REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22186/2015 proposto da:
P.P., K.E.D., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE ANGELICO 36-B, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO SCARDIGLI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato P.P., anche quale difensore di se medesimo, giusta procura notarile in atti;
– ricorrenti –
contro
COMUNE DI FIRENZE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POLIBIO 15, presso lo studio dell’avvocato LEPORE STUDIO LEGALE, rappresentato e difeso dagli avvocati ANDREA SANSONI, DEBORA PACINI in virtù di procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 415/2015 del TRIBUNALE di FIRENZE, depositata il 10/02/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 26/04/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le memorie depositate da parte ricorrente.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. K.E.D. proponeva opposizione dinanzi al Giudice di Pace di Firenze avverso il verbale di contestazione di una contravvenzione al codice della strada del (OMISSIS) elevato dalla Polizia Municipale di Firenze, notificatogli tramite lettera raccomandata del 29/7/2008 dalla European Municipality Outsourcing, divisione della Nivi Credit S.r.l., lamentando la nullità della notifica del verbale per inesistenza della stessa notifica, la invalidità della comunicazione in quanto il verbale era redatto solo in lingua tedesca, la decorrenza dei termini di legge ai fini della decadenza della potestà impositiva, nonchè, nel merito, la mancata prova della commissione della violazione contestata e l’erroneità dell’importo richiesto a titolo di sanzione.
Il Giudice adito con la sentenza n. 8144/2012 del 10/12/2012 dichiarava il ricorso inammissibile in quanto tardivamente proposto.
Avverso tale sentenza proponeva appello il contravventore con atto di citazione notificato in data 10 giugno 2013 il Tribunale di Firenze con la sentenza n. 415 del 10/2/205 rigettava l’appello, condannando il difensore dell’appellante in proprio al rimborso delle spese del grado.
Osservava il giudice del gravame che il Comune già in primo grado aveva eccepito l’inesistenza della procura alle liti rilasciata dall’ E.D., eccezione che si rivelava fondata.
Infatti, la procura era stata rilasciata su foglio disgiunto dal ricorso originario, privo di elementi di congiunzione e nemmeno allegato in originale, e con un’indicazione del tutto generica che non soddisfaceva il requisito di specificità.
Inoltre in occasione della notifica del ricorso la procura non era stata notificata insieme all’atto di opposizione.
Mancava poi ogni certezza di autografia, in quanto sulla procura prodotta in fotocopia, sul retro, e non nello stesso foglio in cui è contenuto il mandato in senso sostanziale, compare, sempre in fotocopia, una sottoscrizione di un notaio con il sigillo, ma il testo è redatto in lingua tedesca, in contrasto con quanto prescritto all’art. 122 c.p.c., che impone l’utilizzo della lingua italiana nel processo.
Risultava, altresì, che mentre nella parte relativa al mandato alla lite redatta in italiano, era riportata la data del 28/5/2010, la diversa parte contenente una ulteriore parte redatta in tedesco e con firma e timbro notarile, reca la diversa data del 28/1/2011, il che induceva a dubitare circa il fatto che il notaio fosse effettivamente presente al momento della sottoscrizione della procura.
La discrasia tra le date lasciava quindi intendere che la procura non fosse stata autenticata in data certa.
Ne discendeva quindi che la procura andava dichiarata inesistente, con la conseguente condanna dello stesso difensore, quale falsus procurator al rimborso delle spese di appello.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione K.E.D. e l’avv. P.P. in proprio sulla base di otto motivi.
Il Comune di Firenze ha resistito con controricorso.
2. Preliminarmente deve essere disattesa la deduzione difensiva dei ricorrenti secondo cui la sentenza gravata sarebbe affetta da nullità in quanto pronunciata ex art. 281 c.p.c., mediante lettura alle parti non presenti.
Si deduce che erroneamente si è fatto riferimento all’art. 281 c.p.c., potendo al più intendersi il richiamo all’art. 281 sexies c.p.c..
Ma anche a voler superare tale profilo, il procedimento, attesa la sua introduzione in primo grado nella vigenza del D.Lgs. n. 150 del 2011, era sottoposto alle norme del processo del lavoro, sicchè la decisione andava adottata a norma dell’art. 429 c.p.c.. Peraltro stante la complessità della vicenda, il giudice avrebbe dovuto riservarsi il termine di sessanta giorni per il successivo deposito della sentenza.
Altro profilo di invalidità consiste nel fatto che la sentenza sia stata resa in assenza delle parti.
Le deduzioni da ritenersi costituire un autonomo motivo di ricorso, in quanto finalizzate a confutare la validità della decisione gravata per errores in procedendo, sono infondate.
In primo luogo si rileva che il giudizio di appello era stato erroneamente introdotto da parte dello stesso appellante con citazione, anzichè con ricorso, come invece imposto dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 7, nè risulta che sia stato successivamente disposto il mutamento del rito, avendo pertanto correttamente il Tribunale fatto riferimento alla previsione di cui all’art. 281 sexies, come riportato all’ultimo rigo del verbale dell’udienza del 10 febbraio 2015, e come riportato anche nell’intestazione della sentenza impugnata (e ciò anche a voler prescindere dall’affermazione di compatibilità tra la previsione di cui all’art. 281 sexies c.p.c., con le norme del rito del lavoro, cfr. Cass. n. 20820/2014; Cass. n. 13708/2007).
A ciò deve aggiungersi che dal punto di vista procedurale non sussistono significative differenze tra la modalità di decisione della causa ex art. 281 sexies e quanto invece previsto dal novellato art. 429 c.p.c., sicchè anche a voler ravvisare un errore procedurale lo stesso appare del tutto privo di idoneità a determinare pregiudizio al diritto di difesa delle parti.
Insindacabile appare poi la scelta assolutamente discrezionale del giudice di avvalersi della modalità di decisione con pronuncia di sentenza contestuale ex art. 281 sexies c.p.c., non emergendo peraltro che le parti avessero inteso richiedere la concessione dei termini per gli scritti conclusionali, mancando del pari la stessa prospettazione di uno specifico pregiudizio al loro diritto di difesa.
Quanto infine all’avvenuta lettura della sentenza in assenza delle parti, l’allontanamento delle stesse dopo la discussione orale, e nel periodo di tempo intercorso tra la chiusura della discussione e la deliberazione in camera di consiglio, non appare idoneo a precludere la possibilità di pronunciare sentenza ex artt. 281 sexies o 429 c.p.c., in quanto altrimenti opinando l’esercizio del potere decisionale sarebbe rimesso alla arbitraria decisione delle stesse parti di trattenersi o meno in udienza, essendo pertanto escluso che tale condotta possa condizionare il potere del giudice (si veda, sebbene in relazione alla pronunzia di ordinanze, Cass. n. 10539/2007, che proprio in relazione all’ipotesi di ritiro in camera di consiglio, ha escluso che la successiva assenza delle parti in occasione della pronuncia dell’ordinanza imponesse la comunicazione del provvedimento alle parti, ferma restando la piena validità del provvedimento emesso).
3. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 83 c.p.c., commi 2 e 3.
Rileva parte ricorrente che il giudice di appello, erroneamente ritenendo che la procura rilasciata dal ricorrente al difensore fosse generica e precisando che non poteva essere superato il mancato riferimento ad uno specifico procedimento, in quanto la procura non risultava essere stata notificata unitamente al ricorso, ha compiuto un’indebita confusione tra la procura speciale di cui all’art. 83 c.p.c., comma 2 e quella invece contemplata dal terzo comma, pervenendo quindi ad erronee conclusioni in punto di determinatezza del suo contenuto.
In primo luogo, rileva il Collegio che non può in alcun modo condividersi l’assunto di parte ricorrente secondo cui il giudice di appello avrebbe confuso tra la procura speciale rilasciata per scrittura privata autenticata, quale quella in esame, con la procura speciale autenticata dallo stesso difensore atteso che in sentenza chiaramente si richiama la natura notarile della procura de qua, essendosi invece svolte le considerazioni in ordine alla assenza di una notifica della procura contestualmente alla notifica del ricorso, al solo fine di dare atto che la riscontrata carenza di determinatezza della procura, di cui si dirà in prosieguo, non poteva nemmeno ritenersi sanata per effetto della congiunzione materiale con l’atto introduttivo del giudizio in occasione della notificazione.
Il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte in tema di procura di cui dell’art. 83 c.p.c., comma 3, lungi dal denotare il convincimento del giudice di merito di trovarsi dinanzi ad una procura siffatta, rispondeva piuttosto all’esigenza di evidenziare le ragioni per le quali nemmeno era possibile superare il difetto di determinatezza della procura, avvalendosi dei criterio che la giurisprudenza di questa Corte ha utilizzato per ovviare, in relazione alla diversa ipotesi di cui al terzo comma della norma in esame, alla mancanza di specifici riferimenti al procedimento per il quale risulti essere stata rilasciata.
Orbene, e tornando alla valutazione compiuta dal giudice di appello circa la genericità della procura de qua, da farsi rientrare, come correttamente sostenuto dalla stessa parte ricorrente nella previsione di cui dell’art. 83 c.p.c., comma 2, va ricordato che il documento de quo, come precisato in sentenza, e come confermato dallo stesso contenuto del ricorso (pag. 7), presenta un’intestazione sia in italiano che in tedesco avente il seguente tenore “Procura speciale alle liti. Nella causa K.E.D. – Comune di Firenze – Prozessvollmacht. In sachen K.E.D. – Comune di Firenze”.
Il testo della procura, anche qui redatto sia in italiano che in tedesco, prevede la delega all’avv. P.P., ma con un rinvio al procedimento di cui sopra, e cioè semplicemente alla causa tra il ricorrente ed il Comune di Firenze.
La sottoscrizione della procura de qua risulta poi essere oggetto di autentica da parte del notatio G.G., con modalità che invece costituiscono oggetto di altri motivi di ricorso.
In relazione a quello invece in esame, la sentenza impugnata ha ritenuto che la dicitura contenuta nell’intestazione della procura, alla quale, come visto faceva rinvio anche il testo della procura, fosse del tutto generica, in quanto si limitava ad indicare solo il nome del conferente e quello della controparte, senza quindi la possibilità di individuare con precisione a quale specifica controversia si riferisse.
Tale conclusione è oggetto della censura del ricorrente che viceversa ritiene che la riportata indicazione soddisfi il requisito di specificità previsto dalla legge.
Il motivo è infondato.
Va, a tal fine ribadito il principio più volte affermato da questa Corte per il quale (cfr. Cass. n. 4864/2007) l’interpretazione della procura al difensore, al fine di individuare l’ambito del mandato conferitogli dalla parte, costituisce valutazione riservata al giudice di merito, non sindacabile in cassazione ove adeguatamente motivata (conf. Cass. n. 21924/2006, che ribadisce che l’interpretazione datane dal giudice di merito è contestabile solo per eventuali omissioni ed incongruità argomentative, e non anche mediante la mera denunzia dell’ingiustificatezza del risultato interpretativo raggiunto, prospettante invece un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità; Cass. n. 1419/2011).
La censura formulata si limita nella sostanza unicamente a contestare l’esito dell’interpretazione offerta del documento in esame dal Tribunale, ma senza peritarsi di segnalare le regole ermeneutiche violate e come si sia concretato l’errore interpretativo, di tal che la stessa non può avere seguito in questa sede.
Nè la soluzione raggiunta appare connotata da incongruità o illogicità, dovendosi a tal fine avere riguardo agli approdi ai quali già è pervenuta in passato questa Corte che (cfr. Cass. n. 12486/2000) ha ritenuto che la procura notarile rilasciata con l’espressione ad litem (nella specie con l’espressione in lingua tedesca “gegen ananghing”) senza alcun riferimento specifico alla causa e alle generalità della controparte fosse radicalmente nulla, non potendo valere nè come procura generale, in mancanza di una esplicita volontà manifestata in tal senso, nè come procura speciale, per la carenza di riferimenti ad una specifica controversia, non palesandosi illogica l’affermazione secondo cui il solo riferimento alle parti, in assenza di diversi elementi per stabilire l’autorità giudiziaria da adire o il procedimento da promuovere, consentisse di riferire con certezza la procura alla causa poi successivamente introdotta.
4. Il secondo motivo di ricorso denuncia poi la violazione e falsa applicazione dell’art. 182 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
Assume parte ricorrente che ai sensi della norma invocata, e dovendosi nella specie ravvisare un’ipotesi di nullità della procura (in quanto essendo pacifico il rilascio della procura, la sua genericità ne avrebbe determinato la sola nullità e non anche l’inesistenza), il Tribunale, anche alla luce della novella dell’art. 182 c.p.c., frutto della L. n. 69 del 2009, avrebbe dovuto assegnare alla parte un termine entro il quale sanare la nullità.
Tale omissione determina quindi l’invalidità della decisione impugnata.
Anche tale motivo deve essere disatteso.
Ed, infatti, anche a voler accedere alla più recente opinione di questa Corte che (cfr. Cass. n. 22559/2015) anche in relazione al testo dell’art. 182 c.p.c., comma 2 (nella formulazione, applicabile “ratione temporis”, anteriore alla modifica introdotta dalla L. n. 69 del 2009, art. 46 e quindi a maggior ragione nel caso in esame, sottoposto alla disciplina della norma novellata), ritiene che nel caso di vizio della procura alle liti il giudice è tenuto a promuovere la sanatoria del vizio, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa (in senso conforme Cass. S.U. n. 283337/2011; Cass. n. 19169/2014), va richiamato anche quanto precisato da Cass. S.U. n. 4248/2016.
In tale occasione le Sezioni Unite hanno ritenuto che la norma de qua debba essere intesa nel senso che il difetto di rappresentanza processuale ovvero il vizio di invalidità o assenza della procura ad litem possa sì essere sanato in fase di impugnazione, senza che operino le ordinarie preclusioni istruttorie, ma laddove il rilievo del vizio in sede di impugnazione non sia officioso, ma provenga dalla controparte, l’onere di sanatoria del rappresentato sorge immediatamente, non essendovi necessità di assegnare un termine, che non sia motivatamente richiesto, giacchè sul rilievo di parte l’avversario è chiamato a contraddire (conf. Cass. n. 17301/2013, a mente della quale la mancata assegnazione di un termine per la eventuale sanatoria della procura ritenuta invalida non comporta violazione dell’art. 182 c.p.c., se non in caso di diniego a fronte di una esplicita richiesta della parte, che ben può attivarsi per il rilascio di una nuova e valida procura laddove la questione del vizio di quella originaria sia stata oggetto dell’attività defensionale ed istruttoria).
Nel caso in esame, come si rileva dalla lettura della sentenza impugnata, il Comune di Firenze aveva già in primo grado eccepito l’inesistenza-nullità della procura in esame e l’eccezione era stata riproposta anche nel corso dell’udienza di discussione (cfr. pag. 1 della sentenza di appello che riporta la verbalizzazione delle conclusioni e richieste delle parti), sicchè a fronte di tale contestazione non risulta che la parte ricorrente abbia inteso attivarsi per provvedere alla sanatoria del vizio denunciato, nè che abbia chiesto la concessione del termine di cui all’art. 182 c.p.c., con la conseguenza che deve escludersi la fondatezza del motivo in esame.
5. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2702 e 2703 c.c., nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto che non vi fosse certezza circa l’autografia della procura in quanto la stessa risultava prodotta in fotocopia, posto che la sottoscrizione del notaio, con il sigillo, sempre in fotocopia, non risultavano apposti sul medesimo foglio in cui è collocato il mandato.
Si deduce che trattandosi di scrittura privata, ed in mancanza di disconoscimento della sua conformità all’originale, il documento de quo ha valore di piena prova, nemmeno potendo rilevare la circostanza che sì tratti di una fotocopia, in quanto il giudice avrebbe dovuto ordinare al ricorrente l’esibizione dell’originale.
Il quinto motivo denuncia la violazione dell’art. 83 c.p.c., commi 2 e 3, art. 125 c.p.c., comma 2 e art. 2700 c.c., laddove il Tribunale ha ritenuto che fosse dubbia la presenza del notaio all’atto della sottoscrizione del mandato da parte del ricorrente. Infatti, oltre a reiterarsi la necessità di acquisire il documento in originale, la sentenza non si sarebbe avveduta che si trattava di una procura per scrittura privata autenticata da notaio, in relazione alla quale non è necessario che l’autentica della firma debba avvenire nella medesima data della sottoscrizione.
I motivi che possono essere congiuntamente esaminati sono assorbiti per effetto del rigetto del primo e del secondo motivo, altrimenti sono infondati.
6. Il rigetto del primo e del secondo motivo determina poi l’assorbimento del quarto motivo con il quale si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 122 c.p.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che fosse necessario l’utilizzo della lingua italiana anche per la redazione della procura alle liti, e precisamente dell’autenticazione della firma, sostenendosi al contrario che laddove il Tribunale avesse nutrito dei dubbi sul contenuto dell’autentica della sottoscrizione, avrebbe dovuto nominare un interprete per la sua traduzione ex art. 123 c.p.c..
7. Il sesto motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 156 c.p.c., comma 3, nella parte in cui il Tribunale, avendo ritenuto che la procura fosse inesistente, ha escluso che la costituzione della controparte possa avere avuto efficacia sanante del vizio della quale è affetta, trascurando altresì che si tratta di ipotesi di nullità suscettibile di sanatoria.
Il motivo è infondato.
Ed, invero, va in primo luogo osservato che come si ricava dalla lettura della sentenza impugnata, il Comune nel costituirsi in primo grado, ebbe immediatamente a rilevare la invalidità della procura alle liti dell’opponente, mostrando in tal modo di non avere inteso con la sua condotta attribuire efficacia sanante alla costituzione in giudizio.
Peraltro deve escludersi che il vizio di invalidità che colpisca la procura alle liti sia suscettibile di sanatoria per effetto della costituzione della controparte.
In tal senso si veda già in passato Cass. n. 16264/2004, secondo cui la questione della nullità dell’atto processuale in quanto compiuto in mancanza di una valida procura ad litem, costituisce una nullità assoluta ed insanabile, principio questo che deve ritenersi confermato anche da Cass. S.U. n. 4248/2016, cit., secondo cui la mancanza del potere di rappresentanza, per vizi anche della procura alle liti, essendo quest’ultima una delle condizioni di esistenza del potere di azione, giustifica il rilievo officioso in sede di legittimità anche se non vi sia stata contestazione nei gradi di merito, fatta salva la sola sanatoria conseguente al deposito di una valida procura, spontaneamente ovvero a seguito di concessione del termine di cui dell’art. 182 c.p.c., comma 2.
8. Il settimo motivo di ricorso lamenta poi la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1 e art. 94 c.p.c., nella parte in cui il giudice di appello, nel dichiarare l’inesistenza della procura, ha posto le spese di lite relative al giudizio di appello direttamente a carico del difensore dell’opponente.
Si sottolinea che ciò è possibile ex art. 94 c.p.c., solo in presenza di gravi motivi, nella specie non ricorrenti, e che il principio affermato da Cass. S.U. n. 10706/2006, che appunto permette la condanna alle spese dello stesso difensore, non è stato correttamente applicato in quanto non si verte in un’ipotesi di assenza assoluta di procura, ma di svolgimento di attività defensionale sulla base di una procura nulla.
Orbene, rileva il Collegio che nel presente giudizio hanno proposto ricorso congiuntamente ed a mezzo del medesimo difensore sia l’originario opponente che l’avv. P.P., quest’ultimo anche in proprio, ed al fine di contestare con il motivo ora in esame, la correttezza della condanna in proprio al rimborso delle spese del giudizio di appello.
Stante il rigetto dei precedenti motivi, e la conferma della valutazione in termini di invalidità della procura alle liti, ove anche il motivo in esame risultasse fondato, l’esito dell’accoglimento sarebbe quello di determinare lo spostamento del carico delle spese di lite dal P. all’ E.D., e cioè sulla stessa parte rappresentata dal primo (sebbene unitamente all’avv. Scardigli).
Tale situazione denota, ad avviso del Collegio, e con carattere di assoluta evidenza, un conflitto di interessi tra il P. ed il suo assistito, e, relativamente all’avv. Scardigli, tra le posizioni dei due suoi patrocinati.
Una volta quindi riscontrata, tra le parti che hanno conferito mandato al medesimo professionista una situazione di conflitto d’interessi, la quale secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 20950/2017) può essere non solo attuale, ma anche potenziale, intendendosi come tale quella non riferibile alla astratta eventualità, bensì in stretta correlazione con il concreto rapporto esistente tra le parti i cui interessi risultino suscettibili di contrapposizione, la risoluzione del conflitto non appare suscettibile di poter essere risolta in base al criterio, pur indicato nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui (cfr. Cass. n. 14634/2015) la parte che abbia conferito per seconda la procura a quest’ultimo deve ritenersi non costituita in giudizio, perchè un difensore non può assumere il patrocinio di due parti che si trovino o possono trovarsi in posizione di contrasto, ostando a tale soluzione il contestuale conferimento dell’incarico.
Per l’ipotesi di assistenza di due parti in conflitto di interessi, si è poi precisato che (cfr. Cass. n. 21350/2005) è inammissibile la loro costituzione in giudizio a mezzo di uno stesso procuratore, al quale sia stato conferito mandato con un unico atto, e ciò anche in ipotesi di “simultaneus processus”, dato che il difensore non può svolgere contemporaneamente attività difensiva in favore di soggetti portatori di istanze confliggenti, essendo siffatta violazione rilevabile di ufficio, anche in sede di appello, in quanto investe il diritto di difesa ed il principio del contraddittorio, valori costituzionalmente garantiti (sempre per il rilievo d’ufficio del conflitto di interessi, si veda anche Cass. n. 15183/2005).
Inoltre ed avuto riguardo alla posizione del P., va richiamato il principio secondo cui (Cass. n. 13204/2012) l’attività processuale posta in essere da un difensore in conflitto di interesse col proprio assistito è nulla ed il relativo vizio è rilevabile d’ufficio, investendo la validità della procura e, quindi, il diritto di difesa ed il principio del contraddittorio, valori costituzionalmente tutelati.
Tuttavia, va considerato che la situazione di conflitto di interessi non investe l’intero contenuto del ricorso, ma il solo motivo in esame, il cui accoglimento, come detto, riverserebbe i suoi effetti negativamente sulla posizione dell’opponente, sicchè reputa il Collegio che possa farsi applicazione di quanto già in passato affermato dal giudice di legittimità, e cioè che (cfr. Cass. n. 15183/2005), ferma restando l’impossibilità per il difensore di svolgere allegazioni, richieste e deduzioni nei reciproci rapporti a favore di taluno e contro altri, laddove si sia costituito in giudizio per più parti, eventualmente in conflitto tra loro, tuttavia ove ciò accada nel giudizio di impugnazione, ciò non necessariamente comporta la nullità dell’intero atto di gravame, ma solo di quei motivi che contengono censure svolte in maniera tale che il loro accoglimento comporterebbe un vantaggio per uno degli impugnanti a danno dell’altro (conf. Cass. n. 8842/2004, che ha ritenuto che le censure di due dei tre soggetti, difesi dal medesimo difensore, dirette, in sede di legittimità, contro il terzo soggetto non potessero essere prese in considerazione). Ritiene il Collegio di dover dare continuità a tali principi e che per l’effetto il motivo in esame, in quanto affetto da nullità per conflitto di interessi, non possa essere preso in considerazione.
9. L’ottavo motivo denuncia infine la violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto il Tribunale avrebbe rigettato l’appello sulla base di motivi diversi da quelli richiesti dalle parti, motivi che provvede a trascrivere nel motivo in esame.
La doglianza è del tutto priva di fondamento, in quanto non si avvede della circostanza che, avendo il giudice di appello ravvisato l’invalidità della procura alle liti e reputato che tale vizio fosse impeditivo della stessa disamina nel merito dell’opposizione, ha sostanzialmente confermato la valutazione di inammissibilità del giudice di prime cure (che aveva ritenuto che l’opposizione fosse tardiva) sebbene sulla base di una diversa motivazione, ma senza che ciò potesse in ogni caso permettere di accedere alla disamina nel merito dei motivi di opposizione, il che esclude del pari che la sentenza possa essere censurata per la pretesa violazione della previsione di cui all’art. 112 c.p.c..
10. Al rigetto del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese in favore del Comune di Firenze, come liquidate in dispositivo.
11. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta il primo, il secondo, il sesto e l’ottavo motivo di ricorso, dichiara la nullità del settimo motivo, assorbiti i restanti;
Condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 745,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15% sui compensi, ed accessori di legge;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 26 aprile 2018.
Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2018