Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 24-02-2021) 02-04-2021, n. 12780

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANCUSO Luigi Fabrizio – Presidente –

Dott. BONI Monica – rel. Consigliere –

Dott. DI GIURO Gaetano – Consigliere –

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere –

Dott. CAIRO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

R.A., nato a (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 14/10/2020 del TRIB. SORVEGLIANZA di CATANIA;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. MONICA BONI;

lette/sue le conclusioni del PG Dr. Cocomello Assunta, che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.

Svolgimento del processo
1. Con ordinanza emessa in data 14 ottobre 2020 il Tribunale di sorveglianza di Catania rigettava la domanda, proposta da R.A., volta ad ottenere l’ammissione alla misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale.

A fondamento della decisione il Tribunale ha osservato che il provvedimento emesso in data 1 luglio 2020 non costituisce una duplicazione della precedente ordinanza dello stesso Tribunale di sorveglianza in quanto, pur riguardando lo stesso titolo, esecutivo, nell’ordine di carcerazione sospeso per errore la pena era stata fatta decorrere dal 30 dicembre 2014, anziché dal 30 dicembre 2015, per cui l’anno di differenza deve ancora essere espiato.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’interessato a mezzo del difensore avv.to Mario Luciano Brancato, il quale ha dedotto:

a) vizio di motivazione per avere il Tribunale di sorveglianza respinto l’opposizione avverso la precedente ordinanza dell’1 luglio 2020 di ammissione del ricorrente all’affidamento in prova per espiare il residuo pena di un anno, relativo alla condanna inflittagli con sentenza del G.i.p. del Tribunale di Messina del 16 marzo 2016, non espiata in precedenza a seguito dell’ordine di esecuzione del 5 aprile 2016 della Procura della Repubblica di Messina per un errore di calcolo, sebbene la pena fosse stata dichiarata estinta con provvedimento del 6 giugno 2018 che non era stata impugnata dalla Procura procedente, divenendo definitiva. La motivazione è del tutto insufficiente rispetto alle doglianze già esposte con l’opposizione e non tiene conto che il divieto di bis in idem è riferibile anche alle decisioni assunte in fase esecutiva.

b) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 179 c.p.p., comma 1 in quanto l’udienza camerale era stata celebrata senza la presenza obbligatoria del difensore di fiducia, avv.to Alfio Grasso, che non aveva ricevuto l’avviso di fissazione dell’udienza stessa, sebbene giek, designato in precedenza e destinatario della notificazione dei provvedimento dell’1 luglio 2020.

3. Con requisitoria scritta il Procuratore Generale, Dott.ssa Assunta Cocomello, ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata per la fondatezza del secondo motivo di ricorso.

Motivi della decisione
Il ricorso è fondato e va dunque accolto.

1. Il secondo motivo di ricorso assume valore dirimente ed assorbente rispetto alla ulteriore doglianze di cui al primo motivo. Risulta dalla documentazione agli atti, resa accessibile a questo giudice di legittimità per la natura processuale della questione dedotta, che l’avv.to Alfio Grasso del foro di Catania con studio professionale in (OMISSIS), designato difensore di fiducia del R., non aveva ricevuto la notificazione dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale del 14 ottobre 2020, in quanto l’atto era stato inoltrato a mezzo posta elettronica ad altro legale omonimo, avente però studio in (OMISSIS), con indirizzo pec (OMISSIS), diverso da quello del legale designato difensore di fiducia, che è “(OMISSIS)”. La notificazione dunque era stata compiuta nei confronti di un avvocato reperibile ad un diverso indirizzo, sia in senso fisico quale recapito professionale, sia in senso telematico ai fini dell’impiego della posta elettronica certificata senza che chi aveva ricevuto l’avviso avesse un qualsiasi collegamento professionale con il condannato che aveva rivolto la propria richiesta al Tribunale di sorveglianza. L’udienza si era poi celebrata alla presenza di un difensore d’ufficio prontamente reperito.

2. La trattazione del procedimento in assenza del difensore di fiducia ha pregiudicato l’effettività dell’esercizio del diritto di difesa da parte del legale prescelto dal condannato. Tanto è causa di nullità assoluta degli atti processuali e dell’ordinanza impugnata, secondo quanto già affermato anche dalle Sezioni Unite di questa Corte, per le quali “L’omesso avviso dell’udienza al difensore di fiducia tempestivamente nominato dall’imputato o dal condannato, integra una nullità assoluta ai sensi dell’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 179 c.p.p., comma 1, quando di esso è obbligatoria la presenza, a nulla rilevando che la notifica sia stata effettuata al difensore d’ufficio e che in udienza sia stato presente un sostituto nominato ex art. 97 c.p.p., comma 4, (In motivazione, la Suprema Corte ha, in particolare, evidenziato che ove, in presenza di una rituale e tempestiva nomina fiduciaria effettuata dall’interessato, il giudice proceda irritualmente alla designazione di un difensore d’ufficio, viene ad essere leso il diritto dell’imputato “ad avere un difensore di sua scelta”, riconosciuto dall’art. 6, comma 3 lett. c), della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo)” (Sez. U, n. 24630 del 26/03/2015, Maritan, Rv. 263598).

Ne discende l’annullamento del provvedimento impugnato con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Catania che dovrà pronunciarsi previa instaurazione rituale del contraddittorio con la difesa del condannato.

P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Catania.

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2021


Sospensione per l’attività di notifica di nuove cartelle dell’Agenzia Entrate Riscossione, fino al 30 aprile

Con il decreto cd. “Sostegni” sono state previste ulteriori novità in materia di riscossione. In primo luogo – agendo sul decreto cd. “cura Italia” – è stato prorogato al 30 aprile 2021 (in precedenza era 28 febbraio 2021) il periodo di sospensione per l’attività di notifica di nuove cartelle, avvisi e di tutti gli altri atti di competenza dell’Agenzia delle entrate-Riscossione. Prorogato al 30 aprile 2021 anche il termine di sospensione dei versamenti di tutte le entrate tributarie e non tributarie derivanti da cartelle di pagamento, avvisi di accertamento esecutivo, avvisi di addebito Inps, la cui scadenza ricade nel periodo tra l’8 marzo 2020 (ovvero dal 21 febbraio 2020 per i soggetti con residenza, sede legale o la sede operativa nei comuni della cd. “zona rossa” di cu all’allegato 1 del DPCM 1° marzo 2020) ed il 30 aprile 2021. I pagamenti “sospesi” ed i relativi versamenti dovranno essere effettuati entro il mese successivo alla scadenza del periodo di sospensione e, quindi, entro il 31 maggio 2021.

Sempre fino al 30 aprile 2021 restano sospesi gli obblighi di accantonamento derivanti dai pignoramenti presso terzi effettuati prima della data di entrata in vigore del decreto Rilancio (19/5/2020), su stipendi, salari, altre indennità relative al rapporto di lavoro o impiego, nonché a titolo di pensioni e trattamenti assimilati. Cessati gli effetti della sospensione, e quindi a decorrere dal 1° maggio 2021, riprenderanno ad operare gli obblighi imposti al soggetto terzo debitore.

Rimarranno sospese fino al 30 aprile anche le verifiche di inadempienza delle Pubbliche Amministrazioni e delle società a prevalente partecipazione pubblica, da effettuarsi, ai sensi dell’art. 48 bis del DPR 602/1973, prima di disporre pagamenti di importo superiore a 5.000 euro. Restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati dal 1° marzo 2021 alla data di entrata in vigore del decreto e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base degli stessi.


Buona Pasqua !!!


Saturazione della casella di posta elettronica del destinatario

” Il mancato buon esito della comunicazione telematica di un provvedimento giurisdizionale, dovuto alla saturazione della capienza della casella di posta elettronica del destinatario, è un evento imputabile a quest’ultimo, in ragione dell’inadeguata gestione dello spazio per l’archiviazione e la ricezione di nuovi messaggi”. Leggi

Leggi anche: TAR Lazio sent. 106/2021

 


Ai dipendenti comunali con la qualifica di messo non spetta alcun compenso aggiuntivo per l’attività di notificazione di atti richiesta al Comune dall’amministrazione finanziaria

La massima:
Ai dipendenti comunali con la qualifica di messo non spetta alcun compenso aggiuntivo per l’attività di notificazione di atti richiesta al Comune dall’amministrazione finanziaria, rientrando tali funzioni tra gli ordinari compiti d’ufficio spettanti ai detti dipendenti, posto che il principio di omnicomprensività della retribuzione impedisce di attribuire compensi aggiuntivi per lo svolgimento di attività lavorative comunque riconducibili ai doveri istituzionali dei dipendenti pubblici.

Leggi: Cons. Stato Sez. V, Sent., (ud. 18-10-2018) 29-04-2019, n. 2724


Riunione Giunta Esecutiva del 18.03.2021

Ai sensi dell’art. 13 dello Statuto, viene convocata d’URGENZA la riunione della Giunta Esecutiva  che si svolgerà giovedì 18 marzo 2021 alle ore 19:00, in modalità webinar, in prima convocazione, e alle ore 21:00 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:

1. Attività formativa 2021;

2. Varie ed eventuali.

Leggi: GE 18 03 2021 Verbale


Recovery plan: la nuova P.A.

Presentate alle Camere le schede-progetto riviste dall’attuale Governo. Entro il 2022 si investirà su una infrastruttura cloud per la pubblica amministrazione con servizi disponibili entro il 2024 e la notifica degli atti della P.A. entro l’anno 2026 quando il 75% del personale pubblico avrà fatto percorsi di formazione.


PATTO PER L’INNOVAZIONE DEL LAVORO PUBBLICO E LA COESIONE SOCIALE

Firmato il “Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale” dal Presidente del Consiglio, Mario Draghi, il Ministro per la Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta e i Segretari generali Maurizio Landini (Cgil), Luigi Sbarra (Cisl) e Pierpaolo Bombardieri (Uil).

Il Patto si colloca nel solco di un’azione di rilancio del Paese, volta a realizzare gli obiettivi cruciali della modernizzazione del “sistema Italia” e dell’incremento della coesione sociale, a partire dalla straordinaria opportunità offerta dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
Innovazione e coesione sono obiettivi centrali dello storico programma Next Generation EU e saranno perseguiti simultaneamente. Un Paese più moderno, infatti, può offrire servizi migliori e maggiori opportunità di sviluppo ai propri cittadini; al contempo, un Paese più coeso assicura che ogni persona possa sentirsi parte del processo innovativo e che ciascuno possa trarre beneficio dagli sforzi comuni.

I pilastri fondamentali di ogni riforma e ogni investimento pubblico contenuti nel PNRR saranno la coesione sociale e la creazione di buona occupazione.

Tali priorità – cruciali per superare l’emergenza sanitaria, economica e sociale, ricordata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – richiedono uno straordinario impegno finanziario, progettuale e attuativo, che verte sul ruolo propulsivo delle donne e degli uomini della Pubblica Amministrazione.
In questa prospettiva, il Patto intende potenziare la Pubblica Amministrazione attraverso la semplificazione dei processi e un massiccio investimento nel capitale umano. Tali strumenti sono fondamentali per attenuare le storiche disparità del Paese, per ridurre il dualismo fra settore pubblico e privato, nonché per fornire risposte ai nuovi e mutati bisogni dei cittadini.

Il Patto individua la flessibilità organizzativa delle Pubbliche Amministrazioni e l’incremento della loro rapidità di azione come obiettivi fondamentali di un processo di rinnovamento che le parti si impegnano a perseguire, con particolare riferimento a tre dimensioni: il lavoro, l’organizzazione e la tecnologia.
L’individuazione di una disciplina del lavoro agile (smart working) per via contrattuale è un elemento qualificante di questa strategia e va nella direzione auspicata dalle organizzazioni sindacali sin dall’inizio della crisi pandemica.

Il successo di ogni percorso di innovazione e riforma della Pubblica Amministrazione dipende non soltanto da opportuni investimenti nella digitalizzazione, ma anche da una partecipazione attiva delle lavoratrici e dei lavoratori.

A tal proposito, il Patto individua la necessità di avviare una nuova stagione di relazioni sindacali, fondata sul confronto con le organizzazioni, e di portare a compimento i rinnovi contrattuali del triennio 2019-2021, ritenendoli un fondamentale investimento politico e sociale.

Inoltre, la costruzione di una nuova e moderna Pubblica Amministrazione si fonda sulla valorizzazione delle persone, attraverso percorsi di crescita e aggiornamento professionale, e sulla definizione di un piano delle competenze su cui costruire la programmazione dei fabbisogni e le assunzioni del personale.

In questa ottica, il Patto afferma che ogni pubblico dipendente dovrà essere titolare di un diritto/dovere soggettivo alla formazione continua, al fine di essere realmente protagonista del cambiamento, e che la Pubblica Amministrazione dovrà utilizzare percorsi formativi di eccellenza, adatti alle persone e certificati.

Elementi del Patto

Il Governo emanerà all’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (Aran) gli atti di indirizzo di propria competenza per il riavvio della stagione contrattuale. I rinnovi contrattuali relativi al triennio 2019-2021 interessano oltre 3 milioni di dipendenti pubblici e vedranno confluire l’elemento perequativo delle retribuzioni all’interno della retribuzione fondamentale. Il Governo, poi, individuerà le misure legislative utili a promuovere la contrattazione decentrata e a superare il sistema dei tetti ai trattamenti economici accessori.
Con riferimento al lavoro agile, nei futuri contratti collettivi nazionali dovrà essere definita una disciplina normativa ed economica che garantisca condizioni di lavoro trasparenti, che favorisca la produttività e l’orientamento ai risultati, conciliando le esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori con le esigenze organizzative delle pubbliche amministrazioni. Saranno quindi disciplinati aspetti di tutela dei diritti sindacali, delle relazioni sindacali e del rapporto di lavoro quali il diritto alla disconnessione, le fasce di reperibilità, il diritto alla formazione specifica, la protezione dei dati personali, il regime dei permessi e delle assenze.
Attraverso i contratti collettivi del triennio 2019-2021, si procederà alla successiva rivisitazione degli ordinamenti professionali del personale, ricorrendo a risorse aggiuntive con la legge di bilancio per il 2022 e adeguando la disciplina contrattuale ai fabbisogni di nuove professionalità e competenze. È necessario, inoltre, valorizzare specifiche professionalità non dirigenziali dotate di competenze specialistiche ed estendere i sistemi di riconoscimento delle competenze acquisite negli anni, anche tramite opportune modifiche legislative.
Il Governo si impegna a definire politiche formative di ampio respiro, con particolare riferimento al miglioramento delle competenze digitali e di specifiche competenze avanzate di carattere professionale. Formazione e riqualificazione assumeranno il rango di investimento strategico e non saranno più considerati come mera voce di costo.
Nell’ambito dei nuovi contratti collettivi saranno adeguati i sistemi di partecipazione sindacale, valorizzando gli strumenti di partecipazione organizzativa e il ruolo della contrattazione integrativa.
Le parti concordano sulla necessità di implementare gli istituti di welfare contrattuale, con riferimento al sostegno alla genitorialità e all’estensione al pubblico impiego di agevolazioni fiscali già riconosciute al settore privato, relative alla previdenza complementare e ai sistemi di premialità diretti al miglioramento dei servizi.

Leggi: Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale 2020


8 marzo 2021

LO SGUARDO DELLE DONNE

Abbiamo bisogno ancora di tanti 8 marzo se a causa del Covid, su 100.000 persone che hanno perso il lavoro 90.000 sono donne e se nei mesi più duri della pandemia le richieste di aiuto di donne ai centri antiviolenza e alle istituzioni sono raddoppiate.
La realtà ci dice che le donne studiano tanto, ma poi sono chiamate a scegliere tra carriera e famiglia, nella stragrande maggioranza dei casi.
Oggi le mimose sono gradite, molto, e l’attenzione all’universo femminile è doverosa.
Poi però dalla retorica della giornata si deve passare ai fatti: è un cammino lungo, tortuoso, sfidante ma è necessario percorrerlo nelle istituzioni, nei luoghi di studio e di lavoro, in famiglia….nella vita di tutti i giorni. Basterebbe un po’ di empatia e di rispetto in più. Basterebbe lo sguardo di una donna

Elisa Venturini


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 26-11-2020) 24-02-2021, n. 4987

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina M. – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian A. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10610-2017 proposto da:

RISCOSSIONE SICILIA S.P.A. – AGENTE DELLA RISCOSSIONE PER LE PROVINCE SICILIANE, in persona del legale rappresentante p.t. (C.F. (OMISSIS)), rapp. e dif., in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’AVV. SABRINA LIPARI, unitamente alla quale è dom.ta ope legis presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE;

– ricorrente –

contro

P.G., elett.te dom.to in SIRACUSA, alla Via MONS. S. GOZZO, n. 5/D, presso lo studio del Dott. ROBERTO ZAPPALA;

– intimato –

nonché:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore p.t., legale rappresentante, dom.to in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rapp. e dif.;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3520/16/16 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della REGIONE SICILIANA, sez. st. di SIRACUSA, depositata l’11/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/11/2020 dal Consigliere Dott. GIAN ANDREA CHIESI.

Svolgimento del processo
che P.G. impugnò, innanzi alla C.T.P. di Siracusa, 42 cartelle di pagamento;

che l’adita Commissione, con sentenza 379/04/13, dichiarato in via preliminare il difetto di giurisdizione rispetto alle cartelle di pagamento relative a carichi contributivi I.N.P.S. ed a sanzioni amministrative per violazioni al codice della strada, rigettò, con rifermento alle residue cartelle – recanti carichi tributari – il ricorso del contribuente;

che tale decisione fu appellata da P.G. innanzi alla C.T.R. della Regione Siciliana, sez. st. di Siracusa, la quale, con sentenza 3520/16/16, depositata l’11.10.2016, accolse il ricorso rilevando – per quanto in questa sede ancora interessa – come, relativamente alle cartelle di pagamento notificate a mani del portiere dello stabile di residenza del contribuente, l’Ufficio non avesse dato prova di avere provveduto all’invio, al P., dell’avviso di avvenuta consegna della notifica a mani del portiere a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, così violando l’art. 139 c.p.c., comma 4;

che avverso tale decisione la RISCOSSIONE SICILIA S.P.A. ha quindi proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi; si è costituita, con controricorso di tenore adesivo, l’AGENZIA DELLE ENTRATE, mentre è rimasto intimato il P..

Motivi della decisione
che con il primo motivo parte ricorrente lamenta (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e dell’art. 139 c.p.c., per avere la C.T.R. ritenuto nulla la notifica delle cartelle di pagamento concernenti i carichi tributari, per difettare la prova dell’avvenuto inoltro, al contribuente, della comunicazione di cui al dell’art. 139 cit., comma 4, mediante raccomandata con avviso di ricevimento;

che il motivo è fondato;

che l’art. 139 c.p.c. prevede, ai suoi commi 3 e 4, che “in mancanza delle persone indicate nel comma precedente” e, cioè, del destinatario di persona, oppure di una persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda (purché non minore di quattordici anni o non palesemente incapace) – “la copia è consegnata al portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda…”: nel qual caso, “il portiere…deve sottoscrivere una ricevuta, e l’ufficiale giudiziario dà notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto, a mezzo di lettera raccomandata”;

che la norma, dunque, non dissimilmente da quanto previsto dall’art. 660 c.p.c., u.c., prescrive – a pena di nullità della notifica (cfr., da ultimo, Cass., Sez. U, 31.7.2017, n. 18992, Rv. 645134-01) – la mera spedizione dell’avviso in questione, senza che sia necessaria, altresì, la prova della sua ricezione da parte del destinatario: tant’è che il tempo di perfezionamento della notifica stessa si identifica con quello della consegna dell’atto alla persona comunque inserita nella sfera di conoscibilità del destinatario (e non con quello della ricezione dell’avviso da parte del destinatario), sia pure stavolta latamente intesa, siccome identificata in base ora ai rapporti giuridici nascenti dal portierato in un fabbricato per civili abitazioni ed agli obblighi in capo al portiere in favore dei singoli occupanti, ora a quei rapporti non più giuridici, ma comunque di solidarietà sociale, che si presume si intrattengano, se non con i vicini, almeno e se non altro col vicino che liberamente e spontaneamente accetti di ricevere la copia dell’atto per curarne poi la materiale consegna (cfr., da ultimo, Cass., Sez. U, 31.7.2017, n. 18992, Rv. 645134-01, cit.);

che, nel ritenere al contrario necessario, ai fini della validità della notifica delle cartelle di pagamento in questione, l’avvenuto inoltro, al P., della comunicazione di cui all’art. 139 c.p.c., comma 4, mediante raccomandata con avviso di ricevimento, la C.T.R. ha dunque disatteso tali principi;

che con il secondo motivo parte ricorrente si duole (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), della violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la C.T.R. esteso la propria cognizione alla validità (nella specie, negata) della notifica di sette cartelle di pagamento, diverse da quelle portanti carichi tributari, nonostante la questione fosse coperta dal giudicato interno formatosi sul difetto di giurisdizione dichiarato, rispetto ad esse, dalla C.T.P.;

che il motivo è inammissibile;

che dalla motivazione della sentenza impugnata non è dato comprendere a quali cartelle di pagamento faccia riferimento la C.T.R., allorchè afferma che “l’ufficio…non ha prodotto le (relative) recate di notifica”; nè, a ben vedere, parte ricorrente ha trascritto, ai fini della specificità del motivo di ricorso (cfr. l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), l’atto di appello del P., così precludendo al Collegio di valutare (a) se effettivamente sulla questione di giurisdizione si era formato il dedotto giudicato interno, nonchè (b) a quali cartelle era conseguentemente limitato l’effetto devolutivo dell’appello e, infine, (c) se quelle in questione erano cartelle rientranti o meno tra quelle ancora soggette alla giurisdizione della giudice tributario (arg. da Sez. 1, 2.2.2017, n. 2771, Rv. 643715-01); che l’accoglimento del primo motivo di ricorso determina la cassazione della impugnata decisione e rinvio alla C.T.R. della Regione Siciliana, sez. dist. di Siracusa, in diversa composizione, anche ai fini della liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, con conseguente assorbimento del terzo mezzo di gravame, con il quale parte ricorrente si è doluta della erronea ripartizione dell’onere delle spese di lite, in primo come in secondo grado, in quanto la relativa censura è diretta contro una statuizione che, per il suo carattere accessorio, è destinata ad essere travolta dall’annullamento che viene disposto della sentenza impugnata, a seguito del quale la liquidazione delle spese delle precorse fasi del giudizio va effettuata dal giudice di rinvio, tenendo conto dell’esito finale del giudizio (Cass., Sez. 6-2, 6.2.2017, n. 3069, Rv. 642575-01).

P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo ed assorbito il terzo. Per l’effetto, cassa la gravata sentenza e rinvia alla C.T.R. della Regione Siciliana, sez. st. di Siracusa, in diversa composizione, affinché si attenga ai principi che precedono e liquidi, altresì, le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Civile Tributaria, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2021


Mansioni superiori: quando il datore di lavoro ha l’obbligo di promozione

Mansioni superiori: il datore di lavoro ha l’obbligo di promozione del dipendente che svolge un’attività lavorativa riferita ad un grado e una qualifica più alti. Questo è il principio generale confermato dall’ordinanza della Corte di Cassazione numero 2972 dell’8 febbraio 2021 che ha riepilogato le regole per l’inquadramento del lavoratore subordinato.
Mansioni superiori: quando il datore di lavoro ha l’obbligo di promozione?
Mansioni superiori: il lavoratore subordinato che svolge un’attività relativa ad un inquadramento più alto deve ottenere una promozione.
Questo è il principio generale, confermato anche dalla recente pronuncia della Corte di Cassazione numero 2972 dell’8 febbraio 2021.
La pronuncia ha di fatto riepilogato il procedimento logico-giuridico che il giudice deve compiere quando, nelle cause di lavoro, deve giudicare sull’inquadramento di un dipendente.
Si tratta di un percorso composto da tre fasi successive attraverso il quale il magistrato può decidere o meno se le mansioni svolte appartengano ad un inquadramento superiore.
In caso di esito positivo, infatti, il datore di lavoro avrà l’obbligo di promuovere il proprio dipendente e di corrispondergli la retribuzione eventualmente eccedente.
Mansioni superiori: quando il datore di lavoro ha l’obbligo di promozione?
La Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 2972 dell’8 febbraio 2021 ha riproposto il principio secondo cui lavoratore subordinato, a cui sono stati assegnati compiti riferiti ad un inquadramento superiore, deve essere promosso.
Quando, però, si può dire che tali compiti attengano ad un lavoratore di gradi e qualifiche più elevati?
La risposta non è così semplice, tant’è vero che la giurisprudenza della Suprema Corte, per aiutare i giudici a decidere su queste questioni, ha dovuto elaborare il citato procedimento logico-giuridico in tre fasi che, in estrema sintesi, si articola nel modo seguente:
• il giudice deve prima di tutto accertare quali sono le attività lavorative che il dipendente ha concretamente svolto (a tal fine sono necessarie prove e testimonianze);
• in seconda battuta deve individuare le qualifiche e i gradi previsti dal contratto collettivo di categoria applicabile nel caso concreto;
• in ultimo deve confrontare quanto ha accertato nella prima fase con quanto previsto dalla contrattazione collettiva.
Se dall’ultimo raffronto si evidenzia uno squilibrio tra mansioni svolte e inquadramento stabilito dalla contrattazione collettiva, il giudice dovrà necessariamente obbligare il datore di lavoro a promuovere il dipendente e a corrispondergli lo stipendio corrispondente.
L’ordinanza dell’8 febbraio prende le mosse da un caso concreto che costituisce un valido esempio per capire come opera il giudice nel pronunciarsi in favore o meno di una promozione.
Nella vicenda in esame, infatti, il magistrato nel provvedimento impugnato aveva richiamato il livello di inquadramento della lavoratrice parte del giudizio e aveva individuato le mansioni a questo riservate.
Subito dopo, come emerso dalle acquisizioni probatorie, aveva identificato le mansioni realmente svolte dalla donna, scoprendo che non erano quelle previste dal CCNL di settore ma che, anzi, erano riferite ad una qualifica superiore.
Il giudice territoriale, dunque, ha condannato il datore di lavoro all’assegnazione della lavoratrice all’inquadramento effettivo e al pagamento, oltre che delle spese processuali, di 5.000 euro a titolo di compensi professionali.
La Cassazione, pertanto, confermando la sentenza di merito impugnata, si è espressa nei termini seguenti:
“(…) è consolidato l’insegnamento di questa Corte secondo cui l’accertamento della natura delle mansioni concretamente svolte dal dipendente, ai fini dell’inquadramento del Medesimo in una determinata categoria di lavoratori, una volta rispettato – così come nella specie – costituisce giudizio di fatto riservato al giudice del merito ed è insindacabile, in sede di legittimità, se sorretto da congrua motivazione”


Cass. civ., Sez. III, Ord., (data ud. 10/11/2020) 23/02/2021, n. 4920

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25755/2018 proposto da:

Z.L., + ALTRI OMESSI, rappresentati e difesi dall’avvocato FATIMA CILLO, ed elettivamente domiciliati presso lo studio della medesima in Cervinara via Sirio n. 10, pec: nicola.valente.avvecatiavellinopec.it;

– ricorrenti –

contro

VODAFONE ITALIA SPA, (già VODAFONE OMNITEL BV), in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati PAOLA LIMATOLA, e ALESSANDRO LIMATOLA, ed elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dei medesimi in VIA NOMENTANA 257, pec: notifiche.limatolaavvocati.it;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 259/2018 del TRIBUNALE di AVELLINO, depositata il 12/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/11/2020 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

Svolgimento del processo
che:

1. Il di Pace di Cervinara, con sentenza n. 338 del 2016, pronunciando su cause riunite proposte da vari soggetti titolari di utenze telefoniche Vodafone nei confronti del gestore per i disservizi verificatisi nel (OMISSIS) tra il (OMISSIS) in conseguenza di fortissime nevicate abbattutesi sulla zona, con sentenza n. 16 del 24/6/2016, accolse le domande ritenendo che le interruzioni ingiustificate e senza preavviso costituissero fonte di responsabilità, in assenza di prova, da parte dell’operatore telefonico, di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, danno che, a fronte di un evento costituito da un disservizio dovuto a fatto atmosferico eccezionale, si era concretizzato nel non essersi il gestore attivato tempestivamente per ripristinare il servizio. Il giudice riconobbe agli attori delle somme che liquidò in via equitativa.

Vodafone propose appello rappresentando che il non esatto adempimento della prestazione era dipeso da impossibilità derivante da causa a sè non imputabile ed in particolare dalle reiterate e prolungate interruzioni dell’energia elettrica causate dalle eccezionali avverse condizioni atmosferiche dovute a nevicate abnormi.

2. Il Tribunale di Avellino, con sentenza n. 259 del 12/2/2018, ha accolto la tesi dell’appellante ritenendo esistente una ipotesi di sopravvenuta impossibilità della prestazione, ai sensi dell’art. 1256 c.c., dovuta ad eventi di forza maggiore talmente gravi da trovare ampio risalto nelle testate giornalistiche e nei mezzi di informazione e da richiedere l’intervento della Protezione Civile. Tali eventi, connotati da imprevedibilità, eccezionalità e gravità, avevano interrotto il nesso eziologico tra l’evento ed il danno sofferto dalla clientela, anche alla luce della previsione contenuta nelle condizioni generali di contratto, di una clausola di esonero da responsabilità del gestore per i casi in cui il servizio non fosse erogabile per motivi di forza maggiore. Anche l’espressa accettazione da parte degli utenti di tale clausola corroborava la tesi dell’esonero del gestore da responsabilità ai sensi dell’art. 1218 c.c..

3. Avverso la sentenza, che ha altresì posto a carico degli utenti le spese del doppio grado, Z.L. ed altri hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi. Ha resistito la Vodafone con controricorso.

4. La trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c..

Motivi della decisione
che:

1. Il Collegio ritiene necessario esaminare prioritariamente una questione preliminare afferente alla validità della comunicazione di cancelleria -relativa alla presente adunanza – al legale difensore dei ricorrenti. Il difensore domiciliatario avvocato Fatima Cillo ha indicato nel ricorso il proprio codice fiscale ai sensi dell’art. 125 c.p.c., sicchè si era domiciliata automaticamente nel proprio indirizzo di PEC figurante obbligatoriamente nel Reginde. Sicchè, come era necessario a norma del combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., u.c. e art. 136 c.p.c., comma 2, la Cancelleria ha proceduto all’individuazione della PEC dello stesso difensore nel Reginde (fatima.cilio.avvocatiavellinopec.it) ed ha eseguito presso la relativa casella la comunicazione dell’avviso di fissazione dell’adunanza. La comunicazione dell’avviso, tuttavia, è stata rifiutata dalla relativa casella di PEC dell’Avvocato Cillo (la Cancelleria ha attestato che la PEC è tornata sempre negativa) e la Cancelleria (peraltro dopo avere inutilmente tentato di telefonare allo studio dell’avvocato, con il risultato che il numero dava sempre occupato) ha proceduto ad eseguire la comunicazione a mezzo posta, ma essa è risultata tardiva, cioè si è perfezionata l’8 ottobre 2020 e, dunque, senza l’osservanza del termine a difesa rispetto all’odierna adunanza.

Ritiene il Collegio, peraltro, che detto ulteriore adempimento di cancelleria, di fronte al rifiuto della prima tempestiva comunicazione da parte della casella di PEC del detto difensore, non risultava necessario, in quanto la comunicazione inviata e non andata a buon fine nella PEC del Reginde dell’Avvocato Cillo si deve ritenere non perfezionata per fatto imputabile al legale, inerente allo stato di detta casella di PEC, e dunque equivalente ad un rifiuto della stessa.

A supporto di tale conclusione si pone la giurisprudenza di questa Corte relativa alla necessaria “non imputabilità” al difensore dell’esito negativo della comunicazione alla sua casella di PEC (si vedano: Cass., 6-3, n. 3164 dell’11/2/2020: “La notificazione di un atto eseguita ad un soggetto, obbligato per legge a munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata si ha per perfezionata con la ricevuta con cui l’operatore attesta di aver rinvenuto la casella Pec del destinatario “piena”, da considerarsi equiparata alla ricevuta di avvenuta consegna, in quanto il mancato inserimento nella casella di posta per saturazione della capienza rappresenta un evento imputabile al destinatario, per l’inadeguata gestione dello spazio per l’archiviazione e la ricezione di nuovi messaggi”; Cass., 6-5, n. 3965 del 18/2/2020: “la mancata consegna all’avvocato della comunicazione o notificazione inviatagli a mezzo posta elettronica certificata produce effetti diversi a seconda che gli sia o meno imputabile: nel primo caso le notificazioni/comunicazioni saranno eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria; nel secondo attraverso l’utilizzo delle forme ordinarie previste dal codice di rito”).

La tardività della comunicazione a mezzo posta, dunque, non essendo dovuta tale ulteriore comunicazione è rimasta irrilevante.

Il Collegio rileva, inoltre, che nel ricorso l’Avvocato Pillo, che non aveva indicato la propria PEC, ma, come s’è detto, aveva indicato il proprio codice fiscale, così rendendola individuabile nel Reginde, si era domiciliata in (OMISSIS) ed aveva inoltre, senza però indicare di volervisi domiciliare, espressamente dichiarato “per le comunicazioni i seguenti recapiti”, facendo riferimento ad una PEC riferibile ad altro avvocato e ad un fax. Poichè detto avvocato, le cui generalità emergevano appunto solo dalla PEC, non risultava nè in procura nè come domiciliatario, il Collegio ritiene di doversi interrogare sul se l’unico difensore esercente in questa sede il ministero, cioè l’Avvocato Cillo, abbia inteso indicare come proprio domicilio la PEC di quell’altro difensore e, in caso di risposta positiva, sul se tale ipotetica domiciliazione si potesse ritenere idonea.

Il Collegio rileva che l’indicazione mancava e che, di fronte al chiaro tenore del già richiamato combinato disposto dell’art. 366, u.c. e soprattutto art. 136, comma 2, là dove si fa riferimento alla trasmissione del biglietto di cancelleria relativo alle comunicazione “a mezzo posta elettronica certificata, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici”, se quell’indicazione vi fosse stata sarebbe stata inefficace.

Poichè l’ordinamento prevede che l’individuazione del difensore destinatario della comunicazione di cancelleria avvenga automaticamente, cioè al di là della indicazione espressa della PEC, attraverso la ricerca nell’apposito registro, si deve ritenere che una domiciliazione presso PEC di un difensore diverso da quello che esercita il ministero difensivo possa avvenire solo se a tale difensore si attribuisca la qualifica di domiciliatario, mentre si deve escludere che il difensore esercente il patrocinio possa indicare per le comunicazioni la PEC di altro soggetto, pur esercente la professione di avvocato, senza qualificarlo come domiciliatario. Se non sia indicato, come nel caso di specie, il conferimento della qualità di domiciliatario, sebbene agli effetti digitali, la mera indicazione di una PEC riferibile ad un avvocato diverso da quello esercente il patrocinio con la mera dichiarazione di voler ricevere ad essa le comunicazioni, si risolve in una sorta di legittimazione dell’unico difensore ad indicare una PEC diversa da quella a lui riferibile secondo gli appositi registri e ciò senza una chiara assunzione di responsabilità qual è quella sottesa ad una dichiarazione di domiciliazione.

Il Collegio ritiene, dunque, che nulla osti alla trattazione.

2. Parte resistente ha pregiudizialmente sollevato l’eccezione di inammissibilità del ricorso per inesistenza o nullità della procura speciale per difetto dello ius postulandi assumendo che, pur risultando la procura speciale spillata all’originale del ricorso, non vi sarebbe traccia della suddetta procura nella copia notificata del ricorso, non essendo sufficiente l’attestazione dell’ufficiale giudiziario della conformità della copia all’originale.

L’eccezione è infondata in quanto è da preferire l’orientamento più recente della giurisprudenza di questa Corte secondo il quale “La mancata trascrizione, sulla copia del ricorso per cassazione notificato, degli estremi della procura speciale conferita dal ricorrente al difensore, non determina l’inammissibilità del ricorso ove la procura sia stata rilasciata con dichiarazione a margine, o in calce al ricorso, in quanto in tal caso l’intimato, con il deposito del ricorso in cancelleria, è posto in grado di verificare l’anteriorità del rilascio della procura rispetto alla notificazione dell’atto di impugnazione (Cass., L, n. 16540 del 19/7/2006)”.

3. Parte resistente ha altresì sollevato un’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, assumendo la mescolanza di elementi di fatto e di diritto, l’assenza di indicazione degli atti processuali su cui il ricorso si fonda, etc. 3.1. L’eccezione è certamente fondata quanto meno con riguardo al primo motivo di ricorso con il quale si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 74 disp. att. c.p.c., u.c., art. 87 disp. att., artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 5. Si assume che il Tribunale abbia basato la sentenza su una serie di documenti che non erano stati regolarmente depositati e che non avrebbero dovuto essere presi in considerazione, avendo la Vodafone solo tardivamente ottenuto di ricostruire il proprio fascicolo in spregio alle normative vigenti.

Il motivo è inammissibile per difetto del requisito della indicazione specifica degli atti fondanti ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto non pone questa Corte in condizioni di esaminare la censura, essendosi omesso di indicare gli atti processuali nei quali i ricorrenti abbiano trattato la questione nei gradi di merito, nonchè di indicare i verbali dai quali poter desumere la tardività della richiesta e perfino il fatto storico – negato da parte resistente – dell’avvenuta ricostruzione del fascicolo di parte.

4. Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1256, 2697 c.c., assumendo che la sentenza impugnata abbia illegittimamente ritenuto esistente la causa di forza maggiore anzichè argomentare nel senso, dai ricorrenti auspicato, dell’inconfigurabilità di una causa sopravvenuta di impossibilità della prestazione non potendo una nevicata in zona montana costituire, in pieno inverno, un evento atmosferico eccezionale. Nel caso di specie l’impossibilità assoluta della prestazione non sarebbe stata dimostrata dalla Vodafone e l’effetto estintivo dell’obbligazione avrebbe dovuto coincidere con un fatto totalmente estraneo alla sfera di controllo dell’operatore. Il Tribunale non avrebbe neppure ottemperato al principio di riparto dell’onere probatorio perchè avrebbe automaticamente desunto l’impossibilità sopravvenuta della prestazione dalla eccezionale nevicata verificatasi nella valle.

5. Con il terzo motivo di ricorso – omessa pronunzia e violazione degli artt. 1218, 1710, 1176 c.c. e art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – i ricorrenti censurano la sentenza per non aver motivato sulla diligenza o meno della condotta tenuta dall’operatore telefonico nel momento in cui venne a conoscenza dell’interruzione. Assumono che l’operatore, una volta venuto a conoscenza dell’evento interruttivo, avrebbe dovuto comunicare tempestivamente al cliente l’impossibilità di eseguire la prestazione adottando provvedimenti atti a contenere i danni.

6. I due motivi possono essere trattati congiuntamente per ragioni di connessione e sono entrambi inammissibili in quanto volti a sollecitare questa Corte ad un riesame dei fatti e delle prove e perchè non correlati alla ratio decidendi. L’impugnata sentenza ha, infatti, ragionato facendo riferimento all’impossibilità sopravvenuta della prestazione, alla diligenza tenuta dall’operatore e al factum principis che ha impedito il pieno ripristino di un servizio comunque erogato anche in situazione emergenziale, sia pur in modo non ottimale.

I ricorrenti, anzichè aggredire adeguatamente la ratio decidendi, si limitano a sostenere che il Tribunale abbia errato nel non presumere la colpa dell’operatore come argomentato da questa Corte con sentenza Cass., 3 n. 11914 del 10/6/2016, con la quale si è affermato che, in relazione ai rapporti contrattuali concernenti le utenze telefoniche, i doveri di diligenza e buona fede nell’esecuzione del contratto impongono all’impresa esercente servizi di telefonia di comunicare tempestivamente al proprio cliente l’impossibilità di eseguire la prestazione e di adottare gli opportuni provvedimenti al fine del contenimento dei danni.

La sentenza impugnata, come si è illustrato, ha dato atto della presenza di una causa di forza maggiore e dell’assenza di colpa in capo all’operatore telefonico che, pur sorpreso da un evento eccezionale, fece in modo di garantire nei limiti del possibile il funzionamento del servizio. Questa specifica ratio decidendi non è espressamente impugnata sicchè da ciò si trae conferma della inammissibilità del motivo.

6. Con il quarto motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 e 2059 c.c. e art. 112 c.p.c. – i ricorrenti censurano il capo di sentenza che ha ritenuto i danni neppure provati nell’an e nel quantum assumendo che la quantificazione avrebbe dovuto essere compiuta, come fatto dal giudice di prime cure, sulla base di presunzioni fondate su nozioni di comune esperienza.

5.1 Il motivo resta assorbito per la sorte dei precedenti e comunque sarebbe stato, se scrutinabile, infondato in quanto, sia per il danno patrimoniale sia per quello non patrimoniale, l’attore avrebbe dovuto fornire ed allegare la prova degli elementi costitutivi del medesimo e cioè sia del danno sia del nesso causale, non potendosi ovviare a tale onere nè nel caso di liquidazione equitativa (Cass., 26/2/2003 n. 2874) nè nel caso specifico del contratto di utenza telefonica rispetto al quale la giurisprudenza di questa Corte ha già richiesto in modo espresso la prova del danno, non potendo, dall’esistenza e dall’entità del disservizio, trarsi in via presuntiva la dimostrazione dell’effettivo verificarsi di un pregiudizio risarcibile (Cass., 3, n. 27609 del 29/10/2019).

6. Il Collegio rileva, inoltre, che il presente ricorso presenta la medesima struttura di altro ricorso proposto dallo stesso difensore e deciso con l’ordinanza n. 31921 del 2018, sostanzialmente con considerazioni non dissimili da quelle che qui si sono enunciate.

7. Conclusivamente il ricorso va rigettato ed i ricorrenti condannati a pagare le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, del cd. “raddoppio” del contributo unificato, se dovuto.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 1800 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2021


Nulla la multa notificata per posta a cittadino tedesco

La notifica effettuata in violazione della Convenzione di Strasburgo non è inesistente, ma nulla e quindi sanabile 
La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza del 3 novembre 2020 – 5 febbraio 2021 n. 2866, ha affermato il principio per cui la notifica del verbale di sanzione ammnistrativa, a cittadino tedesco, non può avvenire direttamente a mezzo del servizio postale.
La Convenzione di Strasburgo prevede la possibilità di una simile notifica ma la Germania, avvalendosi della possibilità di deroga, ha escluso tale forma di notificazione per i suoi cittadini residenti.
Tale pronuncia è interessante anche perché ribadisce importanti principi in tema di rilascio della procura alle liti all’estero e in materia di sanabilità (o meno) del difetto di rappresentanza processuale.
Un cittadino tedesco, mentre si trovava a Firenze, transitava senza autorizzazione in una zona a traffico limitato (ztl). L’infrazione gli veniva contestata tramite l’invio di una lettera raccomandata.
Egli proponeva opposizione al verbale di contravvenzione al Codice della Strada deducendo, tra le altre cose, il vizio di nullità per inesistenza della notifica del verbale. Il giudice di primo grado rigettava l’opposizione, in secondo grado, il gravame veniva dichiarato inammissibile in quanto tardivo.
Inoltre, secondo il giudice di merito, la violazione delle formalità di notifica – imposte dalla Convenzione di Strasburgo – rappresentava un motivo di nullità (non di inesistenza) sanata dall’avvenuto raggiungimento dello scopo.
La Suprema Corte si trova a stabilire se, nel caso di specie, sia applicabile:
• la Convenzione di Strasburgo del 24 novembre 1977, sulle notifiche all’estero in materia amministrativa, ratificata con legge 149/1983;
• oppure il Regolamento CE 1393/2007 relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale.
Il Regolamento di cui sopra:
• esclude la notificazione a mezzo servizio postale per gli atti amministrativi,
• ma la consente per quelli giudiziali e extragiudiziali in materia civile e commerciale.
Una volta chiarito il quadro normativo, emerge l’importanza della questione sottoposta alle Sezioni Unite, ossia:
in tema di notifica di verbale di accertamento di violazione amministrativa a persona residente in altro stato membro dell’Unione Europea e segnatamente nella Repubblica Federale di Germania, quale sia il significato da attribuirsi alla materia “amministrativa”.
Infatti, se la notifica del verbale rientra tra gli atti amministrativi, la notifica a mezzo posta resta comunque esclusa, per ambedue le discipline.
A tale questione è connessa la seguente:
se sia nulla (e sanabile) ovvero inesistente (ed insanabile) la notifica del verbale di accertamento di infrazione stradale a mezzo del servizio postale a cittadino tedesco.
La Convenzione di Strasburgo del 24 novembre 1977 reca la disciplina per la notifica dei documenti in materia ammnistrativa. In via generale, ammette la notificazione diretta a mezzo del servizio postale per documenti come il verbale di sanzione amministrativa. Infatti, l’art. 11 legge 149/1983 recita: “Ogni Stato contraente ha la facoltà di provvedere direttamente a mezzo posta alle notifiche di documenti a persone che si trovino sul territorio di altri Stati contraenti”.
Tuttavia, tale regola non si applica alla Germania, la quale ha escluso la possibilità di notifica, per tali documenti, a mezzo del servizio postale nei confronti dei propri cittadini residenti.
Notifica del verbale via posta al cittadino UE: è possibile?
Per rispondere a tale interrogativo, occorre prima chiarire se il verbale di una contravvenzione rientri nella nozione di atto amministrativo oppure nella materia civile e commerciale.
Qualora tale attività venga considerata come rientrante nel novero degli atti amministrativi, è necessario il ricorso all’attività di assistenza per la notificazione dell’Autorità centrale dello Stato di residenza del medesimo cittadino. In caso contrario, è perfettamente legittima la notifica a mezzo posta.
Sul punto, alcune pronunce del 2018 (Cass. 22000/2018), avevano ritenuto ammissibile la notificazione a mezzo postale del verbale di sanzione amministrativa a cittadino tedesco, considerando applicabile il Regolamento 1393/2007. Secondo tale interpretazione, il verbale di contestazione è un atto propedeutico all’ordinanza d’irrogazione della sanzione ammnistrativa; rientra, quindi, tra gli atti stragiudiziali, notificabili via posta (art. 16 Reg. cit.). Nondimeno, il Regolamento (art. 1) non si applica alla materia fiscale, doganale o amministrativa, né alla responsabilità dello Stato per atti od omissioni nell’esercizio di pubblici poteri («acta iure imperii»).
Per le Sezioni Unite:
“il verbale di accertamento di sanzione al Codice della Strada, in quanto atto rientrante nell’esercizio di pubblici poteri rientra, quindi, nell’ambito di materia amministrativa e, come tale, la notifica della sua impugnazione esula in maniera manifesta dal campo di applicazione del Regolamento n. 1393/2007, poiché non rientrante nella materia civile o commerciale (e neppure potendosi configurare il carattere “stragiudiziale” della notifica del verbale stesso)”.
In base a quanto sopra, la notifica del verbale di sanzione ammnistrativa a cittadino tedesco deve avvenire con l’assistenza dell’Autorità centrale dello Stato di residenza e destinazione, prevista dalla Convenzione di Strasburgo (art. 2), in difetto, la notificazione è nulla. La nullità va esaminata in base alla legge del Paese da cui è svolta la notificazione, ossia in base alla legge italiana. Nel caso in esame, la notifica deve ritenersi nulla e non inesistente. La conseguenza è che essa è sanabile in assenza di tempestiva apposita eccezione. Nella fattispecie oggetto di scrutinio, la nullità è stata sanata dalla “tardività del ricorso rispetto alla effettiva conoscenza del verbale notificato e non tempestivamente impugnato con conseguente mancata tempestività della eccezione di nullità della notificazione e, quindi, sanatoria della stessa”.
La sentenza si è occupata anche di un altro aspetto degno di nota. Il Comune di Firenze ha eccepito l’inammissibilità dell’appello per nullità della procura. La procura speciale, rilasciata al difensore da parte del cittadino tedesco, con atto del notaio, mancava di qualsiasi riferimento alla procedura per la quale era stata rilasciata. In tal modo, non è possibile individuare la finalità della stessa. La genericità della procura si pone in contrasto con il dettato dell’art. 83 c.p.c. e con i principi che richiedono:
• uno specifico collegamento tra l’atto (la procura) e il soggetto destinatario (l’avvocato),
• la capacità dell’atto di far individuare la finalità per la quale è stato generato.
Nel caso di specie, la stessa procura era stata impiegata in ben cinque procedimenti diversi, inoltre, l’autenticazione della firma del mandante non risultava redatta in lingua italiana, pertanto, doveva considerarsi nulla. La Suprema Corte ribadisce un principio più volte espresso in sede di legittimità. La procura speciale alle liti rilasciata all’estero, in conformità alla Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961 (anche nota come “Convenzione sull’apostille”) o ad apposita convenzione bilaterale, può essere esente:
• dall’onere di legalizzazione da parte dell’autorità consolare italiana,
• nonché dalla cosiddetta “apostille”.
Ebbene, tale procura è nulla, qualora non sia allegata la traduzione:
• della procura stessa,
• e dell’attività certificativa svolta dal notaio.
In merito all’attività notarile, si fa riferimento a quella “afferente all’attestazione che la firma è stata apposta in sua presenza da persona di cui egli abbia accertato l’identità, applicandosi agli atti prodromici al processo il principio generale della traduzione in lingua italiana a mezzo di esperto” (Cass. 8174/2018, Cass. 11165/2015).
La nullità della procura era stata eccepita e il ricorrente non aveva dedotto nulla in ordine al difetto di rappresentanza sollevato dalla controparte. Pertanto, la Suprema Corte si sofferma proprio sulla differenza intercorrente tra la rilevazione d’ufficio e l’eccezione di parte sul difetto di rappresentanza. Infatti, quando è il giudice a rilevare d’ufficio tale difetto, alla parte viene assegnato un termine perentorio per sanarlo (art. 182 c.p.c.);
quando il vizio viene tempestivamente eccepito da una parte, la documentazione “in sanatoria” va prodotta immediatamente, senza l’assegnazione di alcun termine.
Pertanto, la nullità della procura diviene insanabile – come nel caso di specie – allorché, nonostante l’eccezione del convenuto, l’attore non abbia sua sponte depositato la necessaria documentazione (Cass. Ord. 24212/2018, Cass. 22892/2018, Cass. S.U. 4248/2016).
Dunque, le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio:
la notifica del verbale di sanzione ammnistrativa a cittadino tedesco non può avvenire direttamente a mezzo del servizio postale; infatti, in assenza dell’assistenza dell’Autorità centrale dello Stato di residenza e destinazione, prevista dalla Convenzione di Strasburgo, la notificazione è nulla e sanabile, non inesistente e insanabile.


Messi Comunali: vaccinazione Covid 19

Programmazione campagna vaccinale COVID-19 – Qualificazione Messi Comunali e Notificatori quali lavoratori di servizi essenziali

Egregio Assessore Sanità – Servizi sociali – Programmazione socio-sanitaria
Dr.ssa Manuela LANZARIN
Palazzo Balbi – Dorsoduro 3901
30123 V E N E Z I A

Con la presente, per sottoporre alla Sua attenzione la richiesta della categoria di pubblici dipendenti che la Associazione che presiedo rappresenta, al fine del loro inserimento nella campagna vaccinale quali appartenenti a categoria di lavoratori di servizi essenziali.

A tal fine evidenzio alla Sua attenzione il disposto di cui all’articolo 2 dell’ “Accordo collettivo nazionale in materia di norme di garanzia del funzionamento dei servizi pubblici essenziali nell’ambito del comparto regioni – autonomie locali”, datato 19.9.2002 e sottoscritto da Aran e sindacati di categoria del pubblico impiego, che elenca i servizi pubblici da qualificare come essenziali, ai sensi degli articoli 1 e 2 della legge 12 giugno 1990, n. 146 come modificati ed integrati dall’art.1 e 2 della legge 11 aprile 2000, n.83, nel comparto  Regioni-Autonomie Locali.

E’ di tutta evidenza come tra tali servizi sono annoverati alcuni, quali lo stato civile e servizio elettorale, l’igiene, sanità ed attività assistenziali, le attività di tutela della libertà della persona e della sicurezza pubblica, per il cui effettivo espletamento non può prescindersi dall’esercizio delle funzioni dei Messi Comunali e Notificatori, quali soggetti istituzionalmente chiamati ad assicurare la notifica, ai relativi destinatari, di atti assunti dalla pubblica amministrazione per il loro svolgimento; per non dire delle funzioni che i Messi Comunali e Notificatori possono svolgere anche per conto di altre amministrazioni, ivi comprese quelle statali.

In altri termini la funzione svolta dai Messi Comunali e Notificatori è, di tutta evidenza, strumentale e funzionale all’assolvimento di servizi pubblici essenziali e ne condivide il carattere di funzione rivolta ad una serie indeterminata di soggetti: si ritiene ne consegua la loro ascrivibilità alla categoria dei lavoratori di servizi pubblici essenziali ai fini del loro inserimento nella corrispondente fase e categoria di priorità del piano (della campagna) vaccinale COVID-19.

Certo della attenzione che Lei, come Sua consuetudine, vorrà riservare alla presente.

Verona 19 febbraio 2021

   Pietro Tacchini
Presidente Nazionale

Scarica testo: Lettera Assessore Lazzarin 19 02 2021


Cass. civ., Sez. III, Ord., (data ud. 09/11/2020) 10/02/2021, n. 3318

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9497-2018 proposto da:

FTS DI F.R. & C SNC, rappresentata e difesa da MASSIMO CECCANTI;

– ricorrenti –

e contro

PREFETTURA UTG ALESSANDRIA, AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS);

– intimati-

avverso la sentenza n. 831/2017 del TRIBUNALE di ALESSANDRIA, depositata il 13/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/11/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

Svolgimento del processo
che:

1. Con ricorso notificato il 12/3/2018, avverso la sentenza n. 831/2017 del Tribunale di Alessandria, pubblicata in data 13/9/2017 e non notificata, la “F.T.S. Di F.R. & C. s.n.c.” propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. La Prefettura – U.T.G. di Alessandria e l’Agenzia delle Entrate – Riscossione (già Equitalia Nord s.p.a.), intimate, non hanno svolto difese in questa sede.

2. La società qui ricorrente “F.T.S. Di F.R. & C. s.n.c.” deduce di avere ricevuto un verbale di accertamento della violazione del C.d.S. dalla Polizia Stradale di Alessandria, avverso il quale essa aveva proposto ricorso per via gerarchica interna al Prefetto di Alessandria ex art. 203 C.d.S., senza tuttavia ricevere regolare notificazione dell’ingiunzione che è seguita dal rigetto di quel procedimento. Equitalia Nord s.p.a., difatti, aveva notificato alla società una cartella esattoriale intimando il pagamento del credito sotteso al verbale di contravvenzione. Talchè, avverso la cartella, la società proponeva opposizione, cd. “recuperatoria”, ai sensi dell’art. 205 C.d.S., dinanzi al Giudice di Pace di Alessandria, deducendo di non aver mai ricevuto l’atto presupposto, vale a dire l’ordinanza ingiunzione prefettizia, posto che la cartella notificata faceva riferimento solo al rigetto del ricorso da parte del Prefetto; instava, dunque, per l’annullamento della cartella esattoriale per insussistenza del titolo per l’iscrizione a ruolo della sanzione, essendo mancata la notifica dell’ordinanza del Prefetto con cui avrebbe dovuto essere definito il ricorso gerarchico interno de quo. Il GdP rigettava l’opposizione.

3. Avverso la sentenza, l’opponente ha proposto gravame dinanzi al Tribunale di Alessandria che rigettava l’appello ritenendo che la Prefettura avesse provato la rituale notifica dell’ordinanza ingiunzione, in specie, producendo in primo grado copia dell’avviso di ricevimento della raccomandata ordinaria A.R. che, presumibilmente, conteneva il titolo in discussione assumendo che, pertanto, sarebbe stato onere dell’appellante fornire prova del suo reale contenuto, che in tesi era riferito alla nota, a firma del commissario capo, con la quale era stato reso noto il rigetto del ricorso gerarchico proposto avverso il verbale di accertamento.

Inoltre, il Tribunale ha rilevato che le considerazioni svolte dall’appellante in ordine alla correttezza formale del procedimento notificatorio attengono ad una eventuale nullità della notifica, comunque sanabile per raggiungimento dello scopo.

Motivi della decisione
che:

1. Con il primo motivo si denuncia la “Nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 82 c.p.c., comma 3, art. 166 c.p.c., art. 171 c.p.c., comma 3, art. 182 c.p.c., comma 2 e art. 91 c.p.c., comma 1 (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4)”. La società ricorrente adduce che Equitalia Nord s.p.a. ha partecipato al giudizio dinanzi al Tribunale “con patrocinio della delegata L.P. e del Dott. Z.G.P.” che non esercitavano, nè esercitano, la professione di avvocato, in violazione dell’art. 82 c.p.c., comma 3, per cui “davanti al tribunale e alla corte d’appello le parti debbono stare in giudizio col ministero di un procuratore legalmente esercente”. Pertanto, Equitalia sarebbe rimasta a tutti gli effetti contumace nel giudizio di secondo grado, non avendo provveduto il Tribunale a sanare tale vizio di costituzione, nè a dichiararne la contumacia ex art. 171 c.p.c., comma 3.

1.1. Il motivo è inammissibile per manifesta infondatezza. Nel caso in questione la denunciata violazione riguarda la condanna alle spese ricevuta dal ricorrente ed è relativa a una difesa in tesi espletata in assenza di regolare mandato alle liti, tale da far ritenere contumace la parte così rappresentata, e non involge una denuncia riguardo all’erronea quantificazione delle spese di lite. Sul punto va osservato che Equitalia, nell’espletamento delle proprie difese, per regola generale, può avvalersi di propri dipendenti delegati, che possono stare in giudizio personalmente (D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, art. 1, comma 8; D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 11, comma 2). Sul punto, anche da ultimo, si sono espresse le Sezioni Unite di questa Corte sancendo che per l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, pur potendo avvalersi in specifici casi dell’Avvocatura dello Stato nonchè degli avvocati del libero foro, resta impregiudicata la sua generale facoltà di avvalersi anche di propri dipendenti innanzi al tribunale e al giudice di pace (Cass., Sez. U, Sentenza n. 30008 del 19/11/2019).

2. Con il secondo motivo si deduce la “Violazione e/o falsa applicazione del D.M. giustizia n. 55 del 2014 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)” ove sono state liquidate le spese di lite, per ciascuna delle convenute (Prefettura e Agenzia delle Entrate), nella misura Euro 1.618,00, nonostante il valore della controversia fosse di Euro 583,00 e quindi in misura eccedente rispetto ai parametri massimi indicati nel D.M. giustizia n. 55 del 2014, applicabile ratione temporis, per una controversia rientrante nello scaglione di valore che va da Euro 0,01 a Euro 1.100,00.

2.1. Il motivo è fondato. Le spese di lite sono state liquidate con parametri eccessivi rispetto ai massimi tabellari. In assenza di una nota spese, anche applicando gli aumenti di cui al D.M. n. 55 del 2014, art. 4 la somma complessiva massima (per tutte le fasi) è pari a Euro 1.172,00 per le controversie di valore non superiore a Euro 1.100,00. Sul punto, poi, deve precisarsi che in ordine ai compensi professionali dell’avvocato riconosciuti a dipendenti della pubblica amministrazione privi di tale qualità, la Legge di stabilità 2012 e, in particolare, la L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 4, comma 42, titolato “Liquidazione di spese processuali”, che ha introdotto l’art. 152-bis disp. att. c.p.c., prevede una riduzione del 20 per cento degli onorari di avvocati ivi previsti (…)”. La giurisprudenza di legittimità, di recente (Cass., Sez. L -, Ordinanza n. 19034 del 16/7/2019; Sez. L -, Sentenza n. 9878 del 9/4/2019), ha esteso l’applicabilità del citato art. 152-bis disp. att. c.p.c. anche ai giudizi per prestazioni assistenziali in cui l’Inps si avvalga della difesa diretta D.L. n. 203 del 2005, ex art. 10, comma 6, in quanto le due disposizioni sono accomunate dalla finalità di migliorare il coordinamento e la gestione del contenzioso da parte delle amministrazioni nei gradi di merito, affidando l’attività di difesa nei giudizi in modo sistematico a propri dipendenti. Alla luce della ratio sottesa a tale estensione, deve ritenersi che la disposizione di cui all’art. 152-bis cit. debba applicarsi anche ai dipendenti delegati dall’Agenzia dell’Entrate-Riscossione alla sua rappresentanza e difesa in giudizio, talchè – nel presente procedimento – gli onorari di difesa a favore dei dipendenti patrocinanti l’ente della riscossione avrebbero dovuto essere tutt’al più ridotti nella misura del 20% rispetto agli onorari di avvocato, e non certamente aumentati.

3. Con il terzo motivo si denuncia la “Nullità della sentenza per omessa motivazione (ovvero motivazione apparente), nonchè violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per aver ritenuto che, in virtù del fatto che sull’avviso di ricevimento della raccomandata ordinaria AR inviata alla società era indicato “(OMISSIS)” si dovesse presumere che il contenuto fosse riferito alla l’ordinanza ingiunzione identificata a mezzo del numero di protocollo, fino a prova contraria incombente Alla parte opponente. Si adduce di avere fornito prova contraria, producendo non solo la busta citata, ma anche il suo contenuto, ossia la nota del 7 aprile 2010, a firma del commissario capo, con la quale era stato reso noto il rigetto del ricorso gerarchico proposto avverso il verbale di accertamento presupposto. Pertanto, il giudice avrebbe violato l’art. 115 c.p.c. per non aver tenuto nella giusta considerazione tale documentazione, nonchè l’art. 116 c.p.c. che gli impone di valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti. E, nel caso di specie, la legge descrive esattamente gli atti e i documenti che devono sorreggere la prova di un’avvenuta notificazione: l’art. 204 C.d.S., comma 2 e art. 201 C.d.S., comma 3, in combinato disposto con la L. n. 890 del 1982, art. 3 prevedono che l’ordinanza ingiunzione venga “notificata” e non meramente “comunicata”, nonchè le formalità specifiche da osservare ove tale notifica avvenga a mezzo del servizio postale. In aggiunta, si deduce che l’annotazione “(OMISSIS)” apposta sulla presunta “notificazione” dell’ordinanza ingiunzione (non solo non corrispondeva al numero di protocollo dell’ordinanza ingiunzione (che avrebbe dovuto essere “(OMISSIS)”), ma era stata inserita nella sezione dedicata all’indirizzo del mittente e, dunque, era indicativa di una aggiunta postuma.

4. Con il quarto motivo si censura la “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 156 c.p.c., nonchè falsa applicazione dell’art. 204 C.d.S., comma 2 e art. 201 C.d.S., comma 3, e della L. n. 890 del 1982, art. 3 ovvero nullità della sentenza in quanto sorretta da motivazione apparente (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4)” in quanto la raccomandata ricevuta rappresenterebbe una “comunicazione” piuttosto che una rituale “notificazione” e, dunque, neppure potrebbe ritenersi che la sua nullità possa essere sanata ex art. 156 c.p.c. In ogni caso, non sarebbe comunque dimostrato che avesse raggiunto il suo scopo; difatti, con l’opposizione al GdP la società non avrebbe affatto impugnato l’ordinanza ingiunzione, bensì la cartella esattoriale emessa da Equitalia, in quanto unico atto del quale aveva avuto effettiva conoscenza.

5. Con il terzo e quarto motivo il ricorrente prospetta anche il vizio di motivazione apparente ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 senza, tuttavia, confrontarsi con la giurisprudenza di questa Corte in tema di opposizione a cartella esattoriale, per quanto si dirà in seguito. Tanto dedotto, la ricorrente conclude che, in difetto di rituale notificazione dell’ordinanza ingiunzione, l’obbligazione pecuniaria si sarebbe estinta e, di conseguenza, la cartella esattoriale risulterebbe invalida.

5.1. Il terzo ed il quarto motivo sono trattati congiuntamente in quanto intimamente connessi: essi sono entrambi inammissibili per difetto di interesse del ricorrente a far valere detto vizio, ex art. 100 c.p.c..

5.2. Il giudice, senza nulla aggiungere in riferimento al caso concreto, si è attestato sulla giurisprudenza consolidata (Cass., Sez. U -, Sentenza n. 22080 del 22/9/2017; Sez. 3 -, Sentenza n. 16282 del 4/8/2016; Sez. 1, Sentenza n. 9180 del 20/4/2006), in base alla quale l’opposizione alla cartella esattoriale può avere funzione recuperatoria e, pertanto, consente all’interessato di recuperare il mezzo di tutela previsto dalla legge avverso l’atto presupposto solo allorchè la cartella sia stata effettivamente il primo atto attraverso cui l’interessato è venuto a conoscenza della pretesa sanzionatoria. Sotto questo profilo, la rituale notificazione a mezzo del servizio postale del verbale di accertamento della violazione amministrativa e della conseguente ordinanza – ingiunzione, ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, artt. 14 e 18 attestata dai rispettivi avvisi di ricevimento, implica la conoscenza legale di tali atti in capo al destinatario, dovendosi, pertanto, escludere che spetti al mittente l’onere di fornire la prova anche del contenuto del plico notificato (Sez. 2, Sentenza n. 13259 del 26/07/2012).

5.3. Va tuttavia preliminarmente osservato che, proprio perchè l’azione ha valore recuperatorio, nella formulazione della censura si omette di indicare la ragione per cui l’atto di accertamento dell’infrazione al Codice della Strada, per quanto notificato con un contenuto diverso da quello indicato nel frontespizio dal mittente, sarebbe illegittimo e da contestare nel merito, nonostante il rigetto del ricorso amministrativo interno (fatto del tutto pacifico). Ed invero anche di recente, il giudice di legittimità ha avuto modo di precisare che “Il destinatario di una cartella di pagamento emessa in base ad un verbale di accertamento per violazioni al codice della strada, che si assume regolarmente notificato, ove proponga opposizione, invocando l’annullamento della cartella quale conseguenza della omissione, invalidità assoluta ovvero inesistenza della notificazione del verbale presupposto, non può che limitarsi a denunciare il vizio invalidante detta notifica, non potendo fare valere in tal sede anche vizi che attengono al merito della pretesa sanzionatoria, la cui allegazione è, al contrario, necessaria qualora sia proposta un’opposizione, riconducibile al cit. D.Lgs. n. 150, art. 6 a cartella di pagamento fondata su un’ordinanza ingiunzione che si assuma illegittimamente notificata, giacchè l’emissione di siffatta ordinanza implica che il verbale di accertamento presupposto sia stato legittimamente contestato o notificato al trasgressore il quale, perciò, ha avuto cognizione anche degli aspetti attinenti al merito dell’esercitata pretesa sanzionatoria (Cass., Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 11789 del 6/5/2019).

5.4. Tale omessa deduzione non consente di ritenere ammissibile la proposta opposizione.

5.5. Alla stregua di quanto sopra, deve affermarsi il seguente principio: “in caso di opposizione alla cartella esattoriale per omessa regolare notifica dell’ordinanza ingiunzione, riguardante una sanzione amministrativa irrogata, proposta in via recuperatoria (nel senso indicato da SU 22080 del 22/9/2017), è onere del ricorrente che ha proposto ricorso gerarchico interno avverso l’accertamento dell’infrazione amministrativa notificata, dedurrei non solo l’omessa regolare notifica dell’atto costituente la premessa dell’emissione della cartella esattoriale (appunto, della ordinanza ingiunzione), ma anche il motivo di illegittimità dell’illecito contestato”.

6. Conclusivamente, il primo, il terzo e il quarto motivo di ricorso vanno dichiarati inammissibili. Il ricorso merita, invece, accoglimento in relazione al secondo motivo; per l’effetto, cassa la sentenza con rinvio al Tribunale di Alessandria, in persona di diverso magistrato, anche per le spese di questa fase processuale.

P.Q.M.
La Corte, dichiara inammissibili il primo, il terzo e il quarto motivo; in accoglimento del ricorso quanto al secondo motivo, cassa la sentenza, con rinvio al Tribunale di Alessandria, in persona di diverso magistrato, anche per le spese di questa fase processuale.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione terza civile, il 9 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2021