Cass. civ. Sez. III, Ord., (ud. 06-07-2021) 16-12-2021, n. 40467

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29897/2019 proposto da:

T.G., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO SOMALIA 67, presso lo studio dell’avvocato RITA GRADARA, rappresentato e difeso dagli avvocati PAOLO COLOMBO, ANNA MARIA PETRALITO;

– ricorrente –

contro

AZIMUT SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL CONSOLATO 6, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO SERRA, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO GAMBA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 468/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 15/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/07/2021 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

Svolgimento del processo
che:

T.G. propose innanzi al Tribunale di Cremona opposizione tardiva ai sensi dell’art. 650 c.p.c., avverso il Decreto Ingiuntivo, notificato ai sensi dell’art. 143 c.p.c., emesso in favore di Azimut s.r.l. per l’importo di Euro 61.781,03, a titolo di corrispettivo per le opere eseguite extracapitolato presso l’immobile di proprietà dell’ingiunto, operata dal totale di Euro 68.331,53 la detrazione della somma di Euro 6.460,50 pari al costo per l’eliminazione dei vizi lamentati dal T.. L’opponente propose inoltre domanda riconvenzionale di condanna al pagamento della somma di Euro 41.977,67, a titolo risarcitorio ai sensi degli artt. 1669 e/o 2043 c.c., per i danni derivanti dai vizi a carico dell’immobile. Il Tribunale accolse sia l’opposizione che la domanda riconvenzionale nei limiti del minor importo (rivalutato) di Euro 17.500,00. Avverso detta sentenza propose appello Azimut s.r.l.. Con sentenza di data 15 marzo 2019 la Corte d’appello di Brescia accolse l’appello, dichiarando l’inammissibilità per tardività dell’opposizione al decreto ingiuntivo e condannando l’appellato al pagamento della somma di Euro 61.781,03 oltre interessi.

Premise la corte territoriale che in data (OMISSIS) era stata eseguita la notificazione del Decreto Ingiuntivo presso la residenza anagrafica del debitore a mezzo del servizio postale, con esito negativo per lo stato di “irreperibilità del destinatario” e che in data (OMISSIS) la notifica era stata eseguita dall’ufficiale giudiziario il quale, confermando la situazione verificata dall’ufficiale postale, aveva dichiarato che all’indirizzo di (OMISSIS) vi era uno “stabile sprovvisto di portineria”, “il nome non figura sul citofono nè sulla cassetta postale”, così da rendere “non applicabile la notifica ex art. 140 c.p.c.” e che erano state “vane le ricerche esperite sul posto”. Osservò quindi, non potendo essere poste in discussione le attestazioni dell’ufficiale giudiziario in mancanza di querela di falso, che non poteva reputarsi inidonea neppure l’attestazione riguardante il vano esperimento delle ricerche sul posto, perchè: l’espletamento di tale adempimento era attestato dal pubblico ufficiale; l’esito negativo era coerente al precedente tentativo mediante servizio postale; le ricerche non avrebbero potuto fornire un risultato diverso dato che l’indirizzo di (OMISSIS) corrispondeva all’effettiva ed attuale residenza dell’ingiunto.

Aggiunse che la domanda riconvenzionale non era autonoma rispetto alla pretesa creditoria, e pertanto risultava travolta dall’inammissibilità dell’opposizione con la formazione del relativo giudicato, perchè l’opposta aveva chiesto il pagamento delle opere extra contratto (e a tale domanda l’opponente aveva resistito sostenendo che il relativo costo era stato preso in considerazione nel corrispettivo della compravendita) ed inoltre aveva offerto, a deduzione del costo delle opere in questione, il minor valore determinato da tale costo, cui l’opponente aveva replicato offrendo una differente valutazione delle circostanze e delle criticità in parola.

Ha proposto ricorso per cassazione T.G. sulla base di due motivi e resiste con controricorso la parte intimata. E’ stato fissato il ricorso in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.. Sono state depositate memorie.

Motivi della decisione
che:

con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 140, 143 e 148 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che, come riconosciuto dalla stessa Corte d’appello, era provato che nel (OMISSIS) il T. avesse stabile residenza anagrafica all’indirizzo di (OMISSIS) e che la barratura della casella “vane ricerche” avrebbe dovuto essere completata adeguatamente mediante una relazione che desse conto dell’attività compiuta ai fini di consentire la notifica a mani o accertare la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 140, dando conto in modo esaustivo delle attività compiute e spiegando così come il loro esito avesse portato alla conclusione inequivocabile del trasferimento altrove della residenza (peraltro si trattava di un’area di villette regolarmente e stabilmente abitate, ragion per cui era sufficiente chiedere informazioni ai vicini ivi residenti). Aggiunge che non poteva ricorrere lo stato di ignoranza incolpevole circa l’effettivo indirizzo di residenza del destinatario (che avrebbe legittimato la notifica ai sensi dell’art. 143), sia perchè il T. aveva stabile residenza nell’indirizzo in questione, dal quale era temporaneamente assente per impegni di lavoro, sia perchè tale residenza era nota ad Azimut.

Il motivo è fondato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini della notificazione ex art. 143 c.p.c., l’ufficiale giudiziario, ove non abbia rinvenuto il destinatario nel luogo di residenza risultante dal certificato anagrafico, è tenuto a svolgere ogni ulteriore ricerca ed indagine dandone conto nella relata, dovendo ritenersi, in difetto, la nullità della notificazione (Cass. n. 8638 del 2017). Il ricorso alle formalità di notificazione di cui all’art. 143 c.p.c., per le persone irreperibili, non può essere affidato alle mere risultanze di una certificazione anagrafica, ma presuppone sempre e comunque che, nel luogo di ultima residenza nota, siano compiute effettive ricerche e che di esse l’ufficiale giudiziario dia espresso conto (Cass. n. 24107 del 2016), il che val quanto dire, come affermato da Cass. n. 18385 del 2003, che “l’ufficiale giudiziario debba comunque preliminarmente concretamente accedere nel luogo di ultima residenza nota, al fine fra l’altro – di attingere, anche nell’ipotesi di riscontrata assenza di addetti o incaricati alla ricezione della notifica, comunque eventuali notizie utili in ordine alla residenza attuale del destinatario della notificazione”. Va inoltre rammentato che i presupposti, legittimanti la notificazione a norma dell’art. 143 c.p.c., non sono solo il dato soggettivo dell’ignoranza, da parte del richiedente o dell’ufficiale giudiziario, circa la residenza, la dimora o il domicilio del destinatario dell’atto, nè il mero possesso del certificato anagrafico, dal quale risulti il destinatario stesso trasferito per ignota destinazione, essendo anche richiesto che la condizione di ignoranza non sia superabile attraverso le indagini possibili nel caso concreto, da compiersi ad opera del mittente con l’ordinaria diligenza: a tal fine, la relata di notificazione fa fede, fino a querela di falso, circa le attestazioni che riguardano l’attività svolta dall’ufficiale giudiziario procedente e limitatamente ai soli elementi positivi di essa, mentre non sono assistite da pubblica fede le attestazioni negative, come l’ignoranza circa la nuova residenza del destinatario della notificazione (Cass. n. 19012 del 2017).

Nel caso di specie l’indicazione di “vane le ricerche esperite sul posto”, al cospetto dell’accertata residenza anagrafica, evidenzia una carenza del procedimento notificatorio sotto il profilo del requisito della effettività delle ricerche e della specifica indicazione di quali siano state le “effettive” ricerche compiute, rilevante nel caso di specie come requisito formale indispensabile per il raggiungimento dello scopo dell’atto (art. 156 c.p.c., comma 2). In mancanza infatti della specifica indicazione delle effettive ricerche compiute, la generica indicazione di “vane le ricerche esperite sul posto” è inidonea ad integrare un fatto di cui l’ufficiale giudiziario dia conto nel processo verbale, per il quale incomba sulla parte interessata l’onere di proporre querelai di falso, ma ha la valenza esclusivamente di una valutazione, non assistita, come è noto, dalla precipua efficacia dell’atto pubblico (in particolare, l’ufficiale giudiziario ha stimato “vane” le ricerche esperite, ma ha omesso di attestare i fatti, che sarebbero avvenuti, corrispondenti alle ricerche eseguite). Non vale richiamare Cass. n. 17964 del 2017, come si fa nella memoria della controricorrente, la quale esclude che ricorra la nullità nel caso di mancata indicazione nel processo verbale delle indagini eseguite a condizione però che risulti comunque con assoluta certezza l’effettivo compimento delle stesse, circostanza che non risulta nel caso di specie (mentre sussisteva nel caso di cui al precedente appena citato).

Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che la corte territoriale, ritenendo travolta la domanda riconvenzionale, ha confuso il contenuto di domande che restano autonome, con l’istituto della compensazione e che il contenuto della domanda riconvenzionale prescinde del tutto dall’opposizione a decreto ingiuntivo.

L’accoglimento del precedente motivo determina l’assorbimento del motivo.

P.Q.M.
accoglie il primo motivo del ricorso, con assorbimento del secondo motivo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di appello di Brescia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2021


MANUTENZIONE

Si comunica che dal giorno

20 dicembre dalle ore 14:00 alle ore 24:00

sino al 24 dicembre 2021

questo sito non sarà accessibile per manutenzione

Ci scusiamo per il disagio, ringraziando per la collaborazione


Cass. civ., Sez. III, Ord., (data ud. 02/07/2021) 14/12/2021, n. 39970

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23301-2018 proposto da:

FALLIMENTO R.R., FALLIMENTO (OMISSIS) SNC, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CARNUCCIO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

UNIONE BANCHE ITALIANE SPA, (GIA’ BANCA CARIME SPA), elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 2, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE GRILLO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 561/2017 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 22/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/07/2021 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA.

Svolgimento del processo
Che:

la Banca Carime s.p.a. si opponeva al precetto notificatole dalla curatela del Fallimento (OMISSIS) s.n.c., deducendo che il legittimato passivo del titolo giudiziale oggetto dell’intimazione era la s.p.a. Carical;

il Tribunale accoglieva l’opposizione con pronuncia riformata dalla Corte di appello secondo cui, in particolare, il giudice di prime cure aveva dato atto della diversità dei soggetti sociali, tra cui vi era stata cessione di ramo di azienda, senza accertare che il rapporto sotteso al titolo fosse stato ricompreso nella stessa “traslatio” laddove, al contempo, non poteva evincersi alcun giudicato opposto, sul punto, dalla decisione azionata come titolo, atteso che in quel giudizio non vi era stata cognizione specifica al riguardo, nè poteva ipotizzarsi una non contestazione in prime cure, in cui la società coinvolta era rimasta contumace, nè alcunchè in appello, dichiarato solo in rito inammissibile;

avverso la decisione di secondo grado ricorre per cassazione l’amministrazione fallimentare articolando tre motivi;

resiste con controricorso UBI Banca s.p.a. quale incorporante Banca Carime.

Motivi della decisione
Che:

con il primo e secondo motivo, suscettibile di sintesi per strettissima connessione, si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 616, c.p.c., nel testo “ratione temporis” applicabile, comma 2, poichè la decisione del Tribunale era inappellabile e dunque impugnabile solo con ricorso straordinario per cassazione, con conseguente intervenuto giudicato di cui era stato quindi omesso il rilievo;

con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 615 c.p.c., art. 2909 c.c., D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 58 poichè la Corte territoriale avrebbe errato mancando di considerare che nella decisione azionata quale titolo s’indicava la Carime quale successore della Carical, mentre la Corte territoriale aveva affermato una mancata prova dell’inclusione del rapporto obbligatorio in questione nella cessione del ramo di azienda tra le due società senza, però, che tale documento fosse acquisito agli atti del giudizio “a quo”, mentre l’interpretazione extratestuale del titolo esecutivò sarebbe stata possibile solo in base alla documentazione ritualmente acquisita nel correlato processo;

Rilevato che:

nel controricorso si è eccepita la tardività del ricorso per cassazione in quanto la sentenza impugnata risulta essere stata notificata via p.e.c. al domiciliatario in appello oltre che al “dominus” difensore, ai fini di decorrenza del termine breve, infine spirato;

l’eccezione, afferente peraltro a profilo rilevabile d’ufficio, è fondata;

osserva il Collegio che la notifica via p.e.c. della sentenza di appello, risultante agli atti del controricorrente, rispetto alla quale è decorso invano termine per impugnare in questa sede, è stata effettuata in tale forma nonostante un’elezione di domicilio fisico in capo all’avvocato Silvio Dattola, destinatario come detto della notifica telematica;

questa Corte ha chiarito che:

a) a seguito dell’introduzione del c.d. domicilio digitale (corrispondente all’indirizzo p.e.c. che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza, previsto dal D.L. n. 179 del 201, art. 16 sexies convertito dalla L. n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, convertito dalla L. n. 114 del 2014), la notificazione va eseguita all’indirizzo p.e.c. del difensore costituito, pur non indicato negli atti dal difensore medesimo, sicchè è nulla la notificazione effettuata (ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82) presso la Cancelleria dell’ufficio giudiziario innanzi al quale pende la lite, anche se il destinatario abbia omesso di eleggere il domicilio nel Comune in cui ha sede quest’ultimo;

b) tale principio deve trovare certamente applicazione nei casi in cui il destinatario della notificazione abbia omesso di eleggere il domicilio nel Comune in cui ha sede l’ufficio giudiziario dinanzi a cui pende la lite (con la conseguente necessità. di ricorrere, per tale ipotesi, alla notificazione presso il c.d. domicilio digitale del destinatario), mentre non spiega efficacia nei casi in cui la Cancelleria del giudice dinanzi a cui pende la lite, lungi dal rilevare quale riferimento per il caso di omessa elezione di domicilio nel Comune di detto giudice (ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82), rappresenti il luogo di espressa identificazione elettiva del domicilio dell’interessato, dovendo escludersi che il regime normativo concernente l’identificazione del c.d. domicilio digitale abbia soppresso la prerogativa processuale della parte d’individuare, in via elettiva, uno specifico luogo fisico – anche la Cancelleria dell’ufficio giudiziario – come valido riferimento, eventualmente in associazione al domicilio digitale, per la notificazione degli atti del processo alla stessa destinati (Cass., 29/01/2020, n. 1982);

resta inteso che qualora vi sia stata indicazione della domiciliazione digitale, non circoscritta alle sole comunicazioni, le notifiche, al fine di far decorre il termine breve, devono avvenire necessariamente in tale luogo telematico (Cass., 01/06/2020, n. 10355);

questo quadro ha portato a concludere che il domicilio digitale può essere utilizzato per la notificazione in questione, anche se non elide la prerogativa processuale di eleggere domicilio fisico, sicchè le due opzioni concorrono (Cass., 11/02/2021, n. 3557);

in tal caso, la parte aveva solo eletto domiciliazione fisica, ma la domiciliazione digitale, pur non impedendo l’utilizzo della prima, restava, per volontà dell’ordinamento, una delle due possibilità ai fini in discussione;

nèdiscende la ritualità della notifica della sentenza qui gravata, nei sensi eccepiti dalla controricorrente, con conseguente sua idoneità all’attivazione del termine breve di impugnazione e tardività dell’odierno ricorso;

spese secondo soccombenza;

raddoppio c.u. se dovuto.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali di parte controricorrente liquidate in Euro 4.100,00 oltre a Euro 200,00 per esborsi, 15% di spese forfettarie, e accessori legali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 2 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2021


Avviso di accertamento anche se notificato regolarmente è illegittimo

Agli organi di controllo, l’emissione di un avviso di accertamento è consentita solo dopo sessanta giorni (articolo 12 comma 7 legge numero 212/2000) successivi alla contestazione. Conseguentemente, l’avviso di accertamento formato e firmato dal funzionario dell’ufficio finanziario prima di questi stessi termini, sia pure notificato dopo i sessanta giorni, è illegittimo.
Lo ha stabilito la sezione quinta della Corte Suprema di Cassazione nella sentenza n. 33285/2021 dell’11 novembre scorso. L’articolo 12, comma 7, della legge numero 212/2000 (Statuto del contribuente) stabilisce che, nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori.
L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza. (…). È quindi opportuno ricordare, che, ai sensi di tale art. 12, comma 7, dopo il rilascio del pvc (processo verbale di chiusura delle operazioni) da parte dei verificatori che hanno eseguito attività ispettive presso il domicilio fiscale del contribuente, devono trascorrere sessanta giorni prima che il fisco possa emettere il relativo avviso di accertamento.
Durante questo termine, infatti, al contribuente è consentito formulare osservazioni che l’ufficio è tenuto a valutare. Questo stesso termine di sessanta giorni è una espressione del principio di buona amministrazione e di collaborazione con il contribuente sancito anche nella Carta costituzionale. Nella sentenza i membri della Corte Suprema di Cassazione stabiliscono che i citati termini decorrono tra la consegna del processo verbale e la formazione (sottoscrizione dell’atto) da parte del funzionario dell’ufficio, senza considerare che la successiva notifica abbia rispettato questi termini.
La norma di riferimento, dice la cassazione, tende a garantire il contraddittorio procedimentale consentendo al contribuente di far valere le sue ragioni prima ancora che l’atto sia formato e sottoscritto. La Corte Suprema di Cassazione aggiunge che, nel caso specifico, l’applicazione del termine dilatorio di cui all’articolo 12, comma 7, della legge numero 212 del 2000 non è necessaria la prova di resistenza (Corte Suprema di Cassazione sentenza numero 22644/2019) e questo sia per i tributi armonizzati (Iva) che non armonizzati (imposte dirette) trattandosi di accertamento emesso sull’esito di accesso domiciliare.


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 14/09/2021) 30/11/2021, n. 37398

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1660/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Antonio Frunzi e dall’Avv. Giuseppe Maria Frunzi, con domicilio eletto in Roma, via Baldo degli Ubaldi, n. 71, presso lo studio dell’Avv. Massimiliano Morichi;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, n. 1025/48/14 depositata il 4 febbraio 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 settembre 2021 dal Consigliere Giuseppe Nicastro.

Svolgimento del processo
che:

il concessionario della riscossione notificò a M.G. la cartella di pagamento n. (OMISSIS), con l’iscrizione a ruolo di IRPEF, di ILOR e di contributo al servizio sanitario nazionale per gli anni 1992 e 1993 (per complessive L. 3.322.517.000), operata sulla base di due avvisi di accertamento ((OMISSIS)) divenuti definitivi per mancata impugnazione;

deducendo che tali avvisi di accertamento non gli erano mai stati notificati, M.G.impugnò la cartella di pagamento davanti alla Commissione tributaria provinciale di Napoli (hinc anche: “CTP”), che accolse il ricorso del contribuente, “non avendo l’ufficio documentato l’esistenza degli avvisi di accertamento” (così la sentenza impugnata);

avverso tale pronuncia, l’Agenza delle entrate, Direzione provinciale II di Napoli, propose appello alla Commissione tributaria regionale della Campania (hinc anche: “CTR”), che lo rigettò con la motivazione che: a) “la cartella de quo non reca nè l’indicazione della data in cui il ruolo è stato reso esecutivo nè la data di consegna del ruolo al Concessionario, per cui non è possibile verificare se è stato rispettato il termine previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 2 comma 1. La cartella de quo risulta essere altresì nulla anche perchè notificata in data (OMISSIS), ovvero oltre il termine decadenziale previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, così come richiamato dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17, normativa che, secondo consolidata giurisprudenza, sancisce la decadenza del ruolo se nei termini previsti, oltre alla consegna del ruolo stesso alla D.R.E., non sia stata notificata la cartella al contribuente”; b) “(r)elativamente poi al comprovato vizio di notifica degli avvisi di rettifica originari, l’Ufficio stesso con memorie integrative depositate il 28/10/05, deposito tardivo perchè contenente documenti allegati da depositare 20 gg. prima dell’udienza, erroneamente afferma di aver già provveduto a depositare gli avvisi di rettifica de quo. Invero il deposito di tali atti è avvenuto tardivamente, ovvero tali atti sono stati depositati come allegati alle citate memorie integrative del 27/10/05. Pertanto solo in tale data, quindi a termine abbondantemente scaduto, nonostante l’ordinanza di deposito della stessa Commissione adita datata 18/12/2003, l’appellato è venuto finalmente a conoscenza di questi atti di rettifica e relative relate di notifica”; c) “(a) parte la decadenza del termine per la notifica di atti impositivi, le notifiche depositate risultano essere nulle in quanto operate a nomi di persone sconosciute ed in luoghi non indicati per uno e sconosciuto per l’altro, considerato che, come si evince dal certificato storico di residenza del 12/11/2005, allegato, l’appellato risiede a far data dal 09/10/1991 da sempre al (OMISSIS). La notifica di atti ad una persona fisica, ai sensi dell’art. 139 c.p.c., va fatta nel domicilio del destinatario mediante consegna a mani proprie o di persone di famiglia convivente o infine a persone addette alla casa o all’ufficio. Nessuno dei casi citati ricorre nella relata de quo, per cui gli atti oggetto di notifica non sono mai esistiti o quanto meno venuti a conoscenza del legittimo destinatario, conoscenza che si è tardivamente verificata solo in data 28/10/05 a termine oramai da tempo scaduto. Infatti relativamente alle notifiche inerenti l’avviso di rettifica n. 5011026768 allegato in copia dall’Ufficio, nella relata di notifica non vi è indicato nè l’ora, nè la via, nè il comune o la frazione dove il messo notificatore ha notificato l’atto al sig. E.S., persona sconosciuta. Inoltre, per quanto riguarda la relata di notifica inerente l’avviso di rettifica n. 5011024141, il messo notificatore oltre ad aver notificato l’atto ad una persona totalmente sconosciuta oltre che sbagliata, considerando che il M.G. è domiciliato da sempre in (OMISSIS). Le suddette notifiche quindi risultano completamente nulle poichè in netto contrasto con quanto affermato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, il quale, rinviando all’art. 137 e seguenti del CPC, stabilisce che le notifiche devono essere eseguite in mani proprie del contribuente, e laddove la notifica non avvenga a mani proprie, la stessa deve essere fatta nel domicilio fiscale del destinatario. La Corte di Cassazione (Vedi Cass. n. 1 131 del 04/02/98), in merito alla questione, ha più volte affermato che la successione preferenziale delle persone indicate dall’art. 139 c.p.c., è tassativa, con la conseguenza che la notifica è nulla quando nella relata non è specificamente indicata la ragione per la quale l’atto non è stato consegnato allo stesso destinatario o ad alcune delle persone che nell’ordine tassativo lo seguono, così come stabilito dalla seguenti decisioni della CTC n. 6440 del 21/12/96, CTC n. 6425 del 10/10/90, CTC n. 1 188 del 10/11/1995. Per tutti questi motivi, quindi, nel caso di specie le suddette notifiche sono completamente errate”;

avverso tale decisione – depositata in segreteria il 4 febbraio 2014 e non notificata – ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate, che affida il proprio ricorso, notificato il 16 gennaio 2015, a sei motivi; M.G. resiste con controricorso, notificato il 5 marzo 2015;

M.G. ha depositato una memoria.

Motivi della decisione
che:

con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, comma 1, per avere la CTR omesso di dichiarare inammissibili, in quanto proposti per la prima volta solo nel giudizio di appello – segnatamente, “con le “note di memoria” depositate il 14 novembre 2005″ – i motivi relativi alle nullità dell’impugnata cartella di pagamento perchè priva dell’indicazione della data in cui il ruolo era divenuto esecutivo e della data di consegna dello stesso ruolo al concessionario nonchè perchè notificata oltre il termine di decadenza previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43 (richiamato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 17);

con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’omesso esame del fatto decisivo che gli avvisi di accertamento prodromici alle iscrizioni a ruolo erano stati prodotti in giudizio dall’Agenzia delle entrate già in allegato al ricorso in appello – come risultava: a) dallo stesso ricorso, là dove l’Ufficio, premesso di avere regolarmente notificato i suddetti avvisi, affermava di “esibi(rli) in copia conforme all’originale”; b) dall’ordinanza n. 43/48/06, depositata il 6 ottobre 2006, con la quale la CTR sospese il processo per l’avvenuta presentazione di querela di falso relativamente alle relazioni di notificazione degli avvisi, là dove, premesso che l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello avverso la sentenza della CTP, affermava che “(e)ntrambi (gli avvisi) venivano esibiti in copia conforme all’originale”; c) dalla stessa sentenza impugnata, là dove, premesso che l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello avverso la sentenza della CTP, afferma che “Ma documentazione veniva esibita in copia conforme all’originale”) – o, comunque, all’udienza del 18 dicembre 2003, come risultava sempre dalla sentenza impugnata (là dove afferma che “(i)n data 28/10/2005 l’ufficio depositava memorie aggiuntive da cui si dava atto all’ufficio di avere depositato gli avvisi di rettifica in data 18/12/2003, data in cui il ricorrente ne era venuto a conoscenza”), e non soltanto il 28 dicembre 2005, in allegato alla memoria depositata dall’Ufficio in tale data, come ritenuto dalla CTR;

con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.P.R. n. 546 del 1992, artt. 61 e 32, per avere la CTR affermato che la produzione dei presupposti avvisi di accertamento il 25 ottobre 2005 era tardiva, atteso che, premesso che, a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, richiamato dall’art. 61 stesso decreto, i documenti possono essere depositati fino a venti giorni liberi prima della data di trattazione, poichè questa era fissata per il 2 maggio 2013, il deposito dei predetti avvisi era ampiamente tempestivo;

con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’omesso esame dei fatti decisivi che, come evidenziato nella propria memoria del 4 aprile 2006, le notifiche degli avvisi di accertamento presupposti “sono state effettuate nel comune di residenza ((OMISSIS)) all’indirizzo di (OMISSIS)” e che “tale indirizzo ha costituito il luogo di residenza del contribuente almeno fino al 1993 ed il luogo di esercizio dell’attività negli anni successivi, e certamente nei periodi di imposta (…) 1998/1999 (…), come dimostra il fatto che a tale indirizzo sono stati regolarmente notificati, in periodi precedenti, altri provvedimenti dell’amministrazione (come l’invito a comparire per esperire la procedura di accertamento per adesione”);

con il quinto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la violazione e falsa applicazione degli artt. 156 e 160 stesso codice, “in relazione all’art. 148 c.p.c.”, per avere la CTR affermato la nullità della notificazione “di uno dei due atti di accertamento” per la mancata indicazione, nella relativa relazione di notificazione, del luogo e dell’ora in cui è avvenuta la consegna dell’atto;

con il sesto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, e dell’art. 139 c.p.c., per avere la CTR affermato la nullità della notificazione dei prodromici avvisi di accertamento in quanto consegnati non nella casa di abitazione (ubicata in (OMISSIS), (OMISSIS)) e a persone sconosciute, nonchè in quanto “nella relata non è specificamente indicata la ragione per la quale l’atto non è stato consegnato allo stesso destinatario o ad alcune delle persone che nell’ordine tassativo lo seguono”;

preliminarmente, deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), sollevata dal controricorrente nel controricorso;

contrariamente a quanto ritenuto dal controricorrente, il ricorso per cassazione dell’Agenzia delle entrate contiene infatti, nelle pagine dalla prima alla quarta, sotto il titolo “Fatto e svolgimento del processo”, una sintetica esposizione del fatto sostanziale e processuale pienamente idonea a soddisfare il requisito dell’”esposizione sommaria dei fatti della causa” prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3);

la riproduzione, nell’ambito dell’esposizione del primo motivo, del ricorso introduttivo del giudizio, nell’ambito dell’esposizione del quarto motivo, della memoria dell’Agenzia delle entrate del 4 aprile 2006, e, nell’ambito dell’esposizione del sesto motivo, delle relazioni di notificazione dei due prodromici avvisi di accertamento e dell’intestazione di uno di essi sono giustificate dall’esigenza del rispetto del principio di autosufficienza, codificato dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) (ex plurimis, Cass., 25/03/2013, n. 7455, 22/02/2016, n. 3385) e riguardante, appunto, la modalità di esposizione dei motivi, i quali, per essere idoneamente articolati come “domanda” rivolta alla Corte di cassazione, presuppongono “la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi” su cui si fondano, onere che può essere adempiuto o mediante la riproduzione o trascrizione della parte rilevante o mediante l’indicazione dell’atto, documento, contratto o accordo collettivo;

da ciò consegue l’infondatezza dell’eccezione;

il primo motivo è fondato;

il processo tributario ha un oggetto che è rigidamente delimitato per quanto qui rileva – dalle contestazioni comprese nei motivi di impugnazione avverso l’atto impositivo prospettati nel ricorso introduttivo (D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18 e 24), i quali costituiscono la causa petendi dell’auspicato annullamento del medesimo atto (Cass., 24/06/2011, n. 13934);

questa Corte ha conseguentemente affermato che, nel giudizio tributario di appello, si ha domanda nuova, come tale improponibile a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 1, quando il contribuente, nel giudizio di appello, “introduce, al fine di ottenere l’eliminazione – o la riduzione delle conseguenze – dell’atto impugnato, una “causa petendi” diversa, fondata su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, sicchè risulti inserito nel processo un nuovo tema d’indagine” (Cass., 30/07/2007, n. 16829);

nella specie, dalla lettura del ricorso introduttivo del giudizio riprodotto dalla ricorrente nel ricorso (in ossequio, come si è detto, al principio di autosufficienza) – risulta che il contribuente, impugnando la cartella di pagamento, contestò che la stessa “è nulla per assenza del titolo giustificativo della relativa iscrizione a ruolo delle imposte de quo. Infatti gli avvisi di accertamento citati nel dettaglio degli addebiti (pag. 2 della cartella) non sono mai pervenuti al Ricorrente per completa assenza di notifica degli stessi al Ricorrente stesso. – Mancando gli avvisi di accertamento posti a base della iscrizione a ruolo, la iscrizione stessa è nulla per assenza di titolo”;

con il ricorso introduttivo, il contribuente denunciò quindi la nullità della cartella di pagamento esclusivamente in quanto asseritamente non preceduta dalla notificazione dei prodromici avvisi di accertamento;

rispetto a siffatta censura, le doglianze con le quali il contribuente, solo nel giudizio di appello – segnatamente con la memoria depositata il 14 novembre 2005 (depositata dall’Agenzia delle entrate come allegato n. 11 al ricorso per cassazione) – denunciò la nullità della cartella di pagamento perchè priva dell’indicazione della data in cui il ruolo era divenuto esecutivo e della data di consegna dello stesso ruolo al concessionario nonchè perchè notificata oltre il termine di decadenza previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 (richiamato dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17) appaiono evidentemente nuove, giacchè introducono delle causae petendi che sono palesemente diverse da quella della nullità della cartella di pagamento perchè non preceduta dalla notificazione dei prodromici avvisi di accertamento;

ne consegue l’errore commesso dalla CTR col non dichiarare inammissibili d’ufficio, ai sensi del D.P.R. n. 546 del 1992, art. 57, comma 1, in quanto proposte solo nel giudizio di appello, le domande inerenti all’asserita nullità della cartella di pagamento impugnata perchè priva dell’indicazione della data in cui il ruolo era divenuto esecutivo e della data di consegna dello stesso ruolo al concessionario nonchè perchè notificata oltre il termine di decadenza previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43;

il secondo motivo non è fondato;

il controricorrente ha depositato, insieme con il controricorso (quarto allegato), copia del processo verbale dell’udienza del 18 dicembre 2003 contenente l’ordinanza con la quale la CTR – ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, allora vigente comma 3 (comma successivamente abrogato dal D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 3-bis, comma 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248) – “ordina(va) all’Ufficio di depositare entro i termini di legge copie conformi degli avvisi di accertamenti anno 1992 e 1993”, rinviando, allo scopo, all’udienza del 5 febbraio 2004;

risulta dunque evidente che, alla data del 18 dicembre 2003, tali prodromici avvisi di accertamento (con le relative relazioni di notificazione) non erano concretamente rinvenibili negli atti di causa e non erano stati perciò effettivamente prodotti dall’Ufficio;

ne consegue l’infondatezza del motivo in esame, con il quale l’Agenzia delle entrate ha denunciato l’omesso esame del fatto decisivo che i prodromici avvisi di accertamento sarebbero stati prodotti in allegato al ricorso in appello o, comunque, all’udienza del 18 dicembre 2003 e non, come ritenuto dalla CTR, solo in allegato alla memoria depositata dall’Ufficio il 28 dicembre 2005;

il terzo motivo è fondato, nei termini che seguono;

questa Corte, premesso che, nel processo tributario, non vige un rigoroso principio dispositivo in materia di prova – atteso che, alla luce del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, commi 1 e 3, l’iniziativa di parte non è un necessario e non surrogabile veicolo per l’acquisizione di documenti – ha affermato il principio, che è condiviso dal Collegio, secondo cui, in conseguenza di ciò, dalla scadenza del termine assegnato alla parte dall’ordinanza della commissione tributaria per la relativa produzione, e anche del termine di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, non deriva alcuna conseguenza in ordine all’utilizzabilità dei documenti, una volta che questi siano stati, comunque, acquisiti (Cass., 23/12/2000, n. 16176);

da ciò consegue l’error in procedendo commesso dalla CTR col ritenere (implicitamente) l’inutilizzabilità dei prodromici avvisi di accertamento, con le relative relazioni di notificazione, in quanto prodotti, il 28 dicembre 2005 (in allegato alla memoria depositata dall’Ufficio in tale data), dopo la scadenza del termine di “20 gg. prima dell’udienza” previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32;

deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità del quarto, quinto e sesto motivo sollevata dal controricorrente in quanto “”oggetto di discussione tra le parti” non è stato giammai la regolarità o meno delle notifiche degli avvisi, bensì la prodromica loro sussistenza”;

l’eccezione non è fondata giacchè, contrariamente a quanto asserito dal controricorrente, la questione della validità o no delle notificazioni dei due prodromici avvisi di accertamento fu sollevata dallo stesso controricorrente (come controeccezione) nella già menzionata memoria da lui depositata il 14 novembre 2005 ed è stata perciò conseguentemente esaminata e decisa dalla CTR;

deve ora essere esaminato, in ordine logico, il quinto motivo;

preliminarmente, deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità di tale motivo sollevata dal controricorrente nel controricorso per “la mancata individuazione di quale dei due avvisi ivi si faccia riferimento”, atteso che il motivo non può che fare necessariamente riferimento all’avviso di accertamento n. 5011026778 – con riguardo al quale la CTR ha affermato la nullità della notificazione per la mancata indicazione, nella relativa relazione di notificazione, del luogo e dell’ora in cui è avvenuta la consegna dell’atto – sicchè nessun dubbio può sussistere in ordine all’avviso cui il motivo di ricorso si riferisce;

il motivo è fondato;

con riguardo alla parte di esso relativa alla mancata indicazione, nella relazione di notificazione dell’avviso di accertamento n. 5011026778, del luogo della notificazione, questa Corte ha affermato il principio, che è condiviso dal Collegio, che, “(p)oichè la relazione di notificazione si riferisce, di norma, all’atto notificato, così come strutturato, in assenza di indicazioni difformi deve presumersi che la notificazione sia stata effettuata nel luogo in esso indicato, sicchè l’omessa indicazione del detto luogo nella “relata”, ove emendabile col riferimento alle risultanze dell’atto, non comporta nullità della notificazione, ma mera irregolarità formale, non essendo la nullità prevista dall’art. 160 c.p.c.” (09/04/1996, n. 3263, 03/03/2010, n. 5079; in senso analogo, Cass., 24/01/2007, n. 1550);

nella specie, dall’intestazione dell’avviso di accertamento n. 5011026768, riprodotta dalla ricorrente nel ricorso (in ossequio, come si è detto, al principio di autosufficienza), risulta che esso era intestato a M.G. “domicilio fiscale (OMISSIS)”;

si deve perciò presumere che la notificazione dell’avviso sia stata effettuata in tale luogo, con la conseguenza che l’omessa indicazione di esso nella relazione di notificazione, in quanto emendabile con riferimento alle risultanze dell’atto, non comporta la nullità della sua notificazione, ma una mera irregolarità formale;

con riguardo alla parte del motivo relativa alla mancata indicazione, nella relazione di notificazione dell’avviso di accertamento n. (OMISSIS), dell’ora della notificazione, si deve osservare che l’art. 47 disp. att. c.p.c. stabilisce che, nella relazione di notificazione, di cui all’art. 148 c.p.c., deve essere inserita l’indicazione dell’ora nella quale la notificazione è stata eseguita “se la parte interessata lo chiede”;

nella specie, poichè non risulta che la parte contribuente abbia neppure allegato (nè provato) di avere fatto una tale richiesta, ne consegue che nessuna invalidità della notificazione dell’avviso di accertamento n. (OMISSIS) poteva discendere dalla mancata indicazione, nella relativa relata, dell’ora della notificazione;

il quarto motivo è fondato;

ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. c), la notificazione degli avvisi di accertamento deve essere fatta nel domicilio fiscale del destinatario, che, ai sensi dello stesso D.P.R. (“(l)e persone fisiche residenti nel territorio dello Stato hanno il domicilio fiscale nel comune nella cui anagrafe sono iscritte”), coincide con il comune di residenza del contribuente;

ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, alinea, la notificazione va eseguita secondo le norme stabilite dagli artt. 137 e ss. c.p.c. e, quindi, anche secondo l’art. 139 di tale codice, il cui prima comma stabilisce che, se la notificazione non è fatta in mani proprie, essa deve essere eseguita “ricercando (il destinatario) nella casa di abitazione o dove ha l’ufficio o esercita l’industria o il commercio”;

pertanto, la notificazione dei due prodromici avvisi di accertamento ben poteva essere validamente eseguita nel comune di residenza del contribuente dove egli “(aveva) l’ufficio o esercita(va) l’industria o il commercio”;

da ciò discende la decisività per il giudizio dei fatti, addotti dall’Agenzia delle entrate nella memoria del 4 aprile 2006, depositata il 5 aprile 2006 (trascritta, nelle parti rilevanti, nel ricorso e allegata allo stesso come allegato n. 14) che le notificazioni degli avvisi di accertamento presupposti erano avvenute nel comune di residenza del contribuente dove egli esercitava la propria attività (segnatamente in (OMISSIS));

poichè la CTR non ha esaminato tali fatti, il motivo deve essere accolto;

passando all’esame del sesto motivo, preliminarmente deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità di esso sollevata dal controricorrente nel controricorso sull’assunto che “manca la decisivtà del fatto”, atteso che, con tale motivo, la ricorrente ha denunciato non l’omesso esame di un fatto decisivo ma delle violazioni e false applicazioni di norme di legge (segnatamente, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, e dell’art. 139 c.p.c.);

il motivo è fondato sotto tutti e tre i profili in cui si articola;

in primo luogo, è erronea l’affermazione della CTR secondo cui la notificazione dei due prodromici avvisi di accertamento sarebbe nulla perchè essi non sono stati consegnati nella casa di abitazione del contribuente, atteso che, come si è visto, ai sensi del combinato disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, e dell’art. 139 c.p.c., comma 1, gli avvisi di accertamento non devono essere necessariamente notificati nella casa di abitazione del contribuente ma possono essere, in via alternativa, notificati dove egli ha l’ufficio o esercita l’industria o il commercio;

in secondo luogo, è erronea anche l’affermazione della CTR secondo cui la notificazione dei due prodromici avvisi di accertamento sarebbe nulla perchè essi sono stati consegnati a persone sconosciute;

l’art. 139 c.p.c., comma 2, stabilisce che, se il destinatario non viene trovato in uno dei luoghi indicati nello stesso articolo, comma 1 (casa di abitazione ovvero, alternativamente, luogo dove egli ha l’ufficio o esercita l’industria o il commercio), “l’ufficiale giudiziario consegna copia dell’atto a una persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda, purchè non minore di quattordici anni o non palesemente incapace”;

questa Corte ha più volte affermato il principio, che il Collegio condivide, secondo cui, nel caso di notificazione ai sensi dell’art. 139 c.p.c., “la qualità di persona di famiglia, di addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda, di vicina di casa, di chi ha ricevuto l’atto si presume “iuris tantum” dalle dichiarazioni recepite dall’ufficiale giudiziario nella relata di notifica, incombendo sul destinatario dell’atto, che contesti la validità della notificazione, l’onere di fornire la prova contraria ed, in particolare, di provare l’inesistenza di un rapporto con il consegnatario comportante una delle qualità su indicate ovvero la occasionalità della presenza dello stesso consegnatario” (Cass. 17/05/2013, n. 12181, 05/04/2018, n. 8418; nello stesso senso, tra le tante, Cass., 30/10/2018, n. 27587);

nella relazione di notificazione dei due prodromici avvisi di accertamento, riprodotte dalla ricorrente nel ricorso in ossequio al principio di autosufficienza, si attesta che gli stessi avvisi furono consegnati a persone addette alla ricezione degli atti;

alla luce del principio appena esposto, era quindi onere del contribuente, destinatario degli avvisi di accertamento, fornire eventualmente la prova dell’inesistenza di alcun rapporto con i consegnatari comportante la suddetta qualità di addetto alla ricezione degli atti;

non risultando che tale prova sia stata fornita – anzi, l’impugnazione, con querela di falso, delle relazioni di notificazione degli avvisi di accertamento proposta dal contribuente era stata rigettata dal Tribunale di Nola con la sentenza n. 1326/2011, depositata il 24 novembre 2011 (prodotta dall’Agenzia delle entrate come allegato n. 16 al ricorso) – e operando, quindi, la presunzione di sussistenza della qualità di persone addette alla ricezione degli atti in copi ai consegnatari dei due avvisi di accertamento, ne discende l’erroneità della sentenza impugnata là dove ha affermato la nullità della notificazione degli stessi in quanto notificati a persone sconosciute;

in terzo luogo, è erronea anche l’affermazione della CTR secondo cui la notificazione dei due prodromici avvisi di accertamento sarebbe nulla anche in quanto “nella relata non è specificamente indicata la ragione per la quale l’atto non è stato consegnato allo stesso destinatario o ad alcune delle persone che nell’ordine tassativo lo seguono”;

questa Corte ha affermato il principio, che il Collegio condivide, secondo cui, “(i)n tema di notificazione dell’atto di accertamento ai fini delle imposte sul reddito, qualora la notifica sia eseguita ai sensi dell’art. 139 c.p.c., la consegna dell’atto ad una delle persone ed in uno dei luoghi indicati dalla norma, facendo presumere l’avvenuta vana ricerca del destinatario, rende irrilevante la mancata indicazione nella relata delle ragioni che hanno impedito al messo finanziario di eseguire la notifica a mani del destinatario, essendo tale indicazione prescritta soltanto nell’ipotesi in cui la notifica sia eseguita a mani del portiere” (Cass., 29/09/2005, n. 19079);

risulta quindi l’errore commesso dalla CTR col ritenere la nullità della notificazione dei due prodromici avvisi di accertamento perchè nelle relative relazioni di notificazione non erano indicate le ragioni che avevano impedito al messo notificatore di eseguire la notifica in mani proprie del destinatario;

la fondatezza del motivo risulta poi evidente anche alla luce della considerazione che la notificazione dei due avvisi di accertamento è avvenuta a mani di addetti alla ricezione degli atti, cioè di soggetti compresi nella prima delle categorie di persone, diverse dal destinatario, previste dall’art. 139 c.p.c. in via successiva e preferenziale;

pertanto, il primo, il terzo, il quarto il quinto e il sesto motivo devono essere accolti, rigettato il secondo, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, perchè si uniformi al principio di diritto sopra enunciati e provveda, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.
accoglie il primo, il terzo, il quarto il quinto e il sesto motivo, rigettato il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 14 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2021


Notifica digitale degli atti della P.A.: il parere del Garante della Privacy

Sta per tagliare il traguardo la digitalizzazione della notifica degli atti della PA, cui si potrà accedere con Spid e la delega digitale. Il Garante privacy, infatti, ha espresso il suo parere (sotto allegato) sullo schema di dpcm in materia di “Piattaforma per la notificazione degli atti della pubblica amministrazione”, da adottare ai sensi dell’art. 26, comma 15, del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2020, n. 120.
Il Garante, dopo il richiamo della normativa in materia, compreso naturalmente l’art. 26 del dl. n. 76/2020, che disciplina la Piattaforma, analizza il testo del dpcm trasmessogli che contiene la disciplina di funzionamento della Piattaforma digitale per le notifiche della P.A.
Le P.A. mittenti accedono alla Piattaforma tramite funzionari incaricati e poi autorizzati a svolgere le attività connesse all’utilizzo della stessa. L’accesso avviene a mezzo SPID o CIE.
A loro volta anche i destinatari accedono alla Piattaforma dopo essersi autenticati a mezzo SPID, con livello di sicurezza almeno significativo, o CIE (dei legali rappresentanti o dei soggetti delegati se si tratta di società, previa verifica di tale qualità da parte del gestore).
La PA mittente carica sulla piattaforma il documento da notificare, identifica il destinatario, il suo domicilio digitale speciale, ove eletto, e quello fisico, poi comunica automaticamente i dati al Gestore. Se il documento e la messa a disposizione rispettano le regole il Gestore gli attribuisce il codice IUN, altrimenti comunica al mittente l’impossibilità di procedere alla notificazione ed elimina automaticamente i documenti caricati.
La notificazione viene effettuata quindi dal Gestore: prima presso il domicilio digitale di Piattaforma eletto dal destinatario; poi presso il domicilio digitale speciale, se eletto; infine, al “domicilio digitale generale” (indirizzo inserito in uno degli elenchi di cui all’INI-PEC, all’IPA o all’INAD). Se tutti questi domicili digitali risultano saturi, non validi o non attivi, il Gestore procede a un secondo tentativo d’invio.
Il destinatario nell’accedere alla Piattaforma può reperire, consultare e acquisire i documenti notificati, visualizzando mittente, data e ora di messa a disposizione, atto notificato, storico del processo di notifica, compresi gli atti opponibili a terzi, gli avvisi di mancato recapito, il codice IUN. Il destinatario può scaricare e inviare a terzi la copia del documento.
Il Gestore attesta la data e l’ora in cui il destinatario o il delegato accedono, tramite la Piattaforma, all’atto notificato, con un sistema di marcatura temporale certificato opponibile a terzi.
I destinatari possono infatti conferire a terzi con delega apposita il diritto di accedere alla Piattaforma per reperire, consultare e acquisire, per loro conto, atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni notificati dalle amministrazioni. La delega può essere revocata o rinunciata in qualsiasi momento e può essere conferita con Sistema di gestione delle deleghe di cui all’art. 64-ter del CAD, o tramite una specifica funzionalità della Piattaforma, anche solo in relazione ad alcuni specifici mittenti.
Il legale rappresentante di un ente giuridico destinatario, nei confronti di uno o più dipendenti, può ricorrere alla delega senza però che sia necessario in tal caso accettazione o rinuncia da parte di questi soggetti.
Regole particolari sono dedicate alla notifica cartacea. Per finire lo schema stabilisce regole specifiche in base al ruolo che viene ricoperto dai vari soggetti coinvolti nella procedura, con particolare riferimento ai mittenti, al gestore, all’addetto al recapito e al fornitore del servizio universale.
Il dpcm analizzato, per il Garante, ha tenuto conto delle indicazioni fornite in precedenza per rendere le disposizioni conformi alla normativa sul trattamento dei dati personali, esso tuttavia presenta ancora dei profili di rischio elevati perché il sistema della notifica degli atti della PA coinvolge su larga scala tutta una serie di dati e informazioni di carattere personale dei cittadini e contenuti nei documenti notificati e di cui vengono a conoscenza diversi soggetti, come il mittente, il gestore della Piattaforma, il fornitore del servizio universale e addetto al recapito postale.
Il Garante rileva che tali rischi riguardano però non solo le modalità di trasmissione degli atti, ma anche lo strumento della delega, con la quale il destinatario può autorizzare numerose categorie di soggetti delegati ad accedere alla Piattaforma e visionare, acquisire e consultare per suo conto provvedimenti vari, avvisi e comunicazioni della P.A.
Un meccanismo, quello della delega, che presta il fianco ad accessi non autorizzati a terzi. Si pensi a deleghe complesse, riconosciute a organizzazioni incaricate ad esempio di provvedere al disbrigo di pratiche per conto del delegante, che potrebbe trovarsi nella condizione di non conoscere di fatto chi sono i soggetti che possono visionare i suoi atti e documenti. Organizzazioni che, se delegate da molti soggetti, determinano la conoscenza esponenziale di dati di una moltitudine di soggetti.
Un altro profilo di rischio infine è quello che riguarda la possibilità per il destinatario “di rivolgersi al fornitore del servizio universale per consentirgli di estrarre, per suo conto e tramite accesso semplificato, copia analogica del documento informatico disponibile sulla Piattaforma e le previste attestazioni.”
In questo caso, infatti, un soggetto terzo può presentarsi allo sportello dell’ufficio postale, con tanto di avviso di ricezione, al posto del reale destinatario e a sua insaputa. Abusi possibili sono però anche quelli che possono essere compiuti dall’addetto all’ufficio postale.
Alla luce di queste osservazioni il Garante concede parere favorevole allo schema del decreto “fermo restando che, anche in ossequio ai principi di accountability e privacy by design e by default (artt. 5, par. 2, 24 e 25 del Regolamento), le ulteriori misure tecniche e organizzative necessarie a mitigare i rischi elevati presentati dal trattamento dovranno essere adeguatamente individuate dal Gestore nella valutazione di impatto di cui all’art. 14, comma 8, dello schema in esame.”
Leggi: Garante Privacy parere 14.10.2021


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 27/10/2021) 29/11/2021, n. 37259

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALSAMO Milena – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34102/2018 proposto da:

O.G., elettivamente domiciliato in Roma Via Degli Avignonesi 5, presso lo studio dell’avvocato Abbamonte Andrea, rappresentato e difeso dall’avvocato Carbone Angelo;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, Regione Campania Settore Finanze e Tributi;

– intimata –

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3855/2018 della COMM. TRIB. REG. CAMPANIA, depositata il 20/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24/09/2021 dal consigliere Dott. RUSSO RITA.

Svolgimento del processo
che:

1. O.G. impugnava il preavviso di fermo amministrativo n. (OMISSIS), notificato il (OMISSIS), nonchè le due cartelle di pagamento n. (OMISSIS) (avente ad oggetto il pagamento dell’importo di Euro 11.124,82 a titolo di Irpef ed addizionali per l’anno 2009, e tassa automobilistica per l’anno 2008) e n. (OMISSIS) (avente ad oggetto il pagamento dell’importo di Euro 1.224,88 a titolo di contravvenzioni al codice della strada e tassa automobilistica per l’anno 2009) ivi richiamate. Lamentava, tra l’altro, la mancata notifica delle richiamate cartelle esattoriali, eccepiva la intervenuta prescrizione delle pretese tributarie in esse recate, la violazione del diritto alla difesa di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1. La società Equitalia Servizi di Riscossione s.p.a. deduceva la regolarità della notifica delle cartelle prodromiche, depositando copia delle relate.

In primo grado, la Commissione tributaria provinciale ha dichiarato il difetto di giurisdizione con riguardo alla parte della cartella avente ad oggetto sanzioni amministrative irrogate per violazioni al Codice della Strada, ed ha accolto il ricorso limitatamente alla cartella n. (OMISSIS), per intervenuta prescrizione.

Il contribuente ha proposto appello che è stato respinto dalla CTR della Campania, rilevando che, pur se la L. n. 890 del 1982, art. 7, prevede l’invio della raccomandata informativa, la notifica della cartella di pagamento può avvenire anche a mezzo di raccomandata ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, così come avvenuto nella fattispecie; – che, come già ritenuto dal giudice di primo grado, quando l’atto è’ consegnato a mani di familiare convivente deve presumersi che lo stesso sia aggiunto nella sfera di conoscibilità del destinatario; osserva che la cartella è stata notificata a mezzo raccomandata, e quindi si deve ritenere perfezionata, il che rende cristallizzato il credito azionato, posto che il fermo amministrativo è avvenuto il 19 gennaio 2016 e la notifica della cartella di pagamento il 21 febbraio 2013; che era generico il disconoscimento operato in contestazione della conformità all’originale di documentazione depositata in mera fotocopia.

Avverso la predetta sentenza, il contribuente ha proposto ricorso, sulla base di tre motivi, per cassazione.

L’Agenzia delle entrate non ritualmente costituita nei termini di legge, ha presentato istanza per la partecipazione all’eventuale udienza di discussione orale.

La causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 24 settembre 2021.

Con ordinanza del 20.10.2021 la causa è stata rimessa sul ruolo per l’adunanzà camerale del 27 ottobre 2021, riconvocando il Collegio.

Motivi della decisione
che:

2. – Con il primo motivo del ricorso, la parte lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, nonchè la violazione di norme relative al mancato invio della comunicazione di avvenuta notifica. Il ricorrente deduce di aver eccepito la nullità della notifica della cartella esattoriale n. (OMISSIS), in quanto il procedimento di notifica non si era perfezionato stante il mancato invio della comunicazione di avvenuta notifica (C.A.N.), ritenuta dal medesimo necessarià, in quanto la notifica risultava esser stata fatta a mani della madre del ricorrente, senza però che l’Agenzia delle entrate avesse fornito prova della presunta convivenza della stessa con il ricorrente, ed in ogni caso senza prova della C.A.N..

3. Il motivo è infondato.

4. Il giudice d’appello rilevava che la cartella di pagamento n. (OMISSIS) richiamata nel preavviso di fermo amministrativo era stata notificata direttamente dall’agente della riscossione a mezzo raccomandata ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 comma 1, e non ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 7. Costituisce ormai principio consolidato di questa Corte quello secondo cui, nell’ipotesi in cui l’ufficio finanziario proceda alla notificazione diretta a mezzo posta dell’atto impositivo, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle previste dalla L. n. 890 del 1982, e di conseguenza non è necessario in caso di consegna della raccomandata a persona diversa dal destinatario, l’invio della C.A.N. (Cass. n. 8293 del 04/04/2018; Cass. n. 12083 del 13/06/2016; Cass. n. 28872 del 12/11/2018; Cass. n. 10037 del 10/04/2019).

Quanto al resto, se la notifica è eseguita nel domicilio o residenza del destinatario, mediante consegna dell’atto a persona di famiglia che conviva, anche temporaneamente, con il destinatario, il rapporto di convivenza, almeno provvisorio, può essere presunto sulla base del fatto che il familiare si sia trovato nell’abitazione del destinatario ed abbia preso in consegna l’atto da notificare, con la conseguente rilevanza esclusiva della prova della non convivenza, che il destinatario (e non il notificante) ha l’onere di fornire (Cass. n. 28591 del 29/11/2017).

5.Con il secondo motivo, la parte lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nonchè la violazione e falsa applicazione degli artt. 2712 e 2719 c.c.. Il ricorrente si duole dell’avvenuto deposito agli atti di causa della notifica della raccomandata A/R in fotocopia che non è autentica, e pertanto deduce che non è stato assolto l’onere della prova.

6. Il motivo non merita accoglimento.

7. La CTR ha rilevato che la contestazione concernente il deposito in mera fotocopia della documentazione attestante la notifica delle cartelle esattoriali è stata solo genericamente espressa e pertanto da ritenersi tamquam non esset, con ciò correttamente uniformandosi ai principi espressi da questa Corte, secondo i quali il disconoscimento deve essere specifico e non può limitarsi a formule generiche quali “si contesta nella forma e nella sostanza” (Cass. n. 28096/2009; n. 14416/2013); ovvero “si contesta la documentazione prodotta o altre simili (Cass. n. 3655/1987). E’ la stessa parte peraltro che richiama la giurisprudenza della Corte laddove si richiede che la contestazione della validità probatoria della fotocopia deve essere formulata in modo chiaro e circostanziato, trascurando tuttavia di indicare in concreto e trascrivere le contestazioni circostanziate che avrebbe inserito negli atti di causa.

8. Con il terzo motivo, la parte lamenta la violazione e falsa applicazione del D.L. 30 Dicembre 1982, n. 953, art. 5, comma 51, convertito con la Legge 28 Febbraio 1983, n. 53, circa la prescrizione del termine triennale della tassa automobilistica, sostiene infatti che la prescrizione sia intervenuta ancor prima che venisse notificata la cartella, e ancor prima che venisse emesso il ruolo, atteso che l’imposta è dell’anno 2008, e la cartella è indicata in sentenza come notificata il 21 febbraio 2013, ovverosia cinque anni dopo.

9. La doglianza è destituita di fondamento.

Indubbiamente la tassa automobilistica è soggetta a termine triennale di prescrizione per la sua riscossione, come previsto dal D.L. n. 953 del 1982, art. 5, comma 51, conv., con modif., in L. n. 53 del 1983, che decorre dall’anno in cui doveva essere effettuato il pagamento (Cass. n. 23261 del 23/10/2020).

Sennonchè, una volta accertata la regolare notifica della cartella prodromica, il contribuente non può più impugnare l’atto successivo – vale a dire il preavviso di fermo – lamentando vizi dell’atto divenuto definitivo. Il contribuente non può, mediante l’impugnazione dell’estratto del ruolo, formulare l’eccezione di prescrizione e decadenza per mancata notifica nei termini di legge delle relative cartelle di pagamento, dovendo essa proporsi entro il termine di impugnazione di quest’ultime, decorso il quale, divengono definitive (Cass. n. 19010 del 16/07/2019) Il principio è stato successivamente ribadito da questa Corte affermando che “risulta evidente che qualsivoglia eccezione relativa ad atto impositivo divenuto definitivo, come quella di prescrizione del credito fiscale maturato precedentemente a tale notifica (nella specie, quale conseguenza della dedotta irregolarità della notifica al ricorrente della cartella di pagamento a questo diretta, come tale inidonea, secondo l’assunto del contribuente, ad interrompere il termine prescrizionale del tributo recato da detta cartella), è assolutamente preclusa, secondo il fermo principio della non impugnabilità se non per vizi propri di un atto successivo ad altro divenuto definitivo perchè rimasto incontestato” (Cass. n. 3005/2020, in motiv.) Il preavviso di fermo che faccia seguito a un atto impositivo divenuto definitivo per mancata impugnazione, non integra un nuovo e autonomo atto impositivo, con la conseguenza che, in base al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, esso resta sindacabile in giudizio solo per vizi propri e non per questioni attinenti all’atto da cui è sorto il debito. Tali ultimi vizi, dunque, non possono essere fatti valere con l’impugnazione dell’intimazione di pagamento, salvo che il contribuente non sia venuto a conoscenza della pretesa impositiva solo con la notificazione dell’intimazione predetta (cfr Cassazione, sentenze n. 16641 del 2011 e Cass. n. 8704 del 2013). In conclusione, il ricorso va respinto; nulla sulle spese in difetto di regolare costituzione delle parti intimate.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, sussiste l’obbligo della parte impugnante in via principale non vittoriosa di versare una somma pari al contributo unificato gìà versato all’atto della proposizione dell’impugnazione, se dovuto Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione della Corte di cassazione condotta da remoto, riconvocata, il 27 ottobre 2021.

Conclusione
Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2021


L’indennità di posizione organizzativa sorge solo se la P.A. ha istituito la relativa posizione

La Corte Suprema di Cassazione, Sezione lavoro, ha ribadito, in tema di posizioni organizzative, rigettando il ricorso di funzionari comunali, che il diritto del pubblico dipendente a percepire l’indennità di posizione organizzativa sorge solo se la P.A. datrice di lavoro ha istituito la relativa posizione, perché l’istituzione rientra nell’attività organizzativa dell’Amministrazione, la quale deve tener conto delle proprie esigenze e soprattutto dei vincoli di bilancio, che, altrimenti, non risulterebbero rispettati laddove si dovesse pervenire all’affermazione di un obbligo indiscriminato, e che, pertanto, è da escludere che, prima dell’adozione dell’atto costitutivo delle posizioni organizzative, sia configurabile un danno da perdita di chance per il dipendente che assuma l’elevata probabilità di essere destinatario dell’incarico e l’irrilevanza, ai suddetti fini, di eventuali atti preparatori endoprocedimentali, nonché dell’espletamento di fatto di mansioni assimilabili a quelle della posizione non istituita. (Cassazione civile, Sez. lav., sentenza 9 novembre 2021, n. 32950)


Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 14/07/2021) 24/11/2021, n. 36403

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4419-2020 R.G. proposto da:

L.M., rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. Antonio PIRRELLI, ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via L. Mantegazza, n. 24, presso lo studio del Dott. Marco GARDIN;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. MYCS3/2019 della Commissione tributaria regionale del LA depositata in data 19/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 14/07/2021 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

Svolgimento del processo
che:

– in controversia relativa ad impugnazione di una intimazione di pagamento relativa a 38 cartelle di pagamento e 2 avvisi di debito emessa da Equitalia Sud s.p.a. nei confronti di L.M., con la sentenza impugnata la CTR rigettava l’appello proposto dal contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado ritenendo, per quanto ancora qui di interesse, regolarmente notificati gli atti prodromici all’intimazione impugnata “consegnati in parte direttamente al destinatario ed in parte al familiare convivente o addetto alla casa, non necessitante, in quest’ultimo caso, diversamente da quanto sostenuto, l’invio di successiva raccomandata informativa”, ed infondata l’eccezione di prescrzione dei crediti tributari in quanto soggetti al termine di prescrizione decennale;

– avverso tale statuizione il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, limitando l’impugnazione a solo otto cartelle di pagamento (espressamente elencate a pag. 12 del ricorso);

– replica con controricorso l’intimata /Agenzia delle entrate Riscossione;

– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio;

– il ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione
che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2946 e 2948 c.c. “per avere la Commissione Regionale affermato sussistere termine di prescrizione decennale in luogo di quello quinquennale con riferimento ai tributi erariali cristallizzati in atti amministrativi (cartelle e avvisi di pagamento) e non in atti giurisdizionali”.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, con riferimento soltanto a quattro cartelle di pagamento, un error in iudicando, ai sensi dell”art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, nonchè degli artt. 137 e 139 c.p.c., nonchè un (non meglio specificato) vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sostenendo che la CTR aveva “omesso di considerare nulla/inesistente la notifica dell’atto tributario nel difetto della prova della spedizione da parte del notificante e della ricezione da parte del notificando della lettera informativa di avvenuta notifica che si era resa obbligatoria in mancanza della consegna a mani proprie”.

3. Tale ultimo motivo, che per ragioni di ordine logico-giuridico va esaminato preliminarmente, è infondato e va rigettato in quanto la notifica delle cartelle di pagamento, per espressa ammissione dello stesso ricorrente e per come risulta dalla documentazione fotorìprodotta nel ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza, è stata effettuata D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 26, a persona di famiglia (suocera del contribuente) per cui non era necessario l’invio della raccomandata informativa.

4. Invero, questa Corte è ferma nel ritenere che “In tema di riscossione delle imposte, qualora la notifica della cartella di pagamento sia eseguita, aì sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, mediante invio diretto, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della L. n. 890 del 1982 in quanto tale forma “semplificata” di notificazione sì giustifica, come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 175 del 2018, in relazione alla funzione pubblicistica svolta dall’agente per la riscossione volta ad assicurare la pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato” (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 28872 del 12/11/2018, Rv. 651834 – 01; conf. Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 10037 del 10/04/2019, Rv. 653680 – 01, secondo cui “In tema di riscossione delle imposte, qualora la notifica della cartella di pagamento sia eseguita, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, mediante invio diretto della raccomandata con avviso di ricevimento da parte del concessionario, non è necessario l’invio di una successiva raccomandata informativa in quanto trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario, peraltro con esclusione della L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 883, in quanto privo di efficacia retroattiva, e non quelle della L. n. 890 del 1982”).

5. In questa direzione, del resto, depone proprio il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, che consente agli ufficiali della riscossione di provvedere alla notifica della cartella mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento, precisando che in caso di notifica “nelle mani proprie del destinatario o di persone di famiglia o addette alla casa, all’ufficio o all’azienda” (comma 2) o al “portiere dello stabile dov’è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda” del destinatario, la stessa si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da tali soggetti, prevedendo lo stesso art. 26, il rinvio al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, unicamente per quanto non regolato nello stesso articolo (cfr. Cass. n. 14196/2014, Cass. ord. n. 3254/16, Cass. n. 802 del 2018; conf. Cass. n. 12083 del 2016 e n. 29022 del 2017).

6. E d’altro canto, come affermato da Cass. n. 28872 del 12/11/2018, sopra citata, la Corte costituzionale, occupandosi della questione ha dichiarato, con la sentenza n. 175 del 2018, la conformità a Costituzione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, rilevando che “la semplificazione insita nella notificazione diretta”, consistente “nella mancanza della relazione di notificazione di cui all’art. 148 c.p.c. e alla L. n. 890 del 1982, art. 3” e nella “mancata previsione della comunicazione di avvenuta notifica (cosiddetta CAN)”, “anche se (…) comporta, in quanto eseguita nel rispetto del citato codice postale, uno scostamento rispetto all’ordinario procedimento notificatorio a mezzo del servizio postale ai sensi della L. n. 890 del 1982, non di meno (…) è comunque garantita al destinatario un’effettiva possibilità di conoscenza della cartella di pagamento notificatagli ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1”. ha precisato il Giudice delle leggi che, seppure non sia prevista la relata di notifica, nella notificazione “diretta” ai sensi del citato art. 26 “c’è il completamento dell’avviso di ricevimento da parte dell’operatore postale che, in forma sintetica, fornisce la prova dell’avvenuta consegna del plico al destinatario o al consegnatario legittimato a riceverlo”. Inoltre, la mancata previsione di un obbligo di comunicazione di avvenuta notifica (ma solo nel caso in cui il plico sia consegnato dall’operatore postale direttamente al destinatario o a persona di famiglia o addetto alla casa, all’ufficio o all’azienda o al portiere), “non costituisce nella disciplina della notificazione”, nonostante tale “obbligo vale indubbiamente a rafforzare il diritto di azione e di difesa (art. 24 Cost., commi 1 e 2) del destinatario dell’atto”, “una condizione indefettibile della tutela costituzionalmente necessaria di tale, pur fondamentale, diritto”.

7. In senso analogo si sono recentemente espresse anche le Sezioni unite di questa Corte nella sentenza n. 10012 del 2021 che, sempre in tema di notifica di un atto impositivo ovvero processuale tramite servizio postale, ha ritenuto necessario l’invio della raccomandata informativa soltanto nelle ipotesi – nella specie non ricorrenti – di “irreperibilità o rifiuto di ricevere” l’atto da parte del destinatario e delle persone addette alla casa, precisando che, ai fini della prova del perfezionamento del procedimento notificatorio, la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento della raccomandata contenente la comunicazione di avvenuto deposito (cd. C.A.D.), ritenendo a tal fine insufficiente la prova dell’avvenuta spedizione della stessa.

8. Il primo motivo, al cui esame deve quindi passarsi, è fondato nei limiti di cui appresso si dirà.

9. Il Supremo consesso di questa Corte ha affermato, nella sentenza n. 23397 del 2016 (seguita da numerose pronunce delle Sezioni semplici, tra cui Cass. n. 9906, n. 11800 e n. 12200 del 2018), che “Il principio, di carattere generale, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c., si applica con riguardo a tutti gli atti – in ogni modo denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali, ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, trìbutarie ed extratributarie, nonchè di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali, nonchè delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Pertanto, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo”.

10. Secondo la citata pronuncia, quindi, la mancata impugnazione degli atti impositivi/esecutivi rende irretrattabili i crediti d’imposta, senza incidere sul relativo termine prescrizionale, che è quello ordinario decennale salvo che non sia per essi espressamente previsto ex lege un termine inferiore; ne consegue che nel caso di specie la CTR ha correttamente interpretato tale principio ritenendo soggetto a prescrizione decennale tutti i crediti erariali, nella specie IVA (cfr. Cass. n. 8256 del 2019, non massimata, e la giurisprudenza ivi richiamata), IRPEF (Cass. n. 9906 del 2018) ed IRAP (Cass. n. 1543 del 2018), il cui termine prescrizionale è chiaramente decennale.

11. A diversa conclusione, invece, deve pervenirsi con riferimento agli interessi e alle sanzioni collegati ai predetti tributi, il cui termine di prescrizione, diversamente da quanto risulta dal tenore dell’impugnata sentenza, è quello quinquennale.

12. Invero il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 20, comma 3, stabilisce che “il diritto alla riscossione della sanzione irrogata si prescrive nel termine di cinque anni”. A sua volta l’art. 2948 c.c., comma 1, n. 4, prevede che “si prescrivono in cinque anni: (…) gli interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”. Orbene, questa Corte ha, sul punto, avuto modo di puntualizzare che “il diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste per la violazione di norme tributarie, derivante da sentenza passata in giudicato, si prescrive entro il termine di dieci anni, per diretta applicazione dell’art. 2953 c.c., che disciplina specificamente ed in via generale la cosiddetta “actio iudicati”, mentre, se la definitività della sanzione non deriva da un provvedimento giurisdizionale irrevocabile”, come nel caso di specie, “vale il termine di prescrizione di cinque anni, previsto dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 20, atteso che il termine di prescrizione entro il quale deve essere fatta valere l’obbligazione tributaria principale e quella accessoria relativa alle sanzioni non può che essere di tipo unitario” nell’ipotesi di esistenza del giudicato (cfr. Cass., Sez. U., n. 25790 del 2009; conf. Cass. n. 5837 del 2011; Cass. n. 5577 del 2019). E’ stato, altresì, precisato in materia di interessi dovuti per il ritardo nell’esazione dei tributi che il relativo credito, integrando un’obbligazione autonoma rispetto al debito principale e suscettibile di autonome vicende, rimane sottoposto al proprio termine di prescrizione quinquennale fissato dall’art. 2948 c.c., comma 1, n. 4 (Cass. n. 30901 del 2019; Cass. n. 14049 del 2006; v. anche Cass. n. 12740 del 2020, con riferimento al termine quinquennale di prescrizione sia delle sanzioni che degli interessi).

13. Conclusivamente, quindi, il primo motivo di ricorso va rigettato mentre va accolto il secondo limitatamente agli interessi e alle sanzioni, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla CTR territorialmente competente che, attenendosi ai suesposti principi giurisprudenziali, provvederà a verificare il compimento del termine di prescrizione quinquennale con esclusivo riferimento alle sanzioni e agli interessi applicati alle otto cartelle di pagamento impugnate, nonchè alla regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 14 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2021


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 08/09/2021) 23/11/2021, n. 36215

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo M. – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20953/2016 proposto da:

Equitalia Servizi Di Riscossione Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, Piazza Cavour presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Fuschino Mario;

– ricorrente –

contro

Eta Estrusione Tecnologie Avanzate Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma V. Panama 74 presso lo studio dell’avvocato Iacobelli Gianni Emilio, rappresentato e difeso dall’avvocato Nebbia Giuseppe;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

Equitalia Servizi Di Riscossione Spa, Data pubblicazione 23/11/2021 – intimata –

avverso la sentenza n. 112/2016 della COMM. TRIB. REG. MOLISE, depositata il 23/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/09/2021 dal consigliere Dott. MARINA CIRESE.

Svolgimento del processo
Estrusione Tecnologie Avanzate s.p.a. proponeva ricorso avverso l’iscrizione ipotecaria effettuata dall’Agente della Riscossione Equitalia Polis s.p.a. su beni di proprietà della società a fronte di un credito pari ad Euro 8.055.353,97, deducendo la nullità dell’atto per inesistenza della notifica, essendo stato l’avviso comunicato a mezzo raccomandata e non già con le forme previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60.

La CTP di Isernia con sentenza in data 29.12.2011 accoglieva il ricorso dichiarando l’inesistenza dell’atto, atteso che la notifica non era stata effettuata ritualmente, in assenza di relata di notifica, e rigettava la richiesta di condanna ex art. 96 c.p.c..

Interposto appello avverso detta pronuncia da parte di Equitalia Polis s.p.a., all’esito del giudizio in cui la società contribuente proponeva ricorso incidentale, la CTR del Molise, con sentenza in data 23.2.2016, rigettava entrambi gli appelli ritenendo che la notifica dell’iscrizione ipotecaria potesse avvenire solo mediante le forme di cui agli artt. 137 e ss. c.p.c. e che il comportamento dell’Agente della Riscossione non potesse essere connotato da colpa grave.

Avverso detta pronuncia proponeva ricorso per cassazione articolato in due motivi l’Agente per la riscossione. Parte intimata resisteva con controricorso e proponeva altresì ricorso incidentale articolato in due motivi.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso principale, rubricato “Violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60”, parte ricorrente deduceva l’erroneità della sentenza impugnata per aver ritenuto inesistente la notifica dell’avviso di iscrizione ipotecaria, in quanto atto non direttamente notificabile dall’Agente per la riscossione a mezzo del servizio postale secondo la procedura di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60.

2. Con il secondo motivo di ricorso principale rubricato “Violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 156 c.p.c., comma 3”, parte ricorrente deduceva che erroneamente la sentenza impugnata aveva ritenuto la notifica inesistente invece che nulla, con conseguente impossibilità di applicare l’art. 156 c.p.c., comma 3.

Va rilevato preliminarmente che la società contribuente nel controricorso ha rappresentato che l’ipoteca per cui è processo è stata integralmente cancellata da Equitalia Polis in data (OMISSIS) a seguito di diffida stragiudiziale del (OMISSIS), concludendo pertanto che sarebbe venuto meno l’interesse di Equitalia al ricorso ex art. 100 c.p.c. Ritiene tuttavia il Collegio che, a prescindere dalla circostanza che nel fascicolo d’ufficio non vi è alcun documento che attesti l’avvenuta cancellazione dell’ipoteca, permane in capo all’odierno ricorrente l’interesse ad impugnare.

Il principio contenuto nell’art. 100 c.p.c., secondo il quale per proporre una domanda o per resistere ad essa è necessario avervi interesse, si applica anche al giudizio di impugnazione, in cui l’interesse ad impugnare una data sentenza o un capo di essa va desunto dall’utilità giuridica che dall’eventuale accoglimento del gravame possa derivare alla parte che lo propone e non può consistere nella sola correzione della motivazione della sentenza impugnata ovvero di una sua parte (Cassazione civile sez. II, 05/02/2020, n. 2670; Conforme a Cass. 27 gennaio 2012 n. 1236). Non è pertanto sufficiente l’esistenza di un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata e che non spieghi alcuna influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte (Cass. Sez. U, Sentenza n. 12637 del 19/05/2008; Cass. Civ. Sez. Lav., 23.5.2008, n. 13373).

Nella specie l’avvenuta cancellazione dell’iscrizione ipotecaria non fa di per sè venir meno l’interesse del concessionario per la riscossione all’accertamento della legittimità dell’iscrizione ipotecaria, tanto più in presenza di una domanda risarcitoria della controparte che si assume basata proprio sulla contestazione di questa legittimità anche con riguardo alla fase dell’iscrizione.

Passando quindi ad esaminare il ricorso principale, il primo motivo è fondato.

La Suprema Corte – con sentenza della Sezione tributaria n. 16949/2014 – ha ribadito che la notificazione può essere eseguita anche mediante invio, da parte dell’esattore, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, senza necessità di redigere un’apposita relata di notifica, rispondendo tale soluzione alla previsione di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, che prescrive altresì l’onere per il concessionario di conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione di notifica o l’avviso di ricevimento, con l’obbligo di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione (vedi Cass. n. 9240/2019).

Quando il predetto ufficio si avvale di tale facoltà di notificazione semplificata, alla spedizione dell’atto si applicano le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle previste dalla L. n. 890 del 1982 (Cass. n. 17598/2010; n. 911/2012; n. 19771/2013; 22151 del 2013; n. 16949/2014; n. 14146/2014; Cass. n. 3254/2016; 7184/2016; Cass. n. 10232/2016; n. 12083 del 2016 Cass. n. 14501/2016, Cass. n. 1304/2017; n. 704/2017; n. 19795 e n. 14501/2017; n. 8293/2018 v. anche Corte costituzionale del 23 luglio 2018 n. 175 che, nel rigettare le questioni di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito – ha affermato la legittimità della notificazione diretta, da parte dell’agente della riscossione, della cartella di pagamento mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento).

Da tale impostazione, la stessa Corte fa discendere la conseguenza che, in tutti i casi di notifica postale diretta di un atto tributario, non deve essere redatta alcuna relata di notifica o annotazione specifica sull’avviso di ricevimento, e quindi in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico; l’atto pervenuto all’indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se lo stesso dia prova di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di prendere cognizione della notifica, anche laddove eseguita mediante consegna a persona diversa dal diretto interessato, ma comunque abilitata alla ricezione per conto di questi, si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal consegnatario.

Tale principio reiteratamente affermato da questa Corte con riguardo alla notifica delle cartelle esattoriali, si è ritenuto applicabile anche alla notifica degli avvisi di iscrizione ipotecaria (Cass. n. 21663 del 2015), alla cui stregua detta notifica può essere effettuata anche mediante invio diretto, da parte del concessionario, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento.

Ciò, in quanto il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, prevede una modalità di notifica integralmente affidata al concessionario stesso ed all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva di soggetti ivi indicati. In tal caso, la notifica si perfeziona con la ricezione del destinatario, alla data risultante dall’avviso di ricevimento, senza necessità di una apposita relata, visto che è l’ufficiale postale a garantire, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario dell’atto. Tanto trova implicita conferma nel citato art. 26, penultimo comma, secondo cui il concessionario è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o con l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’Amministrazione (vedi Cass., Sez. 5, n. 17248/17).

Il secondo motivo del ricorso principale è assorbito.

Passando alla disamina del ricorso incidentale, lo stesso si articola in due motivi.

3. Con il primo motivo, rubricato “In relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c.”, la società contribuente censurava la sentenza impugnata che negava la sussistenza dei presupposti ex art. 96 c.p.c., comma 2, atteso che l’agente della riscossione ha proceduto all’iscrizione dell’ipoteca in assenza di efficacia del titolo che era stato sospeso ed ha resistito nel processo per colpa grave.

4. Con il secondo motivo, rubricato “In relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546, del 1992, art. 15, degli art. 91 e 92 c.p.c. nonchè del D.M. Giustizia n. 55 del 2014, la società contribuente deduceva che la CTR ha errato nel compensare le spese di lite nella misura del 50% ed ha errato nell’applicazione della tabella dei compensi.

Il primo motivo è infondato.

Parte ricorrente assume la violazione dell’art. 96 c.p.c. in quanto sussisterebbe la colpa grave dell’agente della riscossione nell’iscrivere l’ipoteca, per 16 milioni di Euro, nonostante la sospensione giudiziale della cartella prodromica, e nel resistere in giudizio senza provvedere (se non in data 27 Febbraio 2012 a seguito di ulteriore diffida stragiudiziale) alla cancellazione dell’iscrizione ipotecaria stessa. Tale comportamento avrebbe causato gravissimi e documentati danni alla società che si era vista negare vari finanziamenti bancari proprio per iscrizione pregiudizievole.

Va ritenuto tuttavia che, come recentemente affermato da questa Corte (Cass., Sez. 3, n. 23661/20), l’iscrizione di ipoteca, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77, sugli immobili del debitore e dei coobbligati al pagamento dell’imposta, non è riconducibile all’ipoteca legale prevista dall’art. 2817 c.c., nè è ad essa assimilabile, mancando un preesistente atto negoziale il cui adempimento il legislatore abbia inteso garantire; essa, peraltro, neppure può accostarsi all’ipoteca giudiziale disciplinata dall’art. 2818 c.c., con lo scopo di rafforzare l’adempimento di una generica obbligazione pecuniaria ed avente titolo in un provvedimento del giudice, in quanto quella in esame si fonda su di un provvedimento amministrativo” (Cass. 7/03/2016, n. 4464; v. anche Cass., ord., 20/12/2017, n. 30569).

Secondo la giurisprudenza di legittimità, l’iscrizione ipotecaria prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 77, non costituisce atto dell’espropriazione forzata ma va riferita ad una procedura alternativa all’esecuzione forzata vera e propria (Cass., S.U.., 18/09/2019) ed è atto solo preordinato all’esecuzione, avente funzione di garanzia e di cautela (Cass. 30/05/2018, n. 13618).

Ne consegue l’inapplicabilità dell’art. 96 c.p.c., comma 2, che fa espresso riferimento al caso in cui il giudice accerta l’inesistenza del diritto per cui è iscritta ipoteca giudiziale oppure è iniziata o compiuta l’esecuzione forzata.

Il secondo motivo di ricorso incidentale è assorbito dall’accoglimento del primo motivo del ricorso principale.

In conclusione, in accoglimento del primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo motivo e rigettato il primo motivo del ricorso incidentale, assorbito il secondo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR del Molise, in diversa composizione, per la disamina delle altre questioni di legittimità della cartella ed a cui demanda altresì la regolamentazione delle spese di lite.

P.Q.M.
La Corte, in accoglimento del primo motivo di ricorso principale, assorbito il secondo, rigettato il primo motivo del ricorso incidentale, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio alla CTR del Molise, in diversa composizione, cui demanda altresì la regolamentazione delle spese di lite;

dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, del doppio contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale effettuata da remoto, il 8 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2021


Il dipendente che va in pensione può monetizzare le ferie non godute se non ha potuto fruirle per esigenze di servizio

Con la sentenza n. 7640/2021, il Consiglio di Stato ha affermato che il dipendente che non ha fruito di ferie residue alla data di collocamento a riposo per raggiunti limiti di età ha diritto alla monetizzazione quando, in tempo utile rispetto alla cessazione dal servizio, abbia presentato istanze per la fruizione, ma siano state respinte dall’amministrazione per esigenze di servizio.
La vicenda, che riguarda un magistrato in pensione, ha un impatto rilevante su tutto il personale della pubblica amministrazione perché offre un’apertura delle disposizioni applicative, in ordine alla materia della monetizzazione delle ferie, fornite a suo tempo dai dicasteri competenti (da ultimo il parere della Funzione pubblica DFP n.76251/2020).
Il ricorrente chiedeva al proprio datore di lavoro la monetizzazione dei giorni di congedo ordinario non fruiti prima del suo collocamento a riposo per limiti di età (poco meno di cinquanta giorni), sul fondamento che egli aveva chiesto di poterne fruire ma si era visto sempre opporre dinieghi motivati da esigenze di servizio.
Il ministero della Giustizia ha negato la richiesta avanzata dal dipendente sulla base del tenore letterale dell’articolo 5, comma 8, del decreto legge 95/2012 (Spending review), dei pareri resi allora dal Dipartimento della Funzione pubblica, assentiti anche dalla Ragioneria generale dello Stato, nonché della linea interpretativa espressa dalla Corte costituzionale con sentenza 6 maggio 2016 n. 95.
La vicenda è arrivata sui tavoli della magistratura amministrativa. La pronuncia di primo grado ha accolto il ricorso presentato dal dipendente, ritenendo che la sopravvenuta impossibilità alla fruizione delle ferie, conseguente al collocamento a riposo d’ufficio, non fosse imputabile al dipendente. Così il dicastero ha promosso ricorso al Consiglio di Stato.
Per il Consiglio di Stato non è in contestazione l’interpretazione data dalla Corte costituzionale del divieto di monetizzazione delle ferie non godute, secondo cui esso si applica quando l’impossibilità a fruire delle ferie è correlata a un evento prevedibile incidente sul rapporto di impiego, come nel caso di collocamento a riposo d’ufficio, il quale consente di «programmare per tempo la fruizione delle ferie e di attuare il necessario contemperamento delle scelte organizzative del datore di lavoro con le preferenze manifestate dal lavoratore».
Nel caso di specie, la situazione è diversa. L’interessato, come è emerso dal dibattito processuale, si è attivato per fruire delle ferie residue, ma le sue istanze sono state rigettate dal datore di lavoro per ragioni di servizio.
Pertanto, si legge nella sentenza, il datore di lavoro pubblico che non abbia concesso il godimento delle ferie a causa del periodo lungo e continuativo richiesto e/o per l’assunzione di un incarico particolare in ragione di servizio, non può imputare al dipendente le conseguenze del rigetto, così come non può pretendere che il residuo ferie sia distribuito su un arco temporale più ampio, in ragione della durata del rapporto di lavoro.
Il dipendente che si sia attivato in tempi congrui e idonei per fruire delle ferie residue, tenendo presente la conosciuta data del collocamento a riposo, ha adempiuto a quanto di propria competenza; pertanto, se per ragioni organizzative e funzionali gli è stata negata l’astensione dal lavoro, gli compete il corrispondente economico dei giorni di ferie residui e non goduti


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 25/06/2021) 19/11/2021, n. 35641

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 4796/2015 R.G. proposto da:

P.A., in proprio e in qualità di ex legale rappresentante della Associazione Calcio Mottese, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale a margine del ricorso, dall’avv. Emanuele Coglitore e dall’avv. Mariagrazia Bruzzone, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Federico Confalonieri, n. 5;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3429/20/14 della Commissione tributaria regionale della Lombardia depositata in data 25 giugno 2014;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 25 giugno 2021 dal Consigliere Pasqualina Anna Piera Condello;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Vitiello Mauro, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
1. L’Agenzia delle entrate propose appello avverso la sentenza pronunciata dalla Commissione tributaria provinciale di Milano che aveva accolto il ricorso presentato da P.A., in proprio e quale legale rappresentante della Associazione Calcio Mottese, avverso l’avviso di accertamento con il quale era stato rideterminato, con metodo induttivo, il reddito di impresa, per l’anno d’imposta 2006.

2. La Commissione tributaria regionale, con la sentenza in epigrafe indicata, accolse l’impugnazione dell’Ufficio finanziario.

Osservò, in particolare, che:

a) risultava accertata la partecipazione del contribuente nelle vicende operative della associazione non riconosciuta, quantomeno come legale rappresentante di fatto e sulla base del regime di responsabilità per le obbligazioni, previsto dall’art. 38 c.c.;

b) nessuna prova era stata fornita, per far ritenere la sua estraneità all’attività associativa, in ordine alla cessazione dell’attività ed alla cancellazione della associazione;

c) la notifica dell’avviso di accertamento era valida perchè legittimamente effettuata a mezzo servizio postale, con l’espletamento di tutte le formalità previste;

d) il riferimento dell’avviso di accertamento ad altri atti doveva ritenersi rituale, poichè ne era riprodotto il contenuto essenziale;

e) era rimesso alla discrezionalità dell’Amministrazione l’avvio del contraddittorio preventivo con il contribuente, in presenza di elementi utili e sufficienti, a propria disposizione, per l’accertamento della violazione contestata;

f) l’accertamento risultava legittimamente effettuato “in presenza della sproporzione delle fatture emesse nell’anno 2006 rispetto ai parametri di mercato”; mentre appariva “del tutto artefatto l’assunto della perdita dell’archivio contabile per lavori di demolizione eseguiti nella struttura e senza che alcuno dei responsabili avesse provveduto alla salvaguardia della documentazione”;

g) le operazioni di sponsorizzazione descritte nell’avviso impugnato erano state poste in essere al solo scopo di consentire alle imprese intestatarie delle fatture di beneficiare della deducibilità dei costi relativi, ai fini delle imposte dirette e dell’Irap, nonchè di detrarre la relativa I.V.A.;

e) a fronte di dichiarazione omessa per l’anno d’imposta in contestazione, l’Ufficio aveva determinato ricavi per operazioni inesistenti nella misura contestata, basandosi su presunzioni gravi, precise e concordanti rispetto alle quali nessuna prova contraria aveva fornito il contribuente.

3. Contro la suddetta decisione d’appello ha proposto ricorso per cassazione P.A., con cinque motivi, ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

L’Agenzia delle entrate, ritualmente intimata, ha depositato “atto di costituzione”.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il contribuente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, e della L. n. 4 del 1929, art. 24, anche in relazione alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, art. 41, ed agli artt. 3, 53 e 97 Cost..

Lamenta che per il periodo d’imposta 2006 la fase istruttoria si era esaurita nell’invio di un questionario e nella successiva emissione dell’avviso di accertamento, in assenza di preventiva consegna di un verbale di chiusura delle operazioni di controllo, in contrasto con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, art. 41, che, al paragrafo 2, stabilisce il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento che possa arrecarle pregiudizio.

Sostiene, altresì, che non si pone in sintonia con il diritto dell’Unione una interpretazione che escluda l’applicabilità della L. n. 212 del 2000, rt. 12, comma 7, ai procedimenti di verifica “a tavolino” e che i giudici di appello sarebbero incorsi nei censurati vizi laddove hanno ritenuto insussistente la violazione del diritto al contraddittorio endoprocedimentale, perchè, ove fosse stato consegnato un processo verbale di chiusura delle indagini da parte degli organi di controllo, avrebbe potuto prospettare, prima dell’emissione del provvedimento impositivo, ragioni che non si appalesavano meramente pretestuose.

Con la memoria ex art. 378 c.p.c., il ricorrente, nell’insistere per l’accoglimento del mezzo di ricorso, prendendo le mosse dalla sentenza a Sezioni Unite di questa Corte n. 24823 del 9 dicembre 2015, ha dedotto che l’avviso di accertamento afferisce anche all’I.V.A. e che, per quanto concerne la pretesa ai fini Ires e Irap, l’ordinamento interno deve comunque rispettare i diritti fondamentali garantiti dall’Unione Europea, con la conseguenza che l’interpretazione fornita dalla richiamata pronuncia delle Sezioni Unite che giunge a limitare la piena tutela del diritto al contraddittorio preventivo, in dipendenza della natura non armonizzata dei tributi pretesi, implica una irragionevole disparità di trattamento, contraria al divieto delle cd. “discriminazioni a rovescio”, ossia “situazioni di disparità in danno dei cittadini di uno Stato membro, e delle sue imprese, che si verificano come effetto indiretto dell’applicazione del diritto Europeo”; ha, quindi, sollecitato una rimeditazione della questione, previa, se del caso, rimessione al vaglio delle Sezioni Unite.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55.

Fin dal ricorso introduttivo aveva eccepito l’illegittimità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione, in quanto venivano richiamati atti non allegati e non conosciuti, neppure prodotti nel corso del giudizio di merito da parte dell’Agenzia delle entrate, ma i giudici di appello avevano assunto apoditticamente che il riferimento ad altri atti doveva ritenersi rituale, perchè ne era stato riprodotto il contenuto essenziale.

Evidenzia pure che, in violazione dell’art. 2697 c.c., i giudici di merito avevano accolto il gravame, ritenendo fondata nel merito la pretesa impositiva ed assolto l’onere probatorio da parte dell’Ufficio finanziario, senza tenere conto della mancata produzione in giudizio, da parte dell’Agenzia delle entrate, dei documenti oggetto di contestazione e, tra questi, delle fatture richiamate dalla stessa sentenza impugnata. In tal modo, i giudici regionali, ad avviso del ricorrente, avevano finito per avallare un’inferenza presuntiva non basata su fatti certi, in contrasto con l’art. 2727 c.c., che esige la ricorrenza di un “fatto noto” per fondare la prova per presunzioni.

Ad avviso del ricorrente era altresì ravvisabile la violazione dell’art. 2697 c.c., perchè si era ritenuto che l’onere di provare l’estraneità all’attività dell’associazione incombesse sul contribuente e perchè si era affermato che era emersa la sua partecipazione nelle vicende operative della associazione non riconosciuta, nonostante l’assoluta mancanza di prove.

3. Con il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., lamentando che i giudici di appello hanno omesso di pronunciarsi sul motivo, dedotto nel ricorso introduttivo di primo grado, con il quale era stata eccepita l’illegittimità dell’atto impositivo in quanto rivolto ad ente non più esistente, nonostante l’Agenzia delle entrate fosse a conoscenza dell’intervenuta cessazione dell’attività, nonchè sull’ulteriore motivo di intervenuta decadenza dall’esercizio della funzione impositiva per il periodo d’imposta 2005. Nessun riferimento era, peraltro, contenuto in sentenza con riguardo all’altro motivo con il quale era stato contestato che l’associazione, essendo sportiva dilettantistica, aveva scelto il regime fiscale forfettario della L. n. 398 del 1991.

4. Con il quarto motivo il contribuente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, nonchè dell’art. 137 c.p.c..

Rileva che nel giudizio di merito aveva eccepito la giuridica inesistenza della notificazione dell’avviso di accertamento, poichè mancava nella specie ogni intermediazione dell’agente di notificazione tra l’autore dell’atto ed il suo destinatario, ferma restando l’inoperatività della sanatoria del vizio di notificazione, stante l’intervenuta decadenza dall’esercizio della funzione impositiva al momento della proposizione del ricorso.

5. Con il quinto motivo – rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 e art. 11, comma 2, nonchè dell’art. 75 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – ribadisce che in secondo grado aveva preliminarmente eccepito l’inammissibilità dell’appello, in quanto non sottoscritto dal direttore dell’Ufficio, ma dal Capo Team ( C.A.) senza produzione di delega; inoltre aveva prodotto estratto del sito internet dell’Agenzia delle entrate dal quale non risultava che la predetta persona rivestisse la qualifica dirigenziale.

6. Il primo motivo è infondato.

6.1. Occorre premettere, in primo luogo, che nella vicenda in esame l’Amministrazione finanziaria non ha compiuto una verifica fiscale presso l’Associazione Calcio Mottese. L’avviso di accertamento, come sottolineato dallo stesso ricorrente, è stato adottato all’esito dell’invio di un questionario, sicchè la ripresa fiscale è riconducibile ad una ipotesi di accertamento cd. “a tavolino”, rispetto al quale è legittimo, anche ai fini del contraddittorio (in particolare per le imposte dirette), che il primo atto portato alla conoscenza del contribuente sia lo stesso avviso (Cass., sez. U, 9/12/2015, n. 24823).

Già da tale fatto deriva l’insussistenza di un obbligo generalizzato di redazione del processo verbale di constatazione, conclusione che questa Corte, del resto, ha ripetutamente ribadito, sottolineando che l’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria non deve necessariamente concludersi con la redazione di un processo verbale di constatazione (Cass., sez. 5, 27/04/2018, n. 16546; Cass., sez. 5, 8/05/2019, n. 12094).

In ogni caso, non ha rilievo il richiamo alla L. n. 4 del 1929, art. 24, che, secondo la prospettazione del ricorrente, imporrebbe sempre l’adozione di un processo verbale con il quale siano contestate le violazioni finanziarie, avendo questa Corte precisato che “in tema di violazione di norme finanziarie (nella specie, in materia di I.V.A.), il processo verbale di constatazione, redatto dagli organi accertatori in occasione di verifiche presso il contribuente e previsto dalla L. n. 4 del 1929, art. 24, non deve necessariamente contenere le contestazioni, potendo avere una molteplicità di contenuti, valutativi o meramente ricognitivi di fatti o di dichiarazioni, che, per la libera valutazione dell’amministrazione finanziaria prima e dell’autorità giudiziaria poi, possono comunque dare luogo alla emissione di avvisi di accertamento” (Cass., sez. 5, 11/12/2013, n. 27711; Cass., sez. 5, 29/12/2017, n. 31120), con la conseguenza che la redazione di un processo verbale di constatazione non è necessaria per rendere legittimo un successivo avviso di accertamento perchè è in esso che si esterna ciò che si è constatato.

6.2. E’ insegnamento di questa Corte che “Le garanzie procedimentali di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 6 e art. 12, comma 7, trovano applicazione solo al processo verbale di constatazione redatto a chiusura di operazioni di verifica condotte dagli organi dell’Amministrazione finanziaria nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali e non anche alle verifiche svolte a tavolino, ovvero senza accesso ai locali anzidetti” (Cass., sez. 6-5, 8/02/2017, n. 3408; Cass., sez. 5, 12/02/2014, n. 3142; Cass., sez. 6-5, 13/06/2014, n. 13588, la quale richiama la sentenza a Sezioni Unite di questa Corte n. 18184 del 2013; Cass., sez. U, 9/12/2015, n. 24823), ossia esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente; ciò, peraltro, indipendentemente dal fatto che l’operazione abbia o non abbia comportato constatazione di violazioni.

6.3. Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 24823 del 2015, hanno chiarito che “differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purchè, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio) si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto”.

Sulla specifica questione la giurisprudenza di questa Corte non registra sentenze dissonanti, tanto che la pronuncia delle Sezioni Unite n. 24823 del 2015 è stata seguita da molte altre conformi (ex multis, Cass., sez. 6-5, 31/05/2016, n. 11283; Cass., sez. 6-5, 25/01/2017, n. 1969; Cass., sez. 65, 14/03/2018, n. 6219; Cass., sez. 6-5, 27/07/2018, n. 20036; Cass., sez. 6-5, 29/10/2018, n. 27421; Cass., sez. 5, 8/10/2020, n. 21695; Cass., sez. 5, 6/05/2021, n. 11913; Cass., sez. 5, 15/07/2021, n. 20157).

6.4. Ciò posto, vanno disattesi i dubbi sollevati dai ricorrenti in ordine alla legittimità della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, (come interpretato dalla su menzionata decisione delle Sezioni unite n. 24823/2015), per contrasto con la normativa comunitaria ed i principi sanciti dalla Carta costituzionale.

Invero, come evidenziato dalle Sezioni Unite nella sentenza citata (n. 24823 del 2015), il dato testuale della L. n. 212 del 2000, detto art. 12, comma 7, univocamente tendente alla limitazione della garanzia del contraddittorio procedimentale alle sole “verifiche in loco”, è da ritenersi “non irragionevole”, in quanto giustificato dalla peculiarità stessa di tali verifiche, “caratterizzate dall’autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca di elementi valutativi a lui sfavorevoli; peculiarità che giustifica, quale controbilanciamento, il contraddittorio al fine di correggere, adeguare e chiarire, nell’interesse del contribuente e della stessa Amministrazione, gli elementi acquisiti presso i locali aziendali”.

Siffatta peculiarità, differenziando le due ipotesi di verifica (“in loco” e “a tavolino”), giustifica e rende non irragionevole il differente trattamento normativo delle stesse, con conseguente manifesta infondatezza della ipotizzata incostituzionalità della norma con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. (Cass., sez. 5, 14/04/2021, n. 9720). Con riferimento all’art. 3 Cost., deve parimenti escludersi una questione di costituzionalità, per la duplicità di trattamento giuridico tra “tributi armonizzati” e “tributi non armonizzati”, atteso che, come viene evidenziato dalla richiamata sentenza delle Sezioni Unite n. 24823 del 2015, l’assimilazione tra i due trattamenti è preclusa in presenza di un quadro normativo univocamente interpretabile nel senso dell’inesistenza, in campo tributario, di una clausola generale di contraddittorio procedimentale.

Del resto, poichè il sistema di tassazione diretta, nel suo complesso, non ha alcun rapporto con quello dell’I.V.A., non può ritenersi che una soluzione in tema di contraddittorio endoprocedimentale in materia I.V.A., diversa da quella espressa per i tributi diretti, crei un vulnus al principio di non discriminazione sul versante comunitario, nè a quello della ragionevolezza sul piano interno (cfr. Corte di Giustizia, 17 marzo 2007, causa C-35/05; Cass., sez. 5, 27/09/2013, n. 22132; Cass., sez. 5, 14/04/2021, n. 9720).

6.5. Tale assetto risulta, dunque, coerente sia con i principi costituzionali che con la normativa comunitaria che risulta garantita in ambito giurisdizionale attraverso la cd. “prova di resistenza” di cui al principio indicato dalle Sezioni unite con la decisione n. 24823 del 2015, attraverso la verifica delle ragioni che il contribuente avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato ed ancora che “l’opposizione di dette ragioni si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede e al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto” (in senso conforme, anche Cass., sez. 6-5, 18/03/2016, n. 5502).

Non si ravvisano, dunque, ragioni per discostarsi dai principi sopra enunciati e per rimettere nuovamente la questione all’esame delle Sezioni Unite.

6.6. Nel caso di specie, alla stregua di quanto sopra esposto, il contraddittorio endoprocedimentale invocato non trova applicazione quanto alle imposte dirette, dal momento che non risulta dalla lettura del ricorso e della sentenza che sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività imprenditoriale dell’Associazione.

In relazione alla ripresa I.V.A., a cui pure si riferisce l’avviso di accertamento, l’obbligo del contraddittorio in linea di principio sussiste, ma questo Collegio deve rilevare che il contribuente non ha assolto correttamente alla c.d. prova di resistenza, in quanto, pur richiamando in ricorso le censure svolte con il ricorso introduttivo, ha omesso di indicare le specifiche circostanze che avrebbero rappresentato se fosse stato promosso dall’Ufficio il contraddittorio nei suoi confronti.

Avendo piuttosto il contribuente genericamente affermato che se gli fosse stato consegnato un processo verbale a chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo avrebbe potuto prospettare, sin dalla fase istruttoria e prima dell’emissione del provvedimento impositivo, ragioni che non si appalesavano pretestuose, deve escludersi che lo stesso abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbero potuto far valere, sicchè, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, (Cass., sez. 5, 23/01/2020, n. 1505; Cass., sez. 6-5, 27/07/2018, n. 20036; Cass., sez. un., n. 24823 del 2015, cit.), la sentenza impugnata va esente dalle censure ad essa rivolte.

7. Infondato è il terzo motivo, che va esaminato con priorità perchè concernente un error in procedendo, in quanto gli specifici motivi di gravame formulati nel giudizio di merito (illegittimità dell’atto impositivo perchè rivolto ad ente non più esistente, decadenza dell’Amministrazione dall’esercizio della funzione impositiva per l’anno d’imposta 2005, assoggettamento dell’Associazione Sportiva dilettantistica al regime fiscale forfettario della L. n. 398 del 1991), sui quali la C.T.R. non si è espressamente pronunciata, devono intendersi implicitamente disattesi dai giudici di appello.

Non ricorre, infatti, il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello quando, pur non essendovi un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto. (Cass., sez. 6 – 1, 4/06/2019, n. 15255; Cass., sez. 2, 13/08/2018, n. 20718; Cass., sez. 5, 6/12/2017, n. 29191).

8. Anche il quarto motivo deve essere respinto.

8.1. Dalla illustrazione della censura emerge che, nel caso di specie, la notifica è avvenuta direttamente a mezzo del servizio postale.

Costituisce ormai principio consolidato di questa Corte quello secondo cui, nell’ipotesi in cui l’ufficio finanziario proceda alla notificazione diretta a mezzo posta dell’atto impositivo, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle previste dalla L. n. 890 del 1982 (ex multis, Cass., sez. 5, 4/04/2018, n. 8293) e, pertanto, la disciplina relativa alla raccomandata con avviso di ricevimento, mediante la quale può essere notificato l’avviso di accertamento senza intermediazione dell’ufficiale giudiziario, è quella dettata dalle disposizioni concernenti il servizio postale ordinario per la consegna dei plichi raccomandati, in quanto le disposizioni di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890 attengono esclusivamente alla notifica eseguita dall’ufficiale giudiziario ex art. 140 c.p.c..

Ne consegue che, difettando apposite previsioni della disciplina postale, non deve essere redatta alcuna relata di notifica o annotazione specifica sull’avviso di ricevimento in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico e l’atto, pervenuto all’indirizzo del destinatario, deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se il medesimo dia prova di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di prenderne cognizione (cfr. Cass., sez. 5, 6/06/2012, n. 9111).

8.2. La L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 20, modificando la L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 14, ha aggiunto, per quanto qui interessa, la previsione che la notificazione degli avvisi e degli atti che per legge devono essere notificati al contribuente “può eseguirsi a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari”, fermo rimanendo, “ove ciò risulti impossibile”, che la notifica può essere effettuata, come già previsto, a cura degli ufficiali giudiziali, dei messi comunali o dei messi speciali autorizzati dall’Amministrazione finanziaria secondo le modalità previste dalla medesima L. n. 890 del 1982. A decorrere, pertanto, dal 15 maggio 1998 (data di entrata in vigore della citata L. n. 146 del 1998), è stata concessa agli uffici finanziari la facoltà di provvedere “direttamente” alla notifica degli atti al contribuente mediante spedizione a mezzo del servizio postale (Cass., sez. 5, 10/06/2008, n. 15284). Ciò significa che il notificante è abilitato alla notificazione dell’atto senza l’intermediazione dell’ufficiale giudiziario (ferma restando, ovviamente, quella dell’ufficiale postale), e, quindi, a modalità di notificazione semplificata. In caso di mancato recapito per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità o assenza delle persone abilitate a ricevere l’atto, il regolamento postale (nel caso di specie, la circolare n. 70/2001 oggetto: poste – condizioni generali del servizio postale – D.M. 9 aprile 2001, su g.u. n. 95 del 24.4.2001), contenente la disciplina del servizio postale ordinario, si limita a prevedere, all’art. 32, che, per gli “invii a firma” (tra cui le raccomandate), “in caso di assenza all’indirizzo indicato, il destinatario e le altre persone abilitate a ricevere l’invio” possono “ritirarlo presso l’ufficio postale di distribuzione, entro i termini di giacenza previsti dall’art. 49”.

8.3. Come chiarito da questa Corte, “in tema di notificazione dell’atto impositivo effettuata a mezzo posta direttamente dall’Ufficio finanziario, al fine di garantire il bilanciamento tra l’interesse del notificante e quello del notificatario, deve farsi applicazione in via analogica della regola dettata dalla L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4, secondo cui la notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di rilascio dell’avviso di giacenza, ovvero dalla data del ritiro del piego, se anteriore, decorrendo da tale momento il termine per l’impugnazione dell’atto notificato” (Cass., sez. 6- 5, 2/02/2016, n. 2047), in quanto il regolamento del servizio di recapito non prevede la spedizione di una raccomandata contenente l’avviso di giacenza (Cass., sez. 5, 28/05/2020, n. 10131; Cass., sez. 5, 14/11/2019, n. 29642).

La Corte costituzionale, con la sentenza del 23 settembre 1998, n. 346, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. n. 890 del 1982, art. 8, nella parte in cui non prevedeche, in caso di rifiuto di ricevere il piego o di firmare il registro di consegna da parte delle persone abilitate alla ricezione, ovvero in caso di mancato recapito per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità o assenza delle persone sopra menzionate, del compimento delle formalità descritte e del deposito del piego sia data notizia al destinatario medesimo con raccomandata con avviso di ricevimento. Tuttavia, la sentenza della Corte Costituzionale riguarda la diversa modalità di notificazione a mezzo posta curata dall’Ufficiale Giudiziario, alla quale si applica la disciplina di cui alla L. n. 890 del 1982, compreso la norma in oggetto (Cass., sez. 5, 28/07/2010, n. 17598, che ha confermato la sentenza della Commissione Tributaria regionale che aveva ritenuto valida la notifica dell’invito al contraddittorio endoprocedimentale ai fini dell’accertamento con adesione del D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 5, effettuata con raccomandata, non ritirata presso l’ufficio postale, senza che ad essa fosse seguito l’invio della raccomandata informativa previsto dalla L. n. 890 del 1982, art. 8, così come modificato a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 346 del 1998).

Il differente iter notificatorio si spiega con la diversità delle fattispecie poste a confronto, comportando la notifica diretta a mezzo del servizio postale un procedimento più agile e semplificato, a tutela delle ragioni del fisco di preminente interesse pubblico. Come evidenziato di recente dalla Corte costituzionale (Corte Cost. 23 luglio 2018, n. 175, che ha ritenuto legittimo il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, nonostante la mancata previsione della comunicazione di avvenuta notifica – CAN – e l’inapplicabilità della L. n. 890 del 1982, art. 7, come modificato con la L. n. 31 del 2008), il ragionevole bilanciamento degli interessi pubblici e privati è comunque garantito dal fatto che colui, che assuma in concreto la mancanza di conoscenza effettiva dell’atto per causa a lui non imputabile, può chiedere la rimessione in termini, ex art. 153 c.p.c., ove comprovi, anche sulla base di idonei elementi presuntivi, la sussistenza di detta situazione.

8.4. La C.T.R., concludendo che la notifica degli avvisi di accertamento, effettuata a mezzo del servizio postale è valida perchè sono state espletate tutte le formalità previste, non è incorsa nelle denunciate violazioni di legge.

9. Il quinto motivo è infondato.

9.1. Il D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10 e 11, riconoscono la qualità di parte processuale e conferiscono la capacità di stare in giudizio, nelle controversie di competenza delle commissioni tributarie, all’ufficio del Ministero delle finanze – oggi ufficio locale dell’agenzia fiscale- nei cui confronti è proposto il ricorso, organicamente rappresentato dal direttore (Cass., sez. 5, 8/02/2008, n. 6338) o da altra persona preposta al reparto competente, da intendersi per ciò stesso delegata in via generale a sostituire il direttore nelle specifiche competenze (Cass., sez. 5, 28/05/2008, n. 13908; Cass., sez. 5, 8/02/2008, n. 3058), senza necessità di speciale procura.

Qualora non sia contestata la provenienza dell’atto d’appello dall’ufficio competente, le questioni relative agli effettivi poteri del firmatario dell’appello si possono porre solo in chiave di non appartenenza del firmatario all’ufficio appellante o di usurpazione di tali poteri, dovendosi altrimenti presumere che l’atto provenga dall’ufficio e ne esprima la volontà.

9.2. Tale interpretazione, come chiarito da questa Corte (Cass., sez. 5, 25/01/2019, n. 2138) è conforme al principio di effettività della tutela giurisdizionale, più volte richiamato anche dalla Corte costituzionale – oltre che da questa suprema Corte (Cass., Sez. U, 14/02/2006, nn. 3116 e 3118; Cass., sez. 5, 25/10/2006, n. 22889)- che impone di ridurre al massimo le ipotesi d’inammissibilità.

Questa Corte ha, altresì, affermato che la legittimazione processuale dell’Ufficio locale trova fondamento nella disciplina regolatrice della materia, costituita dal D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 66, comma 2, che ha istituito le Agenzie Fiscali, rimandando allo Statuto la fissazione dei principi generali relativi all’organizzazione ed al funzionamento dell’Agenzia e nello Statuto e, poi, nel Regolamento di amministrazione delle Agenzie delle Entrate, che hanno stabilito che gli Uffici locali dell’Agenzia corrispondono ai preesistenti Uffici delle Entrate e che agli Uffici locali sono attribuite le funzioni operative ed, in particolare, la gestione dei tributi, l’accertamento, la riscossione e la trattazione del contenzioso; la legittimazione dell’Ufficio locale trae fondamento dalla norma statutaria delegata – Reg., art. 5, comma 1 -, esistente per effetto della norma delegante D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 57, comma 1.

Deve, quindi, ritenersi ammissibile l’atto d’appello proposto dal competente ufficio dell’agenzia delle entrate, recante in calce la firma di un funzionario che sottoscrive in luogo del direttore titolare, non essendo a tal fine necessaria l’esibizione della delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere d’impugnare la sentenza di primo grado (Cass., sez. 5, 21/03/2014, n. 6691; Cass., sez. 6-5, 26/07/2016, n. 15470; Cass., sez. 5, 30/10/2018, n. 27570; Cass., sez. 5, 31/01/2019, n. 2901; Cass., sez. 5, 25/01/2019, n. 2138).

9.3. Nel caso di specie, il ricorrente ha eccepito che il Capo Team che ha sottoscritto l’atto di appello non rivestisse la qualifica di dirigente, ma, poichè non è in contestazione l’appartenenza del sottoscrittore all’Ufficio finanziario, la doglianza, in applicazione dei principi su esposti, va respinta.

10. Il secondo motivo è infondato in relazione a tutti i profili di doglianza denunciati.

10.1. Il ricorrente contesta che la C.T.R., ritenendo del tutto legittima la ripresa a tassazione operata per l’anno 2006, non abbia fatto buon governo dei criteri dettati in materia di ripartizione dell’onere della prova, nè delle norme che regolano la prova presuntiva.

Giova, sul punto, precisare che, in ipotesi quale quella di specie di mancata presentazione della dichiarazione dei redditi, i poteri accertativi dell’Ufficio trovano fondamento e disciplina non già nell’art. 38 (accertamento sintetico) o nell’art. 39 (accertamento induttivo), bensì nella diversa previsione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 (accertamento d’ufficio). A tal fine l’Ufficio, sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, determina il reddito complessivo del contribuente, con facoltà di ricorso a presunzioni c.d. “supersemplici”, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale può fornire elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito non è stato prodotto o che è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall’Ufficio (da ultimo, Cass., sez. 5, 20/01/2017, n. 1506; Cass., sez. 5, 16/07/2020, n. 15167; Cass., sez. 5, 4/02/2021, n. 2581).

Le argomentazioni poste a sostegno della decisione impugnata non si pongono in contrasto con il principio di diritto innanzi richiamato, dal momento che, a fronte della mancata presentazione della dichiarazione dei redditi da parte dell’Associazione sportiva, i giudici di appello hanno ritenuto del tutto corretta la rideterminazione induttiva dei ricavi operata dall’Amministrazione finanziaria, in mancanza di prova dell’esistenza di costi relativi all’attività commerciale, non fornita dal contribuente sul quale gravava il relativo onere, e della assenza di riscontri che potessero supportare l’assunto della perdita dell’archivio contabile in occasione dei lavori di demolizione eseguiti nella struttura.

10.2. La Commissione regionale ha, inoltre, ritenuto provata la partecipazione del ricorrente nelle vicende operative dell’Associazione sportiva non riconosciuta e, quindi, sussistente una sua responsabilità quale legale rappresentante di fatto; l’apprezzamento in fatto svolto dai giudici regionali, non censurato sotto il profilo motivazionale, non può essere rimesso in discussione in questa sede, non essendo ravvisabile la denunciata violazione dell’art. 2697 c.c., che è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., sez. 3, 29/05/2018, n. 13395).

10.3. Peraltro, le censure svolte, anche laddove si assume una presunta violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., sono sostanzialmente volte a sollecitare una diversa ricostruzione fattuale rispetto a quella operata dalla C.T.R., non consentita in questa sede. Occorre, sul punto, rammentare che la censura in ordine al corretto utilizzo del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve far emergere l’assoluta illogicità o contraddittorietà del ragionamento decisorio (Cass., sez. 1, 26/02/2020, n. 5279), sicchè, sotto tale profilo, la doglianza in esame è inammissibile perchè si risolve in una valutazione alternativa degli indizi e del materiale probatorio, in assenza di specifiche deduzioni circa fatti di cui sia stato omesso l’esame e che valgano ad evidenziare l’irrazionalità delle valutazioni espresse nella sentenza impugnata.

11. Conclusivamente, il ricorso va rigettato.

Nulla deve disporsi in merito alle spese di lite, in assenza di attività difensiva della Agenzia delle entrate.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2021


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 25/06/2021) 19/11/2021, n. 35640

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 4795/2015 R.G. proposto da:

P.A., in proprio e in qualità di ex legale rappresentante della Associazione Calcio Mottese, e M.G., in proprio e nella qualità di ex legale rappresentante della Associazione Calcio Mottese, rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale a margine del ricorso, dall’avv. Emanuele Coglitore e dall’avv. Mariagrazia Bruzzone, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Federico Confalonieri, n. 5;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3428/20/14 della Commissione tributaria regionale della Lombardia depositata in data 25 giugno 2014;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 25 giugno 2021 dal Consigliere Pasqualina Anna Piera Condello;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Vitiello Mauro, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
1. L’Agenzia delle entrate propose appello avverso la sentenza pronunciata dalla Commissione tributaria provinciale di Milano che aveva accolto i ricorsi riuniti presentati da P.A. e M.G., in proprio e quali legali rappresentanti della Associazione Calcio Mottese, avverso gli avvisi di accertamento con i quali era stato rideterminato, con metodo induttivo, il reddito di impresa, per l’anno d’imposta 2005, considerando il valore medio dei ricavi accertati negli anni d’imposta 2006 e 2007.

2. La Commissione tributaria regionale, con la sentenza in epigrafe indicata, accolse l’impugnazione.

Osservò, in particolare, che:

a) risultava accertata la partecipazione dei contribuenti nelle vicende operative della associazione non riconosciuta, quantomeno come legali rappresentanti di fatto e sulla base del regime di responsabilità per le obbligazioni, previsto dall’art. 38 c.c.;

b) nessuna prova era stata fornita, per far ritenere la estraneità dei contribuenti all’attività associativa, in ordine alla cessazione dell’attività ed alla cancellazione della associazione;

c) la notifica degli avvisi di accertamento era valida perchè legittimamente effettuata a mezzo servizio postale, con l’espletamento di tutte le formalità previste;

d) il riferimento dell’avviso di accertamento ad altri atti doveva ritenersi rituale, poichè ne era riprodotto il contenuto essenziale;

e) era rimesso alla discrezionalità dell’Amministrazione l’avvio del contraddittorio preventivo con il contribuente, in presenza di elementi utili e sufficienti, a propria disposizione, per l’accertamento della violazione contestata;

f) l’accertamento risultava “legittimamente effettuato in presenza della sproporzione delle fatture emesse nell’anno in questione rispetto ai parametri di mercato, mentre appariva del tutto artefatto l’assunto della perdita dell’archivio contabile per lavori di demolizione eseguiti nella struttura e senza che alcuno dei responsabili avesse provveduto alla custodia della documentazione”;

g) le operazioni di sponsorizzazione descritte nell’avviso impugnato erano state poste in essere al solo scopo di consentire alle imprese intestatarie delle fatture di beneficiare della deducibilità dei costi relativi, ai fini delle imposte dirette e dell’Irap, nonchè di detrarre la relativa I.V.A.;

e) a fronte di dichiarazione omessa per l’anno d’imposta in contestazione, l’Ufficio aveva determinato ricavi per operazioni inesistenti nella misura contestata, basandosi su presunzioni gravi, precise e concordanti rispetto alle quali nessuna prova contraria avevano fornito i contribuenti.

3. Contro la suddetta decisione d’appello hanno proposto ricorso per cassazione P.A. e M.G., con sei motivi, ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

L’Agenzia delle entrate, ritualmente intimata, ha depositato “atto di costituzione” al solo fine di partecipare all’udienza di discussione.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo i contribuenti deducono, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, e della L. n. 4 del 1929, art. 24, anche in relazione alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, art. 41, ed agli artt. 3, 53 e 97 Cost..

Lamentano che per il periodo d’imposta 2005 la fase istruttoria si era esaurita nell’invio di un questionario e nella successiva emissione degli avvisi di accertamento, in assenza di preventiva consegna di un verbale di chiusura delle operazioni di controllo, in contrasto con il diritto dell’Unione Europea, e che un’interpretazione che escluda l’applicabilità del citato art. 12, comma 7, ai procedimenti di verifica cd. “a tavolino” non si pone in sintonia con i principi comunitari.

Con la memoria ex art. 378 c.p.c., i ricorrenti, nell’insistere per l’accoglimento del mezzo di ricorso, prendendo le mosse dalla sentenza a Sezioni Unite di questa Corte n. 24823 del 9 dicembre 2015, hanno dedotto che l’avviso di accertamento afferisce anche all’I.V.A. e che, per quanto concerne la pretesa ai fini Ires e Irap, l’ordinamento interno deve comunque rispettare i diritti fondamentali garantiti dall’Unione Europea, con la conseguenza che l’interpretazione fornita dalla richiamata pronuncia delle Sezioni Unite che giunge a limitare la piena tutela del diritto al contraddittorio preventivo, in dipendenza della natura non armonizzata dei tributi pretesi, implica una irragionevole disparità di trattamento, contraria al divieto delle cd. “discriminazioni a rovescio”, ossia “situazioni di disparità in danno dei cittadini di uno Stato membro, e delle sue imprese, che si verificano come effetto indiretto dell’applicazione del diritto Europeo”; hanno, quindi, sollecitato una rimeditazione della questione, previa, se del caso, rimessione al vaglio delle Sezioni Unite.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 e art. 42, comma 2, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55 e art. 56, comma 5, nonchè dell’art. 112 c.p.c..

Pur avendo fin dal ricorso introduttivo eccepito l’illegittimità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione, in quanto venivano richiamati atti non allegati e non conosciuti, ed in particolare le fatture asseritamente emesse e rinvenute presso la L.D.V. s.r.l. e presso l’impresa individuale Doratura Metalli di S.G., riconducibili agli anni d’imposta 2006 e 2007, i giudici di appello avevano assunto apoditticamente che il riferimento, contenuto nell’atto impositivo, ad altri atti doveva ritenersi rituale, perchè ne era stato riprodotto il contenuto essenziale.

Si dolgono, inoltre, che, in violazione dell’art. 2697 c.c., neppure la C.T.R. ha attribuito rilevanza alla mancata produzione in giudizio, da parte dell’Agenzia delle entrate, delle fatture rinvenute nel corso degli accessi mirati nei confronti della L.D.V. s.r.l. e della impresa individuale Doratura Metalli di S.G.; piuttosto, modificando la motivazione dell’avviso di accertamento, i giudici di appello erano giunti ad affermare che l’accertamento risultava legittimamente effettuato “in presenza della sproporzione delle fatture emesse nell’anno in questione” (ossia nel 2005), sebbene nell’atto impositivo si facesse riferimento a fatture che avrebbero “concorso alla determinazione della base imponibile ai fini delle II.DD e IVA per gli anni d’imposta 2006 e 2007” – la cui esistenza era sempre stata contestata – non tenendo conto che il reddito d’impresa asseritamente “conseguito” nel 2005 era stato determinato “considerando il valore medio dei ricavi accertati negli anni d’imposta 2006 e 2007” ed avallando un’inferenza presuntiva non basata su fatti certi, in contrasto con l’art. 2727 c.c., che esige la ricorrenza di un “fatto noto” per fondare la prova per presunzioni.

3. Con il terzo motivo i contribuenti censurano la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nella parte in cui i giudici di secondo grado hanno affermato che era emersa la loro partecipazione nelle vicende operative della associazione non riconosciuta, pur a fronte della prova, fornita nel giudizio di merito, della cessazione dell’attività dell’Associazione, intervenuta in data 31 maggio 2011, come da comunicazione inoltrata all’Agenzia delle entrate ed all’Ufficio Siae competente.

4. Con il quarto motivo denunciano la violazione dell’art. 112 c.p.c., lamentando che i giudici di appello avrebbero omesso di pronunciarsi sul motivo, dedotto nel ricorso introduttivo di primo grado, con il quale era stata eccepita l’illegittimità dell’atto impositivo in quanto rivolto ad ente non più esistente, nonchè sull’ulteriore motivo di intervenuta decadenza dall’esercizio della funzione impositiva per il periodo d’imposta 2005. Nessun riferimento, secondo i ricorrenti, era peraltro contenuto in sentenza con riguardo all’altro motivo con il quale era stato contestato che l’associazione, essendo sportiva dilettantistica, aveva scelto il regime fiscale forfettario della L. n. 398 del 1991.

5. Con il quinto motivo deducono violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, nonchè dell’art. 137 c.p.c..

Nel giudizio di merito avevano eccepito la giuridica inesistenza della notificazione dell’avviso di accertamento, ferma restando l’inoperatività della sanatoria del vizio di notificazione, stante l’intervenuta decadenza dall’esercizio della funzione impositiva al momento della proposizione del ricorso, nel gennaio 2012.

6. Con il sesto motivo – rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 e art. 11, comma 2, nonchè dell’art. 75 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – ribadiscono che in secondo grado avevano preliminarmente eccepito l’inammissibilità dell’appello, in quanto non sottoscritto dal direttore dell’Ufficio, ma dal Capo Team ( C.A.) senza produzione di delega; inoltre, avevano prodotto estratto del sito internet dell’Agenzia delle entrate dal quale non risultava che la predetta persona rivestisse la qualifica dirigenziale.

7. Il primo motivo è infondato.

7.1. Occorre premettere, in primo luogo, che nella vicenda in esame l’Amministrazione finanziaria non ha compiuto una verifica fiscale presso l’Associazione Calcio Mottese. L’avviso di accertamento, come sottolineato dagli stessi ricorrenti, è stato adottato all’esito dell’invio di un questionario, sicchè la ripresa fiscale è riconducibile ad una ipotesi di accertamento cd. “a tavolino”, rispetto al quale è legittimo, anche ai fini del contraddittorio (in particolare per le imposte dirette), che il primo atto portato alla conoscenza del contribuente sia lo stesso avviso (Cass., sez. U, 9/12/2015, n. 24823).

Già da tale fatto deriva l’insussistenza di un obbligo generalizzato di redazione del processo verbale di constatazione, conclusione che questa Corte, del resto, ha ripetutamente ribadito, sottolineando che l’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria non deve necessariamente concludersi con la redazione di un processo verbale di constatazione (Cass., sez. 5, 27/04/2018, n. 16546; Cass., sez. 5, 8/05/2019, n. 12094).

In ogni caso, non ha rilievo il richiamo alla L. n. 4 del 1929, art. 24, che, secondo la prospettazione dei ricorrenti, imporrebbe sempre l’adozione di un processo verbale con il quale siano contestate le violazioni finanziarie, avendo questa Corte precisato che “in tema di violazione di norme finanziarie (nella specie, in materia di IVA), il processo verbale di constatazione, redatto dagli organi accertatori in occasione di verifiche presso il contribuente e previsto dalla L. n. 4 del 1929, art. 24, non deve necessariamente contenere le contestazioni, potendo avere una molteplicità di contenuti, valutativi o meramente ricognitivi di fatti o di dichiarazioni, che, per la libera valutazione dell’amministrazione finanziaria prima e dell’autorità giudiziaria poi, possono comunque dare luogo alla emissione di avvisi di accertamento” (Cass., sez. 5, 11/12/2013, n. 27711; Cass., sez. 5, 29/12/2017, n. 31120), con la conseguenza che la redazione di un processo verbale di constatazione non è necessaria per rendere legittimo un successivo avviso di accertamento perchè è in esso che si esterna ciò che si è constatato.

7.2. E’ insegnamento di questa Corte che “Le garanzie procedimentali di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 6 e art. 12, comma 7, trovano applicazione solo al processo verbale di constatazione redatto a chiusura di operazioni di verifica condotte dagli organi dell’Amministrazione finanziaria nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali e non anche alle verifiche svolte a tavolino, ovvero senza accesso ai locali anzidetti” (Cass., sez. 6-5, 8/02/2017, n. 3408; Cass., sez. 5, 12/02/2014, n. 3142; Cass., sez. 6-5, 13/06/2014, n. 13588, la quale richiama la sentenza a Sezioni Unite di questa Corte n. 18184 del 2013; Cass., sez. U, 9/12/2015, n. 24823), ossia esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente; ciò, peraltro, indipendentemente dal fatto che l’operazione abbia o non abbia comportato constatazione di violazioni.

7.3. Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 24823 del 2015, hanno chiarito che “differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purchè, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio) si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto”.

Sulla specifica questione la giurisprudenza di questa Corte non registra sentenze dissonanti, tanto che la pronuncia delle Sezioni Unite n. 24823 del 2015 è stata seguita da molte altre conformi (ex multis, Cass., sez. 6-5, 31/05/2016, n. 11283; Cass., sez. 6-5, 25/01/2017, n. 1969; Cass., sez. 65, 14/03/2018, n. 6219; Cass., sez. 6-5, 27/07/2018, n. 20036; Cass., sez. 6-5, 29/10/2018, n. 27421; Cass., sez. 5, 8/10/2020, n. 21695; Cass., sez. 5, 6/05/2021, n. 11913; Cass., sez. 5, 15/07/2021, n. 20157).

7.4. Ciò posto, vanno disattesi i dubbi sollevati dai ricorrenti in ordine alla legittimità della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, (come interpretato dalla su menzionata decisione delle Sezioni unite n. 24823 del 2015), per contrasto con la normativa comunitaria ed i principi sanciti dalla Carta costituzionale.

Invero, come evidenziato dalle Sezioni Unite nella sentenza citata (n. 24823 del 2015), il dato testuale della L. n. 212 del 2000, detto art. 12, comma 7, univocamente tendente alla limitazione della garanzia del contraddittorio procedimentale alle sole “verifiche in loco”, è da ritenersi “non irragionevole”, in quanto giustificato dalla peculiarità stessa di tali verifiche, “caratterizzate dall’autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca di elementi valutativi a lui sfavorevoli; peculiarità che giustifica, quale controbilanciamento, il contraddittorio al fine di correggere, adeguare e chiarire, nell’interesse del contribuente e della stessa Amministrazione, gli elementi acquisiti presso i locali aziendali”.

Siffatta peculiarità, differenziando le due ipotesi di verifica (“in loco” e “a tavolino”), giustifica e rende non irragionevole il differente trattamento normativo delle stesse, con conseguente manifesta infondatezza della ipotizzata incostituzionalità della norma con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. (Cass., sez. 5, 14/04/2021, n. 9720) Con riferimento all’art. 3 Cost., deve parimenti escludersi una questione di costituzionalità, per la duplicità di trattamento giuridico tra “tributi armonizzati” e “tributi non armonizzati”, atteso che, come viene evidenziato dalla richiamata sentenza delle Sezioni Unite n. 24823 del 2015, l’assimilazione tra i due trattamenti è preclusa in presenza di un quadro normativo univocamente interpretabile nel senso dell’inesistenza, in campo tributario, di una clausola generale di contraddittorio procedimentale.

Del resto, poichè il sistema di tassazione diretta, nel suo complesso, non ha alcun rapporto con quello dell’I.V.A., non può ritenersi che una soluzione in tema di contraddittorio endoprocedimentale in materia I.V.A., diversa da quella espressa per i tributi diretti, crei un vulnus al principio di non discriminazione sul versante comunitario, nè a quello della ragionevolezza sul piano interno (cfr. Corte di Giustizia, 17 marzo 2007, causa C-35/05; Cass., sez. 5, 27/09/2013, n. 22132; Cass., sez. 5, 14/04/2021, n. 9720).

7.5. Tale assetto risulta, dunque, coerente sia con i principi costituzionali che con la normativa comunitaria che risulta garantita in ambito giurisdizionale attraverso la cd. “prova di resistenza” di cui al principio indicato dalle Sezioni unite con la decisione n. 24823 del 2015, attraverso la verifica delle ragioni che il contribuente avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato ed ancora che “l’opposizione di dette ragioni si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede e al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto” (in senso conforme, anche Cass., sez. 6-5, 18/03/2016, n. 5502). Non si ravvisano, dunque, ragioni per discostarsi dai principi sopra enunciati e per rimettere nuovamente la questione all’esame delle Sezioni Unite.

7.6. Nel caso di specie, alla stregua di quanto sopra esposto, il contraddittorio endoprocedimentale invocato non trova applicazione quanto alle imposte dirette, dal momento che non risulta dalla lettura del ricorso e della sentenza che sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività imprenditoriale dell’Associazione.

In relazione alla ripresa I.V.A., a cui pure si riferisce l’avviso di accertamento, l’obbligo del contraddittorio in linea di principio sussiste, ma questo Collegio deve rilevare che i contribuenti non hanno assolto correttamente alla c.d. prova di resistenza, in quanto, pur richiamando in ricorso le censure svolte con il ricorso introduttivo, hanno omesso di indicare le specifiche circostanze che avrebbero rappresentato se fosse stato promosso dall’Ufficio il contraddittorio nei loro confronti.

Avendo piuttosto i contribuenti genericamente affermato che se fosse stato loro consegnato un processo verbale a chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo avrebbero potuto prospettare, sin dalla fase istruttoria e prima dell’emissione del provvedimento impositivo, ragioni che non si appalesavano pretestuose, deve escludersi che essi abbiano assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbero potuto far valere, sicchè, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, (Cass., sez. 5, 23/01/2020, n. 1505; Cass., sez. 6-5, 27/07/2018, n. 20036; Cass., sez. un., n. 24823 del 2015, cit.), la sentenza impugnata va esente dalle censure ad essa rivolte.

8. Infondato è il quarto motivo, che va esaminato con priorità perchè concernente un error in procedendo, in quanto gli specifici motivi di gravame formulati nel giudizio di merito (illegittimità dell’atto impositivo perchè rivolto ad ente non più esistente, decadenza dell’Amministrazione dall’esercizio della funzione impositiva per l’anno d’imposta 2005, assoggettamento dell’Associazione Sportiva dilettantistica al regime fiscale forfettario della L. n. 398 del 1991), sui quali la C.T.R. non si è espressamente pronunciata, devono intendersi implicitamente disattesi dai giudici di appello.

Non ricorre, infatti, il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello quando, pur non essendovi un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto. (Cass., sez. 6 – 1, 4/06/2019, n. 15255; Cass., sez. 2, 13/08/2018, n. 20718; Cass., sez. 5, 6/12/2017, n. 29191).

9. Anche il quinto motivo deve essere respinto.

9.1. Dalla illustrazione della censura emerge che, nel caso di specie, la notifica è avvenuta direttamente a mezzo del servizio postale.

Costituisce ormai principio consolidato di questa Corte quello secondo cui, nell’ipotesi in cui l’ufficio finanziario proceda alla notificazione diretta a mezzo posta dell’atto impositivo, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle previste dalla L. n. 890 del 1982 (ex multis, Cass., sez. 5, 4/04/2018, n. 8293) e, pertanto, la disciplina relativa alla raccomandata con avviso di ricevimento, mediante la quale può essere notificato l’avviso di accertamento senza intermediazione dell’ufficiale giudiziario, è quella dettata dalle disposizioni concernenti il servizio postale ordinario per la consegna dei plichi raccomandati, in quanto le disposizioni di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890 attengono esclusivamente alla notifica eseguita dall’ufficiale giudiziario ex art. 140 c.p.c..

Ne consegue che, difettando apposite previsioni della disciplina postale, non deve essere redatta alcuna relata di notifica o annotazione specifica sull’avviso di ricevimento in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico e l’atto, pervenuto all’indirizzo del destinatario, deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se il medesimo dia prova di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di prenderne cognizione (cfr. Cass., sez. 5, 6/06/2012, n. 9111).

9.2. La L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 20, modificando la L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 14, ha aggiunto, per quanto qui interessa, la previsione che la notificazione degli avvisi e degli atti che per legge devono essere notificati al contribuente “può eseguirsi a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari”, fermo rimanendo, “ove ciò risulti impossibile”, che la notifica può essere effettuata, come già previsto, a cura degli ufficiali giudiziali, dei messi comunali o dei messi speciali autorizzati dall’Amministrazione finanziaria secondo le modalità previste dalla medesima L. n. 890 del 1982.

A decorrere, pertanto, dal 15 maggio 1998 (data di entrata in vigore della citata L. n. 146 del 1998), è stata concessa agli uffici finanziari la facoltà di provvedere “direttamente” alla notifica degli atti al contribuente mediante spedizione a mezzo del servizio postale (Cass., sez. 5, 10/06/2008, n. 15284). Ciò significa che il notificante è abilitato alla notificazione dell’atto senza l’intermediazione dell’ufficiale giudiziario (ferma restando, ovviamente, quella dell’ufficiale postale), e, quindi, a modalità di notificazione semplificata. In caso di mancato recapito per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità o assenza delle persone abilitate a ricevere l’atto, il regolamento postale (nel caso di specie, la Circolare n. 70 del 2001 oggetto: poste – condizioni generali del servizio postale – D.M. 9 aprile 2001 su G.U. n. 95 del 24.4.2001), contenente la disciplina del servizio postale ordinario, si limita a prevedere, all’art. 32, che, per gli “invii a firma” (tra cui le raccomandate), “in caso di assenza all’indirizzo indicato, il destinatario e le altre persone abilitate a ricevere l’invio” possono “ritirarlo presso l’ufficio postale di distribuzione, entro i termini di giacenza previsti dall’art. 49”.

9.3. Come chiarito da questa Corte, “in tema di notificazione dell’atto impositivo effettuata a mezzo posta direttamente dall’Ufficio finanziario, al fine di garantire il bilanciamento tra l’interesse del notificante e quello del notificatario, deve farsi applicazione in via analogica della regola dettata dalla L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4, secondo cui la notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di rilascio dell’avviso di giacenza, ovvero dalla data del ritiro del piego, se anteriore, decorrendo da tale momento il termine per l’impugnazione dell’atto notificato” (Cass., sez. 6- 5, 2/02/2016, n. 2047), in quanto il regolamento del servizio di recapito non prevede la spedizione di una raccomandata contenente l’avviso di giacenza (Cass., sez. 5, 28/05/2020, n. 10131; Cass., sez. 5, 14/11/2019, n. 29642).

La Corte costituzionale, con la sentenza del 23 settembre 1998, n. 346, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. n. 890 del 1982, art. 8, nella parte in cui non prevede che, in caso di rifiuto di ricevere il piego o di firmare il registro di consegna da parte delle persone abilitate alla ricezione, ovvero in caso di mancato recapito per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità o assenza delle persone sopra menzionate, del compimento delle formalità descritte e del deposito del piego sia data notizia al destinatario medesimo con raccomandata con avviso di ricevimento. Tuttavia, la sentenza della Corte Costituzionale riguarda la diversa modalità di notificazione a mezzo posta curata dall’Ufficiale Giudiziario, alla quale si applica la disciplina di cui alla L. n. 890 del 1982, compreso la norma in oggetto (Cass., sez. 5, 28/07/2010, n. 17598, che ha confermato la sentenza della Commissione Tributaria regionale che aveva ritenuto valida la notifica dell’invito al contraddittorio endoprocedimentale ai fini dell’accertamento con adesione D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 5, effettuata con raccomandata, non ritirata presso l’ufficio postale, senza che ad essa fosse seguito l’invio della raccomandata informativa previsto dalla L. n. 890 del 1982, art. 8, così come modificato a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 346 del 1998).

Il differente iter notificatorio si spiega con la diversità delle fattispecie poste a confronto, comportando la notifica diretta a mezzo del servizio postale un procedimento più agile e semplificato, a tutela delle ragioni del fisco di preminente interesse pubblico. Come evidenziato dalla Corte costituzionale (Corte Cost. 23 luglio 2018, n. 175, che ha ritenuto legittimo il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, nonostante la mancata previsione della comunicazione di avvenuta notifica – CAN – e l’inapplicabilità della L. n. 890 del 1982, art. 7, come modificato con la L. n. 31 del 2008), il ragionevole bilanciamento degli interessi pubblici e privati è comunque garantito dal fatto che colui che assuma in concreto la mancanza di conoscenza effettiva dell’atto per causa a lui non imputabile, può chiedere la rimessione in termini, ex art. 153 c.p.c., ove comprovi, anche sulla base di idonei elementi presuntivi, la sussistenza di detta situazione. 9.4. La C.T.R., concludendo che la notifica degli avvisi di accertamento, effettuata a mezzo del servizio postale è valida perchè sono state espletate tutte le formalità previste, non è incorsa nelle denunciate violazioni di legge.

10. Il sesto motivo è infondato.

10.1. Il D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10 e 11, riconoscono la qualità di parte processuale e conferiscono la capacità di stare in giudizio, nelle controversie di competenza delle commissioni tributarie, all’ufficio del Ministero delle finanze – oggi ufficio locale dell’agenzia fiscale – nei cui confronti è proposto il ricorso, organicamente rappresentato dal direttore (Cass., sez. 5, 8/02/2008, n. 6338) o da altra persona preposta al reparto competente, da intendersi per ciò stesso delegata in via generale a sostituire il direttore nelle specifiche competenze (Cass., sez. 5, 28/05/2008, n. 13908; Cass., sez. 5, 8/02/2008, n. 3058), senza necessità di speciale procura.

Qualora non sia contestata la provenienza dell’atto d’appello dall’ufficio competente, le questioni relative agli effettivi poteri del firmatario dell’appello si possono porre solo in chiave di non appartenenza del firmatario all’ufficio appellante o di usurpazione di tali poteri, dovendosi altrimenti presumere che l’atto provenga dall’ufficio e ne esprima la volontà.

10.2. Tale interpretazione, come chiarito da questa Corte (Cass., sez. 5, 25/01/2019, n. 2138) è conforme al principio di effettività della tutela giurisdizionale, più volte richiamato anche dalla Corte costituzionale – oltre che da questa suprema Corte (Cass., sez. U, 14/02/2006, n. 3116 e Cass. n. 3118 del 2006; Cass., sez. 5, 25/10/2006, n. 22889) – che impone di ridurre al massimo le ipotesi d’inammissibilità.

Questa Corte ha, altresì, affermato che la legittimazione processuale dell’Ufficio locale trova fondamento nella disciplina regolatrice della materia, costituita dal D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 66, comma 2, che ha istituito le Agenzie Fiscali, rimandando allo Statuto la fissazione dei principi generali relativi all’organizzazione ed al funzionamento dell’Agenzia e nello Statuto e, poi, nel Regolamento di amministrazione delle Agenzie delle Entrate, che hanno stabilito che gli Uffici locali dell’Agenzia corrispondono ai preesistenti Uffici delle Entrate e che agli Uffici locali sono attribuite le funzioni operative ed, in particolare, la gestione dei tributi, l’accertamento, la riscossione e la trattazione del contenzioso; la legittimazione dell’Ufficio locale trae fondamento dalla norma statutaria delegata – Reg., art. 5, comma 1 -, esistente per effetto della norma delegante D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 57, comma 1.

Deve, quindi, ritenersi ammissibile l’atto d’appello proposto dal competente ufficio dell’agenzia delle entrate, recante in calce la firma di un funzionario che sottoscrive in luogo del direttore titolare, non essendo a tal fine necessaria l’esibizione della delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere d’impugnare la sentenza di primo grado (Cass., sez. 5, 21/03/2014, n. 6691; Cass., sez. 6-5, 26/07/2016, n. 15470; Cass., sez. 5, 30/10/2018, n. 27570; Cass., sez. 5, 31/01/2019, n. 2901; Cass., sez. 5, 25/01/2019, n. 2138).

10.3. Nel caso di specie, i ricorrenti hanno eccepito che il Capo Team che ha sottoscritto l’atto di appello non rivestisse la qualifica di dirigente, ma, poichè non è in contestazione l’appartenenza del sottoscrittore all’Ufficio finanziario, la doglianza, in applicazione dei principi su esposti, va respinta.

11. Il secondo motivo è infondato in relazione a tutti i profili di doglianza denunciati.

11.1. Il requisito formale della motivazione dell’atto impositivo di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7, deve ritenersi assolto anche attraverso la motivazione per relationem alle risultanze dell’indagine condotta dai verificatori (pacifica è la giurisprudenza di questa Corte in ordine alla piena legittimità di tale forma di motivazione: ex multis Cass., sez. 5, 5/04/2013, n. 8399; Cass., sez. 5, 5/02/2009, n. 2749).

In via generale, l’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso (L. n. 212 del 2000, art. 7) va inteso in necessaria correlazione con la finalità “integrativa” delle ragioni che, per l’Amministrazione emittente, sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone la L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 3. Il contribuente ha, infatti, diritto di conoscere tutti gli atti richiamati nell’avviso per integrare la motivazione, ma non anche gli eventuali altri atti il cui contenuto sia (quantomeno nella parte rilevante) già riportato nell’avviso o che siano in esso meramente menzionati, ove la motivazione sia già sufficiente (e la loro menzione abbia, pertanto, mero valore “narrativo”): ne deriva che, in caso di impugnazione dell’avviso sotto tale profilo, non basta per il contribuente dimostrare l’esistenza di atti a lui sconosciuti cui quello impositivo faccia riferimento, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell’avviso impugnato, sia necessaria ad integrarne la motivazione (v. Cass., sez. 5, 18/12/2009, n. 26683).

11.2 n giudice d’appello ha dunque correttamente affermato, in base ad un accertamento in fatto che i ricorrenti non hanno specificamente censurato sotto il profilo del vizio di motivazione, che gli avvisi erano adeguatamente motivati, e ciò perchè contenevano, come emerge dall’avviso di accertamento riprodotto dagli stessi contribuenti nel ricorso per cassazione in omaggio al principio di autosufficienza, il riferimento al processo verbale di constatazione del 29 aprile 2011, peraltro notificato anche ad P.A., ed agli accessi mirati del 21 aprile 2011 e del 19 aprile 2011 eseguiti nei confronti delle società L.D.V. s.r.l. e della impresa individuale Doratura Metalli di S.G.. Tanto bastava, infatti, a giustificare l’azione di recupero di maggiore imposta ed a porre l’Associazione sportiva dilettantistica ed il legale rappresentante in grado di apprestare le proprie difese, sia limitandosi alla mera negazione dei fatti costitutivi della pretesa, sia contrastando gli atti impositivi mediante acquisizione di eventuale ulteriore documentazione idonea a smentire le risultanze della verifica.

11.3. Peraltro, la questione relativa all’esistenza della motivazione dell’atto impositivo, quale requisito formale di validità dell’avviso di accertamento (L. n. 212 del 2000, art. 7), va nettamente distinta da quella attinente, invece, alla indicazione ed alla effettiva sussistenza di elementi dimostrativi dei fatti costitutivi della pretesa tributaria (cfr. Cass., sez. 5, 1/08/2000, n. 10052), indicazione che non è richiesta – come dianzi osservato – quale elemento costitutivo della validità dell’atto e che rimane disciplinata dalle regole processuali proprie della istruzione probatoria, le quali trovano applicazione nello svolgimento dell’eventuale giudizio introdotto dal contribuente per ottenerne l’annullamento.

La produzione in giudizio delle fatture emesse dall’Associazione Calcio Mottese e rinvenute nel corso degli accessi mirati di cui si è detto ricade, quindi, nell’ambito degli oneri probatori e non dei requisiti di validità dell’atto impositivo.

11.4. Sotto tale ultimo profilo, i ricorrenti contestano che la C.T.R., ritenendo del tutto legittima la ripresa a tassazione operata per l’anno 2005, non abbiano fatto buon governo dei criteri dettati in materia di ripartizione dell’onere della prova, nè delle norme che regolano la prova presuntiva.

Giova, sul punto, precisare che, in ipotesi quale quella di specie di mancata presentazione della dichiarazione dei redditi, i poteri accertativi dell’Ufficio trovano fondamento e disciplina non già nell’art. 38 (accertamento sintetico) o nell’art. 39 (accertamento induttivo), bensì nella diversa previsione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 (accertamento d’ufficio). A tal fine l’Ufficio, sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, determina il reddito complessivo del contribuente, con facoltà di ricorso a presunzioni c.d. “supersemplici”, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale può fornire elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito non è stato prodotto o che è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall’Ufficio (da ultimo, Cass., sez. 5, 20/01/2017, n. 1506; Cass., sez. 5, 16/07/2020, n. 15167; Cass., sez. 5, 4/02/2021, n. 2581).

Le argomentazioni poste a sostegno della decisione impugnata non si pongono in contrasto con il principio di diritto innanzi richiamato, dal momento che, a fronte della mancata presentazione della dichiarazione dei redditi da parte dell’Associazione sportiva, i giudici di appello hanno ritenuto del tutto corretta la rideterminazione induttiva dei ricavi operata dall’Amministrazione finanziaria, ottenuta considerando il valore medio dei ricavi accertati negli anni d’imposta 2006 e 2007, in mancanza di prova dell’esistenza di costi relativi all’attività commerciale, non fornita dalle parti contribuenti sulle quali gravava il relativo onere, e della assenza di riscontri che potessero supportare l’assunto della perdita dell’archivio contabile in occasione dei lavori di demolizione eseguiti nella struttura.

La sentenza non incorre, pertanto, nelle violazioni denunciate con il mezzo in esame.

12. Anche il terzo motivo va disatteso.

12.1. La Commissione regionale ha ritenuto provata la partecipazione dei ricorrenti nelle vicende operative dell’Associazione sportiva non riconosciuta e, quindi, sussistente una responsabilità degli odierni ricorrenti quali legali rappresentanti di fatto; in difetto di prova contraria, non offerta dai ricorrenti, l’apprezzamento in fatto svolto dai giudici regionali, non censurato sotto il profilo motivazionale, non può essere rimesso in discussione in questa sede, non essendo ravvisabile la denunciata violazione dell’art. 2697 c.c., che è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., sez. 3, 29/05/2018, n. 13395).

12.2. Peraltro, le censure svolte, anche laddove si assume una presunta violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., sono sostanzialmente volte a sollecitare una diversa ricostruzione fattuale rispetto a quella operata dalla C.T.R., non consentita in questa sede. Occorre, sul punto, rammentare che la censura in ordine al corretto utilizzo del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve far emergere l’assoluta illogicità o contraddittorietà del ragionamento decisorio (Cass., sez. 1, 26/02/2020, n. 5279), sicchè, sotto tale profilo, la doglianza in esame è inammissibile perchè si risolve in una valutazione alternativa degli indizi e del materiale probatorio, in assenza di specifiche deduzioni circa fatti di cui sia stato omesso l’esame e che valgano ad evidenziare l’irrazionalità delle valutazioni espresse nella sentenza impugnata.

13. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.

Nulla deve disporsi in merito alle spese del giudizio di legittimità in assenza di attività difensiva della Agenzia delle entrate.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2021


OK del Garante Privacy alla piattaforma digitale per la notifica degli atti

Parere favorevole del Garante per la privacy sullo schema di decreto che regola il funzionamento della piattaforma per la notificazione degli atti della pubblica amministrazione a cittadini e imprese. Il nuovo sistema, sviluppato per rendere più efficienti ed economiche le comunicazioni aventi valore legale, dovrà comunque garantire la riservatezza dei documenti e la privacy delle persone coinvolte.

In base alla bozza di Dpcm, predisposto dal Ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale, le pubbliche amministrazioni potranno avvalersi di un’unica piattaforma, gestita da PagoPa, attraverso la quale contattare i soggetti interessati su tre tipologie di domicilio digitale, ovvero indirizzi Pec appositamente individuati. Sono state previste anche modalità alternative di notifica e di accesso alla documentazione per garantire il servizio anche ai cittadini, magari quelli più anziani, che non dispongono ancora di un indirizzo Pec oppure di un’identità digitale Spid o della Cie (Carta di identità elettronica), necessarie per accedere alla piattaforma.

Nel corso delle interlocuzioni con il Garante, sono state individuate varie misure per rafforzare la protezione dei dati dei cittadini. Sono stati innanzitutto definiti i ruoli dei diversi soggetti coinvolti nella gestione della piattaforma e stabilite procedure affinché comunicazioni private non vengano recapitate ad un domicilio digitale di lavoro ed eventualmente lette da collaboratori d’ufficio.

Particolari tutele sono state previste nel caso in cui l’interessato, destinatario degli atti, abbia deciso di delegare un altro soggetto – ad esempio un parente, un Caf o un commercialista – a scaricare per lui la documentazione, al fine di evitare accessi non autorizzati effettuati anche in tempi successivi alla delega.

Poiché il trattamento dei dati effettuato per la notifica di atti con la nuova piattaforma digitale presenta rischi elevati per i diritti e le libertà degli interessati, PagoPa dovrà sottoporre al Garante, prima di avviare il servizio, una valutazione d’impatto sulla protezione dei dati che individui anche le misure tecniche e organizzative di dettaglio necessarie ad assicurare la sicurezza e la correttezza del trattamento.


Le modifiche del codice della strada e di altre norme sulla circolazione stradale

Modifiche delle norme del codice della strada e di altre norme sulla circolazione stradale previste dalla Legge di conversione del decreto legge n° 121 del 10/09/2021

Modifiche all’applicazione dell’art. 213 del Codice della Strada

… la medesima comunicazione reca altresì l’avviso che, se l’avente diritto non assumerà la custodia del veicolo nei successivi cinque giorni, previo pagamento dei relativi oneri di recupero e custodia, il veicolo sarà alienato anche ai soli fini della sua rottamazione.

… Nel caso di veicoli sequestrati in assenza dell’autore della violazione, per i quali non sia stato possibile rintracciare contestualmente il proprietario o altro obbligato in solido, e affidati a uno dei soggetti di cui all’articolo 214-bis, il verbale di contestazione, unitamente a quello di sequestro recante l’avviso ad assumerne la custodia, è notificato senza ritardo dall’organo di polizia che ha eseguito il sequestro. Contestualmente, il medesimo organo di polizia provvede altresì a dare comunicazione del deposito del veicolo presso il soggetto di cui all’articolo 214-bis mediante pubblicazione di apposito avviso nell’albo pretorio del comune ove è avvenuto l’accertamento della violazione. Qualora, per comprovate difficoltà oggettive, non sia stato possibile eseguire la notifica e il veicolo risulti ancora affidato a uno dei soggetti di cui all’articolo 214-bis, la notifica si ha per eseguita nel trentesimo giorno successivo a quello di pubblicazione della comunicazione di deposito del veicolo nell’albo pretorio del comune ove è avvenuto l’accertamento della violazione.

Leggi: STRALCIO Modifiche CdS (nov 2021)