Cass. civ. Sez. VI – 1, Ord., (ud. 24-09-2019) 06-11-2019, n. 28528

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24934-2018 proposto da:

DOTT D.D. COSTRUZIONI SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 74, presso lo studio dell’avvocato CARLO COLAPINTO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FILIPPO COLAPINTO;

– ricorrente –

contro

COINFRA SRL, CONSORZIO PER LE AUTOSTRADE SICILIANE, CURATELA DEL FALLIMENTO (OMISSIS) SRL;

– intimati –

avverso l’ordinanza n. 16354/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 21/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIDA.

Svolgimento del processo
Questa Corte, con ordinanza n. 24934/2018, pronunciata in un giudizio promosso dalla Coinfra spa nei confronti della Dott. D.D. Costruzioni srl, dinanzi al Tribunale di Bari, per sentire accertare la responsabilità della convenuta in ordine alla esclusione della AT.I. futura, che avrebbe dovuto essere costituita tra l’attrice, mandataria, e la Dott. D.D. Costruzioni srl, dalla procedura di pubblico incanto per l’affidamento dei lavori di costruzione di un lotto dell’autostrada Siracusa-Gela indetto dal Consorzio per le Autostrade Siciliane, ha respinto il ricorso per cassazione proposto dalla Dott. D.D. Costruzioni srl nei confronti della Coinfra spa, avverso sentenza della Corte d’appello di Bari, con la quale era stata accolta una domanda subordinata della Coinfra di condanna della convenuta a manlevare l’attrice.

Avverso la suddetta sentenza, la Dott. D.D. Costruzioni srl propone ricorso per revocazione, in unico motivo, nei confronti di Coinfra srl, già Coinfra spa, Consorzio per le Autostrade Siciliane e (OMISSIS) srl, (che non svolgono attività difensiva).

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti; il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

Motivi della decisione
1. La ricorrente lamenta, con unico motivo, che questa Corte sarebbe incorsa in errore di fatto revocatorio per avere omesso di pronunciare sui motivi quarto e settimo del ricorso.

2. La censura è inammissibile.

Invero, questa Corte, nella ordinanza qui impugnata per revocazione, ha espressamente esaminato i motivi quarto e settimo del ricorso per cassazione della Dott. D.D. Costruzioni srl, ritenendoli infondati e quindi respingendoli. Questa Corte, nella decisione impugnata per revocazione, ha cosi statuito, per quanto qui interessa: “Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c., 11, 117, 111, Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nonchè omessa pronuncia, avendo la Corte d’appello omesso ogni decisione in merito all’istanza di disapplicazione della normativa nazionale poichè in contrasto con quella comunitaria in ordine alla mancata trasmissione alla Coinfra s.p.a., per il successivo invio all’appaltante, dei certificati comprovanti il possesso dei requisiti tecnici per partecipare alla gara… Con il settimo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Dir. CEE n. 37/93, non avendo il giudice d’appello disapplicato la L. n. 109 del 1994, art. 10, comma 1 quater, in quanto contrastante con la suddetta direttiva circa i presupposti dell’esclusione dalla gara d’appalto…. Il quarto motivo è parimenti infondato, in quanto la Corte d’appello si è pronunciata chiaramente sull’insussistenza dei presupposti della invocata disapplicazione della normativa interna per un asserito contrasto con la normativa comunitaria indicata dalla ricorrente che riguardava ben diversa fattispecie relativa alla falsità delle dichiarazioni rese dal partecipante alla gara pubblica d’appalto…. Il settimo motivo va, infine, respinto in quanto ha prospettato un contrasto della normativa applicata con la direttiva comunitaria 14.6.93 n. 37 non ben esplicitato, atteso che la Corte d’appello ha ben chiarito che tale direttiva riguardava fattispecie diversa da quella esaminata (inosservanza di termine perentorio per la presentazione di documentazione)”.

Vero che, in riferimento all’omessa pronuncia da parte della Corte di cassazione su un motivo di ricorso, l’unico mezzo di impugnazione esperibile avverso la relativa sentenza è, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. e dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità, errore che presuppone tuttavia sempre l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa (Cass. 16003/2011; Cass. 26301/2018). Non costituiscono invece vizi revocatori delle sentenze della S.C., ex art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4, nè l’errore di diritto sostanziale o processuale, nè l’errore di giudizio o di valutazione (Cass. S.U. 30994/2017; Cass.8984/2018).

Ora, in ricorso per revocazione, si sollecita piuttosto una inammissibile nuova valutazione delle ragioni fondanti i motivi quarto e settimo del ricorso per cassazione, espressamente giudicati infondati da questa Corte nell’ordinanza impugnata, lamentandosi il mancato rilievo, d’ufficio, di questione pregiudiziale vertente sull’interpretazione del diritto dell’Unione.

3. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 06 novembre 2019


Cass. civ. Sez. II, Sent., (ud. 13-03-2019) 04-11-2019, n. 28269

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 35880/2015 R.G. proposto da:

COEDIN S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Nicola Palombi e dall’avv. Ubaldo Perfetti, con domicilio eletto in Roma, in Piazza Cairoli n. 6, presso lo studio dell’avv. Guido Alpa.

– ricorrente –

contro

F.Q., rappresentato e difeso dall’avv. Paolo Viozzi, con domicilio eletto in Roma, alla Via Calamatta n. 16 presso lo studio dell’avv. Federico Rossi;

– ricorrente in via incidentale –

VIA VAI S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Luigi Tidei e dall’avv. Gian Luca Grisanti, con domicilio eletto in Roma alla Via Prenestina Nuova n. 1534, presso lo studio dell’avv. Adele Di Flavio.

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI ANCONA n. 796/2014, depositata il 27.10.2014;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13.3.2019 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso, chiedendo di accogliere il quinto motivo del ricorso principale e di dichiarare inammissibile il ricorso incidentale;

uditi gli avv. Ubaldo Perfetti, l’avv. Paolo Viozzi, e l’avv. Adele di Flavio.

Svolgimento del processo
F.Q. ha evocato in giudizio la Via Vai s.p.a. e la Coedin s.r.l. dinanzi al Tribunale di Fermo, assumendo di aver svolto attività di mediazione in favore delle convenute; che, in particolare il ricorrente era stato contattato dalla Via Vai s.p.a., interessata all’acquisto di un immobile in (OMISSIS) e in (OMISSIS) da adibire alla rivendita di auto nuove, ed aveva stabilito contatti con C.R., tecnico di fiducia della Coedin s.r.l., riscontrando la disponibilità di quest’ultima a cedere un proprio opificio ancora da realizzare; che tali incontri erano esitati nella vendita di una costruzione per un corrispettivo di L. 3.500.000.000.

Ha chiesto la condanna di ciascuna delle convenute al pagamento di una provvigione pari a L. 70.000.000, oltre accessori.

Il Tribunale ha respinto entrambe le domande, con pronuncia parzialmente riformata in appello.

La Corte distrettuale ha – difatti – ritenuto che la prescrizione annuale del diritto alla provvigione richiesta nei confronti della Via Vai s.p.a., decorresse dalla data di stipula dei preliminari di vendita (del 11.5.1999 e del 7.6.1999), non fosse stata sospesa ai sensi dell’art. 2941 c.c., n. 8 dal silenzio serbato dai contraenti circa il perfezionamento dell’affare e fosse stata interrotta tardivamente dal F. solo con la notifica della citazione introduttiva.

Quanto ai rapporti con la ricorrente, la Corte di merito ha rilevato che il F. aveva partecipato ad una serie di incontri con la Via Vai s.p.a. e il C., tecnico di fiducia della Coedin s.r.l., e ha concluso che il mediatore avesse svolto un’attività rivelatasi utile per il buon esito dell’affare, reputando irrilevante che la Coedin s.r.l. non avesse conferito alcun incarico o che non fosse a conoscenza del ruolo e della qualità del resistente.

Ha infine ritenuto incontestato che questi fosse iscritto all’albo dei mediatori.

La cassazione di questa sentenza è chiesta dal Coedin s.r.l. sulla base di cinque motivi, illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

F.Q. ha proposto ricorso incidentale in tre motivi.

La Via Vai ha depositato controricorso.

Motivi della decisione
1. Il primo motivo del ricorso principale censura la violazione degli artt. 1754 e 1755 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contestando alla Corte di merito di non aver considerato che il diritto alla provvigione matura solo nei confronti delle parti che abbiano consapevolezza e siano a conoscenza del ruolo svolto dal mediatore, potendo solo in tal caso valutare l’opportunità di avvalersi delle relative prestazioni; che nel caso in esame, non era sufficiente che, come accertato dalla Corte di merito, il F. avesse partecipato ad taluni incontri volti a definire l’affare o che il suo intervento si fosse rilevato utile per il perfezionamento della vendita.

Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che, data la condizione di inscientia in cui versava la ricorrente, competeva al mediatore la prova di aver reso palese la propria qualità ed il ruolo svolto nell’ambito delle trattative, per cui, in mancanza, la domanda non poteva essere accolta.

Il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, lamentando che la sentenza abbia omesso di pronunciare sull’eccezione relativa alla inconsapevolezza, da parte della ricorrente, del ruolo svolto dal F..

Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 1754 e 1755 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 sostenendo che, avendo il F. operato su incarico della Via Vai s.p.a., si era perfezionato con quest’ultima un rapporto di mandato e non di mediazione, con la conseguenza che solo la mandante era tenuta a pagare il compenso.

1.1. I quattro motivi, che sono suscettibili di esame congiunto, sono fondati.

La Coedin, convenuta in giudizio unitamente alla Via Vai s.pa., per il pagamento delle provvigioni per l’attività svolta dal resistente in occasione del perfezionamento della vendita immobiliare di cui in atti, aveva espressamente eccepito sin dal primo grado di non esser tenuta al pagamento, non essendo stata edotta (e non essendo a conoscenza) che il F. era intervenuto nell’affare nella qualità di mediatore. L’eccezione era stata riproposta in appello, come è dato atto nella sentenza impugnata (cfr. sentenza pag. 5).

La Corte anconetana, dopo aver stabilito che il F. aveva partecipato a più incontri con la Via Vai sp.a. e con il tecnico di fiducia della ricorrente, ha obiettato che “anche la semplice attività di reperimento dei clienti o la segnalazione dell’affare legittima il diritto alla provvigione, sempre che la descritta attività costituisca il risultato utile di una ricerca fatta dal mediatore”.

La sentenza è, in tal modo, incorsa nei vizi denunciati.

Secondo il disposto dell’art. 1754 c.c. mediatore è colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcune di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza, essendo in posizione di imparzialità rispetto ai contraenti.

Accanto alla mediazione tipica, è configurabile una mediazione cosiddetta atipica, che ricorre nel caso in cui il mediatore abbia ricevuto l’incarico, da uno dei contraenti, di svolgere un’attività intesa alla ricerca di una persona interessata alla conclusione di uno specifico affare, a determinate e prestabilite condizioni (Cass. s.u. 19161/2017).

In entrambe le ipotesi, il rapporto assume carattere contrattuale (Cass. 18514/2009; Cass. 5777/2006; Cass. 3472/1998; Cass. 6813/1988; Cass. 2631/1982) e può perfezionarsi anche mediante comportamenti concludenti che implichino la volontà dei contraenti di avvalersi dell’opera del mediatore o mediante la semplice accettazione dell’opera da questi svolta (stante l’assenza di vincoli di forma anche se l’operazione da concludere abbia ad oggetto diritti immobiliari: Cass. 11655/20188; Cass. 1934/1982).

Occorre quindi che la parte (destinataria della domanda di pagamento del compenso) sia stata posta in grado di conoscere il ruolo svolto dall’intermediario, il quale deve operare in modo palese, rendendo nota la qualità rivestita (Cass. 4107/2019; Cass. 11521/2008).

L’onere della prova di tale presupposti è a carico della parte che pretenda di essere remunerata per l’opera prestata, trattandosi di elemento costitutivo del diritto al compenso (Cass. 6004/2007; Cass. 3154/1980).

1.2. La Corte di merito, qualificato il rapporto come mediazione tipica, non poteva – quindi – condannare la Coedin s.r.l. al versamento del compenso per il solo fatto che l’attività del F. si era rivelata utile per la conclusione dei preliminari di vendita, ma, avendo la Coedin s.r.l. specificamente contestato di essere a conoscenza del ruolo assunto dal resistente, era tenuta a verificare se vi fosse prova che questi aveva palesato la propria qualità, tenendo conto che era il F. a dover dimostrare la sussistenza delle condizioni cui era subordinato il diritto alla provvigione.

Lo stesso inquadramento del rapporto nell’ambito della mediazione tipica necessitava della previa verifica della natura dell’incarico conferito dalla Via Vai s.p.a. al fine di stabilire se si fosse in presenza di un mandato, avendo riguardo alla natura vincolante o meno di detto incarico (Cass. 482/2019; Cass. 163882/2009; Cass. 24333/2008).

2. Il quinto motivo denuncia la violazione della L. n. 39 del 1989, artt. 3 e 6, nonchè dell’art. 345 c.p.c., sostenendo che la sentenza abbia erroneamente escluso che l’eccezione di insussistenza della prova dell’iscrizione del F. nell’albo dei mediatori potesse esser proposta direttamente in appello, non considerando non solo che la questione era stata già sollevata in primo grado, ma che, inoltre, essendo l’iscrizione una condizione di validità del rapporto, la sua carenza poteva esser rilevata d’ufficio o comunque dedotta direttamente in secondo grado.

Il motivo è infondato perchè la sentenza impugnata, pur dando incidentalmente atto della tardività dell’eccezione proposta dalla ricorrente, l’ha respinta nel merito, osservando che, anche riguardo a tale profilo, è invocabile il principio di non contestazione, e che, alla luce delle difese svolte dalla Coedin s.r.l., non era necessaria alcuna verifica probatoria in ordine all’iscrizione all’albo dei mediatori da parte del F..

Non avendo la Corte di merito dichiarato inammissibile la censura ai sensi dell’art. 345 c.p.c. e non avendo negato rilievo all’iscrizione del nell’albo dei mediatori quale condizione di validità del rapporto, i vizi denunciati non possono ritenersi sussistenti.

3. Il primo motivo del ricorso incidentale deduce la violazione dell’art. 1755 c.c., comma 1, artt. 2950 e 2935 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per aver la sentenza erroneamente fatto decorrere la prescrizione del diritto al compenso dalla conclusione dei contratti preliminari di vendita in luogo che dalla data del definitivo, trascurando inoltre che nessuna comunicazione era giunta al F. circa data di conclusione dei suddetti contratti, i quali, peraltro, non erano stati trascritti.

In ogni caso, il decorso della prescrizione doveva considerarsi sospeso, perchè le società convenute aveva occultato dolosamente il perfezionamento dell’affare.

Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che la prova dell’intervenuta prescrizione non era stata raggiunta, dato che i preliminari erano privi di data certa e non erano stati trascritti e che la Via Vai s.p.a. non aveva dedotto e dimostrato quale fosse il momento in cui il mediatore aveva appreso della conclusione dell’affare. La missiva del 26.6.2000, valorizzata – a tali effetti – dalla Corte distrettuale, non era stata prodotta dalla Via Vai s.p.a. nè quest’ultima aveva dichiarato di volersene avvalere, sicchè il documento non poteva essere utilizzato per ritenere estinto il diritto al compenso.

Il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 2943 c.c., comma 1 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che la prescrizione doveva ritenersi interrotta tempestivamente dalla notifica della citazione introduttiva, la quale, sebbene pervenuta alle società destinatarie in data 28.6.2000, era stata consegnata all’ufficiale giudiziario il 26.6.2000, impedendo comunque l’estinzione del diritto alla provvigione.

3.1. Il ricorso incidentale è inammissibile.

F.Q. ha tempestivamente notificato il controricorso alla sola Coedin s.r.l. mentre, preso atto che la notifica alla Via Vai s.p.a. (unica parte verso cui era indirizzato il ricorso incidentale), non era andata a buon fine a causa del trasferimento del difensore, con istanza dell’11.5.2015, ha chiesto di essere rimesso in termini.

Con provvedimento presidenziale del 29.5.2015, l’istanza è stata rimessa alle valutazioni del Collegio.

Dalla certificazione del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Ancona (la cui produzione è ammissibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 372 c.p.c., comma 1), risulta tuttavia che, già in data 11.7.2014, il trasferimento dello studio da (OMISSIS) a (OMISSIS) era stato annotato nell’albo professionale.

Solo in data 25.11.2015 il F. ha rinnovato la notifica (cfr. attestazione dell’ufficiale giudiziario in calce al controricorso depositato in data 22.1.2016).

Giova ribadire che la notificazione dell’impugnazione presso il domicilio dichiarato nel giudizio di merito, che abbia avuto esito negativo per l’avvenuto trasferimento dello studio, non ha alcun effetto giuridico.

La notifica va difatti effettuata al domicilio reale (quale risulta dall’albo professionale ovvero dagli atti processuali), poichè il dato di riferimento personale prevale su quello topografico.

La parte impugnante ha, in tal caso, la facoltà e l’onere di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio e la successiva notificazione avrà effetto dalla data di attivazione del procedimento, semprechè detta ripresa sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto tenuti presenti i tempi necessari per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni necessarie per provvedere alla rinnovazione (Cass. s.u. 17352/2009; Cass. s.u. 15594/2016; Cass. s.u. 15295/2014).

In tale ipotesi, la possibilità di superare eventuali decadenze è subordinata a due condizioni: l’errore sul domicilio del destinatario non deve essere imputabile al notificante e la nuova notifica deve essere eseguita entro un termine ragionevole (non superiore alla metà di quello stabilito a pena di decadenza).

Riguardo al primo profilo, la notifica presso il procuratore costituito o domiciliatario va effettuata nel domicilio eletto nel giudizio, se questi esercita l’attività in un circondario diverso da quello di assegnazione, o, in alternativa, nel domicilio effettivo, previo riscontro, da parte dell’interessato, delle risultanze dell’albo professionale, dovendosi escludere che tale onere di verifica attuabile anche per via informatica o telematica – arrechi un significativo pregiudizio temporale o impedisca di fruire, per l’intero, dei termini di impugnazione, non essendo giustificata la notificazione ad un indirizzo diverso (Cass. s.u. 14594/2016; Cass. s.u. 17532/2009; Cass. s.u. 3818/2009).

L’errore in cui è incorso il F. non può, quindi, ritenersi scusabile – e non giustifica la chiesta rimessione in termini – dato che il trasferimento era stato annotato nell’albo degli avvocati da data ampiamente anteriore alla proposizione dell’impugnazione incidentale, la quale è stata, inoltre, notificata presso il domicilio effettivo del difensore della società resistente a distanza di mesi dal momento in cui la parte ha avuto conoscenza delle ragioni per le quali la prima notifica non aveva avuto esito.

Va inoltre rilevato che il diritto del mediatore alla provvigione nei confronti di più le parti dell’affare concluso per effetto del suo intervento dà luogo a crediti distinti che possono essere fatti valere in separati giudizi (Cass. 1152/1995; Cass. 3894/1979).

Qualora detti crediti siano dedotti in un unico giudizio, si è in presenza un caso di litisconsorzio facoltativo tra cause connesse per il titolo, da cui consegue l’applicabilità, nei gradi di impugnazione, dell’art. 332 c.p.c. (Cass. 12093/2019; Cass. 30730/2018; si veda pure, in senso parzialmente contrario, Cass. 1668/2005, che sostiene l’applicabilità dell’art. 331 c.p.c. in presenza di un vincolo di dipendenza in senso tecnico tra le domande di pagamento delle provvigioni proposte verso più parti).

Di conseguenza, la tempestività della notifica effettuata nei confronti della Coedin non poteva determinare l’ammissibilità dell’impugnazione incidentale proposta verso la Via Vai s.p.a., dato inoltre che, nello specifico, il F. aveva evocato in causa le due società, chiedendo – a ciascuna di esse – il pagamento di L. 70.000.000 sulla base di fatti costitutivi distinti (il conferimento di uno specifico incarico da parte della ricorrente principale e il concreto svolgimento dell’attività di mediazione verso la Via Vai s.p.a.) ed aveva riproposto in appello le medesime circostanze di fatto dedotte in primo grado cfr. sentenza di appello pag. 2).

Lo stesso ricorso incidentale era rivolto esclusivamente nei confronti della Via Vai s.p.a. ed attingeva profili – (la prescrizione del credito) – che non interessavano la Coedin s.p.s., con la conseguente impossibilità di configurare comunque un vincolo di dipendenza e, dunque, di applicare l’art. 331 c.p.c..

Sono quindi accolti il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale, è respinto il quinto motivo di detto ricorso ed è dichiarato inammissibile il ricorso incidentale.

La sentenza impugnata è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte di appello di Ancona, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Si dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare il ricorrente in via incidentale è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.
accoglie il primo, il secondo, il terzo e il quarto motivo del ricorso principale, rigetta il quinto motivo di detto ricorso e dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Ancona, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare il ricorrente in via incidentale è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 13 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2019


Notifica atti via posta e destinatario assente: il ritiro del plico sana i vizi

Per la Cassazione, se il destinatario è assente e nessuno riceve il plico in sua vece, il ritiro del piego presso l’ufficio postale sana gli eventuali vizi o l’incompletezza del procedimento

È il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione, terza sezione civile, nella sentenza n. 26287/2019 (sotto riportata) in accoglimento del ricorso di una società che assumeva di non aver ricevuto la notificazione dell’atto di citazione, con conseguente nullità dell’intero giudizio di primo grado.

Leggi: Notifica atti via posta e destinatario assente il ritiro del plico sana i vizi


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 27-06-2019) 22-10-2019, n. 26938

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI M. Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 27881/14, proposto da:

Conceria Vesuvio di E.M.R. sas, in persona del legale rapp.te, rappresentata e difesa in virtù di procura a margine del ricorso, dall’avv.to Cocchi Gian Pietro, con il quale è elettivamente domiciliata in Roma, Corso d’Italia n. 11, presso lo studio dell’avv.to Carini Giacomo;

– ricorrente –

contro

Equitalia Sud Spa;

– intimata –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 3030/17/14, depositata il 21/03/2014 e non notificata;

udita la relazione del consigliere D’Angiolella Rosita all’udienza del 27 giugno 2109.

Svolgimento del processo
Che:

Conceria Vesuvio di E.M.R. s.a.s. impugnava, dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli l’estratto del ruolo n. 2009/007469 relativo alla cartella esattoriale n. (OMISSIS), per il pagamento della somma di Euro 2.182.402,33, cartella che la ricorrente assumeva non esserle stata notificata.

La Commissione provinciale rigettava il ricorso rilevando la ritualità della notifica della cartella effettuata presso la sede della società con il deposito al Comune ed affissione dell’avviso all’albo comunale, dopo la comunicazione di irreperibilità del destinatario.

La società proponeva appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale (di seguito per brevità CTR), deducendo che a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 258 del 2012, anche nel caso di notifica di cartelle esattoriali, trova applicazione l’art. 140 c.p.c. nella sua interezza. La Commissione Regionale, respingeva l’appello della società, confermando la regolarità del procedimento notificatorio.

Avverso tale sentenza propone ricorso in Cassazione la società contribuente affidandosi a due motivi.

Equitalia sud Spa è rimasta intimata nonostante la ritualità della notifica del ricorso.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1. c.p.c..

Motivi della decisione
Che:

La ricorrente si affida a due motivi di ricorso, denunciando in entrambi, l’erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione di legge, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la CTR disatteso gli esiti della sentenza della Corte costituzionale n. 258 del 2012 riguardanti il procedimento notificatorio della cartella di pagamento in caso di irreperibilità cd. relativa. In particolare, mentre con il primo motivo deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 26 e art. 140 c.p.c. nel secondo, denuncia la violazione del combinato disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e art. 140 c.p.c..

I motivi come formulati consentono, dunque, il loro esame congiunto.

Va sinteticamente premesso che la ricorrente ha agito in giudizio allo scopo di ottenere, attraverso la proposta opposizione, la declaratoria di nullità della cartella emessa a suo carico invocando l’invalidità della sua notificazione (e quindi del ruolo, posto che la sua notificazione coincide con quella della cartella D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 21). Senza qui soffermarsi sull’ammissibilità dell’impugnativa del ruolo e/o della cartella, nonchè sull’ammissibilità della impugnazione della cartella non notificata o invalidamente notificata, della cui esistenza il contribuente sia venuto a conoscenza solo attraverso un estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta, su cui si richiama il consolidato indirizzo di questa Corte inaugurato con la sentenza delle Sezioni Unite n. 19704 del 02/10/2015, Rv. 636309-01, seguito, senza contrasti, dalla giurisprudenza successiva (tra cui v. Sez. 6 L., Ordinanza n. 5443 del 25/02/2019, Rv. 652925- 01), la questione che si pone riguarda essenzialmente il se, per la notificazione della cartella alla società contribuente, siano state rispettate le forme di cui all’art. 140 c.p.c. conseguenti alla pronuncia di illegittimità costituzionale intervenuta nelle more del processo tributario.

La CTR ha risolto la questione in senso svaforevole alla ricorrente, ritenendo che la declaratoria d’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, per le notificazioni da effettuarsi ai sensi dell’art. 140 c.p.c. (cd. irreperibilità relativa) “non ha affatto cancellato la norma richiamata dall’ordinamento ma ha solo limitato la sua applicazione ai casi in cui nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi sia abitazione, ufficio o azienda del destinatario”, ipotesi che ha escluso sussistesse per la società ricorrente in quanto “dalla notifica in questione risulta che la società aveva l’ufficio nel Comune ove doveva essere eseguita la notificazione(…)”.

Contrariamente a quanto ritenuto dai secondi Giudici, nella specie, non è in discussione che la società ricorrente avesse la sede nel comune ove doveva essere eseguita la notificazione, essendosi il ricorrente sempre doluto dell’invalidità della notifica della cartella per mancata osservanza delle le formalità di cui all’art. 140 c.p.c., quale norma applicabile a seguito della sentenza 22 novembre 2012, n. 258 della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 4, nella parte in cui prevede – in caso di irreperibilità relativa del contribuente – che la notifica della cartella possa avvenire attraverso il semplice deposito dell’atto presso l’albo comunale, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e).

Ed infatti, il Giudice delle Leggi ha ristretto la sfera di applicazione del combinato disposto delle disposizioni citate alla sola ipotesi di notificazione di cartelle di pagamento a destinatario “assolutamente” irreperibile, escludendone l’applicazione al caso di destinatario “relativamente” irreperibile, ipotesi per la quale è applicabile il disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, u.c., e quindi, dell’art. 140 c.p.c. (cui anche rinvia l’alinea del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1) che testualmente così dispone: “Se non è possibile eseguire la consegna per irreperibilità o per incapacità o rifiuto delle persone indicate nell’articolo precedente, l’ufficiale giudiziario deposita la copia nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi, affigge avviso del deposito in busta chiusa e sigillata alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario e gliene dà notizia per raccomandata con avviso di ricevimento”.

Proprio in relazione agli esiti conseguenti alla declaratoria di incostituzionalità di cui alla citata sentenza della Corte costituzionale, la giurisprudenza di questa Corte, che qui si condivide e si fa propria, afferma che nei casi di “irreperibilità cd. relativa” del destinatario, va applicato l’art. 140 c.p.c., in virtù del combinato disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, u.c., e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), sicchè è necessario, ai fini del perfezionamento della notifica della cartella, che siano effettuati tutti gli adempimenti ivi prescritti, incluso l’inoltro al destinatario e l’effettiva ricezione della raccomandata informativa del deposito dell’atto presso la casa comunale, non essendone sufficiente la sola spedizione (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 25079 del 26/11/2014, Rv. 634229-01; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9782 del 19/04/2018, Rv. 647736- 01; Sez. 5, Ordinanza n. 27825 del 31/10/2018, Rv. 651408-01).

Il ricorso va, dunque, accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR della Campania in diversa composizione, affinchè verifichi la ritualità del procedimento notificatorio sulla base dei principi innanzi esposti; la CTR, in sede di rinvio, provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Campania in diversa composizione, anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

Cos’ deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione Civile, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2019


Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 30-05-2019) 15-10-2019, n. 26106

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 834-2018 proposto da:

SOCIETA’ FINANZIARIA IMMOBILIARE SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MIRANDOLA 23, presso lo studio dell’avvocato LUCIO MARZIALE, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI FROSINONE – UFFICIO CONTROLLI;

– intimata –

avverso la sentenza n. 9745/18/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di ROMA SEZIONE DISTACCATA di LATINA, depositata il 29/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 30/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CONTI ROBERTO GIOVANNI.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
La società finanziaria Immobiliare s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, contro l’Agenzia delle entrate, impugnando la sentenza resa dalla CTR Lazio indicata in epigrafe che ha confermato la pronunzia di primo grado, con la quale era stata ritenuta inammissibile l’impugnazione proposta dalla contribuente dell’avviso di accertamento relativo ad IRES, IVA e IRAP per l’anno 2011 in relazione alla tardività del ricorso. Secondo la CTR la notifica dell’avviso di accertamento era stata effettuata regolarmente, poiché in caso di irreperibilità relativa, ai fini della ritualità della notifica, era necessario il deposito dell’atto presso la casa comunale e l’inoltro la destinatario della raccomandata informativa del deposito stesso.

L’Agenzia delle entrate non si è costituita.

Con l’unica censura proposta, la ricorrente deduce la violazione della L. n. 890 del 1982, art. 8, commi 2 e 3 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 4. La CTR avrebbe errato nel ritenere che ai fini della ritualità della notifica dell’atto di accertamento effettuato in caso di c.d. irreperibilità relativa fosse necessario unicamente l’invio della seconda raccomandata informativa e non già la prova della ricezione della stessa.

La censura è fondata.

Ed invero, questa Corte ha avuto modo di ritenere, con indirizzo ormai costante, che nei casi di “irreperibilità cd. relativa” del destinatario, all’esito della sentenza della Corte Cost. 22 novembre 2012, n. 258, va applicato l’art. 140 c.p.c., in virtù del combinato disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, u.c., e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), sicché è necessario, ai fini del perfezionamento della notifica, che siano effettuati tutti gli adempimenti ivi prescritti, incluso l’inoltro al destinatario e l’effettiva ricezione della raccomandata informativa del deposito dell’atto presso la casa comunale, non essendone sufficiente la sola spedizione (cfr., da ultimo, Cass. ord. n. 9782 del 19/04/2018, Cass. n. 31427/2018).

A tale principio non si è affatto conformato il giudice di appello che ha per converso ritenuto sufficiente ai fini della ritualità della notifica l’invio della seconda raccomandata senza necessità della prova della ricezione, in tal modo tralasciando di verificare l’epoca alla quale poteva dirsi ritualmente effettuata la notifica dell’accertamento impugnato in esito alla ricezione della seconda raccomandata od alla compiuta giacenza dell’avviso non ritirato entro il termine di dieci giorni – cfr. Cass. n. 29109/2018 -.

Sulla base di tali considerazioni, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della CTR Lazio anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR Lazio anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 30 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2019


Cons. Stato Sez. VI, Sent., (ud. 10-10-2019) 14-10-2019, n. 6972

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6960 del 2018, proposto da

C.D., L.M., R.F., rappresentati e difesi dagli avvocati Diego Vaiano, Alvise Vergerio Di Cesana, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Diego Vaiano in Roma, Lungotevere Marzio n.3;

contro

Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Ministero per la Semplificazione e La Pubblica Amministrazione, Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica, Commissione Interministeriale per L’Attuazione del Progetto Ripam, Società F.P. non costituiti in giudizio;

F. P.A. – C.S. delle P.A., rappresentato e difeso dall’avvocato Franco Gaetano Scoca, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Giovanni Paisiello n. 55;

Ministero per i Beni e Le Attivita’ Culturali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 06223/2018, resa tra le parti, concernente avviso, pubblicato in gazzetta ufficiale 4 serie speciale concorsi ed esami n. 41 del 24 maggio 2016, relativo alla pubblicazione dei nove bandi di concorso per l’assunzione, a tempo indeterminato presso il ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, di 500 funzionari da inquadrare nella III area del personale non dirigenziale, posizione economica f1 – atto di costituzione ex art.10 D.P.R. n. 1199 del 1971 -mcp;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di F. P.A. – C.S. delle P.A. e di Ministero per i Beni e Le Attività Culturali;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 ottobre 2019 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati Vergerio Alvise, Senatore per dichiarata delega di Scoca Franco e dello Stato Greco.;

Svolgimento del processo
Con l’appello in esame l’odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 6223 del 2018 con cui il Tar Lazio aveva respinto l’originario gravame, proposto dalla medesima parte – insieme ad altri concorrenti – al fine di ottenere l’annullamento dell’esclusione disposta dall’Amministrazione al concorso pubblico per l’assunzione di 500 funzionari da inquadrare in vari profili della III area del personale non dirigenziale, posizione economica F1; in particolare, l’esclusione si basava sul difetto del titolo di accesso previsto dall’art. 3 dei relativi bandi settoriali e in particolare di un “diploma di specializzazione, o dottorato di ricerca, o master universitario di secondo livello di durata biennale” o di un titolo equipollente/equivalente nella disciplina di riferimento.

Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava i motivi di appello attraverso la riproposizione della articolata censura di primo grado e la critica delle argomentazioni di cui alla sentenza appellata:

– erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto infondato il primo motivo di ricorso, violazione dell’art. 2 del T.U. pubblici concorsi, dell’allegato A del CCNL ARAN, nonché dell’art. 3, Decreto MIUR 22 ottobre 2004 n. 270 e del principio del favor partecipationis, oltre che eccesso di potere per manifesta arbitrarietà, disparità di trattamento, irragionevolezza, ingiustizia grave e manifesta.

La parte appellata si costituiva in giudizio chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado ed il rigetto dell’appello.

Con decreto cautelare n. 4157\2018 e successiva ordinanza n. 4867\2018 veniva accolta la domanda cautelare di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata.

Alla pubblica udienza del 10\10\2019, in vista della quale le parti depositavano memorie, la causa passava in decisione

Motivi della decisione
1. La controversia ha ad oggetto l’esclusione dell’odierno appellante dal concorso pubblico per l’assunzione di 500 funzionari da inquadrare nella III area del personale non dirigenziale, posizione economica F1. Per quanto di interesse, nel bando di concorso per il Profilo Funzionario architetto, l’Amministrazione ha stabilito, all’articolo 3, tra i requisiti di ammissione, oltre alla laurea, il possesso di ulteriori titoli tassativamente determinati, ostativi alla partecipazione di parte appellante. In particolare, il bando prevedeva la necessità di un “diploma di specializzazione, o dottorato di ricerca, o master universitario di secondo livello di durata biennale” o di un titolo equipollente/equivalente nella disciplina di riferimento. Parte appellante risultava pertanto esclusa avendo i seguenti titoli: laurea in architettura, Master di II livello in “Exhibition Design – allestimento museale”, di durata inferiore al biennio; abilitazione alla professione di architetto.

2.1 Tanto precisato, in via preliminare deve essere esaminata la riproposta – in quanto non esaminata dal Tar – eccezione di inammissibilità del ricorso, per carenza di interesse, ai sensi dell’art. 35, comma 1, lett. a), del cod. proc. amm.; carenza di interesse determinata secondo la prospettazione dell’Amministrazione appellata dall’omessa impugnazione dell’art. 2 del D.I. 15 aprile 2016, n. 204, che prevede il requisito di partecipazione ai concorsi oggetto di contestazione avversaria (art. 2, comma 1, lett. b), (“Requisiti di partecipazione”), poi recepito in modo pedissequo dagli artt. 3 dei bandi di concorso.

2.2 L’eccezione deve essere respinta, analogamente ai precedenti specifici della sezione, già richiamati in sede cautelare. Invero il ricorso si rivolge anche nei confronti del D.I. 15 aprile 2016, n. 204, il quale, oltretutto, è stato specificamente indicato nell’epigrafe del ricorso di primo grado.

Le considerazioni svolte a sostegno dell’eccezione non risultano condivisibili, posto che le disposizioni impugnate (ovvero i criteri di ammissione al concorso), del bando e del decreto interministeriale, sono analoghe; risulta perciò superflua una specifica articolazione dei motivi rispetto ai due atti, stante il fatto che le disposizione impugnate sono le medesime, così come le relative censure.

3. Nel merito l’appello è fondato e deve trovare accoglimento, nei termini già paventati in sede cautelare, con conseguente applicabilità dell’art. 74 cod proc amm.

3.1 In generale deve essere confermato il principio più volte ribadito dalla giurisprudenza amministrativa che riconosce “in capo all’amministrazione indicente la procedura selettiva un potere discrezionale nell’individuazione della tipologia dei titoli richiesti per la partecipazione, da esercitare tenendo conto della professionalità e della preparazione culturale richieste per il posto da ricoprire.” (cfr., Cons. St., Sez. V, 18 ottobre 2012, n. 5351; Cons. St., Sez. VI, 3 maggio 2010, n. 2494). In altre parole, quella che l’amministrazione esercita, nel prevedere determinati requisiti di ammissione, è una tipologia di scelta che rientra tra quelle di ampia discrezionalità spettanti alle amministrazioni. Nondimeno, la giurisprudenza ha chiarito che: “in assenza di una fonte normativa che stabilisca autoritativamente il titolo di studio necessario e sufficiente per concorrere alla copertura di un determinato posto o all’affidamento di un determinato incarico, la discrezionalità nell’individuazione dei requisiti per l’ammissione va esercitata tenendo conto della professionalità e della preparazione culturale richieste per il posto da ricoprire o per l’incarico da affidare, ed è sempre naturalmente suscettibile di sindacato giurisdizionale sotto i profili della illogicità, arbitrarietà e contraddittorietà (Cfr. Consiglio di Stato sez. V, 28 febbraio 2012, n. 2098).

3.2 Tanto precisato, nella peculiare vicenda all’attenzione del Collegio, i criteri del bando impugnati non risultano in parte qua proporzionali rispetto all’oggetto della specifica procedura selettiva ed al posto da ricoprire tramite la stessa, risolvendosi pertanto in una immotivata ed eccessiva gravosità rispetto all’interesse pubblico perseguito.

In particolare, per quel che rileva in questa sede, non risulta giustificata la pretesa titolarità di titoli ulteriori rispetto al diploma di laura, ed in particolare di un master di II livello della durata biennale – con esclusione quindi dei master parimenti di II livello, ma aventi solo una durata annuale – in relazione allo specifico profilo di Funzionario architetto in questione.

3.3 In disparte le considerazioni circa l’equivalenza o meno dei due titoli (annuale e biennale) alla stregua del D.M. n. 270 del 2004 e la necessità di discriminare, se del caso, in base ai rispettivi crediti formativi conseguiti attraverso ciascun titolo, piuttosto che in base alla relativa durata, l’eccessività, e dunque l’illegittimità, dei criteri impugnati rispetto al fine da perseguire emerge da più fattori.

In primo luogo, in generale deve ricordarsi che il Testo Unico dei pubblici concorsi, all’articolo 2, comma 6, prevede che “Per l’accesso a profili professionali di ottava qualifica funzionale è richiesto il solo diploma di laurea”.

Secondariamente, in riferimento allo specifico concorso oggetto di causa, tramite l’accordo siglato in sede sindacale nel 2010 – propedeutico all’emanazione dei bandi di concorso, quale quello oggetto del presente giudizio – lo stesso Ministero aveva convenuto che per accedere ai concorsi dallo stesso indetti, i candidati dovevano essere in possesso del diploma di laurea magistrale (o di vecchio ordinamento) coerente con le professionalità specifiche. In particolare, per il profilo a cui ambisce l’appellante – “Funzionario per la promozione e comunicazione” – a differenza di altri profili, il Ministero, in sede di stipula del citato accordo, non ha individuato alcun requisito ulteriore oltre al diploma di laurea magistrale (o di vecchio ordinamento) coerente con le professionalità specifiche.

Per quel che rileva in questa sede, il ricordato accordo è sintomatico della eccessiva gravosità dei criteri successivamente stabiliti per l’accesso al concorso. Invero, lo stesso Ministero, proprio al fine di procedere ai successivi concorsi per l’assunzione, per il profilo di Funzionario per la promozione e comunicazione, aveva ritenuto sufficiente il solo requisito del possesso del diploma di laurea, evidentemente considerato di per sé idoneo a garantire l’adeguata preparazione e professionalità per tale profilo. Appare dunque ingiustificata la successiva previsione in sede di indizione del concorso di ulteriori requisiti, quali quelli censurati nel presente giudizio.

3.4 Inoltre, la scelta di prevedere ulteriori titoli, rispetto a quello della solo diploma di laurea, nel caso di specie, non può ritenersi giustificata dal peculiare contesto nel quale è stato indetto il bando oggetto di causa. Al riguardo, parte appellata osserva che il concorso in esame è stato indetto, anche in parziale deroga dei vigenti vincoli di assunzione previsti dell’art. 1, comma 328 e seguenti, della L. n. 208 del 2015 (c.d. legge di stabilità per il 2016), nell’ambito di una più ampia serie di misure economiche di promozione e sviluppo del patrimonio culturale, anche in considerazione della difficile situazione che lo stesso sta vivendo.

Invero, la necessità di derogare ai vincoli di assunzione dettati da misure rigoriste di natura finanziaria, al fine di far fronte all’urgente bisogno di intervenire nel settore di riferimento, non pare possa ragionevolmente giustificare l’aggravamento dei criteri di ammissione al concorso, i quali devono invece essere predisposti in vista dei requisiti culturali e di professionalità richiesti dal ruolo da ricoprire, indipendentemente dal contesto economico finanziario che caratterizza l’epoca di indizione del concorso.

3.5 Nel caso di specie l’amministrazione contesta l’applicabilità dei principi predetti sotto due profili: da un lato, in quanto l’accordo sindacale del 2010 sarebbe stato superato dalle determinazioni contenute nel successivo D.I. n. 204 emesso in data 24 marzo 2016; dall’altro lato il suddetto accordo si sarebbe limitato solo a richiedere i requisiti minimi di partecipazione dei funzionari architetti alla selezione, con la conseguenza il Ministero sarebbe stato autorizzato ad individuare ulteriori criteri per l’accesso allo stesso profilo.

Entrambe le argomentazioni si scontrano con la preminente natura e forza dei principi suddetti. Da un lato lo stesso decreto invocato risulta essere stato tempestivamente impugnato e, conseguentemente, non può che leggersi alla stregua degli stessi superiori principi. Dall’altro lato, l’illegittimità dell’ulteriore limitazione, lungi dall’essere così autorizzata, consegue direttamente dall’applicazione dei medesimi principi già affermati dalla giurisprudenza in generale e dalla sezione in particolare.

4. In definitiva l’appello proposto dalla dott.ssa P. deve trovare accoglimento e, in riforma della sentenza impugnata, deve annullarsi in parte qua il bando ed il relativo decreto presupposto, con conseguente illegittimità dell’esclusione della possibilità di partecipare al concorso da parte dell’appellante, dovendosi di conseguenza confermare il provvedimento con il quale, a seguito dell’ammissione cautelare al sostenimento delle prove, la stessa risulta in posizione utile della graduatoria.

Sussistono giusti motivi, analogamente ai precedenti della sezione, per compensare le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado nei sensi di cui in motivazione.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2019 con l’intervento dei magistrati:

Diego Sabatino, Presidente FF

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Dario Simeoli, Consigliere

Francesco Gambato Spisani, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere, Estensore


Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 15-05-2019) 10-10-2019, n. 25450

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – rel. Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1673-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

C.M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CARLO TIMI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2034/26/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della PUGLIA, depositata il 07/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MOCCI Mauro.

Svolgimento del processo
che l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia che aveva accolto l’appello di C.M.F. contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Foggia. Quest’ultima aveva invece respinto il ricorso del contribuente, in ordine ad un avviso di accertamento per IRPEF, IRES e IVA, relativo all’anno 2009;

Motivi della decisione
che il ricorso dell’Agenzia delle Entrate è articolato in due motivi;

che, attraverso il primo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4;

che la sentenza impugnata avrebbe accolto un motivo di invalidità, mai proposto nel ricorso originario del contribuente; che, mediante il secondo, l’Agenzia assume la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 58 e 60 nonché artt. 158 e 160 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, giacché la CTR avrebbe erroneamente tratto gli elementi relativi al domicilio fiscale del contribuente da un dato diverso rispetto al modello unico della dichiarazione dei redditi;

che l’intimato ha resistito con controricorso;

che la prima censura è fondata;

che il termine di decadenza stabilito, a carico dell’ufficio tributario ed in favore del contribuente, per l’esercizio del potere impositivo, ha natura sostanziale e non appartiene a materia sottratta alla disponibilità delle parti, in quanto tale decadenza non concerne diritti indisponibili dello Stato alla percezione di tributi, ma incide unicamente sul diritto del contribuente a non vedere esposto il proprio patrimonio, oltre un certo limite di tempo, alle pretese del fisco, sicchè è riservata alla valutazione del contribuente stesso la scelta di avvalersi o no della relativa eccezione, che ha natura di eccezione in senso proprio e non è, quindi, rilevabile d’ufficio (Sez. 5, n. 27562 del 30/10/2018; Sez. 6-5, n. 31224 del 29/12/2017);

che, in particolare, la CTR non avrebbe potuto escludere la sanatoria invocata dall’Ufficio sulla scorta “del decorso del termine di decadenza del potere di accertamento della A.F.”, giacchè tale eccezione non era stata sollevata in primo grado; che anche il secondo rilievo è fondato;

che, in tema di accertamento delle imposte dei redditi, in caso di originaria difformità tra la residenza anagrafica e quella indicata nella dichiarazione dei redditi, è valida la notificazione dell’avviso perfezionatasi presso quest’ultimo indirizzo, atteso che l’indicazione del comune di domicilio fiscale e dell’indirizzo, da parte del contribuente, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, va effettuata in buona fede e nel rispetto del principio di affidamento dell’Amministrazione finanziaria, la quale non è tenuta a controllare l’esattezza del domicilio eletto (Sez. 5, n. 25680 del 14/12/2016; Sez. 6-5, n. 15258 del 21/07/2015);

che, pertanto, in accoglimento del ricorso la sentenza va cassata ed il giudizio rinviato alla CTR Puglia, in diversa composizione, affinché si attenga agli enunciati principi e si pronunzi anche con riguardo alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Regionale della Puglia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2019


Riunione Giunta Esecutiva del 16.11.2019

Logo Giunta EsecutivaAi sensi dell’art. 13 dello Statuto, viene convocata la riunione della Giunta Esecutiva che si svolgerà sabato 16 novembre 2019 alle ore 8:30 presso il Comune di Cesena – Palazzo Municipale – Piazza del Popolo 10, in prima convocazione, e alle ore 10:30 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:

  1. Approvazione iscrizioni 2019;
  2. Approvazione iscrizioni 2020;
  3. Attività formativa 2019/2020;
  4. Attività Istituzionale;
  5. Valutazioni relative alla sentenza Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 23-05-2019) 05-09-2019, n. 22167;
  6. Varie ed eventuali.

Leggi: Documentazione

Leggi: GE 16 11 2019 Verbale


Riunione Consiglio Generale del 16.11.2019

Logo Consiglio Generale1Ai sensi dell’art. 15 dello Statuto, viene convocata la riunione Consiglio Generale che si svolgerà sabato 16 novembre 2019 alle ore 8:30 presso il Comune di Cesena (FC) – Piazza del Popolo 10, in prima convocazione, e alle ore 10:30 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:

  1. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2019;
  2. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2020;
  3. Attività formativa 2019/2020;
  4. Attività Istituzionale;
  5. Valutazioni relative alla sentenza Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 23-05-2019) 05-09-2019, n. 22167;
  6. Varie ed eventuali.

Leggi: Documentazione

Leggi: Verbale CG del 16 11 2019


Consiglio di Stato: nozione di residenza

La Quinta Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza pubblicata in data 24 settembre 2019 ha affermato che “In linea generale, deve osservarsi che la nozione di residenza viene in rilevo in molteplici norme (tra le altre, l’individuazione del giudice competente ex art. 18 c.p.c. e il luogo di notificazione degli atti ex art. 139 c.p.c.), ma non è univoca.

La definizione civilistica di residenza è contenuta all’art. 43 comma 2 c.c., che si riferisce al “luogo in cui la persona ha la dimora abituale”, per tale dovendosi intendere secondo la giurisprudenza il luogo con cui il soggetto ha una relazione di fatto, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle relazioni sociali.

Sempre in linea generale, deve poi rilevarsi che, per un verso, la residenza civilistica nel significato delineato dall’art. 43, comma 2, c.c. di residenza effettiva (o c.d. di fatto) si contrappone al domicilio ex art. 43 comma 1 c.c. (che è, invece, una nozione di diritto e corrisponde al luogo in cui la persona “ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi”); per altro verso, essa non sempre coincide con la residenza anagrafica risultante dai registri anagrafici, in quanto l’una (la residenza effettiva) identifica il luogo in cui un soggetto dimora abitualmente, l’altra (quella anagrafica) indica il luogo comunicato al Comune, che potrebbe nel tempo successivo al momento della comunicazione non corrispondere più alla dimora abituale della persona.

Va, infatti, considerato che l’indicazione anagrafica non individua inequivocabilmente la residenza civilistica, ma ha rilevanza sul piano probatorio e forma una presunzione circa il luogo di effettiva abituale dimora, che è accertabile con qualunque mezzo di prova: in particolare la giurisprudenza ha chiarito che il requisito dell’abitualità della dimora è la risultante del fatto oggettivo della stabile permanenza in quel luogo e dell’elemento soggettivo costituito dalla volontà della persona a rimanervi stabilmente, desumibile da circostanze univoche e concordanti, tra le quali valore preminente assume proprio lo svolgimento in loco dell’attività lavorativa.


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 20-06-2019) 24-09-2019, n. 23706

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

Dott. VECCHIO Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12505-2015 proposto da:

V.D., elettivamente domiciliato in ROMA VIA FRANCESCO SIACCI 4, presso lo studio dell’avvocato PERONACE MONICA, rappresentato e difeso dall’avvocato LAGRECA ANGELA LILIANA;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA SUD SPA;

– intimata –

avverso la sentenze n. 2234/2014 della COMM. TRIB. REG. di BARI depositata il 11/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/06/2019 dal Consigliere Dott. CAPRIOLI MAURA.

Svolgimento del processo
Ritenuto che:

Con sentenza nr 2234/20014 la CTR di Bari accoglieva parzialmente l’appello principale proposto V.D. e quello incidentale proposto da Equitalia Sud avverso la sentenza nr 185/2012 della CTP di Bari ritenendo per gli aspetti che qui rilevano ritualmente eseguite le notifiche delle cartelle contestate ai punti 1, 3, 4, 5, 6, 7 e 9 con l’esibizione dell’avviso di accertamento e non correttamente eseguite quelle riportate ai punti 2 ed 8 della sentenza.

Avverso tale sentenza V.R. propone ricorso per cassazione basato su un unico articolato motivo. Nessuno si costituisce per Equitalia Sud.

Motivi della decisione
Ritenuto che:

Il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, e degli artt. 1335 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Sostiene infatti che l’esibizione del mero avviso di accertamento non sarebbe sufficiente nel caso in cui come nella specie sia contestato il contenuto della busta corrispondente al predetto avviso.

Osserva che in tale ipotesi l’Amministrazione avrebbe dovuto provare il buon fine della procedura.

Sul tema si registrano, invero, due diversi orientamenti della giurisprudenza di legittimità, uno secondo cui nel caso di contestazione del contenuto l’onere della prova spetta all’Amministrazione finanziaria (cfr Cass. 2015 nr 2625) e l’altro prevalente cui questo Collegio intende aderire in base al quale, ove il Concessionario si avvalga della facoltà, prevista dal D.P.R. 29 settembre 1913, n. 602, art. 26, di provvedere alla notifica della cartella esattoriale mediante raccomandata con avviso di ricevimento, ai fini del perfezionamento della notificazione è sufficiente – anche alla luce della disciplina dettata dal D.M. 9 aprile 2001, artt. 32 e 39 – che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento a carico dell’ufficiale postale se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente; ai predetti fini non si ritiene invece necessario che l’agente della riscossione dia la prova anche del contenuto del plico spedito con lettera raccomandata, dal momento che l’atto pervenuto all’indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo in forza della presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se lo stesso destinatario dia prova di essersi incolpevolmente trovato nell’impossibilità di prenderne cognizione (Cass. n. 5397 del 18/3/2016; n. 15315 del 4/7/2014; n. 9111 del 6/6/12; n. 20027 del 30/9/2011).

In altri termini, la prova dell’arrivo della raccomandata fa presumere l’invio e la conoscenza dell’atto, mentre l’onere di provare eventualmente che il plico non conteneva l’atto spetta non già al mittente (in tal senso, Cass. ord. n. 9533 del 12/5/2015; n. 2625 del 11/2/2015; n. 18252 del 30/7/2013; n. 24031 del 10/11/2006; m 3562 del 22/2/2005), bensì al destinatario (in tal senso, oltre ai precedenti già citati, Cass. 22 maggio 2015, n. 10630; conf. Cass. n. 24322 del 14/11/2014; n. 15315 del 4/7/2014; n. 23920 del 22/10/13; n. 16155 del 8/7/2010; n. 17417 del 8/8/2007; n. 20144 del 18/10/2005; n. 15802 del 28/7/2005; n. 22133 del 24/11/2004; n. 771 del 20/1/2004; n. 11528 del 25/7/2003; n. 4878/1992; 4083/1978; cfr. Cass., ord. n. 20786 del 2/10/2014, per la quale tale presunzione non opererebbe con inversione dell’onere della prova – ove il mittente affermasse di avere inserito più di un atto nello stesso plico ed il destinatario contestasse tale circostanza).

L’orientamento prevalente risulta peraltro conforme al principio generale di c.d. “vicinanza della prova”, poichè la sfera di conoscibilità del mittente incontra limiti oggettivi nella fase successiva alla consegna del plico per la spedizione, mentre la sfera di conoscibilità del destinatario si incentra proprio nella fase finale della ricezione, ben potendo egli dimostrare (ed essendone perciò onerato) che al momento dell’apertura il plico era in realtà privo di contenuto (Cassazione civile, sez. trib., 28/12/2018, n. 33563).

Merita dunque di essere confermato il principio per cui, in tema di notifica della cartella esattoriale ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26 (così come, più in generale, in caso di spedizione di plico a mezzo raccomandata), la prova del perfezionamento del procedimento di notificazione è assolta dal notificante mediante la produzione dell’avviso di ricevimento, poichè, una volta pervenuta all’indirizzo del destinatario, la cartella esattoriale deve ritenersi a lui ritualmente consegnata, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., fondata sulle univoche e concludenti circostanze (integranti i requisiti di cui all’art. 2729 c.c.) della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale, e superabile solo ove il destinatario medesimo dimostri di essersi trovato, senza colpa, nell’impossibilità di prenderne cognizione, come nel caso in cui sia fornita la prova che il plico in realtà non conteneva alcun atto al suo interno (ovvero conteneva un atto diverso da quello che si assume spedito) (cfr sul punto Cass. 33563/2018).

Ne consegue che, nel caso di specie, non avendo il contribuente fornito la prova dell’asserita assenza, all’interno della busta notificatagli, delle cartelle detta notifica deve ritenersi validamente perfezionata.

I medesimi principi sono stati recentemente confermati da Cass., Sez. 6-5, 21.2.2018, n. 4275, Rv. 647134-01, la quale ha ribadito che la notificazione della cartella di pagamento può essere eseguita anche mediante invio, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, (perfezionandosi, in tal caso, alla data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente o dal consegnatario, senza necessità di redazione di un’apposita relata di notifica, in quanto l’avvenuta effettuazione della notificazione, su istanza del soggetto legittimato, e la relazione tra la persona cui è stato consegnato l’atto ed il destinatario della medesima costituiscono oggetto di una attestazione dell’agente postale assistita dall’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c.c.), mentre la complessiva legittimità di tale forma di notifica (cd. diretta) è stata da ultimo confermata da Corte Cost., n. 175 del 2018, la quale ha osservato come, alla luce di una lettura combinata del cit. art. 26 e della L. n. 212 del 2000, art. 6 (cd. Statuto del contribuente), le ‘regole semplificate (si discorre, nella motivazione del giudice delle leggi, di “scostamenti”) della notifica in commento rispetto al regime “ordinario” non integrano alcuna violazione dell’art. 24 Cost., art. 3 Cost., comma 1 e art. 111 Cost., commi 1 e 2 (Cass. 2018 nr 27261).

Va ricordato poi che, in tema di riscossione delle imposte, la notifica della cartella esattoriale può avvenire anche mediante invio diretto, da parte del concessionario, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, in quanto il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, comma 1, seconda parte, prevede una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario stesso ed all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva dei soggetti ivi indicati. In tal caso, la notifica si perfeziona con la ricezione del destinatario, alla data risultante dall’avviso di ricevimento, senza necessità di un’apposita relata, visto che è l’ufficiale postale a garantirne, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella, come confermato implicitamente dal citato art. 26, penultimo comma, secondo cui il concessionario è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o con l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6395 del 19/03/2014; Sez. 5, Sentenza n. 14327 del 19/06/2009).

Ciò posto, nel caso di specie la notifica della comunicazione dell’iscrizione ipotecaria, pacificamente eseguita a mezzo del servizio postale in data 26.2.2010, deve ritenersi regolarmente perfezionata con l’avviso di ricevimento debitamente depositato dalla società Equitalia Gerit s.p.a. in aderenza al dettato normativo sopra richiamato.

Non è dunque necessario che l’agente della riscossione produca la copia della cartella di pagamento, la quale, una volta pervenuta all’indirizzo del destinatario, deve ritenersi ritualmente consegnata a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile,come si è detto,solo se il medesimo provi di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di prenderne cognizione (così Cass. n. 9246/15, nonchè Cass. n. 24235/15 e Cass. n. 15795/16, tra le più recenti Cass. 2018 8086; Cass. 21533/2017; ancora, sulla presunzione di conoscenza anche Cass. n. 15315/14).

Il ricorso va pertanto rigettato.

Nessuna determinazione in punto spese in assenza dello svolgimento di una attività difensiva da parte della controricorrente.

Non sussistono le condizioni per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato stante l’ammissione del contribuente al gratuito patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso; nulla per le spese Così deciso in Roma, il 20 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2019


Tesseramento anno 2020

La Giunta Esecutiva nella riunione del 16.11.2019 ha approvato le quote di iscrizione all’Associazione per l’anno 2020.
Le tipologie delle quote di adesione all’Associazione A.N.N.A. per l’anno 2020 sono:

Tipo

Descrizione/Qualifica

Importo

A Addetto all’Albo On Line €  70.00
B Addetto alla Casa Comunale €  70.00
C Altri Enti (IVA) €  323.00
D Altri Enti (TN) €  323.00
E Altro €  216.00
F Ausiliario del traffico €  70.00
G Avvocati/Commercialisti €  163.00
H Avvocato Comunale €  75.00
I Collaboratore Serv. Ausiliari €  70.00
L Comandante P.L. €  75.00
M Coordinatore Uff. Notifiche €  70.00
N Dirigente €  75.00
O Ditta €  323.00
P Ente Pubblico fino a 10.000 €  141.00
Q Ente Pubblico fino a 100.000 €  195.00
R Ente Pubblico oltre 100.000 €  270.00
S Ex Messo Comunale €  37.00
T Funzionario €  70.00
U Impiegato/Istruttore €  70.00
V Imprenditore €  270.00
Z Lavoratore Socialmente Utile €  70.00
AA Messo Comunale €  70.00
BB Messo Comunale e Notificatore €  70.00
CC Messo Comunale/Accertatore Anagrafico €  70.00
DD Messo del Giudice di Pace €  70.00
EE Messo Esattoriale €  70.00
FF Messo Notificatore €  70.00
GG Messo Notificatore Provinciale €  70.00
HH Messo Provinciale €  70.00
II Polizia Locale €  70.00
LL Portalettere/Messo Notificatore €  70.00
MM Privato €  268.00
NN Responsabile P.O. €  75.00
OO Responsabile Uff. Notifiche €  70.00
PP Segretario Comunale €  75.00
QQ Socio fondatore CA €  32.00
RR Ufficiale di Riscossione €  70.00
SS Ufficiale Giudiziario €  70.00
UC Unione dei Comuni € 323,00

L’iscrizione delle tipologie A, B, F, G, H, I, L, M, N, T, U, Z, AA, BB, CC, DD, EE, FF, GG, HH, II, LL, NN, OO, QQ, RR, SS, comprendono la copertura assicurativa oltre alle agevolazioni previste dalle convenzioni che l’Associazione ha già stipulato e che effettuerà.

Qualora venga richiesta la fattura elettronica, occorrerà aggiungere agli importi che superano €  77,47  l’imposta di bollo di € 2,00 e comunicare il Codice Unico Ufficio.

Le quote di adesione all’Associazione devono pervenire al netto delle spese bancarie, che sono a carico di chi effettua il versamento.

La Giunta Esecutiva dell’Associazione nella seduta del 3 febbraio 2018 ha deliberato, tra l’altro, il rinnovo delle opportunità, riconfermate in data 18.06.2016, al fine di favorire l’adesione dei Comuni o delle loro forme Associate (Unioni, Consorzi, etc …) che rinnovano l’iscrizione all’Associazione.

  • Nuove opportunità1Tutti gli Enti che, già soci nell’anno precedente, rinnoveranno l’adesione ad A.N.N.A. entro il 31 gennaio dell’anno 2019, avranno diritto a:
    • Iscrizione gratuita ad A.N.N.A. di un proprio dipendente (preferibilmente che svolga le mansioni di Messo Comunale/Messo Notificatore);
    • Sconto del 15% sul costo dell’iscrizione dei propri dipendenti, fino ad un massimo di 10, ai corsi di formazione/Giornate di Studio organizzati da A.N.N.A.. Tale sconto si applica tutte le quote di partecipazione ai corsi di formazione/Giornate di Studio organizzati dall’Associazione comprendenti l’adesione ad A.N.N.A.. Lo sconto non si applica qualora siano presenti altre promozioni.

Scarica: Modulo adesione Messo Comunale 2020

Scarica: Modulo adesione Ente 2020

Scarica: 

Scarica: Riepilogo Quote Iscrizione 2020

Leggi: Perché iscriversi 2020


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 16/04/2019) 11/09/2019, n. 22687

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11066-2014 proposto da:

EQUITALIA SUD SPA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA TARVISIO 2, presso lo studio dell’avvocato MARCO FIERTLER, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

F.D.;

– intimato –

e contro

INPS, elettivamente domiciliato in ROMA VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato ANTONINO SGROI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, ESTER ADA SCIPLINO, GIUSEPPE MATANO, LELIO MARITATO;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 2132/2013 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 19/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/04/2019 dal Consigliere Dott.ssa FASANO ANNA MARIA.

Svolgimento del processo
CHE:

F.D. impugnava una iscrizione ipotecaria eseguita da Equitalia E.Tr. S.p.A., lamentando, inter alia, la violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 50 e 77, e l’omessa notifica delle cartelle di pagamento presupposte, proponendo la conseguente eccezione di prescrizione del credito. La sezione lavoro del Tribunale di Reggio Calabria, con sentenza n. 2116/11, rigettava il ricorso limitatamente ai crediti portati in alcune delle cartelle su cui era fondata l’iscrizione, accogliendo l’opposizione con riferimento ai crediti portati dalla cartella n. (OMISSIS), in quanto l’agente della riscossione non aveva dato prova della notifica. Il contribuente proponeva appello, adducendo l’erroneità della sentenza in cui si statuiva la tardività dell’eccezione relativa alla violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, comma 2, per omessa notifica, atteso che tale eccezione era da ricondurre alle opposizione ex art. 615 c.p.c. e non 617 c.p.c., insistendo anche per l’accoglimento della eccezione di prescrizione del credito, attesa l’illegittimità delle notifica delle cartelle esattoriali sottese alla iscrizione ipotecaria, perchè non ricevute da familiare convivente. La sezione lavoro della Corte di appello di Reggio Calabria, con sentenza n. 2132 del 2013, accoglieva il gravame, dichiarando la prescrizione dei crediti portati in tutte le cartelle presupposte alla iscrizione con eccezione di quelli riferiti alla cartella n. (OMISSIS) perchè ricevuta da F.P., zia del contribuente, posto che non era stata contestata dallo stesso la qualità di familiare convivente della consegnataria. La Corte territoriale riteneva erronea la sentenza emessa dal Tribunale nella parte in cui aveva rigettato l’eccezione, proposta dal contribuente, relativa alla illegittimità della notifica delle cartelle ricevute dalla sig. M., non qualificabile come familiare convivente. Equitalia Sud S.p.a. ricorre per la cassazione della sentenza, svolgendo due motivi. Le parti intimate non hanno svolto difese.

Motivi della decisione
CHE:

1. Con il primo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, denunciando omessa motivazione in merito alla valutazione della documentazione prodotta dal contribuente in primo grado al fine di provare la non convivenza di M.F., che aveva ricevuto la notifica di alcune delle cartelle sottese alla iscrizione ipotecaria. La ricorrente lamenta che per provare la non convivenza di un soggetto ai fini della legittimità di una notifica, non basterebbe dimostrare la non appartenenza del soggetto stesso nello stato di famiglia. Inoltre, la sentenza non indicherebbe se, sulla base della documentazione prodotta in primo grado, M.F. risultava soggetto non convivente “neanche in via temporanea” con F.D..

2. Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per violazione della L. n. 890 del 1982, art. 7, comma 2, atteso che i giudici di appello riterrebbero che il semplice presupposto della non appartenenza di M.F. allo stato di famiglia di F.D. sarebbe sufficiente a determinare l’illegittimità della notifica delle cartelle esattoriali dalla stessa ricevute. Nella fattispecie, la convivenza “temporanea” della sig. M.F. risulterebbe in re ipsa dal fatto che essa, in più circostanze ed in diversi periodi temporali (anni 2006, 2007, 2009), si trovava nella residenza di F.D., con conseguente legittimità delle notifica delle cartelle ai sensi della L. n. 890 del 1992, art. 7, comma 2.

3. I motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per ragioni di connessione logica, sono fondati.

3.1. La questione all’esame della Corte riguarda il mancato esame di documenti, esibiti da Equitalia nel corso del giudizio di merito, da parte del giudice di appello, con conseguente omessa motivazione, atteso che l’esame delle risultanze istruttorie avrebbero provato la legittimità della notifica delle cartelle di pagamento presupposte alla iscrizione ipotecaria, in ragione della presenza, non meramente occasionale, della consegnataria ( M.F.) nell’abitazione del contribuente.

Nella fattispecie, infatti, non è contestato, per essere stato anche precisato dal giudice del merito, che le cartelle furono notificate alla signora M.F. presso la residenza di F.D..

3.2. Secondo l’indirizzo espresso da questa Corte, largamente condiviso, in assenza del destinatario, la copia dell’atto da notificare può essere consegnata a persona di famiglia o addetta alla casa o all’ufficio o all’azienda, non infraquattordicenne o palesemente incapace, purchè la presenza del consegnatario non sia meramente occasionale o temporanea. La “non occasionalità” si presume dalla accettazione senza riserve dell’atto (Cass. n. 187 del 2000) e dalle dichiarazioni recepite dall’Ufficiale giudiziario nella relata di notifica (Cass. n. 12181 del 2013; Cass. n. 26501 del 2014), “di tal che incombe al destinatario dell’atto, che contesti la validità della notificazione, l’onere di fornire la prova contraria ed, in particolare, l’inesistenza di alcun rapporto con il consegnatario, comportante una delle qualità sopra indicate, ovvero la occasionalità della presenza dello stesso consegnatario (Cass. n. 7368 del 2018; Cass. n. 27587 del 2018; Cass. n. 9371 del 2019).

3.3. Il giudice di appello non ha motivato adeguatamente le ragioni del proprio convincimento, dando rilievo, ai fini della ritualità della notifica delle cartelle di pagamento presupposte all’iscrizione ipotecaria, alle deduzioni difensive del contribuente fondate sullo stato di famiglia e sulla residenza anagrafica della consegnataria dell’atto, circostanze da sole non idonee a provare roccasionalità” della presenza della stessa pressa l’abitazione del destinatario, ed omettendo di valutare, anche al solo fine di confutarli, tutti gli argomenti di prova offerti dall’Agente della riscossione nel corso del giudizio, relativi al fatto che M.F. aveva ricevuto nel corso di vari anni 2006, 2007, 2009 notifiche presso l’abitazione del contribuente.

La convivenza, almeno temporanea, può presumersi nel fatto che il familiare si sia trovato nell’abitazione del destinatario dell’atto da notificare ed abbia preso in consegna tale atto, rilevando, quindi, in via esclusiva la prova della insussistenza, neanche temporanea, della medesima convivenza tra consegnatario della copia e destinatario della notifica, che quest’ultimo ha l’onere di fornire (Cass. n. 3261 del 1993; Cass. n. 2348 del 1994; Cass. n. 24852 del 2006). Con riferimento alle certificazioni anagrafiche prodotte dal contribuente e poste a fondamento della decisione della Corte territoriale, questa Corte ha chiarito che: “In tema di notificazioni, la consegna dell’atto da notificare a persona di famiglia, secondo il disposto dell’art. 139 c.p.c., non postula necessariamente nè il solo rapporto di parentela, cui è da ritenersi equiparato quello di affinità, nè l’ulteriore requisito della convivenza del familiare con il destinatario dell’atto, non espressamente menzionato dalla norma, risultando, all’uopo, sufficiente l’esistenza di un vincolo di parentela o di affinità che giustifichi la presunzione che la “persona di famiglia” consegnerà l’atto al destinatario stesso, resta, in ogni caso, a carico di colui che assume di non avere ricevuto l’atto, l’onere di provare il carattere del tutto occasionale della presenza del consegnatario in casa propria, senza che a tal fine rilevino le sole certificazioni anagrafiche del familiare medesimo (Cass. n. 21362 del 2010; Cass. n. 23368 del 2006; Cass. n. 1331 del 2000; Cass. n. 8697 del 1997).

Dalla motivazione del provvedimento impugnato non risulta che siano state adeguatamente valutate le prove offerte da Equitalia nel corso del giudizio per giungere alla conclusione che M.F. non fosse neanche temporaneamente convivente con F.D..

4. Da siffatti rilievi consegue l’accoglimento del ricorso con rinvio alla sezione lavoro della Corte di Appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, per il riesame e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, per il riesame, alla sezione lavoro della Corte di appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 16 aprile 2019.

Depositato in cancelleria il 11 settembre 2019


Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 02-10-2018) 11-09-2019, n. 22644

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 22002/2011 R.G. proposto da:

UNIPART EXPORTS LIMITED, in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in (OMISSIS) (P. IVA: (OMISSIS)), difesa dall’Avv. Enrico Caruso, del Foro di Milano, elettivamente domiciliata presso l’Avv. Mario Valentini, con studio in Roma, viale Castro Pretorio n. 122;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, domicilia;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 12/10/2011, pronunciata il 23 settembre 2010 e depositata 11 febbraio 2011;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 02 ottobre 2018 dal Consigliere Fabio Antezza;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Zeno Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo di ricorso;

udito, per il ricorrente, l’Avv. Tonio Di Iacovo (per delega dell’Avv. Enrico Caruso), che ha insistito per l’accoglimento del ricorso;

udito per la resistente A.E. l’Avv. Roberta Guizzi (dell’Avvocatura Generale dello Stato), che ha insistito per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
1. UNIPART EXPORTS LIMITED ricorre, con tre motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe di accoglimento dell’appello proposto dall’Amministrazione finanziaria avverso la sentenza dalla CTP di Roma (n. 352/13/2009). Quest’ultima, a sua volta, di accoglimento dell’impugnazione proposta dal contribuente avverso avviso di accertamento IVA (n. (OMISSIS)) relativo all’esercizio 1999, emesso per recupero di IVA indebitamente detratta per Euro 362.707,16 (oltre sanzioni ed interessi).

2. La complessità della ricostruzione dei fatti di causa ne impone una puntuale loro sintesi, nei termini che seguono (per quanto emerge dalla sentenza impugnata oltre che dal ricorso, dal controricorso e dagli atti e documenti in essi riportati e da essi richiamati nonchè depositati).

2.1. La UNIPART EXPORTS LIMITEDv (contribuente attuale ricorrente, di seguito anche: “UNIPART LTD”), con sede legale in Inghilterra e rappresentante fiscale in Italia, è parte del gruppo multinazionale UNIPART che si occupa, in via principale, del controllo, della gestione e della logistica delle catene produttive in molteplici settori. Per quanto rileva nel presente processo, alla contribuente è affidata l’attività concernente la logistica di prodotti del settore auto e la consulenza inerente la ricerca della migliore efficienza produttiva, compresi studi e realizzazione di progetti relativi alla massimazione delle disponibilità dei ricambi, alla riduzione dei costi di magazzino, alla gestione dei depositi ed all’incremento dell’efficienza della catena valore.

Con rifermento all’attività di cui innanzi UNIPART LTD concluse un accordo con una società di diritto inglese del Gruppo Jaguar (di seguito: “Jaguar UK”), esteso anche all’Italia in forza di accordo con la Jaguar Italia s.p.a., avente ad oggetto un servizio integrale di analisi, studio, raccolta, immagazzinamento e consegna di parti di ricambio per autovetture da sette depositi a circa 700 rivenditori/concessionari Jaguar. Tale servizio prevedeva la gestione di magazzino, la distribuzione multicanale dei pezzi di ricambio, la creazione ed il controllo del sistema informatico relativo all’attività di logistica, la gestione delle forniture ai clienti della stessa Jaguar UK, oltre a vari servizi tecnici e commerciali.

Per l’espletamento della detta attività, con riferimento ai concessionari italiani, la contribuente concluse con Jaguar Italia s.p.a. un accordo (lettere 22 dicembre 1995 e 19 febbraio 1996), avente ad oggetto attività di supporto (nonchè di controllo ed ottimizzazione delle attività logistiche), da parte della Jaguar Italia s.p.a. ed in ragione dell’osservatorio privilegiato di essa nell’ambito delle relazioni con la rete dei concessionari, della gestione della politiche commerciali, del marketing, dei prezzi e delle performance di distribuzione.

La contribuente, con sede legale in Inghilterra, nominò in Italia un rappresentante fiscale che sin dal 12 gennaio 1996 aveva comunicato di esercitare l’attività di “altri servizi connessi all’informatica” senza avvalersi di uffici, magazzini o locali e di esercitare l’attività presso la propria residenza (come emerge in maniera non controversa dal controricorso).

In esecuzione dell’accordo da ultimo citato Jaguar Italia s.p.a. emise nei confronti della UNIPART LTD fatture comprensive dell’IVA, ritenendole operazioni imponibili D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ex art. 7, comma 3. Ciò quindi in applicazione del principio di territorialità dell’imposta di cui al citato art. 7 (nella formulazione ratione temporis applicabile nella versione antecedente alle consistenti modifiche apportate dal D.Lgs. 11 febbraio 2010, n. 18, art. 1, comma 1, lett. b)) per prestazioni di servizi generici. Queste ultime, in forza del detto comma 3, per il contribuente, avrebbero dovuto considerarsi effettuate nel territorio dello Stato in quanto emesse da soggetto avente domicilio e residenza in Italia, la Jaguar Italia s.p.a., e, quindi non rientranti in taluna delle ipotesi derogatorie di cui al medesimo art. 7, successivo comma 4.

La contribuente, tramite il proprio rappresentante fiscale in Italia, chiese il rimborso dell’IVA di cui alle dette fatture, non avendo effettuato in Italia operazioni attive comportanti un suo debito d’IVA nei confronti dell’Amministrazione finanziaria.

In forza della richiesta di cui innanzi, l’A.E. effettuò nei confronti della UNIPART LTD un’ispezione contabile e documentale, eseguita mediante accesso nei locali destinati all’esercizio dell’attività, a fini IVA, relativamente a diverse annualità, tra le quali il 1999. L’accertamento fu condotto al fine di verificare la sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi della legittimità dell’imposizione a fini IVA delle operazioni di cui alle fatture emesse dalla Jaguar Italia s.p.a. e, quindi, della rimborsabilità dell’imposta alla contribuente, e si concluse con PVC del 3 dicembre 2007.

Dalla detta attività emerse, in particolare, l’assenza di personale dipendente, di beni strumentali, di conti correnti in Italia, di ricevute di pagamento delle fatture di acquisto e che, quindi (anche) per il 1999 l’unica attività svolta dalla UNIPART LTD, con rappresentante fiscale in Italia, aveva avuto ad oggetto solo la gestione amministrativa della tenuta della contabilità relativa alle transazioni commerciali tra la UNIPART e la Jaguar Italia s.p.a., in forza del supporto da quest’ultima fornito in ragione dei citati accordi commerciali. Si trattava di fatture aventi la dizione “servizi di consulenza come da contratto del 22/12/1995”, senza riferimenti alle qualità ed alle quantità delle operazioni (beni o servizi prestati) ed in assenza di altra documentazione a supporto delle stesse tale da rendere possibile la qualificazione e quantificazione delle operazioni.

La contribuente, quindi, non avendo effettuato alcuna operazione attiva per il 1999, aveva annotato esclusivamente le fatture ricevute dalla Jaguar Italia s.p.a. e le liquidazioni IVA erano pertanto risultate tutte a credito (con riporto anche del credito d’imposta dell’anno precedente).

Per l’Amministrazione finanziaria si trattava quindi di attività gestita direttamente dalla casa madre inglese (la UNIPART LTD) e non dal rappresentante fiscale in Italia, il quale invece si era limitato, di fatto, a recuperare l’IVA versata con riferimento alle citate fatture.

In ragione anche del metodo di commisurazione del corrispettivo, in parte a provvigione e in parte fissa, l’amministrazione ritenne le operazioni non imponibili D.L. 30 agosto 1993, n. 331, ex art. 40, comma 8, conv., con modif., dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427 (comma abrogato dalla L. 7 luglio 2009, n. 88, art. 24, comma 7, lett. b, n. 2, con decorrenza dal giorno successivo a quello di pubblicazione della legge stessa, salvo che per le operazioni a decorrere dal primo gennaio 2008 effettuate con applicazione della disciplina previgente).

L’A.E. argomentò, quindi, in applicazione della disciplina inerente la territorialità delle operazioni intracomunitarie e considerando quelle in esame, ex art. 40, citato comma 8, prestazioni di intermediazione rese da un soggetto con sede in Italia (la Jaguar Italia s.p.a.) ad un soggetto passivo d’imposta intracomunitario (la UNIPART LTD), pertanto non imponibili ai fini IVA (con conseguente non rimborsabilità e non detraibilità dell’IVA pagata).

In ragione della parte fissa del corrispettivo (per collaborazione della Jaguar Italia s.p.a. nella fornitura di dati necessari alla UNIPART LTD per l’ottimizzazione dell’attività logistico-distributiva), l’amministrazione ritenne invece la non imponibilità delle operazioni ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, comma 4 (nella sua formulazione ratione temporis applicabile), rilevando, ai fini della determinazione territoriale dell’imposta il domicilio dell’utilizzatore, nella specie non presente in Italia.

3. L’avviso di accertamento fu impugnato innanzi al Giudice tributario da UNIPART LTD che dedusse, per quanto rileva nel presente processo, la nullità dell’atto impositivo, L. 27 luglio 2000, n. 212, ex art. 12, in quanto emesso in violazione del termine dilatorio di sessanta giorni, decorrenti dal rilascio del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, ed in assenza di particolare e motivata urgenza (prospettata dall’Amministrazione finanziaria solo in forza dell’imminenza del termine decadenziale per l’adozione dell’atto).

Nel merito dell’accertamento, la contribuente dedusse l’erroneità dell’operato dell’Amministrazione finanziaria nel non aver considerato le operazioni di cui alle fatture imponibili ai fini IVA, D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 7, comma 3 (nella formulazione antecedente alla sua sostituzione ad opera del D.Lgs. 11 febbraio 2010, n. 18, art. 1, comma 1, lett. b, ratione temporis applicabile), in quanto aventi ad oggetto servizi resi da soggetto con domicilio nel territorio dello Stato (Jaguar Italia s.p.a.).

4. la CTP di Roma, con sentenza n. 352/13/2009, annullò l’atto impositivo per violazione del contraddittorio endoprocedimentale, in particolare per il mancato rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, (senza entrare nel merito della fondatezza delle doglianze inerenti la correttezza dell’atto impositivo circa la non imponibilità ai fini IVA delle operazioni).

5. Appellata dall’Amministrazione finanziaria, la sentenza di primo grado venne riformata dalla CTR Roma che, con sentenza n. 12/10/2011 (oggetto d attuale ricorso per cassazione), ritenne non nullo l’avviso di accertamento, nonostante il mancato rispetto del termine dilatorio di cui al citato art. 12, comma 7, in forza di tre distinte rationes decidendi. Essa, in primo luogo, ritenne la detta sanzione non operante nella specie in quanto non esplicitamente prevista dall’ordinamento giuridico e, comunque, considerò sufficientemente motivata l’urgenza, in forza dell’imminente scadenza del termine decadenziale per l’adozione dell’atto.

A quanto innanzi il Giudice di secondo grado, dichiarando di fare proprie tesi dottrinali ed orientamenti giurisprudenziali, aggiunse sostanzialmente che, per l’assenza di prospettazione, da parte del contribuente, di ragioni di merito tali da denunciare un’ingiustizia sostanziale derivante dalla violazione del contraddittorio endoprocedimentale, comunque la violazione in esame avrebbe implicato un mero “errore procedurale”. Quest’ultimo, a sua volta, avrebbe implicato “un vizio meramente formale e perciò irrilevante perchè, di fatto,” non incidente “sulla legittimità sostanziale dell’atto e quindi sulla fondatezza della pretesa impositiva”.

Nel merito dell’accertamento, la Corte territoriale confermò l’atto impositivo, ricordando l’assenza di domicilio e residenza in Italia di UNIPART. LTD, avente mero rappresentante fiscale in Italia (circostanza non controversa ed anzi confermata da tutte le parti processuali anche in sede di legittimità).

Il Giudice di merito ritenne altresì accertato che, per quanto di rilievo nella fattispecie in esame, l’unica attività svolta da UNIPART, con rappresentante fiscale in Italia, aveva avuto ad oggetto solo la gestione amministrativa della tenuta della contabilità relativa alle transazioni commerciali tra la UNIPART LTD e la Jaguar Italia s.p.a., in forza del supporto da quest’ultima fornito in ragione dei citati accordi commerciali. Trattavasi, quindi, di attività gestita direttamente dalla casa madre inglese (la UNIPART LTD) e non dal rappresentante fiscale in Italia, il quale invece si era “limitato, di fatto, a recuperare l’IVA” versata con riferimento alle citate fatture, configurandosi, l’attività della Jaguar Italia s.p.a., come “esercizio di distribuzione senza tuttavia sopportare il rischio di magazzino”.

Alla luce anche del corrispettivo riconosciuto alla Jaguar Italia s.p.a., costituito in minima parte da un contributo fisso e per la maggior parte da una percentuale (provvigione sulle vendite), la CTR concluse infine che le fatture in esame fossero state emesse in forza di “attività di intermediazione resa da un soggetto con sede in Italia ad un soggetto passivo d’imposta intracomunitario” (la UNIPART appunto non residente) “ed identificato ai fini IVA in un altro Stato UE”. Sicchè, le dette operazioni, in quanto di intermediazione, non sarebbero dovute essere assoggettate ad IVA (con la conseguente impossibilità di recuperare e detrarre quella invece pagata), in applicazione della disciplina inerente la territorialità delle operazioni intracomunitarie di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 40, comma 8 (comma abrogato dalla L. 7 luglio 2009, n. 88, art. 24, comma 7, lett. b, n. 2, con decorrenza dal giorno successivo a quello di pubblicazione della legge stessa, salvo che per le operazioni a decorrere dal primo gennaio 2008 effettuate con applicazione della disciplina previgente).

6. Contro la sentenza d’appello la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi e sostenuto da memoria, con la quale è stata dedotta l’efficacia espansiva del giudicato esterno costituito dalla sentenza n. 581/2000 emessa dalla CTP di Roma il 24 novembre 2000 e passata in giudicato il 9 gennaio 2002 (che contestualmente produce). Con la medesima memoria, poi, è stata comunque chiesta l’applicazione del nuovo regime sanzionatorio di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 5, (per illegittima detrazione dell’imposta) e all’art. 5 stesso decreto, comma 6 (per dichiarazione con imposta inferiore a quella dovuta).

L’A.E. si è difesa con controricorso, con il quale ha dedotto l’infondatezza del motivo n. 1 e l’inammissibilità oltre che l’infondatezza dei motivi nn. 2 e 3 del ricorso principale.

In sede di discussione la parti hanno infine concluso come indicato in epigrafe.

Motivi della decisione
1. Preliminarmente, deve trattarsi la questione inerente l’efficacia espansiva del giudicato esterno (dedotta dal ricorrente con la memoria) costituito dalla (prodotta) sentenza n. 581/2000 emessa, tra le spesse parti, dalla CTP di Roma il 24 novembre 2000 e passata in giudicato il 9 gennaio 2002 (in quanto non impugnata).

1.1. La questione in oggetto è inammissibile in quanto dedotta per la prima volta con le memorie depositate dal ricorrente per l’odierna udienza nonché solo genericamente paventata con il ricorso, pur inerendo sentenza passata in giudicato nel 2002, cioè antecedentemente ai giudizi di merito e comunque prima del giudizio di secondo grado (inerente l’appello avverso sentenza emessa dalla CTP nel 2009).

Il giudicato esterno, la cui efficacia espansiva nel processo tributario opera nei casi in cui esso sia in grado di incidere su elementi riguardanti più periodi d’imposta, può essere difatti dedotto e provato anche per la prima volta in sede di legittimità purché formatosi dopo la conclusione del giudizio di merito o dopo il deposito del ricorso per cassazione, differentemente da quanto avvenuto nella fattispecie (ex plurimis, Cass. sez. 5, 18/10/2017, n. 24531, Rv. 645913-01, nonché, in precedenza, Cass. sez. 5, 07/05/2008, n. 11112, Rv. 603135-01). Nel caso in cui il giudicato esterno si sia invece formato nel corso del giudizio di secondo grado e la sua esistenza non sia stata eccepita, nell’ambito dello stesso, dalla parte interessata, la sentenza di appello che si sia pronunciata in difformità da tale giudicato è impugnabile con il ricorso per revocazione e non con quello per cassazione (Cass. Sez. U., 20/10/2010, n. 21493, Rv. 614451-01, e le successive conformi, tra le quali, ex plurimis, Cass. sez. 5, 04/11/2015, n. 22506, Rv. 637074-01, e Cass. sez. 5, 03/11/2018, n. 22177, Rv. 641881-01).

A nulla rileva peraltro, in senso contrario e nella fattispecie concreta, la rilevabilità d’ufficio del giudicato esterno, al pari di quello interno, in sede di legittimità, necessitando comunque che esso emerga da atti prodotti nel giudizio di merito ovvero che si sia formato successivamente alla sentenza impugnata. In tal caso, infatti, la produzione del documento che lo attesta non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 c.p.c., che è limitato ai documenti formatisi nel corso del giudizio di merito, ed è, invece, operante ove la parte (come nella specie) invochi l’efficacia di giudicato di una pronuncia anteriore a quella impugnata, che non sia stata prodotta nei precedenti gradi del processo (in tal senso, di recente, Cass. sez. 2, 22/01/2018, 1534, Rv. 647079-01; si veda altresì Cass. Sez. U., 16/06/2006, n. 13916, Rv. 589695-01).

2. Con il motivo n. 1, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

In sostanza il ricorrente si duole dell’erronea interpretazione data dal Giudice di merito della norma di cui innanzi, avendo la sentenza impugnata ritenuto esclusa la sanzione della nullità dell’atto impositivo per l’ipotesi di violazione del termine dilatorio di sessanta giorni per la sua emanazione (di cui al citato comma 7), e di aver ritenuto integrante ipotesi di particolare e motivata urgenza, tale da legittimare il non rispetto del detto termine, la mera imminente decadenza dell’Amministrazione finanziaria dell’adozione dell’atto.

Con il motivo n. 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce violazione e falsa applicazione delle norme di cui all’art. 1362 e ss. c.c., con riferimento al contratto concluso tra contribuente e Jaguar Italia s.p.a., e conseguente violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, comma 3.

Il ricorrente si duole dell’interpretazione data dal Giudice di merito al detto contratto, come avente ad oggetto non prestazione di servizi generici bensì attività di intermediazione, con conseguente errata applicazione della disciplina di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 40, comma 8, ratione temporis applicabile, in materia di territorialità delle operazioni intracomunitarie. Ciò in luogo della corretta applicazione di quella prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, comma 3, ratione temporis applicabile.

Tale violazione e falsa applicazione di legge avrebbero poi, a detta del ricorrente, implicato il ritenere l’operazione non assoggettata ad IVA (con conseguente non rimborsabilità nè detraibilità di quella pagata).

Con il motivo n. 3, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si deduce contraddittorietà ed in subordine omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in particolare con riferimento alla parte motiva relativa all’accertamento della tipologia di attività di cui alle fatture (in termini di attività di intermediazione).

3. Il motivo n. 1 del ricorso è fondato, con assorbimento degli altri motivi di ricorso, per le ragioni e nei termini di seguito evidenziati.

3.1. La questione inerisce l’interpretazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente), ed in particolare se necessiti la c.d. “prova di resistenza” da parte del contribuente al fine di ritenere illegittimo il provvedimento impositivo, in materia di tributi armonizzati (nei quali rientra l’IVA), emesso all’esito di accessi ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio dell’attività.

Cass. Sez. U., 29/07/2013, n. 18184, rv. 627474-01 ha chiarito che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento determina di per sè, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus. Ciò in quanto trattasi di termine posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva.

Il vizio invalidante, come chiarito dalle Sezioni Unite, non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio.

Successivamente, Cass. Sez. U., 09/12/2015, n. 24823 ha chiarito che l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto, purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati””, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito. Non sussiste, poi, alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino”.

Premesso il quadro normativo di riferimento, in merito all’evidenziata questione di diritto in esame, il collegio ritiene di dare continuità ai principi di recente sanciti da questa stessa Sezione (Cass. sez. 5, 15/01/2019, n. 701, Rv. 652456-01, e Cass. sez. 5, 15/01/2019, n. 702, in motivazione), alla luce di una lettura dei citati approdi delle Sezioni Unite nel quadro costituzionale ed Eurounitario di riferimento e, quindi, in applicazione dei due principi cardine del diritto comunitario regolanti il diritto fondamentale al contraddittorio endoprocedimentale. Tali sono il principio di equivalenza, in virtù del quale le modalità previste per l’applicazione del tributo armonizzato non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano analoghi procedimenti amministrativi per tributi di natura interna, ed il principio di effettività, non dovendo la disciplina nazionale rendere in concreto impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione, derivandone che il contribuente deve essere posto nelle condizioni di esercitare il contraddittorio (si vedano: CGUE 18 dicembre 2008 C-349/07 Sopropè – Organizacoes de Calgado Lda contro Fazenda Pública; CGUE 3 luglio 2014 C-129 e 130/13 Kamino International Logistics BV e Datema Hellmann Worldwide Logistics BV contro Staatssecretaris van Financien, p. 75; CGUE 8 marzo 2017, Euro Park Service C-14/16 p. 36, in materia di rimborsi; CGUE 9 novembre 2017, Ispas C-298/16 p.p. 30,31, resa proprio sull’IVA; CGUE 20 dicembre 2017, Preqù Italia srl C-276/16, p. 45 sul diritto al contraddittorio in materia doganale).

Orbene, proprio dando continuità ai principi giurisprudenziali sopra esposti, ai fini dell’interpretazione dell’art. 12, comma 7, in oggetto questa Corte ha osservato, in primo luogo, che la norma non a caso non distingue tra tributi armonizzati e non. In via generale, infatti, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, è già stata operata dal legislatore una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio, attraverso la comminatoria espressa di nullità dell’atto impositivo nel caso di mancato rispetto del termine dilatorio di 60 giorni per consentire al contribuente l’interlocuzione con l’Amministrazione finanziaria, a far data dalla conclusione delle operazioni di controllo. Tale disciplina nazionale, quindi, già a monte, ingloba la “prova di resistenza”, nel pieno rispetto della giurisprudenza della CGUE (Kamino, cit., p. 80; Sopropè, cit., p. 37).

Siffatta interpretazione è al tempo stesso rispettosa anche dei principi generali dell’ordinamento giuridico nazionale civile, amministrativo e tributario, secondo cui la regola della strumentalità delle forme, ai fini del rispetto del contraddittorio, viene meno in presenza di un’espressa sanzione di nullità comminata dalla legge per la violazione in questione.

In secondo luogo, coerentemente con quanto precede, è stato da questa Corte evidenziato che l’operatività della “prova di resistenza”, di cui alle citate Sezioni Unite del 2015, non può che essere circoscritta al caso di assenza di un’espressa previsione del legislatore nazionale di nullità per violazione del contraddittorio. Solo in assenza di un’espressa sanzione di nullità introdotta dal legislatore per il caso di violazione del contraddittorio, vi può difatti essere spazio per il giudice affinchè possa operare una valutazione ex post, caso per caso, sull’intervenuto rispetto del contraddittorio o meno.

A quanto innanzi si è aggiunta, quale ulteriore logica conseguenza, che, anche per i tributi armonizzati, scatta la prova di resistenza ai fini del contraddittorio endoprocedimentale nel solo caso in cui la normativa interna non preveda la sanzione della nullità. Specularmente, ove il legislatore già preveda tale sanzione non opera il riferimento alla prova di resistenza.

In conclusione, ai fini delle imposte armonizzate, la prova di resistenza non si deve applicare nelle tre ipotesi in cui nei confronti del contribuente sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, dovendosi applicare solo nel caso di verifiche a tavolino.

Ne consegue in definitiva che la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 effettua, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio già operata dal legislatore, attraverso la previsione espressa di una nullità per mancato rispetto del termine dilatorio che già, a monte, ingloba la “prova di resistenza”, sia con riferimento ai tributi armonizzati che in ordine a quelli non armonizzati (non effettuando la norma alcuna distinzione in merito alle conseguenze sanzionatorie).

Sicchè, anche per i tributi armonizzati, tra i quali, come nella specie, l’IVA, scatta la prova di resistenza, ai fini della verifica del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, solo nel caso di mancata previsione da parte della normativa interna della sanzione della nullità, invece prevista dal citato art. 12, comma 7, per l’ipotesi della violazione del termine dilatorio.

3.2. L’applicazione alla fattispecie concreta dei principi di cui innanzi implica l’accoglimento del motivo di ricorso, trattandosi di provvedimento impositivo, avviso di accertamento per recupero di IVA indebitamente detratta, emesso in violazione del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, come pacificamente ammesso dalle parti processuali oltre che emergente dalla stessa sentenza impugnata.

Nella specie, difatti, non rileva, per quanto innanzi argomentato, l’omessa prova di resistenza da parte del contribuente, trattandosi di illegittimità derivante dalla detta citata norma, ed in assenza di valide ragioni d’urgenza fondanti il non rispetto del termine dilatorio. Sotto tale ultimo profilo, in particolare, l’A.E. a fondamento della violazione del termine dilatorio ha dedotto, anche in sede processuale, l’imminenza della scadenza del termine decadenziale. La CTR non correttamente ha poi ritenuto tale circostanza valida ragione d’urgenza ai sensi del citato art. 12, in assenza di valide ragioni tali da giustificare il perchè l’Amministrazione abbia esercitato il potere nell’imminenza della scadenza del termine, argomentabili da elementi di fatto che esulino dalla sfera dell’Ente impositore e fuoriescano dalla sua diretta responsabilità (in tal senso, ex plurimis: Cass. sez. 6-5, 10/04/2018, n. 6416, Rv. 647732-01; Cass. sez. 5, 16/03/2016, n. 5149, Rv. 639141-01; Cass. sez. 6-5, 09/11/2015, n. 22786, Rv. 637204-01; Cass. sez. 5, 05/12/2014, n. 25759, Rv. 633713-01).

4. In conclusione, deve essere accolto il motivo n. 1 del ricorso, con assorbimento nella relativa decisione degli altri motivi di ricorso, e cassata la sentenza impugnata, nei limiti del motivo accolto, con decisione nel merito, non essendovi circostanze fattuali da accertare, e conseguente accoglimento del ricorso introduttivo del contribuente. Devono compensarsi non solo le spese del presente giudizio di legittimità ma anche quelle dei precedenti gradi di merito, in forza della descritta evoluzione (anche temporale) del quadro interpretativo della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

P.Q.M.
accoglie il motivo n. 1 del ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata, nei limiti del motivo accolto, e decidendo nel merito accoglie il ricorso introduttivo del contribuente; e dichiara compensate le spese processuali inerenti il presente giudizio di legittimità ed i precedenti gradi di merito.

Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2019


Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 23-05-2019) 05-09-2019, n. 22167

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29542-2016 proposto da:

P.F., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARILENA VICICONTE;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI FIRENZE, EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE SPA (OMISSIS);

– intimati –

nonchè da:

COMUNE DI FIRENZE in persona del Sindaco N.D., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA SANSONI;

– ricorrente incidentale –

contro

P.F., EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE SPA (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 1845/2016 del TRIBUNALE di FIRENZE, depositata il 12/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/05/2019 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale assorbito il ricorso incidentale condizionato;

udito l’Avvocato MARIA IMMACOLATA AMOROSO per delega.

Svolgimento del processo
1. Nel 2007 il Comune di Firenze irrogò a P.F. due sanzioni amministrative per altrettante violazioni del codice della strada, per l’importo complessivo di Euro 239,70.

Rimaste impagate le suddette sanzioni, il 12.2.2010 il Comune di Firenze notificò a P.F. una cartella di pagamento, per recuperare coattivamente il suddetto importo.

2. In data non indicata nè nella sentenza, nè nel ricorso, nè nel controricorso, P.F. propose opposizione dinanzi al Giudice di pace di Firenze avverso la suddetta cartella esattoriale.

A fondamento dell’opposizione dedusse:

-) di non avere mai ricevuto la notifica dei due verbali accertamento dell’infrazione;

-) che comunque la notifica di essi era viziata sotto vari aspetti: sia perchè eseguita da un privato, e non dal messo comunaleò; sia perchè eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c., senza che il piego fosse depositato nella casa comunale, ma in un luogo diverso; sia perchè l’avviso dell’avvenuto deposito del piego venne spedito al destinatario da un privato.

3. Con sentenza 7523 del 2012 il Giudice di pace di rigettò la domanda.

Il Tribunale di Firenze, con sentenza 12.5.2016 n. 1845, rigettò il gravame proposto da P.F..

Ritenne il Tribunale che la notifica era stata eseguita validamente da un messo comunale, per tale dovendosi intendere anche il soggetto privato cui il Comune abbia conferito apposito incarico; che la spedizione dell’avviso di cui all’art. 140 c.p.c. poteva essere compiuta anche da un privato, cui la p.a. avesse conferito tale incarico; che il deposito del piego era avvenuto nel luogo a ciò deputato dall’amministrazione comunale, a nulla rilevando che fosse diverso dalla sede storica del Comune di Firenze, in Palazzo Vecchio; che l’avviso di ricevimento della raccomandata di comunicazione dell’avvenuto deposito del piego nella casa comunale non presentava vizi formali di sorta.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da P.F., con ricorso fondato su tre motivi ed illustrato da memoria.

Ha resistito il Comune di Firenze con controricorso, e proposto ricorso incidentale condizionato.

Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione dell’art. 140 c.p.c..

Sostiene che il Tribunale ha errato nel ritenere valida la notifica effettuata ai sensi dell’art. 140 c.p.c., nonostante il deposito del piego, non potuto consegnare per temporanea assenza del destinatario, fosse avvenuto non nella casa comunale, ma “in un ufficio privato indicato come sede sussidiaria della Casa del Comune di Firenze”.

Deduce che l’art. 140 c.p.c., là dove stabilisce che il piego non potuto consegnare sia depositato nella “casa del comune”, non può che essere “un luogo pubblico ufficiale, certo e stabile, non certo un ufficio privato estemporaneamente indicato in un provvedimento” dell’amministrazione comunale.

Ne trae la conclusione che, non essendo ritualmente avvenuta la notifica dei verbali di contestazione (o accertamento)e delle violazioni al codice della strada, ne era derivata la nullità della cartella esattoriale su quei verbali fondata.

1.2. Il Comune di Firenze ha eccepito l’inammissibilità del primo motivo di ricorso, “in quanto contenente doglianze, nonchè riferimenti a fatti e circostanze assenti nel ricorso originario”.

Sostiene l’amministrazione controricorrente che la questione della nullità della notifica del verbale di contestazione (o accertamento)e, derivante dal deposito del piego in un luogo diverso dalla casa comunale, venne sollevata dall’odierno ricorrente soltanto all’udienza di discussione del giudizio di primo grado, e perciò non esaminata dal giudice di pace, che la ritenne tardiva.

Il Tribunale, invece, esaminò la questione nel merito e la rigettò, ma non avrebbe potuto farlo a causa della tardività con cui venne introdotta nel giudizio.

1.3. L’eccezione è inammissibile.

Se, infatti, il giudice d’appello esamina e decide una questione tardivamente introdotta, chi intenda dolersi di quest’errore, ancorchè vittorioso all’esito del giudizio di appello, in sede di legittimità non può reintrodurre la questione con una semplice eccezione, ma deve proporre appello incidentale sul punto, in virtù del principio di conversione delle nullità in motivi di impugnazione: principio del quale la stessa amministrazione comunale si dimostra del resto edotta, avendo per l’appunto proposto un appello incidentale esattamente coincidente con l’eccezione di inammissibilità sollevata alle pagine 4 e 5 del proprio ricorso.

1.4. Nel merito, il primo motivo di ricorso è infondato.

Circostanze di fatto pacifiche, di cui non è adeguatamente contestata la rituale acquisizione al materiale di causa, sono le seguenti:

-) la notificazione al debitore del verbale di accertamento dell’infrazione al codice stradale avvenne ai sensi dell’art. 140 c.p.c.;

-) a causa dell’assenza del destinatario, il piego venne depositato in via (OMISSIS);

-) il luogo di deposito del piego non fu la sede storica del Comune di Firenze (Palazzo Vecchio), ma un luogo indicato dall’amministrazione comunale come “casa comunale” sussidiaria, a tal fine designata con determinazione dirigenziale del 10.10.2005 n. 8946;

-) la suddetta determinazione dirigenziale venne adottata due anni prima della notifica dei verbali di contestazione (o accertamento)e dell’infrazione.

1.5. La notifica effettuata con le suddette modalità è valida ed efficace.

Il piego da notificare, infatti, è stato depositato in un luogo designato dalla stessa amministrazione comunale come equipollente alla “casa comunale”, e tanto basta per escludere il denunciato vizio di notifica.

Non è infatti inibito all’amministrazione comunale designare quali “case comunali” luoghi ulteriori ed anche plurimi rispetto al municipio; ed ove l’amministrazione si avvalga di tale facoltà, il luogo a tal fine designato sarà a tutti gli effetti di legge equipollente alla “casa comunale”.

1.6. Tanto si desume dall’interpretazione storica e da quella sistematica del testo normativo.

L’espressione “casa comunale”, nell’ordinamento postunitario, comparve per la prima volta nell’art. 173 del R.d. 14.12.1865 n. 2641 (“Regio Decreto col quale è approvato il regolamento generale giudiziario per l’esecuzione del codice di procedura civile, di quello di procedura penale, e della legge sull’ordinamento giudiziario”), il quale stabiliva che “i conciliatori tengono le ordinarie loro udienze nella casa comunale o in quell’altra che sia dal municipio destinata”.

Già nel regolamento di procedura del 1865, dunque, si lasciava al Comune la facoltà di destinare un luogo diverso dalla casa comunale a sede degli uffici di conciliazione.

Analogamente, il R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 9 (“che approva il regolamento di procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato”), nel disciplinare le notificazioni, stabiliva che “ove nessuno si trovi nell’abitazione, o in caso di rifiuto di ricevere il ricorso che si notifica, l’ufficiale giudiziario o il messo comunale lascia avviso, in carta libera, affisso alla porta dell’abitazione e deposita la copia dell’atto nella casa comunale o la consegna al sindaco o a chi ne fa le veci, o all’impiegato delegato a ricevere gli atti”.

Analoga previsione era contenuta nell’”Annesso A” al R.D. 17 agosto 1907, n. 643, recante l’approvazione del regolamento di procedura di giudizi dinanzi la giunta provinciale.

In ambedue tali previsioni l’uso della particella disgiuntiva “o” rendeva evidente che il deposito nella casa comunale non era un atto ineludibile, poteva essere sostituito dalla consegna a mani al sindaco o ad un suo delegato, ovviamente anche in luogo diverso dalla casa comunale.

Ancora, l’art. 7 dell’”Annesso A” al R.D. 20 dicembre 1909, n. 830 (“che approva l’annesso regolamento sulla pesca e sui pescatori”), dopo aver stabilito che ogni sindacato di pescatori aveva sede nella casa comunale, aggiungeva “o nei locali di una delle associazioni che lo compongono”, così dimostrando anche in questo caso come la designazione della casa comunale non fosse assoluta.

In seguito, in circostanze ben più tragiche, il R.D. 31 ottobre 1942, n. 1612, art. 42 (recante “regolamento per l’esecuzione del testo unico delle leggi sulla disciplina dei cittadini in tempo di guerra”), nel prevedere la facoltà del ministro per le corporazioni di chiamare al lavoro i cittadini per esigenze di guerra, stabilì che il “manifesto di chiamata” dovesse essere affisso “all’esterno della casa comunale ed in altri principali luoghi pubblici”.

Questo breve excursus dimostra come il legislatore, già molto tempo prima dell’entrata in vigore dell’attuale codice di procedura civile, aveva indicato nella casa comunale il luogo deputato allo svolgimento delle più svariate attività: il deposito degli atti non potuti notificare, la sede degli uffici di conciliazione, la sede dei consigli di associazioni professionali, il luogo di affissione dei pubblici proclami.

Tuttavia da un lato la eterogeneità di tali previsioni, e dall’altro l’attribuzione alle autorità amministrative della facoltà di designare luoghi diversi ed equipollenti rispetto alla casa comunale, rendono palese che la scelta quest’ultima come luogo deputato al compimento di determinati atti si giustificava non per una indimostrabile “prevalenza” del municipio su altri luoghi, ma soltanto per il fatto che, in una società ancora largamente preindustriale e scarsamente alfabetizzata (nel 1865 nel nostro Paese era analfabeta il 72,96% della popolazione, ed ancora il 21% nel 1931), la sede del Comune era un luogo che consentiva una individuazione inequivoca.

Era la facilità di individuazione la ratio legis sottesa dalle norme che imponevano il compimento di determinati atti giuridici nella casa comunale.

Quella ratio è, da tempo, venuta meno.

La drastica riduzione dell’analfabetismo, la facilità delle comunicazioni e degli spostamenti, le moltiplicate possibilità della p.a. di far pervenire le proprie deliberazioni ai cittadini, rendono puramente teorica la possibilità che questi ultimi siano tratti in errore nell’individuazione della “casa comunale”, o dei luoghi destinati a sostituirla.

Ne consegue che, anche ad ammettere che l’art. 140 c.p.c. sia ambiguo – il che, per quanto si dirà, non è -, la norma andrebbe comunque interpretata alla luce del mutato contesto socioeconomico sopra tratteggiato.

Essa, pertanto, in applicazione del principio cessante ratione legis, cessat et ipsa lex, va interpretata nel senso che l’espressione “casa del comune” presente nell’art. 140 c.p.c., così come l’espressione “casa comunale”, che compare nell’art. 143 c.p.c., vadano intese come sinonimi di “municipio od altro luogo a tal fine designato dall’amministrazione comunale”.

1.7. Ad esiti analoghi conduce l’interpretazione sistematica.

Le espressioni “casa del comune” o “casa comunale” compaiono in numerose norme, sostanziali e processuali.

In materia processuale, compaiono – tra gli altri – negli artt. 140, 143 e 150 c.p.c.; nell’art. 155 c.p.p.; nel D.P.R. 29 settembre 1973, art. 66. In tutte queste norme la casa comunale è indicata quale luogo del deposito di atti o dell’affissione di avvisi.

In materia sostanziale, l’espressione “casa comunale” compare nell’art. 106 c.c. (che la designa quale luogo di celebrazione del matrimonio; affine è la previsione del D.P.R. 3 novembre 2000, art. 70 novies, che designa la “casa comunale” a sede della celebrazione delle unioni civili); nel medesimo D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, artt. 55 (che impone la pubblicazione di matrimonio “presso la porta della casa comunale”).

Tuttavia il citato D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, art. 3 (recante “Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile”) accorda ai Comuni la facoltà di “disporre, anche per singole funzioni, l’istituzione di uno o più separati uffici dello stato civile”. Ed il Consiglio di Stato, richiesto dal Ministero dell’Interno d’un parere sull’interpretazione di tale norma, ha chiarito che “casa comunale può essere considerata qualsiasi struttura nella disponibilità giuridica del Comune, vincolata allo svolgimento di funzioni istituzionali”(Cons. di Stato, sez. I, parere 22.1.2014 n. 196).

Vero è che la suddetta norma (D.P.R. n. 396 del 2000, art. 3) e il suddetto parere del Consiglio di Stato avevano ad oggetto la “casa comunale” quale luogo di celebrazione del matrimonio. Ma se la legge consente la delocalizzazione – rispetto alla sede storica del municipio – della celebrazione del matrimonio civile, a maggior ragione dovrà ritenersi consentita la istituzione di “case comunali” alternative per il deposito degli atti notificati ai sensi dell’art. 140 c.p.c.: se così non fosse si perverrebbe all’assurdo, incoerente col tradizionale canone ermeneutico dell’a fortiori, per cui la legge richiederebbe oneri formali meno rigorosi per l’atto di preminente importanza sociale, giuridica e costituzionale (il matrimonio), mentre esigerebbe oneri formali ben maggiori, per il compimento di atti di minor rilievo (il deposito d’un verbale di accertamento d’una contravvenzione stradale, non potuto consegnare al destinatario della notifica).

1.8. Resta da aggiungere come non ostino alle conclusioni sopra raggiunte i due precedenti di questa Corte invocati dalla ricorrente: e cioè Sez. 2, Sentenza n. 1321 del 03/02/1993, Rv. 480653 – 01, e Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 16817 del 03/10/2012, Rv. 624022 – 01.

La prima di tali decisioni aveva ad oggetto un caso in cui l’ufficiale giudiziario, non rinvenuto il destinatario dell’atto, depositò il piego, ai sensi dell’art. 140 c.p.c., nella “casa comunale” di una frazione del Comune.

Questa Corte ritenne nulla quella notifica, ma non perchè all’amministrazione fosse inibito designare luoghi equipollenti alla casa comunale; ma per la diversa considerazione che le frazioni comunali non hanno una “casa comunale”, nè nel caso di specie era stato dimostrato che il Comune avesse deputato un luogo equipollente nel territorio della frazione.

Quanto alla decisione pronunciata ad Cass. 16817/12, cit., essa aveva ad oggetto una fattispecie analoga a quella oggi in esame. Tuttavia in quel caso il Collegio giudicante ritenne nulla la notifica non perchè il piego venne depositato nel luogo designato dal Comune quale equivalente alla casa comunale, ma per la diversa ragione che la designazione di quel luogo era avvenuta sulla base di un provvedimento amministrativo adottato dopo l’esecuzione della notifica.

Non sarà superfluo aggiungere che:

-) le argomentazioni trascritte dal ricorrente a p. 6-7 del proprio ricorso, ed estratte dalla motivazione di Cass. 16871/12, erano contenute nella proposta di decisione ex art. 380 bis c.p.c., trascritta in sentenza, e non nella parte decisoria vera e propria della sentenza;

-) quelle motivazioni, in ogni caso, erano state mutuate alla lettera dalla precedente sentenza 1321/93, che aveva ad oggetto un caso del tutto diverso da quello oggi in esame;

-) nessuna delle due decisioni si confronta col testo inequivoco del D.P.R. n. 396 del 2000, art. 3;

-) neppure è dedotto che la designazione del luogo diverso dalla casa comunale, nel quale il deposito ha avuto luogo, sia avvenuta in modo irrituale o comunque con modalità tali da sorprendere o limitare il diritto di difesa del destinatario della notifica (ad esempio, perchè non menzionata chiaramente nell’avviso di avvenuto deposito previsto dallo stesso art. 140 c.p.c.).

1.9. Per queste e per le altre ragioni sopra indicate, ai due precedenti invocati dal ricorrente, anche ad ammettere che fossero pertinenti rispetto al caso di specie, ritiene questo Collegio di non potere dare continuità, in applicazione del seguente principio di diritto: “in materia di notificazione di atti e quindi anche di verbali di accertamento di violazioni del codice della strada, la “casa del comune” in cui l’ufficiale notificante deve depositare la copia dell’atto da notificare si identifica, in alternativa alla sede principale del Comune, anche in qualsiasi struttura nella disponibilità giuridica di questo, vincolata allo svolgimento di funzioni istituzionali con provvedimento adottato prima della notificazione e chiaramente menzionata nell’avviso di avvenuto deposito”.

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Col secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione da parte del Tribunale della L. n. 689 del 1981, art. 14; del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 201, comma 3; della L. n. 890 del 1982, artt. 3, 7 ed 8; della L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 158 e 159.

Nell’illustrazione della censura il ricorrente deduce che erroneamente il Tribunale ha ritenuto valida la notifica dei verbali di contestazione (o accertamento)e della violazione amministrativa, effettuata dagli incaricati di una società privata. Espone che l’attività notificatoria nel caso di specie venne eseguita da incaricati della società ATI TNT Poste; che tale attività non può essere affidata dall’ente accertatore della violazione ad agenzie o società private; che tale facoltà venne concessa alle amministrazioni comunali soltanto dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, emanata nove mesi dopo che il Comune di Firenze, con provvedimento del sindaco, aveva già attribuito il potere notificatorio a soggetti privati; che la nullità della notifica dei verbali rendeva nulla la susseguente cartella di pagamento.

2.2. Il motivo è infondato, sebbene la motivazione della sentenza impugnata debba essere, in parte, emendata.

All’epoca in cui i verbali di accertamento della violazione vennero notificati a P.F., la materia era disciplinata dall’art. 201 C.d.S., comma 3, rimasto da allora invariato.

Tale norma elenca quattro diversi soggetti cui può essere affidata la notificazione del verbale di contestazione (o accertamento)e dell’infrazione al codice della strada, ovvero:

a) gli organi incaricati dei servizi di polizia stradale (Polizia, Carabinieri, Guardia di finanza, Polizia penitenziaria, Polizia Municipale);

b) i messi comunali;

c) un funzionario dell’amministrazione che ha accertato la violazione;

d) il servizio postale.

Quale che sia la modalità prescelta, la legge prevede poi una norma di chiusura, la quale stabilisce che “comunque” (e dunque anche nel caso di notificazioni eseguite senza il rispetto delle suddette previsioni) le notificazioni si intendono validamente eseguite quando siano fatte alla residenza, domicilio o sede dell’obbligato, risultante dalla carta di circolazione, o dall’archivio nazionale dei veicoli, o dal P.R.A. o dalla patente di guida del conducente autore dell’infrazione.

La legge, dunque, consente che il verbale di contestazione (o accertamento) sia notificato da “messi comunali”.

La nozione di “messo comunale” era, in passato, prevista in linea generale dal R.D. 3 marzo 1934, n. 383, art. 273 (testo unico della legge comunale e provinciale). Tale norma venne in seguito abrogata dalla L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 64 (e l’abrogazione venne, inutilmente, ribadita dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 274).

Nondimeno, sono ancora molte le norme tuttora in vigore che continuano a fare riferimento alla figura del “messo comunale”: ad es. l’art. 201 C.d.S., già citato, o la L. 3 agosto 1999, n. 265, art. 10, che consente alle pubbliche amministrazionì di ricorrere ai messi comunali per l’esecuzione di notifiche.

Poichè dunque la legge continua a prevedere la possibilità che le notificazioni siano eseguite da “messi comunali”, ma non ne dà una definizione generale, questa Corte ne ha tratto la conclusione che la qualifica di “messo comunale” prescinde dal rapporto giuridico che lega il messo al Comune. Potranno dunque aversi messi che siano dipendenti della p.a.; messi che siano funzionari non dipendenti; messi che siano mandatari dell’amministrazione; messi che siano appaltatori di servizi per l’amministrazione.

Come già ritenuto da questa Corte, infatti, qualsiasi attività umana può formare oggetto sia di un rapporto di lavoro autonomo, sia di un rapporto di lavoro subordinato (ex multis, Sez. L, Sentenza n. 10262 del 15/07/2002, Rv. 555755 01, in motivazione), sicchè in mancanza di norme di legge che impongano l’adozione dell’uno piuttosto che dell’altro tipo di rapporto, l’amministrazione comunale resta libera di scegliere la formula contrattuale più consona al pubblico interesse.

2.3. E’ consentito quindi all’amministrazione comunale appaltare a soggetti privati l’esecuzione dei compiti del messo comunale, ivi compresa la notificazione dei verbali di accertamento delle infrazioni al codice della strada.

Nel caso di specie, è la stessa ricorrente ad allegare che il Comune di Firenze ha appaltato ad un soggetto privato il servizio di notificazione dei verbali di accertamento delle sanzioni amministrative: e, per quanto detto, ciò era consentito al Comune dalla sua autonomia decisionale, e le notificazioni eseguite dai soggetti così nominati sono conformi al dettato dell’art. 201 C.d.S..

2.4. Non è, invece, corretto quanto ritenuto dal Tribunale, e cioè che la notificazione del verbale di accertamento della violazione al codice della strada potesse essere effettuata da privati ai sensi della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi 158 e 159.

Tali previsioni infatti, non hanno attribuito alcun ulteriore potere ai Comuni in tema di messi comunali (attribuzione della quale non v’era bisogno, alla luce ella previsione di cui all’art. 201 C.d.S.), ma hanno istituito la diversa figura del “messo notificatore”, competente ad eseguire le notificazioni di soli tre gruppi di atti:

-) gli atti di accertamento dei tributi locali;

-) gli atti delle procedure esecutive di cui al testo unico sulla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, di cui al R.D. 14 aprile 1910, n. 639;

-) gli atti di invito al pagamento delle entrate extratributarie dei comuni.

Tuttavia l’errore in cui è incorso il Tribunale, per quanto detto, è stato ininfluente, in quanto il dispositivo della sentenza impugnata fu comunque conforme a diritto, per le ragioni già esposte.

2.5. Resta solo da aggiungere che i precedenti giurisprudenziali invocati dalla parte ricorrente non sono pertinenti rispetto al caso di specie.

Quei precedenti infatti (richiamati a p. 10 del ricorso) riguardavano l’ipotesi in cui una pubblica amministrazione aveva affidato a privati l’esecuzione di notificazioni o comunicazioni che, per legge, andavano eseguite a mezzo del servizio postale. La nullità, in quel caso, derivava dunque non dalla circostanza che la notifica venne eseguita da un privato, ma dal fatto che venne eseguita da un privato che si sostituì al servizio postale universale.

Ben diverso è il caso di specie, nel quale nessuna norma riserva al servizio postale la notifica dei verbali di accertamento, ma anzi l’art. 201 C.d.S. espressamente parifica la notifica effettuata dal messo comunale a quella effettuata per il tramite del servizio postale.

3. Il terzo motivo di ricorso.

3.1. Col terzo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione dell’art. 140 c.p.c. e art. 201 C.d.S..

Deduce, al riguardo, che:

-) il primo dei due verbali di accertamento dell’infrazione era stato irritualmente notificato, perchè l’avviso di avvenuto deposito del piego presso la casa comunale era stato spedito da soggetto diverso dal messo comunale, e comunque il relativo avviso di ricevimento non recava alcun timbro postale;

-) quanto al secondo verbale, la relata di notifica di esso era stata redatta da persona, qualificatasi “messo comunale”, diversa da quella che aveva poi spedito a mezzo raccomandata l’avviso di avvenuto deposito del piego nella casa comunale, e cioè la ATI TNT Poste s.p.a..

3.2. Il motivo è infondato.

Quanto alla prima censura, essa è infondata poichè la spedizione dell’avviso di ricevimento dell’avvenuto deposito del piego nella casa comunale avvenne a cura delle Poste Italiane; solo la consegna dell’atto alle Poste avvenne a cura della ATI TNT Poste, e ciò le era certamente consentito come già ritenuto da questa Corte (ex multis, Sez. 2 -, Sentenza n. 462 del 11/01/2017, Rv. 642211 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 7177 del 10/05/2012, Rv. 622484 – 01).

Quanto alla seconda censura, essa è infondata poichè è ovvio che la persona fisica incaricata dalla ATI TNT Poste s.p.a. di eseguire la notifica, agendo in nome e per conto della società mandante, si identifica organicamente con quest’ultima, e non vi fu dunque alcuna dissociazione tra chi eseguì la notifica, e chi spedì l’avviso di avvenuto deposito del piego nella casa comunale.

4. Il ricorso incidentale.

4.1. Il ricorso incidentale, da qualificare come sostanzialmente condizionato all’accoglimento del ricorso principale, resta assorbito dal rigetto di quest’ultimo.

5. Le spese.

5.1. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

5.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.
la Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale;

(-) condanna P.F. alla rifusione in favore del Comune di Firenze delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 800, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di P.F. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 23 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2019