Responsabilità del cancelliere e dell’ufficiale giudiziario, c.p.c. art. 60

c.p.c. art. 60. Responsabilità del cancelliere e dell’ufficiale giudiziario

Il cancelliere e l’ufficiale giudiziario sono civilmente responsabili [Cost. 28]:

1) quando, senza giusto motivo, ricusano di compiere gli atti che sono loro legalmente richiesti oppure omettono di compierli nel termine che, su istanza di parte, è fissato dal giudice dal quale dipendono o dal quale sono stati delegati;

2) quando hanno compiuto un atto nullo con dolo o colpa grave.


Il Messo Comunale non è responsabile per notifica fuori termine quando non è indicata scadenza!

PROCEDIMENTO CIVILE – Ufficiale giudiziario Messo Comunale e di conciliazione – Responsabilità ufficiale giudiziario – Responsabilità nei confronti della parte per atto ritardato – Configurabilità – Condizioni – Termine fissato dal giudice o stabilito legittimamente dalla parte – Necessità – Obbligo di desumere il termine ultimo dal contenuto dell’atto – Insussistenza

Non sussiste alcuna responsabilità dell’ufficiale giudiziario per un atto notificato tardivamente, in assenza dell’indicazione del termine entro cui notificare.

Oggetto del provvedimento la notifica di un atto eseguita dall’ufficiale giudiziario preposto, oltre il termine di legge. In ragione di ciò, la parte interessata aveva convenuto in giudizio il Ministero della Giustizia chiedendone la condanna al risarcimento del danno sofferto a causa di tale tardiva notificazione; il Giudice di primo grado aveva accolto la domanda, poi riformata in appello. La società ha impugnato la sentenza per cassazione, sulla scorta di tre motivi.

La Corte di Cassazione, vagliando congiuntamente le censure proposte, ha evidenziato che la responsabilità civile degli ufficiali giudiziari verso la parte istante è regolata dall’art. 60 cod. proc. civ., che indica due ipotesi:

1. “quando, senza giusto motivo, ricusano di compiere gli atti che sono loro legalmente richiesti oppure omettono di compierli nel termine che, su istanza di parte, è fissato dal giudice dal quale dipendono o dal quale sono stati delegati”;
2. quando compiono “un atto nullo con dolo o colpa grave”.

Dunque, tenuto conto che la responsabilità dell’ufficiale giudiziario per atto omesso o ritardato o nullo è disciplinata dalla suddetta disposizione, in dottrina si è discusso se fosse possibile ipotizzare altri casi di responsabilità dell’ufficiale giudiziario nei confronti della parte, diversi da quelli già disciplinati, relativi ad un atto omesso, ritardato o nullo. In merito a ciò, prevedere una responsabilità civile dell’ufficiale giudiziario nei confronti della parte per atto ritardato in assenza dei presupposti indicati dalla norma, determinerebbe un’interpretazione abrogativa della medesima.
Né appare utile il richiamo alla previsione di cui all’art. 108 d.P.R. n. 1229 del 1959 , diretto a regolare la responsabilità disciplinare dell’ufficiale giudiziario, preservando le conseguenze risarcitorie

dell’inosservanza delle regole deontologiche dettate, senza però normare tali conseguenze, ma implicitamente rimandando alle norme speciali o generali, sulla responsabilità civile.
Ai sensi dell’art. 60, num. 1, cod. proc. civ., il ritardo nel compimento dell’atto è causa di responsabilità civile solo laddove l’atto non sia compiuto “nel termine che, su istanza di parte, è fissato dal giudice” dal quale l’ufficiale giudiziario dipende o dal quale è stato delegato. Pertanto, il termine per il compimento dell’atto, deve essere previamente fissato “dal giudice” e “su istanza di parte”. Pertanto, per il compimento dell’atto, occorre che il termine sia previamente fissato “dal giudice” e “su istanza di parte”.
A tal riguardo, secondo un’interpretazione flessibile dei giudici di legittimità di tale disposizione, il ritardo, ovvero la fonte di responsabilità nel compimento dell’atto, sussiste anche se il termine non sia stato fissato dal giudice, ma sia stato legittimamente stabilito dalla parte, come previsto dall’art. 136 d.P.R. n. 1229, cit., (ora trasfuso nell’art. 36, d.P.R. n. 115 del 2002) che permette di chiedere all’ufficiale giudiziario il compimento di un atto con urgenza, anche nello stesso giorno della richiesta. Diversamente, sarebbe in contrasto con il dato letterale l’interpretazione proposta dalla ricorrente del caso in esame, secondo la quale, l’indicazione del termine potrebbe mancare, posto che rientrerebbe nei compiti dello stesso ufficiale giudiziario desumerlo dal contenuto dell’atto.
Ciò non trova infatti alcun riscontro nella disciplina di riferimento, neppure nell’art. 108 n. 1229 del 1959.

Nella fattispecie in oggetto, l’assunto per cui detto termine era desumibile dall’intestazione dell’atto, è smentito dalla successiva argomentazione secondo cui:
a) dal testo dell’atto si ricavava la data di notifica della comunicazione del locatore dell’intenzione di alienare l’immobile locato;
b) da tale indicazione l’ufficiale giudiziario, sulla base delle conoscenze da lui esigibili (tra le quali, quella del termine entro il quale comunicare l’esercizio del diritto di prelazione ex art. 38 legge n. 382 del 1978), sarebbe potuto risalire alla data ultima entro cui notificare utilmente l’atto.
In effetti, ciò comporterebbe che:
a) l’ufficiale giudiziario abbia l’onere di leggere attentamente il contenuto dell’atto da notificare;
b) elaborarne giuridicamente i dati rilevanti in funzione dell’atto da compiere. Oneri che, nel sistema giudiziario, non hanno alcun fondamento.

La responsabilità dell’ufficiale giudiziario per il ritardo nel compimento dei propri atti, ai sensi dell’art. 60, n. 1, c.p.c., sussiste anche quando il termine non sia stato fissato dal giudice, ma sia stato legittimamente stabilito dalla parte, purché, in quest’ultimo caso, la relativa scadenza sia stata chiaramente evidenziata dalla parte al momento della richiesta, non potendosi configurare, in capo all’ufficiale giudiziario, un onere di esaminare il contenuto dell’atto al fine di trarne le informazioni giuridicamente rilevanti circa lo spirare del relativo termine.

Leggi: Cass. civ. Sez. III, Ord., (ud. 13-09-2018) 04-10-2018, n. 24203


È nulla la notifica della cartella di pagamento consegnata al padre dichiaratosi convivente

La Corte Suprema di Cassazione ha precisato che è nulla la notifica della cartella di pagamento consegnata al padre dichiaratosi convivente se il contribuente risiede in realtà in un altro immobile. A tal fine, il certificato di residenza rilasciato dal Comune rende irrilevante la dichiarazione di convivenza attestata dall’agente postale.

continua a leggere Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 07-02-2019) 15-04-2019, n. 10543


BUONA PASQUA !!!

Auguri Pasqua 2019

Quest’anno un uovo di carta al posto di quello di cioccolata, che non contiene una sorpresa tangibile, come le solite sorprese spesso inutili o superflue, ma l’augurio di trovare una “sorpresa” in ogni giorno della tua vita, una sorpresa d’amore, di pace, di speranza, di gioia e serenità, da donare e da realizzare apprezzando ogni attimo, ogni emozione e ogni sentimento che il destino ti ha riservato… (anonimo)


Giornata di Studio in house Pescara – 18.04.2019

Locandina Giornata di Studio aggiornamento Pescara 2019LA NOTIFICA DEL DOCUMENTO INFORMATICO

Giovedì 18 aprile 2019

Comune di Pescara

Palazzo EX INPS

Piazza Duca D’Aosta 15  Sala Masciarelli

4° Piano

Orario: 9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00
con il Patrocinio del Comune di Pescara

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione alla giornata di studio potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo pagina cui dovrà  seguire il versamento della quota di iscrizione alla giornata di studio. I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

Docente:

Fontana LazzaroFontana Lazzaro

Resp. Servizio Notifiche dell’Unione Colline Matildiche

Membro della Giunta Esecutiva di A.N.N.A.

Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti ne dimoranti ne domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale”

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • Art. 149 bis c.p.c.
  • Le nuove disposizioni del C.A.D.
  • La PEC come strumento esclusivo di comunicazione e notifica della P.A. 

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  • L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  • L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy

Il diritto all’oblio

Risposte a quesiti

Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Nota bene: Qualora l’annullamento dell’iscrizione venga comunicato meno di cinque giorni prima dell’iniziativa, l’organizzazione si riserva la facoltà di fatturare la relativa quota, anche nel caso di non partecipazione alla giornata di studio.

Vedi: Attività formativa anno 2019

Scarica: Depliant Giornata di Studio aggiornamento Pescara 2019

Vedi: Fotografie della Giornata di Studio

Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE GdS Pescara 2019

Sul modulo dovranno obbligatoriamente essere indicati tutti i codici (CUU, CIG ecc.) che dovranno comparire nella fattura elettronica allegando la Determina Dirigenziale di autorizzazione

Scarica: Autocertificazioni Fiscali 2019

  1. Comunicazione Associazione senza finalità di lucro
  2. Comunicazione di attivazione di conto corrente dedicato ai sensi dell’art. 3, comma 7, della legge n. 136/2010
  3. Dichiarazione relativa all’esonero dall’obbligo di redazione del “DURC” con riferimento alla iscrizione a corsi di formazione/aggiornamento. (Dichiarazione redatta ai sensi degli art. n. 46 e 47 del DPR n. 445/2000).
  4. Comunicazione di attivazione di conto corrente dedicato ai sensi dell’art. 3, comma 7, della legge n. 136/2010
  5. Dichiarazione sostitutiva del certificato generale del casellario giudiziale e dei carichi pendenti (D.P.R. 28/12/2000 N° 445)
  6. Dichiarazione relativa alla fase di liquidazione delle fatture di competenza. (Dichiarazione redatta ai sensi degli art. n. 46 e 47 del DPR n. 445/2000).
  7. Dichiarazione insussistenza motivi di esclusione a contrattare con la Pubblica Amministrazione.
  8. Dichiarazione ai sensi dell’art. 53 comma 16-ter del D.Lgs. 165/2001 e s.m.
  9. Dichiarazione Affidamento fornitura di beni/servizi
  10. Documento di identità del Legale Rappresentante protempore

 


Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 13/02/2019) 10/04/2019, n. 10037

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – rel. Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11415-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

T.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ELEONORA D’ARBOREA 30, presso lo studio dell’avvocato CARTONI BERNARDO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 154/9/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di MILANO, depositata il 19/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LA TORRE MARIA ENZA.

Svolgimento del processo
Che:

L’agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della sentenza della CTR della Lombardia, indicata in epigrafe, che in controversia su impugnazione di cartella di pagamento da parte di T.R. (D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis) ai fini IRAP-IRPEF-IVA anno 2000 e 2001, ha accolto l’appello della contribuente, in riforma della sentenza di primo grado.

In particolare, la CTR ha ritenuto invalida la notifica della cartella avvenuta a mani del portiere dello stabile, cui non era seguito l’invio dalla raccomandata informativa.

La contribuente si costituisce con controricorso.

Motivi della decisione
Che:

Con l’unico motivo di ricorso si deduce falsa applicazione dell’art. 139 c.p.c., comma 4, e della L. n. 890 del 1982, art. 7, commi 5 e 6, nonchè violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, non dovendo seguire alla notifica della cartella di pagamento – effettuata con invio diretto D.P.R. appena citato, ex art. 26, comma 1 – l’invio della c.d. della raccomandata informativa (C.A.N.).

Il motivo è fondato.

Vanno applicati, alla fattispecie in oggetto, i principi di questa Corte, secondo cui, in tema di riscossione delle imposte, qualora la notifica della cartella di pagamento sia eseguita, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, mediante invio diretto, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della L. n. 890 del 1982 (Cass. Sez. 6 5, Ordinanza n. 28872 del 12/11/2018; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 12083 del 13/06/2016). Ciò in quanto tale forma “semplificata” di notificazione si giustifica, come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 175 del 2018, in relazione alla funzione pubblicistica svolta dall’agente per la riscossione volta ad assicurare la pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato e non costituendo nella disciplina della notificazione “una condizione indefettibile della tutela costituzionalmente necessaria di tale, pur fondamentale, diritto” (Cass. 28872/2018 cit.; Corte Cost. 175/2018, cit.).

Tale statuizione non è stata superata, come eccepito dal controricorrente nella memoria, dalla modifica legislativa di cui alla L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 883, che ha reintrodotto l’obbligo per l’operatore postale della successiva raccomandata in caso di consegna a persona diversa dal destinatario con disposizione che non ha efficacia retroattiva, in base al principio di cui all’art. 11 preleggi, (non trattandosi di norma costituente attuazione di principi costituzionali).

Ha pertanto errato la C.T.R. a ritenere invalida la notifica avvenuta in modo diretto, ai sensi del citato D.P.R., art. 26, comma 1, non seguita dalla successiva raccomandata informativa, con applicazione dell’art. 139 c.p.c., comma 4. Il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, nulla prevede in merito all’invio della raccomandata informativa, qualora l’Ufficio decida di avvalersi direttamente del servizio postale, a fini notificatori. Infatti, la citata disposizione, stabilisce espressamente che ” (…) la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal comma 2, o dal portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda”.

A tali principi non si è uniformato il giudice di appello, ritenendo invalida la notifica della cartelle effettuata presso il portiere senza l’invio di una seconda raccomandata, sul presupposto (erroneo) dell’applicabilità alla fattispecie dell’art. 139 c.p.c..

P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2019


Cass. civ. Sez. III, Ord., (ud. 29-05-2018) 09-04-2019, n. 9793

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6880/2017 proposto da:

D.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAVOUR 305, presso lo studio dell’avvocato MICHELE GIUSEPPE VIETTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SALVATORE LEOPARDI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA, (OMISSIS), in persona del Dott. C.M. in qualità di procuratore, elettivamente domiciliata in ROMA, V.CICERONE 49, presso lo studio dell’avvocato SVEVA BERNARDINI, rappresentata e difesa dall’avvocato RDBERTO BUONFRATE giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 573/2016 della CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI TARANTO, depositata il 15/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/05/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

Svolgimento del processo
1. D.G. ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 573/16 del 15 dicembre 2016 della Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, che nell’accogliere il gravame esperito dalla società Generali Italia S.p.a. (d’ora in poi, “Generali”) contro la sentenza n. 1172/13 del 30 maggio 2013 del Tribunale di Taranto – ha dichiarato inammissibile l’opposizione presentata dall’odierno ricorrente, a norma dell’art. 650 c.p.c., avverso decreto ingiuntivo n. 1146/07, emesso in favore di Generali dal Tribunale di Taranto.

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierno ricorrente che la società Generali – munitasi del suddetto provvedimento monitorio, per ingiungere ad esso D. il pagamento della somma capitale di Euro 1.670.000,00, a titolo di rivalsa di quanto dalla stessa società pagato a terzi, in forza di apposita “polizza fideiussoria cauzione tra privati” gli notificava, presso la sede della società di cui era amministratore delegato, in data 15 dicembre 2008, atto di precetto, con cui gli intimava il pagamento del complessivo importo di Euro 1.727.050,64.

Deduce, altresì, il ricorrente di aver appreso solo in tale occasione dell’emissione, a suo carico, del suddetto decreto, notificatogli ex art. 143 c.p.c., circa due anni prima, all’esito di un iniziale infruttuoso tentativo compiuto (il 14 novembre 2007) presso la sua residenza in (OMISSIS).

Proposta, avverso il provvedimento monitorio, opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., deducendo la nullità della notifica per difetto dei presupposti legittimanti il ricorso alle modalità di cui all’art. 143 c.p.c. (e nel merito, per quanto qui di interesse, l’infondatezza della pretesa creditoria di Generali, basata su una fideiussione della quale l’odierno ricorrente disconosceva la sottoscrizione, non senza, peraltro, previamente eccepire la prescrizione del diritto azionato), al giudizio così incardinatosi veniva riunito anche quello proposto dal D. a norma dell’art. 615 c.p.c..

Dichiarata nulla, dall’adito giudicante, la notifica ex art. 143 c.p.c., e dunque ammissibile l’opposizione tardiva avverso il decreto ingiuntivo, ritenuta nel merito fondata, contro tale decisione proponeva appello la Generali, vedendosi accogliere il gravame.

3. Per la cassazione della sentenza della Corte tarantina ha proposto ricorso il D., sulla base di due motivi.

3.1. Con il primo motivo – proposto ai sensi, dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 139, 143 e 360 c.p.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che ha formato oggetto di discussione tra le parti.

Si censura la sentenza impugnata laddove essa – sul presupposto che, nel caso di specie, all’esito della prima infruttuosa notificazione presso l’abitazione del D. (essendo stato “in loco” rinvenuto “un intero stabile non abitato con affisso cartello vendesi”) non fosse possibile ricorrere alle forme di cui all’art. 140 c.p.c., applicabili solo in caso di allontanamento precario, da quel luogo, del destinatario dell’atto – ha ritenuto che la notificazione andasse eseguita a mani del destinatario, ex art. 138 c.p.c., non potendo trovare applicazione l’ipotesi di cui al comma 2 del successivo art. 139. Difatti, secondo il giudice di appello, come sottolineato dall’odierno ricorrente, non poteva “essere preteso che il richiedente la notifica e l’ufficiale giudiziario si appostassero nei pressi della sede dell’azienda, rappresentata da una s.r.l. di cui il D. era amministratore delegato”, giacchè il ricorso a siffatta procedura notificatoria – “eseguita in assenza” dell’interessato “mediante consegna all’addetto all’ufficio o all’azienda” – si sarebbe potuta ritenere “valida ed efficace solo in relazione ad una notifica effettuata al detto D. in tale qualità”. Di qui, dunque, la necessità sempre secondo la Corte tarantina – dell’applicazione dell’art. 143 c.p.c..

Orbene, l’odierno ricorrente censura tale affermazione, che reputerebbe possibile il ricorso alla consegna dell’atto da notificare a persona “addetta all’ufficio o all’azienda” soltanto se l’atto stesso attenga ad attività lavorativa o professionale svolta “in loco” dal destinatario dell’atto, innanzitutto perchè in contrasto con il tenore letterale dell’art. 139 c.p.c., comma 2, che non introduce affatto una simile limitazione.

Lo confermerebbe, del resto, la giurisprudenza di legittimità, concorde – secondo il ricorrente – nel ritenere che per “ufficio” del destinatario di un atto debba intendersi “il luogo in cui egli svolge abitualmente la sua attività lavorativa, senza alcuna possibile distinzione tra l’ufficio da lui creato, organizzato e diretto per la trattazione degli affari propri, e quello in cui presti servizio o eserciti la sua attività lavorativa alle dipendenze di altri,” rilevando unicamente, in entrambi casi, che la relazione del soggetto con quel luogo sia caratterizzata “da una sufficiente stabilità”, senza, però, che essa debba comportare “necessariamente una sua abituale continua presenza fisica”, essendo, invece, “sufficiente una continuità di rapporti di tale portata che valga a giustificare una presunzione di reperibilità e, quindi, di conoscibilità dell’atto recapitato in tale luogo” (è citata Cass. Sez. 1, sent. 8 giugno 1995, n. 6487).

D’altra parte, ancora più di recente, è stato affermato – si legge sempre nel ricorso – che l’art. 139 c.p.c., “non dispone un ordine tassativo da seguire in tali ricerche, potendosi scegliere di eseguire la notifica presso la casa di abitazione o presso la sede dell’impresa o presso l’ufficio, purchè si tratti, comunque, di luogo posto nel comune in cui il destinatario ha la sua residenza” (è citata Cass. Sez. 2, sent. 16 febbraio 2016, n. 2968), stabilendosi anche che è “nulla la notificazione effettuata con le modalità previste dell’art. 143 c.p.c., quando sia noto il luogo di lavoro del destinatario” (Cass. Sez. 3, sent. 1 maggio 2011, n. 10217).

Su tali basi, dunque, si ritiene che la sentenza vada cassata, perchè il giudice del rinvio accerti – diversamente dal giudice di appello, che ha invece omesso di esaminare tale fatto decisivo – se tra il luogo in cui ha sede la società di cui il D. era l’amministratore delegato e il D. medesimo sussisteva quella “stabile relazione” idonea a consentire la consegna dell’atto a persona addetta all’ufficio o all’azienda, condizione necessaria e sufficiente per il legittimo ricorso a tale modalità di notificazione.

3.2. Con il secondo motivo – proposto ai sensi, dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 143 c.p.c..

Si reputa, in ogni caso, viziata la sentenza impugnata per avere ritenuto valida ed efficace la notifica ex art. 143 c.p.c., senza che l’ufficiale giudiziario abbia dato atto delle ricerche svolte per il reperimento della residenza effettiva del destinatario, adempimento richiesto a pena di nullità della notificazione (è citata Cass. Sez. Lav., sent. 9 febbraio 2009, n. 3037).

Si censura, infatti, l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui la prima relata di notificazione – che si limitava ad attestare, osserva il ricorrente, che all’indirizzo di via (OMISSIS), indicato come luogo di abitazione del D., vi era “un intero stabile non abitato con affisso cartello vendesi” – potesse “ritenersi parte integrante della seconda” (ancor più laconica, limitandosi ad attestare l’effettuazione della notificazione “mediante deposito di una copia nella casa comunale di (OMISSIS)”), sicchè dalla loro lettura congiunta potrebbe ricavarsi l’effettuazione delle ricerche volte ad individuare la residenza effettiva del D..

Assume il ricorrente come nessuna delle due relate dia conto delle indagini effettuate, non essendo, d’altra parte, neppure ipotizzabile che la prova dell’irreperibilità del destinatario possa essere ricavata “aliunde” e non dalla relata.

4. Ha resisto con controricorso Generali, per chiedere che l’avversaria impugnazione sia dichiarata inammissibile o infondata.

Il primo di tali esiti viene motivato sul rilievo che, in sede di giudizio di merito, le difese del D. sono state tutte articolate “sulla sola dicotomia artt. 143 – 140 c.p.c.”, sicchè la questione relativa all’applicazione dell’art. 139 c.p.c., comma 2, presenterebbe, inammissibilmente, carattere di novità, oltre ad essere preclusa da giudicato.

Inoltre, si assume che la questione relativa alla necessità della notificazione presso il “luogo di lavoro” del destinatario dell’atto viene sollevata “su di un piano astratto e teorico”, giacchè il tema non è secondo la controricorrente – se l’atto “potesse” essere ivi notificato, bensì se lo “dovesse”. In altri termini, il D. era onerato dal provare – ciò che non ha fatto – che la sede della società, di cui egli era stato in passato rappresentante legale, fosse il suo “abituale” luogo di lavoro e se “in loco” vi fosse effettivamente “persona addetta all’ufficio”.

Infine, le censure non coglierebbero l’effettiva “ratio decidendi”, ovvero che la Corte tarantina ha comunque espresso il convincimento circa la “aleatorietà” di quel luogo a fungere da centro di interessi per l’odierno ricorrente, sulla base di una valutazione di merito non sindacabile in questa sede, ciò che degrada al rango di una pleonastica digressione – al più emendabile ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., – l’affermazione relativa al fatto che la notifica a persona addetta all’ufficio o all’azienda concerne i casi in cui la notificazione attenga ad atti relativi ad attività ivi svolta.

5. Hanno presentato memoria entrambe le parti per ribadire le proprie argomentazioni e replicare a quelle avversarie.

Motivi della decisione
6. Il ricorso va accolto, limitatamente al secondo motivo.

6.1. Il primo motivo di ricorso non è fondato.

6.1.1. Nell’esaminare lo stesso occorre muovere dal rilievo che la sentenza impugnata attesta essere stata inizialmente tentata la notifica, ex art. 139 c.p.c., comma 1, presso quello che dallo stesso contratto di fideiussione, intercorso tra le parti e fonte del credito oggetto del provvedimento monitorio da notificarsi – risultava essere il luogo ove risiedeva il D., via (OMISSIS), sicchè in assenza di reperimento del destinatario, o di persona di famiglia o addetta alla casa, la stessa, all’esito delle ricerche anagrafiche (che confermavano in via (OMISSIS) il luogo di residenza del destinatario dell’atto), veniva effettuata ex art. 143 c.p.c..

La pretesa, dunque, che la seconda notifica fosse compiuta – ai sensi dell’art. 139 c.p.c., comma 2, – presso la sede della società, della quale il D. era stato, in passato amministratore, quale luogo in cui esso aveva (avuto) il proprio “ufficio” non ha fondamento, visto che il citato art. 139, “nei prescrivere che la notifica si esegue nel luogo di residenza del destinatario e nel precisare che questi va ricercato nella casa di abitazione o dove ha l’ufficio o esercita l’industria o il commercio, non dispone un ordine tassativo da seguire in tali ricerche, potendosi scegliere di eseguirla presso la casa di abitazione o la sede dell’impresa o l’ufficio, purchè si tratti, comunque, di luogo posto nel comune in cui il destinatario ha la sua residenza” (Cass. Sez. 6-2, ord. 16 ottobre 2017, n. 25489, Rv. 646821-01; Cass. Sez. 3, ord. 10 febbraio 2010, n. 2266, Rv. 611300-01)”.

Tanto basta, dunque a ritenere non fondato il motivo, a prescindere dell’errata affermazione della Corte territoriale, secondo cui la notifica al D. presso la sede della società di cui era stato amministratore sarebbe stata ammissibile solo se effettuata allo stesso in tale qualità.

6.2. Il secondo motivo è, invece, fondato.

6.2.1. Va, infatti, dato seguito al principio già enunciato da questa Corte secondo cui, in tema di notificazione ex art. 143 c.p.c., “l’ufficiale giudiziario, ove non abbia rinvenuto il destinatario nel luogo di residenza risultante dal certificato anagrafico, è tenuto a svolgere ogni ulteriore ricerca ed indagine dandone conto nella relata, dovendo ritenersi, in difetto, la nullità della notificazione” (così, da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 3 aprile 2017, n. 8638, Rv. 643689-01).

Alla stregua di tale principio, infatti, non idonee appaiono le indicazioni apposte dall’ufficiale giudiziario, nel presente caso, all’esito del primo (inutile) tentativo di notificazione presso l’abitazione del D., visto che dalla stessa risultava unicamente il rinvenimento, “in loco”, di “un intero stabile non abitato con affisso cartello vendesi”, ma non l’espletamento di ulteriori indagini o ricerche, che – come di recente chiarito da questa Corte – potrebbero sostanzarsi nell’aver “raccolto informazioni negative, circa la reperibilità in quel luogo del destinatario dell’atto, dai residenti interpellati” (Cass. Sez. 1, ord. 31 luglio 2017, n. 19012, Rv. 645083-02; Cass. Sez. 3, ord. 5 luglio 2018, n. 17596, non massimata), o, almeno, nell’attestare impossibilità di procedere in tal senso, secondo quanto ipotizza la controricorrente, sulla scorta di quel passaggio della sentenza impugnata – ma non delle risultanze della relata – che dà atto dell’assenza, in prossimità dello stabile di via (OMISSIS), di esercizi commerciali, ovvero della presenza, ma solo a distanza, di altri “villini isolati”.

7. La sentenza va, dunque, cassata, rinviando alla Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in diversa composizione, per la decisione nel merito.

Spese al giudice del rinvio.

P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso e accoglie il secondo, cassando, per l’effetto, la sentenza impugnata in relazione e rinviando alla Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in diversa composizione, per la decisione nel merito e per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione il 29 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2019


Cass. civ., Sez. I, Ord., (data ud. 19/02/2019) 05/04/2019, n. 9646

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16094/2018 proposto da:

T.A., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Ciafardini Antonino, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

contro

Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di L’aquila;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2097/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, pubblicata il 15/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 19/02/2019 dal Cons. Dott. SOLAINI LUCA.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con sentenza n. 2097 del 15.11.2017, la Corte di Appello di L’Aquila ha rigettato l’impugnazione proposta da T.A., cittadino ivoriano, avverso l’ordinanza del Tribunale che aveva negato al medesimo sia il diritto alla protezione sussidiaria che quello alla protezione per motivi umanitari.

Il richiedente ha dichiarato di essere originario della Costa d’avorio e di esservi fuggito nel 2010 a seguito delle elezioni politiche; deduce che i genitori e la sorella erano rimasti vittime della violenza che aveva turbato il paese e non vuole rientrarvi per il timore del clima di conflitto armato che lo caratterizza.

A sostegno della decisione di rigetto della domanda, la Corte d’Appello ha rilevato che deve escludersi che la situazione personale del richiedente risulti caratterizzata da una diretta esposizione a rischio, infatti, dalle fonti internazionali, quali i report per l’anno 2017 (Human Rights Watch, Amnesty international) emerge che attualmente in (OMISSIS) non c’è violenza indiscriminata ed anzi vige un clima di maggiore sicurezza e tranquillità: nel 2015, vi è stata una pressochè pacifica rielezione del presidente uscente che ha contribuito alla stabilità politica e alla crescita economica e nel 2016 vi è stata l’adozione di una nuova carta costituzionale, nonchè una diminuzione degli arresti arbitrari, dei maltrattamenti dei detenuti e delle decisioni illegali da parte delle forze di sicurezza, mentre, nel marzo del 2017 si è verificato un attacco isolato, da parte di un gruppo armato a tre hotel del litorale di (OMISSIS).

Avverso questa pronuncia, ricorre per cassazione il cittadino straniero sulla base di tre motivi, mentre, il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Con il primo motivo, il ricorrente denuncia il vizio di nullità della sentenza di appello, ex art. 134 c.p.c., n. 2 (rectius art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) per motivazione contraddittoria e/o apparente, perchè la Corte d’Appello avrebbe reiterato le motivazioni del Tribunale sull’insussistenza di motivi per ritenere che il ricorrente corra rischi effettivi di subire una minaccia grave alla vita o alla persona, una volta rimpatriato, senza tenere conto che la (OMISSIS) non è uno Stato completamente pacificato, dopo la guerra civile del 2010-2011, con criticità rispetto ai diritti umani e dove fino a poco tempo fa era presente una forza di peace-keeping sotto l’insegna dell’Onu.

Con il secondo motivo di censura, il ricorrente prospetta il vizio di violazione di legge, in particolare, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, per non avere la Corte d’Appello applicato, nella specie, il principio dell’onere probatorio attenuato e per non aver valutato la credibilità del richiedente alla luce dei parametri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, abdicando all’utilizzo dei propri poteri istruttori ed indagatori, che impongono di ravvisare un dovere di cooperazione del giudice nell’accertamento dei fatti rilevanti ai fini del riconoscimento del diritto invocato, in particolare, i giudici d’appello non avevano verificato se la situazione personale rappresentata dal richiedente potesse, nel quadro generale così grave, essere plausibile e foriera di effettivi pericoli per la sicurezza e la vita dello stesso, trattandosi di soggetto di ceto poverissimo che difficilmente poteva sperare nella protezione degli organi statali.

Con un terzo motivo, il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 3, comma 5, per non avere la Corte d’Appello riconosciuto la sussistenza dei motivi umanitari per la concessione della relativa tutela, con particolare riferimento alle situazioni di vulnerabilità da proteggere alla luce degli obblighi costituzionale e internazionali gravanti sullo stato italiano. Inoltre, il ricorrente deduce il vizio della motivazione sullo stesso profilo, non essendo percepibile il fondamento della decisione.

Il primo motivo è, in via preliminare, inammissibile, perchè afferisce al merito della controversia, contestando la lettura delle risultanze processuali che è di esclusiva competenza del giudice del merito, se adeguatamente motivata, come nel caso di specie (Cass. nn. 11892/16, 17037/15, 25608/13).

Nel merito, il motivo sarebbe, comunque, infondato, in quanto, la motivazione si colloca ben al di sopra del “minimo costituzionale” (Cass. sez. un. 8053/14), perchè decide la controversia, dando conto sia della situazione generale e socio-politica della Costa d’Avorio (nel senso di escludere un rischio effettivo di subire una minaccia grave alla vita o alla persona) che della situazione personale del richiedente asilo, che non presentava un quadro di vulnerabilità personale tale da consentire il riconoscimento della protezione umanitaria, nè risultava documentata l’integrazione sociale nel paese ospitante.

In ogni caso, la censura non rientra nel novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il secondo motivo è inammissibile.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte “In tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati. La valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5 lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (Cass. ord. n. 27503/18, in particolare, v. Cass. ord. n. 27336/18, sul fatto che la domanda diretta a ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottragga al principio dispositivo, sia pure attraverso la cooperazione istruttoria del giudice – Cass. ord. n. 26921/17 – attraverso un onere probatorio attenuato, v. in proposito, anche Cass. ordd. nn. 15782/14, 4138/11).

Nel caso di specie, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, i giudici d’appello hanno utilizzato i propri poteri istruttori, per verificare officiosamente la situazione del paese di provenienza dello straniero (vedi pp. 10 e 11 della sentenza impugnata), con esito moderatamente positivo, mentre, in riferimento alla situazione personale del richiedente, la Corte d’Appello ha escluso che sussistessero elementi, dalla narrazione dello straniero, che potessero configurare i fatti costitutivi del diritto azionato per ottenere la protezione sussidiaria.

Il terzo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto, in riferimento alla dedotta patologia sanitaria non è stata riportata in ricorso nè allegata, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, alcuna documentazione relativa alla problematica cardio-respiratoria che si assume non considerata dalla Corte d’Appello, la quale, peraltro, ha appurato – CON GIUDIZIO ALTRETTANTO INSINDACABILE, PERCHE’ AFFERENTE AD UNA VALUTAZIONE DI MERITO – che non sussistevano le ragioni per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Non si fa luogo al raddoppio del contributo unificato, in quanto, il ricorrente è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Dichiara il ricorso inammissibile.

Condanna il ricorrente a pagare all’Amministrazione statale le spese di lite del presente giudizio che liquida nell’importo di Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2019


Assemblea Generale Ordinaria – 04.05.2019

Locandina Assemblea Generale Ordinaria 2019

Ai sensi dell’art. 13 dello Statuto viene convocata la riunione dell’Assemblea Generale Ordinaria sabato 4 maggio 2019 alle ore 07:30 in prima convocazione ed alle ore 10:00 in seconda convocazione, presso il Palazzo Accursio (Palazzo Comunale) Sala del Dentone (Piano terra) Piazza Maggiore 6 Bologna.

Ordine del Giorno:

  1. Revoca Delega al Consiglio Generale per l’approvazione del bilancio consuntivo come da attribuzione delega A.G. del 06.05.2017;
  2. Delega al Consiglio Generale per l’approvazione dei bilanci preventivi e consuntivi anni 2018, 2019, 2020 ai sensi dell’art. 16 dello Statuto;
  3. Approvazione del bilancio consuntivo anno 2018;
  4. Approvazione del bilancio preventivo anno 2019
  5. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione;
  6. Elezione dei Componenti il Consiglio Generale;
  7. Attività associative;
  8. Iniziative proselitismo Associazione;
  9. Varie ed eventuali.

Documentazione: Assemblea Generale Ordinaria del 04 05 2019 – Documentazione

Leggi: AGO 04 05 2019 Verbale

Vedi: Video dell’Assemblea Generale Ordinaria


Cass. civ. Sez. I, Sent., (ud. 12-07-2016) 13-09-2016, n. 17946

La Corte di Cassazione ha stabilito che, al fine di instaurare correttamente il contraddittorio tra le parti nel procedimento di fallimento, l’atto introduttivo può essere notificato validamente, qualora si siano rivelati infruttuosi i tentativi di notificazione attraverso PEC e presso la sede legale, attraverso il mero deposito del ricorso e del decreto presso la casa comunale.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 187/2015 proposto da:

LIONETTI S.R.L., IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Vittorio Tarsia, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Francesco Grieco, in Roma, via Blumenstihl 71;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DELLA LIONETTI S.R.L., IN LIQUIDAZIONE, in persona del curatore pro tempore;

ADRIATICA LEGNAMI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1854/2014 della Corte d’appello di Bari, depositata il giorno 20 novembre 2014;

Sentita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 12 luglio 2016 dal Consigliere relatore dott. Antonio Didone;

udito l’avv. Tarsia per la ricorrente;

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale Dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Bari ha rigettato il reclamo proposto dalla Lionetti s.r.l., in liquidazione, contro la sentenza del Tribunale che ne aveva dichiarato il fallimento su istanza della Adriatica Legnami s.r.l..

Per quanto ancora interessa, la Corte di merito ha disatteso la censura con la quale la reclamante aveva dedotto la nullità della notificazione, eseguita mediante deposito presso la casa comunale senza le formalità di cui agli artt. 140 e 143 c.p.c., dopo il vano tentativo di notifica a mezzo pec, essendo risultata impossibile la notificazione presso la sede sociale, peraltro risultando la società cancellata dal registro delle imprese.

La Corte territoriale, invero, alla luce del nuovo testo della L. Fall., art. 15 – applicabile ratione temporis – ha evidenziato che tale normativa individua una disciplina tutta peculiare e differente dall’art. 143 c.p.c., che, infatti, non è richiamato: da un lato, inverte la regola della notifica “di persona”, rendendola obbligatoria anche quando debba essere effettuata fuori dal comune in cui ha sede l’ufficio e, dall’altro, in quanto obbligatoria, rende superflua la specifica istanza della parte che di regola è necessaria per ottenere la notifica a mani fuori dal comune.

Inoltre, la notifica si perfeziona, in caso di chiusura della sede, con il deposito presso la casa comunale ed immediatamente, senza che sia previsto dunque, a differenza degli artt. 140 e 143 c.p.c., l’invio di una comunicazione a mezzo posta, l’indicazione nominativa del legale rappresentante persona fisica, il decorso di un termine. E’ esclusa, ancora, la necessità di individuare – nell’atto e nella relata – la persona fisica che rappresenta la società debitrice, dato che le formalità previste dalla L. Fall., novellato art. 15, comma 3, mettono “fuori gioco” l’art. 145 c.p.c., e la correlata necessarietà di ricercare il soggetto presso la sua residenza: l’unica alternativa alla notifica presso la sede è il deposito della copia presso la casa comunale.

Contro la sentenza della Corte di appello la società fallita ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Non hanno svolto difese gli intimati.

Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 10 e 15. Deduce che, essendo stata la società cancellata dal registro delle imprese già nel 2013, era evidente che la sede della società fosse chiusa; ciò renderebbe inapplicabile la L. Fall., art. 15 novellato, che disciplina “la notifica per le imprese ancora in vita, offrendo al creditore procedente la via più semplice per effettuare l’adempimento in parola, senza doversi curare di rintracciare la sede reale (ove esistente) di una impresa chiusa o cessata, che non ha adempiuto all’onere di pubblicità”.

Assume, inoltre, che, non avendo previsto la L. Fall., art. 10, che consente la dichiarazione di fallimento entro l’anno dalla cancellazione, le forme per la notificazione del ricorso, resta applicabile la disciplina ordinaria, così come previsto prima del D.L. n. 179 del 2012, e come disposto dal giudice delegato con il decreto di fissazione dell’udienza.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 143 e 145 c.p.c., in relazione alla L. Fall., art. 15, lamentando la violazione dei termini a difesa discendente dall’affermazione secondo cui nel caso concreto la notifica si fosse perfezionata con il deposito nella casa comunale, anzichè con la notifica nelle forme previste dalle norme del codice di rito ora menzionate.

2. – Il primo motivo di ricorso è infondato.

Prima della modifica della L. Fall., art. 15 – introdotta dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 17, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 -, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto che la previsione della L. Fall., art. 10, per il quale una società cancellata dal registro delle imprese può essere dichiarata fallita entro l’anno dalla cancellazione, implica che il procedimento prefallimentare e le eventuali successive fasi impugnatorie continuano a svolgersi, per “fictio iuris”, nei confronti della società estinta, non perdendo quest’ultima, in ambito concorsuale, la propria capacità processuale. Ne consegue che pure il ricorso per la dichiarazione di fallimento può essere validamente notificato presso la sede della società cancellata, ai sensi dell’art. 145 c.p.c., comma 1, (Cass. 6 novembre 2013, n. 24968).

2.1. – La nuova disciplina, applicabile a tutti procedimenti introdotti successivamente al 31 dicembre 2013, stata esaminata dalla Corte costituzionale con la recente pronuncia n. 146 del 2016 e, in relazione ai parametri di cui agli artt. 3 e 24 Cost., il Giudice delle leggi ha puntualizzato che “A differenza della disposizione di cui all’evocato art. 145 c.p.c. – esclusivamente finalizzata all’esigenza di assicurare alla persona giuridica l’effettivo esercizio del diritto di difesa in relazione agli atti ad essa indirizzati ad alle connesse procedure – il riformulato art. 15 della così detta legge fallimentare (come emerge dalla relazione di accompagnamento del D.L. n. 179 del 2012, art. 17, il cui testo, in parte qua, non è stato oggetto di modifiche in sede di conversione) si propone di coniugare quella stessa finalità di tutela del diritto di difesa dell’imprenditore (collettivo) con le esigenze di celerità e speditezza cui deve essere improntato il procedimento concorsuale. E, a tal fine appunto, prevede che il tribunale è esonerato dall’adempimento di ulteriori formalità quando la situazione di irreperibilità deve imputarsi all’imprenditore medesimo”.

La specialità e la complessità degli interessi (comuni ad una pluralità di operatori economici, ed anche di natura pubblica in ragione delle connotazioni soggettive del debitore e della dimensione oggettiva del debito), che il legislatore del 2012 ha inteso tutelare con l’introdotta semplificazione del procedimento notificatorio nell’ambito della procedura fallimentare, segnano, dunque, l’innegabile diversità tra il suddetto procedimento e quello ordinario di notifica ex art. 145 c.p.c..

Ciò, dunque, ne esclude la comparabilità in riferimento al precetto dell’art. 3 Cost..

2.2. – Quanto all’art. 24 Cost., la Corte costituzionale ha evidenziato che il diritto di difesa, nella sua declinazione di conoscibilità, da parte del debitore, dell’attivazione del procedimento fallimentare a suo carico, è adeguatamente garantito dalla norma denunciata, proprio in ragione del predisposto duplice meccanismo di ricerca della società.

Questa, infatti, ai fini della sua partecipazione al giudizio, viene notiziata prima presso il suo indirizzo di PEC, del quale è obbligata a dotarsi, D.L. 29 novembre 2008, n. 185, ex art. 16, – Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2, ed è tenuta a mantenere attivo durante la vita dell’impresa; dunque, in forza di un sistema che presuppone il corretto operare della disciplina complessiva che regola le comunicazioni telematiche da parte dell’ufficio giudiziario e che, come tale, consente di giungere ad una conoscibilità effettiva dell’atto da notificare, in modo sostanzialmente equipollente a quella conseguibile con i meccanismi ordinari (ufficiale giudiziario e agente postale).

Solo a fronte della non utile attivazione di tale primo meccanismo, segue la notificazione presso la sede legale dell’impresa collettiva: ossia, presso quell’indirizzo da comunicare obbligatoriamente, ai sensi dell’art. 2196 c.c., al momento dell’iscrizione nel registro delle imprese, la cui funzione è proprio quella di assicurare un sistema organico di pubblicità legale, sì da rendere conoscibili – e perciò opponibili ai terzi, nell’interesse dello stesso imprenditore – i dati concernenti l’impresa e le principali vicende che la riguardano.

Per cui, in caso di esito negativo di tale duplice meccanismo di notifica, il deposito dell’atto introduttivo della procedura fallimentare presso la casa comunale, ragionevolmente si pone come conseguenza immediata e diretta della violazione, da parte dell’imprenditore collettivo, dei descritti obblighi impostigli dalla legge.

Ciò anche alla luce del principio, più volte enunciato da questa Corte (seppure con riferimento al testo previgente della L. Fall., art. 15), per cui esigenze di compatibilità tra il diritto di difesa e gli obiettivi di speditezza e operatività, ai quali deve essere improntato il procedimento concorsuale, giustificano che il tribunale resti esonerato dall’adempimento di ulteriori formalità, ancorchè normalmente previste dal codice di rito, allorquando la situazione di irreperibilità dell’imprenditore debba imputarsi alla sua stessa negligenza e a condotta non conforme agli obblighi di correttezza di un operatore economico (Cass. 8 febbraio 2011, n. 3062; Cass. 7 gennaio 2008, n. 32).

2.3.- Il sistema, poi, non è privo di ulteriori correttivi a tutela della effettività del diritto di difesa dell’imprenditore.

La riconosciuta natura “devolutiva” del reclamo – come regolato dalla L. Fall., art. 18, nel testo sostituito dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, art. 2, comma 7, consente, infatti, al fallito, benchè non costituito innanzi al tribunale, di indicare, comunque, per la prima volta, in sede di reclamo avverso la sentenza di primo grado (che gli viene notificata nelle forme ordinarie), i fatti a sua difesa ed i mezzi di prova di cui intenda avvalersi al fine di sindacare la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi che hanno condotto alla dichiarazione di fallimento (Cass. 24 marzo 2014, n. 6835; Cass. 19 marzo 2014, n. 6306, Cass. 6 giugno 2012, n. 9174; Cass. 5 novembre 2010, n. 22546).

2.4. – In definitiva, alla luce della ricordata sentenza della Corte costituzionale, deve affermarsi che anche nel caso di società già cancellata dal registro delle imprese, il ricorso per la dichiarazione di fallimento può essere validamente notificato, ai sensi della L. Fall., art. 15, comma 3, – nel testo novellato dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 -, all’indirizzo di posta elettronica certificata della società cancellata in precedenza comunicato al registro delle imprese, ovvero quando, per qualsiasi ragione, non risulti possibile la notifica a mezzo PEC, direttamente presso la sua sede risultante sempre dal registro delle imprese e, in caso di ulteriore esito negativo, mediante deposito presso la casa comunale del luogo dove la medesima aveva sede.

3. – Il secondo motivo è inammissibile, per carenza di interesse.

Al riguardo va data sicura continuità al principio affermato dalle sezioni unite di questa Corte (Cass. s.u. 14.12.1998, n. 12541), recentemente ribadito dalla Sezione anche in tema di impugnazione della sentenza dichiarativa del fallimento proposto ai sensi della L. Fall., art. 18 – nella formulazione derivante dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 169 del 2007 -, a tenore del quale è inammissibile l’impugnazione, laddove la stessa sia fondata esclusivamente su vizi di rito, senza la contestuale e rituale deduzione delle eventuali questioni di merito, ed i vizi denunciati non rientrino tra quelli che comportino una rimessione al primo giudice, tassativamente indicati dagli artt. 353 e 354 c.p.c., oltre che per difetto di interesse, anche per non rispondenza al modello legale di impugnazione (Cass. 5 febbraio 2016, n. 2302).

E’ invero orientamento consolidato di questa Corte – e non vi sono qui ragioni per discostarsene -, che in caso di nullità dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, che si sia svolto in contumacia della parte convenuta, determinata dalla inosservanza del termine dilatorio di comparizione, il giudice di appello non può limitarsi a dichiarare la nullità della sentenza e del giudizio di primo grado, ma, non ricorrendo nè la nullità della notificazione dell’atto introduttivo e nè alcuna delle altre ipotesi tassativamente previste dagli artt. 353 e 354 c.p.c., deve decidere nel merito, previa rinnovazione degli accertamenti compiuti nella pregressa fase processuale, ammettendo il convenuto, contumace in primo grado, a svolgere tutte quelle attività che, in conseguenza della nullità, gli sono state precluse (Cass. 11.11.2010, n. 22914).

3.1. – Orbene, nella fattispecie concreta l’istante non ha inteso riproporre in sede di legittimità i motivi di reclamo attinenti al merito, già respinti dalla Corte di appello, limitandosi a lamentare, con il motivo in esame, la mera violazione del termine dilatorio di quindici giorni cui alla L. Fall., art. 15.

E tuttavia, traducendosi siffatta violazione, secondo il principio di diritto appena ricordato, in una nullità che non può dare luogo a rimessione della causa al primo giudice, è all’evidenza come un motivo di ricorso così formulato, non accompagnato da censure estese alle questioni di merito già esaminate dalla sentenza qui impugnata, si mostra radicalmente inammissibile per carenza di qualsivoglia interesse al suo accoglimento.

4. – Nulla sulle spese, in difetto di attività difensiva delle parti intimate. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è respinto, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, che ha aggiunto il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 12 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2016


Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 13-11-2018) 29-03-2019, n. 8814

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 13349/2017 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

EDILCLIMATIC S.R.L.;

– intimata –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 6634/5/16, depositata il 4 novembre 2016.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 novembre 2018 dal Presidente Dott. Campanile Pietro;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Zeno Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento dei ricorso; udito per la ricorrente l’Avv. dello Stato Gianmario Rocchitta.

Svolgimento del processo
1. Con sentenza depositata in data 27 marzo 2014 la Commissione Tributaria provinciale di Latina, in accoglimento del ricorso proposto dalla S.r.l Ediclimatic, ha annullato l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate, ritenendo invalida la sottoscrizione dell’atto da parte di un funzionario, Dott. C.U., capo dell’Ufficio Controlli, in assenza di una delega nominativa da parte del direttore provinciale.

2. Con la sentenza indicata in epigrafe la CTR del Lazio ha rigettato l’appello proposto dall’Ufficio, richiamando il principio espresso da questa Corte con la decisione n. 22803 del 2015, secondo cui la delega di firma o di funzioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, deve necessariamente indicare, a pena di nullità, il nominativo del delegato.

3. Per la cassazione di tale decisione l’Agenzia delle Entrate ha proposto unico ed articolato motivo, illustrato da memoria.

4. La parte intimata non ha svolto attività difensiva.

5. Con ordinanza depositata in data 17 maggio 2018 la sesta sezione civile ha rimesso la causa alla pubblica udienza.

Motivi della decisione
1. Preliminarmente va constatata la tempestività del ricorso, proposto entro il termine di cui all’art. 327 c.p.c., così come prorogato di mesi sei in forza del D.L. n. 24 aprile 2017, n. 50, art. 11, comma 9, convertito nella L. 21 giugno 2017, n. 96.

2. Con l’unico motivo di ricorso, denunciando violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, nonchè della L. n. 241 del 1990, artt. 21 septies, 21 octies e 21 nonies, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Amministrazione deduce, citando specifici arresti di questa Corte e della giurisprudenza amministrativa, una serie di rilievi critici nei confronti dell’orientamento giurisprudenziale, al quale la sentenza impugnata si è conformata, che afferma, ai fini della validità della delega, l’insufficienza della mera indicazione del ruolo rivestito dal soggetto delegato e la necessità, quindi, della specificazione del nominativo del soggetto delegato. Viene richiamata la distinzione fra delegazione amministrativa di competenze e “delega di firma”, espressione di atti interni di organizzazione, che non comporta alcun problema in relazione alla riferibilità dell’avviso di accertamento all’Ufficio, in quanto comunque proveniente dal dirigente delegante, a meno che non venga “specificamene dedotta e dimostrata la non appartenenza del firmatario all’ufficio che si assume la paternità dell’atto, o addirittura, l’usurpazione del relativo potere”.

2. La questione che il ricorso in esame pone riguarda l’incidenza sulla validità dell’avviso di accertamento dei requisiti della delega rilasciata dal dirigente dell’ufficio al funzionario che, in sua sostituzione, sottoscriva l’avviso stesso.

In linea generale, la funzione della sottoscrizione dell’atto impositivo, che sottende la tematica degli aspetti di natura probatoria, nel giudizio, in caso di contestazione, da parte del contribuente, della legittimità della sottoscrizione stessa, non trova una disciplina uniforme. Non mancano, invero, ipotesi in relazione alle quali opera il principio secondo cui deve presumersi che l’atto sia riferibile all’organo amministrativo titolare del potere nel cui esercizio esso sia stato adottato, come affermato da questa Corte in riferimento alla cartella esattoriale, al diniego di condono, all’avviso di mora e all’attribuzione di rendita catastale (cfr., per tutte, la recente Cass., 31 ottobre 2018, n. 27871).

Ad avviso del Collegio in tale prospettiva deve essere valutata la portata della prescrizione contenuta nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, secondo cui “Gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato”.

3. La norma non contiene alcuna specificazione in ordine alle modalità di rilascio della delega, alla sua funzione e ai requisiti di validità, dovendosi per altro rilevare che al successivo comma 3 è prevista la nullità dell’avviso qualora non rechi, tra l’altro, “la sottoscrizione”.

Appare dunque necessario, per quanto maggiormente rileva in questa sede, un approfondimento della questione che prenda le mosse non tanto dalla funzione dell’avviso di accertamento quale atto impositivo, quanto dalla sua natura di atto amministrativo. Se, invero, come è stato già rilevato, gli avvisi di accertamento costituiscono la più complessa espressione del potere impositivo, incidendo con particolare profondità nella realtà economica e sociale, deve ritenersi che la loro sottoscrizione da parte del capo dell’ufficio, o da funzionario da lui delegato, sia stata prevista come essenziale garanzia per il contribuente (Cass. n. 1875 del 2014 e, da ultimo, Cass. n. 22800 del 2015). Sotto tale profilo, appare evidente come il dato fondante sia costituito dal superamento di quella generale presunzione, sopra richiamata, di riferibilità dell’atto all’organo amministrativo dotato del potere di emanarlo, richiedendosi, al contrario, che tale provenienza sia avvalorata dalla sottoscrizione del capo dell’ufficio, o del funzionario da lui delegato. Giova sin d’ora evidenziare, ancorchè il rilievo sia privo, di per sè, di un decisivo valore argomentativo, non attenendo specificamente al tema della delega, come lo stesso riferimento al soggetto che riveste il ruolo apicale sia del tutto “impersonale”: a tale riguardo vale bene richiamare l’orientamento secondo cui l’avviso di accertamento è valido ove sia sottoscritto dal ” reggente”, ossia dal soggetto chiamato, ai sensi del D.P.R. n. 266 del 1987, art. 20, comma 1, lett. a) e b), a sostituire temporaneamente il dirigente assente per cause improvvise in tutte le funzioni svolte dallo stesso ai fini della direzione dell’Ufficio (Cass., 7 novembre 2018, n. 28335; Cass., 5 settembre 2014, n. 18758).

4. In relazione alla prescrizione contenuta nel citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1, questa Corte ha posto in evidenza come, trattandosi di un atto esterno al giudizio, la presenza o meno della sottoscrizione dell’avviso di accertamento non attiene alla legittimazione processuale: in caso di contestazione, l’Amministrazione finanziaria è tenuta a dimostrare la sussistenza della delega, potendo produrla anche nel secondo grado del giudizio. Deve altresì ribadirsi che se l’avviso di accertamento non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio “incombe all’Amministrazione dimostrare, in caso di contestazione, l’esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell’ufficio” (Cass., nn. 14626/00, 14195/00; 17044/13, 12781/16; cfr. Cass. sez. 6-5, nn. 19742/12, 332/16; 12781/16; 14877/16; 15781/17; 5200/18), poichè il solo possesso della qualifica non abilita il funzionario della carriera direttiva alla sottoscrizione, dovendo il potere di organizzazione essere in concreto riferibile al capo dell’ufficio (Cass. n. 17400 del 2012). E’ stato quindi precisato che la sottoscrizione dell’avviso di accertamento da parte di funzionario diverso da quello istituzionalmente competente a sottoscriverlo, ovvero da parte di un soggetto da detto funzionario non validamente ed efficacemente delegato, non soddisfa il requisito di sottoscrizione previsto, a pena di nullità, dall’art. 42, commi 1 e 3 del citato D.P.R. n. 600 del 1973 (Cass., 2 dicembre 2015, n. 24492, in cui l’onere probatorio facente capo all’Amministrazione, in caso di contestazione, viene giustificato anche con riferimento a principi di leale collaborazione e di vicinanza della prova).

5. Quanto ai requisiti della delega, questa Corte, con la nota decisione n. 22803 del 9 novembre 2015, ha affermato il seguente principio di diritto, al quale si è conformata la sentenza impugnata:”In tema di accertamento tributario, la delega di firma o di funzioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, deve necessariamente indicare il nominativo del delegato, pena la sua nullità, che determina, a sua volta, quella dell’atto impositivo, sicchè non può consistere in un ordine di servizio in bianco, che si limiti ad indicare la sola qualifica professionale del delegato senza consentire al contribuente di verificare agevolmente la ricorrenza dei poteri in capo al sottoscrittore”.

Tale indirizzo, confermato in varie decisioni successive (per tutte, Cass., ord., 6 marzo 2018, n. 5200), si fonda sul rilievo che il D.L. 15 giugno 2015, n. 78, art. 4 bis, conv. in L. n. 125 del 2015, ancorchè non applicabile alla fattispecie, disciplina l’istituto della “delega” sancendo che la stessa sia nominativa, prevedendo che “in relazione all’esigenza di garantire il buon andamento e la continuità dell’azione amministrativa, i dirigenti delle Agenzie fiscali, per esigenze di funzionalità operativa, possono delegare, previa procedura selettiva con criteri oggettivi e trasparenti, a funzionari della terza area, con un’esperienza professionale di almeno cinque anni nell’area stessa, in numero non superiore a quello dei posti oggetto delle procedure concorsuali indette ai sensi del comma 1 e di quelle già bandite e non annullate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le funzioni relative agli uffici di cui hanno assunto la direzione interinale e i connessi poteri di adozione di atti, escluse le attribuzioni riservate ad essi per legge, tenendo conto della specificità della preparazione, dell’esperienza professionale e delle capacità richieste a seconda delle diverse tipologie di compiti, nonchè della complessità gestionale e della rilevanza funzionale e organizzativa degli uffici interessati, per una durata non eccedente l’espletamento dei concorsi di cui al comma 1 e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2016…”.

6. La questione sottoposta all’esame del Collegio riguarda, come sopra evidenziato, esclusivamente le modalità di individuazione del soggetto delegato ai fini della sottoscrizione dell’avviso di accertamento, non essendo posti in discussione i principi relativi alla necessità di una delega scritta e agli oneri probatori come sopra evidenziati. Trattasi, per altro, di tematica sotto molti profili speculare rispetto a quella, già esaminata da questa Corte, in relazione alla sottoscrizione di atti processuali da parte di un funzionario a tanto delegato (Cass., 4 ottobre 2015, n. 20628), risolta in virtù del richiamo alla nota distinzione, operata dalla dottrina nonchè dalla giurisprudenza amministrativa, fra “delega di funzioni” e “delega di firma”.

6.1. La seconda ipotesi si verifica quando un organo, pur mantenendo la piena titolarità circa l’esercizio di un determinato potere, delega ad altro organo, ma anche a funzionario non titolare di organo, il compito di firmare gli atti di esercizio dei potere stesso: in questi casi l’atto firmato dal delegato, pur essendo certamente frutto dell’attività decisionale di quest’ultimo, resta formalmente imputato all’organo delegante, senza nessuna alterazione dell’ordine delle competenze” (Cass., n. 6113/2005).

6.2. Al contrario, l’istituto di diritto pubblico della “delegazione amministrativa” di competenze assume rilevanza esterna, ragion per cui si richiede che sia disciplinato per legge attuandosi, mediante adozione di un formale atto di delega, l’attribuzione ad un diverso ufficio od ente di poteri in deroga alla disciplina normativa delle competenze amministrative (c.d. delega di funzioni).

7. Appare evidente la differenza fra le due figure: la “delega di firma” realizza un mero decentramento burocratico: il “delegato alla firma” non esercita, infatti, in modo autonomo e con assunzione di responsabilità i poteri inerenti alle competenze amministrative riservate al delegante, ma agisce semplicemente come “longa manus” – e dunque in qualità di mero sostituto materiale – del soggetto persona fisica titolare dell’organo cui è attribuita la competenza. L’atto di “delegazione della competenza” ha, al contrario, rilevanza esterna, essendo suscettibile di alterare il regime della imputazione dell’atto, al contrario di quanto si verifica nell’ipotesi della mera delega di firma, nella quale il delegante rimane l’unico ed esclusivo soggetto dal quale l’atto proviene e del quale si assume la piena responsabilità verso l’esterno.

8. Sulla base delle superiori considerazioni va osservato come non sia condivisibile l’affermazione (v. la citata Cass. n. 22803 del 2015) secondo cui, ai fini di valutare la portata della disposizione contenuta nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1, debba prescindersi dalla natura della delega, sia essa di funzioni o di firma, dovendo in ogni caso essere nominativa. In tal modo, oltre ad operarsi una sovrapposizione fra le figure in esame, si contraddice la portata della norma testè richiamata, che chiaramente, anche in base al tenore letterale, è riferibile a una delega per la sottoscrizione, e, soprattutto, viene ad applicarsi a una figura, quale la delega di firma, la disciplina dettata per la delega di funzioni. Sotto tale profilo deve osservarsi che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 17, comma 1 bis, si riferisce espressamente ed inequivocabilmente alla “delega di funzioni”, laddove prescrive che i dirigenti, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, alcune delle competenze ad essi riservate, a dipendenti che ricoprono le posizioni funzionali più elevate nell’ambito degli uffici ad essi affidate.

Tale rigore non si addice alla delega di firma, nella quale, come è stato già rilevato, il delegato non esercita alcun potere o competenza riservata al delegante (cfr. la citata Cass. n. 20628 del 2015) e che trova titolo nei poteri di ordine e direzione, coordinamento e controllo attribuiti al dirigente preposto all’ufficio (Statuto Ag. Entrate approvato con Delib. 13 novembre 2000, n. 6, art. 11, comma 1, lett. c) e d); reg. amm. n. 4 del 2000, art. 14, comma 2,) nell’ambito dello schema organizzativo della subordinazione gerarchica tra persone appartenenti al medesimo ufficio.

9. Ne consegue che, pur dovendosi ribadire l’orientamento, sopra richiamato, in relazione agli oneri probatori in capo all’amministrazione in caso di contestazione della sottoscrizione dell’avviso di accertamento, deve affermarsi che non è richiesta alcuna indicazione nominativa della delega, nè la sua temporaneità, apparendo conforme alle esigenze di buon andamento e della legalità della pubblica amministrazione ritenere che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione della c.d. delega di firma possa avvenire, come nella specie, attraverso l’emanazione di ordini di servizio che abbiano valore di delega (Cass., 20 giugno 2011, n. 13512) e che individuino il soggetto delegato attraverso l’indicazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale parimenti consente la successiva verifica della corrispondenza fra il sottoscrittore e il destinatario della delega stessa.

10. L’accoglimento del ricorso, per le indicate ragioni, comporta la cassazione dell’impugnata decisione, con rinvio alla C.T.R. del Lazio, che, in diversa composizione, applicherà il principio sopra enunciato, provvedendo, altresì, in merito alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa l’impugnata decisione e rinvia, anche per le spese, alla C.T.R. del Lazio, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2019


Cass. civ. Sez. Unite, Sent., (ud. 03-07-2018) 26-03-2019, n. 8416

Le Sezioni Unite rammentano che, prima delle modifiche operate dalla L. 124/2017, il monopolio di Poste Italiane era limitato solo a notifiche di atti giudiziari e violazioni del Codice della Strada.

A far data dal 10 settembre 2017, è venuto meno il monopolio di Poste Italiane in materia di notificazioni. Tuttavia, già dal 2011, la riserva in favore di Poste era limitata alla sola notifica degli atti giudiziari e delle violazioni del codice della strada. Di conseguenza la notifica di un’ordinanza ingiunzione emanata dalla autorità amministrativa ben poteva essere effettuata (nel 2014) da un servizio privato.

Tanto è stato precisato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 8416/2019 (qui sotto riportata) accogliendo il ricorso dell’Assessorato alle Infrastrutture della Regione Sicilia contro un condominio di Messina.

L’autorità amministrativa era intervenuta per sanzionare l’utilizzo, a fini irrigui, delle acque di un fondo di proprietà di terzi. Il Condominio, invece, interponeva con successo ricorso al Tribunale delle Acque ritenendo inesistente la notifica del verbale in quanto effettuata a mezzo di servizio di posta privata e non utilizzando quello universale (affidato, nella specie, alla s.p.a. Poste italiane).

La Cassazione, accogliendo il ricorso dell’autorità amministrativa, evidenzia che nel 2014 (anno in cui è stato notificato il provvedimento) vigeva la regola di cui all’art. 4 del d.lgs. 261/1999, come modificato dal d.lgs. 58/2011. In sostanza, un provvedimento avente natura di atto amministrativo, e non giudiziario o riguardante violazioni del CdS, poteva legittimamente essere notificato tramite posta privata.

Notifica tramite Poste Italiane: lo sviluppo normativo

Gli Ermellini richiamano i passaggi più importanti in materia, partendo dal d.lgs. n. 261/1999, di recepimento della Direttiva 97/67/CE, il quale, nel quadro della liberalizzazione del mercato dei servizi postali, ha mantenuto un servizio postale universale, includendo tra i servizi ad esso riservati gli invii raccomandati attinenti alle procedure amministrative e giudiziarie.

Il successivo d.lgs. n. 58/2011, intervenuto per recepire la Direttiva 2008/6/CE, ha stabilito che al fornitore del servizio universale sono affidati in via esclusiva i servizi inerenti le notificazioni e comunicazioni di atti giudiziari, ai sensi della L. n. 890/1982, nonché i servizi inerenti le notificazioni delle violazioni al Codice della Strada ai sensi dell’art. 201 d.lgs. n. 285/1992.

Da ultimo, l’art. 1, comma 57 lett. b), L. n. 124/2017, ha invece espressamente abrogato l’art. 4 del d.lgs. n. 261/99, con decorrenza dal 10/9/2017, facendo venir meno definitivamente l’attribuzione in esclusiva alla società Poste Italiane s.p.a. dei servizi di notificazione e aprendo il mercato anche agli operatori privati.

Atto amministrativo: legittima la notifica ante 2017 con poste private

Nel periodo che interessa il caso in esame, dunque, era riservata a Poste Italiane la sola notificazione a mezzo posta degli atti giudiziari e delle violazioni al Codice della strada. Invece il provvedimento di ordinanza-ingiunzione emanato dall’autorità amministrativa competente, secondo le previsioni della L. n. 689/1981, è ritenuto dagli Ermellini avere natura di atto amministrativo.

Non trattandosi di atto giudiziario né di atto concernente le violazioni al CdS, concludono le Sezioni Unite, risultava pertanto legittima la relativa notificazione effettuata tramite un servizio di posta privata.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Primo Presidente f.f. –

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di Sez. –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21933-2016 proposto da:

ASSESSORATO INFRASTRUTTURE E MOBILITA’ DELLA REGIONE SICILIA, in persona dell’Assessore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 214/2016 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il 27/06/2016.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/07/2018 dal Consigliere LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato Pietro Garofoli per l’Avvocatura Generale dello Stato.

Svolgimento del processo
Con sentenza del 27/6/2016 il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha respinto il gravame interposto dall’Assessorato alle infrastrutture e mobilità della Regione Sicilia in relazione alla pronunzia Trap Palermo 15/6/2015, di accoglimento dell’impugnazione proposta dal Condominio (OMISSIS) del “processo verbale di contestazione del 28 maggio 2014 n. 94390… con il quale gli era stata contestata la violazione dell’art. 17 del t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, per aver utilizzato a fini irrigui le acque di un fondo di proprietà di terzi, e gli era stata contestualmente ordinata la cessazione della condotta illecita, con obbligo di pagamento della relativa sanzione amministrativa e dei canoni non corrisposti”.

Accoglimento fondato sulla ravvisata inesistenza della notifica del suindicato p.v., “in quanto effettuata a mezzo di servizio di posta privata”.

Avverso la suindicata pronunzia del Tsap l’Assessorato alle infrastrutture e mobilità della Regione Sicilia propone ora ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo, illustrato da memoria.

L’intimato non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione
Con unico motivo il ricorrente denunzia violazione del D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 4, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole essersi dal Tsap erroneamente affermato che “la notifica del provvedimento amministrativo dovesse necessariamente essere eseguita per il tramite del servizio universale… in ragione della ritenuta prevalenza della disposizione di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 18, comma 6, come modificata dalla L. 3 agosto 1999, n. 265, entrata in vigore successivamente al D.Lgs. n. 261 del 1999”, laddove quest’ultimo è stato “invero modificato in parte qua da legge ancora successiva – il D.Lgs. n. 58 del 2011”.

Lamenta che il provvedimento amministrativo de quo è stato “notificato in data 5 giugno 2014”, allorquando la regula iuris ratione temporis applicabile era quella di cui “al D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 4, come modificato dal D.Lgs. n. 58 del 2011”, a tale stregua invero “successiva e non precedente alla disposizione di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 18, comma 6, come modificata dalla L. 3 agosto 1999, n. 265”.

Si duole non essersi considerato come, pur essendo vero “che la previsione di cui al D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 4 richiama la notificazione a mezzo posta ex L. n. 890 del 1982”, tale rinvio sia comunque limitato esclusivamente “agli atti giudiziari e non anche ad altri atti che siano notificati a mezzo posta”.

Il motivo è fondato e va accolto nei termini di seguito indicati.

La vicenda attiene a notificazione, effettuata il 5/6/2014, di processo verbale del 28 maggio 2014 emesso dall’odierno ricorrente Assessorato alle infrastrutture e mobilità della Regione Siciliana, con il quale è stata all’odierno intimato Condominio contestata la violazione dell’art. 17 T.U. n. 1775 del 1933 per avere utilizzato a fini irrigui acqua di fondo di proprietà di terzi, con contestuale ordine di cessazione della condotta illecita e di pagamento dell’irrogata relativa sanzione amministrativa, oltre ai canoni di utenza non corrisposti per il periodo dal 1976 al 2014.

Nell’impugnata sentenza si è dato atto che “nella versione attuale, applicabile nella fattispecie ratione temporis, sono affidati in via esclusiva al fornitore del servizio universale (cioè, nella specie, alla s.p.a. Poste italiane) i servizi di notificazione in materia di atti giudiziari di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890, e successive modifiche, e i servizi relativi alle notifiche a mezzo posta in materia di sanzioni amministrative connesse alle violazioni del codice della strada (D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 201)”.

Si è quindi escluso che la notificazione del p.v. di contestazione della violazione e irrogazione della sanzione ex art. 17 T.U. n. 1775 del 1933 in argomento, “ancorchè non rientrante tra quelle previste per le violazioni del codice della strada”, possa essere effettuata da gestore privato del servizio di posta, trovando comunque “applicazione la disposizione speciale di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 18, comma 6, in base alla quale la notifica dell’ordinanza-ingiunzione può essere eseguita dall’ufficio con le modalità di cui alla L. n. 890 del 1992, cioè col sistema delle notifiche a mezzo posta”, giacchè tale disposizione “è stata inserita nel corpo dell’art. 18 cit. dalla L. 3 agosto 1999, n. 265, art. 10, comma 6, entrata in vigore successivamente al D.Lgs. n. 261 del 1999 nella sua versione originaria e, come tale, doveva senza dubbio essere applicata in relazione alla notifica dell’ordinanza-ingiunzione per cui è causa”.

Orbene, siffatto assunto è erroneo.

Il D.Lgs. n. 261 del 1999, di recepimento della Direttiva 97/67/CE (emanata con il preciso scopo di dettare “regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio”), ha, nel quadro della liberalizzazione del mercato dei servizi postali, mantenuto un servizio postale universale, includendo tra i servizi ad esso riservati “gli invii raccomandati attinenti alle procedure amministrative e giudiziarie”.

Il servizio postale universale è espletato, all’esito della trasformazione in società per azioni dell’Ente Poste, dalla società Poste Italiane s.p.a. (v. Cass., Sez. Un., 29/5/2017, n. 13452, ove si pone in rilievo come, nonostante la trasformazione, permanga tuttora in capo all’agente postale l’esercizio di poteri certificativi propriamente inerenti a un pubblico servizio, a ragione della connotazione pubblicistica della disciplina normativa che continua a disciplinarlo e del perseguimento di connesse finalità pubbliche).

Alla L. n. 689 del 1981, art. 18 è stato dalla L. n. 265 del 1999, art. 10 inserito il comma 6, ove si stabilisce che “La notificazione dell’ordinanza ingiunzione può essere eseguita dall’ufficio che adotta l’atto, secondo le modalità di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890”.

Alla suindicata Direttiva del 1997 è seguita la Direttiva 2008/6/CE, recepita con D.Lgs. n. 58 del 2011, che ha modificato il D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 4 stabilendo che “Per esigenze di ordine pubblico, sono affidati in via esclusiva al fornitore del servizio universale: a) i servizi inerenti le notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890, e successive modificazioni; b) i servizi inerenti le notificazioni a mezzo posta di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 201” (cfr. Cass., 19/12/2014, n. 27021).

La L. n. 124 del 2017, art. 1, comma 57 lett. b), ha quindi espressamente abrogato il D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 4, con soppressione pertanto dell’attribuzione in esclusiva alla società Poste Italiane s.p.a., quale fornitore del servizio postale universale, dei servizi inerenti le notificazioni e comunicazioni di atti giudiziari ai sensi della L. n. 890 del 1982, nonchè dei servizi inerenti le notificazioni delle violazioni al codice della strada ai sensi del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 201 (v. Cass., 11/10/2017, n. 23887, e, conformemente, da ultimo, Cass., 7/9/2018, n. 21884).

Detta abrogazione opera, peraltro, come dalla suindicata norma espressamente indicato, con decorrenza dal 10/9/2017, sicchè non assume nella specie rilievo, essendo stato -come detto- l’impugnato atto de quo notificato in data 5 giugno 2014.

A tale stregua, con riferimento alla disciplina ratione temporis nella specie applicabile va osservato che la riserva della notifica a mezzo posta all’Ente Poste (poi società Poste Italiane s.p.a.), pur se posteriore (L. n. 265 del 1999, art. 10, comma 6, che ha modificato la L. n. 689 del 1981, art. 18) al D.Lgs. n. 261 del 1999 di liberalizzazione (nel più ampio quadro della liberalizzazione del mercato dei servizi postali) delle notificazioni, è stata successivamente limitata alla notificazione a mezzo posta degli atti giudiziari e alla notificazione a mezzo posta delle violazioni al Codice della strada per effetto del disposto di cui al D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 4, come modificato dal D.Lgs. n. 58 del 2011, vigente alla data di notifica del verbale di contestazione di cui trattasi.

Atteso che, diversamente da quanto affermato dal TSAP nell’impugnata sentenza, il riferimento alle “modalità di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890” va invero inteso quale mera previsione di un ulteriore strumento di notificazione di cui i soggetti al riguardo abilitati (e pertanto anche quello gestore del servizio privato) possono avvalersi, decisivo rilievo assume la circostanza che il provvedimento di ordinanza-ingiunzione emanato dall’autorità amministrativa competente secondo le previsioni della L. n. 689 del 1981 ha natura di atto amministrativo (cfr. Cass., 20/9/2006, n. 20401; Cass., 1/6/1993, n. 6088), e non già giudiziario, e non concerne violazioni al Codice della strada, risultando pertanto legittima la relativa notificazione a mezzo servizio di posta privata.

Dell’impugnata sentenza s’impone pertanto la cassazione in relazione alla censura accolta.

Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa in relazione alla censura accolta l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, al TSAP, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2019


Cass. civ. Sez. VI – Lavoro, Ord., (ud. 06-12-2018) 20-03-2019, n. 7892

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24901-2017 proposto da:

RISCOSSIONE SICILIA SPA, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 113, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO ODDO, rappresentata e difesa dall’avvocato LICIA TAVORMINA;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in persona del legale rappresentante in proprio e quale procuratore speciale della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI I.N.P.S. (S.C.C.I.) S.p.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, GIUSEPPE MATANO, ESTER ADA VITA SCIPLINO;

– controricorrente –

Contro

M.M., ASSESSORATO REGIONALE DEL LAVORO- ISPETTORATO PROVINCIALE DEL LAVORO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 506/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 20/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 06/12/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA.

Svolgimento del processo
Che: con sentenza in data 8 -20 giugno 2017 numero 506 la Corte d’Appello di Palermo confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede e, per l’effetto, accoglieva parzialmente l’opposizione proposta da M.M. nei confronti dell’INPS, della SOCIETA’ PER LA CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI INPS (in prosieguo: SCCI) spa DELL’ASSESSORATO REGIONALE DEL LAVORO- ISPETTORATO PROVINCIALE e di RISCOSSIONE SICILIA S.p.A. avverso il fermo amministrativo iscritto dall’agente della riscossione per il mancato pagamento di 29 cartelle esattoriali;

che a fondamento della decisione la Corte territoriale premetteva che l’oggetto del contendere era limitato ad un numero di sette cartelle esattoriali relative a contributi INPS ed a sanzioni amministrative e che il Tribunale aveva accolto l’opposizione per sei di esse. RISCOSSIONE SICILIA S.p.A. aveva proposto appello limitatamente a cinque cartelle, con esclusione della cartella (OMISSIS), rispetto alla quale era intervenuto il giudicato interno.

Quanto alle cartelle oggetto di appello, doveva essere respinto il motivo di impugnazione con il quale si deduceva la tardività del ricorso introduttivo per mancato rispetto del termine di quaranta giorni. Assorbente era la circostanza che RISCOSSIONE SICILIA S.p.A. non aveva dimostrato l’epoca in cui il M. aveva avuto conoscenza dell’esistenza a suo carico di un fermo amministrativo.

Erano del pari infondati gli ulteriori motivi di impugnazione.

Per tre delle cartelle (numeri (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)) era decisiva la prescrizione del credito per effetto del decorso del termine quinquennale successivamente alla notifica, quand’anche regolarmente perfezionatasi (in data 9 marzo 2006 le prime due, in data 4 febbraio 2005 la terza).

In ogni caso, le cartelle erano state consegnate al portiere senza procedere all’invio della raccomandata informativa ex art. 139 c.p.c., comma 4 (o, comunque, in assenza della prova di tale adempimento).

Residuava l’esame di due cartelle (numeri (OMISSIS) e (OMISSIS), notificate rispettivamente il 18 aprile 2007 ed il 2 luglio 2009).

In ordine alla prima, era accertato documentalmente che l’agente notificatore aveva consegnato l’atto al portiere dello stabile di abitazione del M. senza darne notizia al destinatario mediante lettera raccomandata, come prescritto dall’art. 139 c.p.c., comma 4. Con riferimento alla seconda, RISCOSSIONE SICILIA S.p.A. aveva prodotto per documentare il perfezionamento della notifica una copia della distinta di accettazione di raccomandata in data 23 luglio 2009 formata dal Consorzio Olimpo.

Il giudice di prime cure aveva ritenuto, con argomentazione condivisibile e neppure oggetto di censura, che non era provato l’invio della raccomandata al M., difettando persino l’indicazione dell’indirizzo del destinatario;

che avverso la sentenza ha proposto ricorso RISCOSSIONE SICILIA S.p.A, articolato in tre motivi, cui ha opposto difese con controricorso l’INPS, anche in nome e per conto di SCCI SpA; M.M. e l’ASSESSORATO REGIONALE sono rimasti intimati;

che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti -unitamente al decreto di fissazione dell’udienza- ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

che la parte ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione
Che: la parte ricorrente ha dedotto:

– con il primo motivo: ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – nullità del procedimento; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Ha censurato la sentenza d’appello per avere respinto l’eccezione di inammissibilità della opposizione. Ha dedotto che la Corte territoriale aveva omesso di esaminare la circostanza che il ricorso era stato proposto avverso il “preavviso di fermo”, atto anteriore alla iscrizione del fermo. Il fermo amministrativo era stato iscritto in data 19-26 settembre 2011: pertanto il ricorso (depositato il 2 gennaio 2012), era sicuramente tardivo, anche rispetto alla successiva data di iscrizione del fermo;

– con il secondo motivo- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 139 c.p.c., comma 4. Con il motivo, proposto in via gradata, si censura la sentenza impugnata per avere ritenuto nulla la notifica delle cartelle esattoriali per la mancata spedizione della raccomandata informativa prescritta dalla norma;

– con il terzo motivo- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3- violazione e falsa applicazione dell’art. 2946 c.c., per avere la corte territoriale ritenuto estinto per prescrizione il credito riportato nelle tre cartelle esattoriali notificate in data 9 marzo 2006 e 4 febbraio 2005 per decorso del termine quinquennale laddove in caso di mancata opposizione avverso la cartella di pagamento trovava applicazione il termine decennale di cui all’art. 2946 c.c.;

che ritiene il collegio si debba rigettare il ricorso;

che, invero:

– con il primo motivo si assume la tardività della opposizione avverso le cartelle esattoriali per decorso del termine di quaranta giorni di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24.

Per censurare l’accertamento di tempestività della opposizione compiuto nella sentenza impugnata la parte ricorrente avrebbe dovuto allegare specificamente- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – un fatto storico risultante dagli atti di causa (ed avente rilievo decisivo) non esaminato nella sentenza impugnata.

Il motivo, come precisato nella memoria, evoca un ragionamento presuntivo, nei seguenti termini:

– il contribuente aveva sicuramente ricevuto il preavviso di fermo anteriormente alla data di iscrizione del fermo (il 19-26 settembre 2011);

– tale fatto era dimostrato dal deposito del ricorso introduttivo del giudizio “in opposizione al preavviso di fermo”;

– il termine di 40 giorni, dunque, cominciava a decorrere in epoca anteriore alla iscrizione del fermo.

La censura così proposta sollecita questa Corte ad un inammissibile riesame del merito.

Il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, concerne infatti l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali; nella fattispecie di causa la parte ricorrente non espone da quali atti di causa emergeva che il preavviso di fermo era stato comunicato al M. in data anteriore alla iscrizione del fermo. Il mero fatto del deposito del ricorso introduttivo avverso il preavviso di fermo prova, infatti, la comunicazione del preavviso impugnato soltanto alla stessa data del ricorso e non rispetto ad un momento anteriore.

Le censure proposte sotto il profilo della violazione di legge e della nullità del procedimento non sono invece pertinenti al contenuto della impugnazione, che non pone in questione la interpretazione ed applicazione da parte del giudice dell’appello di norme di diritto, sostanziali o processuali;

– quanto al secondo motivo, correttamente la sentenza ha ritenuto la nullità della notifica delle cartelle esattoriali sulla base del preliminare accertamento in fatto che le stesse erano state consegnate al portiere, ai sensi dell’art. 139 c.p.c., comma 3, e che non era seguita la spedizione della raccomandata informativa di cui al successivo comma 4 (o comunque non era stata raggiunta la prova di tale spedizione).

La statuizione è conforme al principio espresso dalle sezioni Unite di questa Corte nell’arresto del 31 luglio 2017 n. 18992, essendosi ivi ritenuto che “nella notificazione eseguita ex art. 139 c.p.c., comma 3, l’omessa spedizione della raccomandata prescritta dal comma 4 della disposizione cit., costituisce un vizio dell’attività dell’ufficiale giudiziario che determina, fatti salvi gli effetti della consegna dell’atto dal notificante all’ufficiale giudiziario medesimo, la nullità della notificazione nei riguardi del destinatario”. Nel citato arresto si è valorizzata la funzione dell’avviso nella struttura complessiva di una notificazione che si perfeziona a persona non legata da quei particolari vincoli evidenziati nell’art. 139 c.p.c cit., comma 2, sicchè l’atto entra a far parte della sfera di effettiva conoscibilità del destinatario ma in una sua porzione connotata da un grado minore di possibilità di prendere immediata conoscenza dell’atto rispetto alle altre fattispecie indicate dal comma 2, per le quali è assai stretta la natura del vincolo che lega il consegnatario dell’atto al destinatario. Un tale minor grado di conoscibilità- se non degrada la consegna al punto di rendere necessario lo spostamento ulteriore del momento di perfezionamento della notifica (come accade per l’ipotesi contemplata dall’art. 140 c.p.c.)- esige però almeno di essere colmato con quel quid pluris costituito dalla spedizione dell’ulteriore avviso, sia pure ex post e non incidente sul tempo in cui l’attività notificatoria si è svolta e compiuta. A tale principio deve assicurarsi in questa sede continuità;

– il terzo motivo, con cui si assume la durata decennale del termine di prescrizione a seguito della mancata proposizione della opposizione avverso le cartelle esattoriali notificate, è inammissibile, tanto alla luce della definitività della statuizione di nullità della notifica delle cartelle esattoriali che a tenore dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, essendo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, all’esito dell’arresto delle Sezioni Unite del 17 novembre 2016 n. 23397, il principio, applicato dalla sentenza impugnata, secondo cui la prescrizione dei contributi previdenziali, nel caso di mancata o tardiva opposizione a cartella esattoriale, rimane quinquennale e non si converte in decennale ai sensi dell’art. 2953 c.c. che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, il ricorso deve essere respinto con ordinanza in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. che le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza nei confronti dell’INPS, che ha concluso per la inammissibilità o il rigetto del ricorso;

che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 2.500 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 6 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2019


Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., (ud. 18-12-2018) 19-03-2019, n. 7641

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEONE Maria Margherita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26944-2017 proposto da:

R.A., domiciliato ope legis presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato DOMENICO CAROZZA, LUCA CITARELLA;

– ricorrente –

contro

UNILEVER ITALIA MANUFACTURING S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE ROBERTO ARDIGO’ 42, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO BRAGAGLIA, rappresentata e difesa dagli avvocati EMANUELE ANTONIO NATALE, GIULIO GOMEZ D’AYALA;

– controricorrente – avverso la sentenza n. 1350/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 28/06/2017 R.G.N. 4557/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica Udienza del 18/12/2018 del Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO CARMELO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato DOMENICO CAROZZA;

udito l’Avvocato EMANUELE ANTONIO NATALE.

Svolgimento del processo
1. Con sentenza n. 1350/2017, pubblicata il 28 giugno 2017, la Corte di appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado, con la quale il Tribunale della stessa sede, in accoglimento del ricorso proposto da Unilever Italia Manufacturing S.r.l., aveva dichiarato la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato ad R.A., con lettera del 3/3/2010, per avere svolto, in periodo di assenza per infortunio, attività lavorativa consistita nella guida di automezzi e in operazioni di carico/scarico di cerchi in lega per autovetture, tale da compromettere o ritardare la guarigione.

2. La Corte ha rilevato a sostegno della propria decisione che i fatti contestati, giunti a conoscenza della società attraverso un’indagine investigativa, avevano trovato conferma nelle dichiarazioni degli investigatori e che la consulenza d’ufficio disposta in primo grado aveva consentito di accertare la potenzialità dannosa del comportamento addebitato, il quale, pertanto, integrando un inadempimento degli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà e la violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede, era da ritenersi di gravità tale da giustificare il recesso datoriale, anche in difetto di previsione del contratto collettivo o del codice disciplinare.

3. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il lavoratore con tre motivi, illustrati da memoria, cui ha resistito la società con controricorso.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, deducendo ex art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., art. 2697 c.c. e L. n. 604 del 1966, art. 5 nonchè dell’art. 24 Cost., il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto accertati i fatti descritti nella relazione investigativa prodotta in giudizio dalla società, sebbene tali fatti fossero stati puramente confermati “in blocco” dai testimoni escussi e la relazione, in quanto documento di parte, non avesse ex se efficacia probatoria.

2. Con il secondo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 2119, 2106, 1175, 1375 e 1455 c.c., nonchè dell’art. 70 c.c.n.l. Industria Alimentare, il ricorrente censura la sentenza per avere ritenuto che anche una condotta potenzialmente idonea a compromettere o ritardare la guarigione, quale delineata dal consulente d’ufficio in esito alle proprie indagini, potesse integrare la giusta causa di recesso, di conseguenza trascurando, su tale premessa, di ricercare e di accertare i fatti che potessero dimostrare la sussistenza, in concreto (e non solo in astratto), di tale nesso di causalità.

3. Con il terzo motivo, deducendo il vizio di cui all’art. 360, n. 5, il ricorrente si duole del fatto che la Corte non abbia preso in esame le deduzioni e i rilievi critici formulati con il ricorso in appello e che, con il supporto della relazione medico-legale allegata, avrebbero consentito di smentire la validità delle conclusioni raggiunte dal consulente d’ufficio.

4. Il primo motivo è inammissibile.

5. Come più volte precisato da questa Corte (cfr. da ultimo Cass. n. 13395/2018), “la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove” – come con il motivo ora in esame “oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 c.p.c., n. 5)”.

6. E’ altresì consolidato il principio, secondo il quale “la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento all’apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma solo sotto due profili: qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale” (Cass. n. 4699/2018).

7. Il secondo motivo è infondato.

8. La Corte di appello ha invero correttamente richiamato l’orientamento, per il quale “lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, configura la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonchè dei doveri generali di correttezza e buona fede, oltre che nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia, di per sè, sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio” (Cass. n. 26496/2018; conforme, fra le più recenti, Cass. n. 10416/2017).

9. La Corte ha peraltro positivamente accertato come la condotta imputata al lavoratore fosse stata tale, anche in concreto, da ritardare la guarigione, avendo osservato che egli “guidando autovetture e sollevando cerchi in lega nei giorni (OMISSIS)” aveva “disatteso la prescrizione medica” in data (OMISSIS) (e cioè “ulteriori 17 giorni di cure e riposo”) e che “ai successivi controlli medici non veniva riscontrata la guarigione, tanto che la riammissione in servizio poteva avvenire soltanto” il successivo 28 gennaio 2010 (cfr. sentenza impugnata, p. 4).

10. Il terzo motivo è inammissibile, in forza della preclusione (c.d. “doppia conforme”) di cui all’art. 348 ter c.p.c., u.c., a fronte di giudizio di appello introdotto con ricorso depositato il 14 dicembre 2015 e, pertanto, in epoca successiva all’entrata in vigore della novella (11 settembre 2012).

11. Nè il ricorrente, al fine di evitare l’inammissibilità del motivo, ha indicato le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528/2014 e successive conformi).

12. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

13. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2019


Giornata di Studio Iglesias (CI) – 28.06.2019

Locandina Giornata di Studio aggiornamento Iglesias 2019LA NOTIFICA ON LINE e del documento informatico

Venerdì 28 giugno 2019

Comune di Iglesias

Sala Riunioni del Centro Direzionale Amministrativo

Via Isonzo 7

Orario: 9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00
con il Patrocinio del Comune di Iglesias (CI)
Quote di Iscrizione alla giornata di studio:

€ 152.00(*) (**) se il partecipante alla giornata di studio è già è socio A.N.N.A. (persona fisica già iscritta all’Associazione alla data del 31.12.2018 con rinnovo anno 2019 già pagato al 31.12.2018. Tale requisito attiene esclusivamente alle persone fisiche. L’iscrizione ad ANNA del solo ente di appartenenza non soddisfa tale condizione per i propri dipendenti.

€ 222.00(*) (**) (***) se il partecipante NON E’ ancora socio A.N.N.A ma intende iscriversi all’Associazione per l’anno 2019 pagando la quota insieme a quella della giornata di studio. Tra i servizi che l’Associazione offre ai propri Iscritti vi è anche l’accesso all’area riservata del sito www.annamessi.it ed un’assicurazione per colpa grave.

€ 272,00 più I.V.A se dovuta (*) (**), per chi vuole frequentare solo la giornata di studio (NON E’ iscritto ad A.N.N.A. e NON vuole iscriversi all’Associazione).

Le quote d’iscrizione dovranno essere pagate, al netto delle spese bancarie, comprensive dell’imposta di bollo di € 2,00, tramite:

Versamento in Banca sul Conto Corrente Bancario:

  • Codice IBAN: Codice IBAN: IT06 T030 6234 2100 0000 1790 603 (Banca Mediolanum)
  • Versamento sul Conto Corrente n. 1790 603 (Banca Mediolanum)
  • Versamento per contanti presso la Segreteria della giornata di studio
Intestazione : Associazione Nazionale Notifiche Atti

Causale: G.d.S. Iglesias 2019 o numero fattura elettronica

(*) Se la fattura è intestata ad un Ente Pubblico, la quota è esente da IVA ai sensi ai sensi dell’Art. 10 DPR n. 633/1972 così come dispone l’art. 14, comma 10 legge 537 del 24/12/1993, ed è comprensiva di € 2,00 (Marca da Bollo)

(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento.

(***) Se la giornata di studio si effettua negli ultimi 3 mesi dell’anno la eventuale quota di iscrizione all’Associazione A.N.N.A. deve intendersi versata per l’annualità  successiva.


Partecipazione di 2 o più dipendenti dello stesso Ente:

  • € 210,00 (**) (***) per il primo partecipante
  • € 180,00 (**) (***) per il secondo partecipante
  • € 100,00 (**) (***) per il terzo e oltre partecipante

Tali quote comprendono l’iscrizione all’Associazione per l’anno 2019 a cui si deve aggiungere € 2,00 (Marca da Bollo) sull’unica fattura emessa. Tale promozione non è assimilabile e/o integrabile alle Quote di Iscrizione sopra descritte (Quote di Iscrizione alla giornata di studio) e per un massimo di numero 10 dipendenti. Dall’11° dipendente si riprende con la quota di € 210,00 ecc. 


La quota di iscrizione comprende: accesso in sala, colazione di lavoro e materiale didattico.

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione alla giornata di studio potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo pagina cui dovrà  seguire il versamento della quota di iscrizione alla giornata di studio. I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

I corsi / seminari / convegni / giornate di studio non sono configurabili come appalti di servizi.

Pertanto per il loro acquisto non è necessario transitare dalle Centrali di Committenza (nazionale o regionale), non è prevista la richiesta del CIG. Si veda anche paragrafo 3.9 della Determinazione dell’AVCP n. 4 del 7 luglio 2011.

La formazione in materia di appalti e contratti pubblici, se prevista dal Piano triennale per la prevenzione della corruzione del singolo Ente, non è soggetta al tetto di spesa definito dall’art. 6, comma 13, del D.L. n. 78/2010. Si tratta infatti di formazione obbligatoria prevista dalla Legge n. 190/2012 (cfr. Corte dei conti: sez. reg.le di controllo Emilia Romagna n. 276/2013; sez. reg.le di controllo Liguria n. 75/2013; sez. reg.le di controllo Lombardia n. 116/2011)

Docente:

Asirelli Corrado 4Asirelli Corrado

Coord. Servizio Notifiche del Comune di Cesena FC

Membro della Giunta Esecutiva di A.N.N.A.

Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti ne dimoranti ne domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale”

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • Art. 149 bis c.p.c.
  • Le nuove disposizioni del C.A.D.
  • La PEC come strumento esclusivo di comunicazione e notifica della P.A. 

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  • L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  • L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy

Il diritto all’oblio

Risposte a quesiti

Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Nota bene: Qualora l’annullamento dell’iscrizione venga comunicato meno di cinque giorni prima dell’iniziativa, l’organizzazione si riserva la facoltà di fatturare la relativa quota, anche nel caso di non partecipazione alla giornata di studio.

Vedi: Attività formativa anno 2019

Scarica: Depliant Giornata di Studio aggiornamento Iglesias 2019

Vedi: Fotografie della Giornata di Studio

Vedi: Video della Giornata di Studio

Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE GdS Iglesias CI 2019

Sul modulo dovranno obbligatoriamente essere indicati tutti i codici (CUU, CIG ecc.) che dovranno comparire nella fattura elettronica allegando la Determina Dirigenziale di autorizzazione

Scarica: Autocertificazioni Fiscali 2019

  1. Comunicazione Associazione senza finalità di lucro
  2. Comunicazione di attivazione di conto corrente dedicato ai sensi dell’art. 3, comma 7, della legge n. 136/2010
  3. Dichiarazione relativa all’esonero dall’obbligo di redazione del “DURC” con riferimento alla iscrizione a corsi di formazione/aggiornamento. (Dichiarazione redatta ai sensi degli art. n. 46 e 47 del DPR n. 445/2000).
  4. Comunicazione di attivazione di conto corrente dedicato ai sensi dell’art. 3, comma 7, della legge n. 136/2010
  5. Dichiarazione sostitutiva del certificato generale del casellario giudiziale e dei carichi pendenti (D.P.R. 28/12/2000 N° 445)
  6. Dichiarazione relativa alla fase di liquidazione delle fatture di competenza. (Dichiarazione redatta ai sensi degli art. n. 46 e 47 del DPR n. 445/2000).
  7. Dichiarazione insussistenza motivi di esclusione a contrattare con la Pubblica Amministrazione.
  8. Dichiarazione ai sensi dell’art. 53 comma 16-ter del D.Lgs. 165/2001 e s.m.
  9. Dichiarazione Affidamento fornitura di beni/servizi
  10. Documento di identità del Legale Rappresentante protempore