AGID: DETERMINAZIONE N. 371/2021

OGGETTO: Modifiche testo Linee Guida sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici, allegato 5 – Metadati, allegato 6 – Comunicazione tra AOO di Documenti Amministrativi Protocollati ed estensione dei termini di entrata in vigore.
IL DIRETTORE GENERALE
VISTI gli articoli 19 (Istituzione dell’Agenzia per l’Italia Digitale), 21 (Organi e statuto), 22 (Soppressione di DigitPA e dell’Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione;
successione dei rapporti e individuazione delle effettive risorse umane e strumentali) del decreto legge n. 83 del 22 giugno 2012, recante “Misure urgenti per la crescita del Paese”, convertito, con modificazioni, nella legge n. 134 del 7 agosto 2012 e s.m.i. e l’articolo 14-bis (Agenzia per l’Italia digitale) del decreto legislativo n.82 del 7 marzo 2005 (Codice dell’amministrazione digitale) e s.m.i.;
VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 gennaio 2014 (pubblicato sulla GURI n. 37 del 14 febbraio 2014), che ha approvato lo Statuto dell’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID);
VISTO il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 gennaio 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 82 del 9 aprile 2015, concernente la “Determinazione delle dotazioni delle risorse umane, finanziarie e strumentali dell’Agenzia per l’Italia digitale”, adottato ai sensi dell’articolo 22,
comma 6, del decreto-legge n. 83 del 2012;
VISTO il decreto 20 aprile 2021 del Ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale, registrato dalla Corte dei Conti in data 28 aprile 2021 n.996, con il quale è confermato l’incarico di Direttore Generale dell’Agenzia per l’Italia digitale all’ing. Francesco Paorici, conferito con D.P.C.M. del 16 gennaio 2020, ai sensi dell’art.21, comma 2, del decreto legge 22 giugno 2012 n.83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012 n.134;
VISTO il decreto legislativo n. 82/2005, come integrato e modificato dal decreto legislativo 217/2017, art. 14-bis, comma 2 lett. a) in base al quale AgID svolge, tra le altre, le funzioni di:
“Emanazione di linee guida contenenti regole, standard e guide tecniche, nonché di indirizzo, vigilanza e controllo sull’attuazione e sul rispetto delle norme di cui al presente Codice, anche attraverso l’adozione di atti amministrativi generali, in materia di agenda digitale, digitalizzazione della pubblica amministrazione, sicurezza informatica, interoperabilità e cooperazione applicativa tra sistemi informatici pubblici e quelli dell’Unione europea”;
VISTO il decreto legislativo n. 82/2005, come integrato e modificato dal decreto legislativo 217/2017, art. 71, che indica la procedura con cui sono adottate, aggiornate o modificate dall’AgID le Linee guida contenenti le regole tecniche e di indirizzo per l’attuazione del Codice dell’amministrazione digitale;
VISTA la determinazione n. 160/2018 con la quale AgID ha adottato il “Regolamento per l’adozione di linee guida per l’attuazione del Codice dell’Amministrazione Digitale”;2
VISTA la determinazione n. 407/2020 con la quale AgID ha adottato le nuove “Linee guida per la formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici” avendo esperita la procedura di informazione prevista dalla Direttiva (UE) 2015/1535, e dalla Legge 317/86 come modificata con D.lgs. 223/2017, nel settore delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione e la consultazione pubblica dal 17 ottobre al 16 novembre 2019, ai sensi dell’articolo 71 del decreto legislativo n. 82/2005, come integrato e modificato dal decreto legislativo 217/2017, nonché avendo sentito l’Autorità garante per la protezione dei dati personali e il Ministero per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, nelle materie di competenza e avendo acquisito il parere della Conferenza Unificata sullo schema di Linee guida ai sensi dell’articolo 71 del decreto legislativo n. 82/2005, come integrato e modificato dal decreto legislativo 217/2017;
CONSIDERATE le numerose interlocuzioni e richieste di modifica provenienti da associazioni di categoria e Amministrazioni per quanto attiene in particolare all’Allegato 5 – Metadati e Allegato 6 – Comunicazione tra AOO di Documenti Amministrativi Protocollati alle predette Linee guida;
RITENUTO opportuno recepire talune delle suddette richieste di modifica al fine di agevolare il processo di adeguamento alle nuove disposizioni;
RITENUTO, altresì, necessario posticipare contestualmente la data di entrata in vigore delle Linee guida per la formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici al fine di consentire a soggetti pubblici e privati di adeguarsi alle modifiche introdotte con il presente provvedimento;
DETERMINA
1. di modificare l’Allegato 5 – Metadati alle Linee Guida per la formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici e di pubblicare il nuovo testo sul sito istituzionale di AgID;
2. di modificare l’Allegato 6 – Comunicazione tra AOO di Documenti Amministrativi Protocollati alle Linee Guida per la formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici e di pubblicare il nuovo testo sul sito istituzionale di AgID;
3. di correggere taluni errori materiali contenuti nel testo delle Linee Guida e pubblicare la nuova versione sul sito istituzionale di AgID;
4. di approvare un documento contenente la sintesi delle suddette modifiche e di disporne la pubblicazione sul sito istituzionale di AgID, in allegato al presente provvedimento;
5. di posticipare la data di entrata in vigore delle Linee guida e relativi allegati, precedentemente fissata al 7 giugno 2021, al 1 gennaio 2022.

Testo: AGID dg n. 371 modifiche allegati e proroga termini di adozione


Riunione Giunta Esecutiva del 22.05.2021

Ai sensi dell’art. 14 dello Statuto, viene convocata la riunione della Giunta Esecutiva che si svolgerà sabato 22 maggio 2021 alle ore 14:00, in modalità webinar, in prima convocazione, e alle ore 16:00 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:
1.Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2021;
2.Iniziativa sulla valorizzazione del Messo Comunale/Notificatore;
3.Varie ed eventuali.

 

Leggi: GE 22 05 2021 Verbale


Comm. trib. regionale Campania Napoli Sez. XXIII, Sent., 18-05-2021, n. 4291

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

COMM. TRIB. REG. PER LA CAMPANIA

VENTITREESIMA SEZIONE/COLLEGIO

Con ricorso alla C.T.P. di Napoli …omissis… impugnava nei confronti dell’Agenzia delle Entrate D.P. Il di Napoli nonché di Agenzia Riscossione della Provincia di Napoli Equitalia sud, il preavviso di iscrizione di fermo amministrativo n. 07180201500051577000, notificato il 6 luglio 2015, nonché l’avviso di accertamento n. TF501AL054068/2014 in esso richiamato, relativo ad IRPEF e IRAP per l’anno di imposta 2009, eccependo in via preliminare trattarsi del primo atto con il quale egli era venuto a conoscenza della pretesa dell’Ufficio, non essendogli mai stato in precedenza notificato l’avviso di accertamento in questione. A sostegno dell’impugnazione deduceva tra l’altro il contribuente, unitamente alla illegittimità dell’atto impositivo per violazione del diritto di difesa e per carenza di potere del funzionario emittente, la decadenza dell’Amministrazione Finanziaria, nonché l’infondatezza anche nel merito dell’atto presupposto, concludendo con la richiesta di annullamento del preavviso di fermo e dell’avviso di accertamento impugnati, con vittoria di spese.
Nel procedimento così introdotto si costituiva l’Agenzia delle Entrate documentando l’avvenuta notifica dell’accertamento in data 27.11.2014 mediante consegna a mani proprie del destinatario, e conseguentemente concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
Nessuno si costituiva invece per l’Agenzia Riscossione. Depositata quindi dal ricorrente copia della querela di falso proposta dinanzi al Tribunale di Torre Annunziata per accertare la non autenticità della firma in calce alla relata di notifica dell’accertamento impugnato, con sentenza n. 11280 depositata in data
20.6.2016 e non notificata la CTP disattendeva l’istanza di sospensione del processo proposta dal …omissis… e rigettava il ricorso.
Avverso l’indicata sentenza proponeva appello il contribuente deducendo la violazione dell’art. 39 D. L.gs. N. e l’omessa motivazione della sentenza, nonché in ogni caso l’erroneità nel merito della 546/1992 decisione, così insistendo per l’accoglimento dell’originario ricorso e l’annullamento degli atti impugnati.
Nel giudizio di gravame si costituiva l’Agenzia delle Entrate D.P. II di Napoli che eccepiva l’infondatezza dell’impugnazione chiedendone il rigetto.
Disposta la fissazione dell’udienza di discussione del ricorso, e successivamente la sospensione del procedimento ex art. 39 D. L.gs. N. 546/1992, con istanza depositata in data 11.2.2021 l’appellante comunicava l’intervenuta definizione del procedimento per querela di falso promosso dinanzi al Tribunale di Torre Annunziata, e chiedeva la prosecuzione del presente procedimento, per la qual cosa veniva fissata l’udienza di trattazione per il 4/5/2021 ex art. 27 D_L n. 137/2020, in vista della quale il …omissis… depositava memoria illustrativa alla quale nulla replicava l’Ufficio.
All’udienza la Commissione decideva come da dispositivo.
Motivi della decisione
Rileva la Commissione che l’appello deve ritenersi fondato e meritevole pertanto di accoglimento.
Ed invero l’appellante ha documentalmente provato che con sentenza n. 303 pubblicata il 7/2/2020, non opposta da nessuna delle parti e quindi passata in giudicato (v. attestazione dell’Ufficio giudiziario competente), il Tribunale di Torre Annunziata ha dichiarato non autografa la firma a nome di …omissis… apposta in calce alla relazione di notificazione dell’avviso di accertamento indicato in narrativa, emesso nei confronti del suddetto contribuente. Per effetto di detta pronuncia la dedotta notifica dell’avviso di accertamento risulta inesistente, e pertanto improduttiva di effetti giuridici, con conseguente nullità del preavviso di fermo impugnato nel presente procedimento, per inesistenza dell’atto presupposto e della stessa pretesa tributaria che costituisce oggetto dell’avviso di accertamento emesso nei confronti del …omissis…, per decadenza dell’Ufficio ex art. 43 DPR n. 600/1973. A questo proposito giova infatti rilevare che, trattandosi nella specie di “inesistenza” della notifica dell’atto impositivo, giammai potrebbe ravvisarsi una ipotetica sanatoria del vizio rilevato. Del resto, anche a voler ammettere l’applicabilità ai caso in esame dell’art. 156 c.p.c. in tema di “raggiungimento dello scopo”‘, la sanatoria non potrebbe che ritenersi intervenuta dal momento della notifica del preavviso di fermo amministrativo {e non dal momento di proposizione del ricorso, come sostenuto dall’appellante …omissis…), e quindi alla data del 6 luglio 2015, allorché era già maturato il termine di decadenza previsto per l’Ufficio dalla citata norma, che nella versione vigente all’epoca dei fatti era fissato al “31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione”, venendo pertanto a scadere ii 31.12.2014.
In accoglimento dell’appello la sentenza gravata, inopportunamente emessa dal giudice senza sospendere il processo in attesa dell’esito del procedimento per querela di falso promosso dal contribuente, deve pertanto essere riformata con l’integrale accoglimento del ricorso introduttivo del M.
Le spese di entrambi i gradi di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza, con attribuzione ai difensori antistatari.

P.Q.M.
In accoglimento dell’appello e in riforma della sentenza gravata, accoglie il ricorso introduttivo del Xxxxx, annulla gli atti impugnati e dichiara la illegittimità della pretesa impositiva oggetto dell’avviso di accertamento n. (…). Condanna gli uffici appellati, in solido tra loro, al rimborso in favore del contribuente delle spese di entrambi i gradi di giudizio, liquidando quelle del primo grado in complessivi Euro duemila,00 e quella della fase di appello in Euro duemilacinquecento,00 oltre C.U. e accessori come per legge, con attribuzione agli avv.ti. Xxxx Xxxxx e Xxxx Xxxxx, anticipatari.

Così deciso in Napoli, il 4 maggio 2021.


L’iscrizione a ruolo non interrompe la prescrizione

In tema di imposta di registro, il decorso del termine prescrizionale decennale per la riscossione dell’imposta definitivamente accertata non può ritenersi interrotto dalla sola formazione del ruolo da parte dell’Amministrazione finanziaria ma solo dalla notifica della relativa cartella di pagamento.
Il principio è desumibile dalla Sentenza n. 11605 del 4 maggio 2021.
La vicenda giudiziaria trae origine dal ricorso avverso una cartella di pagamento notificata dalla società Equitalia Servizi di riscossione s.p.a. per somme dovute a titolo di imposta di registro, con cui il contribuente ha eccepito la prescrizione della pretesa tributaria.
Il ricorso è stato respinto sia dalla Commissione Tributaria Provinciale che Regionale sul rilievo che il termine prescrizionale decennale era stato interrotto dalla notifica dell’avviso di liquidazione, nel termine triennale prescritto dall’art. 76 del D.P.R. n. 131/1986, con la conseguente reiezione dell’eccezione di decadenza sollevata dalla contribuente.
Per quanto di interesse la Commissione Tributaria Regionale ha affermato anche che il termine prescrizionale era stato interrotto non solo dalla notifica dell’atto impositivo ma anche a seguito dell’iscrizione a ruolo del debito tributario. È proprio su tale punto si è espressa la Corte di Cassazione dopo il ricorso proposto dal contribuente, accogliendo i relativi motivi di doglianza.
A riguardo il Collegio di legittimità ha richiamato il principio per cui, il termine decennale previsto per la riscossione dell’imposta di registro definitivamente accertata di cui all’art. 78 del d.P.R. n. 131/1986, “non può ritenersi interrotto dalla sola formazione del ruolo da parte dell’Amministrazione finanziaria, atteso che, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 2943 cod. civ., la prescrizione dei diritti è interrotta solo da un atto che valga a costituire in mora il debitore e, quindi, avente carattere recettizio, mentre l’iscrizione a ruolo di un tributo resta un atto interno dell’amministrazione”.
In altri termini, in materia di riscossione delle imposte, solo la prova della notificazione della cartella esattoriale è atto idoneo ad interrompere la prescrizione del credito tributario perché atto recettizio, in linea con l’art. 2943 co. 2 c.c. che prevede che la prescrizione è interrotta da ogni atto che valga a costituire in mora il debitore.
Nella fattispecie in commento, la prescrizione – già interrotta dalla notifica dell’avviso di liquidazione – decorre dalla data in cui l’avviso è stato notificato. Il nuovo atto interruttivo da considerare non è certamente l’iscrizione a ruolo, bensì la consegna della cartella all’ufficiale postale per la notifica.
Sulla base di tali motivazioni la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata con rimessione degli atti alla Commissione Tributaria Regionale, in diversa composizione, per il riesame della controversia nonché per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 21-01-2021) 04-05-2021, n. 11605

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –

Dott. MARTORELLI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2340-2017 proposto da:

D.V.M.R., elettivamente domiciliata in ROMA, Piazza Cavour, presso la cancelleria della Corte di Cassazione rappresentata e difesa dall’avvocato ALFREDO LUPO;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NOMENTANA 91, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI BEATRICE, rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO AMODIO;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5474/2016 della COMM. TRIB. REG. CAMPANIA, depositata il 13/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/01/2021 dal Consigliere Dott. MILENA BALSAMO.

Svolgimento del processo
1. D.V.M.R. impugnava la cartella di pagamento notificata dalla società Equitalia Servizi di riscossione s.p.a. per somme dovute a titolo di registro relativo al provvedimento su lodo arbitrale emesso dal tribunale di Napoli nell’anno 2001, eccependo la prescrizione della pretesa tributaria. La CTP di Napoli respingeva il ricorso.

Proposto appello dalla contribuente, la CTR della Campania lo respingeva sul rilievo che intervenuta che il termine prescrizionale decennale era stato interrotto dalla notifica dell’avviso di liquidazione del 15 ottobre 2003, nel termine triennale prescritto dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, con la conseguente reiezione dell’eccezione di decadenza pure sollevata dalla contribuente. In particolare, la CTR affermava che: – l’avviso di liquidazione non era stato impugnato rendendo così definitiva la pretesa tributaria; – che dalla data del 6 dicembre 2003, ovvero decorso il termine di sessanta giorni dalla notifica del predetto atto, iniziava a decorrere la prescrizione decennale citato D.P.R., ex art. 78; – che l’ufficio aveva effettuato l’iscrizione a ruolo in data 17 ottobre 2013 che aveva nuovamente interrotto il termine prescrizionale; – che divenuto definitivo l’avviso prodromico, la successiva cartella non costituisce nuovo atto impositivo per cui è sindacabile solo per vizi propri che, nella specie, non erano stati eccepiti, avendo la ricorrente opposto l’atto solo censurando l’esercizio della potestà accertativa.

D.V.M.R. chiede sulla base di tre motivi, illustrati nelle memorie difensive, la cassazione della sentenza n. 5474/2016/ depositata il 13 giugno 2016.

La società concessionaria e l’Agenzia delle Entrate resistono con controricorso.

Motivi della decisione
2. Con il primo motivo, la contribuente denuncia violazione e falsa applicazione del T.U. Registro D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 76 e 78, nonchè dell’art. 2953 c.c., per avere la CTR ritenuto applicabile alla fattispecie il termine decennale di prescrizione di cui al citato art. 78, in rubrica, ancorchè questa Corte a sezioni unite – con la sentenza n. 23397/2016 – abbia statuito che la mancata contestazione del titolo determina la decadenza dalla possibilità di proporre l’impugnazione, producendo l’effetto della irretrattabilità del credito senza determinare anche l’effetto della c. conversione del termine di prescrizione breve in quello ordinario.

Assume al riguardo che il disposto di cui al citato art. 78, stabilisce che il termine prescrizionale decennale riguarda solo le imposte definitivamente accertate, il che implica che il termine lungo si applica solo per effetto del conseguente accertamento in via definitiva dell’imposta, attraverso l’adozione di un provvedimento giurisdizionale che ne abbia accertato in via definitiva la legittimità dell’atto impositivo.

2. Con la seconda e terza censura, si deduce la violazione dell’art. 2943 c.c., in relazione al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 79, laddove la CTR della Campania ha ritenuto che l’iscrizione a ruolo della cartella produca l’effetto di interrompere i termini di prescrizione, individuando il dies a quo del primo termine prescrizionale in quello di scadenza del sessantesimo giorno per l’impugnazione dell’avviso di liquidazione e non in quello di notifica del primo atto ((OMISSIS)).

Sostenendo altresì che la CTR avrebbe dovuto considerare il giorno della notifica della cartella ((OMISSIS)) e non quello della sua iscrizione a ruolo, ai fini del calcolo del termine decennale, decorrente, ad avviso della contribuente, dalla data della notifica dell’avviso di liquidazione ((OMISSIS)) con la conseguenza che nemmeno l’iscrizione a ruolo della cartella avrebbe interrotto il termine prescrizionale ormai compiuto.

5. La prima censura è destituita di fondamento.

Come ribadito dalle S.U. n. 23397/2016 richiamate dalla medesima ricorrente, “la scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche l’effetto della c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato”; è di applicazione generale il principio secondo il quale la scadenza del termine perentorio stabilito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito ma non determina anche l’effetto della c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c.. Tale principio, pertanto, si applica con riguardo a tutti gli atti – comunque denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonchè di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali nonchè delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Con la conseguenza che, qualora per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo”.

Nel caso in esame, il termine prescrizionale previsto per l’imposta di registro è quello decennale di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 78.

In tema IRPEF, IVA, IRAP ed imposta di registro, il credito erariale per la loro riscossione si prescrive nell’ordinario termine decennale assumendo rilievo, quanto all’imposta di registro, l’espresso disposto di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 78, e, quanto alle altre imposte dirette, l’assenza di un’espressa previsione, con conseguente applicabilità dell’art. 2946 c.c., non potendosi applicarsi il termine quinquennale previsto dall’art. 2948 c.c., comma 1, n. 4 “per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”, in quanto l’obbligazione tributaria, pur consistendo in una prestazione a cadenza annuale, ha carattere autonomo ed unitario ed il pagamento non è mai legato ai precedenti bensì risente di nuove ed autonome valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti impositivi (Cass. n. 12740/2020; Cass. n. 33266 del 2019; Cass. n. 32308 del 2019).

In particolare, poi, questa Corte ha ribadito che in tema di imposta di registro, una volta divenuto definitivo l’avviso di rettifica e liquidazione per mancata impugnazione, ai fini della riscossione del credito opera unicamente il termine decennale di prescrizione di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 78, non trovando applicazione nè il termine triennale di decadenza previsto dal detto decreto, art. 76, concernente l’esercizio del potere impositivo, nè il termine di decadenza contemplato dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, in quanto l’imposta di registro non è ricompresa tra i tributi ai quali fa riferimento il D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 23 (che ha esteso le disposizioni di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15, comma 1, quanto all’iscrizione a ruolo a titolo provvisorio, e art. 25, comma 1, quanto ai termini di decadenza, solo all’IVA; v. Cass. n. 27698/2020; Cass., 11 maggio 2018, n. 11555; Cass., 30 giugno 2016, n. 13418; Cass., 24 settembre 2014, n. 20153; Cass., 9 luglio 2014, n. 15619; Cass., 6 giugno 2014, n. 12748; Cass., 2 dicembre 2013, n. 27028) Accertata la definitività dell’avviso di liquidazione, alcuna rilevanza può assumere l’eventuale notifica del primo atto tributario oltre il termine triennale prescritto dal citato art. 76, doglianza che avrebbe dovuto essere proposta con l’impugnazione dell’atto medesimo.

6. Meritano accoglimento le ultime due censure.

Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte “In tema di imposta di registro, il decorso del termine prescrizionale decennale per la riscossione dell’imposta definitivamente accertata, previsto dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 78, non può ritenersi interrotto dalla sola formazione del ruolo da parte dell’Amministrazione finanziaria, atteso che, ai sensi dell’art. 2943 c.c., u.c., la prescrizione dei diritti è interrotta solo da un atto che valga a costituire in mora il debitore e, quindi, avente carattere recettizio, mentre l’iscrizione a ruolo di un tributo resta un atto interno dell’amministrazione(Cass. n. 14301/2009; sulla natura della iscrizione a ruolo v. Cass. n. 315/2014; Cass. n. 23261/2020).

Anche Cass. sez. V, n. 17248 del 2017, non ha mancato di specificare che, in materia di riscossione delle imposte, la prova della notificazione della cartella esattoriale è atto idoneo ad interrompere la prescrizione del credito tributario.

L’art. 2943 c.c., comma 2, prevede che la prescrizione è interrotta da ogni atto che valga a costituire in mora il debitore: per effetto dell’interruzione, decorre un ulteriore periodo di prescrizione; dunque, la notifica della cartella di pagamento o dell’accertamento esecutivo o di altri atti emessi sia dall’ente creditore che dall’Agente della riscossione, ove si intima il pagamento degli importi, interrompono la prescrizione.

Pertanto, nella fattispecie, la prescrizione – già interrotta dalla notifica dell’avviso di liquidazione – decorre dalla data in cui l’avviso è stato notificato. Il nuovo atto interruttivo da considerare non è certamente l’iscrizione a ruolo, bensì la consegna della cartella all’ufficiale postale per la notifica, data che nè dal ricorso nè dalla sentenza impugnata è dato evincere All’accoglimento del secondo e del terzo motivo segue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio degli atti alla CTR della Campania, in diversa composizione, per il riesame della controversia (in particolare, per accertare l’eventuale estinzione del credito alla luce dell’eccepita prescrizione, considerando il dies a quo ed il dies a quem indicati in sentenza).

P.Q.M.
Accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, respinto il primo; cassa la sentenza impugnata e rimette gli atti alla CTR della Campania, in diversa composizione, per il riesame della controversia nonchè per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della quinta sezione civile Corte di Cassazione in ROMA, tenuta da remoto, il 21 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2021


Contrasto tra copia notificata ed originale in possesso dell’ufficio

L’avviso di accertamento notificato al contribuente senza alcune pagine, e quindi privo di dati essenziali, risulta nullo, anche se la copia originale in possesso dell’Ufficio è corretta. Lo chiarisce la Corte di Cassazione con la sentenza numero 10860 del 23 aprile 2021


Circolare 2021-002: La notificazione dell’atto impo-esattivo

LA NOTIFICAZIONE DELL’ATTO IMPO-ESATTIVO. AVVISI DI ACCERTAMENTO CON VALORE DI TITOLO ESECUTIVO
PROCEDIMENTO DI NOTIFICA E COMPETENZE DEL MESSO COMUNALE E NOTIFICATORE

Dal 1° gennaio 2020 anche gli atti di accertamento e irrogazione sanzioni emessi dai Comuni possono avere efficacia esecutiva. La legge di bilancio 2020 (legge 27 dicembre 2019, n. 160) art. 1 commi 784 ss., permette di applicare la tipologia dell’accertamento esecutivo, già operante per le imposte sui redditi, IVA e IRAP e per somme dovute a qualsiasi titolo all’INPS (ex artt. 29 e 30  del D.L. n. 78/2010), anche ai Tributi Locali.
Questi atti, definiti impo-esattivi, consentono all’Ente Locale impositore di evitare la successiva emissione dell’ingiunzione fiscale o della cartella esattoriale nel caso di procedimento di riscossione coattiva affidato all’Agenzia delle Entrate Riscossioni, qualora il contribuente non abbia provveduto al pagamento o proposto ricorso nel termine di 60 gg. dalla notificazione degli stessi.
Si tratta quindi di un importante strumento che consente di semplificare e accelerare il recupero delle entrate tributarie e patrimoniali non riscosse.
Tuttavia, proprio perché questa nuova tipologia di atti comprende in sé sia l’avviso di accertamento che il titolo esecutivo, ciò pone degli interrogativi in merito sia alle modalità di notificazione che alla relativa competenza.
Relativamente all’ingiunzione fiscale (RD n. 639/1910) questa Associazione si è già più volte espressa, escludendo la competenza del Messo Comunale.
Per quanto concerne l’avviso di accertamento con valore esecutivo, osserviamo che la L. n. 160/2019 non si esprime nel merito alle modalità di notificazione, limitandosi a prevedere i termini di esecutività dalla data di notificazione, nulla aggiungendo in merito alle forme della stessa.
Per tale motivo, in assenza di disposizioni specifiche o derogatorie, dobbiamo concludere che l’atto impo-esattivo emanato dall’Ente Locale segue le regole applicate alla notificazione dell’atto impositivo vero e proprio e poiché l’art. 1 comma 161 della legge 296/2006 non prevede procedure speciali di notificazione relativamente agli avvisi di accertamento dei Tributi degli Enti Locali, il procedimento di riferimento rimane quello indicato nel Codice di Procedura Civile.
A supporto di questa interpretazione, va rilevato che, anche nel caso degli avvisi di accertamento impo-esattivi emanati dall’Agenzia delle Entrate, l’art. 29 del DL n. 78/2010 che dispone in merito, non ha previsto l’adozione delle modalità di notificazione di cui all’art. 26 del DPR 602/1973 inerenti all’atto esattivo vero e proprio, ovvero la cartella di pagamento.
La stessa Commissione Tributaria Regionale del Piemonte con la sentenza n. 757/3/19 conferma quanto detto: Riguardo all’atto impo-esattivo cd. “primario”, l’art. 29 del DL n. 78/2010, al co. 1, lett. a) periodo primo, parla di notificazione senza ulteriori specificazioni, rinviando a quanto disposto dall’art. 60 del DPR n. 600/1973 che disciplina la notificazione eseguita tramite Messi…”  l’art. 60 DPR 600/1973 è citato nel testo della sentenza in riferimento alla notificazione dell’atto di accertamento dell’Agenzia delle Entrate e quindi confermando che il procedimento di notifica da adottare è quello previsto per la fase impositiva.

In realtà l’art. 29 del DL 78/2010 dispone solo in merito alla possibilità di ricorrere alla notificazione diretta dell’ente impositore a mezzo di raccomandata ordinaria per quello che viene definito atto impo-esattivo “secondario” mentre l’art. 1 comma 161 della legge 296/2006 prevede altrettanto per l’avviso di accertamento dei tributi degli enti locali.
Da ciò si deduce che il Messo Comunale, in forza della sua competenza generale alla notificazione degli atti della P.A, ex art. 10 L. 265/1999, potrà legittimamente provvedere anche alla notificazione della nuova tipologia di atti impo-esattivi.
Per quanto riguarda, infine, il Messo Notificatore di cui alla L. 296/2006, si ritiene che lo stesso, essendo già competente alla notificazione dell’atto impositivo così come di quello esattivo, come indicato nell’art. 1 comma 158 della legge 296/2006, abbia pieno titolo anche alla notificazione dell’atto impo-esattivo.
Si ribadisce pertanto quanto già sostenuto in precedenti circolari (Circolare 01/2015 – Avvisi di Addebito INPS, Circolare 001/2016 – Convenzione con i Comuni per la notificazione degli AVA inviati dall’INPS) relative alla notificazione di un altro atto impo-esattivo, ovvero l’avviso di addebito dell’INPS di cui all’art. 30 del DL 78/2010, per il quale il legislatore non ha dato indicazioni particolari sulle forme della notificazione eseguita dai messi comunali, determinando così il ricorso al procedimento di notifica di cui agli artt. 137 e ss. del codice di procedura civile.

Quindi, in conclusione, sia che l’atto da notificare sia un avviso di accertamento per così dire “puro” (atto impositivo) sia che si tratti di un avviso di accertamento con valore di titolo esecutivo (atto impo-esattivo), cioè redatto con le indicazioni del legislatore per conferire a questa nuova categoria di atti anche valenza di titolo esecutivo (come per l’ingiunzione fiscale/cartella di pagamento), il procedimento di notificazione non cambia, così che:

  • per i Tributi degli Enti Locali si applica il procedimento notificatorio ordinario previsto dagli artt. 137 e seguenti del Codice di Procedura Civile

                 competenza del Messo Comunale e del Messo Notificatore

  • per i Tributi erariali dell’Amministrazione Finanziaria Statale si applica il procedimento notificatorio previsto dall’art. 60 del DPR 600/1973

                 competenza, quale soggetto notificante, del Messo Comunale

Scarica: Circolare 2021-002 La notifica degli atti impoesattivi


Cass. civ., Sez. I, Ord., (data ud. 26/01/2021) 28/04/2021, n. 11228

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 29597/2017 r.g. proposto da:

M.V., (cod. fisc. (OMISSIS)), in proprio e nella qualità di ex socio della (OMISSIS) s.n.c. rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Valerio Di Gravio, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, Via Barnaba Oriani n. 85;

– ricorrente –

contro

DITTA INDIVIDUALE C.F., (cod. fisc. P. Iva (OMISSIS)), con sede in Cerignola, alla via Napoli n. 27, in persona del legale rappresentante pro tempore C.F., rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avv. Paolo Pantano, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Foggia, alla Via Zezza n. 2;

– controricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) s.n. c (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore Dott. A.F., rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato Pasquale Caso, con il quale elettivamente domicilia in Roma, alla Via Pietralata n. 320, presso lo studio dell’Avvocato Gigliola Mazza Ricci;

– controricorrente –

contro

P.R.;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte di appello di Bari, depositata in data 9.11.2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/1/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Svolgimento del processo
CHE:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Bari ha rigettato il reclamo proposto, ai sensi della L.Fall., art. 18, da M.V. (in proprio e nella qualità di ex socio della (OMISSIS) s.n.c.) nei confronti del fallimento (OMISSIS) s.n. c e di C.F. e P.R. (rimasta contumace), avverso la sentenza dichiarativa di fallimento della predetta società emessa dal Tribunale di Foggia in data 17 febbraio 2017.

La corte del merito, per quanto qui ancora di interesse, ha ricordato che M.V. aveva proposto reclamo quale socio per l’intervenuta estensione del fallimento di una società di persone anche ai soci illimitatamente responsabili; ha inoltre osservato che le censure sollevate dal reclamante in ordine all’invalidità delle notificazioni degli atti introduttivi del giudizio prefallimentare al M. e alla impresa individuale di cui era titolare quest’ultimo erano infondate, evidenziando che: i) la notifica effettuata presso l’indirizzo di posta elettronica dell'(OMISSIS) s.n.c., come risultante dal registro delle imprese, aveva avuto esito negativo; ii) la notifica si era dunque perfezionata, presso la sede della società fallita (che coincideva con il luogo di residenza dello stesso M.), tramite la consegna a P.R., qualificatasi all’Ufficiale giudiziario incaricato della notifica, quale “moglie incaricata della ricezione degli atti”, come emergeva dalla documentazione versata in atti; iii) l’unico atto notificato in (OMISSIS), residenza della P., era quello indirizzato a quest’ultima, come emergeva sempre dalla relata di notifica; iv) la notificazione di un atto, se effettuata presso l’abitazione del destinatario mediante consegna al familiare, è assistita dalla presunzione di ricezione, ai sensi dell’art. 139 c.p.c., comma 2; v) anche la moglie separata con pronuncia giudiziale di addebito al marito è considerata come persona di famiglia, posto che il rapporto di coniugio cessa solo con la pronuncia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio; vi) le relazioni di notificazione, il cui contenuto fa fede sino a querela di falso circa le attestazioni riguardanti l’attività svolta dall’ufficiale giudiziario procedente, certificavano, dunque, che le notificazioni degli atti introduttivi del giudizio prefallimentare si erano perfezionate presso l’indirizzo della sede sociale e della residenza del socio (coincidenti), tramite la consegna alla P., persona di famiglia, ai sensi dell’art. 139 c.p.c., comma 2 e dunque erano da considerarsi validamente effettuate; ha dunque osservato che nessuna violazione del diritto di difesa si era consumata ai danni della ditta individuale e del socio rispetto alla domanda di fallimento presentata dal creditore C.; ha infine evidenziato come il socio reclamante non avesse neanche contestato l’esistenza del vincolo che lo legava alla compagine sociale nè i presupposti per la dichiarazione di fallimento, così risultando inevitabile il rigetto del reclamo.

2. La sentenza, pubblicata il 9.11.2017, è stata impugnata da M.V. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui il Fallimento (OMISSIS) s.n. c e C.F. hanno resistito con controricorso.

Il ricorrente ed il Fallimento hanno depositato memoria.

Motivi della decisione
CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L.Fall., art. 18 per aver la corte di appello ritenuto definitiva la dichiarazione di fallimento della società. Si evidenzia che legittimato attivo a proporre reclamo L.Fall., ex art. 18 è qualsiasi interessato e dunque anche il socio della società di persone che vanta un legittimo interesse a contraddire sulla istanza di fallimento della società che comporterebbe anche il fallimento del socio illimitatamente responsabile.

2. Con il secondo mezzo si denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L.Fall., art. 15 e art. 145 c.p.c. per aver ritenuto la corte di appello valida la notificazione del ricorso per la dichiarazione di fallimento indirizzata alla società. Si evidenzia la violazione della L.Fall., art. 15, in quanto la procedura speciale di notificazione prevista da quest’ultimo articolo esclude l’applicabilità del disposto normativo di cui all’art. 145 c.p.c., sicchè l’unico soggetto legittimato a ritirare l’atto presso la sede della società era il M., quale legale rappresentante della fallenda, e non già la P., qualificatasi quale moglie addetta alla ricezione degli atti.

3. Il terzo motivo articola, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 139 c.p.c. per aver la corte di appello ritenuto valida la notificazione dell’istanza di fallimento al socio attuale ricorrente. Si evidenzia che l’art. 139 c.p.c., comma 2, introduce nel nostro ordinamento processuale una presunzione di conoscibilità dell’atto se quest’ultimo è consegnato a “persona di famiglia”, con la precisazione che tale presunzione è iuris tantum e dovendosi dunque ammettere la prova contraria a carico di chi assume di non aver ricevuto l’atto, prova consistente nel dimostrare il carattere del tutto occasionale della presenza del consegnatario nella propria residenza. Si osserva ancora che la P. è coniuge legalmente separato ed è pertanto residente in luogo diverso da quello di esso ricorrente, tanto ciò è vero che la P. ricevette la notifica della stessa istanza di fallimento presso il suo domicilio, (OMISSIS), e con ciò dimostrandosi la mera occasionalità della presenza della P. nella abitazione del socio che corrispondeva anche con la sede sociale della fallita.

4. Il quarto mezzo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del combinato disposto della L.Fall., art. 10 e art. 354 c.p.c. per non aver la Corte di appello di Bari revocato il fallimento della società e, in subordine, per non aver rimesso gli atti al Tribunale di Foggia.

5. Il ricorso è infondato.

5.1 Il primo motivo è inammissibile, in quanto il ricorrente non ha interesse ad impugnare la statuizione contenuta nella sentenza impugnata relativa alla carenza di legittimazione attiva del socio illimitatamente responsabile all’impugnazione della dichiarazione di fallimento della società. Ed invero, tale statuizione non ha carattere decisorio e deve essere considerata come un mero obiter dictum all’interno della motivazione impugnata, tanto ciò è vero che la sentenza – dopo la contestata affermazione (non corretta giuridicamente) – si è pronunciata espressamente anche sulle doglianze sollevate dal socio in ordine alla declaratoria di fallimento della società (e ciò con particolare riferimento alla questione del perfezionamento della notifica degli atti introduttivi del giudizio prefallimentare alla società), così riconoscendo, correttamente, la piena legittimazione del socio illimitatamente responsabile anche all’impugnativa della dichiarazione di fallimento della società.

5.2 Il secondo motivo è invece infondato.

La doglianza non coglie nel segno, posto che – per stessa ammissione del ricorrente – la notifica del ricorso per fallimento alla società è stata eseguita, nel caso di specie, proprio nella sede della società fallenda, nelle mani di persona qualificatasi come addetta alla ricezione degli atti, con ciò dovendosi comunque ritenere perfezionata la notificazione, ai sensi del sopra richiamato L.Fall., art. 15, comma 3, dopo il tentativo infruttuoso di notificazione attraverso la pec della società fallenda.

5.3 Il terzo motivo è anch’esso infondato.

5.3.1 Sul punto, è stato affermato dalla giurisprudenza di questa Corte che “In tema di notificazioni, la consegna dell’atto da notificare “a persona di famiglia”, secondo il disposto dell’art. 139 c.p.c., non postula necessariamente nè il solo rapporto di parentela – cui è da ritenersi equiparato quello di affinità – nè l’ulteriore requisito della convivenza del familiare con il destinatario dell’atto, non espressamente menzionato dalla norma, risultando, all’uopo, sufficiente l’esistenza di un vincolo di parentela o di affinità che giustifichi la presunzione che la “persona di famiglia” consegnerà l’atto al destinatario stesso; resta, in ogni caso, a carico di colui che assume di non aver ricevuto l’atto l’onere di provare il carattere del tutto occasionale della presenza del consegnatario in casa propria, senza che a tal fine rilevino le sole certificazioni anagrafiche del familiare medesimo” (così, verbatim, Sez. 6 – L, Ordinanza n. 21362 del 15/10/2010; v. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 18085 del 25/07/2013). E’ stato altresì precisato nell’arresto da ultimo menzionato che “La notifica, quando effettuata a mezzo del servizio postale, va considerata rituale, ai sensi della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 7, comma 2 ove l’agente postale abbia consegnato il plico a persona di famiglia (nella specie, al coniuge separato), qualora risulti la presenza consuetudinaria e non occasionale della stessa presso l’abitazione del destinatario, accertata dal giudice di merito” (v. anche: n. 24852 del 2006; n. 22607 del 2009). In realtà, la giurisprudenza ha ritenuto sussistente il vincolo presuntivo di cui all’art. 139 c.p.c., comma 2 ritenendo che la notificazione mediante consegna a persona di famiglia richiede che l’atto da notificare sia consegnato a persona che, pur non avendo uno stabile rapporto di convivenza con il notificando, sia a lui legato da vincolo di parentela, che giustifichi la presunzione di sollecita consegna; presunzione superabile da parte del notificando, che assuma di non avere ricevuto l’atto, con la dimostrazione della presenza occasionale e temporanea del familiare consegnatario (così le pronunce n. 187/2000, 5671/1997, 7371997). Ma se tale è la formula adottata, è anche palese che il testo non impone alcuna indicazione, nella formula notificatoria, della convivenza, posto che, come più volte da questa Corte precisato, viene instaurata la presunzione della convivenza temporanea del familiare nella abitazione del destinatario per il solo fatto che detto familiare si sia trovato nella casa ed abbia preso in consegna l’atto (cfr.: Cass. 1843/98 – 7544/97 – 615/95 – 6100/94 2348/94), presunzione certamente superabile da prova contraria fornita dall’interessato (e ad oggetto la carenza di alcuna pur temporanea convivenza) e sulla quale il legislatore ha fondato l’ulteriore presunzione normativa, quella di consegna immediata dell’atto al suo destinatario da parte del ridetto familiare.

5.3.2 Ne consegue che occorre in primis affermare la qualità di “persona di famiglia” della P., quale coniuge del M., anche se separata con pronuncia giudiziale e residente altrove, posto che il rapporto di coniugio cessa solo con la pronuncia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio (cfr. Cass. 18085/2013).

5.3.2 Ciò posto, risulta evidente come la parte oggi ricorrente sia venuta meno all’onere di dimostrare il carattere solo occasionale della presenza del consegnatario (moglie separata) in casa propria, non rilevando a tal fine le sole certificazioni anagrafiche del familiare medesimo che attestino una diversa residenza del coniuge non convivente del destinatario della notificazione. Invero, emerge dalla lettura della sentenza impugnata che la prova testimoniale articolata dal ricorrente vertesse solo sulla veridicità dell’attestazione contenuta nella relata in relazione al luogo della ricezione della notifica, profilo quest’ultimo da contestare solo attraverso la presentazione della querela di falso, non avendo il ricorrente articolato altra prova diretta invece a dimostrare, come era suo onere, il carattere occasionale della presenza del consegnatario in casa propria.

5.3.3 A ciò va aggiunto che – in senso contrario a quanto affermato (e non provato) dal ricorrente, e cioè nel senso della dimostrazione della non “occasionalità” della presenza della P. nella residenza del coniuge separato – depone l’ulteriore circostanza fattuale, neanche controversa tra le parti, secondo cui, nella relata di notificazione dell’ufficiale giudiziario la P. si era dichiarata come “incaricata della ricezione degli atti” presso la residenza dell’altro socio (v. anche folio 4 della sentenza impugnata), residenza che coincide – è il caso di sottolinearlo – con la sede della società fallenda, con ciò dimostrandosi uno stabile vincolo tra la presenza della P. (socia e “incaricata della ricezione degli atti”) e la residenza anagrafica dell’altro socio, coniuge ormai separato dalla P..

5.4 Il quarto motivo è assorbito.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da separato dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per i compensi, in favore della Ditta individuale C.F. in Euro 5.600 e in favore del Fallimento (OMISSIS) s.n. c in Euro 7.200, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2021


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 18-11-2020) 23-04-2021, n. 10860

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2975-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente-

contro

A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO 41, presso lo studio dell’avvocato PEZZALI PAOLA, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente-

avverso la sentenza n. 145/2012 della COMM. TRIB. REG. TOSCANA SEZ. DIST. di LIVORNO, depositata il 05/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/11/2020 dal Consigliere Dott. VENEGONI ANDREA;

lette le conclusioni scritte del pubblico ministero in persona del sostituto procuratore generale Dott. SALZANO FRANCESCO che ha chiesto in rigetto del ricorso, con le conseguenze di legge.

Svolgimento del processo
Che:

Il contribuente A.G. impugnava davanti alla CTP di Livorno l’avviso di accertamento relativo ad irpef, irap ed iva per l’anno 2004 deducendo che esso conteneva un vizio che ne minava la motivazione, in quanto nell’avviso relativo a tale anno vi erano alcune pagine che si riferivano, in realtà, all’anno 2002 e viceversa.

La CTP accoglieva il ricorso e la CTR rigettava l’appello dell’ufficio.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre l’ufficio sulla base di due motivi.

Si costituisce il contribuente con controricorso.

In vista dell’udienza odierna, il PG ha depositato conclusioni scritte.

Motivi della decisione
Che:

Con il primo motivo l’ufficio deduce insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La CTR non ha motivato sufficientemente sul motivo per cui ha escluso che l’atto avesse raggiunto il suo scopo, e quindi sulla sanatoria del vizio materiale dell’atto.

Il contribuente ha eccepito l’inammissibilità del motivo sotto tre profili.

Con il secondo motivo deduce in subordine violazione dell’art. 137 c.p.c., comma 2 e art. 148 c.p.c., nonché del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, e conseguente violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42 e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 56 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La CTR ha errato nel fare riferimento alla copia notificata al contribuente anziché all’originale esibito dall’ufficio in giudizio.

Anche in relazione a tale motivo, il contribuente in controricorso eccepisce l’inammissibilità.

Il ricorso, che può essere esaminato unitariamente attesa la stretta connessione tra i due motivi, è infondato, e ciò determina che le eccezioni di inammissibilità possano considerarsi superate.

Le questioni dedotte dall’ufficio in appello, infatti, devono essere considerate nel complesso della motivazione della sentenza impugnata.

Letta unitariamente, la motivazione significa in maniera chiara che il vizio da cui era pacificamente affetto l’avviso di accertamento in questione era talmente radicale da privare il contribuente della possibilità di predisporre un’adeguata difesa, e ciò ha integrato una situazione non sanabile dall’affermato raggiungimento dello scopo.

Ora, senza poter entrare in questa sede nei profili di merito e fattuali della vicenda, se il dedotto vizio della sentenza consiste – come in effetti consiste – nella motivazione su un aspetto molto specifico dell’argomentare, e cioè la negazione del fatto che l’atto abbia comunque raggiunto il suo scopo, non si può ritenere che tale motivazione sia mancata o sia stata insufficiente, pur tenendo conto del fatto che il vizio è valutabile nella formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 anteriore alla riforma del 2012 (la sentenza è stata depositata nel giugno 2012).

La CTR ha, infatti, ritenuto che il vizio, che non è contestato, per le sue caratteristiche fattuali fosse tale da escludere la possibile sanatoria per raggiungimento dello scopo. La motivazione sulla mancata sanatoria va, quindi, ricollegata a quella parte che descrive le caratteristiche del vizio stesso, ed in tal senso non può ritenersi insufficiente.

Né può addossarsi al contribuente l’onere di procedere egli stesso alla ricostruzione dell’atto, anche se le circostanze concrete lo permettessero, essendo onere dell’amministrazione predisporre e portare a conoscenza del contribuente un atto completo.

Tra l’altro, in tema di carente motivazione dell’atto impositivo, cioè di vizi di contenuto dello stesso, questa Corte (sez. V n. 21997 del 2014) ha avuto modo di affermare:

In tema di accertamento tributario, l’insufficienza motivazionale dell’atto impositivo, che ne giustifica l’annullamento, non esclude che il contribuente possa difendersi nel merito, deducendo, mediante l’impugnazione, anche vizi di merito, poiché tale difetto non può essere sanato, ex art. 156 c.p.c., per raggiungimento dello scopo in quanto l’atto ha la funzione di garantire una difesa certa anche con riferimento alla delimitazione del “thema decidendum”.

In senso analogo, di recente, anche sez. V, n. 4070 del 2020, secondo cui:

non è consentito all’amministrazione di sopperire con integrazioni in sede processuale alle lacune dell’avviso di liquidazione per difetto di motivazione (ex plurimis: Cass., Sez. 5, 31 gennaio 2018, n.. 2382; Cass., Sez. 6, 21 maggio 2018, n. 12400; Cass., Sez, 5, 12 ottobre 2018, n. 25450; Cass., Sez. 5, 24 maggio 2019, n. 14185). Dunque, la “sanatoria” giudiziale non solleva dal difetto di motivazione degli atti impugnati.

Ancora, sez. V n. 16772 del 2017 ha ritenuto che se l’avviso è incompleto perché manca la sola indicazione dell’aliquota, ma è noto l’imponibile e si discute di imposte ad aliquota proporzionale (ires), questa sola mancanza non rende l’avviso nullo perché si tratta di effettuare una mera operazione matematica, ma la conclusione è diversa se le mancanze sono plurime e più rilevanti, come nel caso di specie.

Da questo principio il collegio ritiene che tra le mancanze più rilevanti, che secondo anche quest’ultima sentenza, almeno implicitamente, possono dar luogo a nullità dell’atto, vi sia certamente la mancanza di alcune pagine, con dati essenziali dell’accertamento, specie in un’imposta progressiva, come l’irpef di cui si discute nel caso di specie.

Questo è affermato esplicitamente da sez. V, n. 9196 del 2011, da cui in particolare, si ricava che l’omessa indicazione dell’aliquota in un’imposta progressiva, anche se l’accertamento unitario riguarda pure imposte con aliquota proporzionale, è idonea a determinare il vizio dell’atto.

Il tutto, sul presupposto che la versione di riferimento dell’atto impositivo sia quella notificata al contribuente.

L’avviso di accertamento è, infatti, per sua natura, atto di natura sostanziale, con il quale l’amministrazione porta a conoscenza del contribuente la pretesa tributaria. In quanto tale, l’avviso di accertamento, allo stesso tempo, circoscrive anche la pretesa tributaria e determina, infine, il campo entro il quale il contribuente potrà e dovrà esercitare la propria difesa.

Sulla base di ciò, affermare che, nel contrasto tra copia notificata ed originale in possesso dell’ufficio, sia quest’ultimo a prevalere, significa adottare un’interpretazione che può tradursi in una lesione del diritto di difesa del contribuente stesso.

E’ vero che questa Corte a sezioni unite (Sez. un. 18121 del 2016) ha affermato, in tema di notifiche, la prevalenza dell’originale sulla copia, ma nella specie non si discute di un atto processuale, quanto del contenuto dell’atto sostanziale, il quale, come già ricordato dalla giurisprudenza sopra citata (sez. V, n. 21997 del 2014) ha anche la funzione di delimitare il thema decidendum della futura controversia.

Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza. Sono, pertanto, a carico del ricorrente ufficio e, considerato il valore della causa, si liquidano in Euro 3.500 oltre accessori di legge.

Si dà, poi, atto della non debenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, essendo soccombente l’amministrazione pubblica, la quale prenota a debito, anzichè versare, il contributo suddetto (come confermato da sez. V, n. 23878 del 2020).

P.Q.M.
Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 3.500 oltre accessori.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2021


La notifica in caso di irreperibilità temporanea

Qual è il modo per assolvere l’onere della prova circa il perfezionamento di una procedura di notifica di atto impositivo mediante l’impiego diretto del servizio postale in caso di temporanea assenza del destinatario, cosiddetta “irreperibilità relativa”?

E’ sufficiente la prova della spedizione della raccomandata informativa (CAD) o è necessario il deposito dell’avviso di ricevimento di tale raccomandata?

Sono i quesiti che la Quinta sezione civile della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite e a cui queste ultime hanno dato risposta con sentenza n. 10012 del 15 aprile 2021.

Con tale pronuncia, la Suprema corte si è pronunciata in tema di notifica di un atto impositivo ovvero processuale tramite il servizio postale, secondo le previsioni della Legge n. 890/1982, qualora l’atto notificato non venga consegnato al destinatario:

  • per rifiuto a riceverlo;
  • per temporanea assenza del destinatario stesso;
  • per assenza/inidoneità di altre persone a riceverlo.

Notifica postale e irreperibilità relativa del contribuente
In tali ipotesi – hanno sottolineato le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione – la prova del perfezionamento della procedura notificatoria può essere data dal notificante esclusivamente mediante la produzione giudiziale dell’avviso di ricevimento della raccomandata che comunica l’avvenuto deposito dell’atto notificando presso l’ufficio postale, c.d. CAD.

Per gli Ermellini, non è a tal fine sufficiente la prova dell’avvenuta spedizione della raccomandata medesima.

Soluzione della Cassazione: prova notifica solo con produzione giudiziale dell’avviso
Il massimo Collegio di legittimità ha così risolto il contrasto interpretativo esistente sulla questione all’interno della giurisprudenza di legittimità, che vedeva contrapposte due diversi indirizzi.

Un primo orientamento, consolidato soprattutto nel passato, afferma che ai fini della prova del perfezionamento della notifica postale diretta in caso di assenza temporanea del destinatario, è sufficiente che l’Ente impositore notificante produca in giudizio l’avviso di ricevimento della raccomandata contenente l’atto notificando con l’attestazione di spedizione della Cad.

L’altra lettura, affermatasi a partire dalla sentenza n. 5077/2019, ritiene invece che per considerare perfezionata la procedura di notificazione sia necessario verificare in concreto l’avvenuta ricezione della CAD e a tal fine il notificante è processualmente onerato della produzione del relativo avviso di ricevimento.

Ed è a questo secondo indirizzo che le SS.UU. della Corte di Cassazione hanno ritenuto di dover dare seguito.


Riunione Giunta Esecutiva del 21.04.2021

Ai sensi dell’art. 14 dello Statuto, viene convocata la riunione della Giunta Esecutiva che si svolgerà mercoledì 21 aprile 2021 alle ore 19:00, in modalità webinar, in prima convocazione, e alle ore 21:00 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:
1.Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2021;
2.Iniziativa sulla valorizzazione del Messo Comunale/Notificatore;
3.Varie ed eventuali.

La riunione, per problemi organizzativi, viene spostata a venerdì 23 aprile alle ore 21:00 in seconda convocazione

Leggi: GE 23 04 2021 Verbale


Cass. civ. Sez. Unite, Sent., (ud. 23-02-2021) 15-04-2021, n. 10012

La Suprema corte con sentenza sentenza n. 10012 del 15 aprile 2021 si è pronunciata in tema di notifica di un atto impositivo ovvero processuale tramite il servizio postale, secondo le previsioni della Legge n. 890/1982, qualora l’atto notificato non venga consegnato al destinatario:

  • per rifiuto a riceverlo;
  • per temporanea assenza del destinatario stesso;
  • per assenza/inidoneità di altre persone a riceverlo.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Primo Presidente f.f. –
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di Sez. –
Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –
Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6199/2014 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 4, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO BOTTI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA SUD S.P.A., UFFICIO PROVINCIALE DI CASERTA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 334/46/2013 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di NAPOLI, depositata il 08/10/2013.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23/02/2021 dal Consigliere Dott. ENRICO MANZON;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale STANISLAO DE MATTEIS, il quale chiede alla Corte che venga rigettato il primo motivo del ricorso ed accolti il secondo ed il terzo.

Svolgimento del processo
1. F.A., destinataria della notifica di una cartella di pagamento per IRPEF 2006-2007, derivante da avvisi di accertamento, avversava l’atto esattivo con ricorso alla Commissione tributaria provinciale di (OMISSIS), lamentando la mancata rituale notifica di detti atti impositivi prodromici e quindi l’inesistenza del titolo esecutivo (iscrizione a ruolo) legittimante la minacciata esecuzione esattoriale.

2. L’Agenzia delle entrate, ufficio locale, costituendosi eccepiva che la procedura notificatoria di detti avvisi di accertamento, in precaria assenza della contribuente dal proprio domicilio, doveva di contro considerarsi ritualmente perfezionata secondo le previsioni di legge. Si costituiva altresì l’agente della riscossione eccependo la propria carenza di legittimazione passiva.

3. La CTP rigettava il ricorso, rilevando che la F. non aveva assolto all’onere di impugnare anche nel merito gli avvisi di accertamento prodromici alla cartella esattoriale impugnata.

4. Il gravame interposto dalla contribuente veniva rigettato dalla Commissione tributaria regionale della Campania. Il giudice tributario di appello fondava la propria decisione sia sull’affermazione della ritualità della procedura notificatoria degli avvisi di accertamento sia, come il primo giudice, sull’affermazione dell’onere di impugnazione degli stessi anche nei profili di merito.

5. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la F. deducendo tre motivi.

6. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

7. La Quinta Sezione civile di questa Corte, con ordinanza n. 21714 dell’8 ottobre 2020, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite al fine di risolvere il contrasto sulla questione, posta con il secondo motivo, di quale sia il modo per assolvere l’onere di provare il perfezionamento di una procedura notificatoria di un atto impositivo mediante l’impiego diretto del servizio postale nel caso della temporanea assenza del notificatario (c.d. “irreperibilità relativa”) ed in particolare se possa considerarsi sufficiente la prova della spedizione della raccomandata informativa (CAD) ovvero se sia invece necessario il deposito dell’avviso di ricevimento di tale raccomandata.

Il Primo Presidente ha quindi disposto l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

Motivi della decisione
1. Il terzo motivo del ricorso va esaminato in via pregiudiziale.

Come del resto puntualmente rilevato nell’ordinanza interlocutoria, la sentenza impugnata esprime infatti due distinte ed autonome rationes decidendi, l’una, censurata per differenti profili con il primo ed il secondo motivo di ricorso, relativa alla ritualità della procedura notificatoria degli avvisi di accertamento prodromici alla cartella esattoriale impugnata; l’altra, appunto censurata con il terzo motivo del ricorso, relativa all’onere di impugnare, contestualmente all’atto esattivo, tali atti impositivi -necessariamente – anche per ragioni attinenti il merito delle pretese creditorie fiscali in essi contenute.

Orbene, l’eventuale rigetto di quest’ultima censura implicherebbe l’inammissibilità delle prime due, secondo il consolidato principio di diritto che “Qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa” (Cass., n. 2108 del 14/02/2012, Rv. 621882 – 01; conforme, da ultimo, Cass., n. 11493 del 11/05/2018, Rv. 648023 – 01).

Appare quindi evidente la necessità di trattazione pregiudiziale del terzo motivo del ricorso.

Ciò posto, tale censura è fondata.

Va infatti ribadito che “In materia di riscossione delle imposte, atteso che la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza procedimentale di determinati atti, con le relative notificazioni, allo scopo di rendere possibile un efficace esercizio del diritto di difesa del destinatario, l’omissione della notifica di un atto presupposto costituisce un vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto consequenziale notificato. Poichè tale nullità può essere fatta valere dal contribuente mediante la scelta, consentita dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, di impugnare solo l’atto consequenziale notificatogli (avviso di mora, cartella di pagamento, avviso di liquidazione), facendo valere il vizio derivante dall’omessa notifica dell’atto presupposto, o di impugnare cumulativamente anche quello presupposto (nell’ordine, cartella di pagamento, avviso di accertamento o avviso di liquidazione) non notificato, facendo valere i vizi che inficiano quest’ultimo, per contestare radicalmente la pretesa tributaria spetterà al giudice di merito, interpretando la domanda, verificare la scelta compiuta dal contribuente, con la conseguenza che, nel primo caso, dovrà verificare solo la sussistenza o meno del difetto di notifica al fine di pronunciarsi sulla nullità dell’atto consequenziale (con eventuale estinzione della pretesa tributaria a seconda se i termini di decadenza siano o meno decorsi), nel secondo la pronuncia dovrà riguardare l’esistenza, o no, di tale pretesa” (v. ex pluribus, da ultimo, Cass., 1144/2018, in consolidamento di Cass., Sez U., 5791/2008).

Secondo la giurisprudenza di questa Corte è dunque senz’altro consentito al contribuente impugnare una cartella esattoriale al fine esclusivo di far valere la mancata/irrituale notificazione dell’atto impositivo prodromico alla medesima, senza contestualmente aggredire l’atto stesso sotto altri profili di invalidità formale ovvero per la sua infondatezza nel merito, non sussistendo dunque alcun onere processuale della parte ricorrente al riguardo.

Su tale punto decisionale, avendo affermato il contrario, la sentenza della CTR campana è da ritenersi pertanto illegittima e meritevole di cassazione.

Ne consegue che possono quindi essere affrontati i primi due motivi del ricorso che, come detto, riguardano le modalità di notificazione degli avvisi di accertamento costituenti il presupposto della cartella di pagamento impugnata.

2. Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente si duole della violazione degli artt. 99, 112, c.p.c., D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, nonchè della violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 14, poichè la CTR ha ritenuto la legittimità della notifica a mezzo posta degli avvisi di accertamento in questione effettuata direttamente da parte dell’Agenzia delle entrate e quindi senza l’intervento dell’ufficiale giudiziario ovvero del messo speciale notificatore.

La censura è manifestamente infondata.

Sul punto de quo infatti la sentenza impugnata – pronunciandosi espressamente nei limiti dell’oggetto processuale delimitato dalle parti, con conseguente evidente inconsistenza dei dedotti profili processuali del mezzo – risulta aver fatto piana applicazione del chiaro ed inequivoco testo del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 14, il quale appunto prevede che “La notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente deve avvenire con l’impiego di plico sigillato e può eseguirsi a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari, nonchè, ove ciò risulti impossibile, a cura degli ufficiali giudiziari, dei messi comunali ovvero dei messi speciali autorizzati dall’Amministrazione finanziaria, secondo le modalità previste dalla presente legge. Sono fatti salvi i disposti di cui del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 26, 45 e segg. e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, nonchè le altre modalità di notifica previste dalle norme relative alle singole leggi di imposta. Qualora i messi comunali e i messi speciali autorizzati dall’Amministrazione finanziaria si avvalgano del sistema di notifica a mezzo posta, il compenso loro spettante ai sensi della L. 10 maggio 1976, n. 249, art. 4, comma 1, è ridotto della metà”.

Dunque la “notifica diretta” a mezzo posta da parte delle agenzie fiscali è, univocamente ed espressamente, consentita dalla legge, il che del resto è riscontrato dalla costante giurisprudenza di questa Corte (ex pluribus, Cass., 34007/2019, 1207/2014, 15284/2008), essendo peraltro evidente che trattasi di una disposizione legislativa speciale rispetto a quella del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e del c.p.c. da esso richiamate, sicchè prevale su quest’ultime in base al canone interpretativo lex specialis derogat generali.

3. Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 99, 112, c.p.c., nonchè la violazione della L. n. 890 del 1982, art. 8 e la violazione/falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., poichè la CTR ha sancito la ritualità della notifica degli atti impositivi prodromici alla cartella di pagamento impugnata.

In particolare, per un verso, si duole dell’omessa pronuncia sulla sua eccezione di invalidità della procedura notificatoria di detti atti fondata sulla mancata prova della spedizione della “raccomandata informativa” di avvenuto deposito degli atti notificandi (CAD) -la ricezione dei quali ab origine nega e che ha posto quale, esclusivo, motivo di impugnazione della cartella esattoriale- non avendo l’agenzia fiscale prodotto in giudizio l’avviso di ricevimento prescritto, quale forma necessaria della raccomandata stessa, dalla L. n. 890 del 1982, art. 8, che quindi, per altro verso, assume violato, unitamente al principio generale codicistico sull’attribuzione processuale dell’onere probatorio.

Il profilo processuale della censura deve ritenersi infondato, posto che, pur vero che la CTR campana non si è espressamente pronunciata sull’eccezione, devoluta in appello, in oggetto, risulta tuttavia chiaro che di un rigetto implicito si tratti.

Può pertanto al riguardo limitarsi a dare seguito al principio di diritto che “Non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo” (v. in tal senso, tra le molte, Cass. n. 29191 del 06/12/2017, Rv. 646290 01).

La censura tuttavia può comunque essere esaminata sotto il dedotto profilo di violazione/falsa applicazione della L. n. 890 del 1982, art. 8, art. 2697 c.c., secondo il consolidato principio di diritto che “Non ricorre il vizio di mancata pronuncia su una eccezione di merito sollevata in appello qualora essa, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto dell’eccezione medesima, sicchè il relativo mancato esame può farsi valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 c.p.c.), bensì come violazione di legge e difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto non preso in considerazione” (cfr. Cass., 24953/2020, 14486/2004).

Ciò posto, come detto, la ricorrente afferma di non avere mai ricevuto la notifica degli atti impositivi prodromici alla cartella esattoriale impugnata ed in particolare, trattandosi pacificamente di notifica “postale diretta” non perfezionatasi con la consegna del plico raccomandato a causa della sua temporanea assenza, di non aver mai ricevuto la “raccomandata informativa” dell’avvenuto deposito degli atti notificandi presso l’ufficio postale (CAD) così come prescritto dalla L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 2, seconda parte; afferma altresì che era onere processuale dell’agenzia fiscale provare il contrario (solo) mediante la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento della (seconda) raccomandata contenente detto avviso, non essendo, pacificamente, ciò avvenuto, poichè l’Ente impositore si è limitato a produrre giudizialmente soltanto l’avviso di ricevimento della “prima raccomandata” (quella contenente l’avviso di accertamento notificando), con l’attestazione dell’agente postale della temporanea assenza della destinataria e dell’avvenuta spedizione della “seconda raccomandata” prescritta dalla specifica disposizione legislativa appena citata.

4. La Sezione Quinta civile con la citata ordinanza interlocutoria sottopone dunque alla valutazione delle Sezioni Unite la questione che afferma oggetto di contrasto giurisprudenziale interno alla giurisprudenza di legittimità – se sia sufficiente per il giudizio di rituale perfezionamento della procedura notificatoria in esame la prova offerta dall’Agenzia delle entrate (primo avviso di ricevimento con dette attestazioni) oppure necessario, anche ed essenzialmente, che il notificante depositi l’avviso di ricevimento della “raccomandata informativa” (CAD).

In effetti, come puntualmente evidenziato dalla Sezione rimettente, si registra un’ evoluzione, piuttosto evidente, della giurisprudenza di questa Corte in ordine a tale questione giuridica.

5. Con un primo orientamento, più risalentemente consolidato, si è infatti costantemente affermato che, al fine della prova del perfezionamento della notifica postale “diretta” in caso di assenza temporanea del destinatario, è sufficiente che l’Ente impositore notificante produca in giudizio l’avviso di ricevimento della raccomandata contenente l’atto notificando con l’attestazione di spedizione della CAD (in questo senso, Cass., 2638/2019, 13833/2018, 26945-6242-4043/2017).

Tale orientamento – essenzialmente – si fonda sul dato letterale della L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4 (nella versione applicabile ratione temporis ossia dopo la modifica operata dal D.L. n. 35 del 2005, art. 2, ma prima delle modificazioni successivamente operate con la L. n. 205 del 2017, art. 1 e con la L. n. 145 del 2018, art. 1), secondo il quale “La notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al comma 2 ovvero dalla data del ritiro del piego, se anteriore”, peraltro strettamente collegata/coordinata con la previsione di cui al comma 2, u.p., della disposizione legislativa stessa, secondo il quale, tra i contenuti dell’avviso di ricevimento della CAD, deve esserci obbligatoriamente “l’avvertimento che la notificazione si ha comunque per eseguita trascorsi dieci giorni dalla data del deposito (dell’atto noticando presso l’ufficio postale, n.d.r).

In altri termini dalla (doppia) previsione in ordine all’”effetto perfezionativo” della procedura notificatoria de qua, tale giurisprudenza ha tratto il convincimento che a provarne il presupposto fattuale sia appunto sufficiente la, puntuale e specifica, attestazione di spedizione della CAD contenuta nel “primo” avviso di ricevimento riguardante non la CAD stessa, bensì l’atto notificando.

Così si è ritrovato il punto di equilibrio nel bilanciamento degli interessi del notificante e del notificatario, dunque, in ultima analisi, tra “conoscenza legale” (conoscibilità) e “conoscenza effettiva” dell’atto notificando.

6. Tuttavia, a partire dalla ordinanza della medesima Sezione. Quinta civile n. 5077 del 21 febbraio 2019, secondo un diverso orientamento, al verificarsi della fattispecie concreta in esame (notifica a mezzo posta/assenza temporanea del destinatario ovvero di persone idonee alla ricezione dell’atto notificando), per considerare perfezionata la procedura notificatoria è invece necessario verificare in concreto l’avvenuta ricezione della CAD ed a tal fine il notificante è processualmente onerato della produzione del relativo avviso di ricevimento (nello stesso senso, cfr. Cass., 16601/2019, 6363-21714-23921-25140-26078/2020; successive difformi, Cass., 3307033257/2019, che si richiamano all’altro indirizzo ermeneutico).

Tale divergente indirizzo, diffusamente argomentato nella citata pronuncia della Sezione tributaria che lo ha avviato, si confronta con la letteralità della disposizione legislativa applicabile, in particolare con la “previsione di effetto” di cui al comma 4, ma ne dà una diversa connotazione giuridica, qualificando tale effetto normativo come “provvisorio” e sospensivamente condizionato a detta verifica, da effettuare giudizialmente, sull’avviso di ricevimento della “seconda raccomandata”.

La necessarietà di tale verifica e dell’onere probatorio correlativo viene fondata sull’interpretazione costituzionalmente orientata e sistematica del dato normativo stesso, a sostegno della quale pone le pronuncie della Corte costituzionale n. 346 del 1998, proprio sulla L. n. 890 del 1982, art. 8 e L. n. 10 del 2010, sulla notificazione ex art. 140 c.p.c..

7. Ritiene il Collegio che debba darsi seguito a questo secondo – più recentemente consolidatosi – orientamento giurisprudenziale.

Non è infatti dubbio che nel sistema della notificazione postale, in caso di mancata consegna del plico contenente l’atto notificando, la comunicazione di avvenuto deposito abbia un ruolo essenziale al fine di garantire la conoscibilità, intesa come possibilità di conoscenza effettiva, dell’atto notificando stesso.

La mera prova della spedizione di tale comunicazione non può dunque considerarsi quale fattispecie giuridica conformativa del fondamento profondo del dictum imperativo del giudice delle leggi (la citata C. Cost. 346/1998), con il quale si è dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’originaria formulazione della L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4, nella parte in cui non prevedeva che, nella fattispecie concreta in esame ed in quelle assimilabili (rifiuto di ricezione di firma del registro di consegna; assenza di persone idonee al ritiro) non venisse appunto data la comunicazione stessa e che lo fosse con una “raccomandata con avviso di ricevimento”.

In particolare alla previsione di questa, particolare e rafforzata, forma di “postalizzazione” della notifica non può assegnarsi un significato pleonasticamente ridondante, ma piuttosto una pregnante direttiva anche ermeneutica – della Corte costituzionale, peraltro, pur a rilevante distanza di tempo, positivamente normativizzata con il D.L. n. 35 del 2005, citato art. 2.

D’altro canto, come giustamente sottolineato nella pronuncia “capofila” del nuovo indirizzo interpretativo, tale disciplina adeguatrice – su questo specifico segmento della procedura notificatoria – si differenzia nettamente da quella dell’art. 139 c.p.c., comma 4, ovvero della L. n. 890 del 1982, art. 7, u.c., disciplinanti i casi di consegna dell’atto notificando a persona diversa dal destinatario e che in tal caso prevedono che venga spedita a quest’ultimo una raccomandata “semplice” che gli dia notizia dell’avvenuta notificazione dell’atto medesimo.

Tale, significativa, differenziazione normativa ha un senso evidente, posto che nei casi di consegna a “persona diversa” vi può essere una ragionevole aspettativa che l’atto notificato venga effettivamente conosciuto dal destinatario, trattandosi di persone (famigliari, addetti alla casa, personale di servizio, portiere, dipendente, addetto alla ricezione) che hanno con lo stesso un rapporto che il legislatore riconosce come astrattamente idoneo a questo fine ed è per questo che ha prescelto una forma di comunicazione dell’avvenuta consegna garantita, ma semplificata.

Diversamente nel caso della L. n. 890 del 1982, art. 8 (e dell’art. 140 c.p.c.), non si realizza alcuna consegna, ma solo il deposito dell’atto notificando presso l’ufficio postale (ovvero nella notifica codicistica presso la Casa comunale).

Ed è per tale, essenziale ragione, che la legge, con maggiore rigore, prevede che di tale adempimento venga data comunicazione dall’agente notificatore al destinatario, del tutto ignaro della notifica, secondo due distinte e concorrenti modalità: l’affissione dell’avviso di deposito nel luogo della notifica (immissione in cassetta postale) ed appunto la spedizione di lettera raccomandata con avviso di ricevimento.

Peraltro, riprendendo il filo dell’interpretazione costituzionalmente orientata che si va illustrando, in detta sentenza della Corte costituzionale vi è tuttavia in nuce un ulteriore argomento che va valorizzato, consistente nella comparazione della procedura notificatoria in questione con quella, pur sempre basata sull’identico presupposto fattuale della c.d. “irreperibilità relativa” del destinatario (e fattispecie assimilate), disciplinata all’art. 140 c.p.c., tra le modalità delle notifiche curate direttamente dall’ufficiale giudiziario. Ed in effetti il pendant logico-giuridico tra le due procedure notificatorie, a causa della loro evidente analogia, risulta piuttosto chiaro e porta senz’altro ad utilizzare la seconda (art. 140 c.p.c.) quale tertium comparationis, secondo una consolidata tecnica di valutazione delle questioni di costituzionalità, sotto il profilo della ragionevolezza.

Di conseguenza viene inevitabilmente in considerazione un’ altra successiva pronuncia di illegittimità costituzionale (C. Cost., sent. n. 3/2010) appunto dell’art. 140 c.p.c., nella parte in cui prevede(va) il perfezionamento della notifica non effettuata a causa di “irreperibilità o rifiuto di ricevere” del destinatario (e delle persone addette alla casa) sul presupposto della sola spedizione della “raccomandata informativa” dell’avvenuto deposito dell’atto notificando (presso la Casa comunale), invece che con il ricevimento della stessa ovvero con il decorso di 10 giorni dalla sua spedizione.

Orbene, risulta consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, nel caso di notifica, anche di atti impositivi tributari, da parte dell’ufficiale giudiziario ai sensi di detta disposizione del codice di rito, che la prova del perfezionamento del procedimento notificatorio deve essere data, appunto, mediante la produzione giudiziale dell’avviso di ricevimento della “raccomandata informativa” (cfr. Cass., n. 25985 del 10/12/2014, Rv. 633554 – 01; n. 21132 del 02/10/2009, Rv. 609852 – 01; per la cartella di pagamento, anche a seguito di C. Cost. 258/2012, cfr. altresì Cass., n. 9782/2018; v. per argomenti nello stesso senso Cass., Sez. U., 627/2008).

Pur nella diversità delle due modalità notificatorie in parte qua ossia in relazione alla spedizione della CAD – quella codicistica attuata dall’ufficiale giudiziario con il concorso dell’agente postale, quella postale attuata esclusivamente da quest’ultimo – non può che ravvisarsi un’unica ratio legis che è quella – profondamente fondata sui principi costituzionali di azione e difesa (art. 24, Cost.) e di parità delle parti del processo (art. 111 Cost., comma 2) – di dare al notificatario una ragionevole possibilità di conoscenza della pendenza della notifica di un atto impositivo o comunque di quelli previsti dalla L. n. 890 del 1982, art. 1 (atti giudiziari civili, amministrativi e penali).

Solo in questi termini può dunque trovarsi quel punto di equilibrio tra le esigenze del notificante e quelle del notificatario, peraltro trattandosi di un onere probatorio processuale tutt’affatto vessatorio e problematico, consistendo nel deposito di un atto facilmente acquisibile da parte del soggetto attivo del sub-procedimento.

Va quindi affermato che solo dall’esame concreto di tale atto il giudice del merito e, qualora si tratti di atto processuale, (se del caso) anche il giudice di legittimità, può desumere la “sorte” della spedizione della “raccomandata informativa”, quindi, in ultima analisi, esprimere un ragionevole e fondato – giudizio sulla sua ricezione, effettiva o almeno “legale” (intesa come facoltà di conoscere l’avviso spedito e quindi tramite lo stesso l’atto non potuto notificare), della raccomandata medesima da parte del destinatario.

In termini generali bisogna dunque ritenere che la produzione dell’avviso di ricevimento della CAD costituisce l’indefettibile prova di un presupposto implicito dell’effetto di perfezionamento della procedura notificatoria secondo le citate previsioni della L. n. 890 del 1982, art. 8, commi 4 e 2, che, qualora ritenuta giudizialmente raggiunta, trasforma tale effetto da “provvisorio” a “definitivo”.

Il che corrisponde alla configurazione strutturale, perfettamente aderente al dettato normativo de quo, di una fattispecie sub-procedimentale a formazione progressiva, secondo un’interpretazione conforme a Costituzione nei richiamati principi.

8. In conclusione sul punto, va formulato il seguente principio di diritto:

“In tema di notifica di un atto impositivo ovvero processuale tramite il servizio postale secondo le previsioni della L. n. 890 del 1982, qualora l’atto notificando non venga consegnato al destinatario per rifiuto a riceverlo ovvero per temporanea assenza del destinatario stesso ovvero per assenza/inidoneità di altre persone a riceverlo, la prova del perfezionamento della procedura notificatoria può essere data dal notificante esclusivamente mediante la produzione giudiziale dell’avviso di ricevimento della raccomandata che comunica l’avvenuto deposito dell’atto notificando presso l’ufficio postale (c.d. CAD), non essendo a tal fine sufficiente la prova dell’avvenuta spedizione della raccomandata medesima”.

Essendo del tutto pacifico che nel caso in esame la notificante Agenzia delle entrate non ha assolto all’onere probatorio in questione in tali termini configurato, devono pertanto affermarsi fondate sia l’eccezione di invalidità della notificazione degli avvisi di accertamento prodromici alla cartella esattoriale impugnata sia la correlata eccezione di invalidità consequenziale di tale atto della riscossione; quindi in ultima analisi deve sancirsi la fondatezza del profilo della censura in oggetto che le ripropone in forma di critica alla difforme pronuncia, ancorchè implicita, del giudice tributario di appello.

9. In conclusione, vanno accolti il secondo ed il terzo motivo del ricorso, va rigettato il primo, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, decidendo nel merito deve essere accolto il ricorso introduttivo della lite.

Tenuto conto della complessità delle questioni trattate in particolare in relazione al secondo motivo, le spese del processo possono essere compensate.

P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo del ricorso, rigetta il primo motivo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della lite; compensa integralmente le spese tra le parti.

Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo Presidente per impedimento dell’estensore per le disposizioni restrittive della circolazione nel territorio nazionale per l’emergenza epidemiologica Covid-19.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2021


Anche senza la buca delle lettere la notifica è valida

Nel caso di notifica per irreperibilità del destinatario, non rileva se quest’ultimo non ha una cassetta per la corrispondenza: è sufficiente che l’ufficiale giudiziario depositi copia dell’atto da notificare nella casa comunale e affigga avviso di deposito alla porta dell’abitazione.

Non ci si salva dalla notifica di atti giudiziari o di cartelle esattoriali se non si ha una cassetta delle lettere. Anche in tali casi, infatti, nonostante il rischio di smarrimento della corrispondenza lasciata sulle scale antistanti il portone, la notifica nei confronti del destinatario irreperibile è valida (ovviamente, sempre che l’ufficiale giudiziario abbia effettuato tutti gli adempimenti previsti dalla legge).

L’inesistenza della buca delle lettere è irrilevante ai fini della validità della notifica quando il destinatario non è presente a ritirare, di persona, la posta.

È questa la conclusione cui è pervenuta una sentenza della Corte di Cassazione n. 22883 del 08.10.2013

Del resto, ragionando diversamente, si arriverebbe a una conseguenza del tutto illogica: sarebbe sufficiente togliere la cassetta delle lettere per impedire all’Ufficiale di effettuare una notifica valida.

Pertanto, cosa succede in questi casi?

Il Messo Comunale deposita la copia dell’atto da notificare nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi, affigge avviso del deposito alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario e gli invia una raccomandata con avviso di ricevimento, a prescindere poi dal fatto che non vi sia la predetta cassetta postale ove “buttare” tale lettera.

Vedi anche: Consiglio di Stato sentenza n. 1024/2014

 


Non è sufficiente il semplice controllo delle risultanze anagrafiche

Nel caso di irreperibilità del contribuente presso la propria residenza, il messo deve svolgere effettive ricerche non essendo sufficiente un mero controllo delle risultanze anagrafiche. E ciò vale anche se già precedenti tentativi di notifica non sono andati a buon fine. Ad affermarlo la Cassazione con la sentenza n. 9292/2021 depositata il 7 aprile 2021.
Un contribuente, attraverso l’acquisizione di una copia dell’estratto di ruolo, scopriva l’esistenza di un precedente accertamento divenuto definitivo perché mai impugnato. Proponeva così ricorso al giudice tributario eccependo anche il vizio di notifica del provvedimento prodromico.
Entrambi i giudici di merito confermavano però la validità del procedimento notificatorio, nel presupposto che il messo notificatore aveva depositato l’atto presso la casa comunale con successiva affissione dell’avvenuto deposito, non avendo rinvenuto l’interessato presso la residenza nota. Peraltro, già in precedenza erano state tentate altre notifiche a mezzo posta non perfezionate sempre per irreperibilità, con la conseguenza che, secondo la Ctr, era legittima la procedura prevista per gli irreperibili assoluti.
Il contribuente ricorreva così in Cassazione lamentando un’errata interpretazione della norma (articolo 60, comma 1 lettera e, del Dpr 600/1973). Egli, infatti, era residente nell’indirizzo dove era stata tentata la notifica e pertanto il messo avrebbe dovuto considerarlo al più irreperibile relativo ossia momentaneo.
La Suprema corte, accogliendo la doglianza, ha rilevato che l’irreperibilità assoluta è quando nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi è abitazione, ufficio o azienda del contribuente (articolo 60, comma 1 lettera e, del Dpr 600/1973).
Se, poi, nonostante le ricerche che il messo deve svolgere nel comune, non rinvenga l’effettiva abitazione, la notifica è ritualmente effettuata con deposito dell’atto nella casa comunale e affissione dell’avviso di deposito nell’albo del comune senza necessità di comunicazione all’interessato.
Il messo è così tenuto in primo luogo ad effettuare le necessarie ricerche per verificare l’eventuale mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso Comune e che egli non abbia più né l’abitazione, né l’ufficio, né l’azienda nel Comune. Solo una volta accertata la sua irreperibilità è legittima la procedura di notifica attraverso il deposito nella casa comunale (Cassazione 4657/2020).
In tal senso, non è sufficiente rilevare le risultanze di una certificazione anagrafica poiché occorre che il messo effettui effettive ricerche e che di esse ne dia espresso conto nella relata (Cass. 24107/2016, nr. 19958/2018).


Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 09-02-2021) 07-04-2021, n. 9292

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 37752-2019 proposto da:

A.P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GAETANO DE BONIS;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 220/1/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della BASILICATA, depositata il 30/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 09/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MICHELE CATALDI.

Svolgimento del processo
che:

1. A.P.A. ha proposto ricorso, dinnanzi la Commissione tributaria provinciale di Potenza, avverso l’avviso d’accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate nei suoi confronti, relativamente all’anno d’imposta 2008, in materia di Irpef, ed avverso la relativa iscrizione a ruolo, assumendo di essere venuto a conoscenza dell’atto impositivo solo a seguito dell’acquisizione di copia dell’estratto di ruolo ed eccependo l’inesistenza e la nullità della notifica dello stesso accertamento.

L’adita CTP ha rigettato il ricorso.

2. Il contribuente ha allora proposto appello dinnanzi la Commissione tributaria regionale della Basilicata, che lo ha respinto con la sentenza n. 220/01/2019, depositata il 30 aprile 2019, ritenendo che la notifica dell’avviso di accertamento al contribuente fosse ritualmente avvenuta il 20 ottobre 2012, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), tramite messo notificatore, il quale aveva provveduto al deposito dell’atto presso la casa comunale ed alla successiva affissione dell’avvenuto deposito all’albo comunale.

Il ricorso a tale procedura di notificazione dell’atto impositivo, secondo la CTR, era legittimo, in quanto sebbene dal certificato anagrafico acquisito agli atti il contribuente risultasse, al momento della notifica, residente nel medesimo indirizzo menzionato nella relata del messo, tuttavia il 21 luglio 2012 un precedente tentativo di notifica, a mezzo posta, allo stesso destinatario e presso la medesima residenza anagrafica, non si era perfezionato, in conseguenza dell’irreperibilità del destinatario, come risultava dalla compilazione del relativo avviso di ricevimento, nel quale era barrata la voce “per irreperibilità del destinatario”, nel riquadro “mancata consegna del plico a domicilio”.

Pertanto la CTR, ritenuta regolare la notifica dell’accertamento, ha considerato tardivo ed inammissibile il ricorso del contribuente nei confronti dell’accertamento presupposto ed ha rigettato l’appello.

3. Il contribuente ha quindi proposto ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza impugnata.

L’Agenzia delle Entrate è rimasta intimata.

La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Motivi della decisione
che:

1. Per motivi di ordine logico, appare opportuno trattare anticipatamente il secondo motivo, per la sua potenziale capacità assorbente.

Con il secondo motivo, infatti, il contribuente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, denuncia l’omessa pronuncia in ordine al motivo d’appello “inteso a rilevare la violazione e la falsa applicazione della L. n. 265 del 1999, art. 10, nonché della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 158”.

Secondo il ricorrente, la CTR non si sarebbe pronunciata in ordine alla sua eccezione di inesistenza giuridica della notificazione in considerazione della carenza di legittimazione dell’agente notificatore il quale, rivestendo la qualifica di messo notificatore, ma non quella di messo comunale, avrebbe potuto legittimamente notificare esclusivamente atti di accertamento dei tributi locali e comunque atti provenienti dal Comune di appartenenza.

Il motivo è infondato.

Invero, a differenza di quanto sostenuto nel ricorso, l’affermazione della legittimazione legale dell’agente notificatore, rispetto allo specifico atto da notificare, costituisce un necessario antecedente logico e giuridico di ogni verifica e pronuncia in ordine alla validità della specie di notifica concretamente effettuata dallo stesso operatore. Infatti, come questa Corte ha avuto occasione già di chiarire, “L’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, “ex lege”, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa.” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 14916 del 20/07/2016).

Pertanto, l’ipotetico accoglimento dell’eccezione che l’attività di notificazione non fosse stata svolta da un soggetto qualificato e dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, avrebbe avuto come necessaria conseguenza l’inesistenza della notifica sub iudice, a prescindere dalle forme nelle quali la fase di consegna si è realizzata, che sarebbe stato superfluo valutare. Dunque, valutando esistente e valida la notifica in relazione alle modalità con le quali si è compiuta la fase di consegna dell’atto, la CTR ha implicitamente, ma necessariamente, affermato la legittimazione dell’agente notificatore e, quindi, implicitamente rigettato il motivo dell’appello del contribuente che la negava, in coerenza con l’adottato dispositivo di totale rigetto dell’impugnazione.

In questo senso si è infatti espressa più volte questa Corte, affermando che non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte (Cass. Sez. 2 -, Ordinanza n. 20718 del 13/08/2018; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15255 del 04/06/2019); ovvero quando la decisione adottata, in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, non occorrendo una specifica argomentazione in proposito, per cui è sufficiente quella motivazione che fornisce una spiegazione logica ed adeguata della decisione adottata, evidenziando le prove ritenute idonee a suffragarla, ovvero la carenza di esse, senza che sia necessaria l’analitica confutazione delle tesi non accolte o la disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 7662 del 02/04/2020; Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 2153 del 30/01/2020).

2. Con il primo motivo il contribuente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia la violazione e la falsa applicazione “del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), (…) Violazione della fattispecie astratta di accesso alla procedura di notificazione per irreperibilità assoluta”.

Va premesso che il ricorrente riproduce nel corpo del ricorso – dopo averne indicato l’avvenuta produzione nel merito, del resto confermata dalla stessa sentenza d’appello – la copia della relata della notifica del 20 ottobre 2012, eseguita dal messo notificatore del Comune di Potenza, e la copia della parte anteriore dell’avviso di ricevimento di precedente notifica, a mezzo posta, allo stesso destinatario ed al medesimo indirizzo, datata 26 luglio 2012 e recante l’attestazione della mancata consegna del plico per irreperibilità del destinatario.

Tanto premesso, il contribuente censura la decisione della CTR per aver ritenuto la notifica, eseguita dal messo sul presupposto dell’irreperibilità assoluta del destinatario e con le forme previste per tale fattispecie, valida pur in assenza della menzione, nella relata, di qualsiasi attività di ricerca del consegnatario effettuata presso la residenza anagrafica di quest’ultimo (la cui corrispondenza con quella indicata nella relata trova conferma nel certificato riprodotto nello stesso ricorso e prodotto nel giudizio di merito, come risulta dalla sentenza impugnata).

Non era sufficiente, aggiunge il ricorrente, ad escludere la necessità delle predette ricerche, la circostanza che, nel precedente tentativo di notifica a mezzo posta, il destinatario fosse irreperibile presso il medesimo luogo di residenza, trattandosi di altra fattispecie di notificazione, disciplinata diversamente e mai perfezionatasi.

Il motivo è fondato.

Recita il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e): “La notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente è eseguita secondo le norme stabilite dagli artt. 137 e ss. c.p.c., con le seguenti modifiche: (…) e) quando nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi è abitazione, ufficio o azienda del contribuente, l’avviso del deposito prescritto dall’art. 140 c.p.c., in busta chiusa e sigillata, si affigge nell’albo del comune e la notificazione, ai fini della decorrenza del termine per ricorrere, si ha per eseguita nell’ottavo giorno successivo a quello di affissione;”.

Come questa Corte ha già chiarito, “La notificazione ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), è ritualmente eseguita solo nell’ipotesi in cui, nonostante le ricerche che il messo notificatore deve svolgere nell’ambito del Comune di domicilio fiscale, in esso non rinvenga l’effettiva abitazione o l’ufficio o l’azienda del contribuente. Solo in questi casi la notificazione è ritualmente effettuata mediante deposito dell’atto nella casa comunale e affissione dell’avviso di deposito nell’albo del Comune senza necessità di comunicazione all’interessato a mezzo di raccomandata con ricevuta di ritorno, nè di ulteriori ricerche al di fuori del detto Comune.” (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 3378 del 12/02/2020).

Sempre riguardo alla necessità dell’accertamento dell’irreperibilità assoluta, presso la residenza anagrafica del contribuente destinatario, si è detto che “La notificazione di un avviso o altro atto impositivo viene svolta nelle forme di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), nel caso in cui il contribuente, che ne è destinatario, risulti trasferito in luogo sconosciuto. In tale ipotesi, il messo notificatore, svolte le ricerche nel Comune in cui si trova il domicilio fiscale del contribuente per verificare l’eventuale mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso Comune e accertata la sua irreperibilità presso la residenza anagrafica, procede alla notifica, effettuando il deposito nella casa comunale e inviando la raccomandata informativa, con avviso di ricevimento, ex art. 140 c.p.c., la cui produzione in giudizio costituisce prova dell’avvenuto perfezionamento della notificazione.” (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 4657 del 21/02/2020).

Era stato del resto già ribadito che “In tema di notificazione degli atti impositivi, prima di effettuare la notifica secondo le modalità previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), in luogo di quella ex art. 140 c.p.c., il messo notificatore o l’ufficiale giudiziario devono svolgere ricerche volte a verificare l’irreperibilità assoluta del contribuente, ossia che quest’ultimo non abbia più nè l’abitazione né l’ufficio o l’azienda nel Comune già sede del proprio domicilio fiscale.” (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 2877 del 07/02/2018, ex plurimis). Pertanto, “Il ricorso alle formalità di notificazione di cui all’art. 143 c.p.c., per le persone irreperibili, non può essere affidato alle mere risultanze di una certificazione anagrafica, ma presuppone sempre e comunque che, nel luogo di ultima residenza nota, siano compiute effettive ricerche e che di esse l’ufficiale giudiziario dia espresso conto.” (Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 24107 del 28/11/2016).

Quanto poi alla specie delle ricerche che l’agente notificatore deve compiere, ed alla conseguente indicazione nella relata, è stato precisato che “In tema di notifica degli atti impositivi, la cd. irreperibilità assoluta del destinatario che ne consente il compimento ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. e), presuppone che nel Comune, già sede del domicilio fiscale dello stesso, il contribuente non abbia più abitazione, ufficio o azienda e, quindi, manchino dati ed elementi, oggettivamente idonei, per notificare altrimenti l’atto: peraltro, il tipo di ricerche a tal fine demandato al notificatore non è indicato da alcuna norma, neppure quanto alle espressioni con le quali debba esserne documentato l’esito nella relata, purché dalla stessa se ne evinca con chiarezza l’effettivo compimento.” (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 19958 del 27/07/2018). Tanto premesso, l’esame della relata della notifica del 20 ottobre 2012, eseguita dal messo notificatore, non contiene alcuna menzione di ricerche volte a verificare l’irreperibilità assoluta del contribuente, ossia che quest’ultimo non avesse più nè l’abitazione nè l’ufficio o l’azienda nel Comune già sede del proprio domicilio fiscale. In particolare, la relata non riferisce di alcuna ricerca relativa all’irreperibilità assoluta del destinatario presso la residenza anagrafica di quest’ultimo nel medesimo Comune, menzionata nello stesso atto e corrispondente a quella certificata. Non risulta, quindi, che il messo abbia constatato in loco ed in punto di fatto l’eventuale divergenza dai dati anagrafici che, attestavano formalmente la persistente residenza in loco del destinatario della notifica (cfr. (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 19958 del 27/07/2018, cit., in motivazione).

Tale inerzia totale (per come rilevabile dalla relata) del notificatore, in ordine alle ricerche indispensabili ai fini della legittima configurazione dell’irreperibilità assoluta, presupposto della notifica D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 60, lett. e), determina la nullità di quest’ultima.

Non può, invero, ritenersi altrimenti che le ricerche propedeutiche alla constatazione dell’irreperibilità assoluta, ai fini della validità della notifica eseguita ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. e), nel caso di specie non fossero necessarie perché allo stesso destinatario, al medesimo indirizzo, non era stato possibile effettuare, diversi mesi prima, la notifica a mezzo posta per irreperibilità.

Infatti, questa Corte ha già avuto occasione di rilevare che “ai fini della legittimità del ricorso alle forme previste dall’art. 143 c.p.c., non è sufficiente il vano tentativo di eseguire la notifica all’indirizzo indicato (…)” (Cass. 12/12/2017, n. 29671).

E, del resto, l’irreperibilità annotata, ai sensi della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 9, sul predetto avviso di ricevimento, quale indicazione del motivo del mancato recapito e della restituzione dell’invio al mittente in raccomandazione, non risulta a sua volta preceduta da alcuna ricerca. Nè, comunque, potrebbe ritenersi diligente, da parte del mittente, la limitazione aprioristica delle ricerche alla mera presa d’atto del mancato buon fine di un tentativo di notifica di parecchi mesi antecedente a quello poi effettuato nelle forme dirette agli irreperibili in senso assoluto.

Va quindi accolto il primo motivo e va pertanto cassata la sentenza impugnata, con rinvio al giudice a quo per ogni necessario accertamento in fatto e per le questioni rimaste assorbite dalla decisione cassata.

P.Q.M.
Accoglie il primo motivo e rigetta il secondo;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Basilicata, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2021