Cons. Stato Sez. V, Sent., (ud. 21-10-2021) 16-11-2021, n. 7640

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 2297 del 2021, proposto da Ministero della Giustizia, in persona del ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio presso i suoi uffici in Roma, via dei Portoghesi 12;

contro

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Alessandro Lipani, con domicilio digitale p.e.c. indicato nei registri di giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania – Sede di Napoli (sezione prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente la domanda di monetizzazione del congedo ordinario non goduto;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del dottor -OMISSIS-;

Viste le memorie e tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 ottobre 2021 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati delle parti, come da verbale di udienza;

Svolgimento del processo
1. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Campania – Sede di Napoli il dottor -OMISSIS-, già magistrato ordinario, ora in congedo, chiedeva che fosse accertato il suo diritto alla monetizzazione dei giorni di congedo ordinario non fruiti negli anni 2017 e 2018, prima del suo collocamento a riposo per limiti di età, avvenuto nell’agosto del 2018, dopo che questo gli era stato negato dal Ministero della giustizia, con provvedimento della Direzione generale magistrati in data -OMISSIS- (-OMISSIS-), di cui chiedeva l’annullamento.

2. A fondamento del diniego impugnato era posto l’art. 5, comma 8, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini; convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 135), a tenore del quale le ferie “sono obbligatoriamente fruit(e) secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. La presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età”. Nella nota di diniego erano inoltre richiamate la giurisprudenza e la prassi ministeriale formatesi in relazione alla disposizione di legge, in base alle quali la monetizzazione può essere riconosciuta in “ipotesi eccezionali”, ovvero nei soli casi in cui “l’impossibilità di fruire delle ferie, sia stata imprevedibile e non riconducibile in alcun modo al dipendente”. Per il Ministero della giustizia questa ipotesi non era ravvisabile in caso di collocamento a riposo per limiti di età, da considerarsi invece un fatto “da sempre prevedibile da parte del magistrato”.

3. Nel contraddittorio con il Ministero il Tribunale amministrativo accoglieva il ricorso, ed annullato il diniego accertava il diritto del -OMISSIS- a ricevere “il trattamento economico equivalente ai giorni di ferie non goduti”. Ciò sul rilievo che nel caso di specie il ricorrente aveva richiesto di fruire dei giorni di congedo spettantigli (per un totale di 47) e si era visto sempre opporre dinieghi motivati da esigenze di servizio, per cui l’impossibilità sopravvenuta conseguente al collocamento a riposo d’ufficio non poteva essere a lui imputata.

4. Per la riforma della sentenza di primo grado il Ministero della giustizia ha proposto appello, al quale resiste il ricorrente.

Motivi della decisione
1. Nel censurare la pronuncia di primo grado di accoglimento del ricorso, l’appello del Ministero della giustizia premette che con sentenza 6 maggio 2016, n. 95, la Corte costituzionale ha interpretato il citato art. 5, comma 8, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, nel senso che il divieto di monetizzazione in esso contenuto opera ogniqualvolta l’impossibilità di fruire delle ferie “sia riconducibile a una scelta o a un comportamento del lavoratore (dimissioni, risoluzione) o a eventi (mobilità, pensionamento, raggiungimento dei limiti di età), che comunque consentano di pianificare per tempo la fruizione delle ferie e di attuare il necessario contemperamento delle scelte organizzative del datore di lavoro con le preferenze manifestate dal lavoratore”; e che per contro esulano dal suo ambito di applicazione “le vicende estintive del rapporto di lavoro non imputabili alla volontà delle parti”. In questa linea l’appello ricorda che in fattispecie analoghe la giurisprudenza amministrativa ha respinto la domanda del magistrato di monetizzazione delle ferie formulata a ridosso del collocamento a riposo d’ufficio, non seguita dalla relativa fruizione per l’intervenuta cessazione del rapporto di impiego per tale causa (viene richiamata, e prodotta in allegato all’appello, la sentenza del 10 febbraio 2016, n. 1712, del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – Sede di Roma).

2. Tanto premesso, l’appello sostiene che la presente fattispecie avrebbe caratteristiche in termini con quelle del precedente ora richiamato, dal momento che il -OMISSIS- ha formulato una prima domanda di ferie il 21 ottobre 2017, respinta perché “il periodo richiesto era troppo esteso e non coerente con le esigenze di servizio”; e una seconda domanda il 19 febbraio 2018, quando il ricorrente era nel frattempo stato nominato membro della commissione di concorso a magistrato, su sua domanda; la domanda è stata quindi respinta su parere contrario del presidente della commissione di concorso. Al riguardo si sottolinea che a fronte del primo rigetto il -OMISSIS- avrebbe potuto frazionare i periodi di congedo e che il secondo rigetto non può essere ritenuto “equivalente a “rifiuto del datore di lavoro” ai sensi della giurisprudenza sopra citata”. Ad ulteriore dimostrazione dell’imputabilità al ricorrente l’appello ricorda che per il personale di magistratura ordinaria il congedo ordinario deve normalmente essere fruito in coincidenza con il periodo di sospensione feriale, salve diverse ragioni di servizio, e che è ammessa la possibilità di superare il termine massimo dato dal primo semestre dell’anno successivo (art. 15 della L. 11 luglio 1980, n. 312 – Nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato) per oggettiva e comprovata impossibilità. La sentenza di primo grado avrebbe perciò errato nel considerare a favore del -OMISSIS- le “isolate” istanze di ferie del 2017 e 2018, senza invece valutare quanto sul punto dedotto da essa resistente, e cioè che “non risultano agli atti altre istanze, nel lungo lasso di tempo in cui l’interessato avrebbe potuto (e dovuto) organizzarsi con largo anticipo per poter fruire della ferie, sapendo che sarebbe stato collocato a riposo”. Sulla base di ciò, l’appello conclude nel senso che il ricorrente, in vista del collocamento a riposto previsto per l’agosto del 2018, era nelle condizioni di programmare le proprie ferie residue in modo da esaurire quelle maturate a suo favore prima della cessazione del rapporto di impiego, per cui lo stesso non può fondatamente addurre l’impossibilità a lui non imputabile in funzione della monetizzazione.

3. Le censure così sintetizzate sono infondate.

4. Deve premettersi che non è in contestazione l’interpretazione del divieto di monetizzazione delle ferie non godute sancito dal più volte menzionato art. 5, comma 8, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, data dalla Corte costituzionale con sentenza 6 maggio 2016, n. 95, richiamata dall’amministrazione appellante, secondo cui esso si applica quando l’impossibilità di fruire delle ferie è correlata ad un evento prevedibile incidente sul rapporto di impiego, come nel caso di collocamento a riposo d’ufficio, il quale consente di “programmare per tempo la fruizione delle ferie e di attuare il necessario contemperamento delle scelte organizzative del datore di lavoro con le preferenze manifestate dal lavoratore”.

5. Nel caso di specie non è tuttavia possibile ritenere che l’interessato non si sia attivato a tale scopo. E’ infatti pacifico, e provato per documenti, che il -OMISSIS- ha chiesto di fruire delle ferie residue del 2017 e di quelle maturate nel 2018 fino al collocamento a riposo, e che nondimeno le istanze sono state respinte. Come deduce quest’ultimo nella propria memoria difensiva, la circostanza in questione vale a distinguere il caso oggetto del presente giudizio da quello invece deciso nel precedente del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio richiamato dal Ministero appellante (sentenza 10 febbraio 2016, n. 1712), nella cui motivazione si legge che il magistrato ricorrente in quel giudizio non aveva provato “di essere stato nella oggettiva impossibilità, per fatto a lui non imputabile, di godere delle suddette ferie. Né ha documentato di aver, in ipotesi, chiesto di poter usufruire del periodo di ferie del 2015 ed eccezionalmente, anche di quello del 2014, e di essersi visto opporre un rifiuto per esigenze di servizio o per altri motivi”. Nel caso oggetto del presente giudizio il ricorrente si è infatti attivato per evitare di perdere i giorni di ferie ancora da fruire, ed in particolare sia i residui giorni del 2017 che per quelli maturati nel 2018, anno di collocamento a riposo.

6. Il Ministero della giustizia sostiene nondimeno che le due istanze di ferie non sarebbero sufficienti a dimostrare l’oggettiva impossibilità per il magistrato di fruire del congedo spettantegli, e che, in particolare, a fronte del primo rigetto lo stesso ricorrente avrebbe potuto rimodulare il residuo annuale del 2017 di 27 giorni, richiesto al di fuori del periodo di sospensione feriale, mentre il secondo, giustificato dalle evidenti esigenze connesse all’attività della commissione di concorso a magistrato ordinario, non sarebbe imputabile al datore di lavoro, e comunque va fatto risalire alla disponibilità in precedenza data dal ricorrente ad essere nominato commissario.

7. Entrambe le deduzioni vanno respinte.

Deve in contrario affermarsi che il duplice rigetto per ragioni di servizio delle domande di ferie, che come esposto in precedenza non è contestato, è al contempo sufficiente a dimostrare che l’impossibilità di fruire delle ferie a causa del sopravvenuto collocamento a riposo d’ufficio non è imputabile al lavoratore, ma alla stessa amministrazione, in ragione delle esigenze di organizzazione del lavoro su cui tale duplice rigetto si fonda. Al medesimo riguardo sono invece irrilevanti le specifiche ragioni addotte in sede di diniego delle due domande di ferie, posto che ai fini della verifica dei presupposti relativi al diritto alla monetizzazione è sufficiente riscontrare se in vista di una causa di cessazione del rapporto di impiego prevedibile il lavoratore si sia attivato per quanto in suo potere per evitare di giungervi con periodi di congedo dal lavoro non ancora fruiti.

8. Per contro, nell’imputare l’impossibilità di fruizione al magistrato che nondimeno abbia richiesto di fruire delle ferie a lui spettanti il Ministero della giustizia pone a carico dello stesso un onere di allegazione e prova diabolico, concernente le modalità che in ipotesi avrebbero potuto rendere le sue domande accoglibili. Un simile argomentare ribalta impropriamente sul lavoratore la ricerca di soluzioni atte a contemperare l’esigenza di riposo con quelle di organizzazione del servizio, le quali invece spettano in via esclusiva alla parte datoriale.

9. Evidentemente da respingere è poi l’assunto secondo cui l’incarico di commissario per il concorso a magistrato ordinario, pacificamente afferente ai doveri d’ufficio del magistrato stesso, costituisca ragione sufficiente per ritenere che l’impossibilità di fruire delle ferie sia a questo imputabile piuttosto che non all’amministrazione della giustizia, competente sul reclutamento dei magistrati e quindi sull’indizione e lo svolgimento dei relativi concorsi. Deve in particolare escludersi che possa essere imputata alla disponibilità in precedenza dichiarata dal ricorrente ad assumere l’incarico in questione l’impossibilità di fruire delle ferie ancora spettantegli a tale momento, poiché ancora una volta con tale argomentare l’espletamento di compiti rispondenti alle esigenze dell’amministrazione viene indebitamente fatto gravare sul lavoratore sotto il profilo della mancata fruizione del congedo che questi aveva invece richiesto.

10. In forza dei rilievi svolti rimane dunque confermato l’accertamento svolto sul punto decisivo nella presente controversia dalla sentenza di primo grado, e cioè che la mancata fruizione delle ferie non è imputabile al -OMISSIS-, pur a fronte del prevedibile collocamento a riposo, dal momento che quest’ultimo si era attivato per tempo per esaurire le ferie non ancora fruite, ma si era sempre visto opporre un rifiuto dall’amministrazione.

11. In conclusione l’appello deve essere respinto. Le spese di causa sono regolate secondo soccombenza e liquidate in dispositivo.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e condanna il Ministero della giustizia a rifondere al dottor -OMISSIS- le spese di causa, liquidate in € 3.000,00, oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 ottobre 2021 con l’intervento dei magistrati:

Fabio Franconiero, Presidente FF, Estensore

Federico Di Matteo, Consigliere

Alberto Urso, Consigliere

Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere

Anna Bottiglieri, Consigliere


Dati personali: ora si possono “vendere”

Approvato il decreto che, nell’attuare la Direttiva UE 2019/770, prevede anche che i dati personali potranno essere scambiati con beni e servizi

Il 29 ottobre il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto con il quale si attua la Direttiva Europea 2019/770 del 20 maggio 2019, che si occupa di disciplinare determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali.
Il decreto, dopo il capo I del titolo III della parte IV del Codice del Consumo, aggiunge il capo I-bis dedicato ai “contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali” composto dagli articoli che vanno dall’art. 135 octies al 135-vicies ter.
Tali modifiche saranno in vigore a partire dal 1° gennaio 2022.
La novità di maggiore rilievo del provvedimento è rappresentata dalla codificazione dello scambio del dato personale con beni e servizi digitali.
Il dato personale diventa merce di scambio
Il decreto, come annuncia l’art. 1, disciplina alcuni aspetti relativi ai contratti di fornitura di contenuto digitale o di servizi digitali che vedono coinvolti il professionista da un lato e il consumatore dall’altro. Tali aspetti riguardano la conformità del contenuto digitale o del servizio digitale al contratto, i rimedi esperibili in caso di difetto di conformità al contratto o di mancata fornitura, le modalità in cui tali rimedi possono essere esercitati e la modifica del contenuto o del servizio digitale.
Il primo articolo, tra le varie definizioni, contiene anche quella relativa ai “dati personali”, come definiti dall’articolo 4, punto 1), del regolamento (UE) 2016/679.
Il comma 4 dell’art. 1 prevede infatti che: “Le disposizioni del presente capo si applicano altresì nel caso in cui il professionista fornisce o si obbliga a fornire un contenuto digitale o un servizio digitale al consumatore e il consumatore fornisce o si obbliga a fornire dati personali al professionista, fatto salvo il caso in cui i dati personali forniti dal consumatore siano trattati esclusivamente dal professionista ai fini della fornitura del contenuto digitale o del servizio digitale a norma del presente capo o per consentire l’assolvimento degli obblighi di legge cui è soggetto il professionista e quest’ultimo non tratti tali dati per scopi diversi da quelli previsti.”
In pratica quindi con questo decreto si apre la strada allo scambio di dati in pagamento del servizio e non come fornitura di dati, come avviene oggi, effettuata ai fini dell’utilizzo del servizio.
Come sappiamo però non tutti i dati sono uguali, quelli sensibili infatti sono soggetti a regole particolari. Per questo la prima domanda che ci si pone è se anche questo tipo di dato potrà essere utilizzato come moneta di scambio.
Il testo del decreto non fornisce una risposta chiara, anche se al riguardo sembra rassicurare il contenuto dell’art.135-novies (che verrà inserito nel codice del consumo), il quale prevede che le disposizioni nazionali ed europee in materia di protezione dei dati personali (Regolamento (UE) 2016/679), il dlgs n. 101/2018 e il dlgs n. 196/2003 “si applicano a qualsiasi dato personale trattato in relazione ai contratti di cui all’articolo 135-octies, comma 3. In caso di conflitto tra le disposizioni del presente capo e quelle del diritto dell’Unione in materia di protezione dei dati personali, prevalgono queste ultime.”
Sembra quindi, a una prima lettura, che il dato personale, anche se trattato come moneta per acquistare beni e servizi, è sottoposto alla tutela prevista dalla normativa interna ed europea.


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 23-03-2021) 11-11-2021, n. 33285

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina – M. –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. ANTEZZA F. – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9568/2015 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, domicilia;

– ricorrente –

contro

F.E., (C.F.: (OMISSIS)), nato a (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. Cristina Flaccomio, con domicilio eletto presso il citato difensore (con studio in Roma, via G. La Farina n. 6);

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale per l’Umbria n. 625/01/2014), pronunciata il 23 settembre 2014 e depositata il 13 ottobre 2014;

udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 23 marzo 2021 dal Consigliere Fabio Antezza.

Svolgimento del processo
1. L’Agenzia delle Entrate (“A.E.”) ricorre, con due motivi, per la cassazione della sentenza, indicata in epigrafe, di rigetto dell’appello dalla stessa proposto avverso la sentenza n. 93/01/2013, emessa dalla CTP di Terni, che aveva accolto l’impugnazione dell’avviso di accertamento IVA, IRPEF e IRAP, per l’anno 2006.

2. Il Giudice di primo grado, in particolare, dichiarò nullo l’atto impositivo, emesso anche all’esito di un accesso domiciliare nel corso del quale fu rinvenuta documentazione bancaria fonte di successive indagini finanziarie, per la violazione del termine dilatorio di sessanta giorni di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, (c.d. “statuto dei diritti del contribuente”), con conseguente assorbimento delle altre questioni ed eccezioni.

3. La CTR, con la sentenza oggetto di attuale impugnazione, rigettò l’appello dell’A.E. confermando la statuizione impugnata.

Nel dettaglio, sempre per quanto emerge dalla sentenza impugnata e dagli atti di parte, il Giudice d’appello ritenne violato il contraddittorio endoprocedimentale, sotto il profilo del rispetto del termine dilatorio di cui innanzi, in quanto, a fronte di un PVC consegnato al contribuente il 24 ottobre 2011 all’esito anche di accesso domiciliare, l’avviso di accertamento fu sottoscritto (emanato) il 21 dicembre 2011, quindi ante tempus ed in assenza di particolare e motivata urgenza.

Diversamente da quanto prospettato dall’A.E., la Commissione ritenne difatti ininfluente, ai fini del rispetto del termine in oggetto, che nella specie la notificazione dell’atto impositivo fosse avvenuta oltre il sessantesimo giorno dal rilascio del PVC (in particolare, il 28 dicembre 2011) ed escluse la sussistenza di un caso di particolare e motivata urgenza, non potendosi identificare esso nella mera imminente scadenza del termine decadenziale con riferimento all’adozione dell’avviso di accertamento (perché non annoverabile tra gli eventi imprevedibili).

4. Come premesso, avverso la sentenza di secondo grado l’A.E. ha proposto ricorso fondato su due motivi, sostenuto da memoria, ed il contribuente si è difeso con controricorso (sostenuto da memorie), con il quale prospetta anche profili di “inammissibilità e/o improcedibilità del ricorso” oltre che inammissibilità dei singoli motivi.

Motivi della decisione
1. Priorità logico-giuridica ha la disamina della questione pregiudiziale di inammissibilità del ricorso sollevata dal controricorrente con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

L’eccezione è inconferente in ragione della esposizione sommaria dei fatti di causa che, anche per ragioni di specificità in termini di “autosufficienza”, ha necessitato della riproduzione, nelle loro parti essenziali, tanto della relazione di notificazione dell’avviso di accertamento quanto della sentenza impugnata, ed in merito al prospettato passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.

1.1. Infondata è altresì l’eccezione di giudicato della sentenza di primo grado.

Il contribuente, in sostanza, deduce l’inammissibilità dell’appello, alla quale conseguirebbe il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, in forza del mancato deposito della fotocopia della ricevuta di spedizione del ricorso in appello per raccomandata a mezzo del servizio postale, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22 e art. 16, comma 3, (applicabili al processo d’appello anche in forza dell’art. 53, medesimo D.Lgs.). L’appellante, in particolare, a detta dello stesso controricorrente, avrebbe depositato, nei termini di cui al citato art. 22, solo la fotocopia del relativo avviso di ricevimento (pag. 5 del controricorso).

Il rilievo non è pertinente anche se, differentemente da quanto prospettato dal ricorrente, con riferimento ad esso non si pone, nella specie, questione d’inammissibilità, potendo questa Corte comunque rilevare d’ufficio una causa d’inammissibilità dell’appello che il Giudice di merito non abbia riscontrato, con conseguente cassazione senza rinvio della sentenza di secondo grado, non potendosi riconoscere al gravame inammissibilmente spiegato alcuna efficacia conservativa del processo di impugnazione (ex plurimis, limitando i riferimenti solo alle statuizioni più recenti: Cass. sez. 2, 19/10/2018, n. 26525, Rv. 650843-01; Cass. sez. 1, 07/07/2017, n. 16863, Rv. 644842-01).

Come emerge dagli atti processuali, conoscibili da questa Corte in ragione della natura processuale della questione in esame, oltre che dal ricorso e dal controricorso (comprese le depositate memorie), nella specie trattasi di notificazione diretta eseguita da “messo notificatore speciale” ( F.D.) dell’A.E. a mezzo posta, L. n. 890 del 1982, ex art. 14 (sulla legittimità costituzionale del citato art. 14 si vedano, in termini generali, Corte Cost., n. 104 del 2019 e Corte Cost., n. 2 del 2020; per l’utilizzabilità del procedimento di notificazione diretta anche con riferimento al ricorso in appello innanzi alle CTR, si vedano, ex plurimis: Cass. sez. 5, 13/07/2016, n. 14273, Rv. 640538-01; Cass. sez. 5, 30/12/2015, n. 26053, Rv. 638459-01; Cass. sez. 5, 18/11/2011, n. 24245, Rv. 620276-01).

Nella specie, la relata apposta dal messo attesta, facente piena prova fino a querela di falso (Cass. sez. 5, 13/02/2008, n. 3433, Rv. 601914-01), la notificazione a mezzo del servizio postale in data 25 novembre 2013. A ciò deve aggiungersi, peraltro, che l’avviso di ricevimento, depositato già in sede di merito e, come esplicitato dallo stesso controricorrente, nei termini di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22 oltre ad indicare la detta data di spedizione in forma manoscritta (quindi giuridicamente irrilevante per i presenti fini), reca il timbro postale relativo alla consegna del plico a familiare convivente del destinatario (con successiva emissione della CAN) indicante la data del successivo 26 novembre 2013.

Sicché, in relazione alla sentenza di primo grado depositata il 7 maggio 2013 (per quanto emerge da ricorso e controricorso), il rispetto dei termini per impugnare (considerato anche il periodo di sospensione feriale) nella specie emerge in forza di plurime circostanze.

Esso, difatti, risulta in forza dell’attestazione di cui alla relata del messo autorizzato dall’A.E. (cfr. Cass. n. sez. 5, 13/02/2008, n. 601914-01), in quanto recante la data del 25 novembre 2013, ma anche dalla data di ricezione del plico emergente dall’avviso di ricevimento (depositato nei termini di cui al citato art. 22), perchè certificata dall’agente postale come avvenuta il 26 novembre 2013 (conformemente a quanto statuito, ex plurimis, da Cass. Sez. U, 29/05/2017, n. 13452, Rv. 644364-03, e, tra le successive conformi, da Cass. sez. 6-5, 11/05/2018, n. 11559, Rv. 648380-01, oltre che da Cass. sez. 5, 08/10/2020, n. 21683, in motivazione, la quale, riprendendo le argomentazioni di cui alle citate Sezioni Unite, ribadisce la necessità che la produzione di copia dell’avviso di ricevimento avvenga, a pena di inammissibilità, nei termini di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22 per la costituzione del ricorrente).

2. Nel merito (cassatorio) il ricorso è infondato.

3. Con i due motivi di ricorso, suscettibili di trattazione congiunta in ragione della connessione delle questioni inerenti i relativi oggetti, si deducono, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, nonchè (motivo n. 1) del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42.

Ci si duole (motivo n. 1), in sostanza, dell’interpretazione data dalla CTR alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, nel senso per cui l’emanazione del provvedimento impositivo, alla quale si riferisce il termine dilatorio in oggetto, coinciderebbe con l’emissione dell’atto e, quindi, con la sua sottoscrizione, e non con la sua successiva notificazione. Per l’A.E., in sintesi, l’atto sottoscritto e non notificato (e, con esso, la pretesa erariale) non avrebbe data certa; esso, in termini maggiormente categorici, non potrebbe considerarsi atto “perfetto”.

In subordine, per l’ipotesi di infondatezza della censura di cui innanzi, con il motivo n. 2 la ricorrente prospetta una rivisitazione dell’approdo costituito da Cass. Sez. U, 29/07/2013, n. 18184, Rv. 627474-01, ravvisante, quale ipotesi di nullità del provvedimento impositivo, l’omesso rispetto del termine dilatorio, qualora lo si legga nel senso dell’irrilevanza, ai fini di essa, della prova che “la mancata partecipazione al procedimento del contribuente avrebbe portato alla enunciazione di un atto diverso (in ulteriore subordine, si sollecita questione pregiudiziale innanzi alla Corte di giustizia ex art. 267 TFUE).

Le prospettazioni di cui innanzi sono argomentate in ragione di principi costituzionali (collaborazione, buona fede, buon andamento e imparzialità dell’attività amministrativa), in forza di statuizioni della Corte di giustizia (Corte giust., sentenza 3 luglio 2014, in cause riunite C-129/13 e C-130/13) nonchè, a dire della ricorrente, dall’ordinanza interlocutoria di questa Corte n. 156 del 9 luglio 2014.

3.1. I motivi in esame sono infondati anche se ammissibili, differentemente da quanto prospettato dal controricorrente che, invece, difendendosi in ordine al motivo n. 1 di ricorso, inammissibilmente, mira sostanzialmente a sindacare, con controricorso, la decisione d’appello per non aver rilevato una presunta novità della domanda tradottasi in motivo d’appello che, peraltro, neanche prospetta di aver dedotto in secondo grado. La risoluzione della questione di cui alla seconda doglianza, invece, al momento della decisione da parte della CTR (e finanche al momento della proposizione del ricorso per cassazione) era ancora in fieri nella giurisprudenza di legittimità, con conseguente non operatività, nella specie, dell’art. 360 bis c.p.c..

3.2. Nel merito cassatorio, occorre muovere da Cass. Sez. U, 29/07/2013, n. 18184, Rv. 627474-01, per la quale l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento determina di per sè, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus. Ciò in quanto trattasi di termine posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante, come chiarito dalle Sezioni Unite, non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio.

Successivamente, Cass. Sez. U., 09/12/2015, n. 24823 ha chiarito che l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto, purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito. Non sussiste, poi, alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino” (e sempre che, nella specie si sia effettivamente trattato di tale tipo di indagini).

3.3. Premesso il quadro normativo di riferimento, in merito all’ambito di operatività del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, anche in rapporto alla c.d. “prova di resistenza”, il collegio ritiene di dare continuità ai principi di recente sanciti e ribaditi da questa Corte (ex plurimis: Cass. sez. 5, 15/01/2019, n. 701, Rv. 652456-01, Cass. sez. 5, 15/01/2019, n. 702, in motivazione, e Cass. sez. 5, 11/09/2019, n. 22644, Rv. 655048-01), alla luce di una lettura dei citati approdi delle Sezioni Unite nel quadro costituzionale ed Eurounitario di riferimento e, quindi, in applicazione dei due principi cardine del diritto comunitario regolanti il diritto fondamentale al contraddittorio endoprocedimentale (con conseguente insussistenza dei presupposti del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia sollecitato dalla ricorrente). Tali sono il principio di equivalenza, in virtù del quale le modalità previste per l’applicazione del tributo armonizzato non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano analoghi procedimenti amministrativi per tributi di natura interna, ed il principio di effettività, non dovendo la disciplina nazionale rendere in concreto impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione, derivandone che il contribuente deve essere posto nelle condizioni di esercitare il contraddittorio (si vedano: CGUE 18 dicembre 2008 C-349/07 Sopropè – Organizagoes de Calgado Lda contro Fazenda Pública; CGUE 3 luglio 2014 C-129 e 130/13 Kamino International Logistics BV e Da tema Hellmann Worldwide Logistics BV contro Staatssecretaris van Financien, p. 75; CGUE 8 marzo 2017, Euro Park Service C-14/16 p. 36, in materia di rimborsi; CGUE 9 novembre 2017, Ispas C-298/16 p.p. 30,31, resa proprio sull’IVA; CGUE 20 dicembre 2017, Preqù Italia srl C-276/16, p. 45 sul diritto al contraddittorio in materia doganale).

3.4. Orbene, proprio dando continuità ai principi giurisprudenziali sopra esposti, ai fini dell’interpretazione dell’art. 12, comma 7, in oggetto questa Corte ha osservato, in primo luogo, che la norma non a caso non distingue tra tributi armonizzati e non. In via generale, infatti, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, è già stata operata dal legislatore una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio, attraverso la comminatoria espressa di nullità dell’atto impositivo nel caso di mancato rispetto del termine dilatorio di 60 giorni per consentire al contribuente l’interlocuzione con l’Amministrazione finanziaria, a far data dalla conclusione delle operazioni di controllo.

Tale disciplina nazionale, quindi, già a monte, ingloba la “prova di resistenza”, nel pieno rispetto della giurisprudenza della CGUE (Kamino, cit., p. 80; Sopropè, cit., p. 37).

Siffatta interpretazione è al tempo stesso rispettosa anche dei principi generali dell’ordinamento giuridico nazionale civile, amministrativo e tributario, secondo cui la regola della strumentalità delle forme, ai fini del rispetto del contraddittorio, viene meno in presenza di un’espressa sanzione di nullità comminata dalla legge per la violazione in questione.

In secondo luogo, coerentemente con quanto precede, è stato evidenziato da questa Corte, con le statuizioni innanzi già citate, che l’operatività della “prova di resistenza”, di cui alle citate Sezioni Unite del 2015, non può che essere circoscritta al caso di assenza di un’espressa previsione del legislatore nazionale di nullità per violazione del contraddittorio. Solo in assenza di un’espressa sanzione di nullità introdotta dal legislatore per il caso di violazione del contraddittorio, vi può difatti essere spazio per il giudice affinchè possa operare una valutazione ex post, caso per caso, sull’intervenuto rispetto del contraddittorio o meno.

A quanto innanzi si è aggiunta, quale ulteriore logica conseguenza, che, anche per i tributi armonizzati, scatta la prova di resistenza ai fini del contraddittorio endoprocedimentale nel solo caso in cui la normativa interna non preveda la sanzione della nullità.

Specularmente, ove il legislatore già preveda tale sanzione non opera il riferimento alla prova di resistenza.

In conclusione, ai fini delle imposte armonizzate, la prova di resistenza non opera nelle tre ipotesi in cui nei confronti del contribuente sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, dovendosi applicare solo nel caso di verifiche a tavolino.

Ne consegue in definitiva che la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, effettua, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio già operata dal legislatore, attraverso la previsione espressa di una nullità per mancato rispetto del termine dilatorio che già, a monte, ingloba la “prova di resistenza”, sia con riferimento ai tributi armonizzati che in ordine a quelli non armonizzati (non effettuando la norma alcuna distinzione in merito alle conseguenze sanzionatorie).

Sicchè, anche per i tributi armonizzati, tra i quali, come nella specie, l’IVA, scatta la prova di resistenza, ai fini della verifica del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, solo nel caso di mancata previsione da parte della normativa interna della sanzione della nullità, invece prevista dal citato art. 12, comma 7, per l’ipotesi della violazione del termine dilatorio.

3.5. L’applicazione alla fattispecie concreta dei principi di cui innanzi implica che correttamente la CTR ha ritenuto operante il termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, quindi non necessaria la prova di resistenza (anche per l’IVA), trattandosi di provvedimento impositivo, avviso di accertamento IVA (tributo armonizzato), IRPEF e IRAP (tributi non armonizzati), emesso all’esito di accesso domiciliare.

Parimenti infondata è la censura che si incentra sull’interpretazione del riferimento che il citato comma 7 fa all’emanazione dell’atto ante tempus, in continuità all’orientamento di legittimità attualmente consolidatosi ed in linea con il descritto quadro normativo di riferimento (in forza del consapevole superamento del precedente difforme costituito da Cass. sez. 5, 09/07/2014, n. 15648, Rv. 632232-01).

L’atto impositivo sottoscritto dal funzionario dell’ufficio in data anteriore alla scadenza del termine di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, ancorchè, come nella specie, notificato successivamente alla sua scadenza, è difatti illegittimo, atteso che la norma tende a garantire il contraddittorio procedimentale consentendo al contribuente di far valere le sue ragioni quando l’atto impositivo è ancora in fieri, integrando, viceversa, la notificazione una mera condizione di efficacia dell’atto amministrativo ormai perfetto e, quindi, già emanato (in termini si vedano anche Cass. sez. 5, 31/07/2018, n. 20267, Rv. 650151-01; Cass. sez. 6-5, 12/07/2017, n. 17202, Rv. 644932-01; Cass. sez. 6-5, 07/03/2016, n. 5361, in motivazione; Cass. sez. 6-5, 28/05/2015, n. 11088, in motivazione).

3.6. La lettura del citato art. 12, comma 7, innanzi evidenziata, emergente tanto delle ripercorse Sezioni unite del 2015 quanto dall’ulteriore sintetizzata elaborazione di questa Corte, implica, in questa sede, per la rilevanza con riferimento alla fattispecie, il necessario superamento di quanto statuito da Cass. sez. 5, 26/11/2014, n. 633378-01.

Per tale ultima decisione (comunque antecedente agli approdi di legittimità innanzi riportati), “in tema di contenzioso tributario, deve considerarsi inammissibile per carenza d’interesse concreto del ricorrente la censura relativa al mancato rispetto del termine di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, qualora, in caso di avviso di accertamento emanato prima, ma notificato successivamente alla sua scadenza, il contribuente non abbia formulato alcuna osservazione nei sessanta giorni successivi al rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, attesa l’assenza di un effettivo pregiudizio all’esercizio dei mezzi di tutela accordati dalla legge e, cioè, della possibilità di far valere le proprie ragioni nella fase amministrativa dell’accertamento” (cfr., massima ufficiale).

Da un lato, difatti, tale statuizione implicitamente accede all’orientamento, ora prevalente, consolidato ed in questa sede ribadito, per il quale rileva, ai fini del rispetto del termine dilatorio, il momento dell’emissione del provvedimento inteso in termini di sottoscrizione di esso.

Per altro verso, però, la detta decisione, facendo derivare l’inammissibilità (per carenza d’interesse) della censura relativa alla violazione del citato art. 12, comma 7, dalla mancata formulazione di osservazioni nel termine dilatorio, non si mostra in linea con il suesposto orientamento, pacifico, per il quale, in caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, il mero non rispetto del termine dilatorio implica nullità, cosi reintroducendo la c.d. “prova di resistenza”.

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità, anche in ragione del descritto consolidarsi degli orientamenti oggetto delle questioni prospettate dalla ricorrente.

P.Q.M.
rigetta il ricorso, spese compensate.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021


Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., (ud. 23-06-2021) 09-11-2021, n. 32950

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10354-2015 proposto da:

D.S.G., G.G. e G.P., nella qualità di eredi di G.D., e da S.D.R., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ALBERICO II n. 4, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO BORGIA, rappresentati e difesi dagli avvocati ANDREA LO CASTRO e CONCETTA BOSURGI;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI MESSINA, in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato ope legis in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ARTURO MERLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 505/2014 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 10/04/2014 R.G.N. 264/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/06/2021 dal Consigliere Dott. DI PAOLANTONIO ANNALISA.

Svolgimento del processo
CHE:

1. la Corte d’Appello di Messina ha respinto l’appello di S.D.R. e di G.D., entrambi direttori di sezione amministrativa inquadrati nell’area D posizione economica D3, avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda, proposta nei confronti del Comune di Messina, di pagamento della retribuzione di posizione e di risultato prevista dal CCNL 31.3.1999 e dal CCNL 22.1.2004 per i dipendenti del comparto regioni autonomie locali in favore dei titolari di posizione organizzativa di alta professionalità;

2. la Corte territoriale, richiamata la disciplina contrattuale, ha evidenziato che gli appellanti ne avevano invocato l’applicazione sostenendo di aver svolto attività comportanti funzioni di direzione di unità organizzative di particolare complessità, caratterizzate da elevato grado di autonomia gestionale e, pertanto, riconducibili alla previsione del CCNL 31 marzo 1999, art. 8, lett. a), per il personale del comparto autonomie locali;

3. il giudice d’appello ha accertato, in punto di fatto, che in realtà l’ente nel periodo in discussione non aveva ancora completato l’iter procedimentale previsto dalla contrattazione collettiva per l’istituzione delle posizioni organizzative ed ha aggiunto, richiamando giurisprudenza di questa Corte, che il diritto soggettivo può sorgere solo alle condizioni previste dal c.c.n.l. e quindi, prima dell’istituzione e del conferimento formale, il dipendente non può domandare né la retribuzione di risultato e di posizione né il risarcimento del danno da perdita di chances;

4. per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso S.D.R. e gli eredi di G.D. sulla base di due motivi, illustrati da memoria, ai quali ha resistito con controricorso il Comune di Messina.

Motivi della decisione
CHE:

1. il ricorso denuncia, con il primo motivo, violazione ed errata del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, dell’art. 36 Cost., del CCNL 31 marzo 1999, artt. 8 e 9, del CCNL 22 gennaio 2004, art. 10, perché ha errato la Corte territoriale nel ritenere che la domanda dovesse essere respinta per il solo fatto che non fossero state ultimate le procedure previste dalla contrattazione collettiva in relazione alla istituzione ed al conferimento delle posizioni organizzative;

1.1. i ricorrenti, sulla premessa dell’applicabilità alla fattispecie del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 e dell’art. 36 Cost., sostengono di avere agito per ottenere la retribuzione adeguata alla qualità e quantità del lavoro prestato e di avere invocato i CCNL succedutisi nel tempo solo come parametro di riferimento per la quantificazione del compenso aggiuntivo, che andava riconosciuto, a prescindere dal conferimento dell’incarico con atto formale, in ragione della maggiore complessità dell’attività prestata e della più incisiva responsabilità che dalla stessa derivava;

2. la seconda censura, ricondotta al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, addebita al giudice d’appello l’omesso esame circa un fatto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti nonché la violazione dei principi di cui all’art. 111 Cost., comma 7, in una lettura integrata con l’art. 6 CEDU;

2.1. assumono i ricorrenti che la Corte territoriale ha del tutto omesso di considerare che l’iter amministrativo era stato già avviato e si trovava in una fase avanzata in quanto l’ente, oltre a deliberare l’istituzione delle posizioni organizzative, aveva anche individuato i criteri generali per la valutazione ed aveva istituito il Nucleo di valutazione;

3. il primo motivo di ricorso è infondato;

questa Corte ha più volte affermato (cfr. fra le tante Cass. nn. 15902/2018; 4890/2018; 28085/2017; 12724/2017; 12556/2017; 14591/2016; 2550/2015; 11198/2015) che il diritto del pubblico dipendente a percepire l’indennità di posizione sorge solo se la P.A. datrice di lavoro ha istituito la relativa posizione, perchè l’istituzione rientra nell’attività organizzativa dell’Amministrazione la quale deve tener conto delle proprie esigenze e soprattutto dei vincoli di bilancio, che, altrimenti, non risulterebbero rispettati laddove si dovesse pervenire all’affermazione di un obbligo indiscriminato;

3.1. è stato precisato anche che l’esclusiva rilevanza da attribuire all’atto costitutivo delle posizioni organizzative, adottato discrezionalmente, comporta che è da escludere che prima dell’adozione di tale atto sia configurabile un danno da perdita di chance per il dipendente che assuma l’elevata probabilità di essere destinatario dell’incarico e l’irrilevanza, ai suddetti fini, di eventuali atti preparatori endoprocedimentali nonché dell’espletamento di fatto di mansioni assimilabili a quelle della posizione non istituita;

3.2. i richiamati principi sono stati affermati da Cass. n. 11198/2015 e da Cass. n. 15902/2018 anche in relazione alla disciplina dettata dal CCNL 31.3.1999 di revisione del sistema di classificazione del personale per il comparto delle regioni e delle autonomie locali e si è evidenziato, in continuità con quanto già statuito da Cass. S.U. n. 16540/2008, che l’apparente diversità di formulazione delle disposizioni contrattuali rispetto a quelle relative ad altri comparti non legittima conclusioni diverse, in quanto le esigenze di servizio sono comunque valorizzate nell’art. 9, che subordina l’istituzione delle posizioni organizzate all’attuazione dei principi di razionalizzazione previsti dal D.Lgs. n. 29 del 1993 (all’epoca vigente), alla ridefinizione delle strutture e delle dotazioni organiche dell’ente, all’istituzione e attivazione dei servizi di controllo interno o dei nuclei di valutazione;

3.3. correttamente, pertanto, la Corte territoriale, all’esito dell’accertamento di fatto non censurabile in questa sede, ha escluso la fondatezza della domanda sul rilievo che la pretesa si riferiva alle funzioni esercitate in un arco temporale in cui non esisteva alcuna posizione organizzativa formalmente istituita dal Comune di Messina, perché l’iter era stato solo avviato dall’ente ed era ancora in corso, in ragione della complessità degli adempimenti e delle scelte organizzative da compiere;

3.4. i ricorrenti non prospettano argomenti che possano indurre il Collegio a rimeditare l’orientamento già espresso ed erroneamente richiamano il principio di diritto affermato da Cass. n. 8148/2018 che si riferisce a fattispecie non assimilabile a quella oggetto di causa perchè in quel caso faceva difetto solo il conferimento formale dell’incarico e le posizioni organizzative erano state formalmente istituite dall’ente, che aveva portato a compimento tutte le procedure, anche quelle inerenti la graduazione degli incarichi, necessario presupposto per l’attribuzione della retribuzione di posizione e di risultato;

4. il secondo motivo è inammissibile, sia perché la censura esula dai limiti del riformulato art. 360 c.p.c., n. 5, come interpretato da Cass. S.U. n. 8053/2014, sia in quanto le argomentazioni svolte sono prive della necessaria specifica attinenza al decisum;

la Corte territoriale, infatti, non ha omesso di considerare che l’iter era già stato avviato (pag. 3 della motivazione) bensì ha ritenuto la circostanza non decisiva alla luce dell’orientamento sopra richiamato, alla stregua del quale il diritto soggettivo può sorgere solo una volta ultimate le procedure ed istituite formalmente le posizioni, senza che possano assumere rilevanza “atti preparatori endoprocedimentali” (pag. 5 della motivazione);

5. in via conclusiva il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;

6. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dai ricorrenti.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 23 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021


Riunione del Consiglio Generale del 13.12.2021

Ai sensi dell’art. 15 dello Statuto, viene convocata la riunione Consiglio Generale che si svolgerà lunedì 13 dicembre 2021 alle ore 16:00 in modalità webinar in prima convocazione, e alle ore 18:00 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:

  1. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2021;
  2. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2022;
  3. Approvazione quote di adesione ad A.N.N.A. per l’anno 2022;
  4. Rinnovo contrattuale 2019-2021: inquadramento Messi Comunali
  5. Attività formativa 2021/2022;
  6. Varie ed eventuali.

Leggi: GC 13 12 2021 Documentazione


Riunione Giunta Esecutiva del 11.12.2021

Ai sensi dell’art. 14 dello Statuto, viene convocata in PRESENZA la riunione della Giunta Esecutiva, che si svolgerà sabato 11 dicembre 2021 alle ore 8:30, in prima convocazione, e alle ore 10:30 in seconda convocazione, presso il Comune di Cesena – Palazzo Municipale – Piazza del Popolo 10, per deliberare sul seguente ordine del giorno:

  1. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2021;
  2. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2022;
  3. Approvazione quote di iscrizione anno 2022;
  4. Rinnovo Contrattuale 2019-2021. Inquadramento Messi Comunali
  5. Convocazione Assemblea Generale ordinaria (Rinnovo Organi Istituzionali)
  6. Convocazione Assemblea Generale straordinaria (Modifiche allo Statuto)
  7. Attività formativa 2022;
  8. Varie ed eventuali.

 

Leggi: GE 11 12 2021 Documenti

Leggi: GE 11 12 2021 Verbale


Notifica decreto ingiuntivo: nulla o inesistente? Quali differenze

La Corte Suprema di Cassazione fa chiarezza sulla distinzione tra notifica nulla e notifica inesistente del decreto ingiuntivo e sulle conseguenze circa l’efficacia dell’atto

I rimedi per la notifica inesistente o nulla del decreto ingiuntivo

Con la sentenza n. 28573/2021, pubblicata il 18 ottobre 2021, la Corte Suprema di Cassazione ha fatto luce sulla differenza tra notifica nulla e notifica inesistente del decreto ingiuntivo, evidenziando le conseguenze procedurali che derivano da tale distinzione.

La vicenda trae origine da un caso di decreto ingiuntivo da notificare oltre i confini nazionali nei confronti di uno Stato estero, al fine di ottenere il pagamento di una commessa di lavori pubblici svolti da un’azienda italiana.

La notifica dell’atto in questione veniva effettuata via posta, tramite corriere internazionale. La consegna, però, veniva effettuata presso il Ministero della Giustizia del Paese estero, laddove il debitore risultava invece essere lo Stato, in qualità di committente dei lavori.

Per questa ragione, lo Stato estero, che successivamente era venuto a conoscenza dell’atto, agiva in giudizio per far dichiarare l’inefficacia del decreto ingiuntivo, poiché la notifica non risultava eseguita ai sensi dell’art. 644 c.p.c. A tal fine, proponeva ricorso ex art. 188 disp. att. c.p.c., ritenendo la notifica inesistente.

In aggiunta, proponeva anche opposizione tardiva contro il decreto ingiuntivo ex art. 650 c.p.c., sul presupposto che la notifica, qualora da considerarsi esistente, fosse comunque irregolare in quanto nulla.

È proprio questo il cuore della questione: la differenza tra notifica inesistente e notifica nulla. Le due patologie vanno fatte valere con due procedimenti differenti e danno origine a conseguenze diverse.

Infatti, con l’art. 188 disp. att. c.p.c. si mira a far valere l’inesistenza della notifica che comporta l’inefficacia del decreto ingiuntivo “a tutti gli effetti”.

Con il rimedio previsto dall’art. 650 c.p.c., invece, si instaura un normale giudizio di cognizione, analogo all’ordinaria opposizione a d.i. ex art. 645 c.p.c., in cui va accertata la validità del credito.

La Corte Suprema di Cassazione (successivamente adita dalle parti) offre un’interessante ricostruzione di tale distinzione.

Respinte entrambe le richieste in primo grado (e quindi ritenuta esistente, valida e tempestiva la notifica eseguita presso il Ministero estero), la Corte d’Appello successivamente adita riteneva esistente ma nulla la notifica, poiché il Ministero era considerato un ente semplicemente ricollegabile, ma pur sempre diverso, dallo Stato.

Ammetteva perciò l’opposizione tardiva, ma respingeva comunque nel merito le richieste del ricorrente nel conseguente giudizio di cognizione.

A questo punto, il Paese estero debitore adiva la Corte Suprema di Cassazione per vedere riconosciute le proprie ragioni e in particolare per ottenere la declaratoria di inesistenza della notifica.

Notifica nulla o inesistente: differenze

Con la sentenza in oggetto, che trovate allegata in fondo all’articolo, la Corte Suprema di Cassazione accoglieva il ricorso dello Stato estero, cogliendo l’occasione per evidenziare alcuni aspetti che distinguono una notifica nulla da una inesistente.

La questione è particolarmente importante perché, come ricorda la Corte Suprema di Cassazione, se la notifica viene considerata nulla diventa ammissibile l’opposizione tardiva, che dà accesso ad una fase di cognizione nel merito.

Invece, quando viene dichiarata l’inesistenza della notifica, l’atto di ingiunzione diviene inefficace poiché, in sostanza, si ritiene che il creditore non abbia avuto interesse a proseguire nel suo intento recuperatorio. Di conseguenza, alla dichiarazione di inesistenza non consegue alcuna fase di cognizione nel merito.

Al riguardo, la Corte Suprema di Cassazione ha rilevato che “la nozione di inesistenza della notificazione di un atto giudiziario è configurabile nei casi di totale mancanza materiale dell’atto, nonché nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità.”

“Tali elementi” – prosegue la Corte Suprema di Cassazione – “consistono:

  1. a) nell’attività di trasmissione, che deve essere svolta da un soggetto qualificato e dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato;
  2. b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi ex lege eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa”.

Sul punto la Corte Suprema di Cassazione richiamava anche le precedenti sentenze Cass. SS.UU. n. 14916 del 2016 e n. 29729 del 2019.

Nel caso concreto, la Corte Suprema di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo inesistente (e non nulla) la notifica del d.i., poiché non effettuata presso i soggetti pubblici identificati da apposita convenzione internazionale (diversi dal Ministero), e pertanto da considerarsi «meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa», difettando quindi l’elemento essenziale della consegna dell’atto al destinatario.


SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO DI ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA (UE) 2019/770

SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO DI ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA (UE) 2019/770 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO DEL 20 MAGGIO 2019 RELATIVA A DETERMINATI ASPETTI DEI CONTRATTI DI FORNITURA DI CONTENUTO DIGITALE E DI SERVIZI DIGITALI

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;
Visto l’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400;
Visti gli articoli 31 e 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234;
Vista la legge 22 aprile 2021, n. 53, recante delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2019-2020, ed in particolare 1, comma 1 e l’allegato A, numero 11;
Vista la direttiva (UE) 2019/770 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 maggio 2019 relativa a determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali;
Visto il codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 29 luglio 2021;
Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;
Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del… ;
Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico e dell’economia e delle finanze e degli affari esteri e della cooperazione internazionale;
Emana
il seguente decreto legislativo:
ART. 1
(Modifiche al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206)
1. Dopo il capo I del titolo III della parte IV del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, recante Codice del consumo, è inserito il seguente:
«Capo I-bis Dei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali
Art. 135-octies
(Ambito di applicazione e definizioni)
1. Il presente capo disciplina taluni aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale o di servizi digitali conclusi tra consumatore e professionista, fra i quali la conformità del contenuto digitale o del servizio digitale al contratto, i rimedi in caso di difetto di conformità al contratto o di mancata fornitura, le modalità di esercizio degli stessi, nonché la modifica del contenuto digitale o del servizio digitale.
2. Ai fini del presente capo si intende per:
a) contenuto digitale: i dati prodotti e forniti in formato digitale;
b) servizio digitale:
1) un servizio che consente al consumatore di creare, trasformare, archiviare i dati o di accedervi in formato digitale; oppure

2) un servizio che consente la condivisione di dati in formato digitale, caricati o creati dal consumatore e da altri utenti di tale servizio, o qualsiasi altra interazione con tali dati;
c) beni con elementi digitali: qualsiasi bene mobile materiale che incorpora o è interconnesso con un contenuto digitale o un servizio digitale in modo tale che la mancanza di detto contenuto digitale o servizio digitale impedirebbe lo svolgimento delle funzioni del bene;
d) integrazione: il collegamento del contenuto o del servizio digitale con le componenti dell’ambiente digitale del consumatore e l’incorporazione in dette componenti affinché il contenuto digitale o il servizio digitale sia utilizzato nel rispetto dei requisiti di conformità
previsti dal presente capo;
e) professionista: qualsiasi persona fisica o giuridica, indipendentemente dal fatto che si tratti di un soggetto pubblico o privato, ovvero un suo intermediario, che agisca per finalità che rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, in relazione ai contratti oggetto dal presente capo, ivi compreso il fornitore di piattaforme se agisce per finalità che rientrano nel quadro della sua attività e in quanto controparte contrattuale del consumatore per la fornitura di contenuto digitale o di servizi digitali;
f) consumatore: la persona fisica di cui all’articolo 3, comma 1, lettera a);
g) prezzo: la somma di denaro o una rappresentazione digitale del valore dovuto come corrispettivo per la fornitura di contenuto digitale o di servizio digitale;
h) dati personali: i dati personali quali definiti all’articolo 4, punto 1), del regolamento (UE) 2016/679;
i) ambiente digitale: l’hardware, il software e le connessioni di rete di cui il consumatore si serve per accedere al contenuto digitale o al servizio digitale o per usarlo;
l) compatibilità: la capacità del contenuto digitale o del servizio digitale di funzionare con hardware o software con cui sono normalmente utilizzati contenuti digitali o servizi digitali dello stesso tipo, senza che sia necessario convertire il contenuto digitale o il servizio digitale;
m) funzionalità: la capacità del contenuto digitale o del servizio digitale di svolgere tutte le sue funzioni in considerazione del suo scopo;
n) interoperabilità: la capacità del contenuto digitale o del servizio digitale di funzionare con hardware o software diversi da quelli con cui sono normalmente utilizzati i contenuti digitali o i servizi digitali dello stesso tipo;
o) supporto durevole: ogni strumento che permetta al consumatore o al professionista di archiviare le informazioni che gli sono personalmente indirizzate, in modo da potervi accedere in futuro per un periodo di tempo adeguato alle finalità cui esse sono destinate e che permetta la
riproduzione identica delle informazioni archiviate.
3. Le disposizioni del presente capo si applicano a qualsiasi contratto in cui il professionista fornisce, o si obbliga a fornire, un contenuto digitale o un servizio digitale al consumatore e il consumatore corrisponde un prezzo o si obbliga a corrispondere un prezzo.
4. Le disposizioni del presente capo si applicano altresì nel caso in cui il professionista fornisce o si obbliga a fornire un contenuto digitale o un servizio digitale al consumatore e il consumatore fornisce o si obbliga a fornire dati personali al professionista, fatto salvo il caso in cui i dati personali forniti dal consumatore siano trattati esclusivamente dal professionista ai fini della fornitura del contenuto digitale o del servizio digitale a norma del presente capo o per consentire l’assolvimento degli obblighi di legge cui è soggetto il professionista e quest’ultimo non tratti tali dati per scopi diversi da quelli previsti.
5. Le disposizioni del presente capo si applicano anche se il contenuto digitale o il servizio digitale è sviluppato secondo le specifiche indicazioni del consumatore.
6. Fatti salvi gli articoli 135-decies, commi 1 e 2, e 135-septiesdecies, le disposizioni del presente capo si applicano anche al supporto materiale che funge esclusivamente da vettore di contenuto digitale.
Art. 135-novies
(Esclusioni)
1. Le disposizioni del presente capo non si applicano ai contenuti digitali o ai servizi digitali incorporati o interconnessi con beni di cui all’articolo 135-octies, comma 2, lettera c), e che sono forniti con il bene ai sensi di un contratto di vendita relativo a tali beni, indipendentemente dal fatto che detti contenuti digitali o servizi digitali siano forniti dal venditore o da un terzo.
Quando è dubbio che la fornitura del contenuto digitale incorporato o interconnesso o servizio digitale incorporato o interconnesso faccia parte del contratto di vendita, si presume che il contenuto digitale o il servizio digitale incorporato o interconnesso rientri nel contratto di vendita del bene.
2. Le disposizioni del presente capo non si applicano ai contratti concernenti:
a) la fornitura di servizi diversi dai servizi digitali, indipendentemente dal fatto che il professionista ricorra o meno a forme o mezzi digitali per ottenere il risultato del servizio o consegnarlo o trasmetterlo al consumatore;
b) servizi di comunicazioni elettroniche ai sensi dell’articolo 2, punto 4), della direttiva (UE) 2018/1972 ad eccezione dei servizi di comunicazioni interpersonale senza numero di cui all’articolo 2, punto 7), di tale direttiva;
c) servizi di assistenza sanitaria, per i servizi prestati da professionisti sanitari a pazienti, al fine di valutare, mantenere o ristabilire il loro stato di salute, ivi compresa la prescrizione, la somministrazione e la fornitura di medicinali e dispositivi medici, sia essa fornita o meno attraverso le strutture di assistenza sanitaria;
d) servizi di gioco d’azzardo, vale a dire servizi che implicano una posta di valore pecuniario in giochi di fortuna, compresi quelli con un elemento di abilità, come le lotterie, i giochi d’azzardo nei casinò, il poker e le scommesse, che vengano forniti mediante strumenti elettronici o qualsiasi altra tecnologia che facilita le comunicazioni e su richiesta individuale di un destinatario di tali servizi;
e) servizi finanziari, vale a dire qualsiasi servizio di natura bancaria, creditizia, assicurativa, servizi pensionistici individuali, di investimento o di pagamento;
f) software offerto dal professionista sulla base di una licenza libera e aperta, in cui il consumatore non corrisponde un prezzo e i dati personali forniti dal consumatore stesso sono trattati esclusivamente dal professionista al fine di migliorare la sicurezza, la compatibilità o l’interoperabilità del software specifico;
g) la fornitura di contenuto digitale se il contenuto digitale è messo a disposizione del pubblico con mezzi diversi dalla trasmissione di segnale quale parte di uno spettacolo o di un evento, come le proiezioni cinematografiche digitali;
h) contenuto digitale fornito da enti pubblici, a norma della direttiva 2019/1024 del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico.
3. Fatto salvo quanto previsto dal comma 1, qualora un singolo contratto tra professionista e consumatore comprenda in un unico pacchetto elementi di fornitura di contenuto digitale o di un servizio digitale ed elementi relativi alla fornitura di altri beni o servizi, le disposizioni del presente capo si applicano unicamente agli elementi del contratto che riguardano il contenuto digitale o il servizio digitale. L’articolo 135-vicies semel non si applica se un pacchetto di servizi o di servizi e apparecchiature disciplinato dal codice europeo delle comunicazioni elettroniche
include elementi:
a) di un servizio di comunicazione elettronica a disposizione del pubblico che fornisce accesso a Internet, ovvero connettività a praticamente tutti i punti finali di Internet, a prescindere dalla tecnologia di rete e dalle apparecchiature terminali utilizzate;
b) o di un servizio di comunicazioni interpersonale che si connette a risorse di numerazione assegnate pubblicamente – ossia uno o più numeri che figurano in un piano di numerazione nazionale o internazionale – o consente la comunicazione con uno o più numeri che figurano in un piano di numerazione nazionale o internazionale.
4. Se il consumatore ha il diritto di risolvere qualsiasi elemento del pacchetto di cui al comma 3 prima della scadenza contrattuale concordata per ragioni di mancata conformità al contratto o di mancata fornitura, ha diritto di risolvere il contratto in relazione a tutti gli elementi del pacchetto.
5. In caso di conflitto tra le disposizioni del presente capo e una disposizione di un altro atto dell’Unione che disciplina uno specifico settore o oggetto, la disposizione di tale altro atto dell’Unione e quelle nazionali di recepimento prevalgono su quelle del presente capo.
6. Le disposizioni nazionali e quelle del diritto dell’Unione in materia di protezione dei dati personali, in particolare quanto previsto dal regolamento (UE) 2016/679, nonché dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101 e dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, si applicano a qualsiasi dato personale trattato in relazione ai contratti di cui all’articolo 135-octies, comma 3.
In caso di conflitto tra le disposizioni del presente capo e quelle del diritto dell’Unione in materia di protezione dei dati personali, prevalgono queste ultime.
7. Le disposizioni del presente capo non pregiudicano il diritto dell’Unione e nazionale sul diritto d’autore e sui diritti connessi.
Art. 135-decies
(Fornitura di contenuto digitale o servizio digitale e conformità al contratto)
1. Il professionista fornisce il contenuto digitale o il servizio digitale al consumatore. Salvo diverso accordo tra le parti, il professionista fornisce il contenuto digitale o il servizio digitale al consumatore senza ritardo ingiustificato dopo la conclusione del contratto.
2. Il professionista ha adempiuto l’obbligo di fornitura quando:
a) il contenuto digitale o qualunque mezzo idoneo per accedere al contenuto digitale o per scaricarlo è reso disponibile o accessibile al consumatore, o all’impianto fisico o virtuale scelto a tal fine dal consumatore;
b) il servizio digitale è reso accessibile al consumatore o a un impianto fisico o virtuale scelto all’uopo dal consumatore.
3. Il professionista fornisce al consumatore beni che soddisfano i requisiti di cui ai commi 4 e 5, nonché quelli di cui agli articoli 135-undecies e 135-duodecies in quanto compatibili, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 135-terdecies.
4. Per essere conforme al contratto il contenuto digitale o il servizio digitale deve possedere i seguenti requisiti soggettivi, ove pertinenti:
a) corrispondere alla descrizione, alla quantità e alla qualità previste dal contratto e presentare funzionalità, compatibilità, interoperabilità e le altre caratteristiche previste dal contratto;
b) essere idoneo ad ogni uso particolare voluto dal consumatore e che è stato da questi portato a conoscenza del professionista al più tardi al momento della conclusione del contratto e che il professionista ha accettato;
c) essere fornito con tutti gli accessori, le istruzioni, anche in merito all’installazione e l’assistenza ai clienti, come previsti dal contratto; e
d) essere aggiornato come previsto dal contratto.

5. Oltre a rispettare i requisiti soggettivi di conformità, il bene per essere conforme al contratto  di vendita deve possedere i seguenti requisiti oggettivi, ove pertinenti:
a) essere adeguato agli scopi per cui sarebbe abitualmente utilizzato un contenuto digitale o un servizio digitale del medesimo tipo, tenendo conto, se del caso, dell’eventuale diritto dell’Unione e nazionale e delle norme tecniche esistenti, oppure, in mancanza di tali norme tecniche, dei codici di condotta dell’industria specifici del settore applicabili;
b) essere della quantità e presentare la qualità e le caratteristiche di prestazione, anche in materia di funzionalità, compatibilità, accessibilità, continuità e sicurezza, che si ritrovano abitualmente nei contenuti digitali o nei servizi digitali dello stesso tipo e che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi, tenuto conto della natura del contenuto digitale o del servizio digitale, tenendo conto di eventuali dichiarazioni pubbliche rese da o per conto dell’operatore economico o di altri soggetti nell’ambito dei precedenti passaggi della catena contrattuale distributiva, soprattutto nei messaggi pubblicitari e nell’etichettatura, a meno che il professionista non dimostri, anche alternativamente, che:
1) non era a conoscenza e non poteva ragionevolmente essere a conoscenza della dichiarazione pubblica in questione;
2) al momento della conclusione del contratto, la dichiarazione pubblica era stata rettificata nello stesso modo, o in modo paragonabile, a quello in cui era stata resa; oppure
3) la decisione di acquistare il contenuto digitale o il servizio digitale non poteva essere influenzata dalla dichiarazione pubblica;
c) ove pertinente, essere fornito assieme agli eventuali accessori e istruzioni che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi di ricevere; e
d) essere conforme all’eventuale versione di prova o anteprima del contenuto digitale o del servizio digitale messa a disposizione dal professionista prima della conclusione del contratto.
Art. 135-undecies
(Obblighi del professionista e condotta del consumatore)
1. Il professionista è obbligato a tenere informato il consumatore sugli aggiornamenti disponibili, anche di sicurezza, necessari al fine di mantenere la conformità del contenuto digitale o del servizio digitale, e a fornirglieli, nel periodo di tempo:
a) durante il quale il contenuto digitale o il servizio digitale deve essere fornito a norma del contratto, se questo prevede una fornitura continua per un determinato periodo di tempo; oppure
b) che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi, date la tipologia e la finalità del contenuto digitale o del servizio digitale e tenendo conto delle circostanze e della natura del contratto, se questo prevede un unico atto di fornitura o una serie di singoli atti di fornitura.
2. Se il consumatore non installa entro un congruo termine gli aggiornamenti forniti dal professionista ai sensi del comma 1, il professionista non è responsabile per qualsiasi difetto di conformità derivante unicamente dalla mancanza dell’aggiornamento pertinente, a condizione
che:
a) il professionista abbia informato il consumatore della disponibilità dell’aggiornamento e delle conseguenze della mancata installazione dello stesso da parte del consumatore; e
b) la mancata installazione o l’installazione errata dell’aggiornamento da parte del consumatore non è dovuta a carenze delle istruzioni di installazione fornite dal professionista.
3. Se il contratto prevede che il contenuto digitale o il servizio digitale sia fornito in modo continuativo per un determinato periodo di tempo, l’obbligo di assicurare la conformità del contenuto digitale o il servizio digitale permane per l’intera durata di tale periodo.
4. Non vi è difetto di conformità ai sensi del comma 1 o dell’articolo 135-decies, comma 5, se, al momento della conclusione del contratto, il consumatore era stato specificamente informato del fatto che una caratteristica particolare del contenuto digitale o del servizio digitale si discostava dai requisiti oggettivi di conformità previsti da tali disposizioni e il consumatore ha espressamente e separatamente accettato tale scostamento al momento della conclusione del contratto.
5. Salvo diverso accordo tra le parti, il contenuto digitale o il servizio digitale è fornito nella versione più recente disponibile al momento della conclusione del contratto.
ART. 135-duodecies
(Errata integrazione del contenuto digitale o del servizio digitale)
1. L’eventuale difetto di conformità che deriva da un’errata integrazione del contenuto digitale o del servizio digitale nell’ambiente digitale del consumatore deve essere considerato difetto di conformità del contenuto digitale o del servizio digitale se:
a) il contenuto digitale o servizio digitale è stato integrato dal professionista o sotto la sua responsabilità; oppure
b) il contenuto digitale o il servizio digitale richiedeva integrazione da parte del consumatore e l’errata integrazione è dovuta a una carenza delle istruzioni di integrazione fornite dal professionista.
ART. 135-terdecies
(Diritti dei terzi)
1. I rimedi di cui all’articolo 135-octiesdecies si estendono ai casi di impedimento o limitazione d’uso del contenuto o del servizio digitale in conformità a quanto previsto dall’articolo 135-decies, commi 4 e 5, conseguenti ad una restrizione derivante dalla violazione di diritti dei terzi, in particolare di diritti di proprietà intellettuale, fatte salve altre disposizioni previste dall’ordinamento giuridico in tema di nullità, annullamento o altre ipotesi di scioglimento del contratto.
ART. 135-quaterdecies
(Responsabilità del professionista)
1. Il professionista è responsabile per la mancata fornitura del contenuto digitale o del servizio digitale conformemente all’articolo 135-decies, commi 1 e 2.
2. Qualora un contratto preveda un unico atto di fornitura o una serie di singoli atti di fornitura, il professionista è responsabile per qualsiasi difetto di conformità a norma degli articoli 135-decies, commi 4 e 5, 135-undecies, 135-duodecies e 135-quindecies, esistente al momento della fornitura, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 135-undecies, comma 1, lettera b).
3. Il professionista è responsabile solamente per i difetti di conformità che si manifestano entro due anni a decorrere dal momento della fornitura, fatto salvo l’articolo 135-undecies, comma 1, lettera b).
4. L’azione diretta a far valere i difetti sussistenti al momento della fornitura e non dolosamente occultati dal professionista si prescrive, in ogni caso, nel termine di ventisei mesi da tale momento, ove risultino evidenti entro tale termine.
5. Se il contratto prevede la fornitura continuativa per un periodo di tempo, il professionista risponde di un difetto di conformità, a norma degli articoli 135-decies, commi 4 e 5, 135-undecies e 135-duodecies se il difetto si manifesta o risulta evidente nel periodo di tempo durante il quale il contenuto digitale o il servizio digitale deve essere fornito a norma del contratto.
6. L’azione diretta a far valere i difetti emersi nel corso della fornitura e non dolosamente occultati dal professionista si prescrive, in ogni caso, nel termine di ventisei mesi dall’ultimo atto di fornitura.
Art. 135-quindecies
(Diritto di regresso)
1. Il professionista, quando è responsabile nei confronti del consumatore a causa della mancata fornitura di un contenuto digitale o di un servizio digitale o per l’esistenza di un difetto di conformità imputabile ad un’azione o ad un’omissione di una persona nell’ambito dei passaggi precedenti della medesima catena contrattuale distributiva ha diritto di regresso nei confronti del soggetto o dei soggetti responsabili facenti parte della suddetta catena distributiva.
2. Il professionista che abbia ottemperato ai rimedi esperiti dal consumatore può agire, entro un anno dall’esecuzione della prestazione, in regresso nei confronti del soggetto o dei soggetti responsabili per ottenere la reintegrazione di quanto prestato.
Art. 135-sexiesdecies
(Onere della prova)
1. L’onere della prova riguardo al fatto se il contenuto digitale o il servizio digitale sia stato fornito in conformità dell’articolo 135-decies, commi 1 e 2, è a carico del professionista.
2. Nei casi di cui all’articolo 135-quaterdecies, comma 2, l’onere della prova della conformità al contratto del contenuto digitale o del servizio digitale al momento della fornitura è a carico del professionista per un difetto di conformità che risulti evidente entro il termine di un anno dal momento in cui il contenuto digitale o il servizio digitale è stato fornito.
3. Nei casi di cui all’articolo 135-quaterdecies, comma 5, l’onere della prova della conformità al contratto del contenuto digitale o il servizio digitale durante il periodo di tempo in cui avviene la fornitura è a carico del professionista per un difetto di conformità che si manifesta entro tale periodo.
4. I commi 2 e 3 non si applicano se il professionista dimostra che l’ambiente digitale del consumatore non è compatibile con i requisiti tecnici del contenuto digitale o del servizio digitale e se ha informato il consumatore di tali requisiti in modo chiaro e comprensibile prima della conclusione del contratto.
5. Il consumatore collabora con il professionista per quanto ragionevolmente possibile e necessario al fine di accertare se la causa del difetto di conformità del contenuto digitale o del necessario servizio digitale al momento specificato dall’articolo 135-quaterdecies, commi 2 o 5, a seconda dei casi, risieda nell’ambiente digitale del consumatore. L’obbligo di collaborazione è limitato ai mezzi tecnicamente disponibili che siano meno intrusivi per il consumatore. Se il consumatore non collabora e se il professionista ha informato il consumatore dei requisiti inerenti il necessario ambiente digitale in modo chiaro e comprensibile prima della conclusione del contratto, l’onere della prova riguardo all’esistenza del difetto di conformità al momento di cui all’articolo 135-quaterdecies, commi 2 e 5 è a carico del consumatore.
Art. 135-septiesdecies
(Rimedio per la mancata fornitura)
1. Se il professionista ha omesso di fornire il contenuto digitale o il servizio digitale conformemente all’articolo 135-decies, commi 1 e 2, il consumatore invita il professionista a fornire il contenuto digitale o il servizio digitale. Se il professionista omette nuovamente di fornire il contenuto digitale o il servizio digitale entro un termine congruo oppure entro un ulteriore termine espressamente concordato dalle parti, il consumatore ha il diritto di risolvere il contratto.
2. Il comma 1 non trova applicazione e il consumatore ha il diritto di risolvere immediatamente il contratto se:
a) il professionista ha dichiarato, o risulta altrettanto chiaramente dalle circostanze, che non fornirà il contenuto digitale o il servizio digitale;
b) il consumatore e il professionista hanno convenuto, o risulta evidente dalle circostanze che accompagnano la conclusione del contratto, che un tempo specifico per la fornitura è essenziale per il consumatore e il professionista omette di fornire il contenuto digitale o il servizio digitale
entro o in tale momento.
3. Se il consumatore risolve il contratto a norma dei commi 1 e 2, si applicano le disposizioni previste dagli articoli da 135-noviesdecies a 135-vicies.
Art. 135-octiesdecies
(Rimedi per difetti di conformità)
1. In caso di difetto di conformità del bene, il consumatore ha diritto al ripristino della conformità, o a ricevere una congrua riduzione del prezzo, o alla risoluzione del contratto sulla base delle condizioni stabilite nel presente articolo.
2. Il consumatore ha diritto al ripristino della conformità del contenuto digitale o del servizio digitale, a meno che ciò non sia impossibile o imponga al professionista costi che sarebbero sproporzionati, tenuto conto di tutte le circostanze del caso e, in particolare, delle seguenti:
a) il valore che il contenuto digitale o servizio digitale avrebbe in assenza di difetto di conformità; e
b) l’entità del difetto di conformità.
3. Il professionista rende il contenuto digitale o il servizio digitale conforme ai sensi del comma 2, entro un congruo termine a partire dal momento in cui è stato informato dal consumatore in merito al difetto di conformità, senza spese e senza notevoli inconvenienti per il consumatore, tenuto conto della natura del contenuto digitale o del servizio digitale e dell’uso che il consumatore intendeva farne.
4. Il consumatore ha diritto a una riduzione proporzionale del prezzo a norma del comma 5 se il contenuto digitale o il servizio digitale è fornito in cambio del pagamento di un prezzo, o alla risoluzione del contratto conformemente al comma 6, in uno dei casi seguenti:
a) il rimedio del ripristino della conformità del contenuto digitale o del servizio digitale è impossibile o sproporzionato ai sensi del comma 2;
b) il professionista non ha ripristinato la conformità del contenuto digitale o del servizio digitale ai sensi del comma 3;
c) si manifesta un difetto di conformità, nonostante il tentativo del professionista di ripristinare la conformità del contenuto digitale o servizio digitale;
d) il difetto di conformità è talmente grave da giustificare un’immediata riduzione del prezzo o risoluzione del contratto; oppure

e) il professionista ha dichiarato, o risulta altrettanto chiaramente dalle circostanze, che non procederà al ripristino della conformità del contenuto digitale o del servizio digitale entro un congruo termine o senza notevoli inconvenienti per il consumatore.
5. La riduzione del prezzo è proporzionale alla diminuzione di valore del contenuto digitale o del servizio digitale fornito al consumatore rispetto al valore che avrebbe se fosse stato conforme.
Se il contratto stabilisce che il contenuto digitale o il servizio digitale deve essere fornito per un determinato periodo di tempo in cambio del pagamento di un prezzo, la riduzione di prezzo si applica al periodo di tempo in cui il contenuto digitale o il servizio digitale non è stato conforme.
6. Se il contenuto digitale o il servizio digitale è stato fornito in cambio del pagamento di un prezzo, il consumatore non ha diritto di risolvere il contratto se il difetto di conformità è di lieve entità. L’onere della prova riguardo al fatto che il difetto di conformità è di lieve entità è a carico del professionista.
Art. 135-noviesdecies
(Risoluzione del contratto)
1. Il consumatore esercita il diritto alla risoluzione del contratto mediante una dichiarazione al venditore in cui manifesta la volontà di risolvere il contratto.
2. In caso di risoluzione del contratto il professionista rimborsa al consumatore tutti gli importi versati in esecuzione del contratto. Tuttavia, se il contratto prevede la fornitura del contenuto digitale o del servizio digitale in cambio del pagamento di un prezzo e per un periodo di tempo, e il contenuto digitale o il servizio digitale è stato conforme per un periodo di tempo prima della risoluzione del contratto, il professionista rimborsa al consumatore solo la parte dell’importo pagato corrispondente al periodo in cui il contenuto digitale o il servizio digitale non è stato conforme e qualsiasi parte del prezzo pagato in anticipo dal consumatore relativa al periodo di durata del contratto rimanente se il contratto non fosse stato risolto.
3. Per quanto riguarda i dati personali del consumatore, il professionista è tenuto a rispettare gli obblighi derivanti dal regolamento (UE) 2016/679 nonché dal decreto legislativo n. 101 del 2018.
4. Il professionista si astiene dall’utilizzare qualsiasi contenuto diverso dai dati personali che sia stato fornito o creato dal consumatore nell’ambito dell’utilizzo del contenuto digitale o del servizio digitale fornito dal professionista, fatto salvo il caso in cui tale contenuto:
a) sia privo di utilità al di fuori del contesto del contenuto digitale o del servizio digitale fornito dal professionista;
b) si riferisca solamente all’attività del consumatore nell’utilizzo del contenuto digitale o del servizio digitale fornito dal professionista;
c) sia stato aggregato dal professionista ad altri dati e non possa essere disaggregato o comunque non senza uno sforzo sproporzionato; o
d) sia stato generato congiuntamente dal consumatore e altre persone, e altri consumatori possano continuare a utilizzare il contenuto.
5. Ad eccezione delle situazioni di cui al comma 4, lettere a), b) o c), il professionista mette a disposizione del consumatore, su richiesta dello stesso, contenuti diversi dai dati personali, che sono stati forniti o creati dal consumatore durante l’utilizzo del contenuto digitale o del servizio
digitale fornito dal professionista. Il consumatore ha il diritto di recuperare dal professionista tali contenuti digitali gratuitamente e senza impedimenti, entro un congruo lasso di tempo e in un formato di uso comune e leggibile da dispositivo automatico.
6. Il professionista può impedire qualsiasi ulteriore utilizzo del contenuto digitale o del servizio digitale da parte del consumatore, in particolare rendendogli il contenuto digitale o il servizio digitale inaccessibile o disattivando il suo account utente, fatto salvo quanto previsto al comma 5.
7. In seguito alla risoluzione del contratto, il consumatore si astiene dall’utilizzare il contenuto digitale o il servizio digitale e dal metterlo a disposizione di terzi.
8. Se il contenuto digitale è stato fornito su un supporto materiale, il consumatore lo restituisce al professionista, su richiesta e a spese di quest’ultimo, senza indebito ritardo. Se il professionista decide di chiedere la restituzione del supporto materiale, è tenuto a presentare la richiesta entro quattordici giorni a decorrere dal giorno in cui il professionista è stato informato della decisione del consumatore di risolvere il contratto.
9. Il consumatore non è tenuto a pagare per l’uso del contenuto digitale o del servizio digitale nel periodo precedente la risoluzione del contratto durante il quale il contenuto digitale o il servizio digitale non è stato conforme.
Art. 135-vicies
(Rimborso al consumatore)
1. Eventuali rimborsi dovuti al consumatore dal professionista a norma dell’articolo 135-octiesdecies, commi 4 e 5, o dell’articolo 135-noviesdecies, comma 2, dovuti alla riduzione del prezzo o alla risoluzione del contratto sono effettuati senza ritardo ingiustificato e, in ogni caso,
entro quattordici giorni dal giorno in cui il professionista è informato della decisione del consumatore di esercitare il diritto del consumatore a una riduzione di prezzo o il suo diritto alla risoluzione dal contratto.
2. Il professionista effettua il rimborso utilizzando lo stesso mezzo di pagamento usato dalla risoluzione del consumatore per pagare il contenuto digitale o il servizio digitale, salvo che il consumatore consenta espressamente all’uso di un altro mezzo e non debba sostenere alcuna spesa relativa al rimborso.
3. Il professionista non impone al consumatore alcuna commissione in relazione al rimborso.
Art. 135-vicies semel
(Modifica del contenuto digitale o del servizio digitale)
1. Se il contratto prevede che il contenuto digitale o il servizio digitale sia fornito o reso accessibile al consumatore per un certo periodo di tempo, il professionista può modificare il contenuto digitale o il servizio digitale oltre a quanto è necessario per mantenere la conformità del contenuto digitale o del servizio digitale a norma degli articoli 135-decies, commi 4 e 5, e 135-undecies, se sono soddisfatte le condizioni seguenti:
a) il contratto consente tale modifica e ne fornisce una motivazione valida;
b) tale modifica è realizzata senza costi aggiuntivi per il consumatore;
c) il consumatore è informato in modo chiaro e comprensibile della modifica; e
d) nei casi di cui al comma 2, il consumatore è informato, con un anticipo ragionevole su un supporto durevole, sulle modalità e il momento in cui viene effettuata la modifica, nonché circa il suo diritto di recedere dal contratto conformemente al comma 2 o circa la possibilità di mantenere il contenuto digitale o il servizio digitale senza tale modifica secondo quanto previsto al comma 4.
2. Il consumatore ha il diritto di recedere dal contratto qualora tale modifica incida negativamente sull’utilizzo del contenuto digitale o del servizio digitale o sull’accesso allo stesso da parte del consumatore, a meno che tali conseguenze negative siano trascurabili. In tal caso, il consumatore ha diritto a recedere dal contratto gratuitamente entro un termine di trenta giorni dalla data di ricevimento dell’informazione o, se successivo, dal momento in cui il contenuto digitale o il servizio digitale è stato modificato dal professionista.
3. Se il consumatore recede dal contratto conformemente al comma 2 del presente articolo, si applicano gli articoli 135-noviesdecies e 135-vicies.
4. I commi 2 e 3 del presente articolo non si applicano se il professionista ha consentito che, applicando senza costi aggiuntivi, il consumatore mantenga il contenuto digitale o il servizio digitale senza modifica e se è preservata la conformità del contenuto digitale o del servizio digitale.
Art. 135-vicies bis
(Carattere imperativo delle disposizioni)
1. Salvo quanto altrimenti disposto dal presente capo, è nullo ogni patto, anteriore alla comunicazione al professionista del difetto di conformità, o dell’informazione del consumatore da parte del professionista circa la modifica del contenuto digitale o del servizio digitale, volto ad escludere o limitare a danno del consumatore, anche in modo indiretto, i diritti riconosciuti dal presente capo. La nullità può essere fatta valere solo dal consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice.
2. Il professionista può sempre offrire al consumatore condizioni contrattuali di maggior tutela rispetto a quanto previsto dalle disposizioni del presente capo.
3. È nulla ogni clausola contrattuale che, prevedendo l’applicabilità al contratto di una legislazione di uno Stato non appartenente all’Unione europea, abbia l’effetto di privare il consumatore della protezione assicurata dal presente capo, laddove il contratto presenti uno stretto collegamento con il territorio di uno Stato membro dell’Unione europea.
Art. 135-vicies ter
(Tutela in base ad altre disposizioni)
1. Per quanto non previsto dal presente capo, si applicano le disposizioni del codice civile in tema di formazione, validità ed efficacia dei contratti, comprese le conseguenze della risoluzione del contratto e il diritto al risarcimento del danno.
2. Per gli aspetti disciplinati dal presente capo non si applicano altre disposizioni aventi l’effetto di garantire al consumatore un livello di tutela diverso.”.
ART. 2
(Disposizioni finali)
1. Le modifiche apportate al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, dall’articolo 1, comma 1 del presente decreto acquistano efficacia a decorrere dal 1° gennaio 2022 e si applicano alle forniture di contenuto digitale o di servizi digitali che avvengono a decorrere da tale data, fatta
eccezione per gli articoli 135-quindecies e 135-vicies semel che si applicano ai contratti conclusi a decorrere da tale data.
2. Il Ministero dello sviluppo economico informa la Commissione europea, entro 60 giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, delle disposizioni adottate nella materia disciplinata dalla direttiva (UE) 2019/770 e qualsiasi successiva modifica della normativa interna.
ART. 3
(Disposizioni finanziarie)
1. Dall’attuazione delle disposizioni di cui al presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti previsti dal presente decreto con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili
a legislazione vigente.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare


Ruolo impugnabile senza la regolare notifica

L’estratto di ruolo è sempre impugnabile ove l’agente della Riscossione non provi la regolare notifica della cartella di pagamento e non fornisca alcuna prova circa il concreto rispetto, in caso di irreperibilità assoluta del destinatario, di tutti gli adempimenti stabiliti dalla legge e, in particolare dall’articolo 60, comma 1, lettera e) del Dpr n. 600/1973, quali il deposito dell’atto impositivo, in busta chiusa e sigillata, nel Comune di domicilio fiscale risultante dall’ultima dichiarazione annuale, l’affissione dell’avviso di deposito dell’atto impositivo nell’albo del medesimo Comune e il decorso del termine di otto giorni da tale affissione.

Sono queste le principali conclusioni cui è giunta la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con la sentenza 3440/11 depositata l’8 luglio 2021, riformando integramente la sentenza pronunciata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Roma.

La vicenda posta a base della decisione dei giudici laziali trae origine dal ricorso proposto da una srl dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma avverso una cartella esattoriale (relativa a maggiori imposte dovute per l’anno 2012) riportata su un estratto di ruolo e, asseritamente, mai notificata. Ritenendo provata la regolare notifica della cartella sulla base di una mera busta cartacea prodotta dall’agente della Riscossione, la Commissione Tributaria Provinciale di Roma dichiarava inammissibile il ricorso avverso la cartella riportata nell’estratto di ruolo.

La sentenza di primo grado veniva così tempestivamente impugnata dalla srl dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con richiesta di integrale riforma per aver, invero, ritenuto valida la notifica della cartella esattoriale sebbene la busta prodotta da Riscossione in giudizio fosse (in gran parte) illeggibile e non riportasse un chiaro collegamento con la cartella stessa.

Nell’accogliere l’appello e nel condannare Riscossione al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, con la sentenza della Commissione Tributaria Regionale n. 3440/11 i giudici laziali hanno preliminarmente precisato che, così come statuito dalla Corte Suprema di Cassazione a sezioni unite con la sentenza n. 19704/2015, qualora il vizio di notifica abbia cagionato la mancata contezza della pretesa, il contribuente può ricorrere contro l’atto impositivo non appena ne viene a conoscenza, anche tramite l’estratto di ruolo. È pertanto ammessa l’impugnazione della cartella riportata nell’estratto di ruolo nei casi, ad esempio, di indebito utilizzo della procedura per gli irreperibili assoluti o di errori commessi dall’agente notificatore o dal postino a seguito di mutamento di residenza, oppure di consegna dell’atto a persona non riconducibile al contribuente.

Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio ha constatato che al fine di provare la regolarità della notifica della cartella di pagamento l’agente della riscossione non ha fornito alcuna prova circa il concreto rispetto di tutti gli adempimenti previsti nella ipotesi di irreperibilità assoluta del destinatario, limitandosi a depositare in atti la copia di una busta postale, dalla quale non è stato possibile operare alcun sicuro collegamento con la cartella stessa. Invero, al fine di provare l’avvenuta notifica della cartella esattoriale, Riscossione avrebbe dovuto produrre documenti attestanti la regolare esecuzione, da parte dell’agente notificatore, di tutta la procedura stabilita dall’articolo 60, comma 1, lettera e) del Dpr n. 600/1973, applicabile anche alle società di capitali, in caso di soggetti irreperibili assoluti, e in particolare:

1. il deposito della cartella, in busta chiusa e sigillata, nel Comune di domicilio fiscale della srl risultante dall’ultima dichiarazione annuale;
2. l’affissione dell’avviso di deposito della cartella nell’albo del medesimo Comune;
3. il decorso del termine di otto giorni da tale affissione.

Nel caso in cui non sia possibile eseguire la notifica per irreperibilità, infatti, il mancato rispetto della predetta procedura rende inesistente la notifica dell’atto impositivo.


Riunione Giunta Esecutiva del 22.10.2021

Ai sensi dell’art. 14 dello Statuto, viene convocata la riunione della Giunta Esecutiva che si svolgerà venerdì 22 ottobre 2021 alle ore 19:00, in modalità webinar, in prima convocazione, e alle ore 21:00 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:
1.Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2021;
2.Iniziativa sulla valorizzazione del Messo Comunale/Notificatore;
3.Varie ed eventuali.

 

Leggi: 


Cass. civ. Sez. I, Sent., (ud. 13-07-2021) 18-10-2021, n. 28573

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4052/2020 proposto da:

Repubblica Federativa del Brasile, in persona dell’Avvocato Generale dell’Unione pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Ventiquattro Maggio n. 43, presso lo studio dell’avvocato Giardina Andrea, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati Bernava Andrea, Curcuruto Monica, Martuccelli Silvio, giusta procura speciale per Notaio J.A. di (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.p.a., in persona del curatore avv. S.S., elettivamente domiciliato in Roma, Viale di Villa Grazioli n. 20, presso lo studio dell’avvocato Albanese Ginammi Lorenzo, rappresentata e difesa dall’avvocato Cesare Fabio, giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

Repubblica Federativa del Brasile, in persona dell’Avvocato Generale dell’Unione pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Ventiquattro Maggio n. 43, presso lo studio dell’avvocato Giardina Andrea, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati Bernava Andrea, Curcuruto Monica, Martuccelli Silvio, giusta procura speciale per Notaio J.A. di (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2744/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, pubblicata il 19/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/07/2021 dal cons. Dott. LAMORGESE ANTONIO PIETRO;

lette le conclusioni scritte, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, conv. in L. n. 176 del 2020, del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NARDECCHIA GIOVANNI BATTISTA, che chiede l’accoglimento del ricorso principale ed il rigetto del ricorso incidentale.

Svolgimento del processo
Il Tribunale di Arezzo, sezione distaccata di Montevarchi, su ricorso della (OMISSIS) Spa (poi fallita), emetteva decreto ingiuntivo n. 47/2012 che ordinava alla Repubblica Federativa del Brasile (RFB) di pagare il residuo importo di Euro 246.771.392,40, a titolo di corrispettivo dell’incarico di progettazione del collegamento ferroviario (TAV) tra (OMISSIS), commissionato alla (OMISSIS) dalla Valec Engenharia Construcoes e Ferrovias S.a. (impresa statale cui era delegato lo sviluppo dell’infrastruttura ferroviaria brasiliana), per il quale la RFB rivestiva la posizione di garante.

La RFB proponeva ricorso ex art. 188 disp. att. c.p.c. (dichiarato inammissibile dal tribunale in data 18 gennaio 2013) per fare dichiarare inefficace il decreto ingiuntivo per inesistenza della notifica e, contemporaneamente, in pendenza dell’esecuzione presso terzi iniziata ai suoi danni, proponeva opposizione che veniva dichiarata inammissibile perchè tardiva: il tribunale riteneva valida la notifica del decreto con sentenza n. 1454/2017, impugnata da RFB dinanzi alla Corte d’appello di Firenze che, con sentenza del 19 novembre 2019, nel contraddittorio con il Fallimento (OMISSIS), dichiarava nulla la notifica del decreto e ammissibile l’opposizione della RFB ex art. 650 c.p.c., ma la rigettava nel merito confermando il decreto opposto.

La Corte territoriale, dichiarando inammissibile il primo motivo di appello con cui RFB aveva censurato la mancata dichiarazione di inesistenza della notificazione del decreto, osservava che l’unico mezzo per far valere l’inesistenza della notificazione fosse quello di cui all’art. 188 disp. att. c.p.c. (peraltro già dichiarato inammissibile dal Tribunale in altro procedimento) e non la proposta opposizione a decreto ingiuntivo; che la notifica del decreto non era valida (diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice) nè inesistente ma nulla, in quanto l’atto era comunque pervenuto a un soggetto (Ministero della giustizia brasiliano) ricollegabile alla destinataria RFB, la quale, venutane a conoscenza tardivamente, poteva proporre opposizione ex art. 650 c.p.c.: in particolare, la notifica era stata effettuata a mezzo dell’ufficiale giudiziario tramite corriere internazionale all’autorità consolare italiana in Brasile che lo aveva trasmesso al Ministero della giustizia brasiliano che aveva rimesso la richiesta al Tribunale Superiore di giustizia, il quale, tuttavia, aveva rifiutato l’autorizzazione, ai sensi dell’art. 2 del Trattato del 17 ottobre 1989, ratificato dall’Italia con L. n. 336 del 18 agosto 1993, relativo all’assistenza giudiziaria ed al riconoscimento ed esecuzione delle sentenze in materia civile tra la Repubblica italiana e la Repubblica federativa del Brasile; infine, la Corte dichiarava assorbito il secondo motivo di gravame di RFB e rigettava il terzo, in relazione al quale giudicava la RFB responsabile in via sussidiaria per le obbligazioni inadempiute da Valec, ai sensi dell’art. 37, comma 6 Costituzione brasiliana, e corretta la quantificazione del compenso dovuto; rigettava l’eccezione di giudicato formulata dal Fallimento (OMISSIS) sul presupposto (secondo l’eccipiente) che la fondatezza della pretesa creditoria risultasse da altri decreti ingiuntivi: il n. 314/2011 (nei confronti di RFB, quale garante, per l’importo di Euro 15.000.000,00) e il n. 123/2009 (nei confronti di Valec per l’importo di Euro 246.771.392,40).

Avverso questa sentenza ricorrono per cassazione, in via principale, la RFB con tre motivi e, in via incidentale, il Fallimento (OMISSIS) con due motivi.

Il ricorso è stato esaminato in camera di consiglio senza l’intervento del Procuratore generale e dei difensori delle parti, secondo la disciplina dettata dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, inserito dalla Legge di conversione 18 dicembre 2020, n. 176.

Il P.G. ha depositato requisitoria scritta e le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo, la ricorrente principale RFB denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 188 disp. att. c.p.c., artt. 644 e 645 c.p.c., artt. 4, 15, 16 e 18 del citato Trattato del 17 ottobre 1989, ratificato ed eseguito con L. n. 336 del 1993, e omessa motivazione su un fatto decisivo costituente oggetto del giudizio, per avere dichiarato inammissibile il motivo di appello con cui RFB aveva censurato la mancata declaratoria di inesistenza della notificazione del decreto ingiuntivo n. 47/2012 (che la RFB sosteneva essere stata) effettuata senza rispettare le formalità previste dal Trattato sull’assistenza giudiziaria, il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze in materia civile tra la Repubblica italiana e la Repubblica federativa del Brasile, cioè dall’ufficiale giudiziario a mezzo posta. La Corte avrebbe erroneamente ritenuto che l’unico mezzo per far valere l’inesistenza della notificazione fosse quello di cui all’art. 188 disp. att. c.p.c., mentre era certamente ammessa anche l’azione ordinaria (come quella proposta) per far dichiarare l’inesistenza della notificazione e, di conseguenza, l’inefficacia del decreto.

2.- Il motivo è fondato.

3.- Preliminarmente, si osserva che la Corte territoriale, pur avendo dichiarato inammissibile il motivo di appello di RFB volto a far dichiarare l’inesistenza della notifica e, dunque, l’inefficacia del decreto ingiuntivo n. 47/2012, ha comunque esaminato nel merito la questione della esistenza e validità della notifica del decreto che ha ritenuto nulla (e non inesistente) e ciò le ha consentito coerentemente – ma erroneamente – di ritenere ammissibile l’azione (qualificata in termini) di opposizione tardiva, sulla quale ha deciso nel merito rigettandola.

La censura formulata da RFB è, in realtà, volta chiaramente a contestare la sentenza impugnata nella parte decisiva concernente la valutazione di (esistenza e) nullità della notifica del decreto che è all’origine della valutazione di ammissibilità (e infondatezza) dell’opposizione tardiva di RFB ex art. 650 c.p.c.: in tal senso la censura è fondata per quanto si dirà, benchè indirizzata anche a una ratio (inerente alla dichiarazione di inammissibilità del primo motivo di appello) non decisiva, come si è detto.

3.1.- Peraltro, l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata (a pag. 9), secondo cui “l’ipotesi di inesistenza della notifica può ricevere tutela solo ai sensi dell’art. 188 disp. att. c.p.c. ((mezzo) già proposto e respinto dal primo giudice, così residuando la sola tutela in via ordinaria) e non con il ricorso all’opposizione a d.i.”, risulta astratta e dunque erronea, la Corte di merito non considerando che l’azione di RFB era volta prioritariamente (con il primo motivo di appello) a dedurre in via ordinaria anche, e soprattutto, l’inesistenza della notifica del decreto.

E’ noto che la mancanza o inesistenza giuridica della notificazione del decreto ingiuntivo possono essere fatte valere, oltre che con il ricorso per la dichiarazione di inefficacia del provvedimento ex art. 188 disp. att. c.p.c., anche in via ordinaria (u.c. stessa disposizione) e con lo strumento dell’opposizione all’esecuzione che si fondi su titolo costituito dal decreto medesimo, diversamente da quanto accade nei casi di notifica nulla o irregolare, nei quali l’inefficacia deve essere fatta valere con l’opposizione tardiva, ai sensi dell’art. 650 c.p.c. (cfr. Cass. n. 5231 e 12870 del 1993, n. 9287 del 1997, n. 11498 del 2000, n. 17478 del 2011, n. 1509 del 2019, n. 9050 del 2020): infatti la notificazione del decreto ingiuntivo comunque effettuata, anche se nulla, è indice della volontà del creditore di avvalersi del decreto stesso, escludendo ogni presunzione di abbandono del titolo, ciò che costituisce il fondamento della previsione d’inefficacia di cui all’art. 644 c.p.c. (cfr. Cass. n. 11498 del 2000, n. 22959 del 2007, n. 17478 del 2011, n. 1509 del 2019).

3.2.- Nè rileva che, nella specie, RFB abbia contestualmente proposto anche ulteriori ragioni difensive (condensate negli altri motivi del ricorso per cassazione), cumulando con l’azione per la dichiarazione di inefficacia del decreto ingiuntivo per inesistenza della notifica quella di opposizione a decreto ingiuntivo, al fine di contestare nel merito la fondatezza della pretesa creditoria di (OMISSIS) e di provocare l’annullamento o la revoca del decreto nell’ipotesi in cui si fosse ritenuta la notifica non inesistente.

Ne consegue che, se e una volta giudicata inesistente la notifica del (e inefficace il) decreto, si verifica il consolidamento della presunzione di abbandono del titolo che preclude l’esame della fondatezza della pretesa creditoria azionata in via monitoria, diversamente da quanto accade nel caso di nullità o irregolarità della notifica che, facendo escludere quella presunzione, onera l’ingiunto di proporre opposizione tardiva, fornendo la prova di non avere avuto tempestiva conoscenza del decreto ingiuntivo, con l’effetto di consentire, in caso positivo, l’esame della causa nel merito.

Le due ipotesi devono essere tenute distinte, non potendosi – al fine di consentire l’esame del merito della pretesa creditoria anche nel caso di notificazione mancata o giuridicamente assente – utilmente richiamare (come invece in Cass. n. 11229 del 2021, al p. 4.3.1 della motivazione) il principio secondo cui l’opposizione proposta al fine di eccepire l’inefficacia del decreto non esime il giudice dal decidere non solo sulla proposta eccezione di inefficacia del titolo, ma anche sulla fondatezza della pretesa creditoria già azionata in via monitoria (cfr. Cass. n. 3908 del 2016, cui adde n. 8955 e 21050 del 2006), essendo tale principio riferito al ben diverso caso di avvenuta notificazione del decreto ingiuntivo oltre i termini di legge. A tal fine, è significativo che il rimedio dell’opposizione a decreto ex art. 650 c.p.c. o in via ordinaria nel termine prefissato dal provvedimento notificato (cfr. Cass. n. 3783 del 1995, n. 67 del 2002) è ritenuto applicabile anche alla notificazione del decreto ingiuntivo fuori termine (cfr. Cass. n. 8126 del 2010, n. 19239 del 2004), ipotesi che, come nel caso della notificazione nulla o irregolare, postula la pendenza della lite che è realizzata dalla notifica del decreto (art. 643 c.p.c.): comune a tali casi – diversamente da quanto accade se la notifica è inesistente – è che il ricorso per ingiunzione è qualificabile come domanda giudiziale, idonea a costituire il rapporto processuale, sebbene per iniziativa della parte convenuta che si difende anche nel merito, con la conseguenza che è compito del giudice adito provvedere, oltre che sull’eccezione di inefficacia del decreto, anche sulla fondatezza della pretesa azionata nel procedimento monitorio (cfr. Cass. n. 14910 del 2013).

4.- Venendo ad esaminare la questione di fondo inerente alla notifica del decreto ingiuntivo da parte di (OMISSIS), è utile riportare i passi salienti della sentenza impugnata (pag. 10-11): “La comunicazione al Ministero della giustizia brasiliano, da questo poi rimessa al Tribunale Superiore di giustizia, anche se attinge un organo avente palese collegamento con lo Stato brasiliano, non ne importa la notifica al medesimo che, per essere completata secondo le modalità previste dal Trattato, doveva essere successivamente soggetta a commissione rogatoria, come lo fu; ma la medesima doveva essere completata con l’autorizzazione alla notifica da parte dell’autorità giudiziaria incaricata, ovvero del Tribunale Superiore della Giustizia, secondo la normativa dello Stato richiesto, come previsto dall’art. 15, comma 1 del Trattato, ove si afferma “Per l’esecuzione della commissione rogatoria, si applicherà la legge della parte richiesta”. Come è pacifico e documentato – prosegue la Corte fiorentina – tale autorizzazione fu rifiutata ai sensi dell’art. 2 del medesimo Trattato, così oggettivamente escludendosi la conoscenza dell’ingiunzione da parte della Repubblica Federativa del Brasile proprio a causa del mancato completamento della procedura. In altri termini, la notifica dell’ingiunzione è pervenuta a soggetto (Ministero della giustizia brasiliano) ricollegabile al destinatario (RFB), ma non al medesimo: è dunque nulla e non inesistente”. Per queste ragioni la Corte ha affermato che “la sentenza (del Tribunale di Arezzo) va dunque riformata laddove assume la correttezza della notifica in quanto effettuata presso il Ministero della Giustizia brasiliano che, seppure ricollegabile allo Stato brasiliano quale suo organo e competente alla ricezione della richiesta di notifica, non era peraltro legittimato a ricevere la notifica, che in effetti non fu eseguita nei confronti della Repubblica Federativa del Brasile”.

Di conseguenza, ritenendo trattarsi di notifica nulla e non inesistente, la Corte fiorentina ha concluso che la RFB, venuta successivamente a conoscenza dell’ingiunzione, era legittimata a proporre opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. e ha deciso la causa nel merito nel senso della fondatezza della pretesa creditoria del Fallimento (OMISSIS). Questa conclusione, come si è anticipato, non è condivisibile.

4.1.- La nozione di inesistenza della notificazione di un atto giudiziario è configurabile “nei casi di totale mancanza materiale dell’atto, nonchè nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, che deve essere svolta da un soggetto qualificato e dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi ex lege eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa” (Cass. SU n. 14916 del 2016, n. 29729 del 2019).

La Corte di merito ha affermato che la notificazione della citazione “fu effettuata per la via diplomatica, con invio all’autorità consolare (italiana in Brasile) che trasmetteva l’atto all’autorità centrale (brasiliana, cioè al Ministero della giustizia brasiliano)” (pag. 9).

Sebbene il Trattato italo-brasiliano del 17 ottobre 1989, sull’assistenza giudiziaria in materia civile, preveda l’invio delle comunicazioni e della documentazione “per il tramite delle rispettive Autorità centrali” (art. 4, comma 1) – che avrebbe richiesto l’inoltro dell’atto all’Autorità centrale italiana, cioè al Ministero della giustizia italiano (art. 3 del Trattato), per la successiva trasmissione all’autorità brasiliana competente -, la Corte territoriale ha ritenuto non rilevante la mancanza di tale fase (v. pag. 9 della sentenza impugnata). Per avvalorare tale affermazione (nonostante in un precedente si sia ritenuta inesistente la notifica mediante corriere internazionale, in presenza di convenzione internazionale che preveda specifiche modalità per l’esecuzione delle notificazioni all’estero di atti giudiziari, cfr. Cass. n. 11966 del 2003), si potrebbe considerare che l’atto, seppur impropriamente trasmesso direttamente tramite corriere all’autorità consolare italiana, è comunque pervenuto all’Autorità centrale brasiliana (Ministero della giustizia) per il tramite dell’autorità consolare italiana (cui sono riconosciuti dal D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200, art. 30, poteri specifici in materia di notificazioni e rogatorie), risultando, in tal modo, realizzata “la trasmissione (…) per via diplomatica” che è ugualmente ammessa dal Trattato, a norma dell’art. 4, comma 2.

4.2.- Il Collegio reputa comunque decisiva la questione se la notificazione del decreto da parte di (OMISSIS) abbia avuto esito positivo nella fase della “consegna”, in particolare se la stessa possa “considerarsi ex lege eseguita” oppure “meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa” (cfr. SU del 2016 citata). A tal fine, si deve considerare che “l’art. 142 c.p.c., in tema di notificazione a persona non residente, nè dimorante, nè domiciliata nella Repubblica, attribuisce il valore di fonte primaria alle convenzioni internazionali, in difetto delle quali è dato ricorso alla disciplina codicistica interna” (Cass. SU n. 14570 del 2007, n. 11966 del 2003). Le convenzioni internazionali costituiscono fonti di obblighi internazionali vincolanti per lo stesso legislatore (ex art. 117 Cost., comma 1), idonee a conformare il modello legale di notificazione, anche in relazione a suoi scopi.

Nella fattispecie, fonte primaria è il Trattato italo-brasiliano del 1989, alla luce del quale si deve valutare il modo in cui si atteggia, nella fattispecie, il principio che esclude l’inesistenza della notificazione nei casi in cui la consegna dell’atto avvenga a persona ed in luogo comunque riferibili al destinatario (RFB).

Per quanto interessa, è utile riportare le principali disposizioni del suddetto Trattato rilevanti nella specie: l’art. 1 prevede che “ciascuna Parte presta all’altra Parte, su richiesta, assistenza per l’esecuzione degli atti e delle procedure giudiziarie (…), in particolare provvedendo alla notificazione degli atti (…)” e “riconosce e dichiara esecutive (…) le sentenze emesse in materia civile dalle Autorità Giudiziarie dell’altra Parte” (commi 1 e 2); l’art. 2 (rubricato “Rifiuto dell’assistenza, del riconoscimento e dell’esecuzione”) prevede che “L’assistenza giudiziaria nonchè il riconoscimento e l’esecuzione degli atti e delle sentenze saranno negati se sono contrari all’ordine pubblico della Parte richiesta”; l’art. 15 prevede che per la “Esecuzione delle Commissioni Rogatorie” “si applicherà la legge della Parte richiesta” (comma 1); l’art. 16 (“Documenti comprovanti la notificazione di atti”) dispone che “La prova della notificazione dell’atto giudiziario è data da una ricevuta firmata dalla persona che ha ricevuto l’atto ovvero da un attestato dell’autorità competente, entrambi redatti nella forma prevista dalla legge della Parte richiesta. Se la persona alla quale è destinato l’atto da notificare rifiuta di riceverlo, la prova è data da una dichiarazione sottoscritta dall’Ufficiale Giudiziario competente nella quale è fatta menzione del luogo, della data della consegna e della identità della persona cui l’atto è stato consegnato”.

Nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto la notifica esistente per essere l’atto comunque pervenuto a un soggetto (il Ministero della giustizia brasiliano) avente un collegamento con la RFB – ma non valida (quindi nulla), a causa dell’esito negativo della commissione rogatoria, a seguito del rifiuto di autorizzazione da parte del Tribunale Superiore di giustizia e, di conseguenza, ammissibile l’opposizione tardiva di RFB. Tuttavia, proprio con riferimento alla notifica di atti giudiziari in Brasile, questa Corte ha ritenuto che la ricezione dell’atto da parte della sola autorità centrale brasiliana (Ministero federale della giustizia) comporta che la notifica debba considerarsi come non avvenuta, cioè che l’atto non è stato notificato al destinatario (cfr. Cass. n. 19839 del 2009), occorrendo pur sempre che siano depositati, a norma degli artt. 4 e 16 del Trattato in esame, la ricevuta firmata dall’effettivo destinatario e l’attestato del funzionario brasiliano competente, previsti dall’art. 16, comma 1, da cui si ricava l’avvenuta consegna del piego o l’eventuale rifiuto di riceverlo.

L’organo individuato nel Trattato come “autorità centrale” (il Ministero della giustizia brasiliano) non coincide con il destinatario della notifica che è la RFB che è rimasta estranea alla procedura notificatoria.

La stessa Corte fiorentina ha affermato che “il Ministero della giustizia (…) non era peraltro legittimato a ricevere la notifica, che in effetti non fu eseguita nei confronti della Repubblica Federativa del Brasile” ed ha escluso che quest’ultima abbia avuto conoscenza dell’ingiunzione “proprio a causa del mancato completamento della procedura” (pag. 9-10), la quale era soggetta a commissione rogatoria conclusasi, secondo la normativa dello Stato richiesto ex art. 15 comma 1 del Trattato, con il diniego di autorizzazione da parte del Tribunale Superiore della Giustizia, in data 1 febbraio 2013.

Seguendo l’opposta linea di pensiero, dovrebbe ravvisarsi nell’inoltro diretto degli atti giudiziari a qualunque organismo statale una modalità riconoscibile come notificazione alla RFB, con l’effetto di aggirare le disposizioni del Trattato che costituiscono fonte normativa primaria in materia, le quali prevedono forme tipiche e non surrogabili di notificazione tra i due Stati (l’art. 1 del Trattato stabilisce che ciascuna parte presta all’altra “assistenza (…) in particolare provvedendo alla notificazione degli atti” e l’art. 2 consente il rifiuto dell’assistenza giudiziaria e dell’esecuzione degli atti e delle sentenze in caso di contrasto con l’ordine pubblico della parte richiesta).

Si deve concludere che la notificazione del decreto è stata meramente tentata da (OMISSIS) ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa e quindi – come rilevato anche dal Procuratore Generale giuridicamente inesistente, esorbitando completamente dallo schema legale degli atti di notificazione, come conformato dalla convenzione applicabile, difettando l’elemento essenziale della consegna dell’atto al destinatario.

5.- La dichiarazione di inesistenza della notifica del decreto non è impedita dal provvedimento di rigetto o inammissibilità di precedente istanza proposta ai sensi dell’art. 188 disp. att. c.p.c., che è privo del requisito della definitività ed avendo il debitore proposto nei modi ordinari, come consentito, la domanda volta a far dichiarare inesistente la notificazione del decreto ingiuntivo e quest’ultimo inefficace (cfr. Cass. n. 5239 del 2018, n. 12614 del 2014).

6.- In conseguenza dell’accoglimento del primo motivo, sono assorbiti gli altri due motivi del ricorso principale di RFB, entrambi diretti a contestare la fondatezza nel merito della pretesa creditoria di (OMISSIS) (per diversi profili: il secondo motivo riguardando la questione della responsabilità sussidiaria di RFB, il terzo quella della debenza del corrispettivo, stante la mancanza del contratto formale), il cui esame (per le ragioni dette sub 3.2) è precluso per non essere il decreto stato notificato, risultando esso inefficace e, in tal senso, fondata l’azione di accertamento di RFB. 7.- Sono assorbiti anche i due motivi del ricorso incidentale del Fallimento (OMISSIS): il primo denuncia violazione del giudicato sull’accertamento della responsabilità sussidiaria di RFB per i debiti contratti da Valec nei confronti di (OMISSIS), per effetto dei decreti ingiuntivi n. 314/2011 (che aveva ingiunto a RFB, quale garante di Valec, il pagamento di Euro 15.000.000,00) e n. 123/2009 (che aveva ingiunto a Valec il pagamento di Euro 246.771.392,40); il secondo motivo denuncia omessa pronuncia sulla eccezione di giudicato nei confronti di RFB, quale garante, in relazione al decreto n. 123/2009 (cd. Valec) non opposto dal debitore principale. Ed infatti, a prescindere dal fatto che gli ipotizzati giudicati, qualora fondati, farebbero venir meno (in tutto o in parte) l’interesse del creditore (OMISSIS) verso la pretesa azionata con il decreto n. 47/2012, avversato in questa sede da RFB, vale il medesimo rilievo già esposto (sub 3.2 e 6): l’inesistenza della notificazione (e conseguente inefficacia) del suddetto decreto, che è oggetto dell’azione ordinaria di accertamento proposta da RFB, preclude l’esame delle questioni inerenti alla fondatezza nel merito della pretesa creditoria racchiusa nel decreto, tra le quali è compresa quella inerente al giudicato che integra pur sempre una questione di merito.

8.- In conclusione, in accoglimento del primo motivo del ricorso principale, la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Firenze, anche per le spese della presente fase.

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale di RFB e dichiara assorbiti gli altri motivi del medesimo ricorso e il ricorso incidentale; in relazione al motivo accolto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 13 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2021


Nulla la notifica al nipote senza comunicazione al destinatario originale

È nulla la notifica dell’avviso di accertamento tramite posta se l’atto è stato consegnato a un familiare convivente, ma non è stata spedita la comunicazione di avvenuta notifica (Can) al destinatario. Lo ha stabilito la Commissione Tributaria Provinciale di Torino con la sentenza 688/5/2021 .

I giudici piemontesi richiamano la sentenza della Corte Suprema di Cassazione a Sezioni unite n. 10012/2021 per cui, qualora l’atto notificando tramite il servizio postale secondo le previsioni della legge 890/1982 non venga consegnato al destinatario per rifiuto a riceverlo, oppure per temporanea assenza del destinatario stesso, oppure per assenza/inidoneità di altre persone a riceverlo, la prova del perfezionamento della procedura notificatoria può essere data dal notificante esclusivamente mediante la produzione giudiziale dell’avviso di ricevimento della raccomandata che comunica l’avvenuto deposito dell’atto notificando presso l’ufficio postale (Cad), non essendo a tal fine sufficiente la prova dell’avvenuta spedizione della raccomandata medesima.

Il caso esaminato dalla C.T.P. di Torino è però diverso da quello posto a base della decisione delle Sezioni unite. Quest’ultima, infatti, è relativa all’ipotesi disciplinata dall’articolo 8 della legge 890/1982, riguardante la mancata consegna dell’atto per la cosiddetta irreperibilità relativa, ovvero l’assenza temporanea del destinatario e delle altre «persone contigue» (familiari, portiere, eccetera) che possono ricevere l’atto, per cui la norma, pur in assenza di una consegna fisica dell’atto, lo dà per notificato una volta che, depositato presso l’ufficio postale per il ritiro, siano «trascorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata» con avviso di ricevimento contenente la Cad: perciò, ai fini probatori, serve non solo la Cad, ma anche il suo avviso di ricevimento.

Nel caso della C.T.P. di Torino, invece, la consegna dell’atto era stata fatta nelle mani del nipote del destinatario, in qualità di familiare convivente, e quindi la fattispecie è disciplina dall’articolo 7 della legge 890/1982, in base al quale – stante l’avvenuta consegna dell’atto, benché a persona diversa del destinatario – l’operatore postale deve dare notizia al destinatario medesimo dell’avvenuta notificazione dell’atto a mezzo di lettera raccomandata (Can).

Il problema è che nel caso di specie non risultava inviata la Can, e ciò emergeva anche dallo stesso avviso di ricevimento dell’atto giudiziario con cui era stato spedito l’accertamento, perché lo spazio riservato all’indicazione della raccomandata contenente la Can non era stato compilato. Da qui la bocciatura dei giudici torinesi.

Non rileva, invece, l’avviso di ricevimento, perché per la Can, a differenza della Cad, non è neppure previsto dalla legge (si veda Corte Suprema di Cassazione n. 20863/2017).


Cass. civ., Sez. II, Ord., (data ud. 19/05/2021) 15/10/2021, n. 28295

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12413-2016 proposto da:

E.D., elettivamente domiciliato in Roma via Attilio Regolo n. 12/D presso lo studio dell’avv.to Simone Paolini rappresentato e difeso dall’avv.to MARIA CONCETTA CIOFFI;

– ricorrente –

contro

SARIN IMMOBILIARE SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRISTOFORO COLOMBO n. 440, presso lo studio dell’avvocato ORESTE VACCARO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIORGIO COZZOLINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 478/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 08/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/05/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Paola, sezione distaccata di Scalea, con sentenza del 28 novembre 2007 dichiarava la risoluzione del contratto preliminare del 19 maggio 1992 avente ad oggetto l’immobile sito in (OMISSIS), per inadempimento di E.D., promissario acquirente, ordinandogli il rilascio dell’immobile in favore di Sarin Immobiliare Srl, promittente venditrice, condannandolo al versamento della penale contrattualmente prevista nella misura di Euro 8056,72 e sancendo il diritto della Sarin Immobiliare Srl a trattenere a tale titolo la somma di Euro 7746,85 versata dal promissario acquirente, nonchè condannando E.D. al pagamento della somma mensile di Euro 135 per l’occupazione senza titolo dell’immobile dal 5 settembre 2003 fino al rilascio.

2. E.D. proponeva appello tardivo ai sensi dell’art. 327 c.p.c., comma 2, avverso detta sentenza.

L’appellante E. chiedeva di dichiarare la nullità della citazione introduttiva derivante dalla violazione del termine minimo per comparire, la nullità degli atti successivi e della sentenza di primo grado, il rigetto della domanda di risoluzione del contratto preliminare di vendita proposta dalla Sarin Immobiliare, avendo interamente versato il corrispettivo pattuito mediante rilascio di effetti cambiari. Inoltre, chiedeva di accogliere la sua domanda riconvenzionale di trasferimento dell’immobile, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2932 c.c., sul presupposto che la mancata stipula del definitivo fosse imputabile solo alla società venditrice.

2.1 Si costituiva in giudizio la società Sarin Immobiliare ed eccepiva la tardività dell’appello e la mancanza dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 327 c.p.c., comma 2.

3. La Corte d’Appello riteneva di dover esaminare con priorità l’eccezione pregiudiziale di inammissibilità dell’appello tardivo sollevata dalla parte appellata Sarin immobiliare.

Il giudice del gravame evidenziava che l’ E. era stato citato innanzi al Tribunale per l’udienza del 14 febbraio 2006 con atto di citazione ricevuto da familiare convivente in data 29 dicembre 2005. La nullità della citazione era dovuta solo all’inosservanza del termine minimo per comparire di 60 giorni sancita dall’art. 164 c.p.c..

Il Tribunale non aveva disposto, nonostante la mancata comparizione del convenuto, la rinnovazione della notifica della citazione nel rispetto dei termini di comparizione e aveva dichiarato la contumacia dell’ E. sulla base della produzione documentale dell’attrice, pronunciando in senso a lui sfavorevole. La sentenza non era stata notificata dalla Sarin, ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione. La medesima sentenza era stata notificata in formula esecutiva in data 29 giugno 2009 unitamente al precetto a fini esecutivi ed era stata impugnata dall’ E., ai sensi dell’art. 327 c.p.c., comma 2, con atto consegnato all’ufficiale giudiziario in data 3 agosto 2009 modificato in pari data alla Sarin immobiliare.

Tutto ciò premesso doveva darsi atto che tra le parti non era in contestazione la nullità della citazione per violazione del termine per comparire degli atti conseguenti quanto piuttosto la tempestività e ammissibilità dell’appello ex art. 327 c.p.c., comma 2.

3.1 Secondo la Corte d’Appello di Catanzaro, ai sensi dell’art. 327 c.p.c., comma 2, il termine annuale di decadenza dall’impugnazione era derogato nella sola ipotesi in cui la parte contumace non avesse avuto effettiva conoscenza del processo. In altri termini, ai fini dell’applicabilità della deroga al meccanismo acceleratorio del termine generale di impugnazione, non rilevava la nullità della citazione o della notificazione in sè considerate, ma la mancata conoscenza del processo derivante da tale nullità. In tal senso, la giurisprudenza di legittimità, pronunciandosi sul riparto dell’onere probatorio ai fini dell’applicabilità della suddetta norma aveva rimarcato che, ai fini dell’applicabilità art. 327 c.p.c., comma 2, non bastava il requisito oggettivo della nullità della citazione o della sua notificazione ma occorreva anche il requisito soggettivo e cioè la mancata conoscenza del processo.

Ciò premesso, nel caso in esame il presupposto soggettivo per l’applicabilità dell’art. 327 c.p.c., comma 2 non era sussistente poichè l’ E. aveva avuto conoscenza certa del processo, avendo ricevuto il 29 dicembre 2005 la notifica della citazione. In altri termini, la nullità della citazione per violazione del termine per comparire aveva comportato la violazione del diritto di difesa emendabile in appello, ove tempestivo, mediante un nuovo esame del merito delle domande formulate in primo grado, ma non aveva inciso in alcun modo sulla conoscenza del processo instaurato in Tribunale nei suoi confronti. L’appello doveva quindi dichiararsi tardivo perchè proposto oltre il termine annuale di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1.

4. E.D. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi.

5. Sarin immobiliare Srl ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 327 c.p.c., comma 2, comma 1, lett. b).

La censura attiene alla declaratoria di tardività dell’appello del ricorrente avverso la sentenza di primo grado nonostante la sua contumacia fondata sul presupposto della conoscibilità o conoscenza del processo. Secondo il ricorrente l’esistenza del presupposto soggettivo di conoscenza del processo non si risolve in una prova diabolica di tale conoscenza ma solo nella prova di circostanze di fatto positive dalle quali si possa desumere il difetto di anteriore conoscenza del processo. L’impugnazione non può essere agganciata ad una data fissa quale la pubblicazione della sentenza, quando la parte contumace dimostri di non aver avuto conoscenza del processo. La sentenza è stata notificata in forma esecutiva ex art. 479 c.p.c. alla parte personalmente perchè contumace e il termine breve per impugnare e far valere la nullità conseguente al vizio di notifica della citazione decorrere da tale momento, rendendo del tutto irrilevante il decorso di un anno dalla pubblicazione.

La valida notificazione della sentenza intervenuta successivamente al decorso dell’anno dalla pubblicazione, anche se effettuata al contumace involontario, sarebbe comunque idonea a far decorrere il termine breve per proporre impugnazione. Nel caso di specie, la sentenza è stata notificata in forma esecutiva unitamente al precetto in data 21 luglio 2009 e a brevissima distanza è stato proposto appello da parte dell’ E.. Tale appello, pertanto, non dovrebbe ritenersi tardivo altrimenti perderebbe rilievo la contumacia involontaria, non avendo l’ E. mai ricevuto la notifica dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado nelle forme e nei termini previsti dalla legge. Egli, dunque, non ha avuto conoscenza del processo ed è rimasto estraneo ad esso. Peraltro, la notifica a persona senza collegamento col destinatario dovrebbe ritenersi inesistente e non nulla. Anche la presunzione di conoscenza dell’atto quando consegnato al familiare convivente non opererebbe quando la persona convivente non sia identificabile a causa della mancata indicazione del nominativo, del rapporto con il destinatario o dell’eleggibilità della sua firma.

2.1 I primi due motivi, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.

La sentenza della Corte d’Appello è conforme alla giurisprudenza di legittimità che, con orientamento del tutto consolidato, ha affermato il seguente principio di diritto: “Il contumace, per evitare la decadenza dall’impugnazione per decorso del termine ex art. 327 c.p.c., deve dimostrare la sussistenza, oltre che del presupposto oggettivo della nullità della notificazione, di quello soggettivo della mancata conoscenza del processo a causa di detta nullità, senza che rilevi la conoscenza legale dello stesso, essendo sufficiente quella di fatto” (ex plurimis Sez. 3, Sent. n. 532 del 2020).

Peraltro, quando – come nel caso in esame – il contumace eccepisca l’invalidità della notifica della sua citazione a giudizio occorre distinguere le ipotesi di inesistenza della notifica da quelle di nullità. Si è detto, infatti, che per stabilire se sia ammissibile una impugnazione tardivamente proposta, sul presupposto che l’impugnante non abbia avuto conoscenza del processo a causa di un vizio della notificazione dell’atto introduttivo, occorre distinguere due ipotesi: “se la notificazione è inesistente, la mancata conoscenza della pendenza della lite da parte del destinatario si presume iuris tantum, ed è onere dell’altra parte dimostrare che l’impugnante ha avuto comunque contezza del processo; se invece la notificazione è nulla, si presume iuris tantum la conoscenza della pendenza del processo da parte dell’impugnante, e dovrà essere quest’ultimo a provare che la nullità gli ha impedito la materiale conoscenza dell’atto” (Sez. 3, Sent. n. 18243 del 2008).

Il medesimo contumace ha, quindi, l’onere di dimostrare l’esistenza di circostanze di fatto positive dalle quali si possa desumere il difetto di anteriore conoscenza o la presa di conoscenza del processo in una certa data e tale prova può essere fornita anche mediante presunzioni, senza che, però, possa delinearsi, come effetto della presunzione semplice di mancata conoscenza del processo, l’inversione dell’onere della prova nei confronti di chi eccepisce la decadenza dall’impugnazione (Sez. 2, Sent. n. 8 del 2019).

Nella specie, non solo il ricorrente non ha fornito alcuna prova della sua mancata conoscenza del processo ma dalla sua stessa eccezione di nullità della citazione per l’inosservanza del termine minimo per comparire di 60 giorni sancito dall’art. 164 c.p.c. si desume la conoscenza della pendenza del processo. In tal caso, pertanto, non può trovare applicazione l’art. 327 c.p.c., comma 2, che consente al contumace soccombente l’impugnazione della sentenza anche dopo la scadenza del termine annuale dalla sua pubblicazione, mancando il presupposto soggettivo, rappresentato dalla mancata conoscenza del processo a causa della nullità della notificazione dell’atto introduttivo.

L’eccezione circa la mancata identificazione della persona che ha ricevuto il 29 dicembre 2005 la notificazione della citazione, qualificata nella relata come “familiare convivente”, è del tutto nuova, non risultando nei motivi di appello. In ogni caso costituisce orientamento consolidato di questa Corte quello secondo il quale: “In tema di notificazione a mezzo del servizio postale, eseguita mediante consegna dell’atto a persona di famiglia che conviva, anche temporaneamente, con il destinatario, il rapporto di convivenza, almeno temporanea, può essere presunto sulla base del fatto che il familiare si sia trovato nell’abitazione del destinatario ed abbia preso in consegna l’atto da notificare, onde non è sufficiente, per affermare la nullità della notifica, neppure la mancata indicazione della qualità di convivente sull’avviso di ricevimento della raccomandata, mentre ogni indagine circa l’identificazione del luogo in cui è stata eseguita la notificazione resta assorbita dall’anzidetta presunzione di convivenza, la quale può essere superata soltanto dalla prova, posta a carico del destinatario della notifica, dell’insussistenza del rapporto di convivenza con il familiare consegnatario dell’atto” (Sez. 5, Sent. n. 15973 del 2014; Sez. 1, Sent. n. 24852 del 2006).

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: “violazione e falsa applicazione degli artt. 163 e 164 c.p.c. nonchè dell’art. 354 c.p.c. in relazione all’art. 360, lett. a) nonchè omessa, insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia”.

Il ricorrente si duole del fatto che la corte territoriale non ha ritenuto la nullità della citazione per violazione del termine a comparire rinnovando il giudizio di merito.

Secondo il ricorrente la Corte d’Appello doveva dichiarare la nullità della sentenza di primo grado, revocare la dichiarazione di contumacia e disporre la rinnovazione della notifica dell’atto introduttivo per passare successivamente all’istruttoria della causa.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 354 c.p.c. nonchè omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Secondo il ricorrente non sarebbe stato specificato il percorso seguito dalla Corte d’Appello circa il mancato accoglimento delle sue richieste.

4. Il secondo e il terzo motivo di ricorso sono inammissibili in quanto entrambi presuppongono l’accoglimento del primo motivo. Il rigetto della censura circa l’erronea declaratoria di inammissibilità dell’appello per tardività rende, infatti, inammissibili le censure sulla violazione degli artt. 163 e 164 e 354 c.p.c. da parte della Corte d’Appello di Catanzaro.

5. Il ricorso è rigettato.

6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4100 più 200.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 Sezione civile, il 19 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2021


Parere sullo schema di d.P.C.M., da adottare ai sensi dell’art.26, comma 15, del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, in materia di Piattaforma per la notificazione degli atti della pubblica amministrazione – 14 ottobre 2021

Parere sullo schema di d.P.C.M., da adottare ai sensi dell’art.26, comma 15, del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, in materia di Piattaforma per la notificazione degli atti della pubblica amministrazione

Leggi: Garante Parere in materia di Piattaforma per la notificazione 2021


Valida la notifica all’indirizzo PEC risultante dall’albo professionale di appartenenza

È valida la notificazione al difensore eseguita presso l’indirizzo PEC risultante dall’albo professionale di appartenenza, in quanto corrispondente a quello inserito nel pubblico elenco di cui all’art. 6-bis del d.lgs. n. 82 del 2005, atteso che, secondo la sentenza n. 27270/2021 della Corte Suprema di Cassazione civile, proprio in virtù di tale disposizione, il difensore è obbligato a darne comunicazione al proprio ordine e quest’ultimo è a sua volta obbligato ad inserirlo sia nei registri INI-PEC, sia nel ReGIndE, che sono, per l’appunto, pubblici elenchi.
Orientamenti giurisprudenziali

Z. R., in qualità di erede di A. T., ricorre per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Napoli che – riformando la pronuncia con la quale il Tribunale aveva rigettato la domanda di risarcimento dei danni derivanti dal sinistro stradale occorso nel 2003 ad Afragola e causato dalla collisione fra due motoveicoli, condotti rispettivamente dal T. e da A. C. (collisione dalla quale erano derivate lesioni personali ad entrambi), ritenendo insufficiente la prova raggiunta sulla dinamica del sinistro – aveva riconosciuto il concorso di colpa nella causazione dell’evento fra i conducenti di entrambi i motoveicoli coinvolti ed aveva liquidato la somma a ciascuno spettante, respingendo, tuttavia, la domanda nei confronti della Generali Ass.ni Spa ( già Alleanza Toro Spa) in qualità di impresa designata dal FGVS ( evocata in giudizio ex art. 19 lett.b L. 669/1969 ), per mancanza di prova della scopertura assicurativa di entrambi i veicoli.
La Corte Suprema di Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha preliminarmente respinto l’eccezione sollevata dalla compagnia di assicurazione in relazione al difetto di notifica del ricorso principale e di quello incidentale: si assume, al riguardo, che la notifica a mezzo PEC di entrambi i ricorsi sarebbe priva dell’indicazione dell’elenco da cui era stato estratto l’indirizzo PEC del destinatario, come previsto dall’art. 16 ter D.L. 179/2012.
Da ciò deriverebbe, in thesi, la nullità della notifica ed il passaggio in giudicato della sentenza impugnata.
Il rilievo è infondato.
È stata, infatti, affermata la prevalenza del principio del raggiungimento dello scopo degli atti processuali, in ragione del quale va esclusa l’efficacia invalidante della mancata indicazione, nella relata di notifica, dell’elenco pubblico – tra quelli previsti dall’art. 16 ter del d.l. n. 179 del 2012 – da cui è stato estratto l’indirizzo di posta elettronica del destinatario.
È stato specificamente affermato, al riguardo, che le Sezioni Unite di questa Corte, valorizzando l’introduzione del cd. “domicilio digitale”, hanno ritenuto valida la notificazione al difensore eseguita presso l’indirizzo PEC risultante dall’albo professionale di appartenenza, in quanto corrispondente a quello inserito nel pubblico elenco di cui all’art. 6-bis del d.lgs. n. 82 del 2005, atteso che, proprio in virtù di tale disposizione, il difensore è obbligato a darne comunicazione al proprio ordine e quest’ultimo è a sua volta obbligato ad inserirlo sia nei registri INI-PEC, sia nel ReGIndE, che sono, per l’appunto, pubblici elenchi.
Numerose pronunce hanno poi ribadito la piena legittimità di notifiche eseguite presso l’indirizzo PEC risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INI-PEC) istituito dal Ministero dello Sviluppo Economico, espressamente incluso fra i pubblici elenchi ex art. 16-ter del d.l. n. 179 del 2012, ribadendo espressamente «il principio, enunciato dalle SS.UU. n. 23620/2018 (ma, nello stesso senso, già Cass. n. 30139/2017), per cui “in materia di notificazioni al difensore, in seguito all’introduzione del ‘domicilio digitale’, previsto dall’art. 16 sexies del d.l. n. 179 del 2012, conv. con modif. dalla I. n. 221 del 2012, come modificato dal d.l. n. 90 del 2014, conv. con 5 modif. dalla I. n. 114 del 2014, è valida la notificazione al difensore eseguita presso l’indirizzo PEC risultante dall’albo professionale di appartenenza, in quanto corrispondente a quello inserito nel pubblico elenco di cui all’art. 6 bis del d.lgs. n. 82 del 2005, atteso che il difensore è obbligato, ai sensi di quest’ultima disposizione, a darne comunicazione al proprio ordine e quest’ultimo è obbligato ad inserirlo sia nei registri INI PEC, sia nel ReGindE, di cui al DM. 21 febbraio 2011 n. 44, gestito dal Ministero della Giustizia.