rispetto all’esecuzione intrapresa dal concessionario del servizio di riscossione dei tributi e conseguentemente il giudice adito dovrebbe dichiarare il proprio difetto di giurisdizione, in quanto, ai sensi dell’art. 53 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), nel testo vigente al momento dell’opposizione, avverso gli atti esecutivi dell’esattore il contribuente ed i coobbligati possono fare ricorso esclusivamente all’Intendente di Finanza;

che la prospettata questione di costituzionalità sarebbe perciò, sotto tale profilo, rilevante ai fini della decisione;

che l’Avvocatura generale dello Stato, intervenuta in giudizio per il Presidente del Consiglio dei Ministri, ha concluso per la declaratoria di infondatezza della questione.

Considerato che il rimettente dubita, in riferimento agli artt. 3, 15, 24, 29 e 53 Cost., della legittimità costituzionale della disciplina dettata, in tema di dichiarazione congiunta dei redditi da parte dei coniugi non legalmente ed effettivamente separati, dall’art. 17 della legge 13 aprile 1977, n. 114, secondo, terzo, quarto e quinto comma;

che in ordine alla medesima questione, sollevata in riferimento al parametro di cui all’art. 3 Cost., questa Corte ha già affermato che la dichiarazione congiunta dei redditi rappresenta l’esercizio di una facoltà dei contribuenti, con i conseguenti oneri e vantaggi ad essa connessi, e che pertanto la relativa disciplina, anche procedimentale, resta riservata all’apprezzamento discrezionale del legislatore, cosicché la disposizione impugnata non può ritenersi lesiva del principio di eguaglianza laddove, nell’evidente intento di semplificazione e snellezza del procedimento tributario, prevede la notificazione degli atti impositivi al solo marito (sent. n. 184 del 1989, ord. n. 4 del 1998 e ord. n. 36 del 1998);

che sulla scorta di analoghe considerazioni va esclusa la prospettata violazione del principio di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, di cui all’art. 29 Cost.;

che, per quanto riguarda il parametro di cui all’art. 24 Cost., non viene addotta dal rimettente ragione alcuna che induca a disattendere l’interpretazione adeguatrice della norma censurata, prospettata nelle pronunce già citate, a tenore della quale deve ritenersi che alla moglie, coobbligata in solido, sia comunque garantita dall’ordinamento la possibilità di tutelare i propri diritti entro i termini decorrenti dalla notifica dell’avviso di mora o del diverso atto con il quale venga per la prima volta a legale conoscenza della pretesa avanzata dall’Amministrazione finanziaria in via solidale, e ciò anche al fine di contestare eventualmente nel merito l’obbligazione tributaria del coniuge;

che anche con riferimento al parametro di cui all’art. 53 Cost. la medesima questione è stata già dichiarata manifestamente infondata, in base alla considerazione che il principio di capacità contributiva non esclude che la legge possa stabilire prestazioni tributarie solidali a carico oltreché del debitore principale anche di altri soggetti, comunque non estranei alla posizione giuridica a cui inerisce il rapporto tributario (sent. n. 184 del 1989, ord. n. 187 del 1991, ord. n. 301 del 1988, ord. n. 316 del 1987);

che del tutto inconferente è infine il riferimento al parametro di cui all’art. 15 Cost., in quanto la previsione di notifica degli atti di accertamento al solo marito non comporta evidentemente alcuna menomazione, in danno della moglie, delle garanzie di libertà e segretezza della corrispondenza di costei.

Visti l’art. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e l’art. 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte Costituzionale.

P.Q.M.
La Corte Costituzionale

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 della legge 13 aprile 1977, n. 114, secondo, terzo, quarto e quinto comma (Modificazioni alla disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 15, 24, 29 e 53 della Costituzione, dal Pretore di Udine con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 aprile 2000.


Cass. civ. Sez. I, 21-04-2000, n. 5240

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott.. Aldo VESSIA – Presidente

Dott. Ugo VITRONE – Cons. Relatore

Dott. Mario ADAMO – Consigliere

Dott. Laura MILANI – Consigliere

Dott. Angelo SPIRITO – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso per regolamento di competenza proposto da:

COOPERATIVA COSTRUTTORI s.r.l. in persona del legale rappresentante dott. Renzo Ricci Maccarini, quale capogruppo dell’Associazione Temporanea di Imprese tra la Cooperativa Costruttori s.r.l. e la C.I.L. S.p.A., elettivamente domiciliata in Roma, Viale Parioli, n. 180, presso l’avv. Mario Sanino, che unitamente agli avv.ti Marco Colombo e Alessandro Alessandri la rappresenta e difende per procura a margine del ricorso;

ricorrente

ENTE AUTONOMO DEL FLUMENDOSA, in persona, del suo legale rappresentante, elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per legge;

resistente

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 1063 pubblicata il 6 aprile 1999;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20 gennaio 2000 dal Relatore Cons. Ugo VITRONE;

lette le richieste del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Guido RAIMONDI, che ha concluso per la dichiarazione della competenza arbitrale con ogni conseguenza di legge;

Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 23 settembre 1997 l’Ente Autonomo del Flumendosa proponeva dinanzi alla Corte d’Appello di Roma impugnazione per nullità del lodo arbitrale in data 5 maggio 1996, con il quale era stato condannato al pagamento della somma di L. 2.787.814.564, oltre accessori, in favore della Cooperativa Costruttori s.r.l. quale capogruppo dell’associazione temporanea di imprese tra essa Cooperativa e la C.I.L. S.p.A. a definizione della controversia insorta in dipendenza dell’esecuzione dei lavori di approvvigionamento idropotabile degli insediamenti turistici lungo la costa sud – orientale del Golfo di Cagliari e dei centri urbani di Settimo San Pietro, Sinnai e Maracalagonis, giusta contratto di appalto stipulato a seguito di licitazione privata il 26 settembre 1996. A sostegno della proposta impugnazione deduceva, preliminarmente, la nullità del lodo per incompetenza del collegio arbitrale.

Costituitasi in giudizio la Cooperativa Costruttori contestava la fondatezza dell’impugnazione e ne chiedeva il rigetto proponendo a sua volta impugnazione incidentale per sentir dichiarare la nullità del lodo sui punti oggetto di specifica impugnazione da parte della Cooperativa Costruttori.

Con sentenza del 12 marzo – 6 aprile 1999 la corte adita dichiarava la nullità del lodo ravvisando nella specie l’incompetenza del collegio arbitrale.

Osservava la corte che a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 16 della legge 10 dicembre 1981, n. 741, che aveva modificato il testo dell’art. 47 del Capitolato Generale delle Opere Pubbliche (sent. 9 maggio 1996, n. 152) era stata ripristinata l’originaria disciplina secondo cui, pur in presenza del principio di normale devoluzione ad arbitri delle controversie nascenti dai contratti di appalto di opere pubbliche, entrambi i contraenti avevano al facoltà di derogare alla competenza arbitrale, dovendo escludersi la legittimità di un arbitrato obbligatorio. La pronuncia del giudice delle leggi, avente efficacia retroattiva ed immediatamente applicabile alle controversie in corso, doveva ritenersi operante nella specie indipendentemente dalla considerazione che la disciplina del capitolato generale delle opere pubbliche nel testo poi dichiarato incostituzionale avesse valore negoziale poiché non poteva dubitarsi che le parti avevano inteso trasfondere nel contratto tutta la normativa richiamata, la cui contrarietà a norma imperativa ne impediva qualsiasi efficacia nell’ordine giuridico. Né poi la declinatoria della competenza arbitrale notificata dall’Ente Flumendosa alla controparte poteva essere considerata tardiva in quanto il termine di decadenza di trenta giorni, non operante al momento della notificazione dell’atto di accesso agli arbitri, iniziava a decorrere dalla dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 16 della legge n. 741 del 1981, che aveva ripristinato la facoltà di deroga, quale era esclusa alla data della domanda di accesso agli arbitri.

Contro la sentenza ha proposto regolamento di competenza la Cooperativa Costruttori s.r.l. nella qualità di cui in epigrafe con cinque motivi.

L’Ente Autonomo del Flumendosa ha depositato memoria.

Il Pubblico Ministero ha depositato le sue conclusioni in data 15 novembre 1999.

Motivi della decisione
Con i cinque motivi di ricorso – che denunciano, sotto vari profili, l’errata interpretazione della portata della pronuncia di incostituzionalità posta a fondamento della decisione impugnata e che sono perciò suscettibili di considerazione unitaria – la Cooperativa Costruttori sostiene che la facoltà di deroga alla competenza arbitrale, ripristinata dalla Corte costituzionale, potrebbe essere invocata solo dall’appaltatore e non pure dall’Amministrazione, che aveva originariamente imposto l’obbligatorietà dell’arbitrato (primo motivo); che non si era tenuto conto del fatto che la clausola compromissoria trovava nella specie la sua fonte nella volontà negoziale delle parti le quali, attraverso il rinvio materiale alle norme del capitolato generale delle opere pubbliche avevano inteso devolvere concordemente ad arbitri le controversie nascenti dal contratto (secondo motivo); che la pronuncia di incostituzionalità poteva produrre effetti solo sulle norme giuridiche e non sulle pattuizioni contrattuali, le quali avevano cristallizzato la disciplina normativa recepita dalle parti (terzo motivo); che la declinatoria della competenza arbitrale, ripristinata dalla Corte costituzionale, non poteva operare nei confronti delle parti per le quali il termine di decadenza fosse, come nella specie, già scaduto (quarto motivo); che la declinatoria della competenza arbitrale sarebbe stata implicitamente revocata dalla nomina del proprio arbitro da parte dell’Ente Autonomo Flumendosa (quinto motivo).

Il ricorso non ha fondamento e deve essere respinto.

Va considerato, innanzi tutto, che la natura pattizia rivestita nella specie dalla disciplina del capitolato generale delle opere pubbliche, se vale ad escluderne il carattere di norma imperativa, recepisce pur sempre come regola negoziale quella disciplina normativa la quale resta sensibile ad ogni sua evoluzione. Ne consegue che, se non può contestarsi che la volontà resta insensibile alla disciplina normativa sopravvenuta, la quale, com’é noto, ha effetto ex nunc – come è stato sottolineato da questa Corte, la quale ha negato che la disciplina introdotta dal capitolato delle opere pubbliche del 1962 potesse essere invocata dai contraenti i quali avevano recepito pattiziamente quella del capitolato generale del 1895, in vigore all’epoca della stipulazione del contratto, e ciò in forza del principio generale espresso dal brocardo tempus regit actus (Cass. 13 gennaio 1982, n. 178) – essa non resta però insensibile alla dichiarazione di incostituzionalità della normativa convenzionalmente recepita, poiché la pronuncia di incostituzionalità non sostituisce alla normativa non conforme a costituzione una diversa normativa, ma adegua la norma denunciata ai dettami della costituzione, con effetti ex tunc i quali incontrano il solo limite delle situazioni esaurite, e tale non può dirsi una disciplina negoziale contestata in sede giudiziale in un processo tuttora in corso.

Ciò chiarito, la facoltà di deroga della competenza arbitrale prevista nel quadro di un sistema che prevede in via generale che le controversie nascenti dall’appalto di opere pubbliche siano deferite ad arbitri (art. 43 Cap. Gen.OO.PP.), dev’essere consentita ad entrambe le parti quali che siano le previsioni del bando di gara, in quanto la mera adesione ad una disciplina che prevedeva la possibilità di imporre unilateralmente un arbitrato obbligatorio, non vale a escludere che la ripristinata facoltà di esclusione della competenza arbitrale operi a favore di entrambe le parti, come avveniva del resto sotto il vigore del testo originario dell’art. 47 del Cap. Gen. OO. PP., non essendosi mai dubitato prima della novellazione della norma in esame che l’Amministrazione, normalmente convenuta, potesse chiedere che la controversia venisse sottoposta al giudice ordinario.

Affermata l’operatività della pronuncia della corte costituzionale nei confronti di entrambe le parti di un contratto nel quale la disciplina legale operi non già come norma imperativa ma per effetto del richiamo negoziale operato dai contraenti, debbono ritenersi prive di pregio anche le censure relative alla decadenza dell’Ente Autonomo Flumendosa e alla implicita rinuncia alla deroga della competenza arbitrale.

Per quanto attiene alla eccepita decadenza va, intatti rilevato che se la decadenza determina normalmente la perdita definitiva di una facoltà, dando luogo ad una situazione consolidata che opera come limite alla retroattività delle pronunce di incostituzionalità, ciò però non si verifica quando la dichiarazione di incostituzionalità investe proprio la norma che avrebbe dovuto rendere operante la prescrizione o la decadenza o, come nella specie, la norma che aveva precluso l’esercizio di tale facoltà (vedi: Cass. 3 maggio 1975, n. 1507; 9 luglio 1976, n. 2632, le quali hanno ritenuto proponibili le azioni giudiziarie a seguito della dichiarazione di incostituzionalità della norma che imponeva la preventiva e tempestiva presentazione del reclamo gerarchico come condizione di proponibilità dell’azione nelle controversie di lavoro aventi a oggetto competenze arretrate).

Tale facoltà potrà quindi essere sempre esercitata con decorrenza dalla data di pubblicazione della sentenza costituzionale fino a quando il giudizio arbitrale non abbia avuto concretamente inizio, non potendo derogarsi alla competenza di arbitri già investiti della controversia.

E, poiché nella specie la facoltà di deroga alla competenza arbitrale è stata esercitata dall’Ente Autonomo Flumendosa con atto notificato il 2l marzo 1996, ancor prima della pubblicazione della sentenza di incostituzionalità, avvenuta il 9 maggio successivo, e prima della costituzione del collegio arbitrale, avvenuta il 23 gennaio 1997, essa deve ritenersi tempestiva poiché è stata proposta quando non era consentita dalla disciplina pattizia che aveva recepito la normativa all’epoca vigente, e che è divenuta legittima e operativa di effetti a seguito della dichiarazione di incostituzionalità.

Né maggior valore ha poi la censura secondo cui la sentenza impugnata avrebbe dovuto interpretare la nomina dell’arbitro da parte dell’Ente Autonomo Flumendosa come rinuncia implicita alla facoltà preventivamente esercitata, poiché, in assenza di una normativa che consentisse la deroga preventiva della competenza arbitrale sino al momento dell’introduzione del giudizio, la parte convenuta che avesse rivendicato l’esercizio della facoltà di deroga non avrebbe potuto sottrarsi al giudizio arbitrale e avrebbe solo potuto riproporre la questione di incompetenza dinanzi agli arbitri e, in caso di mancato accoglimento, impugnare di nullità il lodo sollevando dinanzi al giudice ordinario la questione di incostituzionalità – preclusa nel giudizio arbitrale – della norma che negava la possibilità di deroga fino al momento dell’introduzione della controversia.

In conclusione, perciò, il ricorso non può trovare accoglimento e deve essere rigettato con la conseguente dichiarazione della competenza del giudice ordinario.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese giudiziali che liquida in complessive L.28.800, al rimborso delle spese prenotate a debito e al pagamento degli onorari che liquida in L. 2.000.000.

Così deciso in Roma il 20 gennaio 2000.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 21 APR. 2000


Cass. civ., Sez. II, (data ud. 26/01/2000) 26/01/2000, n. 851

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Gaetano GAROFALO – Presidente;

Dott. Michele ANNUNZIATA – Consigliere;

Dott. Francesco CRISTARELLA ORESTANO – Consigliere;

Dott. Roberto Michele TRIOLA – Consigliere;

Dott. Francesca TROMBETTA – Rel. Consigliere;

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

FLAVIKER S.R.L., in persona del legale rappresentante pro – tempore Sig. SIROTTI FERMO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA MICHELE DI LANDO 10, presso lo studio dell’avvocato EUGENIO TAMBURELLI, che lo difende unitamente all’avvocato DOMENICO ROSATI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

FERGOLA ADDOLORATA, elettivamente domiciliata in ROMA VIA THAILANDIA 27, presso lo studio dell’avvocato C. GATTI, difesa dall’avvocato PAOLILLO FRANCESCO PAOLO M, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 14/97 del Tribunale di TRANI, depositata il 09/01/97;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/04/99 dal Consigliere Dott. Francesca TROMBETTA;

udito l’Avvocato EUGENIO TAMBURELLI, difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Alberto RUSSO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 14 marzo 1989 la ditta Addolorata Fergola, deducendo di aver acquistato dalla Flaviker S.p.A. piastrelle in ceramica per pavimenti e di aver rilevato, al momento della posa in opera, la sussistenza di vizi occulti (striature rettilinee biancastre), conveniva in giudizio, davanti al pretore di Barletta, la suddetta società perché fosse dichiarata la risoluzione del contratto per inadempimento della venditrice nonché fosse condannata la medesima al risarcimento danni.

Costituitasi, la società convenuta contestava la domanda chiedendone il rigetto ed in via riconvenzionale chiedeva la condanna dell’attrice al pagamento del saldo prezzo di L. 1.444.381, oltre accessori.

Escussi testi e disposta C.T.U. il pretore di Barletta con sentenza del 14 dicembre 1991 dato atto della tempestività della denuncia dei vizi accoglieva la domanda attrice, aderendo alle risultanze della consulenza che aveva confermato l’esistenza dei vizi denunciati. Dichiarava, pertanto, la risoluzione del contratto condannando la Flaviker S.p.A. al pagamento della somma di L. 5.000.000 a titolo di risarcimento danni in favore dell’attrice, oltre interessi legali.

Su impugnazione della Flaviker il Tribunale di Trani, con sentenza 9 gennaio 1997, confermava la sentenza del pretore, condannando l’appellante al pagamento delle spese giudiziali.

Afferma il Tribunale in ordine alla ritenuta inapplicabilità della clausola n. 2 stampata sul retro della fattura (“non si accettano contestazioni di sorta sul materiale posto in opera”) e non sottoscritta da alcuna delle parti, che trattandosi di clausola vessatoria, essa andava specificamente approvata per iscritto.

Quanto all’eccezione di nullità del supplemento di C.T.U., per non essere stato il consulente di parte posto in grado di partecipare alle operazioni peritali, la nullità doveva intendersi sanata perché non tempestivamente opposta. Nel merito, non poteva trovare accoglimento la tesi della società appellante secondo la quale le piastrelle acquistate allo stato grezzo non andavano né levigate, né lucidate; per cui i vizi lamentati andavano imputati esclusivamente alla lucidatura effettuata dopo la posa in opera delle stesse.

Premesso, infatti, che alla perizia di parte non poteva essere attribuita alcuna rilevanza, non essendo essa, con certezza, ricollegabile al caso di specie, andava rilevato che, essendo stato consegnato all’appellata, al momento della scelta, un campionario lucido, privo delle lamentate striature bianche, verosimilmente le era stato lasciato intendere che, tramite la lucidatura anche con le piastrelle grezze poteva conseguirsi l’effetto estetico del campione.

Né era stato provato che la ditta Fergola fosse stata resa edotta delle conseguenze cui andava incontro in caso di lucidatura delle piastrelle acquistate; né della circostanza che il campione era costituito da una piastrella “levigata” in sede di fabbricazione.

Non vi era, poi, motivo di dubitare della correttezza del procedimento di lucidatura seguito, posto che anche quella eseguita dal C.T.U. su altre piastrelle di rimanenza (quelle che allo stato grezzo, presentavano rigature sospette) aveva evidenziato l’identico difetto. Era, in ogni caso, pacifico (v. C.T.U.) che le denunciate striature (visibili dalla non contestata documentazione fotografica allegata alla perizia di parte appellata) erano apparse a seguito della lucidatura soltanto su circa il 50% delle mattonelle poste in opera; il che confermava che il restante 50% era stato “trattato” senza dar adito a problemi, con la conseguenza che il lamentato fenomeno delle striature era dipeso dalla intrinseca inidoneità di una parte del materiale oggetto della fornitura.

Tali considerazioni escludevano la necessità di ulteriori approfondimenti istruttori.

Avverso tale sentenza ricorre in Cassazione la società Flaviker S.p.A., alla quale resiste, con controricorso, la ditta Fergola.

Motivi della decisione
Deduce la società ricorrente a motivi di impugnazione:

1) la violazione e falsa applicazione dell’art. 1341 c.c., nonché l’omessa applicazione degli artt. 1340 e 1491 c.c., illogicità di motivazione – per avere il Tribunale erroneamente:

A) ritenuto vessatoria la clausola n. 2 stampata sul retro della fattura (“non si accettano contestazioni di sorta, sul materiale posto in opera”), come la clausola “non si risponde del materiale levigato dopo la posa in opera”, nonostante si trattasse di clausole rientranti tra i c.d. usi negoziali, inserite automaticamente in ogni contratto di compravendita di piastrelle concluso tramite rappresentanti;

B) ritenuto applicabile la garanzia per vizi della cosa venduta, nonostante tale garanzia non fosse dovuta, trattandosi di vizi palesi (“sospette striature biancastre”), come accertato dal C.T.U. su alcune piastrelle di rimanenza allo stato grezzo, con la conseguenza che la loro posa in opera, comportava accettazione delle stesse;

2) l’omessa, insufficiente o, comunque, contraddittoria motivazione – per avere il Tribunale, nell’affermare che alla ditta acquirente fu consegnato un campione lucidato, privo delle striature biancastre, lasciando intendere che tramite la lucidatura si sarebbe potuto ottenere anche con le piastrelle grezze, l’effetto estetico del campione, non considerato:

A) che la ditta acquirente scelse il materiale oggetto del contratto dopo aver visionato sia le piastrelle grezze che quelle levigate;

B) che la ditta acquirente, operante da molti anni nella zona, era a conoscenza sia degli usi negoziali, che delle norme di manutenzione;

C) che sui cataloghi, listini, retro delle fatture vi era espresso richiamo alle norme d’uso e di manutenzione, secondo le quali le piastrelle “grezze” non andavano né levigate, né lucidate;

D) che non poteva esserci stata dolosa induzione in errore da parte della venditrice stante l’avvenuta stipula del contratto tramite rappresentante e la professionalità della ditta acquirente che ben conosceva le caratteristiche del materiale, anche in considerazione del prezzo di vendita (triplo quello delle piastrelle levigate);

E) che, se le striature erano visibili sul 50% delle piastrelle, bastava non porre in opera quelle viziate e farsele sostituire;

F) che comunque, anche il C.T.U. nel lucidare le piastrelle “grezze” della rimanenza non si era reso conto che esse non andavano lucidate e che la levigatura dopo la posa in opera presentava rischi;

G) che se fosse stato possibile ottenere da piastrelle grezze successivamente levigate lo stesso effetto estetico di quelle levigate sin dall’origine, non avrebbe avuto senso vendere queste ultime ad un prezzo triplo rispetto alle prime;

– per avere il Tribunale insufficientemente motivato:

A) sulla mancata considerazione della C.T.U. di parte;

B) sulla inammissibilità di una nuova perizia;

C) sulla correttezza delle operazioni peritali;

D) sulla supposta esistenza del raggiro;

E) sulla conclusione che il 50% delle mattonelle trattate non aveva dato problemi;

4) la violazione degli artt. 342, 345, 346, 350, 352, 356 c.p.c., l’illogicità di motivazione,

– per avere il Tribunale:

A) omesso di considerare in toto i motivi specifici dell’appello;

B) per aver omesso di considerare la C.T.U. di parte che si richiamava alla fattispecie concreta riferendosi alla Salso, utilizzatrice finale delle piastrelle;

C) non ammesso una nuova C.T.U. nonostante gli errori e la superficialità di quella espletata e ciò con violazione del diritto di difesa della Flaviker;

D) non ammesso nuovi mezzi di prova.

Va preliminarmente respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla Fergola, per carenza di legittimazione a ricorrere della Soc. Flaviker S.r.l. perché soggetto diverso dalla Flaviker S.p.A., società che ha preso parte alle precedenti fasi di merito.

Trattasi, infatti, di trasformazione dell’originaria società per azioni in società a responsabilità limitata, fenomeno che, come è noto, non importa l’estinzione del precedente soggetto giuridico e la creazione di un nuovo soggetto; ma implica soltanto la modifica dell’atto costitutivo della società, permanendo l’identità dell’originario soggetto.

La Flaviker S.r.l. è pertanto legittimata a ricorrere in questa sede.

Quanto al profilo sub A del primo motivo, non può essere condivisa la tesi della ricorrente che, attribuendo natura di usi negoziali alle clausole riprodotte nel retro delle fatture, afferma la loro inclusione automatica nel contratto stipulato dalle parti.

Infatti, nella presente fattispecie, trattandosi di clausole che incidono sulla responsabilità della parte venditrice, limitando la facoltà di opporre eccezioni dell’acquirente, la natura vessatoria delle stesse, anche ove fosse provata l’esistenza dell’uso contrattuale dedotto, escluderebbe la loro inserzione automatica nel contenuto del contratto, non potendosi la parte onerata ritenere obbligata in forza di una manifestazione tacita di volontà, qual è quella che costituisce il presupposto dell’operatività automatica degli usi contrattuali; ed occorrendo, viceversa, una espressa manifestazione di volontà delle parti, al momento della conclusione del contratto, attuata con le forme di cui all’art. 1342 c.c.

Tali clausole, infatti, valide, come si assume nella specie, per tutti i contratti aventi ad oggetto la vendita di mattonelle, e stipulati a mezzo di rappresentanti, sono assimilabili alle condizioni generali predisposte dagli imprenditori del settore.

Infondato è il profilo sub B del motivo in esame.

Premesso, infatti, che la facile riconoscibilità dei vizi che esclude la garanzia ex art. 1491 c.c., presuppone che essi siano tali al momento della conclusione del contratto (v. sent. n. 5075/83; n. 6073/95), per cui la citata norma non opera quando, come nella specie, trattandosi di contratto concluso a mezzo di rappresentante, la consegna della merce è successiva alla stipula del contratto; va rilevato che, l’onere di diligenza imposto dall’art. 1491 c.c. al compratore, deve essere apprezzato tenendo presenti le particolari circostanze della vendita, e nella specie che la scelta è avvenuta in base ad un campione lucido, che non presentava striature di sorta.

Ciò aveva fatto supporre all’acquirente (ed in tal senso, secondo il Tribunale il consenso si è perfezionato tra le parti) che, qualunque fosse stato l’aspetto delle mattonelle grezze, il risultato, dopo la lucidatura, sarebbe stato conforme a quello della mattonella mostrata al momento della conclusione del contratto.

Nessuna accettazione di mattonelle viziate può, quindi, ritenersi intervenuta attraverso la loro posa in opera.

Sulla base delle suddette specifiche modalità di conclusione del contratto, nonché dell’accertamento di fatto operato dal Tribunale, secondo cui solo il 50% delle mattonelle poste in opera hanno presentato gli inconvenienti lamentati, si appalesano prive di fondamento le censure sollevate con il secondo motivo di ricorso, dal momento che, come il Tribunale ha rilevato, non è stata la lucidatura a determinare le striature evidenziatesi sulle mattonelle; ma esse sono derivate dalla intrinseca struttura del materiale. Ne consegue che restano prive di rilievo le considerazioni della ricorrente, sia in ordine alla necessaria conoscenza da parte dell’acquirente dei rischi, in termini di risultato, cui si andava incontro con il sottoporre a lucidatura o levigatura le mattonelle grezze (rischi che, peraltro, come ha evidenziato il Tribunale non risultavano fatti presenti in sede di contrattazione), sia in ordine all’insussistenza della dolosa induzione in errore da parte della venditrice ai danni dell’acquirente; induzione in errore che, secondo il Tribunale ben poteva essersi verificata in mancanza di prova circa la conoscenza da parte dell’acquirente, che la levigatura o lucidatura della mattonella campione era avvenuta in sede di fabbricazione e non successivamente.

Non sussiste, poi, il vizio di motivazione dedotto nel motivo in esame, sia in ordine al mancato esame della perizia di parte, avendo il Tribunale spiegato che la stessa non poteva essere con certezza riferita al caso di specie, a causa della carenza di oggettivi termini di riferimento; sia in ordine alla ritenuta inammissibilità di una nuova perizia la cui disposizione è rimessa al potere discrezionale ed insindacabile del giudice di merito.

Del tutto infondato è, infine, il terzo motivo di ricorso che evidenzia una serie di censure generiche sulle quali in parte si è già risposto specificamente (ad es. quelle relative alle consulenze tecniche); e che per il resto rimangono superate alla luce della ratio decidendi seguita dalla sentenza impugnata.

Il ricorso va, pertanto, respinto e la società ricorrente va condannata al pagamento in favore della ditta Fergola, delle spese del presente giudizio, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento in favore della resistente delle spese del presente giudizio nella misura di L. 357.900, oltre a L. 1.200.000 di onorari.

Così deciso in Roma il 27 aprile 1999.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 26 GENNAIO 2000.