Sottoscrizione dell’avviso di accertamento: la delega è valida anche senza il nome del delegato

Sottoscrizione dell’avviso di accertamento: serve una delega di firma e non di funzione, per la validità non è necessaria l’indicazione del nome del delegato e della durata della stessa. 
Con la sentenza n. 18675 del 9 settembre 2020, la Corte di Cassazione ha ribadito che la delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento, essendo una delega di firma e non di funzioni, non necessita dell’obbligatoria indicazione del nome del delegato e della durata di validità della stessa, perché tali informazioni possono essere legittimamente riportate nell’ordine di servizio che individui l’impiegato legittimato alla firma attraverso l’indicazione della qualifica rivestita.
La sentenza – Il procedimento vede contrapposte l’Agenzia delle entrate ed un contribuente a cui era stato notificato un avviso di accertamento ai fini Irpef, Iva e Irap.
Il ricorso proposto dal contribuente è stato accolto sia dalla CTP che dalla CTR, che ha ritenuto nulla la sottoscrizione dell’accertamento dopo aver rinvenuto negli atti del procedimento “un mero richiamo ad una asserita delega n. 30 del 2013 non prodotta in giudizio a seguito della contestazione del contribuente”.
L’Amministrazione finanziaria ha impugnato la sentenza d’appello, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del D.P.R. n. 600/1973, avendo la CTR ritenuto che la delega conferita al sottoscrittore dell’atto non contenesse l’indicazione nominativa del delegato e la durata di validità della delega, trattandosi di delega di firma e non di funzioni, riservate al delegante.
La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso dell’Ufficio e ha cassato con rinvio la sentenza impugnata.
L’art 42 cit. prevede al comma 1 che gli accertamenti, in rettifica o d’ufficio, sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti, a pena di nullità, dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato.
Sul punto i giudici di cassazione hanno confermato il principio, già esposto nelle precedenti sentenze nn. 8814/2019 e 18383/2019, secondo cui la delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento, attribuita dal dirigente ai sensi dell’art. 42, “è una delega di firma e non di funzioni”.
Ne consegue, pertanto, che l’indicazione del nominativo del soggetto delegato e della durata della delega non costituiscono elementi necessari ai fini della validità dell’atto impositivo, ben potendo essere indicati negli ordini di servizio che individuino l’impiegato legittimato alla firma mediante l’indicazione della qualifica rivestita, “idonea a consentire, ex post, la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto”.
Nella controversia i giudici di merito non hanno fatto corretta applicazione di tale principio, arrivando a negare validità alla delega perché priva del nominativo del soggetto delegato.
Infatti, dagli atti del procedimento è emerso che l’Ufficio avesse regolarmente depositato la delega n. 30 del 2013, recante proroga delle deleghe di firma, confermativa delle deleghe, precedentemente conferite con la disposizione di servizio n. 17 del 2012, dal direttore provinciale dell’Ufficio al funzionario firmatario dell’avviso di accertamento impugnato dalla parte.
Da qui l’accoglimento del ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate, con conseguente rinvio alla CTR in diversa composizione, anche per la decisione delle spese del giudizio di legittimità.


“Furbetti del cartellino” a Gioia Tauro, tre vigili urbani agli arresti domiciliari

Tre persone agli arresti domiciliari, divieto di dimora per altre sei. E’ il risultato di una operazione della Guardia di Finanza del comando provinciale di Reggio Calabria nei confronti di alcuni dipendenti del Comune di Gioia Tauro, accusati, a vario titolo, di assenteismo e peculato d’uso. Sette dipendenti appartengono alla Polizia municipale (gli arrestati, ai domiciliari, sono infatti tre vigili), due al servizio bibliotecario.
Le indagini, coordinate dalla procura della Repubblica di Palmi (con il procuratore Ottavio Sferlazza ed il sostituto Davide Lucisano), riferite al periodo settembre-dicembre dello scorso anno, hanno preso il via da una denuncia presentata dall’allora comandante della Polizia locale, che qualche mese dopo si era dimesso dall’incarico, in relazione ad una serie di ipotesi di assenteismo da parte di alcuni suoi collaboratori.
In particolare è stato accertato che gli indagati, pur attestando regolarmente la loro presenza in servizio, spesso si assentavano dal posto di lavoro in maniera del tutto ingiustificata con uso improprio di autovetture di servizio con sistematicità, per dedicarsi alle più disparate esigenze di carattere personale e familiare, non garantendo servizi essenziali per la collettività, ivi compreso il comandante pro-tempore anche egli destinatario di una misura cautelare.
In un episodio, è stato riscontrato, inoltre, che una vigilessa, oltre a recarsi ingiustificatamente con l’auto del corpo fuori dal territorio di competenza aveva portato con sé l’arma di servizio. Analoghe condotte di assenteismo, sono state, infine, accertate nei confronti anche di due bibliotecari i quali, dopo aver attestato regolarmente la presenza in servizio, avevano abbandonato il posto di lavoro non consentendo la fruibilità della biblioteca alla collettività.
“Le ordinanze del gip di Palmi – ha commentato il sindaco di Gioia Tauro, Aldo Alessio – hanno di fatto azzerato il corpo di Polizia locale del Comune. Le condotte ascritte individuano violazioni dei doveri professionali, di correttezza e lealtà nei confronti del Comune di Gioia Tauro – datore di lavoro nonché pubblica amministrazione che si aspetta dai suoi impiegati un ruolo di integrità morale per il rispetto della città e dei cittadini. Provvederemo alle misure che la legge ci impone – immediata sospensione dal servizio e contestazione degli addebiti – in relazione alle contestazioni mosse dalla procura della Repubblica e in rispetto delle decisioni del gip. Preannunciamo la costituzione del Comune di Gioia Tauro quale parte civile – ha concluso – a tutela degli interessi patrimoniali, morali e di immagine del Comune”.
Fonte AGI


Decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 coordinato con legge di conversione 11 settembre 2020, n. 120

TESTO COORDINATO DEL DECRETO-LEGGE 16 luglio 2020, n. 76
Testo del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (in S.O. n. 24/L alla Gazzetta Ufficiale – Serie generale – n. 178 del 16 luglio 2020), coordinato con la legge di conversione 11 settembre 2020, n. 120 (in questo stesso S.O.), recante: «Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale.». (20A04921)
(GU n.228 del 14-9-2020 – Suppl. Ordinario n. 33)
Vigente al: 14-9-2020
Avvertenza:
Il testo coordinato qui pubblicato è stato redatto dal Ministero della giustizia ai sensi dell’art. 11, comma 1, del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sull’emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, approvato con D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 1092, nonché dell’art. 10, commi 2 e 3, del medesimo testo unico, al solo fine di facilitare la lettura sia delle disposizioni del decreto-legge, integrate con le modifiche apportate dalla legge di conversione, che di quelle modificate o richiamate nel decreto, trascritte nelle note. Restano invariati il valore e l’efficacia degli atti legislativi qui riportati.
Le modifiche apportate dalla legge di conversione sono stampate con caratteri corsivi.
Tali modifiche sono riportate in video tra i segni (( … )).
A norma dell’art. 15, comma 5, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), le modifiche apportate dalla legge di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della sua pubblicazione.
Nel Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale del 29 settembre 2020 si procederà alla ripubblicazione del presente testo coordinato, corredato delle relative note.
Art. 25
Semplificazione in materia di conservazione dei documenti informatici e gestione dell’identità digitale
1. Al fine di semplificare la disciplina in materia di conservazione dei documenti informatici, al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, sono apportate le seguenti modifiche:
a) all’articolo 14-bis, comma 2, lettera i), le parole «conservatori di documenti informatici accreditati» sono sostituite dalle seguenti: «soggetti di cui all’articolo 34, comma 1-bis, lettera b)»;
b) all’articolo 29:
1) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Qualificazione dei fornitori di servizi»;
2) al comma 1, al primo periodo, le parole “o di gestore dell’identità digitale di cui all’articolo 64” sono soppresse e il secondo periodo è soppresso;
3) al comma 2, il primo e il secondo periodo sono sostituiti dai seguenti: «Ai fini della qualificazione, i soggetti di cui al comma 1 devono possedere i requisiti di cui all’articolo 24 del regolamento (UE) 23 luglio 2014, n. 910/2014, disporre di requisiti di onorabilità, affidabilità, tecnologici e organizzativi compatibili con la disciplina europea, nonché di garanzie assicurative adeguate rispetto all’attività svolta. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, o del Ministro delegato per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, sentita l’AgID, nel rispetto della disciplina europea, sono definiti i predetti requisiti in relazione alla specifica attività che i soggetti di cui al comma 1 intendono svolgere.»;
4) al comma 4, le parole «o di accreditamento» sono soppresse;
c) all’articolo 30, comma 1, le parole da «I prestatori» fino a «comma 6» sono sostituite dalle seguenti: «I prestatori di servizi fiduciari qualificati e i gestori di posta elettronica certificata, iscritti nell’elenco di cui all’articolo 29, comma 6, nonché i gestori dell’identità digitale e i conservatori di documenti informatici»;
d) all’articolo 32-bis, al comma 1, le parole «conservatori accreditati» sono sostituite dalle seguenti: «soggetti di cui all’articolo 34, comma 1-bis, lettera b)»; dopo il primo periodo è inserito il seguente: «Le sanzioni per le violazioni commesse dai soggetti di cui all’articolo 34, comma 1-bis, lettera b), sono fissate nel minimo in euro 4.000,00 e nel massimo in euro 40.000,00.»;
e) all’articolo 34, comma 1-bis, lettera b), le parole «accreditati come conservatori presso l’AgID» sono sostituite dalle seguenti: «che possiedono i requisiti di qualità, di sicurezza e organizzazione individuati, nel rispetto della disciplina europea, nelle Linee guida di cui all’art. 71 relative alla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici nonché in un regolamento sui criteri per la fornitura dei servizi di conservazione dei documenti informatici emanato da AgID, avuto riguardo all’esigenza di assicurare la conformità dei documenti conservati agli originali nonché la qualità e la sicurezza del sistema di conservazione.»;
f) all’articolo 44, comma 1-ter, le parole «Il sistema» sono sostituite dalle seguenti: «In tutti i casi in cui la legge prescrive obblighi di conservazione, anche a carico di soggetti privati, il sistema».
2. Fino all’adozione delle Linee guida e del regolamento di cui al comma 1, lettera e), in materia di conservazione dei documenti informatici si applicano le disposizioni vigenti ((prima della data di entrata in vigore del presente decreto)).
3. Al decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 30-ter, comma 5, lettera b-bis), dopo le parole «decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82» sono aggiunte le seguenti:
«”e i gestori dell’identità digitale di cui all’articolo 64 del medesimo decreto»;
b) all’articolo 30-quater, comma 2, dopo il primo periodo è aggiunto il seguente: «L’accesso a titolo gratuito è assicurato anche ai gestori dell’identità digitale di cui all’articolo 64 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 per le verifiche propedeutiche al rilascio delle credenziali di accesso relative al sistema SPID.».
Art. 26
Piattaforma per la notificazione digitale degli atti della pubblica amministrazione
1. La piattaforma di cui all’articolo 1, comma 402, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, e le sue modalità di funzionamento sono disciplinate dalla presente disposizione.
2. Ai fini del presente articolo, si intende per:
a) «gestore della piattaforma», la società di cui all’articolo 8, comma 2, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12;
b) «piattaforma», la piattaforma digitale di cui al comma 1, utilizzata dalle amministrazioni per effettuare, con valore legale, le notifiche di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni;
c) «amministrazioni», le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, gli agenti della riscossione e, limitatamente agli atti emessi nell’esercizio di ((attività ad essi affidate)) ai sensi dell’articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, i soggetti di cui all’articolo 52, comma 5, lettera b), numeri 1), 2), 3) e 4), del medesimo decreto legislativo;
d) «destinatari», le persone fisiche, le persone giuridiche, gli enti, le associazioni e ogni altro soggetto pubblico o privato, residenti o aventi sede legale nel territorio italiano ovvero all’estero ove titolari di codice fiscale attribuito ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605, ai quali le amministrazioni notificano atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni;
e) «delegati», le persone fisiche, le persone giuridiche, gli enti, le associazioni e ogni altro soggetto pubblico o privato, ivi inclusi i soggetti di cui all’articolo 12, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, ai quali i destinatari conferiscono il potere di accedere alla piattaforma per reperire, consultare e acquisire, per loro conto, atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni notificati dalle amministrazioni;
f) «delega», l’atto con il quale i destinatari conferiscono ai delegati il potere di accedere, per loro conto, alla piattaforma;
g) «avviso di avvenuta ricezione», l’atto formato dal gestore della piattaforma, con il quale viene dato avviso al destinatario in ordine alle modalità di acquisizione del documento informatico oggetto di notificazione;
h) «identificativo univoco della notificazione (IUN)», il codice univoco attribuito dalla piattaforma a ogni singola notificazione richiesta dalle amministrazioni;
i) «avviso di mancato recapito», l’atto formato dal gestore della piattaforma con il quale viene dato avviso al destinatario in ordine alle ragioni della mancata consegna dell’avviso di avvenuta ricezione in formato elettronico e alle modalità di acquisizione del documento informatico oggetto di notificazione.
3. Ai fini della notificazione di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni, in alternativa alle modalità previste da altre disposizioni di legge, anche in materia tributaria, le amministrazioni possono rendere disponibili telematicamente sulla piattaforma i corrispondenti documenti informatici. La formazione, trasmissione, copia, duplicazione, riproduzione e validazione temporale dei documenti informatici resi disponibili sulla piattaforma avviene nel rispetto del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e delle Linee guida adottate in attuazione del medesimo decreto legislativo. Eventualmente anche con l’applicazione di «tecnologie basate su registri distribuiti», come definite dall’articolo 8-ter del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12, il gestore della piattaforma assicura l’autenticità, l’integrità, l’immodificabilità, la leggibilità e la reperibilità dei documenti informatici resi disponibili dalle amministrazioni e, a sua volta, li rende disponibili ai destinatari, ai quali assicura l’accesso alla piattaforma, personalmente o a mezzo delegati, per il reperimento, la consultazione e l’acquisizione dei documenti informatici oggetto di notificazione. Ciascuna amministrazione, nel rispetto delle disposizioni del decreto legislativo n. 82 del 2005 e delle Linee guida adottate in attuazione del medesimo decreto legislativo, individua le modalità per garantire l’attestazione di conformità agli originali analogici delle copie informatiche di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni, anche attraverso certificazione di processo nei casi in cui siano adottate tecniche in grado di garantire la corrispondenza della forma e del contenuto dell’originale e della copia. Gli agenti della riscossione e i soggetti di cui all’articolo 52, comma 5, lettera b), numeri 1), 2), 3) e 4), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 individuano e nominano i ((dipendenti incaricati di attestare)) la conformità agli originali analogici delle copie informatiche di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni. I dipendenti incaricati di attestare la conformità di cui al presente comma, sono pubblici ufficiali ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82. La piattaforma può essere utilizzata anche per la trasmissione di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni per i quali non è previsto l’obbligo di notificazione al destinatario.
4. Il gestore della piattaforma, con le modalità previste dal decreto di cui al comma 15, per ogni atto, provvedimento, avviso o comunicazione oggetto di notificazione reso disponibile dall’amministrazione, invia al destinatario l’avviso di avvenuta ricezione, con il quale comunica l’esistenza e l’identificativo univoco della notificazione (IUN), nonché le modalità di accesso alla piattaforma e di acquisizione del documento oggetto di notificazione.
5. L’avviso di avvenuta ricezione, in formato elettronico, è inviato con modalità telematica ai destinatari titolari di un indirizzo di posta elettronica certificata o di un servizio elettronico di recapito certificato qualificato:
a) inserito in uno degli elenchi di cui agli articoli 6-bis, 6-ter e 6-quater del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82;
b) eletto, ai sensi dell’articolo 3-bis, comma 4-quinquies, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 o di altre disposizioni di legge, come domicilio speciale per determinati atti o affari, se a tali atti o affari è riferita la notificazione;
c) eletto per la ricezione delle notificazioni delle pubbliche amministrazioni effettuate tramite piattaforma secondo le modalità previste dai decreti di cui al comma 15.
6. Se la casella di posta elettronica certificata o il servizio elettronico di recapito certificato qualificato risultano saturi, il gestore della piattaforma effettua un secondo tentativo di consegna decorsi almeno sette giorni dal primo invio. Se anche a seguito di tale tentativo la casella di posta elettronica certificata o il servizio elettronico di recapito certificato qualificato risultano saturi oppure se l’indirizzo elettronico del destinatario non risulta valido o attivo, il gestore della piattaforma rende disponibile in apposita area riservata, per ciascun destinatario della notificazione, l’avviso di mancato recapito del messaggio, secondo le modalità previste dal decreto di cui al comma 15. Il gestore della piattaforma inoltre dà notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto a mezzo di lettera raccomandata, senza ulteriori adempimenti a proprio carico.
7. Ai destinatari diversi da quelli di cui al comma 5, l’avviso di avvenuta ricezione è notificato senza ritardo, in formato cartaceo, a mezzo posta direttamente dal gestore della piattaforma, con le modalità previste dalla legge 20 novembre 1982, n. 890 e con applicazione degli articoli 7, 8 e 9 della stessa legge. L’avviso contiene l’indicazione delle modalità con le quali è possibile accedere alla piattaforma e l’identificativo univoco della notificazione (IUN) mediante il quale, con le modalità previste dal decreto di cui al comma 15, il destinatario può ottenere la copia cartacea degli atti oggetto di notificazione. Agli stessi destinatari, ove abbiano comunicato un indirizzo e-mail non certificato, un numero di telefono o un altro analogo recapito digitale diverso da quelli di cui al comma 5, il gestore della piattaforma invia un avviso di cortesia in modalità informatica contenente le stesse informazioni dell’avviso di avvenuta ricezione.
L’avviso di cortesia è reso disponibile altresì tramite il punto di accesso di cui all’articolo 64-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.
8. L’autenticazione alla piattaforma ai fini dell’accesso avviene tramite il sistema pubblico per la gestione dell’identità digitale di cittadini e imprese (SPID) di cui all’articolo 64 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 ovvero tramite la Carta d’identità elettronica (CIE) di cui all’articolo 66 del medesimo decreto legislativo. L’accesso all’area riservata, ove sono consentiti il reperimento, la consultazione e l’acquisizione dei documenti informatici oggetto di notifica, è assicurato anche tramite il punto di accesso di cui all’articolo 64-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82. Con le modalità previste dal decreto di cui al comma 15, i destinatari possono conferire apposita delega per l’accesso alla piattaforma a uno o più delegati.
9. La notificazione si perfeziona:
a) per l’amministrazione, nella data in cui il documento informatico è reso disponibile sulla piattaforma;
b) per il destinatario:
1) il settimo giorno successivo alla data di consegna dell’avviso di avvenuta ricezione in formato elettronico, risultante dalla ricevuta che il gestore della casella di posta elettronica certificata o del servizio elettronico di recapito certificato qualificato del destinatario trasmette al gestore della piattaforma o, nei casi di casella postale satura, non valida o non attiva, il quindicesimo giorno successivo alla data del deposito dell’avviso di mancato recapito di cui al comma 6. Se l’avviso di avvenuta ricezione è consegnato al destinatario dopo le ore 21.00, il termine di sette giorni si computa a decorrere dal giorno successivo;
2) il decimo giorno successivo al perfezionamento della notificazione dell’avviso di avvenuta ricezione in formato cartaceo;
3) in ogni caso, se anteriore, nella data in cui il destinatario, o il suo delegato, ha accesso, tramite la piattaforma, al documento informatico oggetto di notificazione.
10. La messa a disposizione ai fini della notificazione del documento informatico sulla piattaforma impedisce qualsiasi decadenza dell’amministrazione e interrompe il termine di prescrizione correlato alla notificazione dell’atto, provvedimento, avviso o comunicazione.
11. Il gestore della piattaforma, con le modalità previste dal decreto di cui al comma 15, forma e rende disponibili sulla piattaforma, alle amministrazioni e ai destinatari, le attestazioni opponibili ai terzi relative:
a) alla data di messa a disposizione dei documenti informatici sulla piattaforma da parte delle amministrazioni;
b) all’indirizzo del destinatario risultante, alla data dell’invio dell’avviso di avvenuta ricezione, da uno degli elenchi di cui agli articoli 6-bis, 6-ter e 6-quater del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 o eletto ai sensi del comma 5, lettera c);
c) alla data di invio e di consegna al destinatario dell’avviso di avvenuta ricezione in formato elettronico; e alla data di ricezione del messaggio di mancato recapito alle caselle di posta elettronica certificata o al servizio elettronico di recapito certificato qualificato risultanti sature, non valide o non attive;
d) alla data in cui il gestore della piattaforma ha reso disponibile l’avviso di mancato recapito del messaggio ai sensi del comma 6;
e) alla data in cui il destinatario ha avuto accesso al documento informatico oggetto di notificazione;
f) al periodo di malfunzionamento della piattaforma ai sensi del comma 13;
g) alla data di ripristino delle funzionalità della piattaforma ai sensi del comma 13.
12. Il gestore della piattaforma rende altresì disponibile la copia informatica dell’avviso di avvenuta ricezione cartaceo e degli atti relativi alla notificazione ai sensi della legge 20 novembre 1982, n. 890, dei quali attesta la conformità agli originali.
13. Il malfunzionamento della piattaforma, attestato dal gestore con le modalità previste dal comma 15, lettera d), qualora renda impossibile l’inoltro telematico, da parte dell’amministrazione, dei documenti informatici destinati alla notificazione ovvero, ((al destinatario e al delegato,)) l’accesso, il reperimento, la consultazione e l’acquisizione dei documenti informatici messi a disposizione, comporta:
a) la sospensione del termine di prescrizione dei diritti dell’amministrazione correlati agli atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni oggetto di notificazione, scadente nel periodo di malfunzionamento, sino al settimo giorno successivo alla comunicazione di avvenuto ripristino delle funzionalità della piattaforma;
b) la proroga del termine di decadenza di diritti, poteri o facoltà dell’amministrazione o del destinatario, correlati agli atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni oggetto di notificazione, scadente nel periodo di malfunzionamento, sino al settimo giorno successivo alla comunicazione di avvenuto ripristino delle funzionalità della piattaforma.
14. Le spese di notificazione degli atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni oggetto di notificazione tramite piattaforma sono poste a carico del destinatario e sono destinate alle amministrazioni, al fornitore del servizio universale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261 e al gestore della piattaforma.
Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, o del Ministro delegato per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono disciplinate le modalità di determinazione e anticipazione delle spese e i criteri di riparto.
15. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, o del Ministro delegato per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, sentiti il Ministro dell’economia e delle finanze e il Garante per la protezione dei dati personali per gli aspetti di competenza, acquisito il parere in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente articolo, nel rispetto del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82:
a) ((sono definiti)) l’infrastruttura tecnologica della piattaforma e il piano dei test per la verifica del corretto funzionamento. La piattaforma è sviluppata applicando i criteri di accessibilità di cui alla legge 9 gennaio 2004, n. 4 nel rispetto dei principi di usabilità, completezza di informazione, chiarezza di linguaggio, affidabilità, ((semplicità di consultazione,)) qualità, omogeneità e interoperabilità;
b) sono stabilite le regole tecniche e le modalità con le quali le amministrazioni identificano i destinatari e rendono disponibili telematicamente sulla piattaforma i documenti informatici oggetto di notificazione;
c) sono stabilite le modalità con le quali il gestore della piattaforma attesta e certifica, con valore legale opponibile ai terzi, la data e l’ora in cui i documenti informatici delle amministrazioni sono depositati sulla piattaforma e resi disponibili ai destinatari attraverso la piattaforma, nonché il domicilio del destinatario risultante dagli elenchi di cui al comma 5, lettera a) alla data della notificazione;
d) sono individuati i casi di malfunzionamento della piattaforma, nonché le modalità con le quali il gestore della piattaforma attesta il suo malfunzionamento e comunica il ripristino della sua funzionalità;
e) sono stabilite le modalità di accesso alla piattaforma e di consultazione degli atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni da parte dei destinatari e dei delegati, nonché le modalità con le quali il gestore della piattaforma attesta la data e l’ora in cui il destinatario o il delegato accedono, tramite la piattaforma, all’atto oggetto di notificazione;
f) sono stabilite le modalità con le quali i destinatari eleggono il domicilio digitale presso la piattaforma e, anche attraverso modelli semplificati, conferiscono o revocano ai delegati la delega per l’accesso alla piattaforma, nonché le modalità di accettazione e rinunzia delle deleghe;
g) sono stabiliti i tempi e le modalità di conservazione dei documenti informatici resi disponibili sulla piattaforma;
h) sono stabilite le regole tecniche e le modalità con le quali i destinatari indicano il recapito digitale ai fini della ricezione dell’avviso di cortesia di cui al comma 7;
i) sono individuate le modalità con le quali i destinatari dell’avviso di avvenuta ricezione notificato in formato cartaceo ottengono la copia cartacea degli atti oggetto di notificazione;
l) sono disciplinate le modalità di adesione delle amministrazioni alla piattaforma.
16. Con atto del Capo della competente struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri, ultimati i test e le prove tecniche di corretto funzionamento della piattaforma, è fissato il termine a decorrere dal quale le amministrazioni possono aderire alla piattaforma.
17. La notificazione a mezzo della piattaforma di cui al comma 1 non si applica:
a) agli atti del processo civile, penale, per l’applicazione di misure di prevenzione, amministrativo, tributario e contabile e ai provvedimenti e alle comunicazioni ad essi connessi;
b) agli atti della procedura di espropriazione forzata disciplinata dal titolo II, capi II e IV, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, diversi da quelli di cui agli articoli 50, commi 2 e 3, e 77, comma 2-bis, del medesimo decreto;
c) agli atti dei procedimenti di competenza delle autorità provinciali di pubblica sicurezza relativi a pubbliche manifestazioni, misure di prevenzione personali e patrimoniali, autorizzazioni e altri provvedimenti a contenuto abilitativo, soggiorno, espulsione e allontanamento dal territorio nazionale degli stranieri e dei cittadini dell’Unione europea, ((o comunque agli atti di ogni altro procedimento)) a carattere preventivo in materia di pubblica sicurezza, e ai provvedimenti e alle comunicazioni ad essi connessi.
18. All’articolo 50, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, le parole «trascorsi centottanta giorni» sono sostituite dalle seguenti: «trascorso un anno».
19. All’articolo 1, comma 402, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, il secondo periodo è sostituito dal seguente: «La società di cui al primo periodo affida, in tutto o in parte, lo sviluppo della piattaforma al fornitore del servizio universale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, anche attraverso il riuso dell’infrastruttura tecnologica esistente di proprietà del suddetto fornitore.».
20. Il gestore si avvale del fornitore del servizio universale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, anche per effettuare la spedizione dell’avviso di avvenuta ricezione e la consegna della copia cartacea degli atti oggetto di notificazione previste dal comma 7 e garantire, su tutto il territorio nazionale, l’accesso universale alla piattaforma e al nuovo servizio di notificazione digitale.
21. Per l’adesione alla piattaforma, le amministrazioni utilizzano le risorse umane, finanziarie e strumentali previste a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
22. Per la realizzazione della piattaforma di cui al comma 1 e l’attuazione della presente disposizione sono utilizzate le risorse di cui all’articolo 1, comma 403, della legge 27 dicembre 2019, n. 160.


La notifica del fermo amministrativo dell’auto anche con posta privata

Per effetto della liberalizzazione realizzata in attuazione di alcune direttive dell’Unione europea, gli atti tributari possono essere recapitati da operatori diversi dal fornitore del servizio universale
A decorrere dal 30 aprile 2011, è valida la notificazione dell’atto tributario eseguita da un agente notificatore (articolo 140 c.p.c.), quando la raccomandata che informa il destinatario del deposito dell’atto presso la casa comunale sia stata inviata avvalendosi dei servizi offerti da un licenziatario di posta privata anziché di quelli del fornitore del servizio universale.
Questo il principio affermato dalla V sezione della Corte di Cassazione con la sentenza n. 15361 del 20 luglio 2020.
La vicenda processuale
Un contribuente impugnava dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Salerno il preavviso di fermo amministrativo riguardante un autoveicolo di sua proprietà.
La pronuncia di prime cure, sfavorevole all’istante, veniva riformata dalla Commissione tributaria regionale della Campania la quale, con sentenza n. 2466/2017 del 17 marzo 2017, riteneva fondata la doglianza della parte privata che aveva eccepito l’inesistenza della notifica del prodromico avviso di accertamento.
Nello specifico, il collegio d’appello concludeva che la notifica dell’atto impositivo, eseguita dal messo comunale in base all’articolo 140 c.p.c. per temporanea assenza del destinatario e di altre persone abilitate a ricevere la consegna, non poteva dirsi perfezionata in quanto, per la spedizione della raccomandata informativa del deposito dell’atto presso la casa comunale, l’agente notificatore si era avvalso dei servizi offerti da un operatore postale privato anziché di quelli di Poste Italiane.
Nel gravame di legittimità, l’Agenzia delle entrate denunciava la sentenza impugnata, in particolare osservando che la stessa, nel ritenere inesistente la contestata notifica, non aveva tenuto conto degli effetti della liberalizzazione dei servizi postali realizzata in attuazione di alcune direttive dell’Unione europea. L’ufficio finanziario rilevava, inoltre, che, nella specie, la prescritta “raccomandata informativa” del deposito dell’atto alla casa comunale risultava ricevuta da persona che l’addetto alla consegna aveva rinvenuto presso il domicilio del destinatario.
La pronuncia della Corte di Cassazione
Il giudice di legittimità ha accolto il descritto motivo, ricordando in primis che la disciplina positiva di riferimento sui servizi postali costituita dall’articolo 4 del Dlgs n. 261/1999 ha, nel tempo, subito una serie di modificazioni.
Nello specifico, osserva la Corte di Cassazione, mentre in passato era prevista l’attribuzione in esclusiva al fornitore del servizio universale di tutti “gli invii raccomandati attinenti alle procedure amministrative e giudiziarie”, successivamente (a decorrere dal 30 aprile 2011) l’ambito dei servizi affidati in esclusiva a detto “fornitore” è stato ridefinito includendovi tra l’altro i “servizi inerenti le notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari di cui alla legge 20 novembre 1982, n. 890…”.
Anteriormente alla riforma del 2011, ricorda la sentenza, il giudice di legittimità era costante nel ritenere, per un verso, che costituissero oggetto di riserva le notificazioni a mezzo posta tanto degli atti tributari sostanziali che di quelli processuali; per l’altro, che in entrambi i casi l’incaricato di un servizio di posta privata fosse privo della qualità di pubblico ufficiale, con la conseguenza che agli atti da esso compiuti non poteva riconoscersi efficacia fidefacente fino a querela di falso. Viceversa, prosegue la Cassazione, dal 30 aprile 2011, gli invii raccomandati riguardanti atti tributari diversi da quelli in senso stretto giudiziari “possono essere stati oggetto di notifica anche tramite operatore postale privato in possesso dello specifico titolo abilitativo costituito dalla ‘licenza individuale’ di cui all’art. 5, comma 1, del d. lgs. n. 261/1999”.
In definitiva, ribadisce la Corte suprema, si può ritenere valida la notifica dell’atto impositivo, eseguita mediante licenziatario di posta privata nel periodo intercorrente tra la parziale liberalizzazione attuata, come detto, a decorrere dal 30 aprile 2011 e quella portata a pieno compimento dalla legge n. 124/2017, questa conclusione recita la sentenza in rassegna “appare, in primo luogo, in linea con l’evoluzione interpretativa che ha ormai ritenuto configurabile l’ipotesi di inesistenza della notificazione in casi assolutamente residuali…; ma, soprattutto, essa appare consonante con la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte, Cass. SU 26 marzo 2019, n. 8416”.
La pronuncia della Corte di Cassazione interviene a chiarire un profilo decisamente rilevante con riguardo all’ipotesi di una notificazione nel cui iter procedimentale, oltre all’attività dell’agente notificatore, sia previsto in qualche modo un coinvolgimento anche dell’operatore postale.
Questa ipotesi ricorre, oltre che nel caso esaminato (quello cioè della notifica ex articolo 140 c.p.c. il quale prevede che, a seguito dell’accertata irreperibilità temporanea del destinatario, a quest’ultimo si fornisca notizia del deposito dell’atto presso la casa comunale “per raccomandata con avviso di ricevimento”), ad esempio anche nell’ipotesi prevista dal precedente articolo 139 c.p.c., in cui si stabilisce che, dell’avvenuta notificazione dell’atto (a mani di uno dei soggetti specificamente abilitati alla ricezione per conto del destinatario), viene data notizia all’interessato “a mezzo di lettera raccomandata”.
In sostanza, nelle descritte ipotesi, un “segmento” della complessiva fattispecie notificatoria viene affidato a un soggetto ulteriore rispetto all’agente notificatore: questo soggetto, l’operatore postale appunto, provvede all’adempimento prescritto dalla norma.
La materia ha conosciuto nel tempo una costante evoluzione che, in attuazione di alcune direttive unionali, ha comportato la progressiva erosione, fino poi alla completa eliminazione, dell’area dei servizi postali riservati al fornitore del servizio universale, vale a dire di Poste italiane.
Sul punto, intervenendo a comporre un acceso dibattito interpretativo, con sentenza n. 299/2020, le sezioni unite della Cassazione hanno affermato il principio di diritto secondo il quale, in tema di notificazione di atti processuali, posto che in base alla direttiva n. 2008/6/Ce del Parlamento e del Consiglio è prevista la possibilità per tutti gli operatori postali di notificare atti giudiziari, a meno che lo Stato membro non evidenzi e dimostri una giustificazione oggettiva ostativa, “è nulla e non inesistente la notificazione di atto giudiziario eseguita dall’operatore di posta privata senza relativo titolo abilitativo nel periodo intercorrente fra l’entrata in vigore della suddetta direttiva e il regime introdotto dalla legge n. 124 del 2017”.
Con la sentenza n. 15361/2020, dopo aver precisato che la richiamata sentenza delle sezioni unite non è riferibile alla fattispecie da essa esaminata, che attiene alla notifica di atto sostanziale tributario a mezzo di licenziatario privato nel periodo intercorrente tra la parziale liberalizzazione in vigore dal 30 marzo 2011 e quella compiutamente attuata con la legge n. 124/2017, inserisce dunque un’ulteriore tessera nel mosaico, ancora in fase di completa definizione, relativo alla tematica della validità delle notifiche eseguite per il tramite di operatore postale diverso dal fornitore del servizio universale.


Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 08-07-2020) 09-09-2020, n. 18675

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – rel. Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8434-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

S.C.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 8588/32/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 04/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 08/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ENZA LA TORRE.

Svolgimento del processo
che:

L’Agenzia delle entrate ricorre per l’annullamento della sentenza della CTR della Campania, n. 8588/32/2016 dep. 4 ottobre 2016, che in controversia su impugnazione di avviso di accertamento per Irpef Iva, Irap anno 2008, ha rigettato l’appello dell’Ufficio. La CTR ha ritenuto nulla la sottoscrizione dell’accertamento “rinvenendosi in atti un mero richiamo ad una asserita delega n. 30 del 2013 non prodotta in giudizio a seguito della contestazione del contribuente”.

Il contribuente non ha svolto difese in questa sede.

Questa Corte, con ordinanza interlocutoria del 28 ottobre 2019, n. 27570 del 2019, ha disposto l’acquisizione del fascicolo d’ufficio per verificare le doglianze della ricorrente.

Motivi della decisione
che:

Col primo motivo si deduce omesso esame di un fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5, rappresentato dall’esistenza in atti, fin dal primo grado di giudizio, di copia del provvedimento di delega di firma n. 30/2013 e di provvedimento n. 17/2012.

Col secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42. La ricorrente Agenzia censura la sentenza impugnata per avere la CTR ritenuto che la delega conferita al sottoscrittore dell’atto non contenesse l’indicazione nominativa del delegato e la durata di validità della delega, trattandosi di delega di firma e non di funzioni, riservate al delegante.

I motivi, che per la loro stretta connessione meritano un esame congiunto, sono fondati.

Questa Corte (Cass. sez. 5 n. 8814 del 2019, seguito da Cass. sez. 6/5 n. 18383/2019) ha affermato che “La delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento conferita dal dirigente ex al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1, è una delega di firma e non di funzioni: ne deriva che il relativo provvedimento non richiede l’indicazione nè del nominativo del soggetto delegato, nè della durata della delega, che pertanto può avvenire mediante ordini di servizio che individuino l’impiegato legittimato alla firma mediante l’indicazione della qualifica rivestita, idonea a consentire, “ex post”, la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto”.

La sentenza impugnata, negando validità alla delega priva del nominativo del soggetto delegato, non risulta conforme alla menzionata pronuncia di questa Corte. Ed infatti, dall’esame del fascicolo di merito è emerso che in esso è versata la delega n. 30 del 2013 – “proroga delle deleghe di firma” – che conferma le deleghe precedentemente conferite con la Disp. di servizio n. 17 del 2012, dal direttore provinciale B.M., al funzionario P.R.M., firmataria dell’avviso di accertamento de qua.

In conclusione, in accoglimento ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale Campania, in diversa composizione, la quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.
La Corte accoglie ricorso, cassa la sentenza e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2020


Molteplici inadempienze? Giustificato motivo di licenziamento

La Corte Suprema di Cassazione ha confermato la legittimità di un licenziamento per giustificato motivo soggettivo irrogato al dipendente di una Srl a cui erano state contestate plurime inadempienze e trascuratezze circa le proprie mansioni.
Questo, con particolare riferimento alle modalità di redazione del piano finanziario della società, rientrante tra le competenze attribuite al prestatore già a decorrere dal momento della sua assunzione presso la datrice, e che, sulla base di una formazione professionale progressiva, era poi diventata la sua mansione centrale.
Dipendente non affidabile nella resa? Licenziamento per giustificato motivo soggettivo
Rispetto al primo grado, in cui era stato confermato un recesso per giusta causa, i giudici di gravame avevano ritenuto che la base giustificativa del licenziamento andasse piuttosto rinvenuta nel giustificato motivo soggettivo.
Non si verteva – aveva precisato la Corte d’appello – nell’ambito di trasgressioni incidenti sul vincolo fiduciario, tali da imporre il licenziamento per giusta causa, ma di inadempimenti rilevanti sotto il profilo di una affidabile resa lavorativa, determinate da mancanza di diligenza e impegno professionale.
Da qui il ricorso in sede di legittimità del dipendente, il quale, tra gli altri motivi, si doleva che i giudici di merito avessero posto a fondamento del licenziamento disciplinare il mancato o erroneo espletamento di una mansione che, in realtà, non gli era stata attribuita.
A suo dire, infatti, la redazione e revisione del piano finanziario aziendale aveva costituito una mansione nuova, la cui corretta esecuzione non poteva quindi essere posta a base del licenziamento disciplinare.
Motivo, questo, respinto dalla Suprema corte nella sentenza n. 13625 del 2 luglio 2020: tale doglianza – veicolata per il tramite dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. – costituiva, in realtà, una censura fattuale che mirava ad una diversa ricostruzione della fattispecie oltre che ad un’inammissibile diversa valutazione delle risultanze istruttorie di primo grado e, come tale, non poteva trovare accoglimento.


Notifiche digitali per la Pubblica Amministrazione

Inizia a prendere forma una nuova possibilità di notifica di atti della pubblica amministrazione. Dopo le basi poste dai commi 402 e 403, art. 1,L. 160/2019, con i quali è stato dato incarico alle società PagoP.a. e Sogei di realizzare la struttura informatica (oltre a stanziare i fondi necessari), il legislatore, con l’art. 26 del dl n. 76 del 16/07/2020 ha fornito le prime indicazioni sul funzionamento di una «piattaforma per la notificazione digitale degli atti della pubblica amministrazione».

Con lo stesso decreto, all’art. 24, viene inoltre disposta la proroga dell’obbligo di utilizzo dei pagamenti PagoP.a. dal 30/06/2020 al 28/02/2021 e vengono fornite le regole per l’accesso ai servizi digitali della p.a., disponendo che per usufruirne dovranno essere utilizzati i sistemi Spid e Cie, oltre all’App IO. Le medesime modalità di identificazione sono richieste per accedere alla nuova piattaforma ili cui all’alt. 26, da utilizzare per la notifica di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni della p.a., compresi gli atti per i quali non è previsto obbligo di notifica, ma escluse le notificazioni del processo (tributario compreso) e delle procedure ili espropriazione forzata.

Per quanto attiene a formazione, trasmissione, copia, duplicazione, riproduzione e validazione temporale dei documenti informatici si rimanda alle regole del Cad (dlgs 82/2005). Importante è la precisazione che l’utilizzo di tale piattaforma è facoltativo e che rappresenta una modalità alternativa alle procedure di notifica previste dalle norme vigenti, comprese quelle tributarie. Esaminando i dettagli di funzionamento della piattaforma, si parte dagli obblighi del gestore della struttura, tenuto ad assicurare la disponibilità degli atti al destinatario e a inviare allo stesso un avviso col quale si rende nota l’esistenza di un atto a lui destinato, l’identificativo univoco della notificazione (lun) e le modalità di accesso alla piattaforma per l’acquisizione del documento. L’indirizzo di recapito per tale avviso viene attinto dagli elenchi Ini-pec, Ipa e dall’indice nazionale dei domicili digitali di persone fisiche, professionisti e altri enti di diritto privato non tenuti all’iscrizione in albi, elenchi o registri professionali o nel registro delle imprese, nonché dai domicili eletti per determinati atti/affari o per la ricezione di notifiche della p.a.

Il perfezionamento della notifica avviene, per l’Amministrazione, nella data in cui il documento informatico è reso disponibile sulla piattaforma, mentre, per il destinatario, il settimo giorno successivo alla data di consegna dell’avviso di avvenuta ricezione in formato elettronico, disciplinando altre si casi di mancato recapito e di invio in formato cartaceo.
Precisazione importante per gli enti notificanti riguarda la decadenza e la prescrizione:il decreto prevede che «la messa a disposizione ai fini della notificazione del documento informatico sulla piattaforma impedisce qualsiasi decadenza dell’amministrazione e interrompe il termine di prescrizione correlato alla notificazione dell’atto,provvedimento, avviso o comunicazione» . Tocca questo argomento anche il caso di eventuale malfunzionamento della piattaforma, che ne sospende i termini.

La procedura non è però ancora fruibile in quanto si attendono i decreti attuativi.

Leggi: DECRETO-LEGGE 16 luglio 2020, n. 76 – Art. 26

 


Il giudice tributario ripristina il concetto di contradditorio

L’omessa notifica dell’impugnazione a tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado non comporta l’inammissibilità dell’appello tempestivamente prodotto nei confronti dell’altra parte; al giudice tributario il compito di integrare il contraddittorio.

Lo ha stabilito la Corte Suprema di Cassazione con la sentenza n.17061/2020 del 13 agosto.

Con questa sentenza, la cassazione ha annullato, con rinvio, una sentenza emessa dalla Ctr della Campania che aveva ritenuto inammissibile l’appello proposto dal Concessionario alla riscossione che non aveva «provato» la notifica dell’appello anche nei confronti dell’Agenzia delle entrate. Alcune Commissioni tributarie di merito, ritengono che la violazione dell’articolo 53, secondo comma, del dlgs n. 546/92 determini un vizio insanabile del gravame.

Specificamente, che l’omesso invio dell’atto di appello ad alcuni resistenti comporti l’inesistenza del rapporto processuale. L’articolo 53 del dlgs n. 546/92, infatti, al secondo comma dispone che: il ricorso in appello è proposto nelle forme di cui all’art. 20, commi 1 e 2, nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado e deve essere depositato a norma dell’art. 22, commi 1, 2 e 3. A tal proposito, i giudici di Piazza Cavour hanno rilevato che, l’assenza di prova della notifica nei confronti di un litisconsorte necessario, quanto meno sotto il profilo processuale, è idonea a determinare la nullità della notificazione e, quindi, la mancata impugnazione della sentenza della Ctp nei suoi confronti, ma non già l’inammissibilità dell’appello tempestivamente introdotto con la regolare notificazione nei confronti dell’altro litisconsorte; la mancata impugnazione nei confronti di un litisconsorte, infatti, non determina l’inammissibilità del gravame, ma impone al giudice di disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti del litisconsorte pretermesso. Da considerare, infatti, che dallo stesso articolo 53 del dlgs n. 546/92 non si deduce che l’inosservanza di questa prescrizione sia sanzionata con la nullità, precisando altresì che
«Comunque, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., nessuna nullità può essere comminata se non espressamente prevista (…)» (Cassazione, sentenza 14423/2010).


E’ inesistente la ricevuta non firmata dall’Agente Postale

In tema di notifica a mezzo posta, la ricevuta di ritorno è l’unico documento idoneo a provare la consegna; se in questo documento manca la sottoscrizione dell’agente postale la notifica è inesistente. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 17373/2020.

La vertenza riguarda il ricorso avverso un avviso di intimazione relativo a lrpef , Irap ed Iva dell’anno 2001. Impugnando l’atto, in realtà, il contribuente contestava una cartella di pagamento di cui sosteneva la mancata notificazione. Il ricorso, rigettato in primo grado, veniva accolto dalla Ctr della Puglia. Impugnando la decisione, il concessionario della riscossione palesava che la mancata sottoscrizione dell’agente postale non rendeva la notifica inesistente bensì nulla; eccepiva, pure, che la produzione di motivi nuovi in appello violava le disposizioni dell’articolo 57 del dlgs n. 546/92. I giudici della Corte Suprema di Cassazione ha rigettato il ricorso erariale e confermato la decisione del collegio regionale. «Dalla lettura degli atti processuali», osserva la Corte, «risulta che il concessionario della riscossione depositò la memoria di costituzione in giudizio di primo grado, con i relativi documenti, compresa la ricevuta di ritorno, addirittura successiva mente all’udienza di discussione».

Quindi il contribuente non venne posto in condizione di formulare motivi aggiunti entro i venti giorni prima dell’udienza di trattazione. Il primo atto utile per proporre motivi aggiunti rimane, quindi, l’appello presentato dal contribuente alla Commissione regionale. Relativamente alla mancanza di sottoscrizione da parte dell’ufficiale postale, la Cassazione ha detto che la notifica è «inesistente» e come non sia nemmeno utile richiamare l’orientamento delle sezioni unite della Corte che ha limitato i casi di inesistenza della notifica. Infatti, nel caso trattato, la mancanza di sottoscrizione della ricevuta di ritorno da parte dell’ufficiale postale non consente di attribuire la paternità dell’atto ad un «soggetto qualificato» impedendo di ricondurre il vizio nell’alveo della mera nullità.Respingendo il ricorso la cassazione ha condannato il concessionario alla riscossione al pagamento delle spese di lite quantificate in 4 mila euro oltre a spese generali del 15% e accessori di legge.


L’attività svolta in malattia ritarda la guarigione? Sì al licenziamento

Spesso accade che a seguito di un’indagine investigativa il datore di lavoro scopra che il dipendente durante il periodo di assenza per malattia o infortunio svolge altre attività (lavorative e non) o che nei giorni di permesso per assistere un familiare disabile si dedichi a svariate attività, ma non a quella di assistenza. In tali casi, come può intervenire l’azienda?
Vediamo nel dettaglio le regole che bisogna seguire per non incorrere in un licenziamento illegittimo.
Svolgimento di altre attività durante le assenze per malattia: quando è legittimo il licenziamento?
È piuttosto frequente che durante i periodi di assenza dal lavoro per malattia o infortunio il dipendente si dedichi ad altre attività.
Lo stato di malattia o di infortunio di per sé non comporta l’impossibilità assoluta di svolgere qualsiasi attività, ma occorre verificare in concreto l’effettiva condizione psico-fisica del lavoratore in rapporto alla mansione, nonché la compatibilità della condotta dallo stesso tenuta durante il periodo di malattia con il regolare percorso di guarigione che non deve risultare pregiudicato.
In altre parole, è legittimo procedere al licenziamento per giusta causa per violazione degli obblighi di diligenza e correttezza solo qualora l’attività svolta in costanza di malattia o di infortunio sia incompatibile con lo stato di salute del lavoratore e idonea a pregiudicare la guarigione e il rientro in servizio del medesimo.
In casi del genere, infatti, il datore non solo è costretto a privarsi della presenza del dipendente malato o infortunato, ma rischia anche che il periodo di assenza venga prolungato dal comportamento sconsiderato e negligente del lavoratore che svolga attività incompatibili con lo stato di malattia.
Tale circostanza da sola è sufficiente a legittimare il licenziamento per giusta causa e non è necessario eventualmente dimostrare la simulazione della malattia da parte del lavoratore e, dunque, la falsità ideologica del certificato medico.
Si segnalano a tal riguardo alcuni casi in cui la Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa:
• Il caso del dipendente affetto da “dermatite acuta alle mani” che nei giorni di assenza svolgeva altra attività presso il bar “…” nei giorni di assenza (Cass. 18245/2020);
• il caso del dipendente a cui erano stati prescritti cure e riposo a seguito di un infortunio e che nei giorni di assenza dal lavoro guidava automezzi e svolgeva attività di carico/scarico di cerchi in lega per autovetture (Cass. 7641/2019);
• il caso dell’autista di pullman, a cui era imposto l’uso del collare cervicale a seguito di un infortunio in itinere, che faceva il parcheggiatore in uno stabilimento balneare (Cass. 17514/2018);
• il caso del lavoratore operato al menisco che continuava a lavorare nei campi di sua proprietà (Cass. 17636/2017);
• il caso del dipendente con distorsione alla caviglia che aveva partecipato a due partite di calcetto in un torneo amatoriale (Cass. 10647/2017);
• il caso del dipendente affetto da lombalgia che nei giorni di assenza per malattia faceva il cameriere e cassiere in un ristorante (Cass. 3067/2016);
• il caso del dipendente che durante la convalescenza per una discopatia, che aveva reso necessari due interventi chirurgici, si era recato in azienda e aveva caricato sulla sua auto alcune bombole di gas molto pesanti (Cass. 13676/2016).
Panoramica su alcuni casi di illegittimità del licenziamento
Alla luce dei principi sopra esposti sono, invece, considerati dalla giurisprudenza tendenzialmente compatibili con lo stato di malattia o di infortunio spostamenti per acquisti e commissioni, purché riferibili ad esigenze ordinarie della vita quotidiana, e prestazioni di lavoro occasionali e limitate nel tempo.
In particolare, si segnala il caso di una dipendente di un supermercato licenziata perché durante il congedo per malattia riconosciuto a causa di una tendinopatia lavorava per qualche ora al giorno come cassiera nella pasticceria del marito. La Corte ha confermato l’illegittimità del licenziamento in considerazione del carattere sporadico delle prestazioni lavorative, come tali inidonee a peggiorare lo stato di salute della lavoratrice (Cass. 13270/2018).
Analogamente è stato dichiarato illegittimo il licenziamento di un autista di camion che durante il periodo di malattia per sindrome ansioso-depressiva lavorava nella tabaccheria della moglie. Una tale attività discontinua, occasionale, completamente diversa e meno pericolosa di quella per la quale il dipendente era stato messo a riposo non era tale da determinare un rischio per la ripresa del lavoro (Cass. 30417/2017).
Si segnala, infine, la pronuncia di illegittimità del licenziamento del dipendente che durante l’assenza per malattia dovuta a contusione della spalla e del polso aveva guidato la propria autovettura e svolto in un esercizio commerciale attività di moderata intensità. Le descritte attività non erano incompatibili con la malattia considerato che la sua mansione, che consisteva nel guidare un camion con obbligo di scarico delle merci, era di gran lunga più gravosa della semplice guida di un’auto o dell’attività di vendita all’interno di un negozio (Cass. 21667/2017).
Dunque, svolgere altre attività durante le assenze dal lavoro per malattia o infortunio non è di per sé vietato, ma è necessario verificare caso per caso se tali diverse attività siano di intensità e frequenza tali da pregiudicare la guarigione e il rapido rientro in servizio. Chiaramente, se il dipendente svolge attività tali da ritardare la guarigione e il rientro a lavoro, tiene una condotta negligente che è tale da ledere la fiducia del datore. Diversamente, se le condotte tenute durante le assenze non denotano negligenza e imprudenza del dipendente, non può ritenersi leso il vincolo fiduciario.
Indebito utilizzo dei permessi per l’assistenza dei familiari disabili: un caso emblematico di abuso del diritto
Accanto ai casi in cui il dipendente durante le assenze per malattia o infortunio svolge attività incompatibili con tali status, altrettanto frequenti sono i casi in cui il lavoratore si assenta dal lavoro per fruire dei permessi ex L. 104/92 senza svolgere però attività di assistenza del familiare disabile.
L’art. 33, comma 3, L. 104/1992 attribuisce al “lavoratore dipendente che assiste persona con handicap in situazione di gravità” il diritto di fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito, coperto da contribuzione figurativa.
La funzione del permesso è, dunque, quella di garantire l’assistenza al familiare disabile che può essere prestata con modalità e forme diverse, anche attraverso lo svolgimento di incombenze amministrative, pratiche o di qualsiasi genere, purché nell’interesse del familiare assistito.
Non è assolutamente consentito utilizzare il permesso per esigenze diverse da quelle proprie della funzione cui la norma è preordinata: il beneficio, infatti, comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, sacrificio giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore e dalla coscienza sociale come meritevoli di superiore tutela. Ove il nesso causale tra assenza dal lavoro e assistenza al disabile manchi del tutto non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e, dunque, si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto. Tale abuso non solo comporta una violazione dei doveri di fedeltà, diligenza, correttezza e buona fede che incombono sul dipendente, ma integra, nei confronti dell’Ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità ed uno sviamento dell’intervento assistenziale.
Infatti, è innegabile il disvalore sociale della condotta del lavoratore che usufruisce, anche solo in parte, di permessi per l’assistenza a portatori di handicap al fine di soddisfare proprie esigenze personali. Egli, infatti, in tal modo scarica il costo di tali esigenze sulla intera collettività, in quanto i permessi sono retribuiti in via anticipata dal datore di lavoro, il quale poi viene sollevato dall’ente previdenziale del relativo onere anche ai fini contributivi. Non solo. Il dipendente disonesto “costringe il datore ad organizzare diversamente il lavoro in azienda ad ogni permesso e i propri compagni di lavoro, che lo devono sostituire, ad una maggiore penosità della prestazione lavorativa” (Cass. 23891/2018).
La nozione “ampia” di assistenza al disabile
Per poter meglio individuare i casi in cui l’uso dei permessi ex L. 104/92 sfoci nell’abuso del diritto, occorre chiarire anche cosa debba intendersi per assistenza al disabile.
La giurisprudenza ha elaborato una nozione ampia di assistenza che non può essere intesa riduttivamente come mera assistenza personale al soggetto disabile presso la sua abitazione ovvero semplice e materiale attività di accudimento dello stesso. L’assistenza comprende necessariamente anche lo svolgimento di incombenze pratiche di vario contenuto che il portatore di handicap non sia in condizione di compiere autonomamente.
In tale ottica, è stato dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa del dipendente che durante un giorno di fruizione di un permesso ex L. 104 era stato visto dagli investigatori incaricati dall’azienda mentre faceva dei prelievi al bancomat, andava a fare la spesa e incontrava un geometra per un problema di infiltrazioni nell’appartamento della madre disabile. Tutte le attività sopra descritte, pur non rientrando tra quelle di assistenza in senso stretto, erano finalizzate ad aiutare il familiare che, nelle condizioni in cui versava, non era assolutamente in grado di occuparsi di sé stesso e della casa (Cass. 23891/2018).
Analogamente è stato dichiarato illegittimo il licenziamento della lavoratrice che nelle giornate di permesso per assistere la madre disabile era stata vista uscire dall’abitazione della medesima per svolgere attività che erano comunque riconducibili in senso lato al concetto di assistenza: anche le commissioni svolte presso uffici e negozi, purché nell’interesse del familiare da accudire, costituiscono forme di assistenza a chi non è in grado di compierle autonomamente (Cass. 30676/2018).
Conclusioni
Come già ribadito non esistono “zone franche” se le condotte del dipendente ledono la fiducia dell’azienda e Furto di merce di modico valore: è legittimo il licenziamento per giusta causa, sono molteplici le condotte che possono ledere la fiducia del datore. Un dipendente che nei periodi in cui dovrebbe restare a riposo si dedica ad attività tali da danneggiare la propria salute e ritardare il rientro in servizio, è inaffidabile anche se non ha falsificato i certificati medici e anche se le altre attività svolte non sono in concorrenza con il datore. Analogamente, è inaffidabile il dipendente che abusa dei permessi ex L. 104/92 stante il disvalore sociale della condotta e il peso che tale comportamento fa ricadere sulla collettività e sull’organizzazione aziendale.


Indennità sostitutiva del pasto, importi esentasse

Le indennità corrisposte dal datore di lavoro nei casi in cui è impossibile la somministrazione di alimenti e bevande attraverso le card elettroniche, a causa della chiusura degli esercizi in lockdown da pandemia COVID-19 è esentasse. Tali importi, infatti, non concorrono alla formazione del reddito da lavoro dipendente.
A chiarirlo è l’AGENZIA DELLE ENTRATE – RISPOSTA N. 301 DEL 2 SETTEMBRE 2020.
Indennità sostitutiva del pasto, cosa dice la normativa fiscale?
L’Agenzia delle Entrate è stata interpellata da una società che, in sostituzione del servizio di mensa, erogava ai propri dipendenti 6 euro al giorno, utilizzabili per mezzo di un badge elettronico presso gli esercizi pubblici convenzionati.
Durante il periodo di blocco delle attività imposto dalle misure anti-epidemiche, per i dipendenti dell’ente non è stato possibile utilizzare il proprio badge elettronico a causa della chiusura dei locali convenzionati. A questo punto, il datore di lavoro intende erogare un’indennità sostitutiva, nella misura di 5,29 euro al giorno.
Qual è il trattamento fiscale applicabile a tale indennità sostitutiva?
Sul punto, l’Agenzia delle Entrate ricorda che l’art. 51 del TUIR, alla lettera c) del co. 2, prevede che non concorrono a formare reddito da lavoro dipendente:
• le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro, anche se avvengono per mezzo di mense gestite da terzi;
• le prestazioni sostitutive delle somministrazioni di vitto fino all’importo complessivo giornaliero di euro 4, aumentato a euro 8 nel caso in cui siano rese in forma elettronica;
• le indennità sostitutive delle somministrazioni di vitto corrisposte ai lavoratori dei cantieri edili o di altre strutture temporanee o ubicate in zone dove mancano strutture o servizi di ristorazione, fino all’importo di 5,29 euro.
Indennità sostitutiva del pasto, quando è esentasse?
Affinché l’indennità sostitutiva del pasto possa essere considerata esentasse, è necessario che concorrono contemporaneamente le seguenti condizioni:
• l’orario di lavoro comporti la pausa per il pasto;
• i lavoratori siano addetti stabilmente a una unità produttiva, intesa come sede di lavoro;
• l’ubicazione della sede non consente, nel periodo previsto per la pausa, di recarsi senza l’uso di mezzi di trasporto al più vicino luogo di ristorazione per l’utilizzo di buoni pasto.
Indennità sostitutiva del pasto, parere dell’Agenzia delle Entrate
Infine, specifica l’INPS, l’indennità sostitutiva erogata dall’ente ai dipendenti impossibilitati all’uso del badge a seguito dell’emergenza epidemiologica, è riconducibile alle indennità sostitutive delle somministrazioni di vitto corrisposte agli addetti di unità produttive ubicate in zone dove manchino strutture o servizi di ristorazione.
Le somme erogate, quindi, non concorrono alla formazione del reddito da lavoro dipendente.

Leggi anche: PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA – DECRETO N. 917 DEL 22 DICEMBRE 1986 (Tuir aggiornato al 05-02-2020)


Concorsi pubblici: illegittima la richiesta di titoli eccessivi

Il Consiglio di Stato ha ritenuto illegittima la scelta dell’amministrazione di richiedere titoli di ammissione eccessivi rispetto alla professione per cui il concorso era previsto.
In materia di concorsi pubblici, l’amministrazione ha un ampio potere discrezionale di scelta dei requisiti di ammissione e dei titoli di partecipazione.
Tale discrezionalità, tuttavia, non può tradursi in arbitrio, atteso che le scelte della P.A. devono sempre rispettare i principi che reggono l’azione amministrativa.
In tal senso, il Consiglio di Stato, Sez. VI, con la sentenza n. 6972 del 14 ottobre 2019, ha ritenuto illegittimo un bando di concorso che prevedeva dei titoli eccessivi rispetto al posto da assegnare.
Nelle procedure concorsuali sussiste il principio generale, più volte ribadito dalla giurisprudenza amministrativa, che riconosce in capo all’amministrazione indicente la procedura selettiva un potere discrezionale nell’individuazione della tipologia dei titoli richiesti per la partecipazione, da esercitare tenendo conto della professionalità e della preparazione culturale richieste per il posto da ricoprire.” (cfr., Cons. St., Sez. V, 18 ottobre 2012, n. 5351; Cons. St., Sez. VI, 3 maggio 2010, n. 2494).
In altre parole, quella che l’amministrazione esercita, nel prevedere determinati requisiti di ammissione, è una tipologia di scelta che rientra tra quelle di ampia discrezionalità spettanti alle amministrazioni.
Pertanto, la giurisprudenza ha chiarito che in assenza di una fonte normativa che stabilisca autoritativamente il titolo di studio necessario e sufficiente per concorrere alla copertura di un determinato posto o all’affidamento di un determinato incarico, la discrezionalità nell’individuazione dei requisiti per l’ammissione va esercitata tenendo conto della professionalità e della preparazione culturale richieste per il posto da ricoprire o per l’incarico da affidare, ed è sempre naturalmente suscettibile di sindacato giurisdizionale sotto i profili della illogicità, arbitrarietà e contraddittorietà (Cfr. Consiglio di Stato sez. V, 28 febbraio 2012, n. 2098).
Nelle procedure concorsuali, pertanto, occorre verificare se i criteri del bando di concorso risultino proporzionali rispetto all’oggetto della specifica procedura selettiva ed al posto da ricoprire tramite la stessa, risolvendosi altrimenti in una immotivata ed eccessiva gravosità rispetto all’interesse pubblico perseguito.


Cass. civ. Sez. VI – 2, Ord., (ud. 10-07-2020) 02-09-2020, n. 18235

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16505-2019 proposto da:

R.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati MASSIMO FASANO, GIORGIO PASCA;

– ricorrente –

e contro

PARROCCHIA NATIVITA’ DELLA BEATA VERGINE MARIA, R.C., R.L., R.M., R.F., PROURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI LECCE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 333/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 01/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE TEDESCO.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
La Corte d’appello di Lecce ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da R.G. contro sentenza di primo grado del tribunale della stessa città resa nel contraddittorio con la Parrocchia Natività della Beata Vergine Maria, R.C., R.L., R.M., R.F., con la chiamata in causa del pubblico ministero.

In particolare, la Corte d’appello di Lecce ha ritenuto tardiva l’impugnazione perchè notificata a mezzo posta elettronica alle 23:37 dell’11 aprile 2016, ultimo giorno utile ed essendosi pertanto quella stessa notificazione perfezionata, D.L. n. 179 del 2012, ex art. 16, alle ore 7:00 del giorno successivo, quando il termine per proporre appello era decorso. Nella sentenza si precisa che il termine aveva incominciato a decorrere l’11 marzo 2016 (data di notificazione della sentenza di primo grado), coincidendo quindi il trentesimo giorno con la domenica 10 aprile 2016, prorogato di diritto al successivo 11 aprile 2016.La notificazione, però, era stata eseguita a mezzo pec oltre le ore 23:00 di tale ultimo giorno, con la conseguenza sopra indicata.

R.G. propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo, con il quale si denuncia “violazione e falsa applicazione di nome di diritto per sopravvenuta illegittimità costituzionale della norma applicata, id est D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-septies convertito con modificazioni nella L. 17 dicembre 2012, n. 221”.

Il ricorso è stato fissato per la trattazione dinanzi alla sesta sezione civile della Suprema Corte su conforme proposta del relatore.

In primo luogo, si rileva che la sentenza impugnata è stata depositata il 1 aprile 2019; benchè nel ricorso si assuma che essa è stata notificata nella medesima data del 1 aprile 2019, è stata tuttavia prodotta la copia autentica di essa, senza la relazione di notificazione, come invece prescrive a pena di improcedibilità l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2. La omissione, però, non comporta la sanzione della improcedibilità del ricorso perchè, in disparte l’anomalia di una notificazione avvenuta nella stessa data della pubblicazione, il ricorso è stato notificato il 23 maggio 2019, entro i sessanta giorni dalla pubblicazione. E’ quindi applicabile il principio secondo cui pur in difetto della produzione di copia autentica della sentenza impugnata e della relata di notificazione della medesima, prescritta dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, il ricorso per cassazione deve egualmente ritenersi procedibile ove risulti, dallo stesso, che la sua notificazione si è perfezionata, dal lato del ricorrente, entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza, poichè il collegamento tra la data di pubblicazione della sentenza indicata nel ricorso e quella della notificazione del ricorso, emergente dalla relata di notificazione dello stesso, assicura comunque lo scopo, cui tende la prescrizione normativa, di consentire al giudice dell’impugnazione, sin dal momento del deposito del ricorso, di accertarne la tempestività in relazione al termine di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2″ (Cass. n. 11386/2019; n. 17066/2013).

Il ricorso è fondato.

Con sentenza n. 75/2019, depositata in data 9 aprile 2019, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-septies (conv. in L. n. 221 del 2012) “nella parte in cui prevede che la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfeziona per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anzichè al momento di generazione della predetta ricevuta”.

Consegue la tempestività dell’appello di R.G., in quanto notificato entro le ore 24:00 dell’ultimo giorno utile.

Per completezza di esame si richiama il principio secondo cui “l’efficacia retroattiva delle pronunce di accoglimento emesse dalla Corte costituzionale incontra un limite nelle situazioni consolidate per effetto di intervenute decadenze; tale limite, tuttavia, non opera quando la dichiarazione di illegittimità costituzionale investe proprio la norma che avrebbe dovuto rendere operante la decadenza” (Cass. n. 1644/2019; n. 5240/2000).

La sentenza, pertanto, deve essere cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione perchè decida sulla proposta impugnazione. La corte di rinvio liquiderà anche le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
accoglie ricorso; cassa la sentenza; rinvia alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 10 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2020


Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., (ud. 24-06-2020) 02-09-2020, n. 18245

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33460-2018 proposto da:

D.L.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OVIDIO, 32, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELLA STURDA’, rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO DI DATO;

– ricorrente –

contro

FIAT CHRYSLER AUTOMOBILES ITALY S.P.A., (già F.M.A. S.R.L.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, 19, presso lo studio degli avvocati RAFFAELE DE LUCA TAMAJO e GIORGIO FONTANA, che la rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2442/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 16/05/2019 r.g.n. 3659/2016.

Svolgimento del processo
CHE:

1. la Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 16.5.2018, respingeva il gravame proposto da D.L.V. avverso la decisione del Tribunale di Avellino che aveva rigettato la domanda del predetto, intesa ad ottenere, previa declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa irrogatogli in data 20.11.2011 dalla FIAT Chrysler Automobiles Italy s.p.a., la reintegrazione nel posto di lavoro ed il risarcimento del danno;

2. la Corte partenopea riteneva che, con riguardo ai fatti risultati incontroversi, dell’assenza del D.L. dal lavoro nei giorni 24 novembre ed 1 e 2 dicembre 2011 per motivi di salute consistenti nella “dermatite acuta alle mani” e nello svolgimento, da parte del predetto, di altra attività presso il bar Ciotola nei giorni di assenza, non poteva ritenersi realizzata la dedotta violazione del principio della immutabilità dei fatti contestati, in quanto rispetto alla contestazione originaria non si era verificata alcuna lesione del diritto di difesa del lavoratore attraverso una sostanziale immutazione del fatto addebitato, ravvisabile solo quando il quadro di riferimento fosse totalmente diverso da quello posto a fondamento della sanzione;

3. nel caso considerato, il Tribunale, secondo il giudice del gravame, aveva correttamente applicato i principi indicati laddove aveva individuato l’oggetto della contestazione nella esecuzione, da parte del lavoratore, assente dal lavoro per malattia, di un’attività lavorativa presso il bar-pasticceria della moglie, con conseguente violazione dei doveri di correttezza e buona fede imposti in costanza di malattia, finalizzati a garantire il sollecito recupero delle energie da porre a disposizione del datore di lavoro;

4. tale accertamento, a dire della Corte, non travalicava il limiti posti dalla contestazione disciplinare, avendo la società posto l’accento sull’avere il dipendente espletato attività presso terzi proprio nei giorni in cui lo stesso era stato assente dal lavoro per malattia non tanto per contestare la mancanza di giustificazione dell’assenza, quanto allo scopo di sanzionare la colpevole sottrazione del lavoratore all’obbligo della prestazione lavorativa, oltre che agli obblighi contrattuali in generale;

5. la Corte rimarcava la differenza tra la contestazione nel procedimento disciplinare ed in quello penale e rilevava che una circostanza in tanto poteva essere considerata nuova, in quanto esulasse dall’originario atto di incolpazione, ciò che non si verificava allorchè il fatto in relazione al quale il licenziamento era intimato potesse essere ricompreso nella contestazione, della quale costituiva specificazione;

6. osservava che l’istruttoria aveva pienamente confermato la sussistenza della giusta causa del licenziamento e che la patologia da cui il D.L. era risultato affetto nel periodo di assenza dal lavoro gli avrebbe imposto una condotta diversa da quella tenuta, quale emersa dalla deposizione dei testi, che avevano confermato anche che il lavoratore aveva provveduto, tra la altre incombenze, al lavaggio di stoviglie ed alla preparazione di caffè – esponendo le mani a fonte di calore – all’interno dell’esercizio commerciale gestito dalla moglie, condotta questa inidonea a garantire il recupero della propria integrità fisica nel periodo di assenza dal lavoro;

7. di tale decisione domanda la cassazione il D.L., affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, la società.

Motivi della decisione
CHE:

1. con il primo motivo, il ricorrente denunzia violazione o falsa applicazione, sotto più profili, della L. n. 300 del 1970, nonchè dell’art. 2119 c.c., censurando la inadeguata interpretazione, da parte della Corte distrettuale, delle norme richiamate, in relazione al caso concreto, per avere la stessa ritenuto, in maniera errata, che il datore di lavoro potesse risolvere il rapporto con il proprio dipendente in conseguenza della ravvisata lesione, da parte del D.L., del vincolo di fiducia posto a fondamento del rapporto di lavoro;

1.1. il ricorrente contesta l’erronea applicazione del principio sancito dalla giurisprudenza di legittimità, alla cui stregua non sussiste per il lavoratore assente per malattia un divieto assoluto di prestare, durante l’assenza, attività lavorativa in favore di terzi, purchè questa non evidenzi una simulazione di infermità, ovvero importi violazione al divieto di concorrenza, ovvero, compromettendone la guarigione, implichi inosservanza del dovere di fedeltà imposto al prestatore di lavoro; in particolare, evidenzia, come nella specie gli unici addebiti contenuti nella contestazione erano riferiti alla simulazione della malattia ed alla inattendibilità della certificazione, la cui prova, a dire dello stesso, non era stata fornita, avendo peraltro la sentenza di primo grado asseritamente negato la sussistenza di tali addebiti, per avere trovato la patologia attestata conferma nelle dichiarazioni del medico che l’aveva certificata;

1.2. osserva che quest’ultimo, escusso come teste, aveva paventato la possibilità di peggioramento della patologia dovuto all’utilizzo di solventi ed acqua, senza riferimento al caso specifico, dovendo pertanto ritenersi assente ogni prova che la dedotta attività lavorativa ulteriore prestata dal D.L. durante la malattia avesse determinato il prolungarsi dei tempi di recupero della sua integrità fisica; assume di essersi limitato a prestare un aiuto alla moglie nel bar di proprietà della stessa e che si sia realizzata anche la violazione, la falsa ed erronea applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, comma 2, dell’art. 2106 c.c. e della L. n. 604 del 1966, art. 2 deducendo, altresì, insufficiente e/o contraddittoria motivazione, laddove la contestazione non era stata sufficientemente specifica; aggiunge che la pronunzia impugnata si è posta anche in violazione del principio di corrispondenza tra fatto contestato e fatto posto a fondamento del recesso, posto che il primo era ontologicamente diverso dal secondo;

1.3. in particolare, sostiene che il licenziamento dapprima era stato intimato paventandosi la simulazione della malattia attestata dai certificati medici inviati dal lavoratore, per poi essere trasformato, nel corso del processo di primo grado, in un licenziamento motivato dall’impossibilità di guarigione dalla malattia diagnosticata, la dermatite, per avere il D.L. svolto ulteriore attività presso il bar della moglie; nella sostanza chiarisce di addebitare alla decisione la violazione del principio di immodificabilità della contestazione, per avere il giudice del merito ritenuto possibile che al contestato svolgimento di altra attività lavorativa nel periodo di malattia, di per sè sufficiente a far presumere l’inesistenza dell’infermità a giustificazione dell’assenza e l’inattendibilità del certificato medico, potesse far seguito un successivo licenziamento motivato esclusivamente dalla simulazione di detta certificazione;

2. con il secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., assumendo che il datore di lavoro aveva omesso di fornire adeguata prova circa la incompatibilità tra l’attività extralavorativa svolta e la patologia denunziata, ivi compresa la prova della durata dell’attività extralavorativa, la gravosità dell’impegno fisico ivi profuso, la puntualità della ripresa del lavoro, l’incompatibilità dell’attività extra lavorativa svolta durante la malattia con il recupero delle normali energie psicofisiche ed anche la prova degli effettivi addebiti contestati (inattendibilità della certificazione medica) la cui sussistenza era stata anche esclusa dal giudice di primo grado; la violazione dell’art. 112 c.p.c. è riconnessa alla circostanza che la Corte d’appello si era uniformata alla decisione di primo grado affrontando la problematica relativa alla idoneità o meno del lavoro svolto a ritardare la ripresa del servizio, laddove l’argomento non era stato oggetto nè di domanda, nè di eccezione;

3. il primo motivo presenta profili di inammissibilità connessi al suo confezionamento come motivo composito, simultaneamente volto a denunciare violazione di legge e vizio di motivazione, avuto riguardo al principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (cfr. Cass. 23 giugno 2017, n. 15651; Cass. 28 settembre 2016, n. 19133; Cass. 23 settembre 2011, n. 19443 e, da ultimo Cass. 23.10.2018 n. 26874, nei termini riportati). Ciò a prescindere dalla non corretta deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 secondo il paradigma deduttivo e devolutivo prescritto dal nuovo testo di tale norma secondo le indicazioni fornite da Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439, e, prima ancora, dalla preclusione deduttiva discendente dalla sussistenza di un “doppia conforme”;

3.1. quanto alle deduzioni di violazione in diritto, vero è che la contestazione, quale riportata nel suo contenuto, è riferita principalmente all’essersi il lavoratore sottratto ai suoi obblighi contrattuali ponendo in essere una condotta illecita integrata dall’assenza dal lavoro per malattia, pur svolgendo altra attività lavorativa, e dall’essersi in tal modo sottratto all’obbligo della prestazione lavorativa, dimostrando al contempo la palese inattendibilità ed inidoneità del certificato medico inviato a giustificare le assenze indicate; tuttavia, l’addebito disciplinarmente rilevante era ritenuto nella sostanza diretto, come dal giudice del merito interpretata la contestazione – interpretazione non suscettibile di sindacato nella presente sede di legittimità ove il corrispondente vizio non sia dedotto nei modi appropriati -, non tanto a contestare la mancanza di giustificazione dell’assenza, quanto a sanzionare la sottrazione consapevole del lavoratore all’obbligo della prestazione lavorativa, oltre che agli obblighi contrattuali in genere;

3.2. ciò è, d’altronde, conforme a quanto reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, configura la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, nonchè dei doveri generali di correttezza e buona fede, oltre che nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia, di per sè, sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio “ex ante” in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio (cfr., tra le altre, Cass. 19.10.2018 n. 26496, Cass. 27.4.2017 n. 1041);

3.3. questa Corte ha ulteriormente precisato che “Lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia è idonea a giustificare il recesso del datore di lavoro per violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà”… “ferma restando la necessità che, nella contestazione dell’addebito, emerga con chiarezza il profilo fattuale, così da consentire una adeguata difesa da parte del lavoratore” (Cass. 5.8.2014 n. 17625): il principio enunciato, cui si ricollega anche la censura riferita alla violazione del principio di immutabilità della contestazione, è quello posto a presidio del diritto di difesa, sul rispetto del quale la Corte distrettuale ha ampiamente motivato;

3.4. il giudice del gravame ha, invero, interpretato la lettera di contestazione nel senso che la società “ha sempre posto l’accento sul fatto che il dipendente abbia espletato attività presso i terzi proprio nei giorni in cui era assente dal lavoro per malattia non tanto al fine di contestare la mancanza di giustificazione dell’assenza (sulla quale la parte datoriale ha solo gettato velati dubbi), quanto allo scopo di sanzionare la consapevole sottrazione del lavoratore all’obbligo della prestazione lavorativa, oltre che agli obblighi contrattuali in generale”, e nessuna censura all’interpretazione fornita dalla Corte distrettuale è prospettata nel motivo di ricorso, in modo idoneo a scalfire la valutazione posta a sostegno del decisum, che, al contrario, si rivela coerente con una corretta applicazione dei principi di diritto su richiamati;

3.5. il principio di necessaria corrispondenza tra addebito contestato e addebito posto a fondamento della sanzione disciplinare, che vieta di infliggere un licenziamento sulla base di fatti diversi da quelli contestati, consente di ritenere realizzata la relativa violazione solo qualora il datore di lavoro alleghi, nel corso del giudizio, circostanze nuove che, in violazione del diritto di difesa, implichino una diversa valutazione dei fatti addebitati, salvo si tratti di circostanze confermative, in relazione alle quali il lavoratore possa agevolmente controdedurre, ovvero che non modifichino il quadro generale della contestazione (cfr. Cass. 25.3.2019 n. 8293, v. anche Cass. 10.11.2017 n. 26678);

3.6. su altro versante, deve ugualmente ritenersi esente dalle censure prospettate la decisione della Corte territoriale laddove, muovendo da un corretto principio di diritto, ha ritenuto che il lavoratore assente per malattia, che quindi legittimamente non effettua la prestazione lavorativa, non per ciò solo deve astenersi da ogni altra attività, essendo l’unico limite rappresentato dalla necessaria compatibilità di tale attività con lo stato di malattia e dalla sua conformità all’obbligo di correttezza e buona fede, gravante sul lavoratore, di adottare ogni cautela idonea perchè cessi lo stato di malattia con conseguente recupero dell’idoneità al lavoro; in proposito questa Corte ha affermato che l’espletamento di altra attività, lavorativa ed extralavorativa, da parte del lavoratore durante lo stato di malattia è idoneo a violare i doveri contrattuali di correttezza e buona fede nell’adempimento dell’obbligazione e a giustificare il recesso del datore di lavoro (solo) laddove si riscontri che l’attività espletata costituisca indice di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione (cfr. Cass. 5 agosto 2014 n. 17625, Cass. 21 aprile 2009, n. 9474);

3.7. l’accertamento peritale richiamato nella sentenza impugnata ha consentito alla Corte territoriale di verificare, attraverso una valutazione rimessa al suo insindacabile giudizio, che i tempi di recupero dalla malattia diagnosticata al dipendente erano stati pregiudicati dal comportamento del D.L., il quale aveva lavato le stoviglie e preparato caffè e ciò, differentemente da quanto assume il ricorrente, con riferimento al caso concreto e non ad un parere espresso in astratto;

4. con riguardo al secondo motivo di ricorso, indipendentemente dall’adesione al principio, affermato dal ricorrente, secondo cui, in materia di licenziamento per giusta causa, grava sul datore di lavoro l’onere della prova che lo svolgimento da parte del lavoratore di un’attività extralavorativa durante lo stato di malattia ha inciso in termini negativi sulla propria salute ed in termini di ritardata guarigione, contrastando con gli obblighi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del rapporto di lavoro (v. Cass. 1173/2018 cit., e Cass. 21.3.2011 n. 6375), è sufficiente riportarsi all’insegnamento di questa Corte secondo cui il principio generale di riparto dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 c.c. deve essere contemperato con il principio di acquisizione probatoria, che trova fondamento nella costituzionalizzazione del principio del giusto processo, con la conseguenza che anche il principio dispositivo delle prove… va inteso in modo differente, traducendosi nel dovere del giudice di pronunciare nel merito della causa sulla base del materiale probatorio ritualmente acquisito – da qualunque parte processuale provenga – con una valutazione non atomistica ma globale nel quadro di una indagine unitaria ed organica, suscettibile di sindacato, in sede di legittimità, per vizi di motivazione e, ove ne ricorrano gli estremi, per scorretta applicazione delle norme riguardanti l’acquisizione della prova (cfr. Cass. 14.7.2017 n. 17598, Cass. 25.9.2013 n. 21909);

4.1. nella specie, la sentenza ha accertato, sulla base dell’istruttoria espletata, che il D.L. si era dedicato durante l’assenza dal lavoro ad un’attività lavorativa assolutamente sconsigliata, idonea ad aggravare la patologia, senza adottare alcuna misura precauzionale, avuto riguardo al certificato medico rilasciato dal Dott. D.P., che, escusso come teste, ha affermato che sia l’utilizzo di acqua durante il lavaggio di stoviglie, sia l’esposizione a fonti di calore per la preparazione di bevande calde erano inopportune in presenza della dermatite alle mani e che ciò rappresentava, secondo la Corte distrettuale, una condotta inidonea a garantire il recupero, da parte del lavoratore, della propria integrità fisica;

4.2. sulla dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., è sufficiente il richiamo a Cass. 21.11.2013 n. 26290, secondo cui non può ritenersi estraneo al giudizio vertente sul corretto adempimento dei doveri di buona fede e correttezza gravanti sul lavoratore un comportamento che, inerente ad attività extralavorativa, denoti l’inosservanza di doveri di cura e di non ritardata guarigione, oltre ad essere dimostrativa dell’inidoneità dello stato di malattia ad impedire comunque l’espletamento di un’attività ludica o lavorativa;

4.3. la censura va pertanto disattesa, dovendo, più in generale, osservarsi che il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri uno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (“petitum” e “causa petendi”), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell’ambito della domanda o delle richieste delle parti: ne deriva che non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che esamini una questione non espressamente formulata, tutte le volte che questa debba ritenersi tacitamente proposta, in quanto in rapporto di necessaria connessione con quelle espressamente formulate (cfr., tra le altre, da ultimo, Cass. 3.7.2019 n. 17897);

5. alla stregua delle esposte considerazioni, il ricorso deve essere complessivamente respinto;

6. le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo;

7. sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, citato D.P.R., ove dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 24 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2020


Valida la notifica P.E.C. di un’ordinanza priva di firma digitale

In applicazione dell’art. 16 bis, comma 9 bis, del d.l. n. 179 del 2012, conv. in l. n. 221 del 2012, non è necessaria la presenza della firma digitale del cancelliere sulla copia del provvedimento comunicato via P.E.C. alle parti.
Questo il principio ripreso dalla Corte di Cassazione, I sez. civ., con sentenza n. 93 del 07.01.2020.
La vicenda nasce dalla sentenza con la quale il Tribunale aveva rigettato la domanda proposta da un cittadino straniero tesa ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. L’ordinanza di rigetto veniva comunicata dalla cancelleria a mezzo P.E.C..
Avverso la suddetta ordinanza veniva proposto appello da parte dell’originario ricorrente, che veniva dichiarato inammissibile dalla Corte di Appello per tardività, in quanto proposto oltre i trenta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza.
Pertanto, aveva proposto ricorso in Cassazione, deducendo la nullità della sentenza in quanto la stessa era priva della firma digitale del cancelliere e di conseguenza l’appello era proponibile entro il termine di sei mesi ai sensi dell’art. 327 c.p.c. non essendo applicabile il termine breve di trenta giorni.
La Corte di Cassazione ha ritenuto valida la sentenza comunicata a mezzo P.E.C. dalla Cancelleria priva della firma digitale del cancelliere, ai fini della decorrenza del termine breve per proporre appello. In tal senso, è stato richiamato il principio affermato con la sentenza n. 26479/2017 secondo la quale “ai sensi dell’art. 16 bis, comma 9 bis, del d.l. n. 179 del 2012, conv. in l. n. 221 del 2012, nel testo “ratione temporis” vigente, le copie informatiche del fascicolo digitale equivalgono all’originale, anche se prive della firma del cancelliere, ai sensi dell’art. 16 bis, comma 9 bis, del d.l. n. 179 del 2012, conv. in l. n. 221 del 2012, nel testo “ratione temporis” vigente, disposizione applicabile a tutti gli atti digitalizzati, come si desume dal tenore letterale della norma, riferito all’intero contenuto del fascicolo informatico”.
La Corte di Cassazione ha quindi rigettato il ricorso.