Rinnovo CCNL Funzioni Locali 2019-2021

Come previsto nei precedenti incontri, è proseguito il 20 u.s. il negoziato per il rinnovo del CCNL relativo al triennio 2019-2021.
La proposta presentata dall’Aran risulta ancora carente di una chiara indicazione sulle nuove declaratorie di area, tale da definire l’intero impianto ordinamentale in tempi rapidi. L’impegno assunto da parte dell’Aran in tal senso prevede un prossimo incontro in data 27 luglio.
Nell’incontro appena svolto l’Aran ha presentato, tra l’altro, le tabelle con i valori economici relativi agli aumenti tabellari previsti, comprensivi del conglobamento dell’elemento perequativo.
L’aumento medio previsto è del 4,51% che, unitamente all’aumento del fondo del salario accessorio, portano le risorse disponibili per il rinnovo al 5,22%.

Oggetto di discussione è stata anche la disciplina delle progressioni economiche e il calcolo dei nuovi differenziali economici. Tali risorse devono essere rese effettivamente disponibili per consentire il finanziamento degli strumenti di valorizzazione professionale ed economica del personale, all’esito della definizione del nuovo impianto ordinamentale.


Cass. civ., Sez. Unite, Sent., (data ud. 24/05/2022) 11/07/2022, n. 21884

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Primo Presidente f.f. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 21096/2018 R.G. proposto da:

SPOT LIGHT OUTDOOR S.R.L. (cessionaria del compendio aziendale della ditta individuale Spot Light di C.A.), in persona del legale rappresentante C.A., nonchè C.A. in proprio, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEGLI AVIGNONESI N. 5, presso lo studio dell’avvocato ENRICO SOPRANO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRO LIMATOLA;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI APPENNINI N. 46, presso lo studio dell’avvocato LUCA LEONE e rappresentato e difeso dagli avvocati MARIA ANNA AMORETTI e FABIO MARIA FERRARI;

ELPIS S.R.L., IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUCREZIO CARO N. 63, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO CASTIELLO e rappresentata e difesa dall’avvocato SANDRO MICELISOPO;

– controricorrenti –

avverso la SENTENZA della COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA n. 191/2018 depositata il 10/01/2018;

Udita la relazione della causa svolta – tenutasi ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, convertito, con modificazioni, nella L. n. 176 del 2020 (ed oggetto di successive proroghe) – nella camera di consiglio del 24/05/2022 dal Consigliere ENZO VINCENTI.

Svolgimento del processo
1. – Con ricorso affidato a quattro motivi, illustrati da memoria, C.A., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della Spot Light Outdoor s.r.l., ha impugnato la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, resa pubblica il 10 gennaio 2018, che, in accoglimento dell’appello proposto dal COMUNE DI (OMISSIS) e in integrale riforma della sentenza di primo grado, riteneva legittimo il silenzio-diniego della resistente Amministrazione comunale rispetto all’istanza di rimborso del canone sostitutivo dell’imposta sulla pubblicità, versato D.Lgs. n. 446 del 1997, ex art. 62, per gli anni dal 2009 al 2013.

2. – La Commissione regionale, a fondamento della decisione, disattendeva, anzitutto, l’eccezione di inammissibilità dell’appello, notificato dal COMUNE DI (OMISSIS) in data 20 settembre 2016, rilevando che la notifica della sentenza di primo grado – effettuata dal contribuente in data 22 aprile 2016 presso il Servizio di Polizia Amministrativa, in via (OMISSIS), a mani proprie di un soggetto non individuato, invece che presso il domicilio eletto in primo grado (ossia, presso il Servizio Gestione IMU Secondaria e altri Tributi, in (OMISSIS), essendosi il Comune costituito in giudizio in persona del Dirigente di detto Servizio), era affetta da nullità per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, (di seguito anche solo: proc. trib.) e, quindi, inidonea a far decorrere il termine “breve”, ex art. 51 proc. trib., per l’impugnazione della decisione, con conseguente tempestività della proposizione del gravame, notificato entro la scadenza del termine “lungo” di impugnazione, previsto dall’art. 327 c.p.c..

3. – Nel merito, il giudice di secondo grado riteneva che, con la deliberazione n. 419/1999, il Comune non avesse istituito, in luogo dell’imposta comunale sulla pubblicità (ICP), il canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari (CIMP) D.Lgs. n. 446 del 1997, ex art. 62, bensì, in aggiunta a detta imposta, il canone per la locazione dei luoghi pubblici necessari alla installazione degli impianti, in sostituzione della tassa per l’occupazione di spazi di aree pubbliche.

4. – Hanno resistito, con distinti controricorsi, sia il COMUNE DI (OMISSIS), che la società concessionaria Elpis s.r.l. in liquidazione.

5. – Il ricorso è stato assegnato a queste Sezioni Unite, ex art. 374 c.p.c., comma 2, a seguito dell’ordinanza interlocutoria n. 3984 dell’8 febbraio 2022 della Quinta Sezione civile, che, in riferimento alla disciplina del giudizio tributario sulla notificazione dell’atto processuale (e, segnatamente, della sentenza di primo grado) effettuata ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 16 e 17, ha ravvisato l’esistenza di un contrasto di giurisprudenza o, comunque, di concorrenti questioni di massima di particolare importanza.

6. – Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, (convertito, con modificazioni, nella L. n. 176 del 2020) e D.L. n. 228 del 2021, art. 16, (convertito, con modificazioni, nella L. n. 15 del 2022), con le quali ha chiesto che venga accolto il primo motivo di ricorso, restando assorbito l’esame degli altri motivi.

7. – La parte ricorrente ha depositato ulteriore memoria.

Motivi della decisione
8. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione o falsa applicazione degli artt. 17 e 51 proc. trib., per avere la Commissione Tributaria Regionale della Campania erroneamente disatteso l’eccezione di inammissibilità dell’appello, proposto dal COMUNE DI (OMISSIS) il 20 settembre 2016, ben oltre il termine di sessanta giorni decorrente dalla rituale notifica della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, avvenuta il 22 aprile 2016.

Il giudice di secondo grado, infatti, ha ritenuto che, in base a quanto disposto dal citato art. 17, la sentenza di primo grado andava notificata, anzitutto, presso il domicilio eletto dal COMUNE DI (OMISSIS) – dunque, presso il Servizio Gestione IMU Secondaria e altri Tributi, in (OMISSIS), essendosi il Comune costituito in giudizio in persona del Dirigente di detto Servizio – e, soltanto “in mancanza”, presso la residenza o la sede dichiarata dalla parte all’atto della costituzione in giudizio. Di qui, pertanto, la nullità – affermata dalla Commissione tributaria regionale della notifica della sentenza di primo grado “effettuata mediante consegna a mani proprie di un soggetto non individuato presso il Servizio di Polizia Amministrativa del COMUNE DI (OMISSIS) in via (OMISSIS) – dunque, a persona diversa dal destinatario, in luogo diverso dal domicilio eletto”.

La parte ricorrente sostiene che, contrariamente a quanto opinato dal giudice di appello, l’art. 17 proc. trib. consente, ai fini della notificazione dell’atto processuale, la “consegna a mani proprie, ovvero in luogo diverso da quello del domicilio eletto in giudizio”, sicchè tale modalità di notificazione, “secondo il chiaro tenore letterale della norma…, è sempre fatta salva, anche quando la parte abbia provveduto ad eleggere domicilio in un luogo diverso”.

Del resto, una siffatta lettura della disposizione in esame sarebbe in linea con il principio, affermato in giurisprudenza (si citano Cass. n. 5504/2007, Cass. n. 3746/2010 e Cass. n. 1528/2017), per cui “la salvezza della consegna in mani proprie della parte rappresenta la modalità di comunicazione e notificazione di atti e provvedimenti alla quale si può sempre ricorrere”.

Ne deriva, ad avviso della parte ricorrente, la validità della notifica della sentenza di primo grado effettuata, con “racc.ta ricevuta… in data 22.04.2016”, “al COMUNE DI (OMISSIS) presso il Servizio di Polizia Amministrativa”, dove era stata “indirizzata l’istanza di rimborso delle somme dovuto a titolo di CIMP”, nonchè il ricorso innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli, giacchè detto Servizio era il “soggetto espressamente preposto dall’ente alla gestione del procedimento relativo all’installazione di impianti pubblicitari sul suolo pubblico e, quindi, pienamente abilitato alla ricezione degli atti”.

9. – Con il secondo mezzo è dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, costituito dalla circostanza che gli avvisi di pagamento inviati dalla concessionaria Elpis S.r.l., in liquidazione, alla Spot Light avevano a oggetto richieste di riscossione del canone per l’installazione di mezzi pubblicitari e, dunque, proprio il canone di pubblicità di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 62.

10. – Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., per avere la Commissione tributaria regionale escluso che il COMUNE DI (OMISSIS) avesse introdotto il CIMP, ancorchè lo stesso ente locale, nel costituirsi in giudizio in primo grado, avesse “ammesso di avere escluso, con la deliberazione consiliare n. 419/1999, l’imposta comunale sulla pubblicità, sostituendola con il CIMP”.

11. – Con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 52 e 62, per avere il giudice di appello territoriale negato che il COMUNE DI (OMISSIS) avesse introdotto il CIMP di cui al citato art. 62, affermando che il pagamento era stato intimato per la locazione dei luoghi pubblici necessari all’installazione degli impianti pubblicitari che, ove dovuto, andava ad affiancarsi alla originaria imposta comunale sulla pubblicità istituita con il D.Lgs. n. 507 del 1993, rimasta invariata nel tempo e mai abrogata dall’ente locale.

12. – Il primo motivo è fondato, con conseguente assorbimento dell’esame degli ulteriori motivi di ricorso.

13. – Con esso viene proposta, al di là del tenore formale della rubrica (poichè è alla sostanza effettiva del motivo – se congruamente strutturato in forza delle indicazioni che la stessa parte ricorrente abbia fornito a sostegno della denuncia – che deve aversi riguardo: Cass., S.U., 24 luglio 2013, n. 17931), una censura di error in iudicando de modo procedendi, che è pur sempre denuncia di un error in procedendo, poichè l’attività di interpretazione delle disposizioni processuali implicate è comunque orientata da un “fatto” che si colloca all’interno del processo.

Lo scrutinio rimesso a questa Corte si avvale, quindi, anche dell’accesso diretto agli atti del giudizio di merito, proprio in forza di quei poteri di giudice del “fatto processuale” che la natura del vizio dedotto impone di esercitare.

14. – Parte ricorrente ha evidenziato in fatto (p. 7. del ricorso) di aver “provveduto a notificare la sentenza della CTP di Napoli, con racc.ta ricevuta dal COMUNE DI (OMISSIS) in 22.04.2016”; indicazione, questa, che trova riscontro, anzitutto, nella sentenza impugnata, ove (p. 2) si dà conto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello proposta dalla Spot Light di C.A. in ragione della notifica della sentenza di primo grado “con raccomandata del 15 aprile 2016, ricevuta dal COMUNE DI (OMISSIS) in data 22 aprile 2016 e depositata presso la Commissione Tributaria Provinciale di Napoli il 28 aprile 2016”.

Nel fascicolo d’ufficio della Commissione Regionale si rinviene copia della raccomandata con cui il C. il 15 aprile 2016 ha inviato al “COMUNE DI (OMISSIS) – Direzione Centrale Sviluppo, Ricerca e Mercato del lavoro – Servizio di Polizia Amministrativa”, in “Via (OMISSIS) – 80133 Napoli” (oltre che alla Elpis s.r.l. in liquidazione”) la sentenza n. 3477 del 26 febbraio 2016 della Sezione n. 23 della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli; sul relativo avviso di ricevimento (n. 14599002) è presente il timbro con la seguente dicitura (tutta in carattere maiuscolo): “COMUNE DI (OMISSIS) – Pervenuto il 22 apr. 2016 – Protocollo generale”.

La Direzione Centrale Sviluppo, Ricerca e Mercato del lavoro – Servizio di Polizia Amministrativa del COMUNE DI (OMISSIS), sita in Via (OMISSIS), è – come incontestatamente dedotto dalla parte ricorrente (p. 12 del ricorso) e come risulta dagli atti del giudizio di merito – l’ufficio dell’amministrazione comunale al quale il C., all’epoca titolare della ditta individuale Spot Light, aveva rivolto istanza di rimborso degli importi indebitamente versati a titolo di canone sostitutivo dell’imposta comunale sui mezzi pubblicitari per gli anni dal 2009 al 2013, nonchè l’ufficio nei cui confronti era stato indirizzato il ricorso di primo grado avverso il silenzio rifiuto formatosi sulla predetta istanza.

15. – Tali emergenze processuali e il “fatto processuale” al quale esse danno evidenza – sorretti dalle presupposte deduzioni e indicazioni di parte ricorrente (così da rendere priva di consistenza l’eccezione di inammissibilità del motivo per difetto di autosufficienza sollevata dalla Elpis s.r.l. in liquidazione) indirizzano la delibazione di queste Sezioni Unite verso la quaestio iuris che si palesa rilevante ai fini della decisione, perchè in stretta connessione logico-giuridica con la fattispecie concreta.

Lo scrutinio del motivo di ricorso è orientato, infatti, dall’avvenuta notifica, direttamente tramite il servizio postale, senza l’intermediazione dell’ufficiale giudiziario, della sentenza di primo grado all’ente locale (amministrazione comunale) non presso la sede dell’ufficio tributi, in persona del cui dirigente l’ente medesimo si è costituito in giudizio, ma presso la sede, diversa, di altro ufficio comunale: ufficio già destinatario dell’istanza di rimborso avanzata dal contribuente e che non aveva emesso l’atto richiesto.

Resta, quindi, fermo il principio – armonico rispetto alle funzioni ordinamentali e alle attribuzioni processuali proprie di questa Corte di legittimità – per cui la funzione nomofilattica non vive di astrattismi, ma guarda necessariamente all’oggetto della lite, siccome volta a dare vita ad “un principio di diritto legato all’orizzonte di attesa della fattispecie concreta” (Cass., S.U., 22 maggio 2018, n. 12564).

Del resto, è carattere consustanziale all’esercizio della giurisdizione questa osmosi tra interpretazione della legge e il fatto – la vicenda della vita o, come nel caso in esame, la vicenda del processo – portato dinanzi al giudice, la quale alimenta e dà consistenza alla regola del caso concreto, ossia quella regola che, ove provenga dal giudice della nomofilachia, si pone, nell’ottica valoriale della certezza del diritto e della sicurezza giuridica, a presidio di un trattamento uniforme dei cittadini dinanzi al giudice (quale precipitato immediato del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost.) ed è tale da potersi accreditare come “precedente”, ossia come regola “forte” di decisione di casi a venire, elevandosi, dunque, “a criterio e misura della prevedibilità e calcolabilità riguardo alla decisione di controversie future” (Cass., S.U., 28 gennaio 2021, n. 2061).

16. – Dunque, è il “fatto processuale” innanzi circoscritto a delimitare l’area di indagine sul tema delle modalità e del luogo della notificazione della sentenza nell’ambito del giudizio di merito (ma – giova precisare – tanto vale anche in riferimento alla notificazione degli atti introduttivi del primo e secondo grado dinanzi alle Commissioni tributarie).

E l’indagine intercetta il quesito, prospettato dall’ordinanza interlocutoria n. 3984/2022 della Quinta Sezione, con cui viene sollevato il seguente interrogativo: se, in tema di notificazioni nel processo tributario, sia rituale, o meno, la consegna della sentenza di primo grado a un ufficio dell’ente locale che non sia ubicato anche nella sua sede principale indicata negli atti difensivi, ma sia comunque riconducibile all’ufficio che ha emanato l’atto impositivo impugnato o (come nella specie) non ha emanato l’atto richiesto.

Quesito che occorre, comunque, calibrare in ragione, essenzialmente, dell’accertato “fatto processuale” e, dunque, alla luce di una vicenda in cui la sentenza di primo grado è stata notificata dal contribuente direttamente tramite il servizio postale ordinario, a mezzo raccomandata ordinaria.

17. – A tal riguardo, la Sezione rimettente evidenzia che, nella giurisprudenza di legittimità, si registra un solo precedente – Cass., 8 ottobre 2010, n. 20851 – che, affrontando il tema della notificazione presso un ufficio periferico dell’ente comunale impositore, ha affermato “la validità della notifica indirizzata all’amministrazione, in sede diversa da quella legale”. Tuttavia, si precisa nell’ordinanza interlocutoria, il precedente citato “non risolve la questione della validità della consegna a mani anche se non disposta al legale rappresentante dell’ente locale”, ritenuta, invece, affetta da nullità, per violazione dell’art. 17 proc. trib., da altre pronunce di questa Corte (Cass., 2 marzo 2015, n. 4222; Cass., 28 febbraio 2018, n. 4616; Cass., 4 maggio 2018, n. 10776; Cass., 1 dicembre 2020, n. 27400).

18. – La quaestio iuris, sebbene così resecata, non può prescindere dall’esame del contesto normativo più generale in cui essa si colloca; contesto che ne illumina gli aspetti peculiari, condizionandone in parte anche la soluzione.

19. – Occorre, dunque muovere, anzitutto, dal principio enunciato, in particolare, dalle sentenze n. 8053 del 7 aprile 2014 e n. 14916 del 20 luglio 2016 di queste Sezioni Unite, ma che ha trovato poi ampio e consolidato consenso nella giurisprudenza successiva – secondo cui le disposizioni degli artt. 1 (“I giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile”: comma 2) e 49 (“Alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni del titolo III, capo I, del libro II del codice di procedura civile, e fatto salvo quanto disposto nel presente decreto”: comma 1) del D.Lgs. n. 546 del 1992, relative al processo e alle impugnazioni in generale, istituiscono “un’autentica specialità del rito tributario, sancendo la prevalenza della norma processuale tributaria, ove esistente, sulla norma processuale ordinaria, la quale ultima si applica, quindi, in via del tutto sussidiaria, oltre che nei limiti della compatibilità”.

Di qui, la contrapposizione con la disposizione di cui all’art. 62 (“Al ricorso per cassazione ed al relativo procedimento si applicano le norme dettate dal codice di procedura civile in quanto compatibili con quelle del presente decreto”: comma 2) del medesimo D.Lgs., la quale, per il giudizio di cassazione “(a)vverso la sentenza della commissione tributaria regionale (comma 1 dell’art. 62, che prevede la proponibilità del ricorso per cassazione “per i motivi di cui ai numeri da 1 a 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1”), “fa espressamente riferimento all’applicabilità delle norme del codice di procedura civile, così attribuendo, per questa sola ipotesi, la prevalenza alle norme processuali ordinarie ed escludendo l’esistenza di un “giudizio tributario di legittimità”, cioè di un giudizio di cassazione speciale in materia tributaria”.

20. – Tale regime diversificato tra processo tributario – ossia quello che si svolge dinanzi alle commissioni tributarie – e giudizio civile di legittimità, quanto alla disciplina processuale rispettivamente applicabile, si riverbera sulla individuazione delle norme alle quali occorre fare riferimento (anche) in materia di notificazioni.

21. – La disciplina propria del processo tributario che trova evidenza al riguardo è, anzitutto, quella dettata dall’art. 16 proc. trib., rubricato “Comunicazioni e notificazioni”, che, per quanto concerne specificamente le notificazioni, dispone, in primo luogo (comma 2), che queste “sono fatte secondo le norme dell’art. 137 c.p.c. e segg., salvo quanto disposto dall’art. 17”. Sicchè, tra le norme del codice di rito che trovano applicazione vi è anche l’art. 149, che consente la notificazione a mezzo del servizio postale, ma in base alle regole dettate dalla L. 20 novembre 1982, n. 890 e successive modificazioni.

22. – La deroga che l’art. 16, comma 2, proc. trib. ha disposto rispetto alle notificazioni da effettuarsi secondo le regole del codice di rito civile attiene – come fatto palese dalla rubrica del richiamato art. 17 – al “luogo” delle notificazioni, le quali “… sono fatte, salva la consegna in mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all’atto della sua costituzione in giudizio….” (comma 1). Con l’ulteriore precisazione che “(D’indicazione della residenza o della sede e l’elezione del domicilio hanno effetto anche per i successivi gradi del processo” (comma 2).

Sicchè, alla luce del principio espresso dalle Sezioni Unite con la citata sentenza del 2016, dalla chiara formulazione dell’art. 17 proc. trib., in coerenza con l’assetto innanzi rammentato, si trae pianamente che, nel processo tributario, rispetto alla notificazione della sentenza di primo grado da eseguirsi nel domicilio eletto dalla parte (ovvero, in mancanza di elezione di domicilio, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte stessa), prevale, comunque, la facoltà, alternativa, di eseguire la notificazione con “consegna in mani proprie”, quale modalità che, pertanto, risulta idonea a far decorrere il termine c.d. “breve” per l’impugnazione di cui al citato art. 38.

23. – L’art. 16 proc. trib. prevede, poi, al comma 3, due ulteriori forme di notificazione con modalità definita “diretta” (“Le notificazioni possono essere fatte anche direttamente…”) e che, dunque, possono effettuarsi dalla parte senza il ministero dell’ufficiale giudiziario o di altro soggetto equiparato, quali il messo comunale e il messo autorizzato dall’amministrazione finanziaria e l’avvocato autorizzato dall’ordine forense.

Si tratta: a) della notificazione “a mezzo del servizio postale mediante spedizione dell’atto in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento, sul quale non sono apposti segni o indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dell’atto”; b) “ovvero” della notificazione, consentita al solo contribuente, “all’ufficio del Ministero delle finanze ed all’ente locale mediante consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia”.

24. – Va, peraltro, ricordato che, a decorrere dal 1 gennaio 2016, sono state introdotte anche nel processo tributario le notificazioni telematiche (art. 16-bis proc. trib., inserito dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, art. 9, comma 1, lett. h, che disciplina anche le comunicazioni e i depositi telematici).

Tuttavia, la forma della notifica telematica mette in campo concetti e regole, proprie dell’habitat della tecnologia informatica, che si astraggono dalla materialità dell’atto processuale e dell’attività di sua trasmissione e consegna, che connota indefettibilmente le forme tradizionali di notificazione, sulle quali è esclusivamente calibrata la presente decisione.

25. – La ricordata disciplina delle notificazioni nel processo tributario non rimane confinata in ambito soltanto endoprocessuale di ciascun grado di merito, ma si estende sempre “con carattere di specialità e quindi di prevalenza” (Cass., S.U., n. 14916/2016, citata) – alla fase dell’impugnazione, come è confermato, anzitutto, dall’art. 38, comma 2, proc. trib., come modificato dal D.L. n. 40 del 2010, art. 3, convertito, con modificazioni, nella L. n. 73 del 2010, che reca la disciplina sulla decorrenza del termine c.d. breve d’impugnazione della sentenza.

L’originaria formulazione della disposizione addossava alle parti “l’onere di provvedere direttamente alla notificazione della sentenza alle altre parti a norma dell’art. 137 c.p.c. e segg.”; incombente che, nel presupporre la necessaria intermediazione dell’ufficiale giudiziario, si reputava volto alla “salvaguardia di esigenze di certezza e sicurezza messe a presidio della formazione del giudicato formale sulla sentenza” (Cass., 28 giugno 2018, n. 16554).

Il legislatore della novella del 2010 ha inteso, invece, operare un espresso richiamo all’art. 16 proc. trib. quanto all’onere delle parti “di provvedere direttamente alla notificazione della sentenza alle altre parti” e tanto, quindi, non solo avvalendosi delle forme previste dal codice di procedura civile, ma anche facendo ricorso alle fattispecie di notificazione c.d. “diretta consentite dal comma 3 dello stesso art. 16.

Dalla notificazione effettuata a norma dell’art. 38, comma 2, proc. trib. nella vigente formulazione, decorre, quindi, ex art. 51, comma 1, proc. trib., il termine di sessanta giorni per l’appello, là dove, invece, in mancanza, trova applicazione il termine, c.d. “lungo”, dell’art. 327 c.p.c., secondo quanto stabilito dall’art. 38, comma 3, proc. trib..

26. – La specialità del regime di notificazione degli atti (di parte o del giudice) nel processo tributario si coglie, quindi, già nell’art. 16 proc. trib., non solo là dove (comma 2) è richiamata la disciplina dell’art. 17 proc. trib. quale eccezione a quella dettata in via ordinaria dagli artt. 137 e seguenti del codice di rito civile, ma anche nelle previsioni (comma 3) di una notificazione diretta ad opera della parte tramite il servizio postale con raccomandata ordinaria (dunque, senza l’intermediazione dell’ufficiale giudiziario e non in base alle regole dettate dalla L. n. 890 del 1982) e della “consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia” per quanto riguarda le sole notificazioni del contribuente nei confronti dell’ente impositore.

27. – Le forme di notificazione c.d. dirette previste dall’art. 16, comma 3, proc. trib. sono, quindi, diverse ed alternative tra loro (Cass., S.U., 29 maggio 2017, n. 13452 e n. 13453; Cass., S.U., 10 gennaio 2020, n. 299), come, del resto, è reso palese dalle specifiche modalità che la norma prescrive, rispettivamente, per ciascuna di esse: nella prima, l’atto in plico è spedito per posta e la prova della ricezione è fornita dall’avviso di ricevimento; nella seconda, l’atto è consegnato all’impiegato addetto e la prova della consegna è fornita dalla “ricevuta sulla copia” dell’atto stesso rilasciata dell’addetto.

Ed è evidente la differenza che intercorre tra la “ricevuta sulla copia” dell’atto rilasciata dall’impiegato addetto e l’avviso di ricevimento postale, ossia “la ricevuta che, compilata dal mittente all’atto della spedizione e firmata dal destinatario all’atto della consegna, viene recapitata al mittente (con posta prioritaria) ai fini della conferma dell’avvenuta consegna” (art. 5 Allegato A alla delibera n. 385/13/CONS Condizioni generali di servizio per l’espletamento del servizio universale postale di Poste Italiane, in G.U. n. 165 del 2013; ma, analogamente, quanto alla restituzione dell’avviso di ricevimento alla parte richiedente la notificazione, la L. n. 890 del 1982, della).

E tale distinzione tra le due forme di notificazione diretta spedizione postale ordinaria e consegna all’addetto – è, altresì, ribadita da altre norme del processo tributario (si veda ad es. l’art. 22, comma 1, sulla costituzione in giudizio del ricorrente) e, segnatamente, dal già citato comma 2 dell’art. 38, che, nel regolamentare l’onere di deposito della sentenza notificata nella segreteria della commissione tributaria (“che ne rilascia ricevuta e l’inserisce nel fascicolo d’ufficio”), prevede incombenti differenziati per ciascuna forma di notificazione: il deposito delr’originale o copia autentica dell’originale notificato”, in riferimento alla notificazione in base alle norme del codice di procedura civile; “ovvero “copia autentica della sentenza consegnata o spedita per posta”, in riferimento, rispettivamente, alla consegna all’impiegato addetto e alla spedizione per posta ordinaria, richiedendo nel primo caso anche il deposito della “fotocopia della ricevuta di deposito” e nel secondo la “fotocopia della ricevuta… della spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale unitamente all’avviso di ricevimento”.

28. – Quanto, poi, alle forme di notificazione che sono effettuate tramite il servizio postale universale, come detto rispettivamente contemplate nei commi 2 (art. 149 c.p.c.) e 3 (notifica diretta con plico raccomandato) dell’art. 16 proc. trib., queste Sezioni Unite (cfr. le citate sentenze n. 13452/2017, n. 13453/2017 e n. 299/2020) hanno evidenziato – alla luce dell’art. 30 della legge delega 30 dicembre 1991, n. 413, di adeguamento delle norme del processo tributario a quelle del processo civile che “non v’è alcuna ragione logica e giuridica per distinguer(n)e il regime”.

In particolare, come ancora puntualizzato dalle coeve sentenze del 2017 innanzi richiamate, la notificazione diretta a mezzo del servizio postale universale, ai sensi del citato comma 3 dell’art. 16 – “cioè senza l’intermediazione dell’ufficiale giudiziario (ma pur sempre con quella dell’ufficiale postale)” – è caratterizzata da “modalità semplificate… che, data anche la spiccata specificità del processo tributario (cfr. Corte Cost., sent. n. 18 del 2000), non violano gli artt. 3 e 24 Cost.”.

In siffatta forma di notificazione diretta “l’avviso di ricevimento del plico costituisce di norma atto pubblico ai sensi dell’art. 2699 c.c.; pertanto le attestazioni in esso contenute godono della stessa fede privilegiata di quelle relative alla procedura di notificazione a mezzo posta eseguita per il tramite dell’ufficiale giudiziario”.

29. – Alla luce della illustrata ricognizione del contesto di riferimento può ora esaminarsi la questione di diritto posta dal primo motivo di ricorso, in fattispecie – come più volte ricordato di notificazione diretta della sentenza tramite servizio postale, ai sensi del comma 3 dell’art. 16 proc. trib., non presso l’ufficio dell’amministrazione comunale in persona del cui dirigente l’ente medesimo si era costituito in giudizio, ma presso altro e diversamente ubicato ufficio comunale, già destinatario dell’istanza di rimborso avanzata dal contribuente e che non aveva emesso l’atto richiesto.

30. – La ritualità della notificazione dell’atto processuale presso un ufficio periferico dell’ente e non presso la sua sede principale è affermazione che si rinviene – come evidenziato dalla stessa ordinanza di rimessione – in un unico precedente giurisprudenziale (Cass. n. 20851/2010, citata).

Con esso si è ritenuta validamente effettuata la notificazione di ricorsi “proposti nei confronti dell’ente in persona del suo legale rappresentante, ancorchè indirizzati alla sede, diversa da quella legale del Comune, dell’ufficio competente ratione materiae”.

A tal fine, la sentenza n. 20851/2010 ha argomentato in forza del richiamo a fattispecie, reputata similare, di atto processuale notificato per errore dal contribuente al “Centro di servizio” e non già “all’Ufficio delle entrate, unica parte processuale legittimata”, ponendo in rilievo (secondo quanto affermato da altro precedente: Cass., 10 febbraio 2010, n. 2937) che il Centro di servizio, “in ossequio al principio generale di tutela dell’affidamento del contribuente ed al conseguente dovere di collaborazione (L. n. 212 del 2000, art. 10), è tenuto, facendo parte della medesima Amministrazione finanziaria, a trasmettere il ricorso al competente Ufficio delle Entrate, conseguendone, in difetto, che la mancata tempestiva costituzione dell’Ufficio in appello non è imputabile al contribuente, bensì all’Amministrazione medesima”.

31. – Non dissimile è stata la soluzione che la giurisprudenza della Sezione Quinta ha fornito in fattispecie di notificazione di atto processuale presso un ufficio dell’Agenzia delle entrate non territorialmente competente, poichè diverso da quello che aveva emesso l’atto impositivo (tra le altre, Cass., 15 dicembre 2004, n. 23349; Cass., 26 gennaio 2008, n. 1925; Cass., 17 dicembre 2008, n. 29465; Cass., 3 luglio 2009, n. 15718; Cass., 30 dicembre 2011, n. 30753; Cass., 21 gennaio 2015, n. 1113; Cass., 11 marzo 2015, n. 4862; Cass., 24 settembre 2015, n. 18936; Cass., 23 ottobre 2015, n. 21593).

32. – Alla conclusione della validità di una siffatta notificazione si è giunti valorizzando, anzitutto, il carattere unitario della stessa Agenzia delle entrate, le cui articolazione del medesimo organo sono prive di autonoma e distinta soggettività giuridica, trovando ragione e configurazione in funzione di un sistema di organizzazione finalizzato ad una più adeguata e razionale distribuzione interna del lavoro. In tal senso, la struttura soggettiva del rapporto col contribuente resta inalterata, instaurandosi e permanendo esclusivamente fra il medesimo e l’Agenzia considerata.

Al tempo stesso, si è dato risalto ai principi di collaborazione e buona fede, in forza dei quali, alla luce del principio di buon andamento (art. 97 Cost.), deve essere improntata l’azione dell’amministrazione pubblica, per cui l’atto del privato che venga indirizzato all’organo esattamente individuato, benchè privo di competenza per esigenze organizzative specifiche ad esso, produce gli effetti che la legge gli riconnette, essendo onere dell’ufficio curarne la trasmissione a quello competente.

A tal fine viene in soccorso, altresì, il principio della tutela del legittimo affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, espressione del principio di eguaglianza dinanzi alla legge (art. 3 Cost.) ed elemento essenziale dello Stato di diritto immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico, là dove nella materia tributaria ha avuto modo di essere esplicitato specificamente dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, (tra le altre, Cass., 10 dicembre 2002, n. 17576).

33. – Inoltre, il menzionato indirizzo giurisprudenziale ha fatto leva sul principio, vivificato dalle fonti sovranazionali, di effettività della tutela giurisdizionale, che richiede di ridurre al massimo le ipotesi di inammissibilità dei rimedi giurisdizionali, nonchè, infine, sul carattere impugnatorio del processo tributario, che attribuisce la qualità di parte necessaria all’organo che ha emesso l’atto o il provvedimento impugnato.

34. – Dunque, l’orientamento in cui si colloca il citato precedente specifico (Cass. n. 20851/2010) chiama a raccolta una serie di principi, tra loro cospiranti, i quali consentono di giungere ad analoga soluzione anche nella concreta fattispecie in esame, non interferendo con le argomentazioni giuridiche che sostanziano la ratio decidendi di quella soluzione il diverso piano giustificativo delle pronunce che l’ordinanza di rimessione indica come contrastanti. Talune, infatti, riguardano la diversa fattispecie del procedimento di notifica mediante consegna diretta a mani dell’impiegato addetto (Cass., 2 marzo 2015, n. 4222; Cass., 28 febbraio 2018, n. 4616; Cass., 1 dicembre 2020, n. 27400); altre (Cass., 4 maggio 2018, n. 10776, n. 10777 e n. 10778) concernono fattispecie non sovrapponibile a quella in esame.

Per contro, quei principi danno evidenza, in particolare, ad una peculiare saldatura tra il principio di affidamento del cittadino nel buon andamento della funzione pubblica, il carattere impugnatorio del processo tributario, la specialità del rito in tema di notificazioni degli atti del processo tributario (e, segnatamente, della sentenza emessa nel giudizio di merito) e il principio, fondamentale, che costituisce lo scopo ultimo al quale il processo è di per sè orientato, ossia l’effettività della tutela giurisdizionale, nella sua essenziale tensione verso una decisione di merito (tra le altre, Cass., S.U., 28 maggio 2017, n. 13453).

Quest’ultimo, scolpito nel contesto di una dimensione complessiva di garanzie (artt. 24 e 111 Cost.), che costituiscono patrimonio comune di tradizioni giuridiche condivise a livello sovranazionale (art. 47 della Carta di Nizza, art. 19 del Trattato sull’Unione Europea, art. 6 CEDU), è guida orientativa per l’interprete che impone di evitare eccessi di formalismo e, quindi, restrizioni del diritto della parte all’accesso ad un tribunale che non siano frutto di criteri ragionevoli e proporzionali.

35. – Nondimeno, le evidenziate ragioni giustificative di fondo hanno avuto modo di consolidarsi trovando linfa anche nelle coeve sentenze n. 3116 e n. 3118 del 14 febbraio 2006 di queste Sezioni Unite (successivamente, tra le molte, v. Cass., 29 gennaio 2020, n. 1954 e Cass., 7 dicembre 2020, n. 27976), con le quali si è ritenuto che, nei confronti delle Agenzie fiscali che non si siano avvalse del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, la regola generale della effettuazione della notificazione del ricorso introduttivo del giudizio tributario e della sentenza di esso conclusiva al direttore presso la sede centrale (artt. 163, 144 e 145 c.p.c.) debba essere “opportunamente integrata con la disciplina speciale” contenuta negli artt. 10 e 11 proc. trib., in base alle quali disposizioni gli uffici periferici di dette Agenzie hanno assunto, “in modo concorrente e alternativo, secondo un modello simile alla preposizione institoria disciplinata dagli artt. 2203 e 2204 c.c.”, la stessa capacità di stare in giudizio già originariamente attribuita agli uffici finanziari che avevano emesso l’atto impugnato.

Pertanto, “anche gli uffici periferici dell’Agenzia, subentrati a quelli dei Dipartimenti delle Entrate, devono essere considerati – una volta che l’atto ha come destinatario l’ente – come organi dello stesso che, al pari del direttore, ne hanno la rappresentanza in giudizio, ai sensi dell’art. 163 c.p.c., comma 2, n. 2, e artt. 144 e 145 c.p.c.”.

Da ciò ne consegue, altresì, che “la notifica della decisione, ai fini della decorrenza del termine breve per la proposizione del ricorso, può essere indifferentemente effettuata all’Agenzia presso la sua sede centrale ovvero presso il suo ufficio periferico”.

36. – Viene, dunque, delineato un contesto in cui, con specifico riferimento alla posizione dell’ente locale impositore, all’interprete è consentito valorizzare anche un ulteriore argomento, tratto dall’art. 11, comma 3, proc. trib., come novellato dal D.L. 31 marzo 2005, n. 44, art. 3 bis, comma 1, (convertito, con modificazioni, nella L. 31 maggio 2005, n. 88) e che è corroborato dal principio di “legittimazione diffusa” dell’amministrazione finanziaria valorizzato dalle citate sentenze delle Sezioni Unite del 2006.

La norma dettata dalla citata disposizione ha previsto, in luogo della originaria legittimazione processuale passiva dell’ente locale individuata nell’organo di rappresentanza previsto dal proprio ordinamento”, che tale ente abbia facoltà “di stare anche mediante il dirigente dell’ufficio tributi, ovvero, per gli enti locali privi di figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa in cui è collocato detto ufficio”.

Pertanto, anche nel caso dell’ente locale la legge sul processo tributario viene a configurare una legittimazione passiva concorrente, sia in capo al legale rappresentante dell’ente stesso (per cui, nel caso del comune, essa farà capo, di norma, al sindaco, salvo diverse previsioni statutarie), sia in capo al dirigente ufficio tributi.

37. – Tale previsione normativa si spiega in un’ottica di semplificazione dei rapporti tra il polo pubblico e il contribuente, ma anche in termini di efficienza dell’organizzazione amministrativa, in quanto l’ente territoriale, siccome esponenziale della collettività di riferimento, si manifesta, a prescindere dai suoi caratteri dimensionali e organizzativi concreti, come ente a fini generali.

Sicchè, a fronte di una competenza generale dell’ente territoriale, risponde ragionevolmente ai canoni della semplificazione e dell’efficienza – e, dunque, della buona amministrazione, ex art. 97 Cost. – la previsione di una legittimazione processuale ricadente, anche, sull’ufficio al quale, di norma, sono affidati i complessivi compiti di gestione delle entrate tributarie dell’ente e, dunque, di gestione per esso delle funzioni impositive.

38. – Ciò che, tuttavia, non esclude che non vi siano altre articolazioni dell’organizzazione amministrativa dell’ente territoriale, in esso immedesimantesi, alle quali possano affidarsi compiti relativi a funzioni impositive.

Nel caso di specie, non è in contestazione, infatti, che la “Direzione Centrale Sviluppo, Ricerca e Mercato del lavoro Servizio di Polizia Amministrativa” del COMUNE DI (OMISSIS) avesse competenza sulle istanze di rimborsi del canone sostitutivo dell’imposta sulla pubblicità e che sia stato l’ufficio a non emettere l’atto richiesto dall’attuale ricorrente.

39. – Tali articolazioni, pur diverse da quella dell’ufficio tributi e prive, diversamente da quell’ufficio, della legittimazione passiva concorrente innanzi richiamata, si caratterizzano per essere comunque organicamente immedesimate nell’ente impositore e in relazione funzionale diretta con atti concernenti il contenzioso tributario al medesimo ente imputabili.

Sicchè, un tale assetto organizzativo – in cui trova peculiare risalto il profilo funzionale del contatto tra contribuente ed ente impositore in termini di più agevole e semplificata accessibilità alla funzione pubblica – consente l’applicazione dei principi, sopra illustrati, valorizzati dalla richiamata giurisprudenza della Sezione Tributaria in base ad un orientamento affatto coeso, così da potersi affermare anche nella fattispecie in esame la validità della notifica diretta a mezzo del servizio postale, ex art. 16, comma 3, proc. trib., effettuata dal contribuente all’articolazione interna dell’ente locale.

38. – Va, dunque, enunciato il seguente principio di diritto:

“La notifica, effettuata dal contribuente direttamente tramite il servizio postale, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, comma 3, della sentenza di primo grado all’ente locale non presso la sede principale indicata negli atti difensivi, ma presso altro ufficio comunale diversamente ubicato, che abbia emesso (o non abbia adottato) l’atto oggetto del contenzioso, è valida e, quindi, idonea, ai sensi del combinato disposto del medesimo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 2, e art. 51, comma 2, a far decorrere il termine di sessanta giorni per impugnare”.

39. – E’, dunque, fondato il primo motivo di ricorso, posto che la notificazione della sentenza di primo grado è stata validamente effettuata dall’attuale ricorrente con ricezione da parte del destinatario COMUNE DI (OMISSIS) il 22 aprile 2016, mentre l’appello proposto dall’ente locale è stato notificato in data 20 settembre 2016, risultando, quindi, inammissibile perchè proposto ben oltre il termine breve stabilito per l’appello.

Ne consegue l’assorbimento degli ulteriori motivi di ricorso e la cassazione senza rinvio, ex art. 382 c.p.c., della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, non potendosi riconoscere al gravame inammissibilmente spiegato alcuna efficacia conservativa del processo di impugnazione (tra le altre, Cass., 7 luglio 2017, n. 16863; Cass., 19 ottobre 2018, n. 26525).

40. – Le spese dell’intero giudizio vanno interamente compensate tra tutte le parti in ragione delle questioni giuridiche trattate in relazione alla singolarità della fattispecie processuale oggetto di cognizione.

P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti i restanti motivi;

cassa senza rinvio la sentenza impugnata e compensa interamente tra le parti le spese processuali dell’intero giudizio.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 24 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2022


Prosegue il negoziato per il rinnovo del CCNL Funzioni Locali 2019-2021

Nell’incontro del 5 luglio sono stati approfonditi alcuni temi relativi ai profili dell’area socio-sanitaria, della vigilanza e dei servizi scolastico-educativi, con lo scopo di valorizzare particolari figure professionali e definirne il corretto inquadramento o attribuendo alle stesse adeguate indennità, riconoscendo lo sviluppo di alcune professionalità.
Altri incontri sono programmati per la prossima settimana.
È nostro auspicio che, nel prosieguo della trattativa, nella revisione del sistema di classificazione sia tenuto nella dovuta considerazione il particolare ruolo svolto dal messo comunale\notificatore, anche in relazione all’importante innovazione normativa introdotta con la “piattaforma per la notificazione degli atti della pubblica amministrazione”.


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 05/05/2022) 15/06/2022, n. 19333

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. DE ROSA Maria Luisa – Consigliere –

Dott. CRIVELLI Alberto – Consigliere –

Dott. ANGARANO Rosanna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1623/2017 R.G. proposto da:

P.F., elettivamente domiciliato in Roma, Viale del Vignola, 5, presso l’Avv. Livia Ranuzzi, e rappresentato e difeso dall’Avv. Luigi Quercia.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende.

– controricorrente –

Avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. PUGLIA, n. 1585/2016, depositata il 15/06/2016.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 5 maggio 2022 dal consigliere Rosanna Angarano.

Svolgimento del processo
che:

1. P.F. ricorre, con quattro motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe con la quale la C.t.r. della Puglia ha rigettato l’appello dal medesimo proposto avverso la sentenza della C.t.p. di Bari che, previa riunione, aveva dichiarato inammissibili, il ricorso proposto avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), relativo all’imposta Irpef per l’anno 2007, ed il ricorso proposto avverso il rigetto dell’istanza di concordato con adesione.

2. La C.t.p. dichiarava inammissibili i ricorsi riuniti per intempestività, statuendo, altresì, sulla legittimità dell’accertamento.

3. La C.t.r. rigettava l’appello, confermando la sentenza di primo grado, ritenendo validamente notificato l’avviso di accertamento e, conseguentemente, inammissibili i ricorsi e, comunque, infondati nel merito.

Motivi della decisione
che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per aver ritenuto legittimo il procedimento notificatorio dell’avviso di accertamento senza pronunciarsi sui vizi denunciati.

In particolare il ricorrente assume che la sentenza impugnata si è limitata a riportare “un mero elenco dei passaggi del procedimento di notificazione” omettendo di rispondere puntualmente alle censure mosse in ordine alla corretta applicazione delle norme relative alla notifica.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, degli artt. 139, 140, 148 c.p.c..

In particolare, il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver ritenuto validamente notificato l’atto impositivo sebbene l’avviso di ricevimento relativo alla notifica dell’atto accertativo non contenesse le indicazioni prescritte dal combinato disposto di cui alle norme richiamate e, in particolare, dei motivi che giustificavano il ricorso alle forme previste dall’art. 140 c.p.c., e sebbene l’avviso di ricevimento della raccomandata informativa (c.d. CAD), non prodotta in giudizio, non contenesse le indicazioni previste ex lege e contenesse indicazioni non congruenti.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2.

In particolare il ricorrente deduce la nullità della sentenza per omessa motivazione non essendo state illustrate le ragioni poste a fondamento della ritenuta legittimità dell’atto accertativo.

4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 6, comma 2, non essendo stato rappresentato il percorso motivazionale che aveva portato a ritenere imprecisi e poco attendibili gli elementi probatori addotti a sostegno dell’infondatezza del recupero a tassazione operato dall’Ufficio.

5. Il primo motivo è infondato.

La sentenza impugnata, confermando sul punto l’accertamento compiuto nella sentenza di primo grado, ha ripercorso l’iter del procedimento notificatorio dell’avviso di accertamento riportando puntualmente i passaggi ritenuti essenziali ai fini della sua validità.

Per giurisprudenza consolidata di questa Corte il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132 c.p.c., n. 4, che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione; per l’effetto devono ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con il percorso argomentativo seguito. (Cass. 25/06/2020 n. 12652).

6. Il secondo motivo è infondato.

6.1. Non è controverso in fatto che la notifica dell’avviso di accertamento è avvenuta a mezzo del servizio postale con spedizione eseguita in data (OMISSIS). Il ricorrente sul punto ha espressamente dedotto in ricorso che “la CTR ha ritenuto “accertato” “che l’avviso di accertamento è stato spedito regolarmente il (OMISSIS) dall’Ufficio Postale di poste Italiane”. E fin qui nulla quaestio”. Vi è stata, pertanto, notifica postale diretta ai sensi della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 14.

6.2. Il ricorrente deduce, tuttavia, che nelle fasi successive alla spedizione vi sarebbe stata violazione degli artt. 139 e 140 c.p.c., e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, non essendo stati indicati i motivi che legittimavano la scelta di procedere alla notifica ai sensi dell’art. 140 c.p.c., sia i tentativi fatti per evitarla. Deduce, altresì che vi sarebbe stata violazione della L. n. 890 del 1982, art. 8, nella parte in cui prevede l’obbligo di spedire al destinatario dell’atto una lettera raccomandata (c.d. CAD) e di menzionare sull’avviso di ricevimento quanto ivi previsto, in quanto detta raccomandata non sarebbe stata prodotta; il relativo avviso di ricevimento non era idoneo a provarne il contenuto; il medesimo mancava anche delle indicazioni previste ex lege.

6.3. Quanto alla prima censura, la L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 20, modificando la L. n. 890 del 1982, art. 14, ha previsto, per quanto qui interessa, che la notificazione degli avvisi e degli atti che per legge devono essere notificati al contribuente può eseguirsi a mezzo posta direttamente dagli uffici finanziari. A decorrere, pertanto, dal 15/05/1998 (data di entrata in vigore della L. n. 146 del 1998), è stata concessa agli uffici finanziari la facoltà di provvedere direttamente alla notifica degli atti al contribuente mediante spedizione a mezzo del servizio postale, fermo rimanendo, “ove ciò risulti impossibile”, che la notifica può essere effettuata, come già previsto, a cura degli ufficiali giudiziali, dei messi comunali o dei messi speciali autorizzati dall’Amministrazione finanziaria secondo le modalità previste dalla medesima L. n. 890 del 1982. (tra le più recenti Cass. 27/01/2022 n. 2365) Ciò significa che il notificante è abilitato alla notificazione dell’atto senza l’intermediazione dell’ufficiale giudiziario (ferma restando quella dell’ufficiale postale), e, quindi, a modalità di notificazione semplificata, alla quale, quindi, non si applicano le disposizioni della L. n. 890 del 1982, concernenti le sole notificazioni effettuate a mezzo posta tramite gli ufficiali giudiziali (o, eventualmente, i messi comunali e i messi speciali autorizzati), bensì le norme concernenti il servizio postale ordinario. (Cass. n. 2365 del 2022).

Ne consegue che, difettando apposite previsioni della disciplina postale, non deve essere redatta alcuna relata di notifica o annotazione specifica sull’avviso di ricevimento in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico e l’atto, pervenuto all’indirizzo del destinatario, il quale deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se il medesimo dia prova di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di prenderne cognizione (Cass. 28/05/2020 n. 10131, Cass. 04/04/2018 n. 8293).

6.3. Come riferito dallo steso ricorrente, l’addetto al recapito della raccomandata ha sbarrato le caselle dell’avviso di ricevimento in cui si dava atto della “temporanea assenza del destinatario” per “mancanza” e dell’”immesso avviso cassetta corrisp. dello stabile in indirizzo” ed ha annotato di aver spedito la comunicazione di avvenuto deposito, così detta CAD. La notifica risulta, pertanto, conforme al disposto del D.P.R. n. 890 del 1982, art. 14, non occorrendo alcuna delle indicazioni previste dagli artt. 139 e 140 c.p.c..

6.4. Quanto alle censura relativa alla così detta CAD, le sezioni unite di questa Corte, conformemente al più recente orientamento consolidatosi, hanno affermato che anche nella notifica “postale diretta” di cui al D.P.R. n. 890 del 1982, art. 14, in caso di temporanea assenza del destinatario, per considerare perfezionata la procedura notificatoria è necessario verificare in concreto l’avvenuta ricezione della CAD ed a tal fine il notificante è processualmente onerato della produzione del relativo avviso di ricevimento. (Cass., Sez. U., 15/04/2021, n. 10012).

La prova della notifica, pertanto, è raggiunta attraverso la produzione in giudizio del relativo avviso di ricevimento – il cui versamento in atti ad opera dalla Agenzia delle Entrate è confermato nello stesso ricorso – non occorrendo, come invece ritenuto dal ricorrente, la produzione della stessa comunicazione a riprova del suo contenuto.

6.5. Infine, quanto all’avviso di ricevimento della CAD questa Corte ha chiarito che il controllo su tale avviso deve riguardare, in caso di ulteriore assenza del destinatario in occasione del recapito della relativa raccomandata, non seguita dal ritiro del piego entro il termine di giacenza, l’attestazione dell’agente postale in ordine all’avvenuta immissione dell’avviso di deposito nella cassetta postale od alla sua affissione alla porta dell’abitazione, formalità le quali, ove attuate entro il predetto termine di giacenza, consentono il perfezionarsi della notifica allo spirare del decimo giorno dalla spedizione della raccomandata stessa, spettando al destinatario contestare, adducendo le relative ragioni di fatto e proponendo quando necessario querela di falso, che, nonostante quanto risultante dalla CAD, in concreto non si siano realizzati i presupposti di conoscibilità richiesti dalla legge oppure egli si sia trovato, senza sua colpa, nell’impossibilità di prendere cognizione del piego.

La CAD, pertanto, non segue il percorso comunicativo proprio dell’originaria raccomandata di notifica del piego, in quanto per esso, al fine evidentemente di regolare una vicenda che altrimenti potrebbe portare al reiterarsi indefinito di successivi avvisi e depositi, la norma prevede soltanto che in caso di assenza del destinatario, deve essere affisso alla porta d’ingresso oppure immesso nella cassetta della corrispondenza dell’abitazione, dell’ufficio o dell’azienda” e pertanto l’agente postale, nel recapitare la raccomandata di avviso, ove non trovi il destinatario, non può far altro che procedere ad uno di tali incombenti, dandone atto nell’avviso di ricevimento della CAD; (Cass. 29/10/2020 n. 23921).

Come precisato rispetto all’omologo avviso di deposito della notificazione ai sensi dell’art. 140 c.p.c., attraverso l’avviso di ricevimento della CAD occorre avere prova (non già della consegna ma) del fatto che la raccomandata di avviso sia effettivamente giunta al recapito del destinatario e tale prova è raggiunta a mezzo della produzione dell’avviso di ricevimento, sia esso sottoscritto dal destinatario o da persone abilitate, sia esso annotato dall’agente postale in ordine all’assenza di persone atte a ricevere l’avviso medesimo (Cass. 30/01/2019, n. 2683).

6.6. Nel caso in esame, l’avviso di ricevimento della CAD individuata con l’esatto numero indicato nella prima raccomandata – è stato depositato in atti; esso, firmato dall’agente postale, attesta la persistente assenza del destinatario – o di chi per esso – che pertanto non ha sottoscritto l’avviso, e l’avvenuta immissione in cassetta della raccomandata di avviso del deposito. Anche sotto tale profilo, pertanto, non è ravvisabile alcun vizio del procedimento notificatorio.

7. Per quanto fin qui detto, il ricorso va rigettato restando assorbiti gli ulteriori motivi attinenti al merito dell’avviso di accertamento impugnato. Rispetto a questi ultimi – stante l’accertata inammissibilità del ricorso per intempestività – la motivazione resa dalla C.t.r. deve considerarsi svolta ad abundatiam (Cass. 19/12/2017 n. 30393).

8. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del solo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 5 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2022


Decreto ministeriale 08/02/2022, n. 58

Regolamento recante piattaforma per la notificazione degli atti della pubblica amministrazione.
Pubblicato nella Gazz. Uff. 6 giugno 2022, n. 130.

In vigore dal 21 giugno 2022

IL MINISTRO PER L’INNOVAZIONE

TECNOLOGICA E LA TRANSIZIONE DIGITALE

Visto l’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400;

Visto l’articolo 1, comma 402, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, come modificato dall’articolo 26, comma 19, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito con modificazioni dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, e come altresì modificato dal decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, che, al fine di rendere più semplice, efficiente, sicura ed economica la notificazione con valore legale di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni della pubblica amministrazione, con risparmio per la spesa pubblica e minori oneri per i cittadini, prevede la realizzazione di una piattaforma digitale per le notifiche, il cui sviluppo è affidato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri alla società di cui all’articolo 8, comma 2, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12, la quale si avvale, in tutto o in parte, del fornitore del servizio universale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, anche attraverso il riuso dell’infrastruttura tecnologica esistente di proprietà del suddetto fornitore;

Visto il decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, e successive modificazioni, recante la disciplina della Piattaforma per la notificazione digitale degli atti della pubblica amministrazione e delle sue modalità di funzionamento e, in particolare, l’articolo 26, comma 15;

Vista la legge 20 novembre 1982, n. 890, recante notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari, in particolare gli articoli 7, 8, 9 e 14;

Visto il decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, recante attuazione della direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio;

Visto il decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, recante il Codice in materia di protezione dei dati personali;

Visto il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante il Codice dell’amministrazione digitale;

Visto il decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12, recante disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione, e, in particolare l’articolo 8, comma 2;

Visto il Regolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 luglio 2014 in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno e che abroga la direttiva 1999/93/CE;

Visto il Regolamento (UE) n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (Regolamento generale sulla protezione dei dati);

Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 giugno 2019, concernente modifiche al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° ottobre 2012 recante «Ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei ministri» pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 199 del 26 agosto 2019;

Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 13 febbraio 2021 con il quale al predetto Ministro senza portafoglio è stato conferito l’incarico per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale;

Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 marzo 2021, recante delega di funzioni al Ministro senza portafoglio Vittorio Colao pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 79 del 1° aprile 2021;

Acquisito il parere della Conferenza unificata, reso nella seduta del 18 novembre 2021;

Udito il parere del Consiglio di Stato, n. 107 del 19 gennaio 2022;

Sentito il Garante per la protezione dei dati personali, che ha reso il parere di competenza con provvedimento n. 369 del 14 ottobre 2021;

Vista la comunicazione alla Presidenza del Consiglio dei ministri a norma dell’articolo 17, comma 3, della citata legge 23 agosto 1988, n. 400;

Sentito il Ministro dell’economia e delle finanze;

ADOTTA

il seguente regolamento:

Art. 1. Definizioni

1. Ai fini del presente decreto si intende per:
a) «addetto al recapito postale»: il soggetto incaricato del recapito analogico dell’avviso di avvenuta ricezione, ai sensi articolo 26, comma 7, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (3), come convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120 e dell’avviso di mancato recapito, ai sensi articolo 26, comma 6, del medesimo decreto-legge.
b) «app IO»: il punto di accesso telematico di cui all’articolo 64-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82;
c) «avviso di cortesia»: l’avviso in modalità informatica, contenente le stesse informazioni dell’avviso di avvenuta ricezione, inviato dal gestore della piattaforma, ai sensi dell’articolo 26, commi 5-bis, 6 e 7, del decreto-legge n. 76 del 2020, come convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120;
d) «CAD»: il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82;
e) «CIE»: il documento d’identità munito di elementi per l’identificazione fisica del titolare, di cui all’articolo 66 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82;
f) «decreto-legge»: il decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (4), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120;
g) «domicilio digitale di piattaforma»: l’indirizo di posta elettronica certificata o di un servizio elettronico di recapito certificato qualificato, appositamente eletto per la ricezione delle notificazioni delle pubbliche amministrazioni effettuate tramite piattaforma, di cui all’articolo 26, comma 5, lettera c), del decreto-legge;
h) «domicilio digitale speciale»: l’indirizzo di posta elettronica certificata o di un servizio elettronico di recapito certificato qualificato, eletto ai sensi dell’articolo 3-bis, comma 4-quinquies, del decreto legislativo n. 82 del 2005 o di altre disposizioni di legge, come domicilio speciale per determinati atti o affari, se a tali atti o affari è riferita la notificazione, di cui all’articolo 26, comma 5, lettera b), del decreto-legge;
i) «domicilio digitale generale»: l’indirizzo di posta elettronica certificata o di un servizio elettronico di recapito certificato qualificato inserito in uno degli elenchi di cui agli articoli 6-bis, 6-ter e 6-quater del CAD e previsto dall’articolo 26, comma 5, lettera a), del decreto-legge;
l) «funzionario incaricato»: il soggetto che per primo accede alla piattaforma per conto del mittente al fine predisporre le condizioni iniziali per l’impiego del sistema;
m) «funzionari autorizzati»: i soggetti autorizzati ad operare sulla piattaforma per conto del mittente, ivi incluso il funzionario incaricato;
n) «gestore della piattaforma»: la società di cui all’articolo 8, comma 2, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12;
o) «livello di sicurezza significativo»: il livello di garanzia previsto dall’articolo 8 del Regolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 luglio 2014 in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno e che abroga la direttiva 1999/93/CE e dal Regolamento di esecuzione della Commissione 8 settembre 2015, n. 2015/1502COMMISSIONE, Reg. (CE) 08/09/2015, n. 2015/1502, «relativo alla definizione delle specifiche e procedure tecniche minime riguardanti i livelli di garanzia per i mezzi di identificazione elettronica ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 3, del Regolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno»:
p) «mittenti»: le amministrazioni individuate dall’articolo 26, comma 2, lettera c), del decreto-legge;
q) «recapito digitale»: il canale di comunicazione, diverso dal domicilio digitale, indicato dal destinatario ai fini del ricevimento degli avvisi di cortesia;
r) «SPID»: il Sitema Pubblico di Identità Digitale, disciplinato dall’articolo 64 del CAD.

Note
(3) NDR: In G.U. è riportato il seguente riferimento normativo non corretto: «decreto-legge 17 luglio 2020, n. 76».
(4) NDR: In G.U. è riportato il seguente riferimento normativo non corretto: «decreto-legge 17 luglio 2020, n. 76 76».

Art. 2. Oggetto e ambito di applicazione

1. Il presente decreto, adottato ai sensi dell’articolo 26, comma 15, del decreto-legge, disciplina le modalità di funzionamento della piattaforma digitale per le notifiche prevista dall’articolo 1, comma 402, della legge 27 dicembre 2019, n. 160.

Art. 3. Infrastruttura tecnologica, piano dei test per la verifica del corretto funzionamento e malfunzionamenti

1. Il gestore della piattaforma sviluppa l’infrastruttura tecnologica nel rispetto dei principi di cui all’articolo 26, comma 15, lettera a), del decreto-legge.
2. Prima della sua messa in funzione, il gestore della piattaforma verifica il corretto funzionamento della stessa piattaforma tramite lo svolgimento di test sperimentali. Il piano dei test copre la totalità dei casi d’uso e delle funzionalità assegnate alla piattaforma dal decreto-legge e dal presente decreto attuativo.
3. L’operatività della piattaforma è monitorata da metriche di successo e fallimento delle operazioni eseguite, individuate nel manuale operativo pubblicato sul sito web del gestore della piattaforma e redatto dallo stesso gestore, d’intesa con il Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei ministri, sentita la Conferenza unificata.
4. Costituiscono casi di malfunzionamento della piattaforma tutti gli impedimenti tecnici, rilevati anche automaticamente dal sistema con le modalità di cui al comma 3, che rendono impossibile l’inoltro telematico, da parte dell’amministrazione, dei documenti informatici destinati alla notificazione ovvero, al destinatario e al delegato, l’accesso, il reperimento, la consultazione e l’acquisizione degli stessi documenti informatici, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 26, comma 13, del decreto-legge.
5. Il malfunzionamento della piattaforma viene segnalato sul sito istituzionale della stessa piattaforma, nonché mediante comunicazione ai sistemi informatici dei mittenti. Con le stesse modalità il gestore della piattaforma comunica il ripristino della funzionalità della stessa piattaforma.
6. Il gestore della piattaforma rende disponibili sulla piattaforma le attestazioni di cui all’articolo 26, comma 11, lettere f) e g), del decreto-legge, con le modalità di cui all’articolo 12 del presente decreto, dando specificatamente atto del periodo intercorso tra il malfunzionamento e il ripristino delle sue funzionalità.
7. Il gestore della piattaforma cura la manutenzione della stessa e provvede al suo aggiornamento tecnologico.

Art. 4. Adesione dei mittenti alla piattaforma

1. I mittenti accedono alla piattaforma tramite SPID di livello di sicurezza almeno significativo o CIE del funzionario incaricato di curare le attività istruttorie preliminari all’adesione alla piattaforma.
2. Il funzionario incaricato compila il modulo di adesione, con il quale vengono anche accettate le condizioni del servizio, reso disponibile sulla piattaforma.
3. Il gestore della piattaforma invia al domicilio digitale del mittente, risultante dall’indice dei domicili digitali della Pubblica Amministrazione e dei Gestori di Pubblici Servizi, il modulo di adesione compilato ai sensi del comma 2. Il mittente restituisce il modulo di adesione, sottoscritto con firma digitale del dirigente competente, tramite il canale disponibile in piattaforma.
4. I mittenti, perfezionato il procedimento di adesione, accedono alla piattaforma a mezzo SPID di livello di sicurezza almeno significativo o CIE dei funzionari autorizzati, i cui estremi identificativi vanno inseriti nell’apposita pagina di configurazione.

Art. 5. Accesso dei destinatari alla piattaforma

1. L’autenticazione alla piattaforma ai fini dell’accesso avviene con le modalità di cui all’articolo 26, comma 8, del decreto-legge.
2. Le persone giuridiche accedono alla piattaforma a mezzo SPID o CIE dei rispettivi legali rappresentanti, ovvero dei soggetti delegati con le modalità di cui all’articolo 9. Il gestore della piattaforma verifica la qualità di legale rappresentante dell’utente, inibendo l’accesso in caso di riscontro negativo, mediante accesso al Registro delle Imprese di cui alla legge 29 dicembre 1993, n. 580 e al decreto del Presidente della Repubblica 7 dicembre 1995, n. 581 gestito da InfoCamere ScpA, ovvero, nel caso di enti, associazioni e ogni altro soggetto pubblico o privato non tenuti all’iscrizione nel Registro delle Imprese, mediante accesso alle base dati dell’Agenzia dell’entrate in grado di restituire tale evidenza o mediante acquisizione della dichiarazione sostitutiva di certificazione, resa ai sensi dell’articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica del 28 dicembre 2000 n. 445, attestante la qualità di legale rappresentante e sottoscritta con firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata dallo stesso dichiarante.
3. I destinatari possono eleggere un domicilio digitale di piattaforma o più domicili digitali di piattaforma diversificati in relazione ai vari mittenti, con le modalità indicate nel manuale operativo di cui all’articolo 3, comma 3. Al destinatario è consentito altresì di indicare un recapito digitale tra quelli supportati dalla piattaforma, dove ricevere gli avvisi di cortesia. Il sistema verifica la correttezza di domicilio e recapito digitale attraverso la predisposizione di una funzionalità di conferma da parte del destinatario.

Art. 6. Messa a disposizione del documento informatico sulla piattaforma da parte del mittente

1. Il mittente rende disponibile il documento oggetto di notifica caricandolo sulla piattaforma, nel rispetto delle norme dettate dal CAD e dalle relative Linee Guida, secondo le istruzioni tecniche predisposte dal gestore della piattaforma e individuate nel manuale operativo di cui all’articolo 3, comma 3, comprensive anche del ricorso alle interfacce di servizio informatiche (API).
2. Il mittente identifica il destinatario, specificandone il codice fiscale, il domicilio digitale speciale, ove eletto, e quello fisico e comunica automaticamente i relativi dati al gestore della piattaforma. Il mittente è tenuto altresì a precisare se l’atto da notificare riguardi o meno l’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta dal destinatario.
3. Il gestore della piattaforma, ove necessario, risale automaticamente al domicilio digitale generale, di cui all’articolo 26, comma 5, lettera a), del decreto-legge.
4. Se il documento e la sua modalità di messa a disposizione sono conformi alle regole tecniche, il gestore della piattaforma attribuisce un codice IUN (Identificativo Univoco Notifica) al documento oggetto di notificazione e ai suoi eventuali allegati.
5. Se il documento e la sua modalità di messa a disposizione non sono invece conformi alle regole tecniche, il gestore della piattaforma comunica al mittente l’impossibilità di procedere alla notificazione ed elimina automaticamente i documenti caricati.

Art. 7. Spedizione digitale

1. Il gestore della piattaforma esegue la notificazione presso il domicilio digitale di piattaforma eletto dal destinatario. In mancanza del predetto domicilio ovvero nel caso in cui lo stesso risulti saturo, non valido o non attivo, il gestore esegue la notificazione presso il domicilio digitale speciale del destinatario. Se neanche quest’ultimo risulta eletto ovvero nel caso in cui lo stesso risulti saturo, non valido o non attivo, la spedizione digitale viene eseguita presso il domicilio digitale generale del destinatario rilevato al momento dell’invio.
2. Il gestore della piattaforma effettua il secondo tentativo di cui all’articolo 26, comma 6, del decreto-legge, solo dopo avere verificato che tutti i domicili digitali del destinatario, previsti al comma 5 del suddetto decreto-legge, risultano saturi, non validi o non attivi. Il secondo tentativo di consegna viene effettuato presso ciascuno dei domicili digitali risultati saturi, non validi o non attivi decorsi almeno sette giorni da quando il sistema ha rilevato la condizione di saturazione, di non validità o di non attività che impedisce la ricezione di nuove notificazioni. Se all’atto del secondo tentativo, il domicilio digitale di piattaforma è stato nel frattempo modificato dal destinatario, il gestore esegue la notificazione anche presso quest’ultimo indirizzo.
3. Nei casi in cui la casella di posta elettronica certificata o il servizio di recapito certificato qualificato risultano saturi, non validi o non attivi, anche a seguito del secondo tentativo di consegna, il gestore della piattaforma rende disponibile in apposita area riservata, per ciascun destinatario della notificazione, l’avviso di mancato recapito del messaggio, di cui all’articolo 26, comma 6, del decreto-legge, con cui vengono indicate le ragioni della mancata consegna dell’avviso di avvenuta ricezione in formato elettronico e le modalità di acquisizione del documento informatico oggetto di notificazione. Il gestore della piattaforma, inoltre, dà notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto a mezzo di lettera raccomandata.

Art. 8. Consultazione degli atti da parte del destinatario

1. Il sistema consente al destinatario che accede alla piattaforma di reperire, consultare e acquisire i documenti informatici oggetto di notificazione. Per ciascuna notifica, la piattaforma consente di visualizzare: il mittente, la data e l’ora di messa a disposizione dell’atto sulla piattaforma, l’atto notificato, lo storico del processo di notifica, che include atti opponibili a terzi e avvisi di mancato recapito, e codice identificativo univoco della notifica (IUN).
2. Il destinatario può scaricare e inviare a terzi la copia del documento, tramite l’apposita funzionalità messa a disposizione dal gestore della piattaforma e quelle ulteriori eventualmente offerte dal sistema operativo sottostante.
3. Il gestore della piattaforma attesta la data e l’ora in cui il destinatario o il delegato accedono, tramite la piattaforma, all’atto oggetto di notificazione, mediante un sistema di marcatura temporale certificato validamente opponibile a terzi.
4. La notificazione si perfeziona ai sensi dell’articolo 26, comma 9, del decreto-legge.

Art. 9. Delega per l’accesso alla piattaforma

1. I destinatari, attraverso una specifica funzionalità della piattaforma, nonché attraverso il sistema di cui all’art. 64-ter del CAD, possono conferire ai soggetti delegati, indicati all’articolo 26, comma 2, lettera e), del decreto-legge, il potere di accedere alla piattaforma per reperire, consultare e acquisire, per loro conto, atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni notificati dalle amministrazioni.
2. La delega conferita attraverso una specifica funzionalità della piattaforma contiene nome, cognome e codice fiscale del soggetto delegato, e può essere conferita per tutti o anche soltanto per alcuni specifici mittenti. La piattaforma elabora un codice di accettazione che il delegante comunica al delegato.
3. Il soggetto delegato, accedendo alla piattaforma, presa visione della proposta di delega, procede alla sua accettazione, inserendo sulla piattaforma il codice di accettazione fornitogli dal delegante.
4. La piattaforma consente al destinatario di revocare in ogni tempo la delega conferita, informando automaticamente il delegato. La piattaforma consente altresì al delegato di rinunciare in ogni tempo alla delega, informando automaticamente il delegante.
5. La piattaforma invia al destinatario, con periodicità mensile, un promemoria delle deleghe attive, e consente altresì allo stesso di monitorare in ogni tempo gli accessi operati per suo conto sulla piattaforma.
6. La funzionalità di conferimento della delega, di cui ai commi precedenti, viene utilizzata anche nei casi in cui il legale rappresentante dell’ente giuridico destinatario ovvero delegato intenda conferire il potere di accedere alla piattaforma ad uno o più dipendenti del medesimo ente. In tal caso, la piattaforma consente di circoscrivere la delega in relazione ad uno o più mittenti, non è richiesta accettazione da parte del delegato e non è prevista la possibilità di rinuncia.

Art. 10. Notificazione in forma analogica

1. Nell’ipotesi di cui all’articolo 26, comma 7, del decreto-legge, l’avviso di avvenuta ricezione, in formato cartaceo e in busta chiusa, viene notificato a mezzo posta direttamente dal gestore della piattaforma.
2. L’avviso di avvenuta ricezione indica il mittente, l’identificativo univoco della notificazione (IUN), le modalità con le quali è possibile accedere alla piattaforma, nonché le modalità attraverso cui il destinatario può ottenere la copia cartacea degli atti oggetto di notificazione.
3. Al fine di consentire l’estrazione della copia analogica del documento anche da parte dei destinatari privi di SPID o CIE, l’avviso di avvenuta ricezione indica anche le modalità di accesso digitale semplificato all’atto notificato, attraverso link, bar code, QR code o altra tecnologia equivalente. L’accesso semplificato può essere utilizzato per un numero limitato di volte e per un lasso temporale prestabilito espressamente indicati nell’avviso di avvenuta ricezione.
4. Al destinatario è sempre consentito di rivolgersi al fornitore del servizio universale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, affinché quest’ultimo gli consenta di estrarre copia analogica del documento informatico disponibile sulla piattaforma, tramite l’accesso semplificato di cui al comma 3. Con le stesse modalità di cui al periodo precedente, al destinatario è sempre consentito ottenere copia analogica delle attestazioni di cui all’articolo 12.
5. Nei casi previsti dall’articolo 26, comma 7, sesto periodo, del decreto-legge, il destinatario può acquisire copia dell’avviso di avvenuta ricezione tramite il fornitore del servizio universale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, fornendo le generalità e il codice fiscale.
6. Il gestore della piattaforma invia all’addetto al recapito postale le generalità, il codice fiscale e l’indirizzo fisico del destinatario nonché il codice IUN. La piattaforma riceve dall’addetto al recapito postale i dati sullo stato della notificazione.
7. L’addetto al recapito postale comunica al gestore della piattaforma l’esito degli accertamenti di cui all’art. 26, comma 7, quarto periodo, del decreto-legge, mediante interfacce di servizio informatiche (API).
8. Per le finalità di cui all’articolo 26, comma 12, del decreto-legge, l’addetto al recapito postale inoltra alla piattaforma, mediante interfacce di servizio informatiche (API), la copia digitale conforme all’originale dell’avviso di avvenuta ricezione cartaceo e degli atti relativi alla notificazione effettuata in forma analogica. Il gestore della piattaforma conserva tali documenti in formato digitale e rilascia le attestazioni di cui all’articolo 12, comma 1, lettera h). La versione cartacea di tali documenti viene conservata dall’addetto al recapito postale.

Art. 11. Avviso di cortesia

1. Il gestore della piattaforma invia ai destinatari un avviso di cortesia in modalità informatica contenente le stesse informazioni dell’avviso di avvenuta ricezione, nei casi previsti dall’articolo 26, comma 5-bis, 6, e 7 del decreto-legge.
2. L’avviso di cortesia è reso disponibile altresì tramite il punto di accesso di cui all’articolo 64-bis del CAD. Gli utenti di app IO, che risultino avere attivato il servizio di messaggistica, ricevono un messaggio che consente di abilitare il servizio di messaggistica anche per la ricezione degli avvisi di cortesia di cui al presente articolo.

Art. 12. Attestazioni del gestore della piattaforma

1. Il gestore della piattaforma rilascia, con valore legale opponibile ai terzi, ai sensi dell’articolo 26, comma 11, del decreto-legge, le attestazioni relative:
a) alla data e ora di messa a disposizione dei documenti informatici sulla piattaforma da parte delle amministrazioni, con indicazione della sequenza crittografica (hash) identificativa di ciascun documento associato allo IUN;
b) all’indirizzo del destinatario risultante, alla data e ora dell’invio dell’avviso di avvenuta ricezione, da uno degli elenchi di cui agli articoli 6-bis, 6-ter e 6-quater del CAD o che sia stato eletto ai sensi dell’articolo 26, comma 5, lettere b) o c), del decreto legge;
c) alla data e ora di invio e di consegna al destinatario dell’avviso di avvenuta ricezione in formato elettronico e alla data di ricezione del messaggio di mancato recapito alle caselle di posta elettronica certificata o al servizio elettronico di recapito certificato qualificato risultanti sature, non valide o non attive;
d) alla data e ora in cui il gestore della piattaforma ha reso disponibile l’avviso di mancato recapito del messaggio ai sensi dell’articolo 26, comma 6, del decreto-legge;
e) alla data e ora in cui il destinatario ha avuto accesso al documento informatico oggetto di notificazione;
f) al periodo di malfunzionamento della piattaforma;
g) alla data e ora di ripristino delle funzionalità della piattaforma;
h) alla conformità all’originale della copia informatica dell’avviso di avvenuta ricezione cartaceo e degli atti relativi alla notificazione effettuata con le modalità di cui all’articolo 26, comma 7, del decreto-legge.
2. Il documento contenente le attestazioni di cui al comma 1, viene generato e marcato temporalmente dal sistema. Il gestore della piattaforma adotta tutte le misure tecnologiche idonee a garantirne l’autenticità l’integrità e l’immodificabilità Le attestazioni sono accessibili, attraverso la piattaforma, da parte dei mittenti, destinatari, e loro delegati e, per i soli mittenti, anche mediante interfacce di servizio informatiche (API).

Art. 13. Obblighi e responsabilità

1. I mittenti rimangono responsabili del contenuto degli atti notificati tramite la piattaforma, nonché delle informazioni fornite al gestore della stessa.
2. Il gestore della piattaforma è responsabile del corretto funzionamento del servizio di notificazione tramite la piattaforma e delle attività direttamente effettuate, fatte salve le responsabilità dell’operatore postale ovvero del gestore del fornitore del servizio universale per le attività di rispettiva competenza.

Art. 14. Trattamento dei dati personali

1. I mittenti sono titolari del trattamento dei dati utilizzati per l’invio al gestore della piattaforma degli atti da notificare, nonché per la trasmissione e conservazione degli stessi. I mittenti possono trattare tramite la piattaforma anche particolari categorie di dati personali e giudiziari ai sensi, rispettivamente, degli articoli 9, comma 1, e 10 del Regolamento (UE) 679/2016.
2. Il gestore della piattaforma è titolare del trattamento dei dati necessari all’accesso alla piattaforma a mezzo SPID o CIE da parte dei destinatari, dei dati necessari per l’adesione e l’accesso dei mittenti, e di ogni altro dato inerente alla gestione di ogni attività strumentale all’utilizzo della piattaforma stessa, ivi inclusa l’acquisizione dei domicili digitali delle persone fisiche.
3. Il gestore della piattaforma agisce per conto dei mittenti, in qualità di responsabile del trattamento ai sensi dell’articolo 28 del Regolamento UE 2016/679 per i trattamenti diversi da quelli di cui al comma 2 e necessari alla gestione del servizio di notificazione, di invio degli avvisi di cortesia e degli avvisi di pagamento tramite la piattaforma.
4. L’addetto al recapito postale agisce come titolare del trattamento per l’espletamento delle funzioni a lui affidate ai fini della fornitura del servizio di spedizione degli atti da notificare in modalità analogica.
5. Il fornitore del servizio universale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, agisce come responsabile del trattamento per lo sviluppo della piattaforma anche attraverso il riuso dell’infrastruttura tecnologica esistente.
6. Al fine di assicurare ai destinatari l’accessibilità di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni e dei relativi documenti informatici oggetto di notificazione, il gestore della piattaforma conserva i dati relativi per il tempo previsto dall’articolo 15.
7. Il gestore della piattaforma implementa misure di sicurezza appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi delle persone fisiche.
8. Il gestore della piattaforma effettua, prima dell’inizio dell’attività di trattamento, la valutazione di impatto ai sensi dell’articolo 35 del Regolamento (UE) 679/2016 e consulta il Garante per la protezione dei dati personali ai sensi dell’art. 36 dello stesso Regolamento. Nella valutazione di impatto sono indicate tra l’altro, le misure tecniche e organizzative idonee a garantire un livello di sicurezza adeguato al rischio, nonché le eventuali misure poste a tutela dei diritti e delle libertà degli interessati.
9. Il gestore della piattaforma, previa aggregazione, può utilizzare i dati acquisiti per finalità di miglioramento dei servizi erogati, nonché per lo sviluppo della piattaforma e la valorizzazione del patrimonio aziendale.

Art. 15. Conservazione dei documenti informatici resi disponibili sulla piattaforma

1. Il gestore della piattaforma conserva i documenti oggetto delle attestazioni di cui all’articolo 12 per dieci anni dalla data del perfezionamento della notifica per il destinatario, nel rispetto delle disposizioni del Regolamento (UE) 679/2016 e del CAD.
2. Gli atti oggetto di notificazione restano invece disponibili sulla piattaforma per centoventi giorni successivi alla data di perfezionamento della notifica per il destinatario. Tale circostanza è espressamente indicata nell’avviso di avvenuta ricezione.
3. Il gestore della piattaforma garantisce l’accesso ai documenti e agli atti di cui ha la disponibilità, per i periodi rispettivamente previsti dai commi 1 e 2, a mittenti e destinatari interessati, inclusi i loro delegati, previa loro identificazione tramite SPID o CIE.

Art. 16. Tavolo di monitoraggio

1. Al fine di procedere alla verifica e al monitoraggio in ordine al funzionamento della piattaforma e al suo effettivo utilizzo da parte delle amministrazioni è istituito, presso il Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei ministri, un apposito tavolo di monitoraggio al quale partecipano rappresentanti delle amministrazioni centrali, della Conferenza delle regioni e delle province autonome, dell’ANCI e dell’UPI, nonché del soggetto gestore della piattaforma.
2. Ai componenti del tavolo di monitoraggio non spettano compensi, gettoni, emolumenti o indennità comunque definiti né rimborsi di spese e dalla loro partecipazione allo stesso tavolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Art. 17. Disposizioni finali

1. All’attuazione delle disposizioni di cui al presente decreto si provvede nei limiti delle risorse finanziarie, umane e strumentali disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.


Nullità della notifica del ricorso introduttivo: è sempre ammessa la rinnovazione

Dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 148 del 9 luglio 2021, che ha dichiarato parzialmente incostituzionale l’art. 44, comma 4, del Codice del processo amministrativo, in caso di nullità della notifica il giudice deve sempre ordinare la sua rinnovazione e perciò, senza giudicare sulla scusabilità dell’errore, assegnare alla parte ricorrente un nuovo termine che, ove rispettato, consente la sanatoria in via retroattiva del relativo vizio processuale. Il patrocinio in giudizio delle università pubbliche da parte dell’Avvocatura di Stato, anche dopo la legge 9 maggio 1989, n. 168, è comunque un patrocinio ex lege, “organico ed esclusivo”, originando il rapporto tra Avvocatura e l’ateneo assistito direttamente dalla legge ordinaria. Per le amministrazioni universitarie il regime processuale delle notifiche diverge da quello previsto per le amministrazioni statali e perciò non opera la regola di cui all’art. 11 R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611. Questo afferma Consiglio di Stato, sez. VI, con la sentenza 4 aprile 2022, n. 2442.
La sentenza tratta del regime dei vizi della notifica degli atti introduttivi del processo amministrativo e il caso riguarda l’impugnazione degli esiti di una procedura di individuazione del contraente, di cui al D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), disposta da un’università pubblica.
L’aggiudicazione del contratto di appalto era stata impugnata una prima volta e il Tar Lombardia aveva pronunciato l’annullamento dell’aggiudicazione per vizi inerenti il giudizio di congruità sull’offerta. Rinnovato il procedimento di verifica, l’università – stazione appaltante confermava l’aggiudicazione ma tale aggiudicazione veniva nuovamente impugnata e il ricorso veniva notificato presso la sede dell’Avvocatura distrettuale dello Stato, ma non presso la sede dell’ateneo.
La questione si affronta partendo necessariamente dalla qualificazione dell’ente intimato per poi passare al regime del vizio processuale.
Secondo un orientamento consolidato, alle università statali, dopo la riforma della L. 9 maggio 1989, n. 168 sull’autonomia universitaria, non compete più la qualità di organi dello Stato, bensì quella di enti pubblici autonomi; ne consegue che, ai fini della rappresentanza e difesa ex lege da parte dell’Avvocatura dello Stato, non opera il patrocinio obbligatorio degli artt. da 1 a 11 r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, bensì, in virtù dell’art. 56 r.d. 31 agosto 1933, n. 1592, non abrogato dalla citata legge n. 168/1989, il patrocinio c.d. autorizzato (o facoltativo) degli art. 43 (come modificato dall’art. 11 della L. 3 aprile 1979 n. 103) e 45 del r.d. n. 1611/1933, con i limitati effetti di una tale forma di assistenza legale, e segnatamente:
a) esclusione della necessità del mandato e facoltà, salvo i casi di conflitto, di non avvalersi dell’Avvocatura dello Stato con apposita e motivata delibera;
b) inapplicabilità del foro dello Stato (art. 25 c.p.c.) e dunque della domiciliazione presso l’Avvocatura dello Stato ai fini della notificazione di atti e provvedimenti giudiziali (art. 144 c.p.c.), previsti per le sole amministrazioni dello Stato (ex plurimis: Cass. civ. sez. Unite, sent. 10/05/2006, n. 10700, Cons. stato sez. VI, sent. 22/04/2020, n. 2556).
Relativamente agli enti di istruzione e ricerca, analoghe considerazioni:
• valgono per le Accademie delle Belle Arti, dopo la riforma di cui alla l. 21 dicembre 1999, n. 508 (Tar Puglia, Lecce sez. III, sent. 28 maggio 2021, n. 820) ed Enti pubblici di ricerca (INGV, ASI, OGS etc., Tar Friuli-Venezia Giulia, Sez. I, ord. 22 ottobre 2020, n. 363);
• non valgono per Uffici scolastici regionali, Istituti scolastici e Circoli didattici statali (Tar Campania, Salerno sez. II, sent. 21 agosto 2017, n. 1310; Cons. stato sez. VI, sent. 24 giugno 2015, n. 3202).
L’art. 11 r.d. n. 1611/33 prevede che: “tutte le citazioni, i ricorsi e qualsiasi altro atto di opposizione giudiziale, nonché le opposizioni ad ingiunzione e gli atti istitutivi di giudizi che si svolgono innanzi alle giurisdizioni amministrative o speciali, od innanzi agli arbitri, devono essere notificati alle Amministrazioni dello Stato presso l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l’Autorità giudiziaria innanzi alla quale è portata la causa, nella persona del Ministro competente.
Ogni altro atto giudiziale e le sentenze devono essere notificati presso l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l’Autorità giudiziaria presso cui pende la causa o che ha pronunciato la sentenza.
Le notificazioni di cui ai commi precedenti devono essere fatte presso la competente Avvocatura dello Stato a pena di nullità da pronunciarsi anche d’ufficio”.
Ne deriva che la notifica dell’atto introduttivo (o della sentenza, per la decorrenza del termine breve) presso l’Avvocatura dello Stato è valida per i soli casi in cui l’Avvocatura stessa abbia la rappresentanza necessaria (patrocinio obbligatorio) delle amministrazioni.
Nel Codice del processo amministrativo la disciplina dei vizi del ricorso e della notificazione è contenuta nell’art. 44 che è stato in due occasioni dichiarato parzialmente incostituzionale. Da ultimo, con la sentenza del 9 luglio 2021, n. 148, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità del quarto comma limitatamente all’incidentale, “se ritiene che l’esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante,” in relazione agli artt. 3, 24 e 113 Cost.
La Corte ha ravvisato che nel processo amministrativo, nel quale vi sono termini decadenziali per l’azione e non opera l’istituto contumaciale, la limitazione della rinnovazione della notificazione del ricorso alle sole ipotesi in cui la nullità non sia imputabile al notificante «non risulta proporzionata agli effetti che ne derivano, tanto più che essa non è posta a presidio di alcuno specifico interesse che non sia già tutelato dalla previsione del termine di decadenza».
La notifica di un ricorso giurisdizionale presso la sede dell’Avvocatura distrettuale anziché presso la sede dell’ateneo costituisce vizio sanabile perché determina un’unica conseguenza automatica: l’onere di integrazione del contraddittorio processuale mediante rinnovazione della notifica; il vizio non è di inammissibilità o irricevibilità dell’atto (art. 35. Cod. proc. amm.). Naturalmente la sanatoria del vizio può avvenire anche mediante costituzione in giudizio dell’ateneo intimato. In ogni caso l’inescusabilità dell’errore del notificante è ormai una circostanza neutra, senza valore né conseguenze processuali.
Certamente, ragioni di proporzionalità ed efficienza processuale, inducono ad ammettere la sanabilità una tantum, e non anche qualora pure la seconda notifica sia nuovamente nulla (per la medesima ragione per la quale lo fu la prima), ma sul punto non risultano pronunce.
In conclusione, a proposito del vizio di notifica è necessario tener presente che, indipendentemente da quanto deciso dalla Corte Costituzionale in merito all’art. 44, comma 4, Cod. proc. amm., nel tempo si è formato anche un indirizzo giurisprudenziale alternativo, maggiormente severo.
Il Consiglio di Stato, in qualche occasione, ha infatti dichiarato che la notifica fatta presso l’Avvocatura dello Stato non è solamente nulla, ma persino “inesistente” in quanto manca un collegamento fra il destinatario dell’atto e il luogo in cui la notifica è effettuata (Cons. stato sez. VI, sent. 23 maggio 2019, n. 3381 e Cons. stato sez. IV, sent. 13 ottobre 2014, n. 5046). Laddove si prospetti l’inesistenza della notifica, la radicalità del vizio non comporterebbe la sanabilità mediante rinnovazione.


Notifica postale valida, anche se l’A.R. ha la firma del consegnatario illeggibile

La notifica è valida anche quando manca l’indicazione delle generalità della persona cui l’atto è stato consegnato e questi abbia apposto sulla “ricevuta di ritorno” una sottoscrizione non intelligibile.
Ai sensi dell’articolo 26 del Dpr n. 602 del 1973 è ammessa la notificazione “diretta” della cartella di pagamento a mezzo di raccomandata cosiddetta “ordinaria”, per il cui perfezionamento è sufficiente che la consegna del plico sia stata eseguita presso il domicilio del destinatario e che l’agente postale abbia acquisito sul registro di consegna e sull’avviso di ricevimento la firma di un legittimo consegnatario.
Questa, in sintesi, la regula iuris ribadita dalla Commissione tributaria regionale del Lazio nella sentenza n. 157 del 17 gennaio 2022, ove si precisa altresì che, in questa ipotesi, la notifica è valida anche nel caso in cui sull’A.R. manchi l’indicazione delle generalità della persona cui l’atto è stato consegnato e altresì quando questi abbia apposto sulla “ricevuta di ritorno” una sottoscrizione non intelligibile.
Un contribuente impugnava dinanzi la Commissione tributaria provinciale di Roma l’estratto di ruolo relativo a cartella di pagamento emessa nei suoi confronti per vari tributi.
Il Giudice accoglieva il gravame, ritenendo invalida la notificazione dell’atto della riscossione, che risultava essere stata eseguita a mani del portiere dello stabile in cui era il recapito del destinatario.
Ricorrendo in appello, la parte pubblica lamentava l’errata valutazione dei fatti e degli atti di causa per violazione dell’articolo 26 del Dpr n. 602 del 1973 e dell’articolo 7 della legge n. 890 del 1982, entrambi concernenti la disciplina della notificazione.
In particolare, l’appellante ribadiva la piena legittimità della notifica della cartella eseguita all’indirizzo del contribuente a mezzo di raccomandata postale, nelle mani di persona ivi rinvenuta che si era qualificata portiere.
La Commissione tributaria regionale del Lazio ha ribaltato il verdetto di prime cure, affermando la regolarità della notifica dell’atto riscossivo oggetto del contendere, e richiamando sul punto la giurisprudenza di legittimità per la quale, in base all’articolo 26 del Dpr n. 602/1973, la cartella di pagamento può essere notificata anche direttamente da parte dell’agente della riscossione mediante raccomandata “ordinaria” con avviso di ricevimento, con la conseguenza che, per il perfezionamento del relativo iter procedimentale, è sufficiente “che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento ad opera dell’ufficiale postale se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente”.
Nella fattispecie per la ritualità della notifica non è necessaria né l’indicazione sull’A.R. delle generalità della persona cui l’atto è stato consegnato, né che la relativa sottoscrizione sia intelligibile: ciò in quanto la relazione tra la persona cui il piego è destinato e quella cui è stato consegnato “costituisce oggetto di un preliminare accertamento di competenza dell’ufficiale postale, assistito dall’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c.c. ed eventualmente solo in tal modo impugnabile, stante la natura di atto pubblico dell’avviso di ricevimento della raccomandata”.
La disciplina positiva della notificazione degli atti del procedimento amministrativo tributario prevede una serie di strumenti e modalità a disposizione degli uffici e dell’Agente della riscossione. A grandi linee, la notifica nei confronti del contribuente può avvenire sia per il tramite di un agente notificatore (ad esempio, ufficiale giudiziario, messo comunale, messo speciale autorizzato), sia “direttamente”, vale a dire senza l’intermediazione di detto pubblico ufficiale, a mezzo del servizio postale o attraverso la posta elettronica certificata. Per quanto riguarda in particolare la cartella di pagamento, l’articolo 26, primo comma, del Dpr n. 602 del 1973, dopo aver disposto al primo periodo che la cartella “è notificata dagli ufficiali della riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale…”, nel periodo immediatamente successivo precisa che la notifica “può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento…”.
In proposito, l’orientamento della Corte Suprema di Cassazione è costante nell’affermare che la notificazione della cartella può essere eseguita “anche mediante invio diretto, da parte dell’agente della riscossione, di raccomandata con avviso di ricevimento, senza l’intermediazione dei soggetti indicati nel primo periodo del primo comma dell’art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973 …, atteso che il secondo periodo di tale comma prevede una modalità di notificazione alternativa rispetto a quella del primo periodo e integralmente affidata all’agente della riscossione e all’ufficiale postale” (Corte Suprema di Cassazione, n. 7746/2022, n. 8362/2022, n. 11431/2022 e n. 11469/2022).
Inoltre, è stato chiarito che quando la notifica della cartella è eseguita mediante raccomandata postale “diretta” trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della legge n. 890 del 1982 (Corte Suprema di Cassazione n. 4820/2022, n. 6820/2022, n. 9989/2022, n. 12706/2022; n. 36403/2021) e che, di conseguenza, “non deve essere redatta alcuna relata di notifica o annotazione specifica sull’avviso di ricevimento, e quindi in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico” (Corte Suprema di Cassazione n. 17289/2021, n. 20766/2021, n. 35641/2021, n. 36215/2021).
Con riguardo al profilo della sottoscrizione illeggibile apposta sull’A.R. il Giudice di nomofilachia è costante nel ritenere che anche laddove manchino sull’avviso di ricevimento “le generalità della persona cui l’atto è stato consegnato… e la relativa sottoscrizione sia addotta come inintelligibile, l’atto è pur sempre valido, poiché la relazione tra la persona cui esso è destinato e quella cui è stato consegnato costituisce oggetto di un preliminare accertamento di competenza dell’ufficiale postale, assistito dall’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c. c. ed eventualmente solo in tal modo impugnabile, stante la natura di atto pubblico dell’avviso di ricevimento della raccomandata” (Corte Suprema di Cassazione n. 4160/2022, n. 6041/2022, n. 7746/2022, n. 11461/2022).


Gli accertamenti tributari per omessa dichiarazione si notificano dopo sei anni

La Corte Suprema di Cassazione torna ad occuparsi dei termini decadenziali entro i quali occorre notificare gli accertamenti relativi ai tributi comunali. La sentenza 20 maggio 2022, n. 16467 ricostruisce minuziosamente il quadro di riferimento, arrivando a una conclusione, non solo condivisibile e confermativa di altri casi, ma soprattutto chiarissima, sicché il problema che ancora oggi vede qualche giudice di merito seguire altri sentieri interpretativi, dovrebbe ritenersi definitivamente risolto. La Corte Suprema di Cassazione si occupa di un’omessa dichiarazione Ici/Imu di un’area fabbricabile, ma le conclusioni, ovviamente, valgono anche per gli altri tributi comunali. La sentenza in commento merita anche di essere segnalata per un’altra importante conferma, ovvero l’assoggettabilità ad Imu come area fabbricabile delle aree destinate ad attrezzature e impianti di interesse generale, come il verde pubblico.


Riunione Giunta Esecutiva del 28.05.2022

RINVIATA CAUSA COVID 19

Ai sensi dell’art. 14 dello Statuto, viene convocata in PRESENZA la riunione della Giunta Esecutiva, che si svolgerà sabato 28 Maggio 2022 alle ore 8:30, in prima convocazione, e alle ore 10:30 in seconda convocazione, presso il Comune di Cesena – Palazzo Municipale – Piazza del Popolo 10, per deliberare sul seguente ordine del giorno:

1. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2022;
2. Attività formativa 2022;
3. Varie ed eventuali.

Leggi: Giunta Esecutiva – Documentazione


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 11/05/2022) 20/05/2022, n. 16467

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. PAOLITTI Liberato – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 472-2016 proposto da:

IMMOBILIARE ANGEBA S.a.S. DI M.M., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell’Avvocato CATALDO D’ANDRIA, che la rappresenta e difende assieme all’Avvocato ALBERTO ALFREDO FERRARIO giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MILANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’Avvocato RAFFAELE IZZO, che lo rappresenta e difende assieme agli Avvocati ANTONELLO MANDARANO, RUGGERO MERONI, ENRICO BARBAGIOVANNI ed IRMA MARINELLI giusta procura speciale estesa in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2299/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA DELLA LOMBARDIA, depositata il 26/5/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’11/5/2022 dal Consigliere Relatore Dott.ssa DELL’ORFANO ANTONELLA;

lette le conclusioni scritte depositate dal P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale SOLDI ANNAMARIA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Immobiliare Angeba S.a.S. di M.M. propone ricorso, affidato a cinque motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria della Lombardia aveva respinto l’appello avverso la sentenza n. 63/44/2013 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano in rigetto del ricorso avverso avvisi di accertamento ICI 2006-2010 relativi ad un terreno di proprietà della ricorrente, per il quale era stata chiesta autorizzazione per la costruzione di un edificio.

La Commissione Tributaria Regionale, in particolare, aveva confermato la sentenza di primo grado sul rilievo che il Comune non fosse incorso in decadenza di accertamento per l’anno 2006, non avendo la ricorrente mai prodotto le dichiarazioni relative all’immobile per cui è causa, che non sussisteva l’obbligo di allegazione, all’atto impositivo, degli atti cui si faceva riferimento nella motivazione in quanto atti generali, come le delibere comunali, e che infine fosse corretta la determinazione del valore venale dell’area accertata ai fini ICI. Il Comune resiste con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva.

Motivi della decisione
1.2. Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente denuncia violazione di norme di diritto (D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, comma 2, D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10, comma 4, L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 173) in quanto assume che la Commissione Tributaria Regionale avrebbe erroneamente affermato la tempestività dell’avviso di accertamento relativo all’annualità 2006, notificato nel 2012, non avendo la ricorrente mai prodotto le dichiarazioni relative all’immobile per cui è causa.

1.2. La censura va disattesa.

1.3. La questione oggetto di scrutinio è l’individuazione del dies a quo rilevante ai fini della decadenza del potere di accertamento in materia di ICI nei diversi casi di omesso versamento di imposta e di omessa dichiarazione.

1.4. La L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, prevede che “gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonchè all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati. Entro gli stessi termini devono essere contestate o irrogate le sanzioni amministrative tributarie, a norma del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, artt. 16 e 17, e successive modificazioni”.

1.5. Con tale disposizione il legislatore ha sostituito i termini stabiliti dal D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 10 e 11 e, più in generale, ha provveduto ad unificare per i tributi comunali e provinciali la disciplina relativa all’attività di accertamento, dettando disposizioni comuni sulla notifica degli atti di accertamento e di riscossione, sulla nomina dei messi notificatori e l’esercizio delle relative funzioni, sui requisiti essenziali degli atti di accertamento e, per quello che qui interessa, individuando i termini, a pena di decadenza, per la notifica degli atti di accertamento e del primo atto di riscossione.

1.6. In particolare, la norma sopra indicata subordina alla notifica di atto di accertamento, sia l’attività di rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli, o, anche, dei parziali o ritardati versamenti, sia l’attività svolta d’ufficio, in caso di omesse dichiarazioni o omessi versamenti.

1.7. Tutti gli avvisi di accertamento devono essere notificati al contribuente in un unico termine, previsto a pena di decadenza, “entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati”.

1.8. Per delimitare dal punto di vista temporale l’esercizio del potere impositivo è necessario distinguere due diversi dies a quo dai quali iniziare il computo del termine di decadenza previsto per i tributi locali.

1.9. Ed invero, nel caso in cui il contribuente presenta una dichiarazione ed omette il versamento, per individuare il dies a quo deve farsi riferimento al termine entro il quale il tributo avrebbe dovuto essere pagato.

1.10. A questo proposito, per quanto riguarda l’ICI, si rileva che il tributo doveva essere versato per “l’anno in corso in due rate delle quali la prima, entro il 16 giugno (…). La seconda rata deve essere versata dal 10 al 16 dicembre, a saldo dell’imposta dovuta per l’intero anno (…)” (D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10, comma 2).

1.11. L’ICI, in vigore fino al 2011, è stata sostituita dall’IMU la quale prevede termini analoghi a quelli sopra riportati con la possibilità del pagamento del tributo in un’unica rata il 16 giugno (D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 9, comma 3), termini che non risultano modificati a seguito del più recente intervento in materia di IMU (L. n. 160 del 2019, art. 1, comma 762).

1.12. Nel caso in cui il contribuente abbia omesso la presentazione della dichiarazione, per individuare il dies a quo deve invece farsi riferimento al termine entro il quale egli avrebbe dovuto presentarla.

1.13. A questo proposito, ai fini ICI, i soggetti passivi “devono dichiarare gli immobili posseduti nel territorio dello Stato (…) entro il termine della dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui il possesso ha avuto inizio (…) La dichiarazione ha effetto anche per gli anni successivi semprechè non si verifichino modificazioni dei dati ed elementi dichiarati cui consegua un diverso ammontare dell’imposta dovuta; in tal caso il soggetto interessato è tenuto a denunciare nelle forme sopra indicate le modificazioni intervenute, entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui le modificazioni si sono verificate” (citato D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10, comma 4).

1.14. Per quanto concerne l’IMU “i soggetti passivi devono presentare la dichiarazione entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui il possesso degli immobili ha avuto inizio o sono intervenute variazioni rilevanti ai fini della determinazione dell’imposta (…). La dichiarazione ha effetto anche per gli anni successivi sempre che non si verifichino modificazioni dei dati ed elementi dichiarati cui consegua un diverso ammontare dell’imposta dovuta” (D.L. n. 201 del 2011, art. 13, comma 12-ter, conv. in L. n. 214 del 2011), disposizione rimasta sostanzialmente invariata per effetto della L. n. 160 del 2019, art. 1, comma 769.

1.15. Pertanto, nel primo caso sopra riportato, nel quale la dichiarazione è stata presentata ed omesso il versamento, il primo dei cinque anni previsti dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, è quello successivo a quello oggetto di accertamento e nel corso del quale il maggior tributo avrebbe dovuto essere pagato; nel secondo caso in cui la dichiarazione non è stata presentata, il Comune ha un termine più ampio per effettuare l’accertamento del tributo.

1.16. In particolare, per quanto riguarda la dichiarazione ICI, per la presentazione della quale si faceva riferimento al termine di presentazione della dichiarazione dei redditi, il riferimento è al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, il quale nel testo in vigore ratione temporis prevedeva che “le persone fisiche e le società (di persone) o le associazioni (…) presentano la dichiarazione (…) tra il 1 maggio ed il 30 giugno ovvero in via telematica entro il 30 settembre dell’anno successivo a quello di chiusura del periodo di imposta”.

1.17. Per quanto riguarda l’IMU è, come detto, espressamente previsto come termine di presentazione della dichiarazione il 30 giugno dell’anno successivo a quello di inizio di possesso o di intervenuta variazione, rilevante ai fini della determinazione dell’imposta.

1.18. Tenuto conto di ciò, nei casi di omessa dichiarazione, il primo dei cinque anni previsti dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, è il secondo anno successivo a quello oggetto di accertamento, e dunque se, per ipotesi, l’anno in cui è iniziato il possesso o è intervenuta la variazione è il 2017, la relativa dichiarazione deve essere presentata nel 2018, con la conseguenza che il primo anno dei cinque previsti per la decadenza dal potere impositivo è perciò il 2019, con l’ulteriore risultato che il termine per la notifica dell’avviso di accertamento da parte dell’Ente impositore scadrà il 31 dicembre 2023.

1.19. Nella fattispecie oggetto del presente scrutinio, con l’avviso di accertamento relativo all’anno 2006, notificato il 25.7.2012, veniva contestato alla contribuente l’omesso pagamento e l’omessa dichiarazione ICI relativa anche alla suddetta annualità di imposta.

1.20. Risulta non contestata tra le parti la circostanza che a seguito di variante al P.R.G., adottata in data 8.3.1972, l’area in questione “risulta(va)… destinata a servizi pubblici” con conseguente sospensione, da parte del Comune, della richiesta di concessione edilizia presentata dalla contribuente in data 8.5.1969, successivamente respinta, nell’aprile 1984, in quanto in contrasto con le previsioni del P.R.G. che destinavano l’area in questione a spazi pubblici o riservati alle attività collettive a livello comunale.

1.21. E’ parimenti non contestato che la contribuente non abbia mai adempiuto all’obbligo di presentare la dichiarazione ai fini ICI con riguardo all’area in questione, il che diede luogo agli avvisi di accertamento impugnati.

1.22. Alla luce di quanto sopra l’avviso di accertamento risulta notificato entro il termine di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, scadendo, nel caso di specie, i cinque anni previsti da tale disposizione il 31.12.2012.

1.23. La CTR, nel dichiarare tempestiva, entro il suddetto termine quinquennale, la suindicata notifica ha dunque fatto corretta applicazione dei principi indicati.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia violazione di norme di diritto (L. n. 269 del 2006, art. 1, comma 162, L. n. 212 del 2000, art. 7) per avere la Commissione Tributaria Regionale ritenuto gli atti impositivi adeguatamente motivati stante l’insussistenza dell’obbligo di allegazione delle delibere comunali relative agli avvisi impugnati.

2.2. La censura va parimenti disattesa in quanto le delibere comunali relative all’applicazione del tributo ed alla determinazione delle relative tariffe non rientrano tra i documenti che devono essere allegati agli avvisi di accertamento ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 7, in quanto detto obbligo è limitato agli atti richiamati nella motivazione che non siano conosciuti o altrimenti conoscibili dal contribuente, ma non anche gli atti generali come le delibere del consiglio comunale che, essendo soggette a pubblicità legale, si presumono conoscibili (cfr. Cass. nn. 14723/2020, 2254/2016, 13105/2012). 3.1. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 59, comma 1, lett. g, per mancata determinazione del valore venale dell’area sopposta a tassazione negli atti impugnati mediante mero richiamo alle delibere assunte antecedentemente dal Comune.

3.2. La doglianza è infondata.

3.3. In tema di ICI le delibere con le quali la giunta municipale provvede ai sensi della L. n. 446 del 1997, art. 52 ad indicare i valori di riferimento delle aree fabbricabili costituiscono esercizio del potere riconosciuto al Consiglio Comunale dalla L. n. 446 citata, art. 59, lett. G. e riassegnato alla Giunta dal D.Lgs n. 267 del 2000, di determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, al fine della delimitazione del potere di accertamento del Comune qualora la imposta sia versata in misura non inferiore a quella predeterminata, e rappresentano fonti di presunzioni utilizzabili dal Giudice, al pari del c. d. “redditometro” (cfr. Cass. nn. 15552/2010, 16702/2007) ma non hanno valore imperativo ed ammettono prova contraria, al che consegue che allorchè nel processo il Giudice ritenga raggiunta la prova, o perchè fornita dall’interessato o perchè comunque emergente dagli atti di causa, che ad un’area edificabile non possa essere applicato il valore stimato dal Comune, può disattenderlo, e, su istanza di parte, procedere ad una autonoma stima, utilizzando tuttavia i parametri di legge (D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 5, comma 5).

3.4. Nel caso in esame, la ricorrente non ha dunque in alcun modo dimostrato la difformità tra il valore venale previsto nelle singole delibere, annualmente approvate, rispetto a quello posto alla base delle imposte applicate, limitandosi a generiche doglianze, come correttamente evidenziato dalla Commissione Tributaria Regionale nella sentenza impugnata.

4.1. Con il quarto motivo si denuncia violazione di norme di diritto (D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 1 e 2) avendo la Commissione Tributaria Regionale ritenuto la legittimità dell’avviso impugnato anche in mancanza del presupposto impositivo, in quanto il terreno in oggetto non aveva natura edificabile, essendo stato destinato, nel PRG, a spazi pubblici o riservati alle attività collettive a livello comunale.

4.2. La questione controversa è relativa al se il vincolo di destinazione urbanistica a “verde pubblico” sottragga l’area al regime fiscale dei suoli edificabili, ai fini dell’ICI. 4.3. Trovano applicazione, nel caso di specie, i principii, già enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte e a cui il Collegio intende dare in questa sede continuità, secondo cui, in tema d’imposta comunale sugli immobili la nozione di edificabilità non si identifica e non si esaurisce in quella di edilizia abitativa (cfr. Cass. n. 19161/2004), cosicchè l’inclusione di un’area in una zona destinata dal piano regolatore generale ad attrezzature e impianti di interesse generale, o a servizi pubblici o di interesse pubblico, non esclude l’oggettivo carattere edificabile del D.Lgs. n. 504 del 1992, ex art. 2, atteso che i vincoli d’inedificabilità assoluta, stabiliti in via generale e preventiva nel piano regolatore generale, vanno tenuti distinti dai vincoli di destinazione, che condizionano, in concreto, l’edificabilità del suolo, ma non sottraggono l’area su cui insistono al regime fiscale proprio dei suoli edificabili e considerato che la destinazione prevista dal vincolo posto dal piano regolatore è realizzabile non necessariamente mediante interventi (o successive espropriazioni) di carattere pubblico, ma anche ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata (non importa se direttamente ovvero in seguito ad accordi di natura complessa) (cfr. Cass. nn. 21351/2021, 17764/2018, 23814/2016, 14763/2015, 5161/2014, 9778/2010, 9510/2010, 19161/2004).

4.2. Va quindi motivatamente disatteso il diverso orientamento (cfr. Cass. nn. 27121/2019, 5992/2015, 25672/2008), secondo il quale le aree sottoposte dal piano regolatore generale a un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle trasformazioni del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, non possono essere qualificate come fabbricabili, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1, comma 2, e restano sottratte al regime fiscale dei suoli fabbricabili.

4.3. Tali pronunce, infatti, non tengono conto che il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. b), prevedendo che un terreno è considerato edificatorio sia quando l’edificabilità risulti dagli strumenti urbanistici generali o attuativi, sia quando, per lo stesso terreno, esistano possibilità effettive di costruzione, delinea una nozione di area edificabile ampia ed ispirata alla mera potenzialità edificatoria.

4.4. Essa, pertanto, non può essere esclusa dalla ricorrenza di vincoli o destinazioni urbanistiche che condizionino, in concreto, l’edificabilità del suolo, giacchè tali limiti, incidendo sulle facoltà dominicali connesse alla possibilità di trasformazione urbanistico edilizia del suolo medesimo, ne presuppongono la vocazione edificatoria.

4.5. Con riguardo, alle aree destinate a servizi pubblici o di interesse pubblico, è stato ritenuto, infatti, che “in tema d’imposta comunale sugli immobili (ICI), l’inclusione di un’area in una zona destinata dal piano regolatore generale a servizi pubblici o di interesse pubblico incide senz’altro nella determinazione del valore venale dell’immobile, da valutare in base alla maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, ma non ne esclude l’oggettivo carattere edificabile del D.Lgs. n. 504 del 1992, ex art. 2, atteso che i vincoli d’inedificabilità assoluta, stabiliti in via generale e preventiva nel piano regolatore generale, vanno tenuti distinti dai vincoli di destinazione che non fanno venire meno l’originaria natura edificabile” (Cass. n. 23814/2016; conforme Cass. nn. 5604/2022, 653/2022, 17764/2018).

4.6. Ne discende che la presenza dei suddetti vincoli non sottrae le aree su cui insistono al regime fiscale proprio dei suoli edificabili, ma incide soltanto sulla concreta valutazione del relativo valore venale e, conseguentemente, sulla base imponibile (cfr. Cass. nn. 24308/2016, 5161/2014, 9778/2010, 9510/2008).

5.1. Con il quinto motivo si lamenta violazione di norme di diritto (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, L. n. 212 del 2000, art. 10, D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2) per avere la Commissione Tributaria Regionale respinto la richiesta, avanzata in subordine, di disapplicazione delle sanzioni per obiettive condizioni di incertezza circa la portata e l’ambito di applicazione della normativa ICI circa le aree fabbricabili in caso di apposizione di vincoli.

5.2. Questa Corte ha più volte affermato che per incertezza normativa oggettiva tributaria deve intendersi la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sè ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie.

5.3. Si è pure aggiunto che l’essenza del fenomeno incertezza normativa oggettiva si può rilevare attraverso una serie di “fatti indice” che spetta al giudice accertare e valutare nel loro valore indicativo, e che sono stati esemplificati: 1) nella difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative, dovuta magari al difetto di esplicite previsioni di legge; 2) nella difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) nella difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) nella mancanza di informazioni amministrative o nella loro contraddittorietà; 5) nella mancanza di una prassi amministrativa o nell’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) nella mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) nella formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, in particolar modo se accompagnati dalla sollecitazione, da parte dei Giudici comuni, di un intervento chiarificatore della Corte costituzionale; 8) nel contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) nel contrasto tra opinioni dottrinali; 10) nell’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente.

5.4. Tali fatti devono essere accertati ed esaminati ed inseriti in procedimenti interpretativi della formazione che siano metodicamente corretti e che portino inevitabilmente a risultati tra loro contrastanti ed incompatibili (cfr. Cass. n. 4685/2012).

5.5. Proprio richiamando tali principi, va evidenziato che nel caso in esame non ricorre un’evidente e conclamata presenza di una situazione di incertezza nel caso di specie, militando, in tal senso, la mancanza di diffusi contrasti giurisprudenziali in argomento, risultando, al contrario, in particolar modo all’epoca delle contestate inadempienze tributarie, del tutto minoritario e limitato l’orientamento giurisprudenziale conforme alle argomentazioni della ricorrente.

6. Il ricorso va dunque rigettato.

7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.900,00 per compensi, oltre ad Euro 200 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 11 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2022


Avviso di ricezione per provare la notifica

Se il messo si avvale del servizio postale, la regolarità della notifica agli irreperibili relativi è provata solo dall’avviso di ricevimento della raccomandata informativa. Così la Cassazione con la sentenza n. 15782/2022. La procedura notificatoria per il caso degli irreperibili relativi (momentaneamente assenti al domicilio) ha ormai definito esattamente tutti i requisiti necessari per la validità della notifica.

In particolare è necessario:

  • il deposito della copia dell’atto in busta sigillata nella casa comunale;
  • l’affissione alla porta dell’avviso di deposito
  • invio al destinatario della raccomanda con avviso di ricevimento contenente la notizia del deposito.

La Corte Suprema di Cassazione, Sezioni unite (sentenza 10012/2021) aveva chiarito che la prova del perfezionamento della procedura notificatoria è rappresentata esclusivamente dall’avviso di ricevimento della raccomandata informativa (Cad). Con la sentenza n. 15782/2022, la Cassazione ha ulteriormente evidenziato che l’efficacia probatoria privilegiata degli atti pubblici è circoscritta solo ai fatti avvenuti in presenza o compiuti dal pubblico ufficiale.
Ne consegue che il Messo Comunale/Messo Notificatore che si avvale del servizio postale per l’invio della raccomandata informativa, potrà dare atto di aver consegnato all’ufficio postale l’avviso informativo ma non può attestare l’effettivo inoltro. L’invio di tale raccomandata, infatti, non è un’attività eseguita in presenza del Messo Comunale/Messo Notificatore e pertanto non è assistito dal carattere fidefaciente. A tal fine, quindi, la prova è costituita solo dalla ricevuta di invio e poi dal successivo avviso di ricezione della raccomandata informativa.


Cass. civ., Sez. Unite, Sent., (data ud. 10/05/2022) 18/05/2022, n. 15979

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sezione –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso n. 15248-2020 proposto da:

PROCURATORE GENERALE CORTE DEI CONTI, rappresentante il Pubblico Ministero presso la Corte dei Conti, domiciliato in Roma, via Baiamonti n. 25;

– ricorrente –

contro

M.G., rappresentato e difeso dall’avv. Emanuele Montelione, emanuele.montelione(at)avvocatiperugiapec.it, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Marzia Pasanisi, in Roma, via Crescenzio n. 82, come da procura in calce all’atto;

– controricorrente –

S.G., rappresentata e difesa dall’avv. Emanuele Montelione, emanuele.montelione(at)avvocatiperugiapec.it, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Marzia Pasanisi, in Roma, via Crescenzio n. 82, come da procura in calce all’atto;

– controricorrente –

C.G., rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Ranalli, giovanni.ranalli(at)ordineavvocatiterni.it, elettivamente domiciliato presso lo studio, in Roma, via Panama n. 86, come da procura in calce all’atto;

– controricorrente –

V.F.E., rappresentato e difeso dagli avv. Paolo Gianolio, paologianolio(at)mantova.pecavvocati.it e Orlando Sivieri, orlandosivieri(at)ordineavvocatiroma.org, elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in Roma, via Cosseria n. 5, come da procura in calce all’atto;

– controricorrente –

A.S., R.G., MA.MA., B.L., BA.LU., BE.GI., BR.ST., CA.MA., F.G., L.G.L., Z.L., SE.LU., G.F., CA.VA., BA.EN., AR.TE., rappresentati e difesi dall’avv. Giovanni Tarantini, giovanni.tarantini(at)avvocatiperugiapec.it e dall’avv. Donato Antonucci, donato.antonucci(at)avvocatiperugiapec.it e dall’avv. Paolo Sportoletti, paolo.sportoletti(at)avvocatiperugiapec.it, così elettivamente domiciliati, come da procura in calce all’atto;

– controricorrenti –

RO.SI., rappresentato e difeso dall’avv. Alarico Mariani Marini, alarico.marianimarini(at)avvocatiperugiapec.it, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Luisa Gobbi, in Roma, via Ennio Quirino Visconti n. 103, come da procura in calce all’atto;

– controricorrente –

SU.PI., rappresentato e difeso dall’avv. Daniele Spinelli, daniele.spinelli(at)avvocatiperugiapec.it, elettivamente domiciliato presso lo studio, in Roma, piazza dell’Orologio n. 7, come da procura in calce all’atto;

– controricorrente –

D.P.D., rappresentato e difeso dall’avv. Francesco A. De Matteis, francescoaugusto.dematteis(at)avvocatiperugiapec.it e Marcello Cardi, marcello.cardi(at)ordineavvocatiroma.org, elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo, in Roma, viale B.Buozzi n. 51, come da procura in calce all’atto;

– controricorrente –

CA.CA., rappresentata e difesa dall’avv. Mario Rampini, mario.rampini(at)avvocatiperugiapec.it e Giovanni Corbyons, giovannicorbyons(at)ordineavvocatiroma.org, elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo, in Roma, via Cicerone n. 44, come da procura in calce all’atto;

– controricorrente –

P.F., rappresentato e difeso dall’avv. Mario Rampini, mario.rampini(at)avvocatiperugiapec.it e Giovanni Corbyons, giovannicorbyons(at)ordineavvocatiroma.org, elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo, in Roma, via Cicerone n. 44, come da procura in calce all’atto;

– controricorrente –

CA.LU., rappresentato e difeso dall’avv. Francesco Maria Falcinelli, francescomaria.falcinelli(at)avvocatiperugiapec.it così elettivamente domiciliato, come da procura in calce all’atto;

– controricorrente –

SB.SE., rappresentato e difeso dall’avv. Michele Mascolo, michele.mascolo(at)pec.it, elettivamente domiciliato presso lo studio Malena & Associati, in Roma, via Ovidio n. 32, come da procura in calce all’atto;

– controricorrente –

BA.AN., rappresentato e difeso dall’avv. Andrea Pierini, andrea.pierini(at)avvocatiperugiapec.it e dall’avv. Alessandro Bovari, alessandro.bovari(at)avvocatiperugiapec.it, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Alessandro Marangoni, come da procura in calce all’atto;

– controricorrente –

AD.DE., MA.ST., rappresentati e difesi dall’avv. Laura Modena, laura.modena(at)avvocatiperugiapec.it, come da procura in calce all’atto;

– controricorrenti –

VI.ST., rappresentato e difeso dall’avv. Luciano Ghirga, luciano.ghirga(at)avvocatiperugiapec.it, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Carlo Dalla vedova, in Roma, via Vittorio Bachelet n. 12, come da procura a margine dell’atto;

– controricorrente –

RO.GI., rappresentato e difeso dall’avv. Alessandro Formica, alessandro.formica(at)avvocatiperugiapec.it, così elettivamente domiciliato, come da procura in calce all’atto;

– controricorrente –

PE.RI., avvocato, in proprio, (OMISSIS), elettivamente domiciliato presso lo studio in Roma – Ostia, via Quinto Aurelio Simmaco, n. 7 (studio avv. Nicola Neri, nicolaneri(at)ordineavvocatiroma.org) – controricorrente –

RI.VI., rappresentato e difeso dall’avv. Eugenio Francesco Schlitzer, e.f.schlitzer(at)pec.it, elettivamente domiciliato presso lo studio, in Roma, Largo Generale Gonzaga del Vodice n. 4, come da procura in calce all’atto;

– controricorrente –

CE.FE., rappresentata e difesa dall’avv. Nicola Pepe, nicola.pepe(at)avvocatiperugiapec.it, elettivamente domicilaita presso lo studio in Roma, Largo Generale Gonzaga del Vodice n. 4, come da procura in calce all’atto;

– controricorrente –

BR.FA.FE., rappresentato e difeso dall’avv. Fabio Buchiccio, fabio.buchicchio(at)avvocatiperugiapec.it e dall’avv. Giacomo Manduca, giacomo.manduca(at)avvocatiperugiapec.it, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Eugenio Francesco Schlitzer, in Roma, Largo Generale Gonzaga del Vodice n. 4, come da procura in calce all’atto;

– controricorrente –

LO.FR., rappresentato e difeso dall’avv. Patrizia Bececco, patrizia.bececco(at)ordineavvocatiterni.it, così elettivamente domiciliato, come da procura in calce all’atto;

– controricorrente –

NI.ST., rappresentata e difesa dall’avv. Massimo Marcucci, massimo.narcucci(at)avvocatiperugiapec.it, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Paolo Di Candilo, in Roma, via Ulpiano n. 47, come da procura in calce all’atto;

– controricorrente –

MA.CA., rappresentata e difesa dall’avv. Nicola Pepe, nicola.pepe(at)avvocatiperugiapec.it, elettivamente domiciliata presso lo studio in Roma, Largo Generale Gonzaga del Vodice n. 4, come da procura in calce all’atto;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza Corte dei Conti 4.5.2020, n. 69/2020; dato atto della ordinanza interlocutoria 19 luglio 2021, n. 19620;

udita la relazione della causa svolta nella udienza del 10 maggio 2022 dal consigliere relatore Dott. Massimo Ferro;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa DE RENZIS Luisa, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, come da requisitoria scritta già depositata;

viste le memorie delle parti.

Svolgimento del processo
1. Il Procuratore Generale presso la Corte dei Conti impugna la sentenza Corte dei Conti 4.5.2020, n. 69/2020 di reiezione del proprio appello avverso la sentenza della Corte dei Conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Umbria 15.11.2018, n. 87/2018 di declaratoria del difetto di giurisdizione contabile nel giudizio di responsabilità promosso, con citazione – tra gli altri – dei controricorrenti in epigrafe, dal Procuratore regionale presso la stessa Sezione giurisdizionale;

2. ha premesso la sentenza impugnata che: a) il P.G. contabile umbro aveva agito per danno erariale di 44.210.906,99 Euro (di cui 41.210.906,99 Euro patito dalla Regione Umbria e 3 mln Euro dalla Provincia di Perugia) evocando in giudizio le parti in epigrafe e così prospettando, per titoli differenziati, vari episodi di mala gestio, erogazioni di danaro pubblico effettuate dalla Regione Umbria (REGIONE) e dalla Provincia di Perugia (PROVINCIA) soci pubblici – e pertanto nei confronti – della società partecipata Umbria TPL e Mobilità s.p.a. (UTM); b) le voci di danno si riferivano a: b.1.) contributo regionale per circa 4,8 mln Euro alla società per tre anni per la manutenzione di una infrastruttura ferroviaria senza verifica degli adempimenti gravanti sulla concessionaria; b.2.) anticipazione di tesoreria della provincia per 3 mln Euro, non rientrata; b.3.) provvista liquida fornita dalla regione, a fondo perduto, per 5,075 mln Euro (per un aumento di capitale di importo maggiore, deliberato dai soci, ma eseguito solo dalla regione), 3,5 mln circa Euro per promozione e sviluppo del servizio senza motivazione, 17 mln Euro in sovvenzione per temporanea carenza di liquidità (in due tranches da 13 e 4 mln Euro, ma con saldo negativo di finali 12,5 mln circa Euro) e così altri 2 mln e 4,25 mln Euro tutti con identica motivazione e disposti con rispettivi D.G.R. 2010-2013; c) il danno alfine quantificato (per 44,21 mln Euro, così tolta la quota riferita a componente di giunta deceduto) appariva dunque unificato dall’assicurare l’alimentazione finanziaria a soggetto in realtà mal amministrato e tenuto artificialmente in vita, senza che le liquidità fossero dirette ad ottimizzarne l’attività; d) erano pertanto destinatari della citazione i componenti del c.d.a. della società UTM, secondo le rispettive date di carica ( M., Su., Pe., Sb. e S. e poi Ca., D.P., Ni., Lo., V., Ad. e Ma.), i membri della giunta regionale ( Ma., Ca., Br., Ce., Ri., Ro., Ro. e V. i consiglieri in provincia ( A., Ar., B., Ba., Ba., Be., Br., Ca., Ca., F., G., L., Ma., Pi., R., Se. e Z.), gli assessori regionali ( Ba., C. e P.), mentre altri cinque dirigenti e funzionari regionali (che avevano liquidato il compenso per la manutenzione) – e così ritenuta la giurisdizione contabile – venivano assolti in primo grado, con appello respinto ed impugnazione in questa sede non perseguita; e) la pronuncia di primo grado ha statuito il difetto di giurisdizione contabile verso i componenti il c.d.a. di UTM, della giunta regionale e del consiglio provinciale, nonchè gli assessori;

3. la corte ha ritenuto, sui tre motivi d’appello del P.G. regionale, che: a) era esclusa la giurisdizione contabile nei confronti degli amministratori di UTM, società non in house providing (infatti non in completa mano pubblica, con apertura a terzi del capitale, servizi anche verso terzi, difetto di controllo analogo), non evocata in giudizio come tale, non incidendo la mala gestio della partecipata con danno diretto al patrimonio del socio pubblico, nè essendo UTM concessionaria di servizio pubblico, bensì in rapporto di servizio sinallagmatico con la P.A. e comunque per decisiva relazione tra società ed ente pubblico e non tra ente pubblico e componenti il c.d.a., nella sostanza trattandosi di soggetto economico operante in modo autonomo ed in regime concorrenziale, a carico dei cui organi non apparivano dimostrate condotte appropriative o truffaldine o distrattive ed infine essendo ascrivibile l’eventuale V.zione del divieto di soccorso finanziario ai soggetti decisori della P.A. che l’avessero deliberato ed erogato, non agli organi sociali della società fruitrice; b) era parimenti esclusa la giurisdizione contabile nei confronti dei componenti di regione e provincia, gli enti partecipanti al capitale di UTM, senza che il rilievo divergesse in termini decisivi rispetto a quelli sollevati dai predetti componenti e quali V.zioni dell’art. 101 c.p.c., comma 2, come richiamato dall’art. 91, comma 5, cod. giust. cont., ma soprattutto considerando che non ricorrevano le condizioni del D.Lgs. n. 175 del 2016, art. 12, (TUSP) poichè gli apporti finanziari contestati avevano permesso la prosecuzione di un servizio essenziale (trasporto pubblico locale, TPL) ed erano condotte insindacabili (perchè non estranee ai fini degli enti, non palesemente irragionevoli, non ex ante V.tive dei principi di economicità ed efficienza dell’azione amministrativa), nel presupposto che i predetti componenti erano stati convenuti come rappresentanti dei soci pubblici per pregiudizio diretto al valore della partecipazione societaria, non ricorrendo perciò alcuna sovrapponibilità per essi della responsabilità da omesso controllo (in concorso) di cui alla L. n. 20 del 1994, art. 1, comma 3, richiamato dal D.Lgs. n. 76 del 2000, art. 33, stante la specialità dell’art. 12 TUSP stesso, dunque di danno patrimoniale diretto agli enti; c) era da ultimo escluso, con motivazione integrata rispetto a quella del primo giudice, il danno da liquidazione dei compensi alla UTM ascritto ai dipendenti regionali, per asserito omesso controllo su tale spesa pubblica quanto all’esercizio della infrastruttura funzionale al servizio di trasporto;

4. con il ricorso il Procuratore generale della Corte dei Conti chiede dichiararsi la spettanza della giurisdizione al giudice contabile, in annullamento della sentenza impugnata, con rimessione delle parti al giudizio della Sezione regionale per l’Umbria; resistono con controricorsi gli amministratori di UTM, i componenti della giunta regionale umbra e del consiglio provinciale di Perugia, avversando altresì con memorie le conclusioni di accoglimento del ricorso formulate e riproposte dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione.

Motivi della decisione
Considerato che:

1. nel motivo si contesta l’affermato diniego della giurisdizione contabile, avendo la sentenza impugnata frainteso la responsabilità che, invocata a carico degli amministratori della società UTM e di quelli pubblici (degli enti regione e provincia partecipanti al capitale della prima), si riferiva al danno diretto causato proprio alla Regione Umbria (per delibere connesse all’erogazione di contributi pubblici) e alla Provincia di Perugia (per delibere di prestiti) e non a quello subito dalla società investita del servizio di TPL (su gomma e ferro) e della manutenzione dell’infrastruttura ferroviaria (di pertinenza regionale); in particolare, avendo riguardo – di là del merito – al danno prospettato, il contestato diniego era errato quanto agli amministratori, a prescindere dalla natura giuridica (se concessione o meno) del rapporto fra ente e società UTM, ciò che conta essendo l’affidamento a questa della gestione di un servizio, in cui la società era subentrata rispetto a quelli già in essere con le società consortili prima affidatarie (TPL su gomma) ovvero trasferiti dallo Stato (TPL su ferro), continuando inoltre – in una condotta di mala gestio – a percepire compensi regionali, al pari di quelli in corrispettivo per la predetta manutenzione e rilevando la partecipazione di regione, provincia e altri enti pubblici umbri, ai fini del D.Lgs. n. 175 del 2016, art. 12, comma 2, senza decisività della insussistenza dei tratti di società in house;

2. quanto agli amministratori e consiglieri dei due enti pubblici territoriali, la responsabilità era stata esclusa sull’erronea qualificazione di soggetti rappresentanti del socio pubblico e confondendo tale titolo con il merito, riferito all’ipotesi di danno D.Lgs. n. 175 del 2016, ex art. 12, comma 2, omettendo di considerare il diverso presupposto del D.Lgs. n. 76 del 2000, art. 33, e D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 93, e dunque la condotta assunta dai convenuti nella qualità di componenti la giunta ed il consiglio regionale, nonchè il consiglio provinciale, per atti cui avevano contribuito; posto che il cit. art. 12 non esaurisce le ipotesi di mala gestio ed attiene alla perdita di valore della quota partecipata, non al comune danno diretto cagionato dagli amministratori pubblici;

3. osserva preliminarmente il Collegio che il ricorso, nel richiamo agli atti introduttivo e d’appello, alle delibere assunte dagli enti pubblici regione e provincia, nonchè alla condotta gestionale della società UTM, ha operato una sintesi intelligibile, per categorie di comportamenti censurati e veste assunta dai rispettivi autori, di una tipologia di danno univocamente riferita – pur nelle due classi di addebito contabile – proprio alla Regione Umbria e alla Provincia di Perugia; in particolare, le qualificazioni adottate per le delibere degli enti ben coesistono con quella pluralità di determinazioni che comunque hanno posto capo a decisioni aventi per effetto il cd. tamponamento della crisi di liquidità della società, interponendosi come erogazioni di nuova finanza e sua dilazione recuperatoria, sotto forma di contributi, erogazioni, prestiti, da un lato e, avendo riguardo alla gestione della società, mala gestio nella conduzione anche finanziaria del servizio TPL e di manutenzione dell’infrastruttura ferroviaria, dall’altro; siffatta considerazione sottrae fondamento alle eccezioni di non autosufficienza del ricorso ovvero difetto di legittimazione passiva ( Ba.); resta peraltro estraneo al presente giudizio ogni sindacato di merito sull’eventuale fondamento della dedotta e rispettivamente respinta responsabilità contabile, ponendosi la razionalità delle delibere e delle condotte gestorie, rivendicata in rapporto alla stabilità del valore della partecipazione in UTM e all’interesse pubblico degli enti, su di un piano secondario rispetto alla causa petendi in cui si è concretizzata l’azione del Procuratore presso la Corte dei Conti; è da ribadire che la giurisdizione si determina in base alla domanda e per essa “rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il petitum sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione” (Cass. s.u. 20350/2018);

4. va poi respinta l’eccezione di irricevibilità o inammissibilità del ricorso, per via di notifica proveniente da indirizzo di posta elettronica certificata del mittente che, non risultando dai registri PPAA del Ministero della Giustizia, inficerebbe di nullità l’atto così spedito, a propria volta non corredato da relata di notifica su documento separato in firma digitale ( A. ed altri); in realtà, in primo luogo, la relata di notifica del ricorso risulta riferita ad atto, in formato integrale pdf, firmato digitalmente, allegato al messaggio di PEC del 9.6.2020, con attestazione di conformità del documento analogico rispetto all’originale in versione informatica; può dunque dirsi integrato il principio, statuito da questa Corte (Cass. 20039/2020, Cass. 6912/2022) per cui la copia analogica della ricevuta di avvenuta consegna, completa di attestazione di conformità, e idonea a certificare l’avvenuto recapito del messaggio e degli allegati, salva la prova contraria, di cui è onerata la parte che sollevi la relativa eccezione, dell’esistenza di errori tecnici riferibili al sistema informatizzato, deduzione e prova non fornite; tale criterio di raggiungimento dello scopo (Cass. s.u. 23620/2018, 7665/2016 e poi Cass. 2961/2021), inoltre, integra l’ulteriore osservazione circa il valore equipollente della provenienza della notifica da indirizzo di posta elettronica istituzionale della Corte dei Conti (procura.qenerale.atticassazione(at)corteconticert.it), rinvenibile nel rispettivo sito (https://www.corteconti.it/HOME/ricerca) e dunque non incompatibile, anche ai sensi della L. 11 gennaio 1994, n. 53, art. 3bis, comma 1, secondo periodo, e per le sue peculiarità, con la più stringente regola – invocabile peraltro come principio generale nella sola collocazione istituzionale per le prerogative di notifica per gli avvocati – secondo cui La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi;

5. nè vale osservare che, per il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16 ter, ricorrerebbe una definizione chiusa di pubblici elenchi, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia giudiziaria con rinvio a quelli previsti dal D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, artt. 6 bis, 6 quater e 62, dall’art. 16, comma 12, del decreto n. 179 del 2012, dal D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 16, comma 6, (convertito con modificazioni dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2), nonchè per il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia ovvero (ai sensi del comma 1 ter) dell’Indice dei domicili digitali delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi (D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6 ter,); invero, è fatto obbligo alle amministrazioni aggiornare gli indirizzi dell’Indice, la cui gestione è affidata all’AGID, mentre l’eventuale incompletezza dell’elenco dei domicilii digitali costituisce ipotetica ragione di responsabilità dirigenziale (D.Lgs. n. 82 del 2005, ex art. 6 ter, comma 3) ma non inficia la regolare provenienza dell’attività notificatoria da indirizzo PEC comunque ricompreso tra quelli indicati dall’amministrazione pubblica stessa, così come – anche a voler richiamare la medesima regola reci reciprocità della L. n. 53 del 1994, art. 3 bis, comma 1 secondo periodo, oltre la riserva degli atti dei professionisti ed almeno come principio generale – sarebbe valida la ricezione allo stesso indirizzo PEC di atti e comunicazioni da terzi; d’altronde il D.L. n. 179 del 2012, art. 16 ter, comma 1 ter, laddove menziona la pluralità dei domicilii digitali per la medesima P.A. nell’elenco tenuto da AGID ai sensi del D.Lgs. n. 82 del 2005, cit. art. 6 ter, (CAD), indica come riferimento di notificazione (passiva) l’indirizzo di posta elettronica certificata primario indicato, secondo le previsioni delle Linee guida di AGID, nella sezione ente dell’amministrazione pubblica destinataria, così conferendo almeno rilevanza ad indirizzi dell’ente pur se non inclusi nel registro;

6. al contempo, la maggiore rigidità del sistema delle notifiche digitali, imponendo la notifica esattamente agli indirizzi oggetto di elencazione accessibile e registrata, realizza il principio di elettività della domiciliazione per chi ne sia destinatario, cioè soggetto passivo, associando tale esclusività ad ogni onere di tenuta diligente del proprio casellario, laddove nessuna incertezza si pone invece ove sia il mittente a promuovere la notifica da proprio valido indirizzo PEC, come nel caso; infine, e come anticipato, “la costituzione del destinatario della notificazione, che abbia dimostrato di essere in grado di svolgere compiutamente le proprie difese” (Cass. 2961/2021) sottrae rilevanza all’ipotizzata irregolarità, avendo pienamente la notifica raggiunto lo scopo (Cass. s.u. 23620/2018) senza alcuna incertezza in ordine alla sua provenienza e all’oggetto dell’impugnazione esperita dalla Procura notificante;

7. la sussistenza della giurisdizione contabile è stata prospettata dal Procuratore generale ricorrente avendo riguardo, per quanto qui di residuo rilievo, alla responsabilità riferita a: a) gli amministratori di una società (UTM) investita del servizio di trasporto pubblico locale (su ferro e gomma) oltre che della manutenzione dell’infrastruttura ferroviaria di proprietà regionale; b) gli amministratori dei due enti pubblici (Regione Umbria e Provincia di Perugia) partecipanti al capitale della società stessa; c) le condotte di alimentazione finanziaria (erogazioni, prestiti) adottate, con delibere dei due enti pubblici, a sostegno di una società in crisi e, rispettivamente, la mala gestio societaria dei suoi amministratori per il ricorso a quegli ulteriori sostegni e l’omesso controllo sull’attività manutentiva della citata infrastruttura pubblica; d) il danno diretto subito dai predetti enti pubblici, titolari del servizio svolto da UTM e partecipanti al capitale sociale;

8. ritengono queste Sezioni Unite che la duplicità di categorie soggettive colpite dall’azione di responsabilità contabile, per come esercitata, non impedisca l’esame preliminare di alcune obiezioni comuni dei controricorrenti, ricavabili in adesione a parti decisive delle statuizioni della sentenza impugnata;

9. non è in primo luogo di ostacolo a conoscere in astratto l’azione di responsabilità contabile da parte della Corte dei Conti la configurazione del danno diretto – sulla cui fondatezza, ovviamente, sarebbe in ogni caso chiamato a pronunciarsi il giudice della invocata giurisdizione – quale prospettato per regione e provincia, non solo per la sua chiara enunciazione come autonomo nell’iniziativa del Procuratore generale contabile, ma in quanto la partecipazione al capitale della società UTM non circoscrive, per l’ente pubblico, il perimetro dei pregiudizi – in astratto passibili – alla sola perdita di valore della quota o della consistenza azionaria possedute (danno per cui il Procuratore non ha agito); l’autonomia di tale pregiudizio, a rilevanza contabile (ribadita con l’ammissibilità delle due giurisdizioni, reciprocamente indipendenti, da Cass. s.u. 15770/2021, 36205/2021, 5978/2022), si estende in latitudine ad ogni nocumento, patrimoniale o non (come il danno all’immagine), che sia la conseguenza diretta di un uso contra jus delle risorse pubbliche comunque affluite ad un soggetto anche di diritto privato, come nella fattispecie, alimentato con sostegno finanziario e per lo svolgimento di un’attività disegnata tra i servizi pubblici (nel caso, TPL su gomma e ferro, manutenzione della rete infrastrutturale ferroviaria regionale); nè soccorre, sul punto, l’indirizzo di questa Corte, di applicazione generale o propria del settore delle imprese ferroviarie (Cass. s.u. 11983/2017, 30978/2017, 1159/2015), che ha considerato i soli tratti privatistici delle holding, con l’assenza della società in house providing, per affermare la giurisdizione ordinaria e tuttavia in tema della ben diversa azione di responsabilità (civile) degli amministratori;

10. non è poi, in secondo luogo, ostativa alla configurazione di una astratta responsabilità contabile l’insorgenza di un danno subito dagli enti in quanto tali (e dunque non alla stregua e nei limiti dell’interesse proprio di soci) partecipanti al capitale di una società che non sia definibile in house, non rivestendo la previsione del D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, art. 12, comma 2, (TUSP) portata delimitatrice ovvero abrogatrice della comune responsabilità per danno erariale ai sensi del D.Lgs. 28 marzo 2000, n. 76, art. 33, (poi replicato nel D.Lgs. 23 giugno 2011, n. 118, art. 71) che afferma, per amministratori e dipendenti della regione, la responsabilità per danni arrecati nell’esercizio delle loro funzioni, nei casi e limiti della L. 14 gennaio 1994, n. 20, così come il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 93, fa per gli amministratori e dipendenti di altri enti locali; anche su tale punto, non è pertinente il riferimento all’indirizzo di questa Corte laddove ha escluso la “giurisdizione del giudice contabile in tema di azione di responsabilità per mala gestio imputabile agli organi sociali e ai dipendenti quando ne sia derivato un pregiudizio a carico del patrimonio di una società partecipata da enti pubblici, a meno che questa non possa essere qualificata come società in house providing, mera longa manus della pubblica amministrazione partecipante, con conseguente equiparazione al danno erariale del pregiudizio che gli atti di mala gestio abbiano arrecato al suo patrimonio” (Cass. s.u. 11918/2018); vi appare evidente, infatti, la stretta inerenza della puntuale ratio decidendi riportata ad una fattispecie che, in negativo (assenza di regime in house providing, indistinzione del danno alla società dal danno erariale), qualifica essa stessa la portata delimitatrice della restrizione al solo plesso contabile della giurisdizione;

11. in terzo luogo, nemmeno costituisce causa di preclusione all’affermazione della giurisdizione del giudice contabile il titolo in base al quale il soggetto investito di un servizio pubblico sia chiamato al relativo svolgimento (Cass. s.u. 7663/2017, 21871/2019), se cioè per specifica concessione (come pur è dubitato per il TPL e meno per la manutenzione dell’infrastruttura) ovvero vincolo contrattuale; ciò che rileva è sia l’erogazione in via ordinaria di danaro pubblico (Cass. s.u. 19086/2020), sia il sostegno finanziario straordinario chiesto e deliberato; tali sole circostanze, di per sè e tuttavia, non generano l’attrazione nel controllo contabile risarcitorio del relativo impiego rispetto agli scopi dell’azione pubblica, definiti in atto amministrativo da parte dell’ente concedente e poi privatistico dal soggetto beneficiato; ciò che appare indispensabile nella configurazione della causa petendi della iniziativa promossa in responsabilità contabile è invero la sussistenza comunque di un rapporto di servizio che, senza entrare in una categorizzazione interpretativa poco rispettosa del principio di necessaria previsione normativa dell’illecito contabile ex art. 103 Cost., comma 2, (per come Corte Cost. n. 102 del 1977 ne ha rimesso al legislatore ordinario l’attrazione derogatoria alla giurisdizione non ordinaria), non appare nella specie enunciato;

12. quanto in particolare alla giurisdizione sull’azione di responsabilità promossa nei confronti degli amministratori di UTM, non è contestato che fosse detta società a svolgere il servizio TPL, sulla base del subentro in contratti di servizio già affidati a società consortili poi fuse in essa (trasporto su gomma) e parimenti a seguito del trasferimento statale alla regione con subentro di società alla gestione governativa ed infine fusione in UTM (trasporto su ferro), da un lato e, dall’altro e più direttamente sulla base di un contratto di programma concluso con la regione, la gestione manutentiva della infrastruttura ferroviaria regionale; peraltro nessun rapporto di servizio si è instaurato tra i due enti pubblici territoriali e gli amministratori della società partecipata, ciò elidendo quell’elemento di collegamento istitutivo della giurisdizione contabile che tuttora qualifica la rilevanza del requisito sostanziale-oggettivo rappresentato dal danno erariale; se dunque, “ai fini della configurabilità di un rapporto di servizio, idoneo a radicare la giurisdizione contabile, assume rilievo l’effettivo svolgimento da parte della società privata di funzioni istituzionalmente spettanti all’ente pubblico, mentre è ininfluente la natura privatistica delle prestazioni individuate nella convenzione regolatrice del contratto” (Cass. s.u. 15599/2009, 25495/2009, 21871/2019, oltre che 473/2015), non trova radicamento la giurisdizione contabile ove, come nella fattispecie, può ripetersi che “risulta impossibile imputare personalmente agli amministratori o ad altri soggetti investiti di cariche sociali la titolarità del rapporto di servizio intercorrente tra l’ente pubblico e la società cui sia stato affidato l’espletamento di compiti riguardanti un pubblico servizio” (Cass. s.u. 26383/2013, in motivazione); ne consegue che risulta superfluo esaminare se il danno di cui gli amministratori di UTM sono stati chiamati a rispondere per mala gestio circa l’utilizzo del flusso ordinario dei compensi percepiti dalla società per il servizio e corrisposti dall’ente pubblico e ogni altra condotta sollecitante ulteriore alimentazione finanziaria sia stato arrecato direttamente alla pubblica amministrazione ovvero al patrimonio della società e, pertanto, solo in via indiretta agli enti pubblici partecipanti;

13. sul punto, la tutela dell’interesse erariale, mediante l’azione di responsabilità del Procuratore contabile, ha progressivamente trovato nel nostro ordinamento uno stabile assetto, prima in via giurisprudenziale e, poi, con la sua codificazione nell’art. 12 TUSP; infatti, già Cass. s.u. 26806/2009 ebbe a statuire la giurisdizione contabile allorchè “l’azione di responsabilità trovi fondamento nel comportamento di chi, quale rappresentante dell’ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, in tal modo pregiudicando il valore della partecipazione, ovvero in comportamenti degli amministratori o dei sindaci tali da compromettere la ragione stessa della partecipazione sociale dell’ente pubblico, strumentale al perseguimento di finalità pubbliche ed implicante l’impiego di risorse pubbliche, o da arrecare direttamente pregiudizio al suo patrimonio” (e poi, ex multis, Cass. s.u. 20941/2011, 11139/2017);

14. a sua volta il D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, art. 12, ha attuato la L. n. 124 del 2015, art. 18, recante “deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, la quale si proponeva il riordino della disciplina delle partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche, con l’esigenza di “assicurare la chiarezza” secondo principi e criteri direttivi minutamente indicati, tra cui “la distinzione tra tipi di società in relazione alle attività svolte…e l’individuazione della relativa disciplina, anche in base al principio di proporzionalità delle deroghe rispetto alla disciplina privatistica, ivi compresa quella in materia di organizzazione e crisi d’impresa”, nonchè – per quanto qui d’interesse – la “precisa definizione del regime delle responsabilità degli amministratori delle amministrazioni partecipanti nonchè dei dipendenti e degli organi di gestione e di controllo delle società partecipate”, la “eliminazione di sovrapposizioni tra regole e istituti pubblicistici e privatistici ispirati alle medesime esigenze di disciplina e controllo”; così la generale applicazione della disciplina privatistica appare confermata dal D.Lgs. n. 175 del 2016, art. 1, comma 3, (TUSP) (“per tutto quanto non derogato dal presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato”) e dall’art. 1, comma 4, del cit. D.Lgs. (“restano ferme: a) le specifiche disposizioni, contenute in leggi o regolamenti governativi o ministeriali, che disciplinano società a partecipazione pubblica di diritto singolare costituite per l’esercizio della gestione di servizi di interesse generale o di interesse economico generale o per il perseguimento di una specifica missione di pubblico interesse; b) le disposizioni di legge riguardanti la partecipazione di amministrazioni pubbliche a enti associativi diversi dalle società e a fondazioni”);

15. l’art. 12 comma 1 TUSP ha dunque per un verso delimitato la giurisdizione contabile al solo “danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house”, restando per il resto “i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate… soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali”; è vero che il legislatore ha evoluto la nozione dapprima focalizzata in via giurisprudenziale (con originaria attrazione della sua soggettività nella sfera pubblica), superando in parte le caratteristiche dell’in house providing, cioè – per tutte Cass. s.u. 26283/2013 – la costituzione da parte di uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente i medesimi enti possano essere soci, la statutaria esplicazione della propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e la gestione per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici; infatti l’art. 2, comma 1, lett. o), TUSP aggiunge al “controllo analogo” la possibilità che vi sia in tali società (fuoriuscite dalla nozione di P.A., non comparendo infatti nella lett. a) art. cit. ed essendo assoggettabili alle procedure concorsuali, ex art. 14) “la partecipazione di capitali privati… nelle forme di cui all’art. 16, comma 1, e che soddisfano il requisito dell’attività prevalente di cui all’art. 16, comma 3”, cioè al riparo da controllo esogeno o veti o influenza determinante;

16. nella fattispecie, però, nemmeno per questa via la mala gestio degli amministratori di UTM rientra nel perimetro dell’iniziativa possibile del Procuratore contabile che abbia agito per danno erariale, difettando la società, anche ratione temporis, della citata connotazione dell’in house providing (Cass. s.u. 22712/2019); nè in causa è stato posto il tema della esperibilità di altro danno diretto, come quello all’immagine, secondo lo spettro dell’azione ora permessa dall’all. 1 – D.Lgs. n. 174 del 2016, art. 51 comma 7, (CGC) e dalla L. 20 del 1994, art. 1, comma 1 sexies, stante la irrilevanza della eventuale condizione soggettiva di “controllo” di UTM da parte degli enti pubblici, ai sensi del D.Lgs. n. 175 del 2016, art. 2, comma 1, lett. b), per quanto diversa dal “controllo analogo” e la non prospettazione delle prescritte condanne penali definitive per reati contro la P.A.; per questa parte, dunque, il ricorso è inammissibile;

17. quanto alla dedotta responsabilità verso gli amministratori pubblici dei due enti essa risulta esclusa sulla base di plurime rationes decidendi, enunciate in graduazione progressiva; a chiusura del sistema, non sussiste in realtà – a confutazione della lettura di specialità offerta dalla Corte dei Conti all’art. 12 TUSP rispetto al D.Lgs. n. 76 del 2000, art. 33, pag.64 una assoluta ragione preclusiva alla sua esperibilità, ove sia rappresentato un danno diretto alla P.A., per quanto essa partecipi ad una società di capitali, senza che sia involta la natura in house providing della partecipata;

18. come anticipato, non si può affermare che, ai sensi del D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, art. 12, la sola ipotesi di responsabilità contabile – rectius, esercizio dell’azione di ristoro del danno erariale in materia di società a partecipazione pubblica – riguarderebbe i relativi amministratori e controllori interni delle società in house; la rubrica della disposizione, in primo luogo, intitola la norma alla responsabilità sia dei componenti degli organi sia degli enti partecipanti delle società partecipate; il comma 1, poi, devolve alla Corte dei conti, nei limiti della quota di partecipazione pubblica, la giurisdizione sulle controversie in materia di danno erariale di cui al comma 2; a sua volta l’art. 12, comma 2, recita, a mera specificazione del principio enunciato al comma 1, che costituisce danno erariale il danno, patrimoniale o non patrimoniale, subito dagli enti partecipanti, ivi compreso il danno conseguente alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere per essi, che, nell’esercizio dei propri diritti di socio, abbiano con dolo o colpa grave pregiudicato il valore della partecipazione; si tratta cioè di una norma che ha assunto una portata di chiarimento laddove, individuando una peculiare condotta (quella dei rappresentanti degli enti pubblici nel capitale o di coloro che possono comunque assumere decisioni gestorie inerenti alla stessa partecipazione), ne descrive la matrice di responsabilità pubblicistica aggiungendo, a valore ricognitivo-interpretativo, una mera fattispecie di tipicità organizzativa e dunque fugando ogni astratto dubbio classificatorio;

19. ne deriva che la proposizione principale introduttiva della nozione di danno erariale, per la sua ampiezza (il danno… subito dagli enti partecipanti), non duplica la previsione del comma 1, occupandosi piuttosto di censire la responsabilità di chi, dal lato dell’ente partecipante, abbia agito in termini di causazione del pregiudizio e così tipizzando, a titolo meramente esemplificativo, coloro che hanno mal gestito la partecipazione dall’interno della società partecipata, determinando in modo diretto o condizionando un cattivo utilizzo delle prerogative di socio dell’ente pubblico; ma al contempo la ricomprensione di siffatta specie di danno (conseguente alla condotta dei rappresentanti o titolari del potere di decisione) non preclude la natura più ampia ed infatti generale della descritta proposizione principale, nettamente scolpita nell’affermazione per cui Costituisce danno erariale il danno, patrimoniale o non patrimoniale, subito dagli enti partecipanti; in tali termini, la responsabilità viene qui definita solo in senso oggettivo (con riguardo al danno), lasciando impregiudicata la selezione soggettiva di chi, diverso dai rappresentanti e decisori di cui all’inciso, abbia comunque assunto, ma nell’ente pubblico partecipante (o in una relazione di servizio con esso), una condotta connessa ad attività della società partecipata e causativa in modo diretto del danno all’ente pubblico medesimo;

20. d’altronde, l’ampia formulazione della rubrica dell’art. 12 (Responsabilità degli enti partecipanti e dei componenti degli organi delle società partecipate) ed il mancato richiamo nel comma 2 alla, come visto delimitata, vicenda del danno erariale risalente a condotte degli amministratori e dipendenti delle società in house di cui al comma 1, non lasciano spazio ad una interpretazione – quale voluta in molte difese dei controricorrenti e – sostanzialmente abrogatrice della regola generale in tema di casi e limiti della responsabilità contabile ai sensi della L. 14 gennaio 1994, n. 20; anche a volerne ritagliare la portata al solo campo delle società a capitale pubblico, la prospettiva eccepita significherebbe infatti che, al di fuori delle società in house, sarebbe sempre, per principio normativo, assente la possibilità di configurare un danno erariale diretto all’ente pubblico partecipante, a prescindere dalla vicenda del titolo di affidamento di un eventuale servizio pubblico o sostegno finanziario assicurato alla società partecipata e della natura pubblica delle risorse (malamente) utilizzate, così irragionevolmente limitando il nesso di collegamento della responsabilità erariale ai soli canoni dell’agire della pubblica amministrazione per il tramite di una società in house providing;

21. si tratta di scenario che appare non solo estraneo, come visto, al reticolo normativo dell’art. 12 TUSP ma altresì implausibilmente fatto scaturire piuttosto da una supposta omissione o svista di una norma speciale, così alterando – oltre tutto – l’intero significato del disegno riformatore, quale contenuto ampiamente nello stesso D.Lgs. n. 175 del 2016, e che, in un ampliamento delle modalità di esercizio delle attività pubbliche – come persuasivamente argomentato in requisitoria dal Procuratore Generale – vale a ricomprendere, e non ad espellere, i crescenti casi di P.A. che opera con enti a struttura privatistica cui siano al contempo assegnate finalità di natura pubblico-economica; il TUSP, proprio occupandosi della relazione tra ente pubblico e mere società a partecipazione pubblica, devolve la giurisdizione alla Corte dei Conti nei limiti della quota di partecipazione pubblica, in ciò confermandola (per il rinvio dell’art. 12 secondo periodo al comma 2 art. cit.) già per definizione e ben oltre il campo delle società in house, così abbracciando anche un’estensione dei danno patrimoniale o non patrimoniale in senso diverso da quello restrittivo prospettato nella sentenza impugnata; lo stesso TUSP ha poi cura di disciplinare il migliore e più responsabile utilizzo delle risorse pubbliche in vicende cruciali, come la crisi d’impresa, ad esempio vietando di regola e salvo severe condizionalità le operazioni sul capitale o di finanziamento a favore di società in perdita nel triennio o con ricorso già fatto alle riserve disponibili e addirittura esigendo che i trasferimenti straordinari per servizi di pubblico interesse siano contemplati in un piano di risanamento approvato dall’autorità di regolazione di settore e comunicato alla Corte dei Conti nella prospettiva del riequilibrio entro tre anni e salvo interventi ancor più straordinari (gravi pericoli per la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico e la sanità, su richiesta della amministrazione interessata) assunti con Dpcm, in concertazione interministeriale e registrazione dell’atto alla Corte dei Conti (art. 14 comma 5 TUSP);

22. gli stessi principi sorreggono la sussistenza della giurisdizione contabile invocabile per danno diretto subito da regione e provincia dall’operato dei propri amministratori (dunque, assessori e consiglieri); alla rispettiva responsabilità si attagliano le disposizioni speciali del D.Lgs. 23 giugno 2011, n. 118, art. 71, (prima, il D.Lgs. 28 marzo 2000, n. 76, art. 33, quanto al personale e agli amministratori della regione) e dell’arti D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (quanto al personale e agli amministratori della provincia), norme con identico richiamo al perimetro dei casi e limiti della L. 14 gennaio 1994, n. 20, ove essa si applica ai dipendenti delle amministrazioni statali; i fatti rientranti nella responsabilità ad essi ascritti attengono invero alla illegittimità degli atti di sostegno finanziario adottati, in favore della UTM, ma al di fuori delle condizioni di concedibilità, dunque in astratto sindacabili perchè irrazionali, illogici ed incongruenti rispetto ai fini pubblici, secondo la prospettazione dell’iniziativa del Procuratore contabile; la giurisdizione della Corte dei Conti sussiste invero allorchè “il rimprovero mosso agli incolpati concerne l’omessa attivazione dei poteri loro attribuiti dalla legge al fine di evitare o contenere il danno provocato al pubblico erario” (Cass. s.u. 10741/2021), 23. posto che, come visto, nessuna valenza assorbente è propria del citato D.Lgs. n. 175 del 2016, art. 12, comma 1 e 2, rispetto alla comune responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti, il concorso di norme che ne scaturisce, fondando la duplice possibilità di assoggettamento alle diverse azioni di responsabilità (civilistica e contabile), nemmeno risulta circoscritto, nello specifico, con riguardo alle fattispecie delle società partecipate da enti pubblici; a tale conclusione si perviene non solo per quanto già detto in tema di configurazione dell’art. 12 TUSP, che quanto al danno – si limita a descrivere una mera addizione rispetto a quelli più generali, patrimoniali e non patrimoniali, che gli enti pubblici possono subire (comma 2); parimenti infatti non assume valore discriminante il riferimento ivi collocato alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere per essi che abbiano agito nell’esercizio dei propri diritti di socio (cui ha riguardo il caso di Cass. s.u. 4132/2019) poichè il titolo per il quale amministratori regionali e provinciali risultano evocati in causa non ha alcuna attinenza nè con il voto, nè con il pregiudizio al valore della partecipazione, nè, decisivamente, con il ruolo da essi svolto che non era quello di rappresentare il socio pubblico di capitale o di decidere per tale socio ma quello di impersonare la volontà dell’ente pubblico, come tale avendo riguardo all’interesse pubblico, nelle sue prerogative istituzionali esterne rispetto agli atti endosocietari del soggetto partecipato (come ammette, nella propria ricognizione, la cit. Cass. s.u. 4132/2019, riassumendo nello stesso senso qui enunciato il riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice contabile in ipotesi di danni cagionati al patrimonio di società partecipate dallo Stato o da altri enti pubblici);

24. d’altronde, vale l’osservazione, qui da ripetersi, che i predetti soggetti sono stati chiamati in causa dal Procuratore contabile proprio in quanto amministratori e consiglieri degli enti pubblici, per atti (le delibere giuntali e di consiglio) adottati con efficacia esterna rispetto all’ente e malamente indirizzate, nei contenuti attributivi di risorse pubbliche e secondo prospettazione, a beneficio della società partecipata dall’ente senza rispetto dei comuni criteri della prudente gestione amministrativa ai sensi della L. n. 20 del 1994;

25. tuttavia, osserva il Collegio che la sentenza impugnata ha esplicitamente condiviso il percorso motivazionale della pronuncia di primo grado, altresì ravvisando nell’operato degli amministratori regionali e provinciali una condotta insindacabile nel merito alla stregua di scelte nè irragionevoli, nè abnormi ed anzi dotate di giustificazione palesata nell’esigenza di non interrompere il servizio TPL, già secondo una valutazione ex ante dell’erogazione di risorse pubbliche, senza che la stessa Procura contabile vi abbia contrapposto scelte alternative dirette ad evitare meno genericamente i danni dedotti (pag. 65-74); il riconoscimento esplicito, da parte della Corte dei Conti, dell’impossibilità di valicare il cd. merito amministrativo, in una alla contestata genericità dei rinvii alle disposizioni normative pretesamente violate, inducono pertanto, nella presente sede, ad un corrispondente apprezzamento di insindacabilità della decisione per come assunta, in termini sostanzialmente anche assolutori dalla responsabilità e, come tali, non sovvertibili; il giudice contabile può invero e deve verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini pubblici dell’ente, che devono essere ispirati a criteri di economicità ed efficacia, rilevanti sul piano non della mera opportunità bensì della legittimità delle azione amministrativa (Cass. s.u. 40549 del 2021);

26. la Corte dei conti pertanto non V. il limite della riserva di amministrazione quando proceda al controllo della giuridicità sostanziale dell’attività amministrativa e cioè a verificare l’osservanza dei richiamati canoni prendendo atto della preferenza assegnabile alla P.A. tra molteplici alternative da operare nell’ambito della ragionevolezza per il soddisfacimento dell’interesse pubblico; nella specie, si è così al cospetto di una ratio decidendi, gradata ed essenziale, afferente ai limiti (esterni) della giurisdizione contabile nei confronti della sfera del potere discrezionale della pubblica amministrazione (Cass. s.u. 6820/2017, 11139/2017, 30990/2017, 10774/2018, 30527/2019, 24376/2020) e la cui eventuale erroneità meritale si risolverebbe, ove nella sostanza fatta valere, nel prospettare un error in judicando, il cui accertamento rientra nell’ambito del sindacato afferente ai limiti interni della giurisdizione e non alla osservanza dei limiti esterni della giurisdizione, gli unici deducibili dinanzi alla Corte di cassazione contro le decisioni della Corte dei conti (Cass. s.u. 25208/2020, 19675/2020);

il ricorso va conclusivamente dichiarato inammissibile; non v’è luogo a provvedere sulle spese, in ragione della qualità di parte solo in senso formale del Procuratore generale presso la Corte dei Conti (Cass. s.u. 30990/2017, 3146/2018).

P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 10 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2022


Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 22/02/2022) 17/05/2022, n. 15782

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Antonio F. – Presidente –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 29984 del ruolo generale dell’anno 2020, proposto da:

Agenzia delle entrate – Riscossione, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.G., rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv.to Alessandro Bacchi, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica (PEC) alessandro.bacchi.avvocatiperugiapec.it;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Umbria n. 47/02/2020, depositata in data 17 febbraio 2020.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 22 febbraio 2022 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati Viscido di Nocera.

Svolgimento del processo
che:

– l’Agenzia delle entrate – Riscossione propone ricorso, affidato a un motivo, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria aveva accolto parzialmente l’appello proposto da M.G. avverso la sentenza n. 573/02/2018 della Commissione Tributaria Provinciale di Perugia di rigetto del ricorso del contribuente avverso l’intimazione di pagamento di complessivi Euro 124.136,90 conseguente a presupposte diciannove cartelle esattoriali con le quali erano state iscritte a ruolo diverse imposte, interessi e sanzioni, in relazione alle annualità 1999-2004;

– la CTR ha accolto parzialmente l’appello del contribuente, dichiarando: a) l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere con riferimento a dieci cartelle oggetto di annullamento D.L. n. 119 del 2018, ex art. 4; b) la prescrizione totale e/o parziale dei tributi (erariali e locali) portati dalle residue nove cartelle, avuto riguardo alla data di notifica delle rispettive cartelle (tra il 2005 e il 2010) e a quella della intimazione impugnata (14.9.2017), negando valenza di atti interruttivi sia agli atti di intimazione asseritamente notificati il 21.2.2013 che agli atti di pignoramento presso terzi asseritamente notificati nel 2013. – il contribuente resiste con controricorso;

– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Motivi della decisione
che:

1. Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate-Riscossione denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, e dell’art. 140 c.p.c., per avere la CTR ritenuto maturata la prescrizione totale e/o parziale dei crediti portati dalle residue cartelle sottese all’intimazione di pagamento impugnata, negando, per mancata prova del perfezionamento della notifica, valenza di atti interruttivi sia agli atti di pignoramento presso terzi asseritamente notificati nel 2013 che agli atti di intimazione asseritamente notificati il 21.2.2013, ancorchè, ad avviso della ricorrente, per questi ultimi la notifica fosse da ritenersi perfezionata, ai sensi dell’art. 140 c.p.c., essendo sufficiente, ai fini della prova del perfezionamento per compiuta giacenza dell’invio della raccomandata informativa, la produzione in giudizio, come nella specie, dell’attestazione di spedizione della raccomandata e del relativo avviso di ricevimento privo della sottoscrizione del destinatario.

2. Il motivo è infondato.

2.1. Nella sentenza impugnata, per quanto di interesse, il giudice di appello ha ritenuto – avuto riguardo alla data di notifica delle cartelle (2005-2010) e a quella di notifica dell’intimazione di pagamento impugnata (14.9.17) – maturata la prescrizione (decennale per i tributi erariali, quinquennale per i tributi locali e le sanzioni, triennale per i bolli auto regionali), in tutto o in parte, dei crediti portati dalle cartelle presupposte all’intimazione di pagamento impugnata, escludendo valenza interruttiva, per rilevato difetto di notifica, agli atti di intimazione asseritamente notificati in data 21.2.2013 e agli atti di pignoramento presso terzi notificati nel 2013 (“in tutti questi casi la relata di notifica del plico reca menzione del debitore come “sconosciuto” o ” temporaneamente assente” con conseguente avviso di deposito degli atti ex art. 140 c.p.c., e spedizione di raccomandata il cui avviso di ricevimento risulta tuttavia vuoto”… non può considerarsi perfezionata la notifica di una intimazione di pagamento o di pignoramenti presso terzi se l’agente notificante si limita ad annotare che il contribuente risulta “sconosciuto” mancando documentale riscontro delle successive ricerche effettuate circa la residenza anagrafica del debitore”).

2.3. Quanto alla dedotta violazione di legge per assunta regolarità della notifica, in data 21.2.2013, degli atti di intimazione con presunta valenza interruttiva della prescrizione, va rammentato che gli adempimenti prescritti nel caso di c.d. irreperibilità relativa dall’art. 140 c.p.c., sono tre, e in particolare: a) il deposito della copia dell’atto in busta sigillata nella casa comunale, stante l’irreperibilità del destinatario; b) l’affissione alla porta dell’avviso di deposito; c) l’invio al destinatario della raccomandata con avviso di ricevimento contenente la notizia del deposito.

Orbene, si è da questa Corte ritenuto che il compimento delle formalità previste dall’art. 140 c.p.c., deve risultare dalla relazione di notificazione che, sotto questo aspetto, dando atto di operazioni compiute dallo stesso ufficiale giudiziario, fa fede sino a querela di falso-cfr. Cass. n. 4844/1993; tale principio va tuttavia completato dall’affermazione che la efficacia probatoria privilegiata degli atti pubblici è circoscritta, per quanto qui interessa, ai “fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti” e, pertanto, dovendosi avvalere il messo notificatore del servizio postale per l’inoltro della raccomandata informativa ex art. 140 c.p.c., nella relata di notifica redatta ai sensi dell’art. 148 c.p.c., il pubblico ufficiale, indicando di aver adempiuto a tutte le formalità prescritte dalla norma (deposito della copia dell’atto nella casa comunale dove la notificazione deve eseguirsi, affissione dell’avviso dell’eseguito deposito alla porta dell’abitazione, ufficio o azienda del destinatario, notizia a quest’ultimo per raccomandata con avviso di ricevimento), potrà dare atto di aver consegnato all’Ufficio postale l’avviso informativo, contenente le indicazioni di cui all’art. 48 disp. att. c.p.c., da spedire per raccomandata AR, ma non sarà in grado -evidentemente- di attestare anche l’effettivo inoltro dell’avviso da parte dell’Ufficio postale, trattandosi di operazioni non eseguite alla sua presenza e dunque non assistite dal carattere fidefaciente della relata di notifica, con la conseguenza che la eventuale prova del mancato recapito potrà essere fornita dal destinatario senza necessità di impugnare la relata mediante querela di falso (cfr. Cass. n. 2082/1999, secondo cui ad integrare l’ultimo adempimento ex art. 140 c.p.c., di “dare notizia” al destinatario delle operazioni compiute “non è sufficiente che la raccomandata sia consegnata all’ufficio postale di partenza, ma è necessario che la stessa sia spedita, con la conseguenza che la notificazione deve ritenersi nulla, qualora risulti che, dopo la consegna, il piego raccomandato non sia stato inoltrato dall’ufficio postale – v. Cass. n. 11118/2000 -. Vedi, con riferimento alla giurisprudenza formatasi sull’art. 140 c.p.c., anteriormente all’intervento della sentenza della Corte costituzionale n. 3/2010, Cass. n. 3497 del 04/04/1998, secondo cui il compimento di detta ultima formalità “non può essere desunto dalla sola indicazione del numero della raccomandata spedita, senza alcuna verifica sull’esistenza e sul contenuto della ricevuta di spedizione, anche ai fini del riscontro degli elementi richiesti dall’art. 48 disp. att. c.p.c., atteso che l’attestazione dell’ufficiale giudiziario di avere inviato una raccomandata indicandone il numero copre con la fede privilegiata soltanto tale ambito, ma dalla stessa non sono desumibili nè l’indirizzo al quale la raccomandata è stata spedita nè il destinatario della medesima negli altri elementi di cui all’art. 48 disp. att. c.p.c.”; v. da ultimo Cass. sez. 6-5, n. 1699 del 2019).

A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 3 del 2010, in tema di notificazione ex art. 140 c.p.c., si è tenuto distinto il momento del perfezionamento della notificazione nei riguardi del notificante da quello nei confronti del destinatario dell’atto, dovendo identificarsi, il primo, con quello in cui viene completata l’attività che incombe su chi richiede l’adempimento, e, il secondo, con quello in cui si realizza l’effetto della conoscibilità dell’atto (Cass. 11 maggio 2012, n. 7324); ne consegue che la notifica, a mezzo posta, dell’avviso informativo al contribuente si perfeziona non con il semplice invio a cura dell’agente postale della raccomandata che dà avviso dell’infruttuoso accesso e degli eseguiti adempimenti, ma decorsi dieci giorni dall’inoltro della raccomandata o nel minor termine costituito dall’effettivo ritiro del plico in giacenza (Cass., sez. 5, n. 27666 del 2019).

Questa Corte ha proprio di recente affermato che “ove la notifica (nella specie della cartella di pagamento) sia avvenuta nelle forme di cui all’art. 140 c.p.c., prima della sentenza della Corte Cost. n. 3 del 2010, ai fini della regolarità della stessa è comunque necessaria la produzione dell’avviso di ricevimento della raccomandata spedita a compimento delle formalità previste dalla indicata disposizione, stante l’efficacia retroattiva delle pronunce additive della Corte Costituzionale” (Cass., sez. 6-5, n. 10519/2019; Cass. n. 33525 del 2019; Cass. n. 25351 del 2020).

Ne consegue che, ai fini della notificazione nel caso di irreperibilità relativa del destinatario, il procedimento da seguire è quello disciplinato dall’art. 140 c.p.c., che prevede la necessità che venga prodotta in giudizio, a prova del perfezionamento del procedimento notificatorio, l’avviso di ricevimento (o di compiuta giacenza) della raccomandata informativa che dà atto dell’avvenuto deposito dell’atto da notificare presso la casa comunale (Cass. n. 33525 del 2019); in particolare, occorre avere prova (non già della consegna ma) del fatto che la raccomandata di avviso sia effettivamente giunta al recapito del destinatario e tale prova è raggiunta a mezzo della produzione dell’avviso di ricevimento, sia esso sottoscritto dal destinatario o da persone abilitate, sia esso annotato dall’agente postale in ordine all’assenza di persone atte a ricevere l’avviso medesimo; difatti, l’avviso di ricevimento, a parere della Corte, è parte integrante della relazione di notifica ai sensi dell’art. 140 c.p.c., in quanto persegue lo scopo di consentire la verifica che l’atto sia pervenuto nella sfera di conoscibilità del destinatario (cfr. Cass., S.U., ord. interlocutoria n. 458 del 2005; Cass., sez. lav., n. 2683 del 2019).

2.4.Non risultando dalla sentenza impugnata la produzione in giudizio da parte dell’Ufficio degli originali o di copia degli avvisi di compiuta giacenza delle raccomandate informative del deposito presso la casa comunale degli atti di intimazione con valenza asseritamente interruttiva, la CTR si è attenuta ai suddetti principi nel ritenere che non emergesse la prova del perfezionamento della notifica degli stessi ai sensi dell’art. 140 c.p.c., avendo, per quanto di interesse, accertato-con apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità- che in tutti questi casi la relata di notifica del plico reca menzione del debitore… come “temporaneamente assente” con conseguente avviso di deposito degli atti ex art. 140 c.p.c., e spedizione di raccomandata il cui avviso di ricevimento risulta tuttavia vuoto”.

3. In conclusione, il ricorso va rigettato.

4. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

5. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, (Cass., Sez. 6 – L, Ord. n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714).

P.Q.M.
La Corte: rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia delle entrate-Riscossione, in persona del Direttore pro tempore, al pagamento in favore del controricorrente delle spese processuali che liquida in complessive Euro 4.100,00, Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2022


Piattaforma unica InPa: come cambiano i concorsi pubblici

Il Portale unico del reclutamento sarà operativo dal 1° luglio 2022 e, a decorrere dalla medesima data, potrà essere utilizzato dalle amministrazioni pubbliche
È stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale (n. 100 del 30 aprile 2022) del Dl 30 aprile 2022 n. 36 il decreto contenente “Ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza”. Principalmente, il provvedimento riguarda i concorsi pubblici, formazione e mobilità dei dipendenti. Previsto l’obbligo di accedere al portale inPA per tutte le procedure di selezione, in prima battuta per le amministrazioni centrali, e il rafforzamento di Formez PA e della Scuola Nazionale dell’Amministrazione.
All’articolo 2, il decreto si occupa dell’assunzione a tempo determinato e indeterminato nelle amministrazioni pubbliche centrali di cui all’articolo 1, comma 2, e nelle autorità amministrative indipendenti, – che – avviene mediante concorsi pubblici orientati alla massima partecipazione ai quali si accede mediante registrazione nel Portale unico del reclutamento, disponibile all’indirizzo www.InPA.gov.it , sviluppato dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, che ne cura la gestione. All’atto della registrazione al Portale l’interessato compila il proprio curriculum vitae, completo di tutte le generalità anagrafiche ivi richieste, con valore di dichiarazione sostitutiva di certificazione ai sensi dell’articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, indicando un indirizzo PEC a lui intestato al quale intende ricevere ogni comunicazione relativa alla procedura cui intende partecipare, ivi inclusa quella relativa all’eventuale assunzione in servizio, unitamente ad un recapito telefonico. La registrazione al Portale è gratuita e può essere realizzata esclusivamente mediante i sistemi di identificazione di cui all’articolo 64, commi 2-quater e 2-nonies, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82. L’iscrizione al Portale comporta il consenso al trattamento dei dati personali per le finalità e con le modalità di cui al regolamento (UE) n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196. Non si tiene conto delle iscrizioni che non contengono tutte le indicazioni circa il possesso dei requisiti richiesti per la registrazione nel Portale o richieste dai bandi di concorso. bandi per il reclutamento e per la mobilità del personale pubblico sono pubblicati sul Portale secondo lo schema predisposto dal Dipartimento della funzione pubblica. Il Portale garantisce l’acquisizione della documentazione relativa a tali procedure da parte delle amministrazioni pubbliche in formato aperto e organizza la pubblicazione in modo accessibile e ricercabile secondo parametri utili ai cittadini che intendono partecipare a tali procedure.
Il Portale unico del reclutamento sarà operativo dal 1° luglio 2022 e, a decorrere dalla medesima data, potrà essere utilizzato dalle amministrazioni pubbliche centrali di cui all’articolo 1, comma 2, e dalle autorità amministrative indipendenti. Dal 1° novembre 2022 le medesime amministrazioni utilizzano il Portale per tutte le procedure di assunzione a tempo determinato e indeterminato.
A decorrere dal 1° novembre 2022 i componenti delle commissioni esaminatrici dei concorsi pubblici svolti secondo le modalità previste dall’articolo 4, comma 3-quinquies, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, e dall’articolo 35, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono individuati nel rispetto dei principi della parità di genere, attraverso il Portale Fino alla predetta data, il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, anche avvalendosi della Commissione per l’attuazione del progetto di riqualificazione delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 35, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nomina i componenti delle commissioni esaminatrici dei concorsi pubblici unici e delle procedure selettive sulla base di elenchi di nominativi scelti tra soggetti in possesso di requisiti di comprovata professionalità e competenza. Gli elenchi sono formati dalle amministrazioni destinatarie delle predette procedure concorsuali che assicurano il rispetto del principio di trasparenza e imparzialità dell’azione amministrativa. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche alla procedura di nomina delle sottocommissioni e dei comitati di vigilanza.
I concorsi per l’assunzione del personale non dirigenziale delle amministrazioni, ivi inclusi quelli indetti dalla Commissione per l’attuazione del progetto di riqualificazione delle pubbliche amministrazioni (RIPAM), prevedono:
– l’espletamento di almeno una prova scritta, anche a contenuto teorico-pratico, e di una prova orale, comprendente l’accertamento della conoscenza di almeno una lingua straniera. Le prove di esame sono finalizzate ad accertare il possesso delle competenze, intese come insieme delle conoscenze e delle capacità tecniche o manageriali, che devono essere specificate nel bando e definite in maniera coerente con la natura dell’impiego per il profilo richiesto. Il numero delle prove d’esame e le relative modalità di svolgimento e correzione devono contemperare l’ampiezza e profondità della valutazione delle competenze definite nel bando con l’esigenza di assicurare tempi rapidi e certi di svolgimento del concorso orientati ai principi espressi nel comma 2;
– l’utilizzo di strumenti informatici e digitali e, facoltativamente, lo svolgimento in videoconferenza della prova orale, garantendo comunque l’adozione di soluzioni tecniche che ne assicurino la pubblicità, l’identificazione dei partecipanti, la sicurezza delle comunicazioni e la loro tracciabilità, nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali e nel limite delle pertinenti risorse disponibili a legislazione vigente;
– le prove di esame possano essere precedute da forme di preselezione con test predisposti anche da imprese e soggetti specializzati in selezione di personale, nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente, e possono riguardare l’accertamento delle conoscenze o il possesso delle competenze di cui alla lettera a, indicate nel bando;
– che i contenuti di ciascuna prova siano disciplinati dalle singole amministrazioni responsabili dello svolgimento delle procedure di cui al presente articolo, le quali adottano la tipologia selettiva più conferente con la tipologia dei posti messi a concorso, prevedendo che per l’assunzione di profili specializzati, oltre alle competenze, siano valutate le esperienze lavorative pregresse e pertinenti. Le predette amministrazioni possono prevedere che nella predisposizione delle prove le commissioni siano integrate da esperti in valutazione delle competenze e selezione del personale, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le procedure di reclutamento si svolgono con modalità che ne garantiscano l’imparzialità, l’efficienza, l’efficacia e la celerità di espletamento, che assicurino l’integrità delle prove, la sicurezza e la tracciabilità delle comunicazioni, ricorrendo all’utilizzo di sistemi digitali diretti anche a realizzare forme di preselezione ed a selezioni decentrate, anche non contestuali, in relazione a specifiche esigenze o per scelta organizzativa dell’amministrazione procedente. Nelle selezioni non contestuali le amministrazioni assicurano comunque la trasparenza e l’omogeneità delle prove somministrate in modo da garantire il medesimo grado di selettività tra tutti i partecipanti.
Codice di comportamento dei dipendenti pubblici
Previsto l’aggiornamento del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici (Dpr 62/2013) introducendo, in particolare, una sezione dedicata all’utilizzo dei social network per tutelare l’immagine della Pa. Si stabilisce, inoltre, lo svolgimento di un ciclo di formazione sui temi dell’etica pubblica e del comportamento etico per i neoassunti, la cui durata e intensità sono proporzionate al grado di responsabilità.


COMUNICATO RINNOVO CONTRATTUALE

Prosegue il negoziato per il rinnovo del CCNL funzioni Locali per il triennio 2019-2021.
Nell’incontro del 4 u.s. il sindacato ha valutato positivamente l’atto di indirizzo adottato dal Comitato di Settore ARAN, con il quale si destinano le risorse necessarie a finanziare il sistema indennitario e altri istituti del salario accessorio, oltre alla riforma del sistema di classificazione. Nel dare atto che sono venuti meno alcuni ostacoli di carattere finanziario, da parte sindacale sono state ribadite le richieste già avanzate, con particolare riferimento alla introduzione dell’Area delle Elevate Professionalità, alla corretta riclassificazione dei profili, ad un nuovo sistema indennitario atto a riconoscere la professionalità dei lavoratori, alla revisione delle sezioni professionali.
Un nuovo incontro è previsto per il 16 maggio; è nostro auspicio che finalmente vengano date risposte concrete e risolutive alle problematiche che più interessano la nostra categoria e, cioè, il riconoscimento della professionalità e un giusto inquadramento contrattuale.