Notifiche atti giudiziari: dal 23 settembre solo con nuovi moduli

Poste Italiane informa di aver predisposto i nuovi modelli di buste e moduli per la notifica degli atti giudiziari. Dal 23 settembre la vecchia modulistica non sarà più accettata
Dal 23 settembre al via i nuovi modelli di buste e moduli per la notifica degli atti giudiziari a mezzo posta. Lo rendono noto Poste Italiane e il ministero della giustizia (con le comunicazioni sotto allegate).
I vecchi modelli potranno essere utilizzati fino al 22 settembre 2020, termine del periodo transitorio di adeguamento fissato dall’AGCOM (con delibera 155/19/CONS del 8 maggio 2019).
Niente rimborsi per moduli non utilizzati
Poste rammenta, inoltre, che i quantitativi di moduli non utilizzati non saranno rimborsati o sostituiti con i nuovi modelli e invita pertanto i clienti in possesso di autorizzazione alla stampa in proprio/omologazione di Atti Giudiziari, a provvedere all’allineamento della loro produzione alle nuove Specifiche tecniche. Ovvero, in alternativa ad acquistare i moduli, compilando apposito format, attraverso il servizio “vendita stampati” disponibile sul sito delle Poste Italiane. 
No a modulistica non conforme dal 23 settembre
Per cui, a partire dal 23 settembre 2020, conclude la società “i clienti che presenteranno all’accettazione modulistica non conforme alle specifiche tecniche di cui sopra e quindi alla citata Delibera, a norma dell’art. 3 della l. 890/1982, saranno invitati a riconfezionare la spedizione utilizzando la modulistica conforme”.
In caso di diniego, le spedizioni saranno accettate sotto la responsabilità del cliente e senza pregiudizio per la Società.


Notifica nulla se non si prova di aver cercato il destinatario irreperibile

Il Giudice di Pace di Terracina rammenta come, per la notifica ex art. 143 c.p.c., sia necessario dimostrare una ricerca fattiva del domicilio, attività che andrà attestata o documentata
È nulla la notifica della multa ex art. 143 c.p.c. qualora sia mancata una ricerca fattiva del domicilio del destinatario, secondo canoni di normale diligenza e buona fede, e neppure tale attività sia stata attestata o documentata. Ciò impedisce di cristallizzare il verbale in titolo esecutivo. Il notificante, infatti, è tenuto a conformare la propria condotta all’ordinaria diligenza per vincere l’ignoranza in cui versi circa la residenza, il domicilio o la dimora del notificando.
Lo ha rammentato il Giudice di Pace di Terracina nella sentenza n. 80/2020 (sotto riportata) pronunciandosi sull’opposizione contro una cartella esattoriale di pagamento. L’opponente riteneva non si fosse legittimamente cristallizzato in titolo esecutivo il verbale elevato dalla Polizia locale in quanto la notifica ex art. 143 c.p.c. sarebbe stata nulla.
Una doglianza condivisa dal magistrato onorario il quale precisa che, per notificare un atto ai sensi dell’art. 143 c.p.c. è necessario che sia dimostrata una ricerca fattiva del domicilio e che tale attività di ricerca sia attestata o documentata.
Nel caso di specie, evidenzia il giudice, sarebbe stata sufficiente una semplice e rapida consultazione dei dati dell’ufficio anagrafe del comune di residenza risultante per venire a conoscenza dell’indirizzo di trasferimento dell’opponente.
In pratica, il Comune opposto non ha conformato la propria condotta all’ordinaria diligenza (Cass. ord. n. 19012/2017) e da ciò consegue un abuso della procedura di notificazione che risulta illegittima e affetta dal vizio della nullità. Questo rappresenta un ostacolo insormontabile al mutamento in titolo esecutivo del verbale oggetto della notifica viziata.
Si tratta di una decisione che si conforma a quanto chiarito dalla giurisprudenza di legittimità in diverse occasioni. Per i giudici del Palazzaccio, in tema di notificazione ex art. 143 c.p.c., l’ufficiale giudiziario, ove non abbia rinvenuto il destinatario nel luogo di residenza risultante dal certificato anagrafico, è tenuto a svolgere ogni ulteriore ricerca e indagine dandone conto nella relata, dovendo ritenersi, in difetto, la nullità della notificazione (Cass., ord. n. 9793/2019).
Alla stregua di tale principio, la Suprema Corte ha ritenuto nulla la notificazione ex art. 143 c.p.c. che l’ufficiale giudiziario abbia completato limitandosi al riscontro dell’assenza del destinatario nel luogo risultante dal certificato anagrafico senza fornire indicazione di alcuna ulteriore ricerca svolta (Cass. n. 8638/2017). Indagini e ricerche che possono sostanziarsi in verifiche presso l’ufficio anagrafe o, addirittura, semplicemente nella raccolta, da parte di altri residenti o vicini di casa di informazioni negative circa la reperibilità in quel luogo del destinatario dell’atto.
Tra l’altro, la Suprema Corte ha chiarito che “la relata di notificazione fa fede, fino a querela di falso, circa le attestazioni che riguardano l’attività svolta dall’ufficiale giudiziario procedente e limitatamente ai soli elementi positivi di essa, mentre non sono assistite da pubblica fede le attestazioni negative, come l’ignoranza circa la nuova residenza del destinatario della notificazione”.

Leggi: Giudice di Pace di Terracina 2020


Accertamento, la notifica dell’atto guarda alla data della proroga

Secondo la circolare 25/E/2020 dell’Agenzia delle Entrate non è prevista alcuna proroga della decadenza di un anno per il contraddittorio preventivo, se il termine è già posticipato oltre il 31 dicembre 2020.
Decreto Rilancio, la circolare multiquesito n. 25/E dell’Agenzia delle Entrate, pubblicata il 20 agosto 2020, fornisce ulteriori chiarimenti sulle novità introdotte. Dal bonus per le partite IVA fino alla sospensione delle scadenze fiscali, ecco le risposte principali ai dubbi di imprese ed intermediari.
Alcune delle novità contenute nella circolare n. 25/E arrivano ormai fuori tempo massimo; è il caso, ad esempio, dei chiarimenti sui contributi a fondo perduto, considerando che la scadenza per fare domanda era fissata al 13 agosto 2020.
Tra i punti contenuti nella circolare n. 25/E dell’Agenzia delle Entrate, ampio spazio è dedicato alla sospensione delle scadenze relative alla riscossione, così come ai crediti d’imposta introdotti dal decreto Rilancio, dal bonus sanificazione fino a cessione e sconto in fattura previsti per i bonus casa 2020.
Il documento di prassi risponde ai quesiti presentati dalle associazioni di categoria, da operatori e altri contribuenti sulle norme contenute nel Decreto Rilancio, approvato il 19 maggio scorso e convertito in legge lo scorso 17 luglio 2020.
Dal taglio dell’IRAP, al contributo a fondo perduto, fino ad arrivare alla sospensione dei termini processuali e le spese di sanificazione degli ambienti di lavoro.
Tra le novità da evidenziare, per quel che riguarda il bonus per la sanificazione degli ambienti di lavoro, in scadenza il 7 settembre 2020, viene chiarito che restano fuori dal credito d’imposta le spese sostenute per l’ordinaria pulizia dei condizionatori.
Concorre, invece, al calcolo del credito d’imposta riconosciuto la pulizia effettuata per aumentare la capacità filtrante del ricircolo, ad esempio sostituendo i filtri esistenti con altri di classe superiore.
Per la corretta individuazione delle spese rientranti nel credito d’imposta, saranno gli operatori della sanificazione a dover predisporre una certificazione che attesti che le attività effettuate siano in linea con le indicazioni contenute nei Protocolli di regolamentazione, e che quindi siano finalizzate ad eliminare o ridurre la presenza del virus che ha determinato l’emergenza Covid-19.
Il bonus per la sanificazione degli ambienti di lavoro è soltanto uno dei temi trattati nella circolare n. 25 dell’Agenzia delle Entrate.
Tra gli ulteriori chiarimenti forniti, viene specificato che il bonus sugli affitti commerciali spetta anche a chi esercita attività di B&B con partita IVA, in relazione al canone di locazione corrisposto al proprietario, ed anche se l’immobile sia ad uso residenziale e non commerciale.
Per l’individuazione degli affitti ammissibili al credito d’imposta rileva che l’immobile sia strumentale all’attività svolta in via imprenditoriale.

Leggi: Circolare_n._25_20_08_2020


È il destinatario a dover dimostrare che il plico notificato era vuoto

Se l’atto è stato regolarmente consegnato, l’agente della riscossione non deve né fornire prove sul contenuto della raccomandata né depositare l’originale o la copia integrale della cartella recapitata
In caso di notifica di cartella di pagamento mediante raccomandata, la consegna del plico al domicilio del destinatario risultante dall’avviso di ricevimento fa presumere, in conformità al principio di “vicinanza della prova”, la conoscenza dell’atto da parte del destinatario, il quale, ove deduca che il plico non conteneva alcun atto o che lo stesso era diverso da quello che si assume spedito, è onerato della relativa prova.
Questo il principio affermato dalle due ordinanze della Corte di Cassazione n. 14935 e n. 14941 del 14 luglio scorso, ove la Corte ha altresì confermato che, in caso di contestazioni, neppure grava sull’agente della riscossione l’onere di depositare l’originale o la copia integrale della cartella.
Le vicende processuali
Nel caso di cui all’ordinanza n. 14935, la Commissione tributaria regionale della Campania (sentenza n. 6120/22/2018) aveva confermato la pronuncia di prime cure che aveva accolto il ricorso proposto da un contribuente avverso una cartella di pagamento inviata a mezzo del servizio postale con plico raccomandato.
Nello specifico, la Ctr osservava che, nonostante la contestazione mossa dal contribuente, l’agente della riscossione non aveva assolto all’onere, asseritamente gravante sul mittente, di provare il contenuto del plico raccomandato.
Questa statuizione veniva censurata dall’agente in sede di legittimità.
Analogamente, nella seconda fattispecie, il giudice di appello (Ctr Piemonte, sentenza n. 1526/7/2018) aveva concluso per l’irregolarità della notifica della cartella impugnata, rilevando che “non vi è alcun documento che provi il collegamento tra la fotocopia della spedizione e ricevuta della raccomandata e le cartelle apparentemente notificate… Non vi è poi regolare attestazione di notifica da parte dell’ufficiale postale notificante perché non vi è indicazione della qualifica del firmatario della ricevuta o dell’ufficiale postale notificante”.
Nel ricorso dinanzi al Collegio di legittimità, la sentenza impugnata veniva censurata laddove aveva ritenuto necessaria, per la validità della notifica, la produzione delle cartelle di pagamento nella loro integralità, nonché l’indicazione sull’avviso di ricevimento della qualifica del firmatario.
Le pronunce della Corte
Entrambi i ricorsi dell’agente della riscossione sono stati accolti.
Sul punto controverso, l’ordinanza n. 14935 precisa che, dopo talune oscillazioni, si è ormai consolidato l’orientamento per il quale, in caso di notifica di cartella di pagamento mediante raccomandata, la consegna del plico al domicilio del destinatario risultante dall’avviso di ricevimento “fa presumere, ai sensi dell’art. 1335 c.c., in conformità al principio di cd. vicinanza della prova, la conoscenza dell’atto da parte del destinatario, il quale, ove deduca che il plico non conteneva alcun atto o che lo stesso era diverso da quello che si assume spedito, è onerato della relativa prova”.
Identica statuizione si rinviene nell’ordinanza n. 14941, ove in aggiunta viene altresì ricordato che l’eccezione sulla regolarità della notifica di una cartella di pagamento può essere superata da parte dell’agente della riscossione producendo copia della stessa, “senza che abbia l’onere di depositarne né l’originale …, né la copia integrale, non essendovi alcuna norma che lo imponga o che ne sanzioni l’omissione con la nullità della stessa o della sua notifica”.
Osservazioni
La disciplina della notificazione della cartella di pagamento, ma in generale anche quella degli atti tributari, prevede che la fase finalizzata a portare legalmente a conoscenza del destinatario l’atto che lo riguarda possa essere realizzata, oltre che tramite agente notificatore il quale si reca personalmente presso il recapito dell’interessato per effettuare la consegna, anche attraverso la spedizione del documento in busta chiusa a mezzo raccomandata postale con avviso di ricevimento.
Questa possibilità, relativamente alla cartella, è prevista dall’articolo 26 del Dpr n. 602/1973 che, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, consente all’agente della riscossione di procedervi anche in via diretta, ovvero senza intermediazione di un agente notificatore qualificato, fattispecie in cui dunque si applica la disciplina delle raccomandate “ordinarie”, anziché quella delle raccomandate “per atti giudiziari” di cui alla legge n. 890/1982 (da ultimo, Cassazione, pronunce nn. 11311, 10954, 10585, 9429, tutte del 2020).
Laddove, in sede giurisdizionale, l’interessato, pur riconoscendo di essere stato destinatario di una notificazione postale, adduca, ad esempio, che la busta ricevuta era vuota oppure che la stessa conteneva dei fogli bianchi o, comunque, un atto diverso da quello che il mittente afferma spedito, si pone il problema di stabilire su quale dei soggetti del rapporto controverso debba gravare la relativa prova.
Al riguardo, appare in via di progressivo consolidamento l’orientamento secondo il quale incombe sul destinatario dell’atto notificato in via diretta a mezzo del servizio postale, che non contesti l’avvenuta ricezione, ma deduca che la busta recapitata era priva di contenuto, l’onere di dimostrare le proprie asserzioni.
Questa regola, confermata dalle ordinanze in commento, è stata già espressa tra le altre dalle pronunce della Corte di Cassazione nn. 28528/2019, 33563/2018 e 16528/2018.
In particolare, nell’ultima pronuncia richiamata, si legge che la riferita conclusione si giustifica in ragione del principio generale “di vicinanza della prova”, considerato che “la sfera di conoscibilità del mittente incontra limiti oggettivi nella fase successiva alla consegna del plico per la spedizione, mentre la sfera di conoscibilità del destinatario si incentra proprio nella fase finale della ricezione, ben potendo egli dimostrare (ed essendone perciò onerato)… che al momento dell’apertura il plico era in realtà privo di contenuto” (questa affermazione si rinviene in seguito, tra le altre, in Cassazione, nn. 6562/2020, 30787/2019 e 23706/2019).


Violenza in coppia stabile è maltrattamento in famiglia

Le vessazioni tra persone che hanno un rapporto consolidato equivalgono a quelle tra sposati
Violenza in coppia stabile è maltrattamento in famiglia (Cassazione 40727/2009)
Le vessazioni e le violenze sul partner sono sempre da considerarsi maltrattamenti in famiglia tutelati dalla legge penale purché si tratti di coppie stabili anche se non sposate o conviventi.
Lo ha stabilito la Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione confermando una sentenza della Corte di Appello di Cagliari che aveva condannato un signore per il reato di maltrattamenti in famiglia nei confronti della compagna.

La Suprema Corte, respingendo il ricorso dell’imputato contro la sentenza di appello, ha affermato che “ai fini della configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia, non assume alcun rilievo la circostanza che l’azione delittuosa sia commessa ai danni di una persona convivente “more uxorio”, atteso che il richiamo contenuto nell’art. 572 del codice penale. alla “famiglia” deve intendersi riferito ad ogni consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo”.

La sentenza costituisce un ulteriore passo in avanti in materia di tutela della c.d. “famiglia di fatto”, cioè delle unioni tra soggetti non uniti dal vincolo del matrimonio. È utile ripercorrerne brevemente le tappe.

A differenza che in campo civile, nel quale le coppie di fatto non sono pienamente equiparate a quelle unite in matrimonio, con la sola eccezione per quanto riguarda i figli naturali, nel diritto penale la nozione di famiglia deve considerarsi più estesa, giungendo a ricomprendere anche le coppie stabili conviventi, come del reato espressamente previsto dalla norma incriminatrice prevista dall’art. 572 del codice penale, che punisce “chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte”. A tale evoluzione ha contribuito la Corte di Cassazione, estendendo la tutela penale a tutti i soggetti conviventi, anche se non “more uxorio”, compresi quindi i conviventi per ragioni di lavoro o di cortesia (ad es. i domestici). Pertanto risponde del reato di maltrattamenti in famiglia chiunque tenga comportamenti molesti o vessatori nei confronti di un soggetto convivente, sia esso partner, figlio o ospite convivente.

La sentenza odierna compie un passo ulteriore, richiamando l’orientamento giurisprudenziale più recente, che arriva a comprendere anche i soggetti non conviventi, purché tra di essi, per strette relazioni e consuetudini di vita, “siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo”. La Corte di Cassazione introduce, quindi, nella tutela penale dai maltrattamenti un ulteriore elemento, quello della stabilità del rapporto. Famiglia è pertanto l’unione coniugale, l’unione civile o di fatto ma anche l’unione caratterizzata dalla stabilità.
Coppie sempre da tutelare penalmente, dunque, purché siano stabili.


Cartella esattoriale, notifica nulla se effettuata con PEC non presente in pubblici elenchi

La Commissione Tributaria Provinciale di Perugia, con sentenza n. 379/19 (testo in calce), depositata in data 26 agosto 2019, ha sancito che è “nulla la notifica della cartella esattoriale” dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione, laddove provenga “da un indirizzo PEC diverso da quello contenuto nei pubblici registri”.
I fatti del processo
Il contenzioso tributario in commento nasceva dall’impugnazione, da parte del contribuente, di un atto di pignoramento presso terzi (art. 72-ter, D.P.R. n. 602/1973[1]), nonché di un atto di intervento all’interno della stessa procedura esecutiva, a mente dei quali veniva sottoposto ad esecuzione forzata la somma di €. 240.000,00, a titolo di debiti tributari, relativa alla presunta notifica di cartelle esattoriali imputate alla società debitrice.
Sul punto, il ricorrente, nel proprio atto introduttivo, lamentava – tra i vari spunti difensivi volti ad annullare la pretesa erariale – anche l’omessa notificazione delle cartelle esattoriali richiamate negli atti esecutivi ricevuti e chiedeva al Collegio l’annullamento del debito erariale[2].
Il punto centrale della difesa del contribuente
Il ricorrente, dunque, al fine di annullare integralmente il debito erariale – nelle more del giudizio – rilevava che la notifica delle cartelle esattoriali era insanabilmente viziata (nella forma giuridica della nullità), in quanto l’Ente della Riscossione, in qualità di soggetto notificante, non aveva utilizzato la PEC attribuita all’Agenzia delle Entrate – Riscossione, presente nell’elenco ufficiale “IPA” (Indice delle Pubbliche Amministrazioni[3]), ossia protocollo@pec.agenziariscossione.gov.it, bensì un irrituale ed ignoto indirizzo[4].
Sul punto, in tema di notifica a mezzo PEC, l’art. 26, D.P.R. n. 602/73, l’art. 16-ter del D.L. 179/2012, convertito in Legge n. 221/2012 recita testualmente: “a decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 4 e 16, comma 12, del presente decreto”, ovvero “IPA”, “Reginde”, “Inipec”.
Orbene: la verifica, effettuata dal ricorrente, in relazione all’indirizzo di Posta Certificata dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione, evidenziava che all’esattore notificante era stato assegnato un indirizzo PEC differente, rispetto a quello utilizzato nelle notifiche in contestazione.
Sulla scorta di tali notizie, emergeva la considerazione che l’indirizzo PEC in commento, ossia protocollo@pec.agenziariscossione.gov.it era l’unico valido e pertanto utilizzabile legittimamente dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione per scopi notificatori con validità legale delle cartelle esattoriali tributarie.
Per cui, dall’analisi dei documenti versati in atti dall’esattore nel corso del giudizio, di contro, si evinceva che le cartelle di pagamento (impugnate contestualmente agli atti di pignoramento) erano state trasmesse da un indirizzo PEC diverso da quello contenuto nel mentovato pubblico registro, il tutto in palese violazione della richiamata normativa[5].
Alla luce di quanto sopra esposto, il ricorrente insisteva affinché la Commissione Tributaria Provinciale di Perugia accertasse l’illegittimità del procedimento di notifica delle cartelle di pagamento impugnate.
L’indirizzo PEC del notificante non proviene dagli Elenchi Pubblici: la notifica è viziata ed insanabile (Cass., ord. n. 17346/2019)
In materia di notifica di atti civili, la Suprema Corte, con la recente ordinanza n. 17346/2019, aveva osservato che la notifica effettuata con modalità telematiche è da considerarsi viziata, se il notificante utilizza il proprio “indirizzo di posta elettronica certificata” non risultante da pubblichi elenchi, a mente dell’art. 3-bis, Legge n. 53/1994.
Nel contenzioso in parola la parte processuale (ricorrente) “aveva fatto la notificazione utilizzando un indirizzo non risultante dai predetti elenchi”.
Sul punto il contribuente, richiamando “una serie di pronunce e orientamenti […] finalizzati a chiarire la questione”, insisteva affinché venisse accertata la validità della notifica; in breve, secondo la tesi difensiva della parte privata, l’elemento dirimente era che la notifica pec “giunga a compimento”, giacché “il meccanismo telematico” possa garantire la “certezza della procedura di recapito”.
I giudici della S.C. (Consigliere Relatore, Dott. Francesco Terrusi), dichiarando inammissibile il ricorso, hanno censurato la condotta notificatoria del ricorrente, il quale non ha “specificato come sia stata in concreto eseguita la notificazione […] in ordine all’effettuazione ad un indirizzo non risultante dai predetti elenchi”.
A ben vedere, secondo la difesa del contribuente, tale principio “civilistico” meritava legittimo ingresso anche all’interno delle notifiche tributarie, poiché la casella PEC di destinazione di un atto (civile o tributario) è fondamentale al pari di quella del mittente, il quale è onerato da utilizzare un proprio indirizzo PEC presente nei pubblici registri, pena la nullità della stessa notifica[6].
La decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Perugia
Ritornando alla disamina della sentenza tributaria in commento, i giudici perugini hanno dunque accolto il ricorso del contribuente, accertando l’illegittimità del debito erariale imputato al cittadino, giacché la casella PEC, adoperata dall’Ente della Riscossione in sede di notifica delle cartelle esattoriali, è collegata ad “un soggetto che non si conosce, e cioè da un indirizzo PEC diverso da quello contenuto nei pubblici registri”.
In effetti, proseguono i giudici di prime cure, “l’art. 26, D.P.R. n. 602/1973, l’art. 16-ter del D.L. 179/2012, recita testualmente: ‘a decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti […] si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 4 e 16, comma 12, del presente decreto”, ovvero “IPA”, “Reginde”, “Inipec”.
Nel caso in esame, l’Ente della Riscossione non aveva utilizzato l’indirizzo ufficiale presente in IPA (Indice delle Pubbliche Amministrazioni), ossia protocollo@pec.agenziariscossione.gov.it, bensì notifica.acc.umbria@pec.agenziariscossione.gov.it.
In conclusione, dai documenti versati in atti dall’esattore è pertanto emerso il fatto storico inconfutabile che le cartelle di pagamento erano state trasmesse da un indirizzo PEC differente da quello contenuto nel pubblico registro (IPA) per la notifica dei provvedimenti esattivi di natura tributaria; tale scenario risultava in contrasto con la richiamata normativa, pertanto le contestate notifiche erano da ritenersi prive di effetti giuridici, di conseguenza gli atti impugnati erano da ritenersi nulli.

Più di recente, tale orientamento è stato confermato anche dalla Commissione Tributaria Provinciale di Roma con la sentenza n. 2799/2020, che si è espressa con i seguenti termini: “L’eccezione sollevata dalla ricorrente, contrariamente all’assunto dell’Ufficio è fondata perché, come risulta dalla copia della notifica prodotta dalla parte, essa notifica è stata spedita da un indirizzo Pec non riconducibile all’Agenzia delle Entrate Riscossione presente nell’elenco ufficiale “IPA” (Indice delle Pubbliche Amministrazioni”), ossia protocollo@pec.agenziariscossione.gov.it, bensì un irrituale ed ignoto indirizzo ((…)).
La notifica della cartella esattoriale è insanabilmente nulla (nella forma giuridica della nullità), in quanto l’Ente della Riscossione, in qualità di soggetto notificante, non aveva utilizzato la PEC attribuita all’Agenzia delle Entrate – Riscossione.

[1] A maggior chiarezza della sentenza in commento, è opportuno precisare che i richiamati atti impugnati dalla società contribuente (l’atto di pignoramento e l’atto di intervento, unitamente ai prodromici provvedimenti), si fondano sulla mancata ed invalida previa notificazione dei titoli esecutivi.
La Suprema Corte a Sezioni Unite, come noto, ha risolto la questione concernente il riparto di giurisdizione in merito all’opposizione agli atti esecutivi, ove questi abbiano ad oggetto l’irregolarità formale della notificazione del presupposto titolo esecutivo, pronunciando il seguente principio di diritto:” in materia di esecuzione forzata tributaria, sussiste la giurisdizione del giudice tributario nel caso di opposizione agli atti esecutivi riguardante l’atto di pignoramento, che si assume viziato per l’omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento (o degli atti presupposti dal pignoramento) , ove venga impugnata anche la prodromica cartella di pagamento per vizio di notifica” (Cass. SS. UU. n. 13913/17);
[2] In materia della conoscenza effettiva di un atto amministrativo “inoltrato” al contribuente, la sentenza n. 19704/15 della Corte di Cassazione, SS. UU. ha affermato il principio del cittadino ad esercitare il proprio diritto di accesso alla tutela giurisdizionale avverso tutti quegli atti che siano stati invalidamente ed irritualmente notificati, posta la natura recettizia degli atti amministrativi, essendo del tutto irrilevante l’eventuale istanza di rateazione presentata dal contribuente e/o successivo pagamento parziale del debito a ruolo, come da insegnamento giurisprudenziale di legittimità sul punto (Cass. n. 3347/17, Cass. n. 7820/17, Cass. n. 18/18);
[3] https://www.indicepa.gov.it/documentale/index.php;
[4] Nel caso giudiziario in commento, il contribuente constatava, alla luce della produzione documentale versata in atti da parte dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione, che quest’ultima (in sede di notifica via PEC delle citate cartelle esattoriali) aveva utilizzato l’indirizzo telematico notifica.acc.umbria@pec.agenziariscossione.gov.it (non presente nell’elenco ufficiale “IPA”); da tale circostanza di fatto, il ricorrente aveva eccepito il vizio di notifica delle cartelle esattoriali impugnate contestualmente agli atti del pignoramento;
[5] Peraltro, sulla questione affrontata dai giudici perugini, il ricorrente – all’interno delle memorie illustrative – segnalava la sentenza n. 401/19 pronunciata dalla C.T.P. di Taranto, a mezzo della quale i Giudici tarantini avevano affermato che: “[…] è doveroso segnalare che la Legge in tema di notifica a mezzo PEC, dispone:
[…] b) l’indirizzo PEC del mittente e del destinatario della notifica tramite PEC dovranno essere presenti nei pubblici elenchi, come richiesto dall’art. 16 ter cit. […]
E cioè: INDICE PA, REGINDE, INI PEC.
La verifica, effettuata direttamente da questa Commissione, dell’indirizzo PEC certificato della Soget evidenzia che […] ad esso sono assegnati i seguenti indirizzi di posta elettronica certificata:
– da REGINDE: cancellerie.sogetspa@pec.it
– da INI PEC: amministrazione.sogetspa@pec.it
– da INDICE IPA: direzione.sogetspa@pec.it
l suindicati indirizzi sono pertanto gli unici validi per la Soget per scopi notificatori con validità legale.
Dai documenti versati in atti si evince che la ingiunzione è stata inviata in semplice file.pdf e da indirizzo PEC (info@sogetspa.it) diverso da quelli contenuti negli anzidetti pubblici registi, il tutto in palese violazione della innanzi richiamata normativa; in conseguenza il procedimento di notifica è inesistente o irrimediabilmente nullo e con esso anche l’ingiunzione che si assume così notificata”;
[6] Su tale questione, il contribuente – all’interno dei propri atti difensivi – eccepiva che laddove il soggetto notificante adoperi un indirizzo PEC “ignoto”, la contestata attività di notifica debba essere qualificata – in primo luogo – come giuridicamente inesistente, dunque non sanabile con l’impugnazione “diretta” della cartella esattoriale; in realtà i giudici perugini hanno inserito l’invocato vizio nella categoria delle nullità. Tale considerazione impone al difensore del contribuente un’attenta scelta circa lo strumento processuale da coltivare per la tutela dei diritti dell’interessato. In effetti, sulla scorta dell’art. 156, comma 3, c.p.c., il quale prevede che “la nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”, laddove venga impugnata direttamente la cartella esattoriale, la cui notifica è caratterizzata dal vizio in oggetto, l’impugnazione del citato provvedimento neutralizzerà irrimediabilmente l’eccezione sollevata. Per tale ragione, è indubbiamente più valido attendere l’atto successivo (intimazione di pagamento, preventiva iscrizione ipotecaria, pignoramento, etc.), al fine di contestare la notifica PEC proveniente da un indirizzo diverso da quello inserito nei pubblici registri.

Leggi: CTP PERUGIA, SENTENZA N. 379-2019


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 27-02-2020) 19-08-2020, n. 17373

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 03493/2013 R.G. proposto da Equitalia Sud s.p.a. (C.F. 11210661002), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Ivana Carso, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Antonella Fiorini, in Roma via Costabella 26. – ricorrente –

contro

C.S. (C.F. (OMISSIS)), in persona del direttore pro tempore, rappresentato e difeso da se stesso, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Paolo Panariti, in Roma via Celimontana 38. – controricorrente –

e contro

Agenzia delle Entrate (C.F. 80224030587), in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocatura generale dello Stato, elettivamente domiciliata presso i suoi uffici in Roma via dei Portoghesi 12. – resistente –

Avverso la sentenza n. 50/08/2012 della Commissione Tributaria Regionale della Puglia, depositata il giorno 15 giugno 2012.

Sentita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 27 febbraio 2020 dal Consigliere Giuseppe Fichera.

Svolgimento del processo
C.S. impugnò l’avviso di intimazione e la presupposta cartella di pagamento, notificato da Equitalia E.TR. s.p.a., per IRPEF, IRAP ed IVA, anno d’imposta 2001.

L’impugnazione venne respinta in primo grado; proposto appello da C.S., la Commissione Tributaria Regionale della Puglia, con sentenza resa il giorno 15 giugno 2012, lo accolse.

Avverso la detta sentenza, Equitalia Sud s.p.a., già Equitalia E.TR. s.p.a., ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque mezzi, cui ha risposto con controricorso C.S., mentre l’Agenzia delle Entrate ha depositato atto di costituzione in giudizio.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso Equitalia Sud s.p.a. eccepisce la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 24 e 57, poichè la commissione tributaria regionale erroneamente non ha dichiarato l’inammissibilità del motivo di appello avanzato dal C., in ordine ai vizi dell’avviso di ricevimento della notifica della cartella impugnata.

2. Con il secondo motivo lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., atteso che il giudice di appello, invece di dichiarare l’inammissibilità dei motivi di gravame, ha pronunciato sulle doglianze dell’appellante proposte tardivamente.

2.1. I due motivi, bisognosi di esame congiunto, sono entrambi infondati.

E’ noto che nel processo tributario, caratterizzato dall’introduzione della domanda nella forma dell’impugnazione dell’atto fiscale, l’indagine sul rapporto sostanziale è limitata ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell’Amministrazione, che il contribuente deve specificamente dedurre nel ricorso introduttivo di primo grado (Cass. 13/04/2017, n. 9637; Cass. 02/07/2014, n. 15051; Cass. 15/10/2013, n. 23326).

Ne consegue che il giudice deve attenersi all’esame dei vizi di invalidità dedotti in ricorso, il cui ambito può essere modificato solo con la presentazione di motivi aggiunti, ammissibile, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 24, esclusivamente in caso di “deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione”.

Ed è altrettanto pacifico che, nel giudizio tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame, previsto al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, concerne tutte le eccezioni in senso stretto, consistenti nei vizi d’invalidità dell’atto tributario o nei fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale (Cass. 29/12/2017, n. 31224).

2.2. Nella peculiare vicenda all’esame della Corte, tuttavia, dalla lettura degli atti processuali risulta che il concessionario della riscossione depositò la propria memoria di costituzione in giudizio, con i relativi documenti, compresa la relata di notifica della cartella impugnata, addirittura successivamente all’udienza di discussione D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 34, quando la causa era stata già posta in decisione dal collegio in camera di consiglio.

Dunque, è all’evidenza come il contribuente non venne posto in condizione di formulare motivi aggiunti avverso gli atti impugnati, per l’assorbente considerazione che il concessionario della riscossione depositò gli atti rilevanti, ben oltre i termini fissati per la sua costituzione in giudizio e financo per la produzione – entro venti giorni prima dell’udienza di discussione – di nuovi documenti D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 32, comma 1.

Ne discende che il primo atto difensivo con il quale il contribuente venne posto in condizione di proporre motivi aggiunti avverso l’atto impositivo impugnato, concernenti i vizi della notifica della cartella impugnata, deve individuarsi esattamente nel ricorso in appello innanzi alla commissione tributaria regionale, restando esclusa la lamentata inammissibilità dei motivi articolati nel detto atto.

3. Con il terzo motivo deduce violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 19 e 21, atteso che il giudice di merito non ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso introduttivo, poichè formulato oltre il termine di decadenza fissato dalla legge per l’impugnazione degli atti impositivi.

3.1. Il motivo è manifestamente infondato, atteso che una volta accertato il vizio – sia esso di inesistenza o di nullità – della notifica della cartella impugnata, è all’evidenza come non possa decorrere alcun termine decadenziale, avendo il contribuente il diritto di impugnare, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992 cit., art. 19, comma 3, l’atto non notificato unitamente al successivo atto effettivamente notificato.

4. Con il quarto motivo si duole del vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), in cui è incorso il giudice d’appello, avendo omesso di motivare in ordine alle ragioni che inducevano a ritenere viziato l’avviso di ricevimento relativo alla notifica della cartella impugnata.

5. Con il quinto mezzo lamenta la violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, avendo la commissione tributaria regionale ritenuto inesistente la notifica della cartella impugnata, sol perchè nell’avviso di ricevimento non era stato identificata la persona che si era ricevuto l’atto e il medesimo atto risultava altresì privo della sottoscrizione dell’agente postale.

5.1. I due motivi, connessi per il comune oggetto, sono entrambi infondati.

In tema di notificazione per mezzo del servizio postale, questa Corte ha già affermato che l’avviso di ricevimento, prescritto dall’art. 149 c.p.c., è il solo documento idoneo a provare sia la consegna, sia la data di questa, sia l’identità della persona a mani della quale la consegna è stata eseguita. Consegue che la mancanza di sottoscrizione dell’agente postale sull’avviso di ricevimento del piego raccomandato rende inesistente e non soltanto nulla la notificazione, rappresentando la sottoscrizione l’unico elemento valido a riferire la paternità dell’atto all’agente postale (Cass. 08/11/2013, n. 25138; Cass. 21/05/1992, n. 6146).

In direzione contraria non vale richiamare l’orientamento delle Sezioni Unite di questa Corte, a tenore del quale l’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento, restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa (Cass. S.U. 20/07/2016, n. 14916).

Nella vicenda in discussione, infatti, avendo il giudice di merito accertato che l’avviso di ricevimento non risultava sottoscritto dall’agente postale, non resta consentito attribuire la paternità dell’atto ad un “soggetto qualificato” e, quindi, a ricondurre il vizio della cartella nell’alveo della mera nullità.

In ogni caso, pure a ritenere che la notifica in esame fosse nulla e non invece inesistente, come sostenuto dal giudice di merito, va evidenziato che siffatta invalidità non potrebbe giammai ritenersi sanata per raggiungimento dello scopo, ex art. 156 c.p.c., essendo incontroverso che la cartella non venne impugnata dal contribuente nei termini di rito e, quindi, non potendosi comunque affermare che il plico pervenne effettivamente nella sfera di conoscenza del destinatario.

6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza tra la ricorrente e il controricorrente, mentre nulla va statuito per l’Agenzia delle Entrate, la quale non ha depositato controricorso. Sussistono i presupposti per l’applicazione nei confronti della ricorrente del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, considerato che la notifica del ricorso si è perfezionata solo in data 31 gennaio 2013 (Cass. 10 luglio 2015, n. 14515).

P.Q.M.
Respinge il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese sostenute dal controricorrente, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese generali al 15% ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2020


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 05-03-2020) 13-08-2020, n. 17061

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 163/2014 R.G. proposto da:

Equitalia Sud s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Ottaviano n. 42, presso lo studio dell’avv. Bruno Lo Giudice, rappresentato e difeso dall’avv. Michele Di Fiore giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

D.R.A., elettivamente domiciliato in Salerno, via M. Conforti n. 1, presso lo studio dell’avv. Marco Esposito, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e nei confronti di:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 269/07/13, depositata il 20 maggio 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 marzo 2020 dal Consigliere Giacomo Maria Nonno.

Svolgimento del processo
Che:

1. con la sentenza n. 269/07/13 del 20/05/2013, la Commissione tributaria regionale della Campania (di seguito CTR) dichiarava inammissibile l’appello proposto da Equitalia Sud s.p.a. avverso la sentenza n. 10/18/12 della Commissione tributaria provinciale di Napoli (di seguito CTP), che aveva accolto il ricorso di D.R.A. nei confronti di una iscrizione ipotecaria effettuata nei suoi confronti quale socio di Linea In s.r.l.;

1.1. la CTR motivava la declaratoria di inammissibilità dell’appello dell’Agente della riscossione osservando che, tenuto conto della mancata costituzione in giudizio dell’ente creditore e della mancata allegazione agli atti di causa della ricevuta di ritorno della notifica dell’appello da parte di Equitalia Sud s.p.a. all’Agenzia delle entrate, sussisteva “la violazione del contraddittorio”;

2. Equitalia Sud s.p.a. impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo;

3. D.R.A. resisteva con controricorso mentre l’Agenzia delle entrate non si costituiva in giudizio e restava, pertanto, intimata.

Motivi della decisione
Che:

1. con l’unico motivo di ricorso Equitalia Sud s.p.a. deduce la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 49 e art. 53, comma 2, nonchè dell’art. 331 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, evidenziando che la CTR, preso atto della mancanza di prova della notificazione dell’atto di appello all’Agenzia delle entrate, litisconsorte necessario, avrebbe erroneamente dichiarato l’inammissibilità dell’appello invece di assegnare un termine per l’integrazione del contraddittorio;

2. il motivo, oltre che ammissibile essendo stato formulato nel contesto di un ricorso che contiene la sufficiente indicazione delle ragioni di fatto e di diritto sul quale lo stesso si fonda, è altresì fondato;

2.1. è pacifico che Equitalia Sud s.p.a. abbia proposto impugnazione sia nei confronti di D.R.A. che nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in qualità di ente impositore, e che entrambi abbiano partecipato al giudizio di primo grado davanti alla CTP;

2.2. la CTR ha ritenuto l’inammissibilità dell’appello in quanto, pur essendosi perfezionata la notifica dell’appello nei confronti del contribuente, Equitalia Sud s.p.a. non ha depositato la ricevuta di ritorno attestante l’intervenuta notifica del ricorso nei confronti dell’Agenzia delle entrate;

2.3. peraltro, l’assenza di prova della notifica nei confronti di un litisconsorte necessario qual è l’ente impositore, quanto meno sotto il profilo processuale, è idonea a determinare la nullità della notificazione e, quindi, la mancata impugnazione della sentenza della CTP nei suoi confronti, ma non già l’inammissibilità dell’appello tempestivamente introdotto con la regolare notificazione nei confronti dell’altro litisconsorte;

2.4. la mancata impugnazione nei confronti di un litisconsorte necessario, infatti, non implica l’inammissibilità del gravame: per giurisprudenza assolutamente pacifica, la tempestiva impugnazione nei confronti dell’altro o degli altri litisconsorti conserva l’effetto di impedire il passaggio in giudicato della sentenza impugnata e impone al giudice di disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti del litisconsorte pretermesso (Cass. n. 8065 del 21/03/2019; Cass. n. 27927 del 31/10/2018; Cass. n. 19910 del 27/07/2018; Cass. n. 18364 del 31/07/2013; Cass. n. 11552 del 14/05/2013; Cass. n. 3071 del 08/02/2011);

3. la sentenza di appello va, dunque, cassata e la causa va rimessa alla CTR della Campania, in diversa composizione, affinchè disponga l’integrazione del contraddittorio nei confronti del litisconsorte pretermesso e provveda anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, affinchè disponga l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’Agenzia delle entrate e provveda sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2020


Riunione della Giunta Esecutiva del 05.09.2020

Ai sensi dell’art. 13 dello Statuto, viene convocata la riunione della Giunta Esecutiva che si svolgerà sabato 12 settembre 2020 alle ore 8:00 presso il Comune di Cesena – Palazzo Municipale – Piazza del Popolo 10, in prima convocazione, e alle ore 10:00 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:
1. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2020;
2. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2021;
3. Nuovo sito web;
4. Attivazione piattaforma Zoom;
5. Attività formativa 2020/2021;
6. D.L. 16 luglio 2020, n. 76, Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale, Art. 26. Piattaforma per la notificazione digitale degli atti della pubblica amministrazione;
7. Varie ed eventuali.

Per motivi di carattere organizzativo la riunione viene anticipata a

sabato 5 settembre 2020 

Leggi: Documentazione GE 05 09 2020

Leggi: GE 05 09 2020 Verbale


Concorso in scadenza del Ministero dello sviluppo economico

Nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica – 4ª serie speciale, concorsi ed esami n. 59 del 31 luglio 2020, è stato pubblicato un concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di complessive settanta unità di personale non dirigenziale, a tempo pieno ed indeterminato, di cui sessanta di Area III, posizione retributiva F1, da inquadrare nei ruoli del Ministero dello sviluppo economico e dieci, di cui una riservata ai sensi dell’articolo 3 della legge 12 marzo 1999, n. 68, di categoria A, parametro retributivo F1, da inserire nei ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri, per diversi profili professionali.

Ente che ha bandito il concorso: Commissione per l’attuazione del progetto Ripam
Scadenza di presentazione della domanda: 17 agosto 2020
Ambito: informatico/tecnico
Link al bando: https://www.gazzettaufficiale.it/atto/concorsi/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2020-07-31&atto.codiceRedazionale=20E08640

I posti a disposizione si suddividono secondo le seguenti modalità:
45 destinati al profilo di funzionario informatico/specialista di settore scientifico tecnologico (Codice CU/INFO) di cui trentacinque da inquadrare come funzionario informatico nell’Area III – F1 al Ministero dello sviluppo economico e dieci come specialista di settore scientifico tecnologico nella categoria A – parametro retributivo F1 nei ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri;
15 nel profilo di funzionario tecnico (Codice CU/ELET) con competenze in ambito elettronico, da inquadrare nell’Area III – F1 nei ruoli del Ministero dello sviluppo economico;
10 nel profilo di funzionario tecnico (Codice CU/TELE) con competenze in ambito di telecomunicazioni, da inquadrare nell’Area III – F1 nei ruoli del Ministero dello sviluppo economico.
Per poter validamente accedere alla procedura concorsuale, è obbligatorio essere in possesso di un diploma di laurea, di una laurea, di una laurea specialistica o di una laurea magistrale.
Coloro che intendono accedere al concorso devono presentare domanda in modalità telematica, utilizzando il modulo disponibile all’indirizzo «https//ripam.cloud», previa registrazione sullo stesso sistema.
Ai fini della partecipazione al concorso, è richiesto che il candidato sia in possesso di un indirizzo personale di posta elettronica certificata (PEC) a lui intestato.
Il candidato, inoltre, dovrà effettuare, a pena di esclusione dalla procedura, il versamento della quota di partecipazione di euro 10,00 (dieci/00 euro) secondo le modalità esattamente precisate nella procedura d’iscrizione.
I concorrenti dovranno sostenere una prova preselettiva, una prova scritta e una prova orale; la prova preselettiva sarà svolta solo nel caso in cui il numero dei candidati che abbiano presentato la domanda di partecipazione sia pari o superiore a due volte il numero dei posti messi a concorso.
Tutte le prove si svolgeranno presso sedi distaccate e solo tramite il supporto di strumentazione informatica.


Risarcimento a seguito di dequalificazione professionale

La Corte di cassazione ha confermato la decisione con cui, nel merito, era stata accolta la domanda avanzata da una lavoratrice per accertare l’intervenuta dequalificazione professionale subita a seguito di illegittimo esercizio dello jus variandi da parte del datore di lavoro.

La dipendente, inquadrata nell’area funzionale operativa livello C del CCNL di settore e in possesso di conoscenze specifiche qualificate per lo svolgimento di attività amministrative, di coordinamento e di incarichi di responsabilità, aveva asserito di essere stata assegnata, nel periodo considerato, a posizione comportante mansioni manuali, di sistemazione e riordino di materiale, in violazione delle prescrizioni di cui all’art. 2103 c.c.

La Corte di appello le aveva dato ragione, riconoscendole il diritto al risarcimento per il demansionamento subito.

Cassazione: tolleranza contingente non è acquiescenza al demansionamento 

La società datrice aveva adito i giudici di legittimità, lamentando che in sede di gravame era stato disatteso un punto decisivo della controversia, riguardante l’intervenuta acquiescenza della prestatrice nei confronti del provvedimento datoriale di nuova assegnazione. La ricorrente, in particolare, aveva sottolineato come fosse trascorso un lungo lasso di tempo – precisamente un anno e mezzo – prima che la lavoratrice avesse impugnato il provvedimento di riferimento.

Quando si configura l’acquiescenza tacita?

Doglianza, questa, ritenuta infondata dalla Sezione lavoro della Corte di cassazione che, con ordinanza n. 16594 del 3 agosto 2020, ha ribadito l’indirizzo interpretativo già affermato in materia di acquiescenza tacita nei confronti di un provvedimento, valevole sia in ambito amministrativo che in quello processuale civilistico.

L’acquiescenza tacita – si legge nella decisione – è configurabile solo in presenza di un comportamento che appaia inequivocabilmente incompatibile con la volontà del soggetto d’impugnare il provvedimento.

Non è sufficiente, a tal fine, un atteggiamento di mera tolleranza contingente e neppure il compimento di atti resi necessari od opportuni, nell’immediato, dall’esistenza del detto provvedimento.

Tali ultime condotte, infatti, non escludono l’eventuale coesistente intenzione dell’interessato di agire successivamente per eliminare gli effetti del provvedimento del datore.


Nessuna attenuante per chi fa timbrare il badge dai colleghi

Per la Cassazione, se la motivazione non è affetta da manifesta illogicità è corretto il mancato riconoscimento delle attenuanti ai furbetti del cartellino

La Suprema Corte di Cassazione sancisce che non si possono concedere le attenuanti generiche per il reato di truffa del cartellino se la motivazione della sentenza che le ha negate contiene al riguardo una motivazione logica e coerente, non affetta da manifesta illogicità.

Conclusioni a cui la Cassazione è giunta alla fine di una causa penale nel corso della quale la Corte d’Appello ha confermato la sentenza di primo grado, che ha condannato i due imputati per i reati di cui agli articoli 110, 640 commi 1 e 2 c.p. e 55 quinquies del Dlgs n. 165/2001 per essersi procurati un ingiusto profitto, consistente nella retribuzione e accessori, in danno della P.A. in quanto:

  1. il primo soggetto coadiutore della Asl ha consegnato il proprio tesserino d’identificazione ad altri soggetti, per far risultare la propria presenza sul posto di lavoro quando invece lo stesso era altrove;
  2. il secondo, assistente amministrativo Asl per le stesse condotte.

I difensori dei due imputati ricorrono in Cassazione lamentando l’inutilizzabilità delle videoriprese e la mancata concessione ai due soggetti delle attenuanti generiche, con conseguente riduzione della pena al minimo edittale.

La Cassazione con la sentenza n. 22500/2020 dichiara i ricorsi inammissibili, chiarendo, per quanto riguarda il primo motivo di doglianza relativo all’inutilizzabilità delle videoriprese, che l’art 234. c.p.p., oltre agli scritti “permette l’acquisizione anche di ogni altra cosa idonea a rappresentare fatti, persone o cose attraverso la cinematografia, la fotografia, la fonografia e qualsiasi altro mezzo, senza la necessità di alcun decreto autorizzativo da parte del giudice per le indagini preliminari.” Come precisato poi in un caso precedente “le videoregistrazioni effettuate dai privati con telecamere di sicurezza sono prove documentali, acquisibili ex art. 234 c.p.p., sicché i fotogrammi estrapolati da detti filmati ed inseriti in annotazioni di servizio non possono essere considerati prove illegittimamente acquisite e non ricadono nella sanzione processuale della inutilizzabilità.”

Generico per la Cassazione il motivo del ricorso sollevato dall’altro imputato, con cui ha contestato l’inutilizzabilità delle captazioni eseguite in procedimenti diversi da quelle in cui sono state disposte perché non ne ha indicato l’oggetto e non sono quindi chiari i rapporti esistenti tra gli stessi. Per quanto riguarda invece il secondo motivo di doglianza la Corte rileva che, poiché “la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità, che, pertanto è insindacabile in cassazione, manifesta illogicità non sussiste nel caso in esame, alla luce della motivazione della Corte d’Appello.”


Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., (ud. 15-10-2019) 03-08-2020, n. 16594

La Corte di cassazione ha confermato la decisione con cui, nel merito, era stata accolta la domanda avanzata da una lavoratrice per accertare l’intervenuta dequalificazione professionale subita a seguito di illegittimo esercizio dello jus variandi da parte del datore di lavoro.

Leggi: Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., (ud. 15-10-2019) 03-08-2020, n. 16594


Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 10-07-2020) 27-07-2020, n. 22500

Per la Cassazione, se la motivazione non è affetta da manifesta illogicità è corretto il mancato riconoscimento delle attenuanti ai furbetti del cartellino

Leggi: Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 10-07-2020) 27-07-2020, n. 22500 


Non esiste un termine perentorio per iniziare l’esecuzione forzata dopo il fermo amministrativo dei veicoli

Disposto il fermo amministrativo del veicolo, l’amministrazione finanziaria non è obbligata a procedere al pignoramento entro termini perentori. E questo perché non esistono disposizioni di legge né regolamenti che lo prevedono. Non rileva, in senso contrario, il principio di buona fede: il fermo dei veicoli, del resto, rappresenta proprio una misura afflittiva per indurre il debitore ad adempiere.

Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza 15349 del 17 luglio 2020 con cui ha accolto il ricorso di Riscossione Sicilia, rigettando definitivamente l’opposizione a fermo amministrativo esperita da un contribuente.

Secondo il Tribunale di Termini Imerese dalla normativa vigente (dm 503/1998 e art. 24 Cost.), dopo la notifica del fermo amministrativo l’autorità avrebbe l’obbligo di dar corso al pignoramento nei termini di legge.

L’articolo 3 del dl 203/05 non prevede in generale termini entro cui l’amministrazione deve procedere ad avviare l’esecuzione tramite il pignoramento.

D’altro canto, l’obiettivo del fermo amministrativo è proprio sottrarre la disponibilità del bene al debitore per indurlo all’adempimento nei confronti dell’erario (cfr. Cass. 15354/2015).

Inoltre non è compromesso neppure il diritto di difesa: il contribuente, dal canto, suo può sempre esperire i rimedi apprestati dall’ordinamento: infatti l’impugnazione del preavviso di fermo amministrativo, sia se volta a contestare il diritto a procedere all’iscrizione del fermo, sia che riguardi la regolarità formale dell’atto, è un’azione di accertamento negativo a cui si applicano le regole del processo di cognizione ordinario, e come tale non assoggettata al termine decadenziale di cui all’art. 617 c.p.c. (cfr. Cass. 18041/2019).