Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 30/04/2024) 06/06/2024, n. 15799

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente

Dott. HMELJAK Tania – Consigliere

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere

Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere – Rel.

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2159/2016 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (Omissis) che lo rappresenta e difende

– ricorrente –

contro

RADIO RESETTI Snc DI A.A. E C. , A.A. , B.B. , tutti elettivamente domiciliati in ROMA VIA COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato TRICERRI LAURA (Omissis) rappresentati e difesi dall’avvocato DISO CORRADO (Omissis)

– controricorrente –

nonchè contro

A.A. , RADIO RESETTI DI A.A. & C Snc

– intimati –

avverso SENTENZA di COMM. TRIB. REG. del FRIULI VENEZIA GIULIA n. 231/2015 depositata il 17/06/2015.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/04/2024 dal Consigliere SALVATORE LEUZZI.

Svolgimento del processo

Con riferimento agli anni di imposta 2005-2010 venivano notificati alla società di persone plurimi avvisi di accertamento del reddito prodotto dall’ente nelle annualità di riferimento, pur a fronte della reiterata, omessa dichiarazione reddituale. Con correlati atti impositivi veniva accertato il reddito di partecipazione imputabile ai soci A.A. e B.B..

I molteplici atti venivano impugnati separatamente. La CTP di Trieste, riuniti i ricorsi, li accoglieva, in parte ridimensionando, nel complesso, la pretesa fiscale; applicava, inoltre, all’insieme degli atti accertativi il cumulo giuridico finalizzato alla quantificazione delle sanzioni.

L’appello erariale veniva rigettato.

Il ricorso per cassazione dell’Agenzia delle entrate, imperniato unicamente sui limiti di applicabilità del cumulo giuridico connesso alle sanzioni irrogabili, è affidato ad un solo motivo. Resistono con controricorso la società di persone e i due soci.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo di ricorso si adduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 6, D.Lgs. n. 472 del 1997, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. , per avere la CTR affermato l’applicabilità del meccanismo del cumulo giuridico al complesso delle contestate violazioni, ancorché, in ragione della notifica degli atti impositivi relativi al 2005, già in data 12 febbraio 2010, venisse in apice un evento interruttivo, suscettibile di escludere l’operatività del cumulo in parola.

Il ricorso è fondato e va accolto.

Nel caso che occupa gli avvisi di accertamento afferenti all’annualità 2005 venivano notificati il 12 febbraio 2010. A fronte di tale dato incontroverso, veniva in evidenza la prerogativa per i contribuenti di non reiterare oltre il comportamento già stigmatizzato, curandosi per converso di depositare, nei termini previsti, le dichiarazioni reddituali relative – rispettivamente – al 2009 e al 2010.

Questa Corte ha di recente affermato che “In tema di sanzioni tributarie, l’istituto della continuazione – il cui riconoscimento è collegato all’oggettivo perpetrarsi dell’illecito tributario in periodi d’imposta diversi – si arresta in caso di cd. interruzione che si realizza, ex art. 12, comma 6, D.Lgs. n. 472 del 1997, per effetto della contestazione della violazione che fissa il punto di arresto per il riconoscimento del beneficio, senza che rilevi la sua definitività e inoppugnabilità o la sua mancata impugnazione; pertanto, ciò che si pone a monte dell’atto, se della stessa indole, deve essere unito ai fini della determinazione della sanzione, mentre ciò che invece si pone a valle, resta escluso dal cumulo giuridico, salvo riconoscersi, ove plurime siano le violazioni anche da questo lato, una autonoma e rinnovata applicazione del medesimo istituto di favore” (Cass. n. 16017 del 2021).

Nella vicenda in esame, trattandosi di più violazioni della stessa indole reiterate in diversi anni d’imposta, ossia l’omessa dichiarazione della dichiarazione fiscale annuale, viene in rilievo l’istituto regolato dall’art. 12, comma 5, D.Lgs. n. 472 del 1997 (“Quando violazioni della stessa indole vengono commesse in periodi di imposta diversi …”).

La continuazione, in quanto tale (come, del resto, il cumulo giuridico previsto dai primi due commi per il concorso formale e materiale e per la progressione), integra un meccanismo di favor per il contribuente mirato ad evitare che la reiterazione dell’illecito porti ad una sanzione complessiva eccessivamente onerosa. Il beneficio, peraltro, si arresta ove si verifichi la cd. interruzione che si realizza, ai sensi dell’art. 12, comma 6, D.Lgs. n. 472 del 1997, per effetto della constatazione della violazione (“Il concorso e la continuazione sono interrotti dalla constatazione della violazione”).

Si tratta, invero, di disciplina propria dell’illecito tributario ed estranea all’ambito penale, per il quale, invece, non ha rilievo se l’illecito sia stato o meno contestato ovvero, anche, se la pregressa contestazione si sia già tradotta in una decisione sfavorevole per l’imputato. Come già osservato da questa Corte (v. Cass. n. 11612 del 16/06/2020 in motivazione), del resto, “questa differenza si fonda sulla circostanza che, mentre in sede penale la continuazione è correlata alla sussistenza dell’elemento soggettivo del medesimo 3 disegno criminoso, in ambito tributario detto elemento non emerge, essendo essa collegata, piuttosto, all’oggettivo perpetrarsi dell’illecito” sicché, per determinare l’istante finale terminativo della continuazione, “occorre individuare un ulteriore momento, oggettivamente individuabile, rappresentato dalla constatazione dell’infrazione” da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Ne deriva che la constatazione dell’illecito costituisce il punto di arresto per il riconoscimento della continuazione: tutto ciò che si pone a monte di tale atto (se della stessa indole) deve essere unito ai fini della determinazione della sanzione; ciò che, invece, è a valle resta escluso dal cumulo giuridico, salvo riconoscere, ove plurime siano le violazioni anche da questo lato, una autonoma e rinnovata applicazione del medesimo istituto (v. Cass. n. 11612/2020 cit.).

È, inoltre, privo di rilievo che la precedente constatazione (anche quando si sia tradotta direttamente in un avviso) sia divenuta definitiva e inoppugnabile o non sia stata oggetto di impugnazione.

Nella vicenda in giudizio, la CTR ha ritenuto applicabile la continuazione anche con riguardo alla contestazione di violazione della stessa indole nei confronti dell’ente e dei due soci per tutte le annualità dal 2005 al 2010, sebbene la sanzione irrogata per l’anno 2005 dovesse essere cumulata, secondo il regime della continuazione, rispetto a quelle irrogate per gli anni successivi fino al 2008, ma non anche per quelle del 2009 e del 2010, rispetto alle quali si era verificato l’evento interruttivo rappresentato dalla notifica degli atti impositivi inerenti l’annualità 2005.

In accoglimento del ricorso, pertanto, la sentenza va cassata con rinvio, anche per le spese, alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Friuli Venezia Giulia, che provvederà alla rideterminazione delle sanzioni con applicazione della continuazione con riguardo alle annualità 2005, 2006, 2007 e 2008, nonché, con separata determinazione, per le annualità 2009 e 2010.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata. Rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado del Friuli Venezia Giulia in diversa composizione.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 30 aprile 2024.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2024.


Tributi locali: il dies a quo si conteggia l’anno di omissione del tributo

Nel caso in cui il contribuente presenti la dichiarazione IMU e non versi l’imposta dovuta, la Corte Suprema di Cassazione chiarisce che è l’anno successivo a quello oggetto di accertamento il primo dei cinque anni previsti per la notifica.

In tema di IMU, nel caso in cui il contribuente presenti la dichiarazione e ometta il versamento dell’imposta, il primo dei cinque anni previsti per la notifica dell’avviso di accertamento è quello successivo a quello oggetto di accertamento e nel corso del quale il maggior tributo avrebbe dovuto essere pagato.

Questo il principio contenuto nella Sentenza n. 14519 del 2024 emessa dalla Corte Suprema di Cassazione.

L’impugnazione davanti ai giudici di legittimità è conseguente al ricorso proposto da una società avverso la sentenza della CTR, di rigetto del ricorso proposto avverso un avviso di accertamento IMU emesso dal Comune.

In particolare la CTR ha respinto l’appello del contribuente ritenendo tempestivamente emesso e notificato l’avviso di accertamento impugnato, ai sensi dell’art. 1, comma 161, della L. 296/2006 che fissa il termine nel quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione (o il versamento) sono stati o avrebbero dovuti essere effettuati, evidenziando che, nel caso di specie, il termine quinquennale risultava rispettato avendo il Comune spedito l’atto in contestazione prima del termine ultimo di decadenza.

La società ha lamentato violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della L. 296/2006 e dell’art. 60 comma 6 D.P.R. 600/1973 per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente rigettato l’eccezione di prescrizione sollevata dalla Società ricorrente sulla base di norme giuridiche e principi interpretativi relativi all’istituto della decadenza, in violazione delle disposizioni sulla prescrizione e di quelle relative all’imposta in contestazione.

La Corte Suprema di Cassazione ha ritenuto fondato il motivo di ricorso proposto dalla società e ha cassato la sentenza impugnata. Decidendo nel merito hanno accolto il ricorso introduttivo della contribuente, compensando tra le parti le spese processuali dei gradi di merito.

La fonte normativa di riferimento è l’art. 1, comma 161, della Legge 27 dicembre 2006 n. 296 che prevede: “gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonché all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati”.

La citata norma fissa la regola comune per cui tutti gli avvisi di accertamento devono essere notificati al contribuente in un unico termine, previsto a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati. Per delimitare dal punto di vista temporale l’esercizio del potere impositivo è necessario distinguere due diversi dies a quo dai quali iniziare il computo del termine di decadenza previsto per i tributi locali.

Nel caso in cui il contribuente presenti una dichiarazione ed ometta il versamento, per individuare il dies a quo deve farsi riferimento al termine entro il quale il tributo avrebbe dovuto essere pagato, ed a tal proposito, per quanto riguarda l’IMU, si rileva che il tributo doveva essere versato per l’annualità oggetto di controllo (2013) in due rate, la prima entro il 17 giugno e la seconda entro il 16 dicembre.

Nel caso in cui il contribuente abbia invece omesso la presentazione della dichiarazione, per individuare il dies a quo deve, invece, farsi riferimento al termine entro il quale egli avrebbe dovuto presentarla.

Pertanto, nel caso di dichiarazione presentata ed omesso versamento, il primo dei cinque anni previsti dall’art. 1, comma 161, della Legge 27 dicembre 2006 n. 296, è quello successivo a quello oggetto di accertamento e nel corso del quale il maggior tributo avrebbe dovuto essere pagato; nel secondo caso, in cui la dichiarazione non è stata presentata, il Comune ha un termine più ampio per effettuare l’accertamento del tributo.

Nel caso in esame, nel quale la dichiarazione era stata presentata, il primo dei cinque anni previsti dalla norma era, come si è detto, quello successivo all’anno oggetto di accertamento e nel corso del quale il maggior tributo avrebbe dovuto essere pagato, e dunque per l’anno 2013, il primo anno dei cinque previsti per la decadenza dal potere impositivo è il 2014, con la conseguenza che il termine per la notifica dell’avviso di accertamento da parte dell’Ente impositore scadeva il 31 dicembre 2018.

Essendo stata effettuata la notifica in data 10 gennaio 2019 risulta violato il termine decadenziale previsto dalla norma con conseguente accoglimento del ricorso originariamente proposto dalla società.


Modulistica anno 2024

Modulistica aggiornata con le modifiche apportate dalla Giurisprudenza e dalla normativa vigente

Scarica: MODULISTICA 2024


Notificazione di un atto a mezzo posta certificata

L’obbligo di utilizzo di un indirizzo presente nei pubblici registri può essere riferito solo al destinatario della notifica e non al notificante, in relazione al quale è previsto unicamente l’utilizzo di un indirizzo di pec risultante da pubblici elenchi. Pertanto, la norma speciale prevista per le notifiche in ambito tributario degli atti dell’agente della riscossione differisce dalla previsione generale di cui all’art. 3-bis L. 53/1994 solo con riferimento al soggetto che riceve notificazione (Cass. n. 18684/2023). La Corte Suprema di Cassazione ha recentemente affermato che laddove l’agente della riscossione abbia effettuato la notifica per mezzo di un indirizzo pec non risultante nei pubblici registri (RegInde, Ini-Pec e Ipa) non si verifica alcuna nullità della notifica. Si tiene conto del rispetto dei canoni di leale collaborazione e buona fede che informano il rapporto fra amministrazione contribuente, di conseguenza, poiché l’estraneità dell’indirizzo del mittente dal pubblico registro non inficia ex se la presunzione di riferibilità della notifica al soggetto da cui essa risulta provenire, testualmente ricavabile dall’indirizzo del mittente, occorre che la parte contribuente evidenzi i pregiudizi sostanziali al diritto di difesa dipesi dalla ricezione della notifica della cartella di pagamento da un indirizzo diverso da quello presente in pubblico registro, nel quale però, è evidente Ictu oculi la provenienza (Cass. n. 982/2023; Cass. n. 18867/2023; Cass. n. 15979/2022).

Sentenza del 27/03/2024 n. 203 – Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo Sezione/Collegio 2

  1. L’Agenzia delle entrate-Riscossione notificava a D. T. 2 cartelle di pagamento, la n. xxx e la n. xxx, oltre all’intimazione di pagamento n. xxx ed all’atto di pignoramento dei crediti verso terzi n. xxx/2019, del 13 gennaio 2020. Il contribuente in data 1° aprile 2021 chiedeva all’Agenzia delle entrate Riscossione l’eventuale pendenza di iscrizioni e suoi confronti e gli venivano comunicati l’estratto di ruolo n. xxx del 26 agosto 2015 e l’estratto di ruolo n. xxx del 14 settembre 2016, portati dalle 2 cartelle sopra menzionate.
  2. Il contribuente presentava ricorso dinanzi alla Corte di giustizia tributaria di primo grado dell’Aquila deducendo che in data 8 aprile 2021, a seguito di formale istanza di accesso agli atti, aveva ricevuto la documentazione di cui all’oggetto del ricorso e che la documentazione ottenuta era riconducibile a 2 cartelle: n. xxx di euro 37.338,38, apparentemente notificata il 12 dicembre 2018 e la n. xxx per euro 31.079,79, apparentemente notificata il 12 dicembre 2018, oltre alla intimazione di pagamento n. xxx per euro 360,86 apparentemente notificata il 24 gennaio 2018. Il T. deduceva di non avere mai ricevuto la notifica di alcuna delle originarie cartelle di pagamento sopra menzionate e chiedeva esplicitamente il disconoscimento sia dell’esatto contenuto che delle pretese esposte, chiedendo esplicitamente l’esibizione degli esemplari in originale cartaceo. In realtà, l’ufficio aveva precisato che la cartella di pagamento xxx era stata notificata il 12 febbraio 2018 tramite PEC dal all’indirizzo noreply.abruzzo.ipol@agenziariscossione, la n. xxx era stata notificata il 12 febbraio 2018 tramite PEC dal indirizzo noreply.abruzzo.ipol@pec.agenziariscossione.gav.it , e intimazione di pagamento n. xxx era stata notificata in data 9 luglio 2019 da un diverso indirizzo cioè notifica.acc.abruzzo@prc.agenziariscossione , mentre l’atto di pignoramento dei crediti verso terzi n. xxx/2019 era stato notificato il 18 dicembre 2019 dato indirizzo abr.area.territoriale.pe.ch@pec.agnziariscossione.gov.it. Tali notifiche erano, dunque, avvenute con l’utilizzo di un indirizzo pec diverso da quello contenuto nei pubblici registri, sicché ciò rendeva inesistente e priva di ogni effetto giuridico la notifica. Erano stati utilizzati, infatti, ben 3 indirizzi di posta elettronica certificata “inspiegabilmente l’uno diverso dall’altro”. L’unico indirizzo di posta elettronica certificata dall’Agenzia delle entrate-riscossioni, ufficiale e istituzionale, era quello registrato in IPA, cioè protocollo@pec.agenziariscossione.gov.it. Pertanto, il contribuente disconosceva espressamente tutta la documentazione che non sarebbe stata mai ricevuta dallo stesso. Chiedeva che fosse messa a disposizione la copia integrale originale o quella sostitutiva.
  3. La Corte di giustizia tributaria di primo grado dell’Aquila rigettava il ricorso evidenziando che, in realtà, le notificazioni a mezzo pec erano state effettuate da indirizzi diversi, ma tutti riconducibili all’Agenzia delle entrate-Riscossione, tanto che gli indirizzi di posta elettronica utilizzabili recavano tutti l’intestazione “agenziariscossione” consentendo dunque la riconducibilità al mittente ed al destinatario, nonché l’identificazione del documento trasmesso. Le copie degli attestati di consegna alla casella di posta elettronica del destinatario, depositata in atti, provavano la regolare notifica avvenuta a mezzo pec. Non vi era alcuna inesistenza o nullità della notifica, in quanto la normativa ammetteva la possibilità di avere più indirizzi di posta elettronica. Il contribuente, poi, aveva dichiarato di disconoscere le cartelle, perché in mancanza degli originali vi era incertezza nel contenuto, tuttavia, le cartelle erano state tutte regolarmente notificate via pec, per cui il disconoscimento poteva essere ammesso solo in caso di espressa dichiarazione ed evidenziando le differenze riscontrate tra le copie e gli atti decapitati. Quanto alle imposte, il contribuente si era reso cessionario del ramo d’azienda, sicché era solitamente responsabile per le imposte relativi alle annualità 2012 e 2013, in quanto la cessione era avvenuta nel 2014. Vi era stata anche l’escussione, tramite procedura esecutiva, del cedente, senza trovare piena soddisfazione.
  4. Avverso tale sentenza il contribuente proponeva appello.
  5. Resisteva con controdeduzioni l’Agenzia delle entrate-Riscossione.
  6. La Corte di giustizia tributaria di 2º grado dell’Aquila tratteneva la causa in decisione all’udienza del 20 marzo 2024, provvedendo successivamente al deposito della motivazione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Anzitutto, va rigettata l’eccezione di nullità della procura (reputata generale e non speciale) dell’Agenzia delle entrate-Riscossione sollevata dalla difesa del T. Infatti, trattasi di procura speciale rilasciata dal Presidente dell’Agenzia delle entrate, dott. A. M., in favore dei dirigenti e dei quadri direttivi dipendenti dell’Agenzia, con allegata la dichiarazione del Direttore responsabile delle risorse umane in data 27 dicembre 2018, per cui «il Signor D. Z. E. […] è attualmente dipendente dell’Agenzia delle entrate-Riscossione con inquadramento nella categoria dei Quadri Direttivi». Tale procura speciale è stata inserita nella “busta telematica” del fascicolo telematico, sicché viene a fare “corpo” con l’atto di costituzione dell’Agenzia delle entrate-Riscossione, pure depositato nella “busta” telematica, che si riferisce proprio alla controversia con D. T. Del resto, anche dal dato topografico, emerge che nella comparsa di costituzione dell’Agenzia delle entrate-Riscossione, la procura speciale è richiamata proprio con riferimento alla controversia con D. T., con l’espressa indicazione del numero di Registro generale (RG), ossia 383/2023. Insomma, vi è la piena riferibilità della procura speciale alla causa in oggetto.

  1. Con un unico complesso motivo proponeva appello il contribuente, contestando singoli stralci della decisione del giudice di prime cure. In particolare, si soffermava sulla circostanza, affermata in sentenza, che il ricorrente non aveva specificato “il perché e il per come ha fatto richiesta di accesso agli atti e senza specificare a quali atti” (pagina 4).
  2. Contestava, poi, la parte della decisione in cui il tribunale aveva affermato che la notifica era stata effettuata tramite indirizzi di posta elettronica certificata diversi da quello ufficiale, ciò non comportava l’inesistenza o nullità della notifica dato che la normativa ammetteva la possibilità di avere più indirizzi di posta elettronica. Per l’appellante non si comprendeva come il primo giudice si fosse convinto della originalità e dell’autenticità dell’indirizzo di posta elettronica riconducibile all’Agenzia delle entrate riscossione sulla base di poche ed ininfluenti caratteristiche evidenziate motivazione (pagina 7 e 8 dell’atto d’appello)
  3. In altra parte del gravame l’appellante afferma che la Corte di giustizia avrebbe erroneamente affermato che “non sono state effettuate le consultazione di verifica”. Al contrario, il contribuente aveva verificato che gli indirizzi utilizzati dall’Agenzia delle entrate-Riscossione non erano ricompresi tra quelli inseriti nei pubblici registri INIPEC-IPA.
  4. Ancora, a pagina 11 dell’appello, evidenzia che erroneamente la Corte di giustizia di primo grado avrebbe affermato che “l’irritualità della notificazione di un atto a mezzo posta elettronica certificata non comporta la nullità se la consegna telematica […] ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale “. In realtà, nella specie, la consegna telematica non aveva in alcun modo prodotto il risultato della conoscenza dell’atto.
  5. A pagina 13 dell’appello si contesta anche l’affermazione della Corte di giustizia di primo grado, la quale aveva ritenuto che “il ricorrente dichiara di disconoscere le cartelle, perché in mancanza degli originali vi è incertezza nel contenuto. Anche questa eccezione deve ritenersi infondata, in quanto le cartelle, come abbiamo visto sono state regolarmente notificate, per cui il disconoscimento può essere ammesso solo in caso di espressa dichiarazione, ed evidenziando le differenze riscontrate tra le copie degli atti decapitati”. In realtà il contribuente aveva ripetutamente lamentato di non aver ricevuto né tempestivamente né ritualmente documentazione.
  6. L’appellante si spinge poi ad esplicitare un “prima riflessione” ed una “2ª riflessione”, evidenziando che il concessionario, ai sensi dell’art. 26, comma 5, del d.p.r. n. 602 del 1973, ha l’obbligo di conservare la copia della cartella di pagamento. Inoltre, anche se l’Agenzia delle entrate-Riscossione ha ritenuto che non fosse più possibile consegnare materialmente gli originali delle cartelle di pagamento in quanto erano stati utilizzati per le notifiche, si tratterebbe di una affermazione erronea in quanto occorre verificare le caratteristiche tecniche.
  7. Quanto al merito, gli importi non erano dovuti, in quanto il ruolo originario era riconducibile al nominativo di altro soggetto. Tra l’altro l’Agenzia delle entrate Riscossione non aveva inteso effettuare la chiamata in causa della Agenzia delle entrate. I debiti non in arrivano al ramo di azienda ceduto.
  8. Il motivo, complessivamente articolato, deve essere rigettato.

8.1. Infatti, è pacifico che l’Agenzia delle entrate-Riscossione ha notificato ritualmente a D. T. le due cartelle di pagamento, la n. xxx e la n. xxx, oltre all’intimazione di pagamento n. xxx ed all’atto di pignoramento dei crediti verso terzi n. xxx del 2019, del 13 gennaio 2020. Sono stati prodotti in atti tutti i documenti attestanti l’avvenuta notifica. L’ufficio ha precisato che la cartella di pagamento xxx era stata notificata il 12 febbraio 2018 tramite PEC dal all’indirizzo, la n. xxx era stata notificata il 12 febbraio 2018 tramite PEC dall’indirizzo noreply.abruzzo.ipol@pec.agenziariscossione.gav.it, e l’intimazione di pagamento n. xxx era stata notificata in data 9 luglio 2019 da un diverso indirizzo cioè notifica.acc.abruzzo@prc.agenziariscossione, mentre l’atto di pignoramento dei crediti verso terzi n. xxx/2019 era stato notificato il 18 dicembre 2019 dato indirizzo abr.area.territoriale.pe.ch@pec.agnziariscossione.gov.it

  1. Per la Corte Suprema di Cassazione l’obbligo di utilizzo di un indirizzo presente nel registro INI-PEC appare testualmente riferito solo al destinatario della notifica e non al notificante, in relazione al quale previsto unicamente l’utilizzo “di un indirizzo di posta elettronica certificata […] risultante da pubblici elenchi”. Pertanto, la norma speciale prevista per le notifiche in ambito tributario degli atti dell’agente della riscossione differisce dalla previsione generale di cui al citato art. 3-bis della legge n. 53 del 1994 solo con riferimento al soggetto che riceve notificazione (Cass., sez. 5, 3 luglio 2023, n. 18684). Le prescrizioni che ineriscono all’indirizzo del mittente non vanno, infatti, assoggettate alle stesse regole previste per il destinatario dell’atto, con riguardo al quale va fatta applicazione della disciplina propria delle elezioni domicilio, cui deve essere equiparato l’indirizzo di PEC inserito, diversamente da quanto accade per il mittente. Del resto, la Corte Suprema di Cassazione ha recentemente affermato che laddove l’agente della riscossione abbia effettuato la notifica per mezzo di un indirizzo pec non risultante nei pubblici registri (RegInde, Ini-Pec e Ipa) non si verifica alcuna nullità della notifica. Viene infatti rilievo, in questo caso, il rispetto dei canoni di leale collaborazione e buona fede che informano il rapporto fra amministrazione contribuente; di conseguenza, poiché l’estraneità dell’indirizzo del mittente dal registro Ini-Pec non inficia ex se la presunzione di riferibilità della notifica al soggetto da cui essa risulta provenire, testualmente ricavabile dall’indirizzo del mittente, occorre che la parte contribuente evidenzia i quali pregiudizi sostanziali al diritto di difesa sono dipesi dalla ricezione della notifica della cartella di pagamento da un indirizzo diverso da quello telematico presente in tale registro, nel quale però, come nella specie, si è evidente Ictu oculi la provenienza (Cass. n. 982 del 2023; Cass., sez. 5, 4 luglio 2023, n. 18867; Cass. sez. un., n. 18 maggio 2022, n. 15979). Pertanto, avendo ritualmente ricevuto il contribuente la notifica, non solo delle 2 cartelle di pagamento, ma anche della successiva intimazione di pagamento e persino l’atto di pignoramento presso terzi, tutti atti che non sono stati oggetto di tempestiva impugnazione, non poteva certo poi il contribuente impugnare gli estratti di ruolo in via diretta.
  2. Solo a titolo di chiarimento, si precisa che, in tema di riscossione coattiva delle entrate pubbliche (anche extratributarie) mediante ruolo, l’art. 12, comma 4 bis, del d.P.R. n. 602 del 1973 (introdotto dall’art. 3 bis del d.l. n. 146 del 2021, come convertito dalla l. n. 215 del 2021 ) trova applicazione nei processi pendenti, poiché specifica, concretizzandolo, l’interesse alla tutela immediata rispetto al ruolo e alla cartella non notificata o invalidamente notificata; sono manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale della predetta norma, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 104, 113 e 117 Cost., quest’ultimo con riguardo all’art. 6 della CEDU e all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 della Convenzione (Cass., Sez. U., 6 settembre 2023, n. 26283 ). Successivamente, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 190 del 2023, ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 4-bis, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 , che consentendo di impugnare direttamente la cartella che si assume invalidamente notificata (di cui si sia venuti a conoscenza tramite la consultazione dell’estratto di ruolo), solo per alcune fattispecie attinenti a rapporti con la pubblica amministrazione, il legislatore, pur nell’intenzione di limitare una grave proliferazione di ricorsi spesso strumentali, ha però inciso sull’ampiezza della tutela giurisdizionale.
  3. Ovviamente, tutti i vizi relativi agli atti presupposti, regolarmente notificati, non possono essere più dedotti in relazione agli atti successivi, possono essere impugnati solo per vizi propri.
  4. Tra l’altro, il disconoscimento dei documenti risulta meramente apparente, non indicando il contribuente quali siano le effettive difformità tra originale e copia dell’atto.
  5. L’art. 26, comma 5, del d.p.r. n. 602 del 1973, stabilisce, poi, che “il concessionario deve conservare per 5 anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento ed ha l’obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell’amministrazione “. La cartella di pagamento, infatti, viene notificata, ai sensi degli articoli 60 del d.p.r. n. 600 del 1009 la 73 e 26 del d.p.r. n. 602 del 1973, in un unico esemplare, che viene consegnato al debitore. L’unico originale esistente, dunque, è stato notificato al contribuente.

13.1. Senza contare che le cartelle di pagamento oggetto del ricorso sono stati oggetto di istanza di rateazione trasmessa dal contribuente il 6 febbraio 2020. Il piano rateale è stato oggetto di pagamenti effettuati, titolo parziale, per entrambe le cartelle impugnate, nelle date del 26/5/2020, 29/6/2020, 30/7/2020, 14/9/2020,30/10/2020 e 11/12/2020.

  1. Quanto al merito, peraltro, trattandosi di cessione d’azienda, vi è la responsabilità solidale dei debiti tributari sia del cedente (G. G. di R. N. s.a.s.) sia del cessionario (T. D.). L’Agenzia delle entrate-Riscossione a peraltro anche provveduto alla previa escussione del cedente.
  2. Le spese del giudizio d’appello vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico dell’appellante e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M. rigetta l’appello. Condanna l’appellante a rimborsare in favore dell’appellata Agenzia delle entrate-Riscossione le spese del giudizio di appello che si liquidano in complessivi euro 3.500,00, oltre accessori di legge.

Così deciso in L’Aquila, nella camera di consiglio del 20 marzo 2024


È valida la notifica della cartella all’erede del contribuente

L’art. 65 d.P.R. n. 600/1973 pone un’agevolazione a favore dell’ente impositore come conseguenza dell’omessa comunicazione del domicilio fiscale di ciascuno degli eredi
È valida la notifica della cartella esattoriale effettuata direttamente all’erede e non all’ultimo domicilio del de cuius.

Un contribuente ha impugnato un’intimazione di pagamento, relativa ad una cartella esattoriale facente capo al de cuius notificata, personalmente al ricorrente e non, invece, all’ultimo domicilio del de cuius.
La Commissione tributaria territoriale aveva dato ragione all’Agenzia delle Entrate, dichiarando inammissibile il ricorso, ritenendo corretta la notificazione della cartella di pagamento sottesa, in quanto effettuata al contribuente.
Successivamente, la Commissione Tributaria Regionale ha ribaltato la decisione espressa, accogliendo l’appello del ricorrente.
In particolare, il giudice di appello ha ritenuto che l’Ufficio abbia avuto conoscenza del decesso per effetto del deposito della dichiarazione di successione, per cui la notificazione si sarebbe dovuta effettuare collettivamente e impersonalmente agli eredi. Avverso tale sentenza, l’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione.
Ad avviso della Corte Suprema di Cassazione, nel caso di decesso di un contribuente, anche se gli eredi non hanno comunicato il proprio domicilio fiscale, ai sensi dell’art. 65 del d.P.R. n. 600 del 1973, è comunque valida la notifica dell’atto impositivo effettuata direttamente ad uno di essi, essendo la notificazione impersonale e collettiva agli eredi una mera facoltà dell’Ufficio, la cui mancanza non determina la nullità della notifica eseguita direttamente nei confronti di un erede.
Invero, la notificazione di una cartella contenente il debito iscritto a ruolo a carico del de cuius effettuata direttamente nei confronti di chi ha comunicato all’Amministrazione finanziaria di essere erede, non risulta meno irrispettosa del diritto di difesa rispetto alla notificazione della cartella eseguita presso l’ultimo domicilio del de cuius impersonalmente nei confronti degli eredi.
La Corte Suprema di Cassazione non ha perciò condiviso il precedente orientamento della giurisprudenza di legittimità che, a pena di nullità insanabile, prescriveva che la notifica degli atti impositivi o della riscossione, ove l’evento fosse stato noto all’Ufficio, dovesse essere effettuata, in assenza della comunicazione dall’art. 65 d.P.R. n. 600/1973, presso l’ultimo domicilio del de cuius collettivamente ed impersonalmente, oppure personalmente presso il domicilio degli eredi qualora gli stessi avessero effettuato tale incombente.
Pertanto la Corte Suprema di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate con sentenza 13 maggio 2024, n. 12964, e cassato la sentenza con rinvio alla Corte territoriale anche per la regolazione delle spese processuali.


Zoni Claudio ci ha lasciato


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 17/05/2024) 23/05/2024, n. 14435

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere Rel.

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere

Dott. PICARDI Francesca – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 12225/2020 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (Omissis) che ex lege la rappresenta e difende.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (già EQUITALIA CENTRO).

– intimata –

A.A., domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato SCIAMMARELLA PASQUALE (Omissis)

– resistente –

avverso SENTENZA di COMM. TRIB. REG. EMILIA-ROMAGNA n. 38/11/2019, depositata il 07/01/2020.

Udita la relazione svolta nella udienza pubblica del 17/05/2024 dal Consigliere Oronzo De Masi.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Stanislao De Matteis, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Uditi i difensori di entrambe le parti.

Svolgimento del processo
La Commissione Tributaria Provinciale di Ferrara accoglieva il ricorso del suindicato contribuente avverso la cartella di pagamento della maggiore imposta di registro, ipotecaria e catastale, nonché quella sostitutiva per l’atto di mutuo, per effetto della revoca dell’agevolazione “prima casa”, essendosi l’acquirente impegnato a trasferire la residenza entro il termine di diciotto mesi dall’acquisto dell’abitazione, come previsto dalla Nota II bis dell’art. 1, Tariffa, Parte Prima, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, in quanto gli avvisi di accertamento presupposti erano stati notificati oltre il termine di 30 giorni dalla variazione del domicilio fiscale, cioè al precedente indirizzo del contribuente, essendo applicabile l’art. 60, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973 (nel testo ratione temporis vigente nell’anno 2013) e, quindi, opponibile all’Amministrazione finanziaria l’intervenuta variazione del domicilio fiscale a Cento (FE).

La Commissione Tributaria Regionale della Emilia-Romagna respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, che aveva sostenuto la validità della notifica dell’atto prodromico effettuata al precedente domicilio fiscale di Paola (CS), essendo opponibile all’Ufficio la variazione dell’indirizzo anagrafico e del domicilio fiscale a Cento (FE), solamente decorso il termine di 60 giorni di cui l’art. 58 del D.P.R. n. 600 del 1973.

Osserva, invece, il giudice tributario di secondo grado che nessun rimprovero può muoversi al contribuente perché non aveva indicato nella sua ultima dichiarazione dei redditi (quella del 2012 anteriore alla notificazione dell’avviso di accertamento presupposto) un indirizzo difforme del suo domicilio fiscale, allora coincidente con la residenza anagrafica, ed aveva modificato il proprio indirizzo anagrafico il 2/1/2013, “prima di poterlo indicare nella successiva dichiarazione dei redditi dell’anno 2013.”

Secondo la CTR dell’Emilia-Romagna, quindi, trova applicazione l’art. 60, comma 3, D.P.R. n. 600 del 1973, nel testo ratione temporis vigente, il quale prevede che “Le variazioni e le modificazioni dell’indirizzo hanno effetto, ai fini delle notificazioni, dal trentesimo giorno successivo a quello dell’avvenuta variazione anagrafica o, per le persone giuridiche (…)” e non invece il più lungo termine di 60 giorni, previsto dall’art. 58, ultimo coma, D.P.R. n. 600 del 1973, per rendere opponibili i cambi di domicilio, donde la invalidità della notificazione nel vecchio indirizzo anziché in quello nuovo, già opponibile all’Amministrazione finanziaria.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, affidato ad un unico motivo, mentre il contribuente ha depositato memoria di “costituzione di difensore a mezzo procura notarile” nonché, in prossimità dell’adunanza camerale del 3/11/2021, memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ.; la Corte sesta sezione tributaria reputando di particolare rilevanza la questione di diritto controversa, con ordinanza interlocutoria ha rinviato la causa a nuovo ruolo, per trattazione in pubblica udienza, davanti alla quinta sezione tributaria, in ragione di quanto previsto dall’art. 380-bis, comma terzo, cod. proc. civ. (Cass. n. 29910/2018; n. 5851/2020).

Motivi della decisione
Con il motivo di ricorso, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., l’Agenzia delle Entrate denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 58 e 60 del D.P.R. n. 600 del 1973, in quanto, al caso di specie, deve trovare applicazione l’art. 58 D.P.R. cit., secondo cui le variazioni del domicilio fiscale hanno effetto dal sessantesimo giorno successivo a quello in cui si sono verificate e non l’art. 60 dello stesso D.P.R., richiamato dal giudice di appello nel testo ratione temporis vigente, che si applica alle variazioni di indirizzo nello stesso Comune le quali non implicano alcuna variazione del domicilio fiscale.

Più precisamente, la ricorrente deduce che la CTR ha errato nel ritenere invalida la notifica dell’atto impositivo presupposto, effettuata nel precedente domicilio fiscale dello A.A., avendo il contribuente trasferito la propria residenza anagrafica dal Comune di P (CS) a quello di C (FE), a decorrere dal 2/1/2013, essendosi perfezionata la notifica dell’avviso di accertamento il 6/2/2013, ossia oltre i 30 giorni dall’intervenuta variazione della residenza anagrafica, ma entro il termine di gg. 60 di cui all’art. 58, D.P.R. n. 600 del 1973, periodo durante il quale non è opponibile all’Ufficio la variazione di domicilio fiscale connessa al trasferimento di residenza, essendo del tutto valida ed efficace la notificazione effettuata nel domicilio fiscale.

Va, anzitutto, disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione, perché tardivamente proposto in quanto, in tema di definizione agevolata delle liti fiscali, la sospensione del termine per impugnare, prevista dall’art. 6, comma 11, del D.L. n. 119 del 2018, conv. dalla L. n. 136 del 2018, opera automaticamente, a prescindere dal concreto intento della parte privata di avvalersene.

Pertanto, per la disposta sospensione, i termini d’impugnazione che, per effetto della disciplina ordinaria, venivano a scadere nel periodo compreso tra il 24 ottobre 2018 e il 31 luglio 2019, sono stati sospesi ope legis per nove mesi (v. Cass. n. 30397/2021, nonché, per fattispecie analoghe di sospensione, quantunque regolate da disposizioni diverse, Cass. n. 11913/2019 e Cass. n. 11531/2016).

Ciò detto, osserva il Collegio che il contribuente, nelle proprie difese, insiste nell’evidenziare che l’Agenzia delle entrate, quando ha notificato l’avviso di accertamento che ha preceduto la cartella di pagamento oggetto di causa, “era già legalmente e pienamente a conoscenza della nuova residenza del contribuente”, all’epoca studente universitario, in quanto l’atto espressamente riportava la circostanza che dai controlli effettuati era risultato che lo A.A. aveva “stabilito la residenza nel Comune di C ove è ubicato l’immobile acquistato con le agevolazioni prima casa in data 02/01/2013 e quindi in ritardo rispetto ai termini di legge (…)”, circostanza che aveva determinato la ragione della decadenza dalla agevolazione.

Secondo il contribuente, dunque, l’Ufficio non poteva invocare, al fine della ritualità della notificazione, l’inopponibilità della predetta circostanza fattuale, ad esso nota, non assumendo concreto rilievo il termine di 30 giorni o quello diverso di 60 giorni di cui agli artt. 60 e 58, D.P.R. n. 600 del 1973.

La tesi difensiva non appare condivisibile perché finisce per confondere la disciplina delle notificazioni con quella dell’agevolazione fiscale revocata al contribuente.

La notifica degli avvisi di accertamento deve essere eseguita, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. c), nel Comune del domicilio fiscale del contribuente, coincidente, nel caso di persona fisica, con il luogo della sua residenza anagrafica, ex art. 58, comma 2, del Decreto citato, per cui il domicilio fiscale è requisito indispensabile per la notifica degli atti tributari, che si realizza attraverso un procedimento diretto a comprovare la conoscenza legale dell’atto impositivo da parte del destinatario, con l’applicazione, in quanto consentita, delle norme del codice di procedura civile.

La disciplina delle notificazioni degli atti tributari, infatti, si fonda sul criterio del domicilio fiscale e sul correlato onere preventivo del contribuente di indicare il proprio domicilio all’Ufficio tributario, e di tenere detto ufficio costantemente informato delle sue eventuali variazioni, per cui, come questa Corte ha avuto occasione di affermare, “il mancato adempimento, originario o successivo, di tale onere di comunicazione legittima l’Ufficio procedente ad eseguire le notifiche nel domicilio fiscale per ultimo noto, eventualmente nella forma semplificata di cui alla lett. e) dell’art. 60, comma 1, D.P.R. n. 600 del 1973.” (Cass. n. 27129/2016, n. 1206/2011).

Stabilisce l’art. 58, ultimo comma, D.P.R. n. 600 del 1973, che “le cause di variazione del domicilio fiscale hanno effetto dal sessantesimo giorno successivo a quello in cui si sono verificate”.

Si ha variazione del domicilio fiscale, ai sensi del comma secondo del suddetto art. 58, quando il contribuente trasferisce la propria residenza anagrafica in altro Comune.

Nel caso di specie, peraltro, è lo stesso ricorrente a riferire di avere mutato residenza anagrafica il 2/1/2013 e che l’avviso di accertamento gli è stato notificato il 6/2/2013.

La notifica, dunque, è valida perché avvenuta nel termine di inopponibilità all’erario del mutamento del domicilio fiscale, in quanto i 60 giorni indicati dalla norma valgono a consentire all’Amministrazione di beneficiare, incondizionatamente, di un perimetro temporale adeguato ai fini dell’effettuazione della notifica di un atto al vecchio indirizzo del soggetto che ne è destinatario e che pure a comunicato all’anagrafe d’essersi trasferito.

Non appare pertinente il richiamo all’art. 60, comma terzo, D.P.R. n. 600 del 1973 (nel testo applicabile ratione temporis) in quanto tale norma, come noto, prevede che “le variazioni e le modificazioni dell’indirizzo non risultanti dalla dichiarazione annuale hanno effetto, ai fini delle notificazioni, dal trentesimo giorno successivo a quello dell’avvenuta variazione anagrafica” e la norma non può essere invocata per sostenere che l’inefficacia della notifica dell’avviso di accertamento.

L’art. 60, comma terzo, D.P.R. 600 del 1973 disciplina le variazioni dell’”indirizzo”, non quelle del “domicilio fiscale”.

La Corte (Cass. n. 23334/2017) che “i due concetti non coincidono: il domicilio fiscale è un luogo predeterminato dalla legge secondo criteri obiettivi (art. 58 D.P.R. 600/73); l’”indirizzo”, invece, è il luogo fisico presso il quale il contribuente può essere reperito, ma sempre nell’ambito del domicilio fiscale stabilito dalla legge (art. 60 D.P.R. 600/73). Gli effetti della variazione del domicilio fiscale sono stabiliti dall’art. 58 D.P.R. 600/73, il quale prevede un’ultrattività del precedente domicilio fiscale di 60 giorni; gli effetti della variazione dell’indirizzo nell’ambito del medesimo Comune di domicilio fiscale sono invece disciplinati dal successivo art. 60 D.P.R. 600/73, il quale prevede (in seguito all’intervento di Corte cost., 19-12-2003, n. 360) un’ultrattività del vecchio indirizzo di 30 giorni.”

La sentenza gravata va cassata senza rinvio perché va esclusa, nel caso di specie, la predicata possibilità di far valere, da parte del contribuente, l’irritualità della notifica dell’atto prodromico, unitamente alla impugnazione dell’atto successivamente notificato dall’Ufficio, ai sensi dell’art. 19, comma 3, D.Lgs. n. 546 del 1992, che prevede, appunto, la possibilità di far valere la mancanza di una valida notifica dell’atto precedente, del quale il contribuente sia comunque venuto legalmente a conoscenza (Cass. n. 27799/2018).

La consequenziale irretrattabilità del credito tributario posto in riscossione, e recato dalla cartella opposta, conduce alla cassazione della sentenza impugnata ed alla decisione della causa, senza necessità di istruttoria, con il rigetto dell’originario ricorso del contribuente.

Segue la condanna alle spese processuali del presente giudizio mentre la peculiarità della vicenda esaminata consiglia la compensazione di quelle dei gradi di merito.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso del contribuente che condanna al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 3.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Conclusione
Così deciso in Roma il 17 maggio 2024.

Depositata in Cancelleria 23 maggio 2024.


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 15/05/2024) 23/05/2024, n. 14519

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente

Dott. CANDIA Ugo – Consigliere

Dott. DI PISA Fabio – Consigliere

Dott. BILLI Stefania – Consigliere

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso n. 6651 – 2022 R.G. proposto da:

FOTI Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma presso lo studio dell’Avvocato PIETRO SAIJA, rappresentata e difesa dall’Avvocato Paolo Vermiglio giusta procura speciale allegata al ricorso

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MILAZZO, in persona del Sindaco pro tempore

– intimato –

avverso la sentenza n. 7099/2021 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della SICILIA, depositata il 3/8/2021;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/5/2024 dal Consigliere Relatore Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO

Svolgimento del processo
Foti Srl propone ricorso, affidato ad unico motivo, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale della Sicilia aveva respinto l’appello avverso la sentenza n. 1613/2020 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Messina in rigetto del ricorso proposti avverso avviso di accertamento IMU 2013 emesso dal Comune di Milazzo;

il Comune è rimasto intimato;

Motivi della decisione
1.1. con unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., “violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 1 L. 296/2006; all’art. 9 D.Lgs. 23/2011; all’art. 13 comma 12 – ter D.L. n. 201/2011; agli art.li 2935, 2943 e 2948 comma 4 cod. civ.; all’art. 60 comma 6 D.P.R. 600/1973” per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente “rigettato l’eccezione di prescrizione sollevata dalla Società ricorrente sulla base di norme giuridiche e principi interpretativi (la scissione degli effetti temporali della notifica) relativi all’istituto della decadenza, in violazione delle disposizioni sulla prescrizione e di quelle relative all’imposta in contestazione”;

1.2. la sentenza impugnata ha respinto l’appello del contribuente ritenendo tempestivamente emesso e notificato l’avviso di accertamento impugnato ai sensi dell’”art. 1, comma 161, della L. 296/2006 che fissa il termine nel quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione (o il versamento) sono stati o avrebbero dovuti essere effettuati”, evidenziando quanto segue: “… nel caso di specie il termine quinquennale risulta rispettato avendo il Comune spedito l’atto in contestazione prima del termine ultimo di decadenza. Legittimo certamente anche il ricorso alla notifica a mezzo del servizio postale (a nulla rilevando l’esistenza o meno di messi notificatori)”;

1.3. com’è noto, l’art. 1, comma 161, della Legge 27 dicembre 2006 n. 296 (c.d. legge finanziaria 2007) prevede quanto segue:”Gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonché all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati”;

1.4. con tale disposizione, il legislatore ha sostituito i termini stabiliti dagli artt. 10 e 11 del D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 e, più in generale, ha provveduto ad unificare per i tributi comunali e provinciali la disciplina relativa all’attività di accertamento, dettando disposizioni comuni sulla notifica degli atti di accertamento e di riscossione, sulla nomina dei messi notificatori e l’esercizio delle relative funzioni, sui requisiti essenziali degli atti di accertamento e, per quello che qui interessa, individuando i termini, a pena di decadenza, per la notifica degli atti di accertamento e del primo atto di riscossione;

1.5. in particolare, la suddetta norma subordina alla notifica di atto di accertamento, sia l’attività di rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli, o, anche, dei parziali o ritardati versamenti, sia l’attività svolta d’ufficio, in caso di omesse dichiarazioni o omessi versamenti, e tutti gli avvisi di accertamento devono essere notificati al contribuente in un unico termine, previsto a pena di decadenza, “entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati”;

1.6. secondo il più recente indirizzo di questa Corte (in particolare: Cass. 8 marzo 2019, n. 6842; Cass. 15 gennaio 2020, n. 554; Cass. 13 gennaio 2021, n. 352; Cass. 24 marzo 2021, nn. 8197 e 8199; Cass. 16 giugno 2021, nn. 17036 e 17037), per delimitare dal punto di vista temporale l’esercizio del potere impositivo è necessario distinguere due diversi dies a quo dai quali iniziare il computo del termine di decadenza previsto per i tributi locali;

1.7. nel caso in cui il contribuente presenti una dichiarazione ed ometta il versamento, per individuare il dies a quo deve farsi riferimento al termine entro il quale il tributo avrebbe dovuto essere pagato, ed a tal proposito, per quanto riguarda l’IMU, si rileva che il tributo doveva essere versato per l’annualità 2013 in due rate delle quali la prima, entro il 17 giugno e la seconda entro il 16 dicembre (art. 9, comma 3, del D.Lgs. 14 marzo 2011 n. 23);

1.8. nel caso in cui il contribuente abbia omesso la presentazione della dichiarazione, per individuare il dies a quo deve, invece, farsi riferimento al termine entro il quale egli avrebbe dovuto presentarla;

1.9. a questo proposito, ai fini IMU, i soggetti passivi “devono presentare la dichiarazione entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui il possesso degli immobili ha avuto inizio o sono intervenute variazioni rilevanti ai fini della determinazione dell’imposta … La dichiarazione ha effetto anche per gli anni successivi sempre che non si verifichino modificazioni dei dati ed elementi dichiarati cui consegua un diverso ammontare dell’imposta dovuta … Per gli immobili per i quali l’obbligo dichiarativo è sorto dal 1 gennaio 2012, la dichiarazione deve essere presentata entro novanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto di approvazione del modello di dichiarazione dell’imposta municipale propria e delle relative istruzioni” (art. 13, comma 12 – ter d.l. del 06/12/2011 n. 201, come modificato dal d.l. dell’08/04/2013 n. 35, art. 10);

1.10. pertanto, nel primo caso sopra riportato, nel quale la dichiarazione è stata presentata ed il versamento è stato omesso, il primo dei cinque anni previsti dall’art. 1, comma 161, della Legge 27 dicembre 2006 n. 296, è quello successivo a quello oggetto di accertamento e nel corso del quale il maggior tributo avrebbe dovuto essere pagato, nel secondo caso, in cui la dichiarazione non è stata presentata, il Comune ha un termine più ampio per effettuare l’accertamento del tributo;

1.11. ciò posto, nel caso in esame, come emerge dal ricorso e dall’avviso di accertamento impugnato (ad esso allegato), era stato richiesto il pagamento dell’imposta dovuta, e non versata, in base agli “elementi contenuti nella dichiarazione IMU”, oltre che ai “dati catastali in possesso dell’ufficio e …(ad)… altri atti acquisiti relativamente ai versamenti effettuati”;

1.12. ne consegue che, nel caso in esame, nel quale la dichiarazione era stata presentata, il primo dei cinque anni previsti dall’art. 1, comma 161, n. 296/2006, era, come si è detto, quello successivo all’anno oggetto di accertamento e nel corso del quale il maggior tributo avrebbe dovuto essere pagato, e dunque per l’anno 2013, il primo anno dei cinque previsti per la decadenza dal potere impositivo è il 2014, con la conseguenza che il termine per la notifica dell’avviso di accertamento da parte dell’Ente impositore scadeva il 31 dicembre 2018;

1.13. alla luce di quanto sopra l’avviso di accertamento risulta notificato oltre il termine di cui all’art. 1, comma 161 della l. n. 296 del 2006, scadendo nel caso di specie i cinque anni previsti da tale disposizione il 31.12.2018, ed essendo stata effettuata la notifica in data 10.1.2019 (circostanza incontestata, oltre che documentalmente provata);

2. quanto sin qui illustrato comporta l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza impugnata;

3. inoltre, non richiedendosi, per la risoluzione della controversia, alcun altro accertamento di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ex art. 384 c.p.c., comma 1, con l’accoglimento del ricorso introduttivo della contribuente;

4. poiché l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte, in base al quale si è decisa la causa, s’è consolidato nel corso del giudizio, si ritiene opportuno compensare tra le parti le spese processuali delle fasi di merito, con condanna del Comune intimato al pagamento delle spese del presente grado, con liquidazione come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della contribuente, compensando tra le parti le spese processuali dei gradi di merito; condanna il Comune intimato al pagamento delle spese di questo giudizio che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge, se dovuti.

Conclusione
Così deciso in Roma il 15 maggio 2024.

Depositata in Cancelleria il 23 maggio 2024.


Sanabile la notifica alla badante

L’inesistenza si configura solo se vi è la totale mancanza materiale dell’atto e se viene realizzata un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a qualificare un atto come notificazione
L’assenza di collegamento tra luogo della notifica e persona del destinatario non è idonea a determinare l’inesistenza giuridica dell’iter notificatorio, configurandosi piuttosto un vizio di nullità che non può, peraltro, assumere rilevanza se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato, come nel caso in cui lo stesso venga impugnato, circostanza che determina la sanatoria con effetto da ora in poi di qualsiasi eventuale vizio della relativa notificazione.
Così si è espressa la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Milano, nella sentenza n. 3235/17/2023, del 22 settembre 2023, che ha escluso il vizio di inesistenza di una notifica eseguita a mani della badante di una contribuente, anziché all’amministratore di sostegno dell’interessata.
Una contribuente, secondo quanto riportato nella premessa della pronuncia in esame, impugnava l’avviso di liquidazione e di irrogazione di sanzioni, per un ammontare di oltre cinque milioni di euro, emesso dall’ufficio a titolo di imposta di registro, relativa a una sentenza della Corte d’appello di Milano.
Nel ricorso, l’istante dichiarava di eccepire vizi attinenti al merito della pretesa impositiva e di contestare altresì la ritualità della notificazione dell’atto.
Sotto questo secondo profilo, la stessa asseriva che la notifica dell’avviso impugnato, eseguita presso la sua residenza, mediante consegna alla propria badante, avrebbe dovuto considerarsi giuridicamente inesistente, senza possibilità di invocare la sanatoria del vizio a seguito dell’avvenuta impugnazione.
Ciò in quanto, precisava l’interessata, a sua tutela era stato nominato un amministratore di sostegno e pertanto, per potersi considerare valida, la notifica avrebbe dovuto essere eseguita nei confronti di questi, quale soggetto preposto alla cura della sua persona e del suo patrimonio.
La Corte tributaria di primo grado di Milano ha disatteso il ricorso, confermando la validità dell’atto impugnato e condannando la ricorrente a oltre diciottomila euro di oneri processuali.
La Corte tributaria di primo grado di Milano ha ritenuto di non accogliere l’eccezione di inesistenza della notifica, richiamando sul punto la distinzione tra detto vizio e quello di nullità, come sancita dalle sezioni unite della Corte di cassazione nelle sentenze “gemelle” nn. 14916 e 14917 del 2016.
In tali pronunce, ricorda l’odierno arresto, il supremo giudice ha statuito che il luogo in cui la notificazione viene eseguita non è un elemento costitutivo essenziale dell’atto e di conseguenza “i vizi relativi alla individuazione di detto luogo, anche qualora esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, non causano l’inesistenza della notifica, ma ricadono sempre nell’ambito della nullità sanabile con efficacia ex tunc per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata, anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità, oppure in conseguenza della rinnovazione della notificazione effettuata spontaneamente dalla parte stessa o su ordine del giudice…”.
L’inesistenza della notifica, continua la sentenza, si configura “solo se vi è la totale mancanza materiale dell’atto e se viene realizzata un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a qualificare un atto come notificazione”, elementi costitutivi da individuarsi, per un verso, nell’attività di trasmissione, “che deve essere eseguita da un soggetto al quale la legge conferisce la possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato”; per l’altro, nella fase della consegna, intesa come “raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento in virtù dei quali la stessa debba comunque considerarsi eseguita”.
Anche l’assenza di collegamento tra luogo della notifica e persona del destinatario, prosegue la pronuncia in commento, si colloca al di fuori del perimetro dell’inesistenza, derivandone al limite un’ipotesi di nullità che, per consolidata regola, non può mai essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato, finalità che può dirsi raggiunta quando l’atto stesso venga impugnato, comportamento che sana con effetto ex tunc qualsiasi eventuale vizio della relativa notificazione.
In virtù del richiamo operato dall’articolo 60 del Dpr n. 600/1973 alle “norme stabilite dagli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile…”, la notificazione ai contribuenti, degli avvisi e degli altri atti tributari, si effettua secondo le regole del codice di rito civile, salve alcune specifiche regole peculiari della materia fiscale.
In particolare, con riguardo al luogo in cui la notifica va eseguita, il citato articolo 60 prevede al primo comma, lettera c), che, salvo il caso di consegna dell’atto o dell’avviso in mani proprie, la notificazione deve essere fatta nel “domicilio fiscale” del destinatario.
La consegna in mani proprie, disciplinata dall’articolo 138 cpc, costituisce la modalità “perfetta” di notificazione (perché realizza la conoscenza effettiva) e si sostanzia nella consegna di copia dell’atto nelle mani proprie del diretto interessato, presso la sua abitazione e, solo se ciò non è possibile, ovunque esso venga reperito (notifica “in luogo libero”), nell’ambito della circoscrizione di competenza dell’agente notificatore.
Laddove tale modalità di notifica non sia possibile, occorre ricercare il destinatario presso il suo domicilio fiscale, da individuarsi secondo le regole fissate dall’articolo 58 del Dpr n. 600/1973.
In base a tale norma, tra l’altro, le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato “hanno il domicilio fiscale nel comune nella cui anagrafe sono iscritte”, ragion per cui la notifica nei loro confronti va eseguita nell’ambito del territorio di riferimento.
Per quanto riguarda il luogo specifico della notifica, soccorre l’articolo 139 cpc, il quale, dopo aver previsto che l’interessato deve essere ricercato “nella casa di abitazione o dove ha l’ufficio o esercita l’industria o il commercio”, stabilisce che laddove questi non venga rinvenuto in uno dei predetti luoghi, l’agente notificatore “consegna copia dell’atto a una persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda, purché non minore di quattordici anni o non palesemente incapace”.
Analogamente, per l’ipotesi di notificazione a mezzo del servizio postale, l’articolo 7 della legge n. 890/1982 stabilisce che, quando la consegna non può essere fatta personalmente al destinatario, il piego è consegnato, nel luogo indicato sulla busta che contiene l’atto da notificare, “a persona di famiglia che conviva anche temporaneamente con lui ovvero addetta alla casa ovvero al servizio del destinatario, purché il consegnatario non sia persona manifestamente affetta da malattia mentale o abbia età inferiore a quattordici anni”.
Per consolidata giurisprudenza, laddove la persona, rinvenuta presso il recapito del destinatario, si qualifichi “addetta alla casa” ovvero “al servizio del destinatario” e accetti di ricevere l’atto per conto di questi, la qualità affermata si presume iuris tantum dalle dichiarazioni recepite dall’agente notificatore nella relata di notifica e la notificazione si considera validamente effettuata, incombendo sul destinatario, che voglia contestarla, l’onere di provare l’inesistenza di un rapporto con il consegnatario comportante una delle qualità innanzi indicate e l’occasionalità della presenza del consegnatario, escludendosi peraltro che possa invalidare la notifica la sola prova di una diversa residenza anagrafica del consegnatario (Cassazione, nn. 13088/2022 e 37398, 20275, 19831, 11228 del 2021).
Peraltro, anche laddove, come nel caso in esame, nell’iter procedimentale si sia verificata qualche deviazione dallo schema previsto dalla legge, ma l’atto risulti comunque consegnato, deve escludersi la configurabilità della categoria generale di un vizio della notificazione qualificabile come “inesistenza giuridica”, a fianco del vizio qualificabile come “nullità”, “in quanto il vizio della notificazione che venga eseguita e dunque si perfezioni secondo una qualunque delle forme previste dalla legge, anche “virtuali” (quindi: non solo con la consegna dell’atto, ma anche con il deposito dello stesso nelle forme per legge equiparate alla consegna), sia pure invalidamente, è sempre quello, evidentemente omnicomprensivo, della “nullità”, a prescindere dall’esistenza di un collegamento con il destinatario del luogo e/o della persona dove e/o alla quale avvenga la consegna dell’atto” (Cassazione, n. 28425/2023).
E in presenza di un vizio di nullità opera la consolidata regola secondo la quale, atteso che la natura sostanziale dell’atto tributario non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, detta nullità deve ritenersi sanata, per raggiungimento dello scopo dell’atto (ex articolo 156, terzo comma c.p.c.), qualora l’interessato proponga tempestivo ricorso avverso l’atto la cui notifica si assuma viziata (Cassazione, nn. 28215/2023 e 27017/2023).


Il Messo Comunale non indaga su chi apre la porta

Irrilevante l’affermazione della contribuente destinataria dell’atto, secondo cui l’avviso di liquidazione è stato ritirato dal suo ex, non più domiciliato sotto lo stesso tetto
La mancata indicazione nella relata di notifica del luogo in cui è avvenuta la consegna dell’atto, ove emendabile in base alle risultanze dell’atto stesso, costituisce una mera irregolarità, inidonea a riverberarsi sulla correttezza dell’iter notificatorio.
Questo, in breve, il principio espresso dalla Corte Suprema di Cassazione con la sentenza n. 7211 del 13 aprile 2016, in cui è stato anche chiarito che la qualità di coniuge, dichiarata dal consegnatario dell’atto, si presume salva la prova contraria che non può consistere nella semplice affermazione di una non dimostrata separazione personale.
Un contribuente impugnava con successo, dinanzi alla C.t.p. di Viterbo, una cartella di pagamento emessa per il recupero dell’imposta di registro su un atto giudiziario.
La decisione veniva confermato dalla C.t.r. di Roma, che ribadiva l’invalidità della notificazione del prodromico avviso di liquidazione, in quanto eseguita in luogo non indicato nella relata come domicilio dell’interessata, a mani di soggetto che si era qualificato marito della medesima senza contestualmente dichiarare lo stato di convivenza con la destinataria.
Il giudice d’appello riteneva di escludere la validità della notifica anche sulla base dell’asserita separazione personale dedotta in giudizio dalla contribuente, senza peraltro il sostegno di circostanze di fatto ed elementi di prova.
Ricorrendo in sede di legittimità, l’Agenzia delle Entrate censurava la pronuncia di seconde cure, sostenendo che lo stato di convivenza, non necessario ai sensi dell’articolo 139 c.p.c., doveva presumersi in ragione di quanto dichiarato dal consegnatario dell’atto e risultante dalla relata di notifica, cosicché spettava alla controparte dimostrarne l’insussistenza attraverso puntuali elementi probatori, nella specie mancanti.
La Corte Suprema di Cassazione ha ritenuto fondate le doglianze di parte pubblica, cassando la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione del medesimo collegio regionale.
Con riferimento alla questione della mancata indicazione nella relata del luogo di consegna dell’atto, la Corte Suprema di Cassazione ha ribadito il consolidato principio secondo il quale, poiché la relazione di notifica si riferisce di norma all’atto notificato, così come strutturato, “in assenza di indicazioni difformi deve presumersi che la notificazione sia stata effettuata nel luogo in esso indicato”: di conseguenza, prosegue la pronuncia, l’omessa indicazione del luogo nel documento che certifica l’esecuzione della notificazione, ove emendabile con il riferimento alle risultanze dell’atto, costituisce mera irregolarità formale che non si riverbera sulla correttezza della notifica.
Quanto alla mancata dichiarazione di convivenza del familiare consegnatario, la sentenza ricorda che l’ufficiale notificatore “non è tenuto a svolgere indagini o ricerche particolari in ordine all’effettività dello stato di convivenza; e nemmeno, nel caso di consegna a persona di famiglia, ad espressamente indicare tale stato nella relata di notificazione”, trattandosi di indicazione non richiesta dalla norma (articolo 139 c.p.c.) di riferimento.
Nei casi di notifica di un atto al domicilio del destinatario, la presenza del consegnatario presso l’abitazione dell’interessato giustifica, infatti, una presunzione legale, superabile con la prova contraria, circa la sussistenza tra i due soggetti di una relazione tale da far ritenere la successiva trasmissione dal primo al secondo del plico notificato.
Nel caso di specie, osserva la Corte Suprema di Cassazione, nessun rilievo poteva assumere la semplice dichiarazione di intervenuta separazione tra il marito (consegnatario dell’atto) e la moglie (destinataria del medesimo), affermazione da cui il giudice regionale aveva fatto discendere la conseguenza che la notificazione non poteva essere avvenuta nella casa coniugale.
Una volta assodato che la consegna dell’atto era avvenuta presso l’abitazione del destinatario, conclude la sentenza, nemmeno lo stato di separazione personale dei coniugi sarebbe potuto risultare di per sé determinante nell’invalidare la notificazione, “nemmeno nell’ipotesi… in cui fosse risultata la diversa residenza anagrafica del coniuge consegnatario”.
In base all’articolo 148 c.p.c., l’ufficiale notificatore certifica l’eseguita notificazione mediante relazione da lui datata e sottoscritta, apposta in calce all’originale e alla copia dell’atto, che indica, tra l’altro, “la persona alla quale è consegnata la copia e le sue qualità, nonché il luogo della consegna…”. Quest’ultimo, per costante giurisprudenza, assume un rilievo essenziale ai fini della validità della notifica che, laddove “sia stata effettuata in un luogo o con riguardo ad una persona che non presentino alcun riferimento con il destinatario dell’atto, risultando a costui del tutto estranei…”, viene considerata giuridicamente inesistente (Cassazione, pronunce 19299/2015, 8154/2015, 12301/2014 e 25079/2014).
La pronuncia della Corte Suprema di Cassazione conferma una regola di grande importanza laddove, riconoscendo l’operatività di una presunzione di conformità tra il luogo di avvenuta consegna e quello indicato nell’atto come indirizzo del destinatario, afferma la generale irrilevanza della mancata specificazione in relata del luogo di effettuazione della notifica.
Per quanto riguarda, invece, i soggetti che possono ricevere la notificazione in nome e per conto del destinatario all’indirizzo di questi, l’articolo 139 c.p.c. (applicabile agli atti tributari in virtù del rinvio operato dall’articolo 60 del Dpr 600/1973) stabilisce che sono legittimi consegnatari, in primis, le persone di famiglia o gli addetti alla casa, all’ufficio o all’azienda dell’interessato.
In proposito, è consolidato l’orientamento di legittimità secondo il quale sono “persone di famiglia” non soltanto i parenti ma anche gli affini del destinatario, soggetti rispetto ai quali, purché reperiti presso l’abitazione, non è richiesto il requisito della convivenza con il destinatario dell’atto, perché l’esistenza del vincolo (di parentela o affinità) è idoneo e sufficiente a giustificare la presunzione che la “persona di famiglia” consegnerà l’atto al destinatario (Cassazione, sentenze 26931/2014, 25307/2014 e 15973/2014).
Da ricordare infine che, nel caso di notifica ex articolo 139 c.p.c., la qualità di “persona di famiglia” del consegnatario dell’atto si presume iuris tantum dalle dichiarazioni rese all’ufficiale notificatore e recepite nella relata di notifica, mentre incombe sul destinatario, che contesti la validità della notificazione, l’onere di fornire la prova contraria dimostrando o l’inesistenza di un rapporto con il consegnatario comportante la qualità dichiarata ovvero l’occasionalità della presenza dello stesso consegnatario (Cassazione, sentenze 18270/2015, 9939/2015, 7688/2015 e 19065/2014).


Residenza temporanea in carcere: valida la notifica alla moglie

L’atto è correttamente recapitato se la persona che lo prende in consegna non si trova occasionalmente presso l’indirizzo del destinatario e accetta il plico senza alcuna riserva

Quando la notifica postale risulta eseguita nel luogo indicato sulla busta che contiene l’atto da notificare, si presume che in quel luogo si trovino la residenza effettiva o la dimora o il domicilio del destinatario, e la notificazione si intende valida. L’interessato, che intende contestare in giudizio tale circostanza al fine di far dichiarare la nullità della notificazione stessa, ha l’onere di fornirne idonea prova contraria, la quale, però, non può essere costituita dalla produzione di risultanze anagrafiche che indichino una residenza difforme rispetto al luogo in cui è stata effettuata la notificazione.

Questo il principio di diritto rinvenibile nella sentenza della Corte di Cassazione n. 34824 del 13 dicembre 2023, in fattispecie ove la consegna dell’atto era avvenuta nelle mani della moglie del destinatario in quel momento detenuto in carcere.

Un contribuente impugnava dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Palermo la cartella di pagamento, avente a oggetto iscrizione a ruolo per imposta di registro, oltre interessi e sanzioni, in conseguenza di avviso di rettifica e liquidazione emesso nell’anno 2006.

La pronuncia di prime cure, che aveva respinto il ricorso, veniva appellata dinanzi al collegio regionale della Sicilia, il quale, con sentenza n. 1799/12/2018 del 24 aprile 2018, confermava il verdetto sfavorevole alla parte privata.

Quest’ultima proponeva ricorso per cassazione ove, per quanto di più specifico interesse in questa sede, eccepiva che la sentenza del giudice di prossimità aveva erroneamente ritenuto valida la notifica dell’avviso di liquidazione effettuata a mani di familiare convivente del destinatario (legale rappresentante della società ricorrente), pur in mancanza di prova circa la riconducibilità del luogo di consegna al domicilio fiscale della parte e nonostante, alla data della notifica, l’interessato fosse detenuto in carcere.

La Corte Suprema di Cassazione ha disatteso le illustrate censure, osservando che, in ragione della circostanza che la consegna dell’atto era stata eseguita dal postino presso l’abitazione del legale rappresentante della società, nelle mani della moglie dichiaratasi capace e convivente, “ai sensi dell’art. 7 della legge 20.11.1982, n. 890, deve presumersi che l’atto sia giunto a conoscenza dello stesso, restando irrilevante (anche) ogni indagine sulla riconducibilità del luogo di detta consegna fra quelli indicati dall’art. 139 c.p.c., in quanto il problema della identificazione del luogo ove è stata eseguita la notificazione rimane assorbito dalla dichiarazione di convivenza resa dal consegnatario dell’atto, con la conseguente irrilevanza esclusiva della prova della non convivenza, che il destinatario ha l’onere di fornire”.

In altri termini, prosegue la Corte Suprema di Cassazione, quando la notifica postale risulti eseguita nel luogo indicato sulla busta che contiene l’atto da notificare, “è da presumere che in quel luogo si trovino la residenza effettiva o la dimora o il domicilio del destinatario, laddove, qualora quest’ultimo intenda contestare in giudizio tale circostanza al fine di far dichiarare la nullità della notificazione stessa, ha l’onere di fornirne idonea prova contraria, la quale, però, non può essere costituita dalla produzione di risultanze anagrafiche che indichino una residenza difforme rispetto al luogo in cui è stata effettuata la notificazione”.

Anche la doglianza circa la detenzione in carcere del destinatario alla data della notifica è stata ritenuta non accoglibile e, quindi, inidonea a viziare la notifica, osservandosi in proposito che “la residenza non si perde per effetto di un allontanamento più o meno protratto nel tempo salvo che la persona non abbia fissato altrove una nuova dimora abituale e quindi una nuova residenza”, risultando dunque conforme a diritto la notifica a persona detenuta effettuata, nelle mani di persona di famiglia, nel luogo di residenza (sul punto, l’odierno arresto richiama il proprio precedente di cui a Cass., n. 9279/1998).

Secondo quanto previsto nell’articolo 7, comma 2, della legge n. 890/1982, se la consegna non può essere fatta personalmente al destinatario, “il piego è consegnato, nel luogo indicato sulla busta che contiene l’atto da notificare, a persona di famiglia che conviva anche temporaneamente con lui ovvero addetta alla casa ovvero al servizio del destinatario, purché il consegnatario non sia persona manifestamente affetta da malattia mentale o abbia età inferiore a quattordici anni. In mancanza delle persone indicate al periodo precedente, il piego può essere consegnato al portiere dello stabile ovvero a persona che, vincolata da rapporto di lavoro continuativo, è comunque tenuta alla distribuzione della posta al destinatario”.

Per identica fattispecie, l’articolo 139 c.p.c. prevede una disciplina speculare stabilendo che, se il destinatario non viene trovato presso il suo recapito (casa di abitazione o luogo in cui il medesimo “ha l’ufficio o esercita l’industria o il commercio”), l’agente notificatore “consegna copia dell’atto a una persona di famiglia o addetta alla casa, allo ufficio o all’azienda, purché non minore di quattordici anni o non palesemente incapace”, o, in mancanza di queste, “al portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda, e, quando anche il portiere manca, a un vicino di casa che accetti di riceverla”.

Rispetto a tali previsioni, la Corte Suprema di Cassazione ha specificato che per la validità della notifica è sufficiente che la presenza del consegnatario presso l’indirizzo dell’interessato non sia meramente occasionale o temporanea (la “non occasionalità” si presume dalla accettazione senza riserve dell’atto e dalle dichiarazioni recepite nella relata di notifica – Cassazione, pronunce n. 11228/2021 e n. 22687/2019); occorre, altresì, l’esistenza di un vincolo (di parentela, affinità o coniugio) tale da giustificare la presunzione che la “persona di famiglia” consegnerà l’atto al destinatario (Cassazione, n. 13088/2022 e nn. 27661, 20275, 19831 e 11228 del 2021).

Analogamente, con riguardo al concetto di persona “di famiglia”, la Cassazione ha osservato che il rapporto di convivenza, almeno provvisorio, può essere presunto, gravando sul destinatario l’onere della prova contraria, sulla base del fatto che il familiare si sia trovato nell’abitazione del destinatario e abbia preso in consegna l’atto da notificare. La nullità della notifica non può, quindi, derivare dalla mancata indicazione sull’avviso di ricevimento della qualità di convivente del consegnatario o dal fatto che la convivenza non sia attestata nello stato di famiglia (Cassazione, nn. 37259, 28295, 24880 del 2021 e n. 20057/2020).

In queste ipotesi, il destinatario che voglia contestare la validità della notifica deve provare l’inesistenza di un rapporto con il consegnatario comportante una delle qualità innanzi indicate e l’occasionalità della presenza dello stesso consegnatario, con la precisazione che, per invalidare la notificazione, non è sufficiente la sola prova di una diversa residenza anagrafica del consegnatario (Cassazione, n. 13088/2022 e nn. 37398, 20275, 19831 e 11228 del 2021).

In definitiva, la pronuncia della Corte Suprema di Cassazione ribadisce una regula iuris consolidata anche con riguardo a una fattispecie decisamente singolare, perché caratterizzata dalla circostanza che il destinatario dell’atto era persona che, al momento della notificazione, era detenuta in carcere.


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 16/01/2024) 22/05/2024, n. 14279

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente

Dott. CATALDI Michele – Consigliere

Dott. DE ROSA Maria Luisa – Consigliere

Dott. LENOCI Valentino – Consigliere Rel.

Dott. NAPOLITANO Angelo – Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21794/2016 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

A.A., elettivamente domiciliato in Roma, piazza del Popolo n. 18, presso lo studio dell’avv. Leonello Brocchi, dal quale è rappresentato e difeso in virtù di procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo – sezione staccata di Pescara n. 238/06/2016, depositata il 26 febbraio 2016;

udita la relazione della causa svolta nell’adunanza in camera di consiglio del 23 gennaio 2024 dal consigliere dott. Valentino Lenoci;

Svolgimento del processo
1. Con cartella di pagamento n. (omissis), ritualmente notificata, la concessionaria per la riscossione Equitaila Pragma Spa richiedeva a A.A. il pagamento della somma di Euro 112.782,52, per IRPEF e relativi accessori dell’anno 2004. Tale richiesta si fondava sull’avviso di accertamento n. (omissis), con il quale l’Agenzia delle Entrate accertava, nei confronti del suddetto contribuente, per l’anno 2004, un reddito da plusvalenze di natura finanziaria non dichiarato di Euro 117.800,00 ed un reddito complessivo di Euro 133.448,00, a fronte del reddito dichiarato di Euro 15.648,00, con determinazione delle conseguenti imposte e sanzioni.

2. Il contribuente impugnava la cartella di pagamento dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Pescara la quale, con sentenza n. 282/01/2014, depositata il 23 giugno 2014, rigettava il ricorso, condannando il ricorrente alla rifusione delle spese di lite.

3. Interposto gravame dal contribuente, la Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo – sezione staccata di Pescara, con sentenza n. 238/06/2016, pronunciata il 19 gennaio 2016 e depositata in segreteria il 26 febbraio 2016, accoglieva l’appello, annullando la cartella di pagamento impugnata e compensando le spese del doppio grado di giudizio.

4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, sulla base di cinque motivi.

A.A. resiste con controricorso.

5. La discussione del ricorso è stata fissata dinanzi a questa sezione per l’adunanza in camera di consiglio del 23 gennaio 2024, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380-bis 1 cod. proc. civ.

Il controricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione
1. Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a cinque motivi.

1.1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 60 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e della legge 20 novembre 1982, n. 890, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.

Rileva, in particolare, che la consulenza tecnica disposta in grado di appello, al fine di accertare l’apocrifia della sottoscrizione, da parte del contribuente, dell’avviso di ricevimento dell’avviso di accertamento presupposto della cartella impugnata, era sostanzialmente superflua, posto che, ai fini della validità della notificazione non è sufficiente il semplice disconoscimento della firma, in quanto lo stesso contribuente non contesta le altre risultanze della relata di notifica (consegna quel certo giorno presso quell’indirizzo), e la notifica si doveva intendere pertanto perfezionata nel momento in cui l’atto era entrato nella sfera di conoscibilità del destinatario.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso si eccepisce violazione e falsa applicazione degli artt. 1335 e 2697 cod. civ., nonché degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.

Sostiene, in particolare, l’Ufficio che era onere del contribuente dimostrare che la sottoscrizione dell’avviso di ricevimento era avvenuto da parte di soggetto non titolato, a lui del tutto estraneo e con conseguente impossibilità di avere conoscenza dell’atto.

1.3. Con il terzo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 60, comma 1, del D.P.R. n. 600/1973, che richiama gli artt. 148 e 149 cod. proc. civ., nonché dell’art. 7 comma 1 e 4, della legge n. 890/1982, nonché, ancora, degli artt. 155, 156 e 163 del D.P.R. 29 maggio 1982, n. 655, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.

Rileva, in particolare, che, ai fini del perfezionamento della notifica, l’agente postale non ha il compito di procedere all’identificazione del consegnatario dell’atto, e quindi all’accertamento della veridicità della dichiarazione che il consegnatario dell’atto gli rilasci (dichiarazione di essere, per l’appunto, il destinatario dell’atto), per cui, una volta che l’agente abbia raccolto la dichiarazione, seguita poi dalla firma della ricevuta, e così consegnato l’atto nelle mani di colui che ha assunto di essere il destinatario dello stesso, la sequenza notificatoria è da considerarsi legittima.

1.4. Con il quarto motivo di ricorso l’Ufficio deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 4, della legge n. 890/1982, in relazione all’art. 148, comma 2, cod. proc. civ., nonché degli artt. 2699 e 2700 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.

Rileva, in particolare, la ricorrente che l’avviso di ricevimento fa fede, fino a querela di falso della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha redatto, ragion per cui erroneamente la C.T.R. ha qualificato l’avviso in questione come scrittura privata suscettibile di disconoscimento.

1.5. Con il quinto motivo di ricorso, infine, si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 58 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.

Sostiene, in particolare, l’Amministrazione finanziaria che il ricorrente in primo grado aveva richiesto la querela di falso per accertare la falsità della sottoscrizione dell’avviso di ricevimento in questione, e che tale querela era stata dichiarata inammissibile con sentenza del Tribunale di Pescara n. 327 del 19 febbraio 2013; conseguentemente, la C.T.R. non avrebbe potuto ammettere in grado di appello un nuovo esperimento istruttorio (C.T.U. in caso di istanza di verificazione) in presenza dell’unico incombente richiesto in primo grado, e cioè la querela di falso.

2. Preliminarmente, con riferimento all’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa del controricorrente, questa Corte rileva che essa è da considerare infondata.

Il ricorso in esame, invero, contiene, in maniera chiara e puntuale, l’esposizione dei fatti di causa essenziali ai fini dell’illustrazione dei motivi di ricorso (art. 366, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), con riferimento sia al primo che al secondo grado di giudizio, senza peraltro la mera trascrizione degli atti processuali (v. pagg. 1-13 del ricorso dell’Agenzia delle Entrate).

3. Venendo quindi ad esaminare i motivi di ricorso, la Corte osserva quanto segue.

3.1. Preliminarmente, con riferimento al primo motivo di ricorso, il controricorrente eccepisce l’inammissibilità perché la ricorrente sollecita una nuova valutazione nel merito da parte di questa Corte.

L’eccezione in esame è infondata, in quanto, al contrario, l’Amministrazione finanziaria, con il motivo in esame, censura l’applicazione delle norme in materia di notificazione a mezzo del servizio postale, rilevando come, contrariamente a quanto ritenuto dalla C.T.R., la notificazione dell’avviso di accertamento prodromico rispetto alla cartella impugnata dovesse considerarsi, in realtà, perfezionata, in quanto, a tal fine, era sufficiente che l’agente notificatore avesse consegnato il plico presso l’indirizzo del destinatario, senza che vi fosse l’obbligo di accertare l’identità del consegnatario dell’atto in questione.

3.2. I motivi di ricorso possono essere esaminati tutti congiuntamente, in quanto sostanzialmente riconducibili ad un’unica, articolata doglianza, riguardante la legittimità del procedimento notificato dell’avviso di accertamento presupposto della cartella di pagamento impugnata.

I motivi in questione sono fondati.

Ed invero, con riferimento alla notificazione a mezzo del servizio postale, “ove l’atto sia consegnato all’indirizzo del destinatario a persona che abbia sottoscritto l’avviso di ricevimento, con grafia illeggibile, nello spazio relativo alla firma del destinatario o di persona delegata, e non risulti che il piego sia stato consegnato dall’agente postale a persona diversa dal destinatario tra quelle indicate dalla L. n. 890 del 1982, art. 7, comma 2, la consegna deve ritenersi validamente effettuata a mani proprie del destinatario, fino a querela di falso, a nulla rilevando che nell’avviso non sia stata sbarrata la relativa casella e non sia altrimenti indicata la qualità del consegnatario, non essendo integrata alcuna delle ipotesi di nullità di cui all’art. 160 cod. proc. civ.” (Cass., sez. U., 27 aprile 2010, n. 9962; v. anche Cass. 30 marzo 2016, n. 6126).

Segnatamente, è d’uopo evidenziare che gli avvisi di ricevimento si palesano suscettibili di provare, fino a querela di falso, la consegna degli atti ove ricorrano le seguenti condizioni: i) gli atti risultino consegnati all’indirizzo del destinatario; ii) la persona indicata come consegnataria dell’atto abbia apposto la propria firma (ancorché illeggibile) nello spazio dell’avviso di ricevimento relativo alla firma del destinatario o di persona delegata (Cass. 16 ottobre 2020, n. 22514).

Sul punto, va rilevato che, nel caso di notificazione a mezzo del servizio postale, l’agente postale non ha l’obbligo di procedere alla identificazione del soggetto al quale consegna l’atto, avendo egli soltanto l’obbligo di attestare che, nel luogo e nella data indicati nell’avviso di ricevimento, in sua presenza un soggetto qualificatosi destinatario dell’atto ha apposto una firma. La sequenza notificatoria che assume rilevanza, dunque, al fine di considerare validamente eseguita e perfezionata la notifica è unicamente quella prevista dall’art. 7, commi 1 e 2, della legge n. 890/1982, ragion per cui, una volta che l’agente abbia raccolto la dichiarazione, seguita poi dalla firma della ricevuta, e così consegnato l’atto nelle mani di colui che ha assunto di essere il destinatario dello stesso, la sequenza notificatoria è legittima, rispondendo al modello legale, e dunque l’atto è da intendersi notificato al destinatario.

Al fine di contestare le risultanze dell’avviso di ricevimento, dunque, sarebbe dovuta intervenire pronuncia di falsità a seguito di querela di falso, querela che in realtà è stata presentata, ma la cui relativa istanza è stata dichiarata inammissibile dal Tribunale di Pescara con sentenza n. 327 del 12 marzo 2013, passata in giudicato (nel mentre la parte contribuente, avendo interesse a conseguire la declaratoria di falsità, avrebbe dovuto impugnare la sentenza del Tribunale).

Conseguentemente, in assenza di dichiarazione di falsità dell’atto, deve ritenersi che l’avviso di ricevimento in questione sia stato notificato a persona dichiaratasi destinataria dell’atto, il che ha reso perfezionato il procedimento di notifica; ultronea ed irrilevante, pertanto, deve ritenersi la C.T.U. grafologica espletata nel corso del giudizio di secondo grado, non applicandosi, nella specie, le norme sulla verificazione della scrittura privata.

4. Consegue l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza impugnata; non essendo necessari ulteriori accertamenti in punto di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso originario proposto dal contribuente.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario proposto in primo grado da A.A.

Condanna A.A. alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro 6.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2024.

Depositata in Cancelleria il 22 maggio 2024.


Termini di notifica certi e univoci

La “scissione temporale” degli effetti non implica lo slittamento del perfezionamento della procedura per il destinatario rispetto ai limiti stabiliti dal legislatore tributario.

In caso di notificazione a mezzo del servizio postale, laddove l’atto non possa essere materialmente recapitato, per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità, assenza di altri legittimi consegnatari, la notifica si ha comunque per eseguita trascorsi dieci giorni dalla data di spedizione della raccomandata con cui si dà notizia all’interessato della giacenza dell’atto.

Questa la regola esplicitata dalla sentenza n. 26088 del 30 dicembre 2015, in cui la Corte Suprema di Cassazione ha escluso che, in dette ipotesi, la notifica possa ritenersi perfezionata nel momento, successivo ai dieci giorni di legge, in cui avvenga l’effettivo ritiro dell’atto presso l’ufficio postale.

La Commissione tributaria regionale della Lombardia respingeva l’appello proposto da un contribuente avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, che aveva dichiarato inammissibili per tardività cinque ricorsi contro avvisi di accertamento Ici notificati da un Comune.

Il Collegio di seconde cure confermava l’inammissibilità rilevata in primo grado, osservando che gli accertamenti erano stati notificati “per compiuta giacenza” il 7 gennaio 2007, mentre il ricorso era stato proposto soltanto il successivo 8 giugno, ben oltre il termine decadenziale di “sessanta giorni dalla data di notificazione dell’atto” fissato dall’articolo 21, comma 1, del Dlgs 546/1992.

Nel ricorso per cassazione, l’interessato, invocando l’applicazione del principio di “scissione degli effetti della notifica” – in virtù del quale occorre tener conto del diverso momento perfezionativo della notificazione per il notificante e per il destinatario – ribadiva che, nella specie, l’originaria impugnazione doveva considerarsi tempestiva poiché l’atto era stato ritirato presso l’ufficio postale di giacenza il 12 aprile 2007, giorno dal quale, asseritamente, andava dunque computato il termine per presentare il gravame.

La Corte Suprema di Cassazione ha affermato la manifesta infondatezza della doglianza, procedendo a una puntuale ricostruzione delle regole che disciplinano il perfezionamento della notificazione degli atti (compresi quelli tributari) quando per la notifica ci si avvalga del mezzo postale ai sensi della legge 890/1982.

In proposito, spiega la Corte Suprema di Cassazione, occorre tener conto di quanto stabilito dall’articolo 8 di detta legge per le ipotesi in cui l’agente postale non possa materialmente recapitare il piego presso l’indirizzo del destinatario, per temporanea assenza di questi o per mancanza, inidoneità, assenza delle altre persone che la legge abilita alla ricezione per conto dell’interessato.

Per queste situazioni, la norma prevede che, lo stesso giorno del mancato recapito, il piego venga depositato presso l’ufficio postale preposto alla consegna e che, contestualmente, venga data notizia al destinatario del tentativo di notifica e del deposito in parola, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento.

In base al secondo comma del medesimo articolo 8, la comunicazione di avvenuto deposito (Cad) contiene, tra l’altro, l’indicazione della data di deposito e dell’indirizzo dell’ufficio postale presso cui l’atto è in giacenza, nonché l’espresso invito al destinatario a provvedere al ritiro entro sei mesi, con l’avvertimento che “la notificazione si ha comunque per eseguita trascorsi dieci giorni dalla data del deposito” e che, decorso inutilmente anche il predetto termine di sei mesi, l’atto sarà restituito al mittente. Il successivo quarto comma precisa ancora che la notifica si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla spedizione della Cad, oppure “dalla data di ritiro del piego, se anteriore”.

La scissione temporale degli effetti della notifica, spiega la pronuncia, seppure operante, non è tale da spostare il momento perfezionativo per il destinatario oltre il decimo giorno successivo alla spedizione della raccomandata che informa l’interessato dell’avvenuto deposito.

Nel caso di specie, dunque, correttamente entrambi i collegi di merito avevano ritenuto inammissibile per tardività il ricorso introduttivo, in quanto proposto ben oltre il sessantesimo giorno dal perfezionamento della notifica, computato secondo quanto spiegato.

La notificazione di qualsiasi atto – compresi quindi anche gli atti tributari – si sostanzia in un procedimento, le cui forme sono predeterminate dalla legge, finalizzato a determinare la conoscenza “legale” dell’atto in capo al destinatario.

Ci si riferisce alla conoscenza “legale” perché, ai fini della validità della notifica, è sufficiente che l’atto sia entrato nella sfera di conoscibilità del destinatario, dopo che siano state osservate tutte le formalità di legge, a prescindere dalla effettiva ricezione e quindi dalla conoscenza “effettiva” del contenuto dell’atto da parte del destinatario (Cassazione, sentenza 26501/2014 e, a sezioni, unite, 23675/2014, ove si precisa che “l’effettiva conoscenza dell’atto da parte del destinatario, pur costituendo lo scopo della notificazione, rimane estranea alla sua struttura”).

Questa regola è uno strumento di garanzia a favore del notificante, la cui attività non può essere paralizzata dall’eventuale atteggiamento oppositivo del destinatario, che potrebbe sottrarsi indebitamente agli effetti della notificazione.

Oltre a ciò, per assicurare la certezza dei rapporti giuridici, la legge si preoccupa anche di stabilire in quale momento ciascuna forma di notificazione si intende perfezionata, sia per il notificante che per il destinatario.

Così, in virtù del principio di “anticipazione degli effetti della notifica”, qualunque notificazione si intende perfezionata per il richiedente, sempre che lo stesso accada anche nei confronti del destinatario, quando sono compiute le formalità direttamente imposte dalla legge al notificante, ossia al momento della consegna dell’atto all’agente notificatore (ufficiale giudiziario e, ove consentito dalla legge, messo comunale, ufficio postale, eccetera) che, nel relativo procedimento, funge da tramite necessario tra il notificante e il destinatario dell’atto (da ultimo, Cassazione, sentenze 21281/2015, 18643/2015 e 15650/2015).

Per quanto riguarda poi la posizione del destinatario il legislatore appresta degli strumenti che consentono di individuare in modo oggettivo e univoco il momento in cui la notifica si intende perfezionata nei suoi confronti e dal quale iniziano a decorrere i termini perentori per porre in essere eventuali attività (ad esempio, l’impugnativa giurisdizionale) a tutela dei propri interessi, in assenza delle quali gli effetti dell’atto si consolidano.

Un’ipotesi tipica di quest’ultima situazione è quella di cui la Corte Suprema di Cassazione si è occupata nel caso.

Quando, in sede di notifica postale dell’atto, il materiale recapito è impedito da circostanze contingenti (temporanea assenza del destinatario; assenza, incapacità, rifiuto da parte di altri possibili consegnatari), il procedimento si perfeziona comunque e la notifica produce i suoi effetti tipici nei confronti del destinatario anche quando questi non si premuri di ritirare l’atto che lo riguarda.

In particolare, in queste ipotesi, a seguito del deposito dell’atto presso l’ufficio postale e della spedizione all’interessato di una raccomandata che lo avvisa di detto deposito, la notifica è perfezionata per “compiuta giacenza” decorsi dieci giorni dalla spedizione dell’avviso del deposito.

Ai fini del perfezionamento nei confronti del diretto interessato, non ha quindi effetto alcuno la circostanza che l’atto venga ritirato decorso detto lasso temporale.

La regola in questione è finalizzata a evitare che il destinatario, artatamente, possa ritardare a proprio vantaggio l’inizio della decorrenza di eventuali termini che lo riguardano: trattasi di un punto fermo da tenere ben presente quando si debbono valutare la correttezza e gli effetti di una notificazione.


La notifica postale è legalmente valida dopo 10 giorni dall’avviso di giacenza

In questa ipotesi, la procedura di consegna dell’atto ha raggiunto il suo scopo, in quanto la raccomandata informativa è pervenuta nella sfera di conoscenza del destinatario, anche se assente

In caso di notificazione di un atto impositivo a mezzo del servizio postale, quando dall’avviso di ricevimento risulti che l’agente postale, a causa dell’assenza del destinatario anche al momento della consegna della raccomandata informativa, abbia provveduto a immettere il prescritto avviso di deposito nella cassetta postale dello stesso e, quindi, a restituire l’atto al mittente, la notifica si perfeziona per “compiuta giacenza” decorsi dieci giorni senza che l’interessato abbia provveduto al ritiro del piego.

Questo, in sintesi, l’insegnamento reso dalla Corte Suprema di Cassazione con la sentenza n. 6853 del 14 marzo 2024, ove la Corte Suprema di Cassazione precisa che, in queste ipotesi, la notifica ha raggiunto il suo scopo, in quanto la raccomandata informativa è pervenuta nella sfera di conoscenza del destinatario.

Nel mese di maggio 2013, l’ufficio, avvalendosi del servizio postale, inviava un avviso di accertamento a un contribuente.

Stante l’assenza del destinatario e di altri soggetti abilitati alla ricezione, l’agente postale dava notizia all’interessato del tentativo di recapito e del deposito dell’atto, inviando la prescritta raccomandata informativa (comunicazione di avvenuto deposito – Cad).

Poiché anche questa raccomandata non veniva recapitata, nuovamente per la temporanea assenza del destinatario e di altri legittimi consegnatari, il “postino” lasciava un avviso nella cassetta della corrispondenza del contribuente, dando atto di tale adempimento nella ricevuta di ritorno poi restituita all’ufficio.

Il 4 marzo 2014, quindi ben dieci mesi dopo i riferiti eventi, la parte privata proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento, lamentando in primis l’inesistenza della notifica innanzi descritta in asserita violazione di una lunga serie di norme disciplinanti l’iter di notificazione in generale e la notifica a mezzo del servizio postale in particolare.

La Commissione tributaria provinciale rilevava la tardività del ricorso e lo dichiarava inammissibile.

Il verdetto veniva ribaltato dal collegio regionale della Sicilia (sentenza n. 6665/8/2021 del 16 luglio 2021), il quale concludeva affermando, che la mancata effettiva ricezione, da parte del contribuente, della raccomandata informativa dell’avvenuto deposito comportava la nullità della notifica, e che la proposizione del ricorso doveva quindi considerarsi tempestiva.

Nel ricorso per cassazione, l’ufficio censurava la decisione, difendendo la ritualità della notificazione, da cui sarebbe derivata la tardività del ricorso introduttivo.

In particolare, la parte pubblica valorizzava la circostanza di aver prodotto in giudizio l’AR della comunicazione di avvenuto deposito, documento che dava conto dell’immissione dell’avviso di giacenza nella cassetta della corrispondenza del destinatario, non rinvenuto perché temporaneamente assente dal proprio domicilio.

La Corte Suprema di Cassazione ha accolto il ricorso, cassando senza rinvio la sentenza impugnata e condannando la parte privata alle spese del giudizio di legittimità.

Al riguardo, i Giudici ricordano che, per consolidata giurisprudenza, qualora l’atto da notificare non venga consegnato al destinatario per sua temporanea assenza ovvero per assenza o inidoneità di altre persone a riceverlo, la prova del perfezionamento della notifica può essere data dal notificante esclusivamente attraverso la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento della raccomandata della Cad, non essendo a tal fine sufficiente la prova dell’avvenuta spedizione di detta raccomandata informativa (Cassazione, sezioni unite., n. 10012/2021, e Cassazione, sentenze nn. 7086, 6352, 3017, del 2024).

Nel caso in esame, spiega la Corte Suprema di Cassazione, nel giudizio di merito l’ufficio ha prodotto sia la raccomandata contenente l’atto da notificare, sia quella con cui era stata data notizia all’interessato dell’avvenuto deposito: in particolare, in quest’ultima si dava conto sia dell’assenza del destinatario che dell’avvenuta immissione in cassetta dell’avviso di giacenza, senza che il medesimo destinatario avesse curato il ritiro del piego nei dieci giorni successivi.

In questa ipotesi, precisa la Corte Suprema di Cassazione richiamando il proprio precedente contenuto nella sentenza n. 8895/2022, secondo cui, quando dall’avviso di ricevimento prodotto in giudizio risulti che l’agente postale, assente il destinatario anche al momento della consegna della raccomandata informativa, abbia correttamente provveduto a immettere l’avviso nella cassetta postale del medesimo e, quindi, a restituire l’atto al mittente, “la notifica si perfeziona a seguito del decorso di dieci giorni senza che il predetto destinatario (nonostante l’invio della comunicazione di avvenuto deposito cd. CAD) abbia provveduto al ritiro del piego depositato presso l’ufficio, così determinando la compiuta giacenza”; in tali casi, “avendo la notifica raggiunto il suo scopo, in quanto la raccomandata informativa è pervenuta presso la sfera di conoscenza del destinatario che l’ha ricevuta presso il proprio indirizzo ed è risultato nuovamente assente, scegliendo di omettere il ritiro di tale plico presso l’ufficio postale, opera la presunzione di cui all’art. 1335 c.c.”, la notificazione si considera validamente eseguita.

Si osserva che la pronuncia interviene a chiarire i contorni di una fattispecie, concernente il perfezionamento della notificazione eseguita a mezzo del servizio postale nei confronti di soggetti che, in sede di recapito dell’atto, risultino temporaneamente assenti, sulla quale non di rado si dibatte nelle aule in cui si amministra la giustizia tributaria.

Premesso che lo scopo della notificazione è quello di portare il contenuto dell’atto nella legale conoscenza di un determinato soggetto e che tale risultato risulta immediatamente percepibile laddove l’iter notificatorio si sia concluso con la consegna dell’atto al destinatario o ad altri soggetti abilitati alla ricezione in sua vece, occorre verificare come il legislatore ha disciplinato le situazioni in cui, nella fase in cui viene tentato il recapito dell’atto, il destinatario risulta temporaneamente assente, e gli altri possibili consegnatari sono anch’essi assenti oppure non intendono ricevere l’atto.

Con specifico riguardo alla notificazione postale, l’articolo 8 della legge n. 890/1982, dopo aver previsto al comma 1 che, “se le persone abilitate a ricevere il piego in luogo del destinatario rifiutano di riceverlo, ovvero se l’operatore postale non può recapitarlo per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità o assenza delle persone sopra menzionate, il piego è depositato…presso il punto di deposito più vicino al destinatario”, al successivo comma 4 precisa che del tentativo di notifica del piego e del suo deposito “è data notizia al destinatario, a cura dell’operatore postale, mediante avviso in busta chiusa a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento che, in caso di assenza del destinatario, deve essere affisso alla porta d’ingresso oppure immesso nella cassetta della corrispondenza…” e che l’avviso deve contenere, tra l’altro, “…l’espresso invito al destinatario a provvedere al ricevimento del piego a lui destinato…, con l’avvertimento che la notificazione si ha comunque per eseguita trascorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al periodo precedente…”.

Come già spiegato dalla Corte Suprema di Cassazione (n. 19333/2022 e n. 18076/2023), in caso di assenza del destinatario in occasione del recapito della relativa raccomandata, non seguita dal ritiro del piego entro il termine di giacenza, l’attestazione dell’agente postale in ordine all’avvenuta immissione dell’avviso di deposito nella cassetta postale o alla sua affissione alla porta dell’abitazione, costituiscono formalità che “consentono il perfezionarsi della notifica allo spirare del decimo giorno dalla spedizione della raccomandata stessa, spettando al destinatario contestare, adducendo le relative ragioni di fatto e proponendo quando necessario querela di falso, che, nonostante quanto risultante dalla CAD, in concreto non si siano realizzati i presupposti di conoscibilità richiesti dalla legge oppure egli si sia trovato, senza sua colpa, nell’impossibilità di prendere cognizione del piego” (Cassazione, n. 31845/2022).

Più nello specifico, spiega ancora la sentenza n. 19333/2022, per la Cad, al fine di regolare una vicenda che altrimenti potrebbe portare al reiterarsi indefinito di successivi avvisi e depositi, la norma prevede soltanto che, in caso di assenza del destinatario, l’avviso di deposito deve essere affisso alla porta d’ingresso oppure immesso nella cassetta della corrispondenza dell’abitazione, dell’ufficio o dell’azienda “e pertanto l’agente postale, nel recapitare la raccomandata di avviso, ove non trovi il destinatario, non può far altro che procedere ad uno di tali incombenti, dandone atto nell’avviso di ricevimento della CAD”.

La Corte Suprema di Cassazione, dunque, ribadisce una regola, già affermata, finalizzata a salvaguardare il diritto del mittente a che l’iter notificatorio si perfezioni senza che l’eventuale assenza del destinatario possa divenire arbitra dell’esito positivo della notificazione stessa.


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 25/03/2024) 13/05/2024, n. 12964

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta da

Dott. FEDERICI Francesco – Presidente

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere Rel.

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere

Dott. MASSAFRA Annachiara – Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10838/2016 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (Omissis)), in persona del Direttore prò tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12

– ricorrente –

contro

A.A. (C.F. (Omissis)), rappresentato e difeso dall’Avv. PAOLA RUGGIERI FAZZI (C.F. (Omissis)) in virtù di procura speciale a margine del controricorso, elettivamente domiciliato presso il domicilio digitale (PEC) ruggieri-fazzi.paola@ordavvle.leqalmail.it

– controricorrente –

nonché nei confronti di

EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE Spa (C.F. (Omissis)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. CORRADO FRANCESCO SAMMARRUCO (C.F. (Omissis)) in virtù di procura speciale allegata al controricorso, elettivamente domiciliata presso il domicilio digitale (PEC) sammarruco.corrado@ordavvle.legalmail.it

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia, Sezione staccata di Lecce, n. 688/22/15, depositata in data 31 marzo 2015

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 marzo 2024 dal Consigliere Relatore Filippo D’Aquino.

Svolgimento del processo
1. Il contribuente A.A., quale erede di B.B., ha impugnato una intimazione di pagamento notificata in data 24 marzo 2006, relativa a debiti tributari erariali (IRPEF e IRAP) del periodo di imposta 1998 facenti capo de cuius, intimazione relativa a cartella di pagamento notificata in data 8 maggio 2003. Come risulta dalla sentenza impugnata, la cartella sottesa era stata notificata al contribuente personalmente e non, invece, all’ultimo domicilio del de cuius (“notificata personalmente a quest’ultimo, senza il regolare espletamento delle formalità prescritte per la notifica degli atti nell’ultimo domicilio del de cuius”).

2. La CTP di Lecce ha dichiarato inammissibile il ricorso, ritenendo corretta la notificazione della cartella di pagamento sottesa, in quanto effettuata al contribuente (“nelle mani del figlio”).

3. La CTR della Puglia, Sezione staccata di Lecce, con sentenza qui impugnata, ha accolto l’appello del contribuente. Ha ritenuto il giudice di appello – per quanto qui ancora rileva – che le notificazioni sia dell’intimazione di pagamento, sia della cartella esattoriale sottesa, sono nulle per violazione dell’art. 65 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per essere atti intestati al de cuius e non agli eredi, atti notificati tre anni dopo la morte del de cuius, avvenuta in data 7 febbraio 2000. In particolare, il giudice di appello ha ritenuto che l’Ufficio abbia avuto conoscenza del decesso per effetto della denuncia di successione in data 7 agosto 2000 “con regolare indicazione dei dati anagrafici dei tre eredi del” de cuius. Nel qual caso – ha proseguito il giudice di appello – essendo l’Ufficio venuto a conoscenza del decesso del de cuius, la notificazione si sarebbe dovuta effettuare collettivamente e impersonalmente agli eredi. Ha, inoltre, rilevato il giudice di appello che il ruolo era stato emesso a carico di un soggetto defunto, laddove l’iscrizione a ruolo sarebbe dovuta avvenire a carico di tutti gli eredi.

4. Propone ricorso per cassazione l’Ufficio, affidato a tre motivi, cui resistono con controricorso il contribuente e il concessionario della riscossione.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 65 d.P.R. n. 600/1973, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto la nullità dell’intimazione di pagamento e della cartella sottesa, in quanto effettuate nei confronti dell’erede personalmente senza il rispetto delle formalità di cui all’art. 65 d.P.R. ult. cit. Osserva parte ricorrente che la notificazione agli eredi collettivamente e impersonalmente nell’ultimo domicilio del de cuius presuppone l’omessa comunicazione al trentesimo giorno prima della notificazione.

– di generalità e domicilio degli eredi da parte degli eredi a termini dell’art. 65, secondo comma, d.P.R. n. 600/1973, laddove in presenza di tale comunicazione la notificazione va effettuata nominativamente agli eredi, essendo in tal caso l’Ufficio dispensato dalle opportune ricerche, conoscenza per l’Ufficio derivante – come risulta dalla sentenza impugnata – dalla denuncia di successione. Deduce il ricorrente che la notificazione all’erede presso il suo domicilio possa, in ogni caso, essere effettuata anche in assenza della comunicazione di cui all’art. 65, secondo comma, d.P.R. n. 600/1973.

2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e 25 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che l’Ufficio avrebbe dovuto procedere ad emettere nuovi ruoli a carico degli eredi del de cuius. Osserva parte ricorrente che l’art. 12 d.P.R. n. 602/1973, avente ad oggetto la formazione del ruolo, prevede che il ruolo vada intestato al contribuente anche dopo il suo decesso.

3. Con il terzo motivo si deduce in via gradata, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 156 cod. proc. civ., per avere il giudice di appello ritenuto nulle le notifiche effettuate dall’Ufficio, laddove tali nullità si sarebbero dovute ritenere sanate dalla proposizione del ricorso.

4. Il primo motivo è fondato. Secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte, in ipotesi di decesso del contribuente, ove gli eredi non abbiano assolto all’onere di comunicazione del proprio domicilio, ai sensi dell’art. 65 del d.P.R. n. 600 del 1973, la circostanza che la notifica dell’atto impositivo non sia stata fatta impersonalmente e collettivamente agli eredi, ma risulti notificata a mani proprie di uno di essi non costituisce elemento idoneo a inficiare la validità del procedimento notificatorio, atteso che la predetta norma pone un’agevolazione in favore dell’ente impositore come conseguenza dell’omessa comunicazione del domicilio fiscale di ciascuno degli eredi (Cass., Sez. V, 1° giugno 2023, n. 15544).

5. Pertanto, anche in caso di omessa comunicazione ex art. 65 d.P.R. n. 600/1973, non può ritenersi nulla la notifica che non sia fatta collettivamente e impersonalmente agli eredi e che sia, invece, effettuata direttamente all’erede, essendo la notificazione impersonale e collettiva agli eredi mera facoltà dell’Ufficio, la cui mancanza non ingenera nullità della notificazione effettuata direttamente all’erede. Ciò in quanto la notificazione di una cartella contenente il debito iscritto a ruolo a carico del de cuius effettuata direttamente nei confronti del soggetto che ha reso noto all’Amministrazione finanziaria di essere subentrato nella posizione ereditaria del de cuius (rendendola edotta dei propri dati anagrafici), appare non meno irrispettosa del diritto di difesa rispetto alla notificazione della cartella eseguita presso l’ultimo domicilio del de cuius impersonalmente nei confronti degli eredi, peraltro già palesatisi con la dichiarazione di successione.

6. Non si condivide, pertanto, il precedente orientamento di questa Corte, che – sotto pena di nullità insanabile – prescriveva che la notifica degli atti impositivi o della riscossione, ove l’evento fosse stato noto all’Ufficio, dovesse essere rigidamente effettuata, in assenza della comunicazione dall’art. 65 d.P.R. n. 600/1973, presso l’ultimo domicilio del de cuius collettivamente ed impersonalmente, ovvero personalmente e nominativamente presso il domicilio degli eredi nell’ipotesi in cui gli stessi avessero effettuato tale incombente (Cass., Sez. V, 22 maggio 2019, n. 13760).

La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione del principio applicabile in tema. È assorbito l’esame del terzo motivo.

7. Il secondo motivo è fondato, posto che – mentre la cartella di pagamento va notificata agli eredi (con le due diverse modalità descritte in relazione al superiore motivo), la formazione del ruolo, disciplinata dall’art. 12 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, va operata al nome del contribuente, pur dopo il suo decesso (Cass., Sez. V, 13 dicembre 2023, n. 34864; Cass., Sez. VI, 30 gennaio 2023, n. 2705; Cass., Sez. V, 26 maggio 2021, n. 14570; Cass., Sez. VI, 17 luglio 2019, n. 19226; Cass., Sez. V, 28 dicembre 2017, n. 31037; Cass., Sez. V, 8 aprile 2016, n. 6856; Cass., Sez. V, 19 febbraio 2014, n. 2024; Cass., Sez. V, 9 gennaio 2014, n. 228).

8. La sentenza va pertanto, cassata, con rinvio per l’esame delle questioni rimaste assorbite, nonché per la regolazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo, dichiara assorbito il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, anche per la regolazione e la liquidazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, in data 25 marzo 2024.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2204.