La PEC non garantisce il contenuto del suo allegato

Secondo la Corte Suprema di Cassazione, la posta elettronica certificata (PEC) dimostra l’invio e la ricezione del messaggio, non garantisce il contenuto del documento allegato.

PEC è l’acronimo di Posta Elettronica Certificata.

La PEC, in Italia, è un tipo particolare di posta elettronica che permette di dare al contenuto dello scritto lo stesso valore legale di una tradizionale raccomandata con avviso di ricevimento, garantendo in questo modo la prova dell’invio e della consegna.

L’indirizzo PEC delle imprese e dei professionisti si può rintracciare gratuitamente online attraverso il registro pubblico INI-PEC.

Nonostante sia una particolarità italiana, dal 2018 sono state avviate attività governative per rendere la PEC conforme allo standard dell’Unione Europea.

A partire dal 2024, alla PEC si sostituisce lo standard europeo REM (Registered Electronic Mail) che prevede l’autenticazione a due fattori e la certificazione dell’identità del mittente e del destinatario con lo SPID o la carta d’identità elettronica.

Con decreto depositato il 2/10/2018 il Tribunale di Cagliari ha respinto l’opposizione ex art. 98 legge fallimentare proposta da xxxxxx contro il decreto con il quale il G.D. del fallimento. Xxxxx aveva respinto la sua domanda di insinuazione del credito dell’importo di euro 231.540,70, richiesto a titoli di canoni di affitto di azienda dei quali al contratto sottoscritto tra le parti.

Il Tribunale ha condiviso l’impostazione del G.D., ritenendo il contratto di affitto d’azienda in oggetto non opponibile alla procedura perché privo di data certa.

In particolare, ha osservato che, anche potendo costituire un significativo elemento di prova della data certa la PEC datata 21/01/2013 con la quale la società Xxxxxx (poi fusa in xxxxx) aveva chiesto il pagamento dei canoni insoluti imputandoli al contratto.

Questo documento non era dotato di data certa, essendoci esclusivamente la prova che, in data 21/01/2013, la ricorrente aveva inviato una PEC alla Xxxxx, ma non anche che il documento allegato alla PEC fosse la nota prodotta.

Il Tribunale di Cagliari ha ritenuto che l’opponente avrebbe dovuto riprodurre il documento in formato elettronico, in modo da potere verificare se allegata alla PEC ci fosse la comunicazione prodotta.

Analoga conclusione doveva essere estesa alla nota del 15/10/2012, la quale non conteneva nessun rinvio al contratto, né al suo contenuto, ma esclusivamente alle fatture emesse e non pagate.

Contro il decreto la Xxxxx ha proposto Ricorso per Cassazione Xxxxx, affidandolo a quattro motivi.

La Sezione Prima civile della Corte Suprema di Cassazione nella sentenza n. 10091 del 15 aprile 2024, confermando una linea giurisprudenziale delineata in precedenti decisioni (Cass. n. 32165/2023 e Cass. n. 34755/2023), ha ribadito il principio secondo il quale la posta elettronica certificata (PEC) dimostra l’invio e la ricezione del messaggio, però non garantisce il contenuto del documento allegato.

La Suprema Corte di Cassazione ha chiarito che, nonostante la PEC certifichi data, ora e formato di spedizione di un messaggio, i dettagli non sono on grado di garantire l’autenticità o l’integrità dei file trasmessi con la stessa.

Ad esempio, un file allegato a una PEC potrebbe contenere informazioni false o provenire da terze parti.

In questi casi, la certificazione della PEC non verifica e non conferma la veridicità o la pertinenza del contenuto del documento allegato.

L’autenticità e la completezza dei documenti, viene garantita attraverso l’utilizzo della firma digitale, la quale attesta sia la provenienza del documento, sia la sua integrità, rafforzando la sicurezza e la validità legale del documento in caso di opponibilità a terzi.

La Corte Suprema di Cassazione ha anche specificato che la semplice menzione di un documento in un altro non conferisce in modo automatico allo stesso documento una data certa, se non viene fornita una prova contestuale della sua esistenza e integrità.

Questo principio è fondamentale quando documenti importanti, come contratti o mandati professionali, sono menzionati in altri atti legali senza essere allegati o verificati.

Come si legge su misterlex,it, a questo proposito:

La PEC si conferma uno strumento efficace per garantire la trasmissione certificata di messaggi.

I professionisti del diritto devono stare attenti a non presumere una verifica automatica del contenuto dei documenti allegati, se gli stessi non siano protetti e certificati in modo adeguato attraverso la firma digitale.


Altri 90 milioni di euro per app IO, pagoPA e SEND

Il Dipartimento per la trasformazione digitale ha annunciato la pubblicazione di tre nuovi avvisi per sostenere l’adozione di altrettanti servizi digitali, ovvero app IO, pagoPA e SEND. La somma complessiva disponibile, grazie al PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), ammonta a 90 milioni di euro. Le domande di partecipazione devono essere inviate entro il 20 settembre.

Più fondi per la digitalizzazione

L’attuale governo punta all’eliminazione dello SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale) e all’uso esclusivo della CIE (Carta d’Identità Elettronica) come metodo di accesso ai servizi della Pubblica Amministrazione attraverso l’app IO (che includerà il portafoglio digitale italiano). Quest’ultima diventerà quasi indispensabile per i cittadini, quindi sono stati stanziati 30 milioni di euro per spingere i Comuni verso una maggiore adozione.

Alla piattaforma pagoPA sono invece destinati 10 milioni di euro. In questo caso, l’avviso riguarda Regioni e Province autonome, Aziende sanitarie locali e ospedaliere, Università, Enti di ricerca e AFAM.

La fetta maggiore è riservata a SEND, in quanto ancora poco utilizzato. I Comuni possono accedere ad un fondo di 50 milioni di euro per integrare i propri sistemi nella Piattaforma Notifiche Digitali (attivata a luglio 2023) e attivare i primi due servizi. Una parte della somma deriva probabilmente dai 51,7 milioni di euro dell’avviso di settembre 2022.

Grazie agli avvisi di PA Digitale 2026 sono stati allocati 2 miliardi di euro. Circa 17.000 PA locali hanno già aderito agli avvisi del PNRR dedicati al digitale (99% dei Comuni e 88% delle scuole) con oltre 54.000 progetti avviati. Alessio Butti, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’innovazione tecnologica, ha dichiarato:

Altri 90 milioni di euro per digitalizzare la PA. Una dimostrazione tangibile dell’impegno del Governo Meloni nel rendere i servizi pubblici più accessibili e funzionali, favorendo un cambiamento duraturo sul sistema paese. Con l’incremento delle risorse per app IO, pagoPA e la nuova piattaforma SEND guardiamo al futuro, agendo con decisione e visione per non lasciare indietro nessuna amministrazione locale.

Fonte: Dipartimento per la trasformazione digitale


Notifica valida se il destinatario ha la possibilità di conoscere l’atto

Il contribuente che vuole ricorrere alla rimessione nei termini per giustificare la sua assenza dal domicilio deve dimostrare adeguatamente che tale circostanza deriva da causa a lui non imputabile

Ai fini del perfezionamento della notificazione, la conoscibilità dell’atto va intesa come possibilità di conoscenza dello stesso e non come sua conoscenza effettiva e certa.

Questo il principio di diritto espresso dalla Corte Suprema di Cassazione nella sentenza n. 4597 del 21 febbraio 2024, ove ha precisato che la parte che invochi la rimessione in termini per procedere all’impugnazione tardiva deve dimostrare di non aver potuto esercitare tempestivamente il potere processuale per causa ad essa non imputabile o per caso fortuito o forza maggiore, vale a dire per un impedimento non evitabile con un comportamento diligente.

In sede di impugnazione di un atto di accertamento, un contribuente deduceva, tra l’altro, l’illegittimità del provvedimento per difetto di notifica e invocava la rimessione in termini ai sensi dell’articolo 153 del codice di procedura civile.

Il ricorso di primo grado veniva dichiarato inammissibile per tardività.

Lo sfavorevole verdetto veniva ribadito dalla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, con sentenza n. 283/03/18 del 1° marzo 2018, che l’interessato impugnava in sede di legittimità.

Dinanzi alla Corte Suprema di Cassazione, per quanto d’interesse, l’istante ribadiva le censure relative alla notifica.

Nello specifico, la parte privata insisteva sull’eccezione di mancato perfezionamento della notificazione, per un verso asserendo la violazione della sequenza procedimentale prevista dalla legge – in particolare, dolendosi della mancata affissione dell’avviso di deposito alla porta dell’abitazione e della mancata ricezione effettiva della comunicazione di avvenuto deposito (Cad), per l’altro, affermando che l’iter notificatorio di cui all’articolo 8 della legge n. 890/1982, ove è previsto il rilascio dell’avviso al destinatario mediante “affissione alla porta d’ingresso oppure mediante immissione nella cassetta della corrispondenza dell’abitazione” avrebbe dovuto interpretarsi come un “ordine di modalità di esecuzione della notifica”, nel senso che l’affissione avrebbe dovuto essere eseguita in via principale mentre l’immissione dell’avviso in cassetta postale, ipotesi verificatasi nel caso in esame, si sarebbe potuta effettuare soltanto in via subordinata.

In aggiunta, il ricorrente affermava che, nel rispetto dell’articolo 60, quarto comma, del Dpr n. 600/1973, ai sensi del quale “qualunque notificazione a mezzo del servizio postale si considera fatta nella data della spedizione; i termini che hanno inizio dalla notificazione decorrono dalla data in cui l’atto è ricevuto”, il termine per l’impugnazione dell’atto avrebbe dovuto computarsi dalla “concreta conoscibilità”, intesa come effettiva conoscenza del provvedimento impugnato.

L’interessato, infine, si doleva del fatto che il giudice di secondo grado non aveva tenuto conto della circostanza che la sua assenza dalla casa di abitazione era dovuta a ragioni di salute, avendo locato un appartamento in una località termale nel periodo in cui la notifica era stata effettuata: concludeva che, trattandosi di causa a lui non imputabile e, comunque, scusabile, il collegio regionale aveva violato l’articolo 153 c.p.c. negandogli la remissione in termini.

La pronuncia della Corte

La Corte Suprema di Cassazione ha rigettato il ricorso, in primis dichiarando inammissibile, in quanto motivo nuovo, la censura relativa alle modalità di esecuzione della notifica e ricordando comunque che, nell’ambito del particolare iter di cui al caso concreto, l’affissione dell’avviso alla porta piuttosto che la sua immissione nella cassetta postale costituiscono “due procedure alternative tra loro, senza ordine di preferenza (Cass., V, n. 22348/2020)”.

Poi, la Corte Suprema di Cassazione ha concluso per l’infondatezza del motivo con cui la parte riteneva di poter ancorare il perfezionamento del procedimento notificatorio alla ricezione effettiva della Cad, puntualizzando che la conoscibilità di un atto notificato “va intesa come possibilità di conoscenza effettiva dell’atto notificando stesso e non come sua conoscenza certa (Cass., Sez. Un. n. 10012/2021)”.

In ordine alla questione della richiesta di rimessione in termini, la Corte Suprema di Cassazione ha ricordato che il presupposto affinché detta rimessione possa operare è che la parte richiedente dimostri di non aver potuto esercitare tempestivamente il potere processuale per causa ad essa non imputabile o per caso fortuito o forza maggiore, occorrendo cioè “che vi sia un impedimento non evitabile con un comportamento diligente (Cass. n. 21794/2015)» (Cass., V, n. 10162/2023)”.

Nella vicenda in esame, rileva la pronuncia, la Commissione Tributaria Regionale ha rigettato la richiesta di rimessione in termini per non aver il ricorrente dimostrato una impossibilità assoluta e oggettiva a rientrare presso la propria residenza, ma bensì, e soltanto, una mera difficoltà relativa.

Nell’ordinamento giuridico, la notificazione costituisce lo strumento finalizzato a portare il contenuto di un atto nella legale conoscenza di uno o più soggetti determinati.

Si parla di “conoscenza legale” perché, ai fini della validità della notifica è necessario, e anche sufficiente, che vengano realizzate le formalità stabilite al riguardo dalla legge (Cassazione, n. 24002/2019, ove si precisa che il rispetto della sequenza procedimentale fissata dal legislatore “costituisce idoneo elemento di garanzia che il destinatario dell’atto, pur non avendo ricevuto l’atto, sia posto nelle condizioni di averne conoscenza”).

Il perfezionamento dell’iter notificatorio si fonda, dunque, sulla ragionevole presunzione di conoscenza dell’atto da parte del destinatario, mentre non è richiesta la conoscenza concreta ed effettiva dell’atto stesso, che di fatto si realizza soltanto nel caso di “notifica in mani proprie” (Cassazione n. 6924/2019)

In definitiva, lo scopo della notifica può dirsi raggiunto e la notifica è valida quando è garantita la conoscibilità, “intesa come possibilità di conoscenza effettiva, dell’atto notificando” (Cassazione, SSUU, n. 10012/2021).

Sotto questo profilo, dunque, la decisione in commento conferma un quadro interpretativo che appare decisamente consolidato.

Anche per quanto concerne l’aspetto della rimessione in termini, di cui all’articolo 153, secondo comma c.p.c., ai sensi del quale “La parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini”, la sentenza della Corte Suprema di Cassazione risulta, quindi, coerente con l’orientamento di legittimità per il quale la rimessione “presuppone sempre una situazione di impedimento, non imputabile alla parte che invoca la stessa” (Cassazione, n. 3157/2024), perché “cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà che presenti i caratteri dell’assolutezza e non della mera difficoltà” (Cassazione, n. 19384/2023 e n. 1707/2024).


Notifiche avvocati: conversione in legge del decreto PNRR

L’articolo 25-bis della legge di conversione del decreto cd. PNRR disciplina l’impiego di mezzi telematici per le notifiche di atti civili, amministrativi e stragiudiziali. Si consente, pertanto, agli avvocati la notificazione di atti giudiziali e stragiudiziali tramite un invio postale generato con mezzi telematici.

L’articolo 25-bis (“Disposizioni per favorire l’impiego di mezzi telematici per le notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali da parte degli avvocati”) è stato introdotto durante l’esame parlamentare di conversione del decreto PNRR in legge (Legge 29 aprile 2024, n. 56 che reca la “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 2 marzo 2024, n. 19, recante ulteriori disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)”), e contiene una disposizione preordinata ad autorizzare gli avvocati la notificazione di atti civili, amministrativi e stragiudiziali tramite un invio postale generato con mezzi telematici. Il testo, nella finalità di semplificare il procedimento di notificazione e favorire il raggiungimento degli obiettivi di efficientamento del sistema giudiziario, funzionali all’attuazione del PNRR sulle modalità della notificazione per mezzo del servizio postale, della legge n. 53 del 1994, la quale disciplina la facoltà di notificazione di atti civili, amministrativi e stragiudiziali da parte degli avvocati per mezzo del servizio postale o mediante posta elettronica certificata, inserendovi il comma 2-bis.

Il procedimento delle notifiche consente agli avvocati la notificazione di atti civili, amministrativi e stragiudiziali mediante un invio postale generato con mezzi telematici, prevedendo che il notificante nella relazione di notificazione debba dare atto delle modalità dell’invio, indicare generalità e residenza, dimora o domicilio del destinatario, il domicilio del notificante, il numero del registro cronologico di cui all’art. 8, come anche i dati previsti dal comma 2. L’atto deve essere sottoscritto dal notificante nel rispetto della normativa processuale, anche regolamentare, sulla sottoscrizione, trasmissione e ricezione dei documenti informatici.

Il documento informatico deve essere munito della firma digitale ovvero del sigillo elettronico qualificato apposti dall’ufficiale postale, il quale provvede a stampare la copia da notificare e l’avviso di ricevimento, contenente le indicazioni di cui al comma 2, nonché a confezionare il piego raccomandato, riportando su ogni pagina il numero identificativo e attestando la conformità della copia.

Legge 29/04/2024, n. 56

In vigore dal 1° maggio 2024

Dopo l’articolo 25 è inserito il seguente:

«Art. 25-bis (Disposizioni per favorire l’impiego di mezzi telematici per le notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali da parte degli avvocati).

– 1. Al fine di semplificare il procedimento di notificazione e favorire il raggiungimento degli obiettivi di efficienza del sistema giudiziario, funzionali all’attuazione del PNRR, all’articolo 3 della legge 21 gennaio 1994, n. 53, dopo il comma 2 è inserito il seguente:

“2-bis. È consentita la notificazione tramite un invio postale generato con mezzi telematici. A tal fine, nella relazione di notificazione il notificante dà atto delle modalità di invio e indica il nome, il cognome, la residenza o dimora o domicilio del destinatario, nonché il domicilio del notificante, il numero del registro cronologico di cui all’articolo 8 e gli elementi previsti dal comma 2 del presente articolo. L’atto è sottoscritto digitalmente dal notificante nel rispetto della normativa processuale, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. L’ufficiale postale appone la propria firma digitale o un sigillo elettronico qualificato sul documento informatico, stampa la copia da notificare e l’avviso di ricevimento e confeziona il piego raccomandato, riportando su ciascuna pagina della copia da notificare il numero identificativo dell’invio postale e attestando la conformità della copia al documento informatico trasmesso. Nell’avviso di ricevimento sono contenute le indicazioni di cui al comma 2”».

Legge 21/01/1994, n. 53

Facoltà di notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali.
Pubblicata nella Gazz. Uff. 26 gennaio 1994, n. 20. In vigore dal 1° maggio 2024

  1. Il notificante che procede a norma dell’articolo 2 deve:(6)
  2. scrivere la relazione di notificazione sull’originale e sulla copia dell’atto, facendo menzione dell’ufficio postale per mezzo del quale spedisce la copia al destinatario in piego raccomandato con avviso di ricevimento;
  3. presentare all’ufficio postale l’originale e la copia dell’atto da notificare; l’ufficio postale appone in calce agli stessi il timbro di vidimazione, inserendo quindi la copia, o le copie, da notificare nelle buste di cui all’art. 2, sulle quali il notificante ha preventivamente apposto le indicazioni del nome, cognome, residenza o dimora o domicilio del destinatario, con l’aggiunta di ogni particolarità idonea ad agevolarne la ricerca; sulle buste devono essere altresì apposti il numero del registro cronologico di cui all’art. 8, la sottoscrizione ed il domicilio del notificante;
  4. presentare contemporaneamente l’avviso di ricevimento compilato con le indicazioni richieste dal modello predisposto dall’Amministrazione postale, con l’aggiunta del numero di registro cronologico.
  5. Per le notificazioni di atti effettuate prima dell’iscrizione a ruolo della causa o del deposito dell’atto introduttivo della procedura, l’avviso di ricevimento deve indicare come mittente la parte istante e il suo procuratore; per le notificazioni effettuate in corso di procedimento, l’avviso deve indicare anche l’ufficio giudiziario e, quando esiste, la sezione dello stesso.

2-bis.    È consentita la notificazione tramite un invio postale generato con mezzi telematici. A tal fine, nella relazione di notificazione il notificante dà atto delle modalità di invio e indica il nome, il cognome, la residenza o dimora o domicilio del destinatario, nonché il domicilio del notificante, il numero del registro cronologico di cui all’articolo 8 e gli elementi previsti dal comma 2 del presente articolo. L’atto è sottoscritto digitalmente dal notificante nel rispetto della normativa processuale, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. L’ufficiale postale appone la propria firma digitale o un sigillo elettronico qualificato sul documento informatico, stampa la copia da notificare e l’avviso di ricevimento e confeziona il piego raccomandato, riportando su ciascuna pagina della copia da notificare il numero identificativo dell’invio postale e attestando la conformità della copia al documento informatico trasmesso. Nell’avviso di ricevimento sono contenute le indicazioni di cui al comma 2.(8)

  1. Per il perfezionamento della notificazione e per tutto quanto non previsto dal presente articolo, si applicano, per quanto possibile, gli articoli 4 e seguenti della legge 20 novembre 1982, n. 890.

 3-bis.    La notifica è effettuata a mezzo della posta elettronica certificata solo se l’indirizzo del destinatario risulta da pubblici elenchi. Il notificante procede con le modalità previste dall’articolo 149-bis del codice di procedura civile, in quanto compatibili, specificando nella relazione di notificazione il numero di registro cronologico di cui all’articolo 8. (7) (5)

NOTE

(5) Comma abrogato dall’art. 16-quater, comma 1, lett. c), D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, come inserito dall’art. 1, comma 19, n. 2), L. 24 dicembre 2012, n. 228, a decorrere dal 1° gennaio 2013; per l’efficacia della presente disposizione, vedi l’art. 16-quater, comma 3 del suddetto D.L. 179/2012.

(6) Alinea così modificato dall’art. 16-quater, comma 1, lett. b), D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, come inserito dall’art. 1, comma 19, n. 2), L. 24 dicembre 2012, n. 228, a decorrere dal 1° gennaio 2013; per l’efficacia della presente disposizione, vedi l’art. 16-quater, comma 3 del suddetto D.L. 179/2012.

(7) Comma aggiunto dall’art. 4, comma 1, L. 28 dicembre 2005, n. 263, a decorrere dal 29 dicembre 2005 e, successivamente, così sostituito dall’art. 25, comma 3, lett. b), L. 12 novembre 2011, n. 183, a decorrere dal 1° gennaio 2012; tale ultima disposizione si applica decorsi trenta giorni dalla data di entrata in vigore della suddetta L. 183/2011, ai sensi di quanto disposto dal citato art. 25, comma 5, L. 183/2011.

(8) Comma inserito dall’art. 25-bis, comma 1, D.L. 2 marzo 2024, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 aprile 2024, n. 56.


Buon 1° MAGGIO


BUON 25 APRILE


Cass. civ., Sez. I, Ord., (data ud. 13/02/2024) 15/04/2024, n. 10091

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente

Dott. VELLA Paola – Consigliere

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere-Rel.

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 32702/2018 R.G. proposto da:

GIEFFE Srl, elettivamente domiciliata in Cagliari Via Pessina, presso lo studio dell’avvocato MELONI MARCELLO ((Omissis)) che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MELONI RODOLFO ((Omissis)), CAMPANA GIUSEPPE ((Omissis)), MELONI MARCELLO ((Omissis))

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO BRICOSARDA Srl, elettivamente domiciliato in ROMA VIA A VALLISNERI 11, presso lo studio dell’avvocato CECERE STEFANO ((Omissis)) rappresentato e difeso dall’avvocato FODDE GIANRAIMONDO ((Omissis))

– controricorrente –

nonché contro

A.A., B.B.

– intimati –

avverso DECRETO di TRIBUNALE CAGLIARI in RG 11575/2018 depositato il 02/10/2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/02/2024 dal Consigliere ANDREA FIDANZIA.

Svolgimento del processo
Con decreto depositato il 2.10.2018 il Tribunale di Cagliari ha rigettato l’opposizione ex art. 98 legge fall. proposta da Gieffe Srl avverso il decreto con cui il G.D. del fallimento Bricosarda Srl aveva rigettato la sua domanda di insinuazione del credito dell’importo di Euro 231.540,70, richiesto a titoli di canoni d’affitto d’azienda di cui al contratto sottoscritto tra le parti in data 8.7.2010.

Il Tribunale ha condiviso l’impostazione del G.D., ritenendo il contratto di affitto d’azienda in oggetto non opponibile alla procedura in quanto privo di data certa. In particolare, ha osservato che, pur potendo costituire un significativo elemento di prova della data certa la pec datata 21.1.2013 con cui la società I Gabbiani Immobiliare (poi fusa in Gieffe Srl) aveva chiesto il pagamento dei canoni insoluti imputandoli “al contratto in data 8.7.2010”, il cui contenuto era stato descritto nei suoi tratti essenziali nella nota sopra richiamata (tale per cui, secondo il decreto impugnato, se tale nota “fosse dotata di data certa, estenderebbe la certezza della data alla scrittura privata ed alle previsioni essenziali in essa contenute”), tuttavia, tale documento non era dotato di data certa, essendovi solo la prova che, in data 21.1.2013, l’odierna ricorrente aveva inviato una pec alla Bricosarda, ma non anche che il documento allegato alla pec fosse la nota prodotta.

Il Tribunale di Cagliari ha quindi ritenuto che l’opponente avrebbe dovuto corrispondentemente riprodurre il documento già in formato

elettronico, così da poter verificare se allegata alla pec vi fosse effettivamente la comunicazione prodotta.

Analoga conclusione doveva essere estesa alla nota del 15.10.2012, la quale, peraltro, non conteneva alcun riferimento al contratto dell’8.7.2010, né al suo contenuto, ma solo alle fatture emesse e non pagate.

Avverso il decreto ha proposto ricorso per cassazione Gieffe Srl, affidandolo a quattro motivi.

Il fallimento Bricosarda Srl ha resistito in giudizio con controricorso.

La ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 cod. proc. civ.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 cod. proc. civ., 2697 cod. civ. in relazione agli artt. 48 CAD e 16 bis D.L. n. 179/2012, e successive modifiche, 99 e 101 legge fall.

È stata, altresì, dedotta l’omessa motivazione su un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti nonché la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 183 comma 3 e 101 comma 2 cod. proc. civ.

Lamenta la ricorrente che il giudice di primo grado, nonostante l’inequivoca facoltà concessa alla parte dalla legge (art. 16 bis legge cit.), all’atto della prima costituzione in giudizio, di depositare i documenti in cartaceo, ha ritenuto imprescindibile, per provare il contenuto di un documento allegato ad una pec, la produzione dello stesso in via telematica, non considerando che il deposito in via telematica costituisce una semplice alternativa e che la prova del contenuto dell’allegato può essere fornita producendo documentazione attestante l’accettazione e la consegna del messaggio inviato via pec.

La ricorrente ha, altresì, osservato che in nessuna fase della procedura (né di ammissione, né in sede di opposizione allo stato passivo) la procedura aveva contestato di aver ricevuto le diffide – e cioè la pec – con quel contenuto.

Doveva, pertanto, ritenersi pacifico che, per effetto della mancata contestazione da parte del fallimento, le pec avessero quel contenuto, incombendo semmai al fallimento provare un allegato diverso da quello prodotto in cartaceo.

Il Tribunale ha quindi omesso di decidere su un fatto decisivo costituito dalla data certa del credito derivante dalle lettere oggetto di discussione tra le parti.

In subordine, la ricorrente allega che il giudice di primo grado avrebbe violato gli artt. 101 comma 2 e 112 cod. proc. civ., avendo posto a fondamento della propria decisione una questione rilevabile d’ufficio senza assegnare alle parti un termine per depositare memorie sul punto.

2. Il motivo presenta concomitanti profili di infondatezza e inammissibilità, anche se la motivazione del Tribunale deve essere corretta in diritto a norma dell’art. 384 ult. comma cod. proc. civ. Va preliminarmente osservato che questa Corte (vedi Cass. n. 32165/2023), nell’esaminare un’analoga questione in cui era stato invocato dall’istante che il documento allegato ad una posta elettronica certificata è attratto al regime di quest’ultima, ed è pertanto atto opponibile a terzi, ha affermato che “la posta elettronica certificata dimostra l’invio e la ricezione del messaggio, ma non garantisce il contenuto del documento allegato”. Non si può, in altri termini, dalla circostanza che la posta elettronica è certificata, dedurre che anche il documento allegato lo è, o meglio, che quel documento è riferibile al suo autore, e che ha effettivamente quel contenuto. Si supponga il caso in cui con posta certificata si invia un documento dal falso contenuto, o proveniente da un terzo: si dovrebbe dire che, avendo il mittente certificato la posta (ossia attestato che proviene da lui e che è stata spedita a quell’ora) ha altresì attestato che il documento allegato è vero o che è riferibile ad un terzo….”.

Dunque, la Pec è in grado di attestare in maniera certa l’avvenuta trasmissione e ricezione del messaggio, le modalità di spedizione (data, ora e formato) ed anche il suo contenuto, ma limitatamente alla Pec stessa, non al file allegato ad essa. Pertanto, se alla Pec è stato allegato un file con un determinato nome, estensione, formato e dimensioni la ricevuta lo attesterà, ma non farà prova del contenuto di quel file, occorrendo, a tal fine, che sul file allegato sia apposta la firma digitale, che certificherà la provenienza del documento e la sua integrità.

Ne consegue che non è corretta la stessa affermazione del tribunale secondo cui la produzione del documento (pec) in formato elettronico sarebbe idonea a fornire la prova del contenuto del documento allegato (e della data certa).

Non corretta giuridicamente è, inoltre, l’affermazione del Tribunale secondo cui la data certa di un documento (nel caso di specie, la nota del 21.1.2013 inviata via pec) che richiama, al suo interno, il contenuto di un contratto nei suoi tratti essenziali (nella specie, il contratto di affitto d’azienda) “estenderebbe la certezza della data anche alla scrittura privata ed alle previsioni essenziali in essa contenute”. Sul punto questa Corte (vedi Cass. n. 34755/2023) ha recentemente affermato – nell’esaminare una questione in cui l’istante intendeva provare la data certa di un mandato professionale desumendola dalla menzione dello stesso all’interno di una domanda di concordato preventivo depositata in giudizio – …” che la mera menzione di un mandato professionale supposto quale preesistente rispetto ad un atto, depositato in giudizio e da quel momento avente natura di data certa, non conferisce alcuna data certa anche al contratto cui il mandato citato ineriva, se non ne sia contestualmente depositato il relativo documento: atteso che l’istituto della data certa, ai fini della opponibilità, riguarda un atto che, con un giudizio di certezza, viene in rilievo nella sua precisa, conoscibile, dunque completa, esistenza, non è certo sufficiente, a tal fine, la mera menzione del suo contenuto in altro atto. Nel caso di specie, non vi sono i presupposti per il riconoscimento della data certa, cioè della violazione da parte del giudice di merito dei criteri codicistici enunciati, in quanto con la domanda di concordato preventivo quel mandato non risultava depositato, ma solo menzionato nel corpo del ricorso e peraltro neanche nella sua integralità…”.

Il principio enunciato da questa Corte nella predetta ordinanza risulta pienamente applicabile anche al caso di specie.

Sono, altresì, infondate le censure della ricorrente in ordine alla dedotta violazione del principio di non contestazione, di cui all’art. 115 cod. proc. civ., e dell’art. 101 comma 2 cod. proc. civ.

Quanto alla prima doglianza, l’onere di contestazione specifica che grava su una parte processuale non riguarda i documenti prodotti in giudizio o la loro valenza probatoria, la cui valutazione è riservata al giudice (vedi Cass. n. 3126/2019; vedi anche Cass. n. 3306/2020; Cass. n. 12748/2016; 22055/2017), e ciò in considerazione del fatto che l’accertamento sull’esistenza del titolo vantato nei confronti del fallimento, e dedotto in giudizio, deve essere dunque compiuto dal giudice “ex officio” in ogni stato e grado del processo, nell’ambito proprio di ognuna delle sue fasi, in base alle risultanze rite et recte acquisite nei limiti in cui tale rilievo non sia impedito o precluso in dipendenza di apposite regole (vedi Cass. 24972/2013; conf. Cass. 29254/2019).

Non può essere neppure invocata dal ricorrente la violazione dell’art. 101 comma 2 cod. proc. civ.

Dalla stessa ricostruzione dei fatti fornita dalla ricorrente, contenuta nella parte narrativa (vedi pag. 5 ricorso), emerge che “Il G.D. con provvedimento 24/10/16 escludeva l’importo ammesso al passivo ritenendo che l’intera documentazione prodotta non fosse opponibile al fallimento, trattandosi di contratto privo di data certa e di fatture emesse dal richiedente, per cui tale documentazione non aveva data certa anteriore al fallimento”.

Dunque, la problematica, in generale, della data certa è stata affrontata dal G.D. in sede di insinuazione allo stato passivo ed apparteneva al thema decidendum anche nella fase del giudizio di opposizione ex art. 98 legge fall. Non può, pertanto, la ricorrente invocare, sul punto, la violazione del principio del contraddittorio.

Infine, la censura, secondo cui il Tribunale avrebbe omesso di decidere su un fatto decisivo costituito dalla data certa del credito derivante dalle lettere oggetto di discussione tra le parti, è palesemente infondata, avendo il giudice di primo grado esaminato approfonditamente le scritture in oggetto, ritenendole prive di data certa.

3. Con il secondo motivo sono invocati la violazione e falsa applicazione degli artt. 2704 e 2709 cod. civ. nonché l’omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 comma 1 n. 5 cod. proc. civ.

Espone la ricorrente che il fallimento non ha contestato né di aver detenuto ed esercitato l’azienda sino a febbraio-marzo 2013 né di avere corrisposto i canoni relativi all’affitto successivi al luglio 2010, per i quali sono state emesse le fatture prodotte in giudizio dalla ricorrente. Tale circostanza doveva ritenersi provata in quanto non solo non contestata, ma anche ammessa dal fallimento.

Inoltre, il pagamento delle fatture emesse dall’8.7.2010 all’agosto 2011 era stato provato con la produzione di assegni e le ammissioni di controparte che dimostravano l’anteriorità del credito rispetto al fallimento.

4. Il motivo è inammissibile.

Va osservato che il Tribunale di Cagliari ha coerentemente evidenziato che “la prova del rapporto di cui è causa non può essere desunta dalle fatture emesse dalla società opponente, trattandosi di documentazione formata unilateralmente dal creditore. Né assume maggior rilievo il fatto che la Bricosarda effettuasse pagamenti in favore di Gieffe di importo corrispondente, atteso che tale circostanza proverebbe l’esistenza di un rapporto tra le due società, ma non che la fonte di tale rapporto fosse proprio il contratto di affitto d’azienda del 8.7.2010 che l’opponente pretende di far valere”.

Con tali precise argomentazioni la ricorrente non si è confrontata, reiterando le precedenti censure ed affermando apoditticamente che il fallimento non aveva contestato che la società fallita avesse pagato le fatture dopo l’8.7.2010, non considerando che, come evidenziato dalla procedura controricorrente in questa sede, i pagamenti potevano ben riferirsi al contratto di affitto precedentemente stipulato del 20.9.2000 in merito al quale non è contestato che vi fossero morosità e/o ritardi.

5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2704 cod. civ. in relazione all’art. 244 cod. proc. civ. nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Espone la ricorrente di aver articolato, nell’atto di opposizione ex art. 98 legge fall., prove testimoniali vertenti su circostanze non dirette a provare il contenuto del contratto di affitto d’azienda, ma fatti (equipollenti a quelli delineati dall’art. 2704 cod. civ. al fine di attribuire data certa al credito) che concernono l’esistenza di un accordo contrattuale che nel luglio 2010 ha portato Bricosarda a continuare l’esercizio dell’azienda per importi concordati con la ricorrente e a pagare quelle somme sino all’agosto 2011.

Il Tribunale di Cagliari non ha ammesso la prova testimoniale nonostante la stessa fosse idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito. Ne consegue che il giudice di primo grado è incorso nel vizio di motivazione.

6. Il motivo è inammissibile.

Se è pur vero che ove il documento contrattuale non sia munito di data certa, la prova del negozio e della sua stipulazione anteriore al fallimento può essere fornita, prescindendo dal documento contrattuale, con tutti gli altri mezzi consentiti, anche nei confronti dei terzi e del curatore, salve le limitazioni derivanti dalla natura e dall’oggetto del negozio (vedi Cass. 2319/2016; conf. Cass n. 3956/2018 e n. 37028/2021), tuttavia, nel caso di specie, la mancata ammissione da parte del Tribunale di Cagliari delle prove articolate dalla ricorrente non dà luogo ad un vizio di motivazione, atteso che le circostanze capitolate non erano idonee ad investire un punto decisivo della controversia (vedi sul punto Cass. n. 16214/2019; conf. 27415/2018; Cass. n. 56544/2017), difettando nei capitoli deferiti ai testi quel grado di completezza e univocità nel ricostruire tutti gli elementi negoziali dell’affitto d’azienda, non dimostrabile con documenti afferenti al titolo, perché inopponibili al curatore. In particolare, ove, come nel caso di specie, la prova verta sulle mere circostanze di ‘esecuzione’ di un rapporto, che non parrebbe negato da alcuno, ma senza che sia possibile ricostruire quale fosse il suo titolo e quale fosse la precisa volontà delle parti, ad iniziare dal sinallagma godimento-corrispettivi, manca la decisività, che è onere della prova della parte ricorrente allegare e persuadere vi sia.

Dall’esame dei capitoli di prova articolati dall’odierno ricorrente nel giudizio di opposizione – e trascritti in ricorso – emerge che contengono un riferimento al contratto del 2000 – in ordine al quale il tribunale ha già giudicato tardiva la menzione di quel titolo – che non è, tuttavia, rilevante, avendo la ricorrente fondato la sua pretesa creditoria sul contratto del 2010. Pertanto, i capp. a-g, contraddicono un limite della causa petendi; alcuni sono generici (i), altri valutativi (k), altri inconferenti (n) o ultronei (p) o inutili (q) o un po’ velleitari (r) o scontati (s).

7. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 93, 94, 99 e 101 legge fall. in relazione all’art. 183 comma 5 cod. proc. civ. nonché la nullità sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.

Lamenta la ricorrente che ha errato il Tribunale di Cagliari nell’affermare che la domanda di riconoscimento dell’indennità di occupazione non fosse stata proposta in sede di insinuazione allo stato passivo.

In realtà, nelle note dell’1.10.2016 trasmesse al G.D. prima dell’approvazione dello stato passivo, riportate integralmente nel ricorso in opposizione e prodotte come documento n. 28, la ricorrente aveva già integrato la propria domanda, formulando la pretesa che le venisse riconosciuta l’indennità per l’illegittima occupazione dell’azienda.

La ricorrente ha, altresì, osservato che, anche alla luce dell’arresto delle Sezioni Unite di questa Corte n. 12310/2015, dovendosi abbandonare il parametro di carattere formale che segnava la distinzione tra mutatio ed emendatio libelli, e soffermarsi piuttosto sulla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, non può ravvisarsi una domanda nuova per il solo fatto che nella richiesta di indennità di occupazione il titolo giuridico della pretesa sia diverso rispetto al titolo contrattuale.

8. Il motivo è inammissibile.

Va osservato che la ricorrente ha dedotto che già nella fase di insinuazione allo stato passivo e, segnatamente, nelle note dell’1.10.2016 al progetto di stato passivo, aveva formulato la domanda di indennità per l’illegittima occupazione dell’azienda. Tale domanda si evincerebbe dal seguente passaggio di tali note, che è stato trascritto nel ricorso in opposizione ex art. 98 legge fall.: “In caso si ritenessero comunque inopponibili al fallimento sia la scrittura 8.8.2010 sia le relative fatture impagate sia l’ulteriore documentazione prodotta, non potrebbe comunque superarsi il fatto che Bricosarda detenesse il ramo d’azienda posto in Capoterra, Centro Commerciale i Gabbiani, via Lampedusa 29, in forza del contratto, oggi prodotto, autenticato in data 20/09/2000 rep. 10108/2711 dal Notaio Pasolini e ciò a decorrere dal 28/09/2000 sino al 5/3/2011 (vedi doc. 15 pag. 64) e che gli importi richiesti risultano mai pagati dalla società Bricosarda Srl.

In sintesi è indubitabile che la società fallita abbia detenuto in affitto un ramo d’azienda posta nel Centro Commerciale i Gabbiani, via Lampedusa 29, dal 20/9/2000 (vedi doc. 8) sino al 5/3/2013 e che, dal settembre 2011 (per la mensilità di agosto corrisposte solo Euro 3.000,00 contro 10.000,00 oltre iva) la Bricosarda Srl cessò di effettuare qualsivoglia altro pagamento del corrispettivo dovuto. Il rilascio avvenne nei primi giorni di marzo 2013 (vedi visura camerale doc. 15 pag. 64), mensilità peraltro di cui non si è chiesto il pagamento”.

Orbene, dall’esame dell’estratto delle note dell’1.10.2016, trascritto nel ricorso allo stato passivo – e sopra riportato integralmente – emerge in modo inequivocabile che la ricorrente non ha fatto alcun cenno ad una richiesta di indennità per l’illegittima occupazione dell’azienda, avendo semmai richiamato il contratto stipulato il 20.9.2000. Correttamente, quindi, il Tribunale di Cagliari ha ritenuto che la domanda subordinata di indennità di occupazione fosse stata formulata, inammissibilmente, solo in sede di opposizione allo stato passivo.

Infine, le censure della ricorrente sono palesemente infondate anche laddove nega che, con la richiesta dell’indennità di occupazione svolta nel ricorso ex art. 98 legge fall., abbia introdotto una domanda nuova.

Questa Corte (Cass. n. 6279/2022; conf. 26225/2017) ha più volte affermato che “sono inammissibili domande dell’opponente nuove rispetto a quelle spiegate nella precedente fase, non applicandosi il principio, proprio del giudizio di primo grado, secondo cui entro il primo termine di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c., è consentita la “mutatio” di uno o entrambi gli elementi oggettivi della domanda, petitum e causa petendi, sempre che essa, così modificata, risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio; il procedimento di opposizione allo stato passivo ha infatti natura impugnatoria, è disciplinato specificamente dall’art. 99 l. fall. e si coordina necessariamente con quanto previsto dall’art. 101 l. fall., non consentendo perciò l’applicazione, neppure analogica, dei principi espressi in tema di opposizione a decreto ingiuntivo”.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

Conclusione
Così deciso in Roma il 13 febbraio 2024.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2024.


Notifiche atti fiscali: cosa cambia con le notifiche digitali?

A partire dal 30 aprile 2024, è stata introdotta una nuova modalità di notifica per gli atti fiscali tramite i domicili digitali. La notifica dell’accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate potrà avvenire presso il domicilio digitale.
Con l’introduzione delle nuove regole riguardanti le notifiche digitali, ogni atto, provvedimento, avviso o comunicazione da parte dell’Agenzia delle Entrate potrà essere inviato ai cittadini attraverso la posta elettronica certificata (PEC) direttamente agli indirizzi digitali registrati. Questo cambio procedurale è stato reso possibile grazie all’aggiunta dell’articolo 60-ter al Dpr 600/1973, che prevede una specifica regolamentazione per le comunicazioni al domicilio digitale, già precedentemente previste nel 7° comma dell’art. 60 emendato nella parte in questione e riformulato con l’introduzione dell’art. 60-ter.
Come vengono inviate le notifiche digitali dall’Agenzia delle Entrate?
Le notifiche, comprese quelle che per legge richiedono una notifica formale, potranno essere inviate direttamente dall’ufficio delle imposte competente tramite PEC. Gli indirizzi utilizzati per queste comunicazioni provengono dagli elenchi Ipa (per le pubbliche amministrazioni), Ini-Pec (per imprese e professionisti) e Inad (per chi non è tenuto ad avere un indirizzo digitale) o è il domicilio speciale comunicato dal cittadino per la notifica di atti relativi ad un determinato procedimento.
Cosa accade se l’indirizzo PEC è saturo o non funzionante?
All’atto del primo tentativo di invio la casella PEC risulta piena o non funzionante, l’ufficio fiscale effettuerà un secondo tentativo dopo almeno sette giorni. Se anche questo secondo tentativo dovesse fallire, le modalità di notifica cambieranno a seconda della categoria del destinatario:
• per le pubbliche amministrazioni, le imprese e i professionisti senza obbligo di indirizzo digitale e per chi ha un domicilio speciale, si procederà con i tradizionali metodi cartacei;
• invece, per imprese e professionisti con obbligo di indirizzo digitale, la notifica verrà effettuata tramite deposito telematico presso l’area riservata di Info Camere Scpa e annunciata sul loro sito internet.
Quando si considera perfezionata la notifica per il mittente e per il destinatario?
Per il mittente, la notifica si considera completata nel momento in cui riceve dal proprio gestore di posta elettronica certificata o di servizio di recapito certificato una ricevuta di accettazione, con attestazione temporale, che conferma l’invio del messaggio.
Per il destinatario, invece, la notifica è considerata perfezionata alla data in cui viene effettivamente consegnata, come attestato dalla ricevuta inviata dal gestore della PEC o del servizio di recapito elettronico certificato al mittente.
Come si perfeziona la notifica in caso di casella PEC satura?
Quando la casella di posta elettronica certificata (PEC) del destinatario è piena e non può ricevere nuovi messaggi, la notifica si considera legalmente perfezionata il quindicesimo giorno dopo la pubblicazione di un avviso sul sito web di InfoCamere Scpa.
Questo meccanismo assicura che il destinatario abbia un periodo definito entro cui prendere atto della notifica, anche in assenza di ricezione diretta.
Le cartelle di pagamento possono essere notificate digitalmente?
Sì, anche le cartelle di pagamento possono essere notificate in modo digitale seguendo le stesse procedure previste per le altre comunicazioni fiscali, in quanto l’art. 26 DPR 602/1973 recepisce le modalità di notificazione introdotte con l’adozione dell’art. 60-ter DPR 600/1973. Questo amplia l’ambito di applicazione delle notifiche digitali, includendo anche gli atti relativi alla riscossione dei tributi.
Quali comunicazioni possono essere inviate digitalmente?
Gli atti e le comunicazioni dell’agente della riscossione che non richiedono per legge una notifica formale potranno essere comunicati ai destinatari utilizzando le nuove modalità digitali previste dall’articolo 60-ter del Dpr 600/1973. Questo include una vasta gamma di comunicazioni che precedentemente potevano richiedere l’invio cartaceo.
Quali sono i vantaggi delle notifiche digitali?
Le notifiche digitali sono viste positivamente, soprattutto perché possono ridurre i problemi frequentemente associati alle notifiche cartacee, come ritardi e smarrimenti. La digitalizzazione delle comunicazioni promette quindi maggiore efficienza e affidabilità.
È prevista l’introduzione della firma digitale per i verbali di verifica?
Sarà introdotta la possibilità di apporre la firma digitale sui verbali redatti a seguito di controlli fiscali. Questa opzione sarà disponibile non appena l’Agenzia delle Entrate pubblicherà un provvedimento specifico. I verificatori potranno firmare digitalmente i verbali, anche se il contribuente li ha già firmati in forma cartacea, attestando così la conformità della versione digitale con quella cartacea.


Omessa sottoscrizione digitale dell’atto redatto in originale informatico

Le Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione nella sentenza n. 6477 del 12 marzo 2024 si sono pronunciate in merito alle conseguenze derivanti dalla mancata sottoscrizione digitale da parte del difensore del ricorso redatto in originale informatico (c.d. nativo digitale).

L’Agenzia delle Entrate impugnava avanti alla Corte Suprema di Cassazione la sentenza della Commissione Tributaria Regionale (C.T.R.) del Lazio, sezione staccata di Latina, che, in riforma della decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Frosinone, aveva accolto l’appello della Alfa s.r.l. e annullava, di conseguenza, l’avviso di accertamento emesso nei confronti di detta società.

La società Alfa resisteva con controricorso, eccependo preliminarmente l’inammissibilità per “inesistenza” del ricorso, redatto in originale informatico, in quanto privo di sottoscrizione digitale del difensore.

La Sezione Tributaria con ordinanza interlocutoria, reputando sussistente una questione di massima di particolare importanza in ordine al vizio ravvisabile nel ricorso per cassazione nativo digitale privo della firma digitale del difensore (nella specie, dell’avvocato dello Stato) trasmetteva gli atti al Primo Presidente ai sensi dell’art. 374 c.p.c., il quale ha assegnato la causa a queste Sezioni Unite, che dichiarano ammissibile l’impugnazione sulla base delle seguenti motivazioni:

a) i rilievi della Alfa s.r.l., si concentrano sull’assenza di firma digitale sull’originale del documento informatico, contestandosi, altresì, che l’apposta asseverazione ex art. 9 della legge n. 53/1994 sulla copia in formato analogico possa assolvere allo scopo di riferire l’atto al suo autore e cioè all’Avvocato dello Stato Tizio, anche perché in essa è attestato “un fatto non vero: ovverosia il fatto che il ricorso fosse stato sottoscritto digitalmente”;

b) invero, pur essendo pacifica la circostanza della mancanza di sottoscrizione del ricorso nativo digitale notificato via p.e.c., non è, anzitutto, in discussione (neppure da parte della società controricorrente) la riferibilità del ricorso stesso alla difesa erariale dell’Avvocatura generale dello Stato in quanto tale, essendo ciò comprovato, comunque, dalla relativa notificazione eseguita dall’indirizzo p.e.c. censito nei pubblici registri e riferibile alla medesima Avvocatura;

c) l’asseverazione contestata, nonostante attesti, in contrasto con la realtà fenomenica, che l’originale informatico dell’atto sia “sottoscritto con firma digitale dall’Avvocato dello stato Avv. Tizio”, risulta comunque chiaramente riferita al ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la Alfa s.r.l. e agli allegati messaggi di p.e.c. relativi alla notificazione del ricorso medesimo in data 27 gennaio 2020;

d) detta asseverazione esprime la paternità certa dell’atto, proveniente dall’Avvocatura generale dello Stato, in capo allo stesso avvocato dello Stato Tizio, operando in termini che, nello specifico contesto dato, possono ben essere assimilati alla certificazione dell’autografia della sottoscrizione della procura alle liti, palesando anzi, in maniera anche più evidente di quest’ultima (che si riferisce indirettamente all’atto cui accede), il nesso tra l’atto e il suo autore;

e) pertanto, nella peculiarità della delineata situazione processuale ‘ibrida’ e in continuità con l’indirizzo, ribadito anche da Cass., S.U., n. 22438/2018, per cui è possibile desumere aliunde, da elementi qualificanti, la paternità certa dell’atto processuale, va ritenuto che la notificazione del ricorso nativo digitale dalla casella p.e.c. dell’Avvocatura generale dello Stato censita nel REGINDE e il deposito della copia di esso in modalità analogica con attestazione di conformità sottoscritta dall’avvocato dello Stato, rappresentano elementi univoci da cui desumere la paternità dell’atto, rimanendo così superato l’eccepito vizio in ordine alla mancata sottoscrizione digitale dell’originale informatico del ricorso.


Buona Pasqua !!!


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 14/02/2024) 15/03/2024, n. 7086

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere – Rel.

Dott. HMELIAK Tania – Consigliere

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso n. 4824/2016 proposto da:

Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12.

– ricorrente –

contro

A.A.;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA, n. 7801, depositata il 25 agosto 2015, non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 febbraio 2024 dal Consigliere Lunella Caradonna;

Svolgimento del processo
1. La Commissione tributaria provinciale di Salerno, con sentenza n. 2 del 17 maggio 2012 , aveva rigettato i riuniti ricorsi proposti da A.A. per l’annullamento di cinque avvisi di accertamento, con i quali, per gli anni 2007 e 2008, l’Agenzia delle Entrate, aveva rilevato costi non deducibili relativi in parte a mancata documentazione per euro 501.379,00 ed in parte ad utilizzazione di fatture soggettivamente false per euro 322.470,00, sulla base delle risultanze del P.V.C. redatto dalla Guardia di Finanza e sul presupposto che il ricorrente, aveva costituito, in data 2 gennaio 2008, una ditta individuale esercente l’attività di commercio all’ingrosso di autovetture ed autoveicoli leggeri, poi cessata il 31 dicembre 2008, che era servita esclusivamente per ricettare n. 27 auto di grossa cilindrata.

2. La Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello proposto da A.A., evidenziando, in via preliminare, l’incomprensibile asserzione “vennero forzatamente perfezionate nel libro giornale le discrasie rilevate dalle scritture contabili IVA e addirittura i pagamenti fatti e ricevuti”, in quanto il libro giornale tenuto in contabilità ordinaria assumeva in sé i registri IVA acquisti e vendite e le annotazioni di pagamenti fatti e ricevuti e affermando che dalla documentazione esibita dal contribuente (dichiarazione redditi, libro giornale, registri IVA acquisti e vendite, dichiarazioni IVA, dichiarazione redditi, libro giornale della soc. Auto HAURC -BURC venditrice delle autovetture), si deduceva l’acquisto e la vendita certa delle autovetture, la dichiarazione ai fini IVA ed II.DD. del reddito come emergente dalle scritture contabili, con la conseguenza che non si ravvisava alcuna omissione ed alcuna evasione; che, quanto al processo penale in corso in Germania, il A.A. ne aveva comunicato la definizione favorevole, ma non ne aveva prodotto prova e, tuttavia, l’Ufficio non aveva obiettato nulla nelle controdeduzioni.

3. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazioneDct6puba’ifficione affidato a tre motivi.

4. A.A. non ha svolto difese.

5. Con ordinanza interlocutoria n. 5563 del 22 febbraio 2023, questa Corte ha rinviato a nuovo ruolo, ordinando la notifica del ricorso per cassazione all’Agenzia delle Entrate nei confronti di A.A., personalmente, nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza.

6. Con successiva ordinanza interlocutoria n. 20582 del 2023, questa Corte, sulla richiesta di rinvio formulata dall’Ufficio in data 27 marzo 2023, ha nuovamente rinviato a nuovo ruolo, disponendo il deposito dell’avviso di ricevimento della notifica del ricorso per cassazione, con termine di giorni sessanta decorrenti dalla comunicazione dell’ordinanza.

7. L’Agenzia delle Entrate ha depositato, in data 13 settembre 2023, con modalità informatiche, un’istanza, con la quale ha chiesto di disporre un nuovo termine per procedere al rinnovo della notifica del ricorso per cassazione, rappresentando che l’Ufficio UNEP presso la Corte di appello di Roma, con certificazione del 13 settembre 2023, allegata, aveva attestato l’indisponibilità dell’atto da parte dell’Autorità tedesca.

Motivi della decisione
1. Il primo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 19 e dell’art. 54, comma 2, del d.P.R. n. 633/1972, nonché dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 7 della legge n. 212/2000, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. La Commissione tributaria regionale aveva ignorato il consolidato insegnamento giurisprudenziale secondo cui, in conformità con i comuni canoni probatori stabiliti dall’art. 2697 cod. civ., competeva al contribuente, che avesse effettuato una detrazione di imposta, l’onere di dimostrare la sussistenza del diritto esercitato; tale prova non poteva consistere nella semplice esistenza di fatture formalmente regolari, allorquando l’Ufficio adduceva elementi che contrastavano con l’apparenza documentale; in questo caso, infatti, il contribuente che invocava il diritto alla detrazione doveva fornire ulteriori e più congrui elementi che dimostravano la veridicità (ideologica e/o materiale) della fattura e dei dati in essa esposti, e perciò, con specifico riguardo al caso di specie, della effettiva esistenza e della effettiva operatività dell’apparente venditore della merce; contrariamente a quanto la Commissione tributaria regionale mostrava di ritenere, la fattura, come gli altri registri contabili e le dichiarazioni IVA non costituivano documentazione dotata di fede privilegiata, ma un semplice documento commerciale avente la natura ed il valore probatorio di una scrittura privata; in guisa che, nel caso in cui ne era contestata la veridicità, non spettava a chi la contestava l’onere di dimostrare “con certezza” la falsità, ma spettava piuttosto a chi la utilizzava l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza dei fatti con essa rappresentati.

2. Il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del d.P.R. n. 633/1972 e dell’art. 2697 cod. civ., nonché dell’art. 54 cod. proc. pen., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. La sentenza della Commissione tributaria regionale aveva accolto l’appello del contribuente sulla base della mera circostanza dell’intervenuta sentenza di assoluzione penale, peraltro indimostrata seppure non contestata dall’ufficio, che avrebbe esaminato i medesimi fatti oggetto del processo tributario, richiamandone genericamente l’esito; il giudicato penale non aveva alcuna efficacia vincolante nel processo tributario potendo i fatti in esso accertati costituire meri indizi, che il giudice tributario era comunque tenuto a vagliare in maniera dettagliata, attese le evidenti differenze processuali e sostanziali di imputazione e di acquisizione e valutazione delle prove.

3. Il terzo motivo deduce l’omesso esame di un fatto decisivo della controversia in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc.

civ.. Punto decisivo della controversia era il disconoscimento nell’anno d’imposta 2008 anche di costi non sorretti da documentazione idonea a comprovarne l’effettività e l’inerenza, oltre l’insussistenza di un giudicato penale sulla parte della sentenza penale favorevole alla parte contribuente; la sentenza, sul punto, non aveva sufficientemente riscontrato le specifiche deduzioni dell’ufficio appellato. L’Amministrazione finanziaria aveva specificatamente dedotto, a pag. 4 dell’atto di costituzione in appello, che l’avviso di accertamento aveva ad oggetto il disconoscimento anche di alcuni costi in quanto non sorretto da alcuna documentazione giustificativa e su cui il contribuente non aveva presentato alcuna opposizione, oltre al fatto che la sentenza penale nella parte favorevole al contribuente era stata oggetto di appello incidentale e, dunque, il giudizio penale, benché conclusosi in senso favorevole per la parte privata, non aveva acquisito alcun valore di giudicato.

4. È preliminare all’esame delle censure la verifica della regolarità dell’instaurazione del contraddittorio nel giudizio di cassazione e, dunque, della validità della notificazione del ricorso introduttivo.

4.1 Nel caso in esame, come emerge dagli atti, la notifica nei confronti di A.A., è stata eseguita al domicilio eletto presso lo studio del dott. B.B. in La (PZ), via Da, n. (omissis) (come risulta dalla intestazione della sentenza impugnata), mediante servizio postale, consegnata dall’Avvocatura dello Stato il 19 febbraio 2016 e che, in assenza del destinatario, è stato lasciato avviso il 23 febbraio 2016, con l’emissione di Cad (omissis); nel fascicolo, poi, non è stato rinvenuto l’avviso di ricevimento della raccomandata contenente la comunicazione di avvenuto deposito.

4.2 Ciò posto, deve osservarsi che le Sezioni Unite di questa Corte si sono pronunciate, con riguardo ad un’analoga fattispecie che, pur concernendo la notifica di un atto impositivo, ha espresso un principio

applicabile alla notificazione di qualsivoglia atto processuale tramite il servizio postale: “Qualora l’atto notificando non venga consegnato al destinatario per rifiuto a riceverlo ovvero per sua temporanea assenza ovvero per assenza o inidoneità di altre persone a riceverlo, la prova del perfezionamento del procedimento notificatorio può essere data dal notificante – in base ad un’interpretazione costituzionalmente orientata (artt. 24 e 111, comma 2, Cost.) dell’art. 8 della l. n. 890 del 1982 – esclusivamente attraverso la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento della raccomandata contenente la comunicazione di avvenuto deposito (cd. C.A.D.), non essendo a tal fine sufficiente la prova dell’avvenuta spedizione della suddetta raccomandata informativa” (Cass., Sez. U., 15 aprile 2021, n. 10012).

4.3 In ordine alla necessità che la prova del perfezionamento del procedimento notificatorio de quo sia data esclusivamente attraverso la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento della raccomandata contenente l’avviso di avvenuto deposito, deve ricordarsi quanto questa Corte ha già avuto modo di precisare sulle conseguenze di tale mancata produzione nel giudizio di legittimità, nelle ipotesi in cui la notifica al destinatario relativamente irreperibile riguardi il ricorso per cassazione: “La produzione dell’avviso di ricevimento del piego raccomandato contenente la copia del ricorso per cassazione spedita per la notificazione a mezzo del servizio postale ai sensi dell’art. 149 cod. proc. civ., o della raccomandata con la quale l’ufficiale giudiziario dà notizia al destinatario dell’avvenuto compimento delle formalità di cui all’art. 140 cod. proc. civ., è richiesta dalla legge esclusivamente in funzione della prova dell’avvenuto perfezionamento del procedimento notificatorio e, dunque, dell’avvenuta instaurazione del contraddittorio. Ne consegue che l’avviso non allegato al ricorso e non depositato successivamente può essere prodotto fino all’udienza di discussione di cui all’art. 379 cod. proc. civ., ma prima che abbia inizio la relazione prevista dal primo comma della citata disposizione, ovvero fino all’adunanza della corte in camera di consiglio di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ., anche se non notificato mediante elenco alle altre parti ai sensi dell’art. 372, secondo comma, cod. proc. civ.. In caso, però, di mancata produzione dell’avviso di ricevimento, ed in assenza di attività difensiva da parte dell’intimato, il ricorso per cassazione è inammissibile, non essendo consentita la concessione di un termine per il deposito e non ricorrendo i presupposti per la rinnovazione della notificazione ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ.” (Cass., Sez. U, 14 gennaio 2008, n. 627, Cass., 12 luglio 2018, n. 18361; Cass., 28 marzo 2019, n. 8641).

5. In conclusione, la riscontrata omissione nel deposito dell’avviso di ricevimento della “raccomandata CAD”, comporta l’inammissibilità del ricorso.

5.1 Nessuna statuizione va assunta sulle spese, poiché l’intimato non ha svolto difese.

5.2 Non vi è luogo a pronuncia sul raddoppio del contributo unificato, perché il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa (ovvero nel dichiararla inammissibile o improcedibile), disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del comma 1 bis del medesimo art. 13, non può aver luogo nei confronti delle Amministrazioni dello Stato, istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass., 14 marzo 2014, n. 5955).

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Conclusione
Così deciso in Roma, in data 14 febbraio 2024.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2024.


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 25/01/2024) 14/03/2024, n. 6853

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente rel.

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere

Dott. DE ROSA Maria Luisa – Consigliere

Dott. LENOCI Valentino – Consigliere

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12 in Roma è domiciliata;

– ricorrente –

Contro

A.A. (cf: omissis);

– intimato –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, n. 6665/8/2021 depositata il 16 luglio 2021, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25 gennaio 2024 dal presidente relatore Lucio Napolitano.

Svolgimento del processo
L’Agenzia notificava al contribuente avviso di accertamento in data 3 maggio 2013. La raccomandata era inviata alla via G senza numero, in R. Stante l’assenza del destinatario, l’agente dava notizia del tentativo e del deposito con apposita raccomandata del 6 maggio 2013. Anche la suddetta raccomandata era inviata all’indirizzo ma sempre nell’assenza del destinatario, per cui ne veniva lasciato avviso nella cassetta, del che veniva dato atto nella ricevuta poi restituita all’Ufficio.

Il 4 marzo 2014 il contribuente proponeva ricorso avverso il suddetto avviso di accertamento, lamentando anzitutto l’inesistenza della notifica sopra descritta per violazione degli artt. 148 e 149 cod. proc. civ., 3, 6 e 14, L. n. 890/1982 e 42 e 60, D.P.R. n. 600/1973, oltre ad altri vizi procedurali e l’infondatezza nel merito della pretesa. La CTP rilevava la tardività del ricorso e lo dichiarava conseguentemente inammissibile. La CTR, adìta in sede d’appello dal contribuente, accoglieva il gravame, ritenendo che la sentenza Cass. Sez. U. n. 10012/2021, nello stabilire che l’amministrazione aveva l’onere di provare il perfezionamento del procedimento notificatorio, non essendo avvenuta la ricezione da parte del contribuente della raccomandata informativa dell’avvenuto deposito, comportava la nullità della notifica stessa. Sicché la proposizione del ricorso il 4 marzo 2014 aveva avuto effetto sanante, escludendo così la decadenza dell’amministrazione dal proprio potere impositivo (che si sarebbe invece consumato il successivo 31 dicembre 2014), ed era da considerarsi per l’effetto tempestiva.

Ricorre l’Agenzia per cassazione affidandosi a due motivi, mentre il contribuente è rimasto intimato, nonostante la regolarità della notifica eseguita a mezzo PEC in data 15 febbraio 2022.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21, D.Lgs. n. 546/1992 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.

Secondo l’Agenzia la CTR avrebbe errato nel ritenere che in assenza della prova della ricezione della raccomandata contenente l’avviso di deposito la notifica sarebbe nulla, determinandosi così la rimessione in termini del contribuente per la proposizione dell’impugnazione avverso l’atto impositivo.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 149 cod. proc. civ., 60 del D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 8 della L. n. 890 del 20.11.1982, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 4, cod. proc. civ., lamentando che la sentenza impugnata non avrebbe fatto corretta applicazione nel caso di specie dei principi pur richiamati affermati dalla succitata sentenza Cass. SU, n. 10012/2021, nella parte in cui ha ritenuto invalidamente eseguita la notifica dell’avviso di accertamento sebbene l’Amministrazione avesse prodotto l’avviso di ricevimento della raccomandata informativa seguita alla prima raccomandata, con la quale era stata spedito l’atto impositivo per la notifica, pur in presenza dell’immissione dell’avviso nella cassetta del destinatario, nuovamente temporaneamente assente dal proprio domicilio, da esso risultando che il destinatario non avesse provveduto a curarne il ritiro nei dieci giorni successivi.

3. Va esaminato in ordine logico dapprima il secondo motivo, che è fondato.

La CTR della Sicilia, con la pronuncia in questa sede impugnata, non risulta avere fatto corretta applicazione nella fattispecie in esame dei principi posti dalla summenzionata sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte.

Se è senz’altro vero che, in termini generali, essa abbia affermato che la produzione dell’avviso di ricevimento della CAD costituisce l’indefettibile prova di un presupposto implicito dell’effetto di perfezionamento della procedura notificatoria secondo le citate previsioni dell’art. 8, quarto e secondo comma, legge 890/982, che, qualora ritenuta giudizialmente raggiunta, trasforma tale effetto da “provvisorio” a”definitivo”, nella fattispecie in esame – in cui è incontroverso in fatto, dandone atto la sentenza impugnata, che l’Agenzia delle entrate ha prodotto, nel giudizio di merito, tanto la raccomandata originaria, quanto quella con cui era stata data notizia dell’avvenuto deposito (c.d. CAD), in cui era annotata l’assenza del destinatario (anche in tal caso) e l’avvenuta immissione in cassetta dell’avviso, senza che il destinatario, nuovamente temporaneamente assente, ne abbia poi curato il ritiro nei dieci giorni successivi dalla comunicazione di avvenuto deposito del 6 maggio 2013 – la notifica deve ritenersi validamente perfezionata al compimento di questi ultimi, in data 16 maggio 2013.

Questa Corte (cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 2022, n. 8895), infatti, ha chiarito che “(i)n tema di notifica di un atto impositivo a mezzo del servizio postale, allorché dall’avviso di ricevimento prodotto risulti che l’ufficiale postale, assente il destinatario anche al momento della consegna della raccomandata informativa, abbia correttamente provveduto ad immettere l’avviso nella cassetta postale del medesimo e, quindi, a restituire l’atto al mittente, la notifica si perfeziona a seguito del decorso di dieci giorni senza che il predetto destinatario (nonostante l’invio della comunicazione di avvenuto deposito cd. CAD) abbia provveduto al ritiro del piego depositato presso l’ufficio, così determinando la compiuta giacenza; in tali casi, infatti, avendo la notifica raggiunto il suo scopo, in quanto la raccomandata informativa è pervenuta presso la sfera di conoscenza del destinatario che l’ha ricevuta presso il proprio indirizzo ed è risultato nuovamente assente, scegliendo di omettere il ritiro di tale plico presso l’ufficio postale, opera la presunzione di cui all’art. 1335 c.c.”.

La lettura fatta propria dalla CTR, per nulla autorizzata dalla sentenza n. 10012/2021 delle Sezioni Unite di questa Corte, finisce per rendere l’assenza del destinatario arbitra di un numero indefinito di avvisi, contro ogni logica e in aperta violazione dei principi espressi dalla pronuncia medesima.

4. All’accoglimento del secondo motivo consegue che risulta ugualmente fondato il primo, col quale la ricorrente censura la ritenuta ammissibilità, da parte della CTR, del ricorso proposto dal contribuente in primo grado solo in data 4 marzo 2014, quindi ben oltre il termine perentorio di cui all’art. 21 del D.Lgs. n. 546/1992 dalla notifica dell’atto impositivo, che è da fissare, come nel paragrafo precedente chiarito in virtù delle osservazioni ivi svolte, alla data del 16 maggio 2013.

5. Ne consegue pertanto l’accoglimento del ricorso, con cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 382, terzo comma, cod. proc. civ., in quanto la causa non poteva essere proposta, restando quindi precluso al giudice tributario adito l’esame dei motivi di ricorso del contribuente nel merito della contestazione dell’accertamento basato su studi di settore.

6. Possono, in ragione del loro alterno esito, compensarsi tra le parti le spese dei gradi di merito del giudizio, ponendosi a carico dell’intimato, secondo soccombenza, le spese del giudizio di legittimità nella misura liquidata come in dispositivo.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata.

Condanna l’intimato al pagamento in favore della ricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3500,00 oltre spese prenotate a debito, compensate quelle relative ai gradi di merito.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 25 gennaio 2024.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2024.


Cass. civ., Sez. Unite, Sent., (data ud. 16/01/2024) 12/03/2024, n. 6477

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente Aggiunto

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente di Sezione

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. MARULLI Marco – Consigliere

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere-Rel.

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 5062/2020 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

Unicar Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via XX Settembre 1, presso lo studio dell’avvocato Paolo Vitali, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3852/2019 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio – Sezione Staccata di Latina, depositata il 25/06/2019.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/01/2024 dal Consigliere Enzo Vincenti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Roberto Mucci, che ha concluso per l’ammissibilità del ricorso, con restituzione alla Sezione Tributaria, e, in subordine, per l’accoglimento;

uditi l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis e l’avvocato Paolo Vitali.

Svolgimento del processo
1. – Con ricorso affidato a due motivi, l’Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza della Commissione Tributaria Regionale (C.T.R.) del Lazio, sezione staccata di Latina, resa pubblica in data 25 giugno 2019, che, in riforma della decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Frosinone del 7 novembre 2017, accoglieva l’appello della Unicar Srl e annullava, di conseguenza, l’avviso di accertamento emesso nei confronti di detta società con il quale, per l’anno di imposta 2013, era contestata la detrazione di I.V.A. per l’acquisto di n. 12 autovetture usate, giacché attinente ad operazioni soggettivamente inesistenti in ragione dell’interposizione fittizia della società “cartiera” Blue Eagle di A.A. M. & C. Sas

2. – La C.T.R. del Lazio, con la sentenza impugnata in questa sede, accoglieva l’appello del contribuente reputando che il comportamento da esso tenuto non dimostrasse “la sua consapevolezza nella partecipazione ad un meccanismo di frode”, non essendo egli “nella possibilità di sapere o di dover sapere” e ciò in forza di una pluralità di elementi, ossia: l’acquisto di veicoli che, al momento della consegna, sono soggetti a registrazione; il mancato coinvolgimento (desumibile dalle “intercettazioni telefoniche”) del legale rappresentante della Unicar Srl “nel meccanismo criminoso”; il numero esiguo di autoveicoli acquistati, “pari ad una irrisoria percentuale del totale”; l’incidenza sull’acquisto “ad un prezzo inferiore” delle “politiche aziendali, che mirano ad ottenere un maggior profitto”.

2. – L’Agenzia delle Entrate, con il primo motivo di ricorso, ha denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., nonché degli artt. 19 e 21 del D.P.R. n. 633/1972, per aver la C.T.R. utilizzato a sostegno della decisione argomentazioni “fuorvianti e ultronee”, nonché prove “inesistenti, inconsistenti, ininfluenti, non allegate dalle parti”, così da invertire lo stesso onere probatorio incombente su di esse, gravando sul contribuente la dimostrazione della propria buona fede, una volta provata dall’amministrazione (come nella specie) “la natura di cartiera della società a monte” dell’operazione in frode.

Con il secondo motivo è, quindi, censurata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 19 e 21, comma settimo, del D.P.R. n. 633/1972, per aver la C.T.R. infranto i principi dettati dalla giurisprudenza eurounitaria e nazionale sull’onere di “diligenza esigibile da un operatore accorto”, in assenza di dimostrazione, da parte della Unicar Srl, impresa con “esperienza pluriennale maturata nel settore del commercio degli autoveicoli”, di essersi comportata, nella vicenda, in conformità a detto parametro.

3. – Ha resistito con controricorso l’intimata Unicar Srl, la quale, oltre ad argomentare sull’infondatezza dell’impugnazione, ne ha eccepito preliminarmente l’inammissibilità per “inesistenza” del ricorso, redatto in originale informatico, in quanto privo di sottoscrizione digitale del difensore.

4. – La trattazione del ricorso è stata rimessa alla pubblica udienza della Sezione Tributaria con ordinanza interlocutoria n. 13879 del 2022 adottata, ai sensi del terzo comma dell’art. 380-bis c.p.c. (ratione temporis vigente), dalla Sezione Sesta Tributaria, dinanzi alla quale la controricorrente aveva depositato memoria, insistendo nell’anzidetta eccezione preliminare.

5. – All’esito dell’udienza pubblica, preceduta dal deposito delle conclusioni scritte del pubblico ministero (nel senso dell’accoglimento del ricorso) e delle memorie di entrambe le parti, la Sezione Tributaria, con ordinanza interlocutoria n. 16454 del 2023, reputando sussistente una questione di massima di particolare importanza in ordine al vizio ravvisabile nel ricorso per cassazione nativo digitale privo della firma digitale del difensore (nella specie, dell’avvocato dello Stato il cui nominativo è indicato in calce al ricorso stesso), ha trasmesso gli atti al Primo Presidente ai sensi dell’art. 374 c.p.c., il quale ha assegnato la causa a queste Sezioni Unite.

6. – La Unicar Srl ha depositato ulteriore memoria ex art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione
1. – Queste Sezioni Unite, su sollecitazione della Sezione Tributaria, sono chiamate a pronunciarsi sulla questione di diritto, di massima di particolare importanza, che attiene ad un requisito di forma del ricorso per cassazione redatto in originale informatico, ossia, se mancando la sottoscrizione con firma digitale del difensore (come nel caso in esame, quale circostanza incontestata dalla stessa difesa erariale dell’Agenzia delle Entrate), un tale vizio sia da ricondursi alla categoria dell’inesistenza, in applicazione del principio generale desumibile dall’art. 161, secondo comma, c.p.c., ovvero a quella della nullità suscettibile di sanatoria per raggiungimento dello scopo, ai sensi dell’art. 156, terzo comma, c.p.c.

2. – La Sezione rimettente evidenzia che, nel caso, trova rilievo “un possibile deficit strutturale dell’atto processuale”, richiedendo l’art. 365 c.p.c. (in coerenza con la regola generale posta dall’art. 125 c.p.c.) che il ricorso per cassazione sia “sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un avvocato iscritto in apposito albo”, là dove la causa dell’inammissibilità – come ritenuto, segnatamente, da Cass. n. 18623/2016 – “non può essere trattata come una causa di nullità cui applicare il criterio del raggiungimento dello scopo”.

L’ordinanza interlocutoria, richiamando la decisione di questa Corte evocata dalla controricorrente (Cass. n. 3379/2019), espressione di un orientamento consolidato in relazione a ricorso redatto in modalità analogica (tra le altre: Cass. n. 4078/1986; Cass. n. 2691/1994; Cass. n. 6111/1999; Cass. n. 4116/2001; Cass., S.U., n. 11632/2003; Cass. n. 1275/2011), cui si oppone soltanto una pronuncia “assolutamente isolata” (Cass. n. 9490/2007), ricorda che il difetto di sottoscrizione degli atti da parte del difensore (o della parte abilitata a stare in giudizio personalmente) è riconducibile alla categoria dell’inesistenza, in applicazione del “principio generale circa la sorte della sentenza priva di sottoscrizione del giudice, ex art. 161, comma 2, c.p.c.”, essendo la sottoscrizione “elemento indispensabile per la formazione” dell’atto processuale.

Quanto, poi, al caso di specie, di ricorso nativo digitale privo di sottoscrizione digitale, la giurisprudenza di questa Corte in medias res – dal Collegio rimettente richiamata – si concentra in due (sole) pronunce: Cass. n. 14338/2017 e Cass., S.U., n. 22438/2018.

Secondo Cass. n. 14338/2017, che “si muove senz’altro nell’egida dell’orientamento tradizionale”, la mancanza della firma digitale comporta la nullità del ricorso, essendo la stessa equiparata dal D.Lgs. n. 82/2005 alla sottoscrizione autografa, la quale, ai sensi dell’art. 125 c.p.c., costituisce “requisito dell’atto introduttivo (anche del processo di impugnazione) in formato analogico”.

Con Cass., S.U., n. 22438/2018 si e affermato (sebbene – come riconosce l’ordinanza n. 16454/2023 – quale “snodo logico-giuridico” dell’approdo nomofilattico ex art. 363 c.p.c. sulla questione, diversa, della improcedibilità del ricorso ex art. 369 c.p.c.) il principio secondo cui il ricorso predisposto in originale in forma di documento informatico e notificato in via telematica deve essere ritualmente sottoscritto con firma digitale, potendo la mancata sottoscrizione determinare la nullità dell’atto stesso, fatta salva la possibilità di ascriverne comunque la paternità certa, in applicazione del principio del raggiungimento dello scopo.

La Sezione rimettente, pur dando atto della specifica portata nomofilattica di quel principio, anche ai sensi del terzo comma dell’art. 374 c.p.c., ritiene meritevole di approfondimento la questione di diritto alla luce di una serie di argomentate considerazioni.

Anzitutto, l’inserirsi del precedente del 2018 in contesto giurisprudenziale in cui il vizio attinente al requisito della sottoscrizione del ricorso, dettato ai fini dell’ammissibilità dello stesso atto, è ricondotto alla categoria dell’inesistenza e non della nullità.

Ed ancora, l’ordinanza interlocutoria evidenzia che proprio attraverso il richiamo della nullità le citate Sezioni Unite ipotizzano “il ricorso alla sanatoria del vizio, ove sia possibile attribuire la paternità dell’atto”, pur non soffermandosi – per non essere nel caso allora esaminato necessario – ad approfondire se detta paternità “debba pur sempre ricollegarsi ad una sottoscrizione comunque apposta sull’atto, anche se ad altri fini” oppure “una simile indagine possa anche condursi in forza di altri elementi, esterni all’atto processuale”.

La Sezione rimettente sostiene, quindi, che, sebbene “diverse disposizioni normative esprimono il c.d. principio di non discriminazione del documento informatico, rispetto a quello analogico o tradizionale” (artt. 20 e 23, comma 2, del C.A.D.; art. 25, parr. 1 e 2, del Reg. UE n. 910/2014), il documento informatico, alla stregua di una sorta di “discriminazione al contrario”, “non può di per sé supplire al deficit strutturale da cui esso sia eventualmente affetto, rispetto ai requisiti di forma richiesti dalla norma, salvo che detti requisiti siano direttamente evincibili dal suo corredo informativo”.

E nel caso della mancanza della firma digitale – soggiunge l’ordinanza interlocutoria – è ben difficile che la paternità del ricorso possa desumersi aliunde dalle “proprietà” del documento stesso o “dall’utilizzo di una casella PEC inequivocabilmente riferibile all’avvocato che avrebbe apparentemente redatto il ricorso”. In quest’ultima ipotesi, non potrebbe “comunque escludersi un accesso alla medesima casella PEC del mittente da parte di soggetto diverso dal suo titolare”, là dove, poi, “è solo l’utilizzo del dispositivo di firma elettronica qualificata o digitale a determinare la presunzione (relativa) di riconducibilità della stessa al suo titolare, ex art. 20, comma 1-ter, del C.A.D., non anche l’uso della casella PEC del mittente, per quanto ovviamente personale”.

La Sezione Tributaria, infine, assume, con specifico riferimento all’Avvocatura dello Stato, che, sebbene la relativa difesa abbia carattere impersonale, è “imprescindibile”, tuttavia, “che l’atto processuale debba essere comunque riferibile con certezza ad avvocato dello Stato perfettamente identificabile”. Difatti, il patrocinio assunto dall’Avvocatura erariale esclude soltanto la necessità del rilascio della procura speciale ex art. 365 c.p.c., ma non “l’assunzione di paternità circa il contenuto dell’atto, riconducibile evidentemente alla sottoscrizione”, a tal fine non potendosi neppure ricorrere alla firma per autentica di detta procura, per l’appunto non necessaria nel caso in cui la parte sia abilitata ad avvalersi del suo patrocinio.

3. – L’impugnazione proposta dall’Agenzia delle Entrate, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, contro la Unicar Srl per la cassazione della sentenza emessa il 25 giugno 2019 dalla C.T.R. del Lazio, sezione staccata di Latina, è ammissibile.

3.1. – Viene in rilievo un ricorso redatto in forma di documento informatico, privo di firma digitale, e, come tale, notificato a mezzo p.e.c. (dall’indirizzo del mittente: ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it) il 27 gennaio 2020, ma depositato in copia analogica l’11 febbraio 2020 (unitamente alle copie cartacee dei messaggi di p.e.c. e della relata di notificazione) e munito di attestazione di conformità, ex art. 9 della legge n. 53 del 1994, con sottoscrizione autografa dell’Avvocato dello Stato Salvatore Faraci.

Tale, dunque, è la fattispecie processuale che – nell’ottica di necessaria compenetrazione tra l’esercizio dei compiti di nomofilachia e la vicenda portata alla cognizione del giudice – segna il perimetro entro il quale si colloca la decisione di ammissibilità.

3.2. – Nella specie occorre tenere conto, pertanto, del regime precedente a quello che si è venuto a determinare, dapprima, con la facoltatività, dal 31 marzo 2021, del deposito telematico a valore legale degli atti di parte nel giudizio di cassazione (e ciò per effetto del decreto direttoriale DGSIA del 27 gennaio 2021, pubblicato sulla G.U. 28 gennaio 2021, n. 22 ed emanato ai sensi dell’art. 221, comma 5, del D.L. n. 34 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 77 del 2020) e, quindi, a definire con l’obbligatorietà di detto deposito a partire dal 1° gennaio 2023 (in virtù dell’art. 196-quater disp. att. cod. proc. civ., introdotto dall’art. 4 del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149).

Il contesto è, dunque, quello in cui, non potendosi procedere in cassazione al deposito telematico del ricorso nativo digitale come tale notificato, era affidato alla parte l’onere di attestare, ai sensi dell’art. 9, commi 1-bis e 1-ter, della legge n. 53 del 1994 (e successive modificazioni), la conformità al predetto atto processuale originale della copia analogica depositata.

Ed è in siffatto contesto che la sentenza n. 22438 del 2018 di queste Sezioni Unite ha avuto modo di affermare – nello sviluppo dell’iter argomentativo avente ad oggetto, segnatamente, la questione di procedibilità ex art. 369, primo comma, c.p.c. di ricorso nativo digitale notificato a mezzo p.e.c. e depositato in copia analogica priva di asseverazione ai sensi del citato art. 9 della legge n. 53/1994 – che la mancanza di sottoscrizione digitale del ricorso nativo digitale notificato (ossia, del documento informatico originale) costituisce un “vizio che potrebbe determinare la nullità dell’atto, se non fosse possibile aliunde ascriverne la paternità certa, in ragione del principio del raggiungimento dello scopo”.

3.3. – A tal riguardo varrà rammentare che la giurisprudenza di questa Corte (tra cui quella stessa indicata dall’ordinanza interlocutoria n. 16454/2023) assegna all’elemento formale della sottoscrizione la funzione di nesso tra il testo ed il suo apparente autore, affinché possa dirsi certa la paternità dell’atto processuale.

A tal fine, dunque, la sottoscrizione si rivela elemento indispensabile per la formazione dell’atto stesso, il cui difetto ne comporta (come, per l’appunto, sovente affermato) l’inesistenza (in forza dell’estensione del principio della nullità insanabile stabilito dal secondo comma dell’art. 161 c.p.c.), qualora, però, non ne sia desumibile la paternità da altri elementi, come, in particolare, la sottoscrizione per autentica della firma della procura in calce o a margine dello stesso (tra le altre: Cass. n. 4078/1986; Cass. n. 6225/2005; Cass. n. 9490/2007; Cass. n. 1275/2011; Cass. n. 19434/2019; Cass. n. 32176/2022).

La funzione di rendere certa la paternità dell’atto processuale può, quindi, essere assolta tramite elementi, qualificanti, diversi dalla sottoscrizione dell’atto stesso, che consentano, tuttavia, di avere certezza su chi ne sia l’autore; uno scopo, dunque, che, in siffatti stretti termini, è conseguibile aliunde.

3.3.1. – Un orientamento, questo, che la citata Cass., S.U., n. 22438/2018, muovendosi nella ricordata realtà ‘ibrida’ del processo civile telematico di legittimità (in cui, come detto, il ricorso, nativo digitale e notificato a mezzo p.e.c., doveva necessariamente essere depositato in formato analogico corredato da attestazione di conformità), ha ribadito alla luce del principio di effettività della tutela giurisdizionale (artt. 24 e 111 Cost.; art. 47 della Carta di Nizza; art. 19 del Trattato sull’Unione europea; art. 6 CEDU) il quale, nella sua essenziale tensione verso una decisione di merito, richiede che eventuali restrizioni del diritto della parte all’accesso ad un tribunale siano ponderate attentamente alla luce dei criteri di ragionevolezza e proporzionalità (così anche: Cass., S.U., n. 25513/2016; Cass., S.U., n. 10648/2017; Cass., S.U., n. 8950/2022; Cass., S.U., n. 28403/2023; Cass., S.U., n. 2075/2024).

Di qui, pertanto, anche la rinnovata vitalità assegnata al principio cardine di “strumentalità delle forme” degli atti del processo, dalla legge prescritte non per la realizzazione di un valore in sé o per il perseguimento di un fine proprio ed autonomo, ma in quanto strumento più idoneo per la realizzazione di un certo risultato, il quale si pone come il traguardo che la norma disciplinante la forma dell’atto intende conseguire (tra le molte: Cass. n. 9772/2016; Cass., S.U., n. 14916/2016; Cass., S.U., n. 10937/2017; Cass. n. 8873/2020; Cass. n. 31085/2022; Cass. n. 14692/2023).

3.4. – L’atto su cui, pertanto, queste Sezioni Unite sono chiamate a pronunciarsi è la copia cartacea del ricorso per cassazione depositata dall’Agenzia delle Entrate e asseverata, unitamente alle copie cartacee dei messaggi di p.e.c., dall’Avvocato dello Stato Salvatore Faraci.

3.4.1. – Nella specie, non è in discussione la conformità della copia al contenuto del ricorso nativo digitale, perché nulla è stato eccepito sul punto dal controricorrente.

I rilievi della Unicar Srl, infatti, si concentrano soltanto sull’assenza di firma digitale sull’originale del documento informatico, contestandosi, altresì, che l’apposta asseverazione ex art. 9 della legge n. 53/1994 sulla copia in formato analogico possa assolvere allo scopo di riferire l’atto al suo autore e cioè all’Avvocato dello Stato Faraci, anche perché in essa è attestato “un fatto non vero: ovverosia il fatto che il ricorso fosse stato sottoscritto digitalmente” (così a p. 9 della memoria depositata per l’udienza del 16 gennaio 2024; ma la contestazione era già presente a p. 3 della memoria depositata per l’udienza del 29 settembre 2022).

3.4.2. – Invero, pur essendo pacifica la circostanza della mancanza di sottoscrizione del ricorso nativo digitale notificato via p.e.c., non è, anzitutto, in discussione (neppure da parte della società controricorrente) la riferibilità del ricorso stesso alla difesa erariale dell’Avvocatura generale dello Stato in quanto tale, essendo ciò comprovato, comunque, dalla relativa notificazione eseguita dall’indirizzo p.e.c. (ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it) censito nei pubblici registri e riferibile alla medesima Avvocatura, alla quale, in forza dell’art. 1, comma primo, del R.D. n. 1611 del 1933, spettano “(l)a rappresentanza, il patrocinio e l’assistenza in giudizio delle Amministrazioni dello Stato, anche se organizzate ad ordinamento autonomo”.

E tanto è consentito ritenere proprio in forza della natura impersonale del relativo patrocinio dalla legge stabilita e che viene a configurare un “unicum” rispetto alla difesa in giudizio di tutti gli altri enti pubblici che si avvalgano di avvocati del libero foro o dei propri uffici legali, essendo in questi casi il mandato difensivo sempre conferito al singolo avvocato in rappresentanza dell’ente.

Di ciò se ne ha ora conferma esplicita in base alle modifiche recentemente apportate al D.M. 44/2011 dal D.M. n. 217/2023 (modifiche entrate in vigore il 14 gennaio 2024), per cui l’Avvocatura dello Stato è espressamente menzionata, anche nelle sue articolazioni distrettuali, all’art. 2, comma 1, lettera m), n. 4, tra i soggetti abilitati esterni pubblici. Pertanto, è l’Avvocatura dello Stato in quanto tale ad essere censita sul registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal Ministero della giustizia (c.d. Reginde: art. 7 del D.M. n. 44/2011), quale difensore abilitato a operare nell’ambito del p.c.t., non i singoli avvocati e procuratori dello Stato e tanto in ragione proprio della ricordata natura impersonale del relativo patrocinio.

Del resto, il carattere impersonale della difesa dell’Avvocatura dello Stato è profilo più volte rimarcato dalla giurisprudenza di questa Corte che, anche in riferimento alla rappresentanza e difesa in giudizio delle Agenzie fiscali, ha affermato che gli avvocati dello Stato sono pienamente fungibili nel compimento di atti processuali relativi ad un medesimo giudizio, per cui l’atto introduttivo di questo è valido anche se la sottoscrizione è apposta da avvocato diverso da quello che materialmente ha redatto l’atto, unica condizione richiesta essendo la spendita della qualità professionale abilitante alla difesa (tra le altre: Cass. n. 4950/2012; Cass. n. 13627/2018). E nella stessa prospettiva si è, altresì, precisato che, nel caso di ricorso proposto per conto di un’amministrazione dello Stato, se non si contesta che la sottoscrizione provenga da un legale dell’Avvocatura generale dello Stato, non rileva neanche se lo stesso si identifichi o meno con il nominativo indicato nell’epigrafe o in calce al ricorso (Cass., S.U., n. 59/1999; Cass. n. 21473/2007).

3.4.3. – Quanto, poi, alla necessità della sottoscrizione del ricorso nativo digitale depositato in modalità analogica da un determinato avvocato dello Stato, una siffatta esigenza è, nella specie, da ritenersi soddisfatta dall’attestazione di conformità sottoscritta dall’avvocato dello Stato Faraci, di cui non è affatto contestata tale qualità.

L’asseverazione datata 29 gennaio 2020, nonostante attesti, in contrasto con la realtà fenomenica, che l’originale informatico dell’atto sia “sottoscritto con firma digitale dall’Avvocato dello stato Avv. Salvatore Faraci”, risulta comunque chiaramente riferita al ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la Unicar Srl e agli allegati messaggi di p.e.c. relativi alla notificazione del ricorso medesimo in data 27 gennaio 2020. E la inequivoca riferibilità dell’attestazione anzidetta al ricorso per cui è causa è circostanza che, invero, non è messa in discussione neppure dalla parte controricorrente, le cui difese, come detto, insistono sul profilo giuridico dell’inesistenza di ricorso nativo digitale privo di sottoscrizione e sulla inidoneità dell’attestazione ex lege n. 53/1994 a supplire a tale carenza.

Contrariamente, dunque, a quanto ritenuto dalla Unicar Srl, detta asseverazione esprime la paternità certa dell’atto, proveniente dall’Avvocatura generale dello Stato, in capo allo stesso avvocato dello Stato Faraci, operando in termini che, nello specifico contesto dato, possono ben essere assimilati alla certificazione dell’autografia della sottoscrizione della procura alle liti, palesando anzi, in maniera anche più evidente di quest’ultima (che si riferisce indirettamente all’atto cui accede), il nesso tra l’atto e il suo autore.

3.5. – Pertanto, nella peculiarità della delineata situazione processuale ‘ibrida’ e in continuità con l’indirizzo, ribadito anche da Cass., S.U., n. 22438/2018 (alla luce del principio di effettività della tutela giurisdizionale, cui si raccorda quello di strumentalità delle forme processuali), per cui è possibile desumere aliunde, da elementi qualificanti, la paternità certa dell’atto processuale, va ritenuto che la notificazione del ricorso nativo digitale dalla casella p.e.c. dell’Avvocatura generale dello Stato censita nel Reginde e il deposito della copia di esso in modalità analogica con attestazione di conformità sottoscritta dall’avvocato dello Stato, rappresentano elementi univoci da cui desumere la paternità dell’atto, rimanendo così superato l’eccepito vizio in ordine alla mancata sottoscrizione digitale dell’originale informatico del ricorso.

4. – Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate va, dunque, dichiarato ammissibile e il relativo esame rimesso alla Sezione Tributaria.

P.Q.M.
dichiara ammissibile il ricorso e ne rimette l’esame alla Sezione Tributaria.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili della Corte Suprema di cassazione, in data 16 gennaio 2024.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2024.


Nulla la notifica della cartella irreperibilità, se le ricerche sono state insufficienti

Poiché, ai sensi dell’art. 60 primo comma lett. e) d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, l’affissione nell’albo municipale dell’avviso del deposito nella casa comunale di un avviso di accertamento I.R.P.E.F. è modalità sostitutiva idonea dell’affissione alla porta dell’abitazione, ufficio o azienda (art. 140 c.p.c.) del destinatario, soltanto se non è possibile reperire effettivamente tali luoghi nel comune ove il contribuente ha il domicilio fiscale, malgrado le ricerche del Messo Comunale; se queste – secondo giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità – sono state insufficienti, la notifica dell’avviso di accertamento, senza il rispetto degli adempimenti prescritti dall’art. 140 c.p.c., non è valida. In questo modo si è espressa la Corte Suprema di Cassazione, Sez. civile con la sentenza n. 5987/2024.

Alla Srl L’A. veniva notificata la cartella esattoriale n. 29 2010 0005718188, riportante le pretese tributarie avanzate mediante quattro avvisi di accertamento ed avente ad oggetto i tributi Irpef ed Iva in relazione all’anno 2004, per un valore complessivo dichiarato pari ad Euro 236.518,70.

La contribuente impugnava l’atto esattivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Agrigento contestando, innanzitutto, la radicale invalidità della cartella di pagamento opposta, perché non preceduta dalla necessaria notificazione degli atti prodromici, gli avvisi di accertamento. La CTP riteneva che la procedura di notificazione degli atti presupposti seguita dall’Agenzia risultasse incompleta, e pertanto accoglieva l’impugnazione della contribuente ed annullava l’atto di riscossione.

L’Agenzia delle Entrate spiegava appello avverso la pronuncia sfavorevole conseguita nel primo grado del giudizio, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sostenendo la regolarità della notificazione degli atti prodromici.

La CTR confermava la decisione adottata dalla CTP.

L’Amministrazione finanziaria ha proposto ricorso per cassazione, avverso la pronuncia ancora sfavorevole conseguita dal giudice del gravame, affidandosi ad un unico, articolato, strumento di impugnazione.

La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha osservato che, in tema di notificazione degli atti impositivi, prima di effettuare la notifica secondo le modalità previste dall’art. 60, comma 1, lett. e), del d.P.R. n. 600 del 1973 in luogo di quella ex art. 140 c.p.c., il Messo Comunale o l’ufficiale giudiziario devono svolgere ricerche volte a verificare l’irreperibilità assoluta del contribuente, ossia che quest’ultimo non abbia più né l’abitazione né l’ufficio o l’azienda nel Comune già sede del proprio domicilio fiscale.

Inoltre, la notificazione di cui all’art. 60 comma primo, lett. e) del d.P.R. n. 600 del 1973 (applicabile anche in tema di I.N.V.I.M., in virtù del combinato disposto di cui agli artt. 20, comma terzo del d.P.R. n. 643 del 1972, e 49, comma terzo del d.P.R. n. 634 del 1972) è ritualmente eseguita solo nella ipotesi in cui, nonostante le ricerche che il Messo Comunale deve svolgere nell’ambito del Comune di domicilio fiscale, in esso non si rinvengano l’effettiva abitazione o l’ufficio o l’azienda del contribuente. La notificazione, in questi casi è ritualmente effettuata mediante deposito dell’atto nella casa comunale ed affissione dell’avviso di deposito nell’albo del Comune senza necessità di comunicazione all’interessato a mezzo di raccomandata con ricevuta di ritorno, né di ulteriori ricerche al di fuori del detto Comune.

Più di recente, si è ribadito che, in tema di notifica degli atti impositivi, la cd. irreperibilità assoluta del destinatario che ne consente il compimento ai sensi dell’art. 60, lett. e), del d.P.R. n. 600 del 1973, presuppone che nel Comune, già sede del domicilio fiscale dello stesso, il contribuente non abbia più abitazione, ufficio o azienda e, quindi, manchino dati ed elementi, oggettivamente idonei, per notificare altrimenti l’atto: peraltro, il tipo di ricerche a tal fine demandato al notificatore non è indicato da alcuna norma, neppure quanto alle espressioni con le quali debba esserne documentato l’esito nella relata, purché dalla stessa se ne evinca con chiarezza l’effettivo compimento.

Infine, poiché ai sensi dell’art. 60 primo comma lett. e) d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 l’affissione nell’albo municipale dell’avviso del deposito nella casa comunale di un avviso di accertamento I.R.P.E.F. è modalità sostitutiva idonea dell’affissione alla porta dell’abitazione, ufficio o azienda (art. 140 c.p.c.) del destinatario, soltanto se non è possibile reperire effettivamente tali luoghi nel comune ove il contribuente ha il domicilio fiscale, malgrado le ricerche del Messo Comunale; se queste – secondo giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità – sono state insufficienti … la notifica dell’avviso di accertamento, senza il rispetto degli adempimenti prescritti dall’art. 140 c.p.c., non è valida.

L’Amministrazione finanziaria non si è confrontata con la decisione adottata dalla CTR, che ha ritenuto indimostrata l’irreperibilità assoluta della società, e, pertanto, illegittima la notificazione degli avvisi di accertamento eseguita ai sensi dell’art. 60, primo comma, lett. e) del Dpr n. 600 del 1973.

L’Ente impositore, proponendo critiche generiche, ha insistito nel ribadire di avere indirizzato un gran numero di raccomandate alla società ed al suo legale rappresentante, e rappresenta che le stesse non sono state ricevute, ma non trascrive quale esito del recapito abbia annotato il notificatore, su ciascuna raccomandata (temporaneamente assente, irreperibile, sconosciuto, trasferito, altro?), contravvenendo all’obbligo di proposizione di censure specifiche nel giudizio di legittimità.

Orientamenti giurisprudenziali

Cass. sez. VI-V, 7.2.2018, n. 2877

Cass. sez. I, 9.6.1997, n. 5100

Cass. sez. I, 13.12.1996, n. 11152


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 22/02/2024) 08/03/2024, n. 6352

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

dott. CRUCITTI Roberta – Presidente

dott. DE ROSA Maria Luisa – Consigliere

dott. MACAGNO Gian Paolo – Consigliere

dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere – Rel.

dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

A.A., rappresentata e difesa, giusta procura speciale stesa a margine del ricorso, dall’Avv. Alfredo Sagliocco del Foro di Santa Maria Capua Vetere (Ce), che ha indicato recapito PEC, avendo la ricorrente dichiarato di eleggere domicilio presso lo studio del difensore, alla via Atellana n. 19 in Aversa (Ce);

– ricorrente –

contro

Equitalia Servizi di Riscossione Spa, incorporante Equitalia Sud Spa, in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Alba Amatucci, in virtù di procura speciale allegata al controricorso, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Simone Stefanelli (Nava & Associati Studio Legale), alla via Antonio Bertoloni n. 55 in Roma;

– controricorrente –

e contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, e domiciliata presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– controricorrente –

avverso

la sentenza n. 2808, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania il 22.2.2016, e pubblicata il 21.3.2016;

ascoltata la relazione svolta dal Consigliere Paolo Di Marzio;

la Corte osserva:

Svolgimento del processo
1. L’Incaricato per l’esazione Equitalia Sud Spa, cui è succeduta Equitalia Servizi di Riscossione Spa, notificava a A.A. l’avviso di intimazione n. (Omissis), conseguente all’avviso di accertamento esecutivo n. (Omissis), con riferimento ai tributi dell’Irpef e dell’Irap in relazione all’anno 2008.

2. La contribuente impugnava l’ingiunzione di pagamento innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Caserta contestando innanzitutto l’invalidità dell’intimazione perché la sua notificazione non era stata preceduta dalla necessaria notificazione del prodromico avviso di accertamento. La CTP riteneva infondate le critiche proposte dalla parte privata, e rigettava il suo ricorso.

3. La contribuente spiegava appello avverso la decisione assunta dai giudici di primo grado, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, rinnovando le proprie censure, e si costituiva in giudizio anche l’Agenzia delle Entrate. Il giudice del gravame rigettava l’impugnazione.

4. Avverso la decisione assunta dal giudice dell’appello ha proposto ricorso per cassazione A.A., affidandosi a sei motivi di ricorso. Il successore di Equitalia Sud Spa, Equitalia Servizi di Riscossione Spa, e l’Agenzia delle Entrate, resistono mediante controricorso. La contribuente ha pure depositato memoria.

Motivi della decisione
1. Con il suo primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la contribuente contesta la violazione dell’art. 8 della legge n. 890 del 1982, per avere la CTR erroneamente ritenuto la validità della notificazione postale del prodromico avviso di accertamento sebbene, risultato assente il destinatario, non sia stata assicurata la prova della notificazione della comunicazione di avvenuto deposito (CAD).

2. Mediante il secondo strumento d’impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente censura la violazione dell’art. 8 della legge n. 890 del 1982, per avere il giudice del gravame ritenuto non indispensabile, per provare la corretta notificazione postale dell’avviso di accertamento, la produzione della notificazione della CAD, mai depositata in giudizio.

3. Con il suo terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la contribuente critica la violazione di legge in cui è incorsa la CTR per aver ritenuto valida la notificazione indiretta del prodromico avviso di accertamento a mezzo del servizio postale sebbene, risultato assente il destinatario, non sia stata assicurata la prova della ricezione della comunicazione di avvenuto deposito (CAD).

4. Mediante il quarto mezzo d’impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2697 cod. civ., per avere il giudice del gravame ritenuto non indispensabile, per provare la corretta notificazione postale dell’avviso di accertamento, la produzione della CAD, mai intervenuta.

5. Con il suo quinto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la contribuente contesta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, adottando una motivazione puramente apparente e pure riferita ad un preteso disconoscimento documentale, che però la ricorrente non ha mai effettuato.

6. Mediante il sesto strumento di ricorso la contribuente provvede all’”impugnazione del capo della sentenza relativo al regolamento delle spese di lite” (ric., p. 16), per non averle il giudice del gravame attribuito il favore delle spese processuali, sebbene abbia rigettato l’appello incidentale proposto da Equitalia.

La ricorrente riassume quindi le sue contestazioni e domanda a questa Corte di legittimità di pronunciarsi nel merito.

7. Con i suoi motivi di impugnazione dal primo al quinto la contribuente, con riferimento ai profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, contesta la impugnata pronuncia del giudice del gravame per aver erroneamente ritenuto la validità della notificazione del prodromico avviso di accertamento, sebbene non sia mai stata prodotta la cartolina attestante l’avvenuto deposito dell’atto (c.d. CAD). I motivi di ricorso presentano evidenti ragioni di connessione, e possono essere trattati congiuntamente per ragioni di sintesi e chiarezza espositiva.

7.1. La CTR ha rigettato le contestazioni in materia di invalidità della notificazione del prodromico avviso di accertamento, proposte dalla contribuente sin dal ricorso introduttivo in primo grado, osservando: “Questa Commissione ritiene l’appello infondato e va rigettato; correttamente il primo Giudice ha rilevato che il disconoscimento della originalità della copia andava fatto valere in modo formale e specifico e non genericamente come proposto dalla Fabozzi; in mancanza l’accertamento è divenuto definitivo e legittima è l’intimazione di pagamento” (sent. CTR, p. II).

7.2. La contribuente, nel suo ricorso per cassazione, replica che la decisione adottata dal giudice del gravame è omissiva, perché non esamina la questione centrale posta nel processo, la contestata invalidità della notificazione del prodromico avviso di accertamento alla Fabozzi.

La CTR, in realta, si limita a proporre succinte osservazioni circa le modalità in cui possa operarsi il disconoscimento della originalità della copia di un atto, ma non si comprende neppure a che cosa intenda riferirsi, perché in questo giudizio non è stato operato il disconoscimento della copia di alcun atto.

7.3. La ricorrente, in sintesi, ricorda quindi di aver sempre sostenuto di non aver mai ricevuto la notificazione del necessario prodromico avviso di accertamento mentre, secondo le controparti, la notificazione sarebbe stata regolarmente effettuata.

Osserva allora la contribuente che, pacificamente, la notificazione sarebbe avvenuta a mezzo del servizio postale, non mediante notificazione diretta bensì in via indiretta, essendosi l’Ente impositore avvalso di intermediario, un messo speciale notificatore “(tal Di Meglio)” (ric., p. 7). Queste valutazioni risultano confortate da più elementi, in primo luogo la raccomandata di spedizione è di tipo AG (atti giudiziari) e riporta la specifica indicazione del Messo speciale autorizzato dall’Amministrazione finanziaria a procedere alla notificazione. Inoltre, vi è l’indicazione di “‘Emesso Cad … scritto a mano … Euro 3,90’, lasciando intendere che si sia provveduto – in temporanea assenza del destinatario – anche ad inviare la Comunicazione di Avvenuto Deposito del plico presso l’ufficio postale” (ric., p. 7).

Ai fini della prova della regolarità della notificazione, tuttavia, nella prospettazione della ricorrente, risultava indispensabile la produzione della cartolina relativa alla CAD, che però non è mai stata depositata in giudizio, e la notificazione del prodromico avviso di accertamento non può quindi che valutarsi come radicalmente nulla.

7.4. Invero, risolvendo un contrasto sviluppatosi in materia anche a livello di giurisprudenza di legittimità, le Sezioni Unite della Cassazione hanno condivisibilmente chiarito che “in tema di notifica di un atto impositivo ovvero processuale tramite servizio postale, qualora l’atto notificando non venga consegnato al destinatario per rifiuto a riceverlo ovvero per sua temporanea assenza ovvero per assenza o inidoneità di altre persone a riceverlo, la prova del perfezionamento del procedimento notificatorio può essere data dal notificante – in base ad un’interpretazione costituzionalmente orientata (artt. 24 e 111, comma 2, Cost.) dell’art. 8 della l. n. 890 del 1982 – esclusivamente attraverso la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento della raccomandata contenente la comunicazione di avvenuto deposito (cd. C.A.D.), non essendo a tal fine sufficiente la prova dell’avvenuta spedizione della suddetta raccomandata informativa”, Cass. S.U., 15.4.2021, n. 10012.

7.5. Nelle loro pur ampie repliche le controricorrenti insistono nell’affermare che la notificazione dell’avviso di accertamento è risultata regolare, anche operando riferimento a tesi ormai superate dalla giurisprudenza, come quella che afferma la sufficienza della spedizione della raccomandata informativa, a prescindere dalla sua ricezione, ma non negano che l’avviso di ricevimento della raccomandata contenente la CAD non è mai stata prodotta in questo giudizio.

8. Il ricorso introdotto da A.A. deve essere quindi accolto, con riferimento ai primi cinque mezzi d’impugnazione, perché l’intimazione di pagamento impugnata risulta invalida, in quanto non preceduta dalla rituale notificazione di un necessario atto prodromico.

9. In ordine al sesto strumento di impugnazione, la contribuente ha esposto molto sinteticamente di impugnare la sentenza della CTR per non aver condannato l’Agente della Riscossione in conseguenza del rigetto dell’appello incidentale dallo stesso proposto.

Invero la CTR non pronuncia espressamente in materia.

Equitalia Servizi di Riscossione Spa ha chiarito nel suo controricorso che aveva proposto appello incidentale condizionato al fine di sollecitare l’intervento in giudizio dell’Ente impositore che si è quindi spontaneamente costituito, ed è anche per questo che la CTR non ha ritenuto di pronunciare.

In assenza di contestazioni specifiche proposte dalla ricorrente, la cui esposizione risulta lacunosa, il fondamento del sesto motivo di ricorso rimane indimostrato, e deve perciò essere respinto.

10. Devono quindi essere accolti i primi cinque motivi di ricorso proposti dalla contribuente, rigettato il sesto, e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte di legittimità può decidere nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., accogliendo l’originario ricorso proposto dalla contribuente ed annullando l’intimazione di pagamento impugnata.

11. Tenuto conto delle oscillazioni giurisprudenziali verificatesi in un passato anche recente nella materia oggetto di causa, appare equo dichiarare compensate tra le parti le spese di lite dei gradi di merito del giudizio. Le spese processuali del giudizio di legittimità seguono invece l’ordinario criterio della soccombenza, e sono liquidate in dispositivo in considerazione della natura delle questioni affrontate e del valore della causa.

La Corte di Cassazione,

P.Q.M.
accoglie i primi cinque motivi di ricorso proposti da A.A., respinto il sesto, cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della contribuente ed annulla l’avviso di intimazione n. (Omissis)

Compensa le spese processuali dei gradi di merito del giudizio tra le parti e condanna le controricorrenti al pagamento delle spese di lite in favore della ricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.300,00 per compensi, oltre 15% per spese generali, Euro 200,00 per esborsi ed accessori come per legge, somme favore del procuratore dichiaratosi antistatario.

Conclusione
Così deciso in Roma il 22 febbraio 2024.

Depositato in Cancelleria l’8 marzo 2024.