REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – rel. Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, N. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende come per legge;
– ricorrente –
contro
R.S., rappresentato e difeso dagli avv.ti ARGENTA Enrico Sereno e CONTALDI Gianluca, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. CONTALDI Gianluca in Roma, via P. G. da Palestrina, n. 63;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 76/26/2009 della Commissione Tributaria regionale del Piemonte depositata il 24/11/2009;
e sul ricorso iscritto al n. 8403/2011 R.G. proposto da:
R.S., rappresentato e difeso dagli avv.ti SORGENTE Elena e CONTALDI Gianluca, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in ROMA, VIA GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA, N. 63;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, N. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende come per legge;
– resistente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte n. 5/15/10 depositata il 11/2/2010;
e sul ricorso iscritto al n. 14657/12 R.G. proposto da:
R.S., rappresentato e difeso dagli avv.ti SORGENTE Elena e CONTALDI Gianluca, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in ROMA, VIA GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA, N. 63;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, N. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende come per legge;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte n. 101/22/11 depositata il 16/12/2011;
e sul ricorso iscritto al n. 11680/2013 R.G. proposto da:
R.S., rappresentato e difeso dagli avv.ti SORGENTE Elena e CONTALDI Gianluca, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in ROMA, VIA GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA, N. 63;
– ricorrente –
contro
EQUITALIA NORD S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE QUATTRO FONTANE, N. 161, presso lo studio dell’avv. RICCI Sante, che la rappresenta e difende unitamente all’avv. CIMETTI Maurizio;
– controricorrente –
e AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI N. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende come per legge;
– resistente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte n. 103/36/12 depositata il 29/10/12;
e sul ricorso iscritto al n. 15361/13 R.G. proposto da:
R.S., rappresentato e difeso dagli avv.ti SORGENTE Elena e CONTALDI Gianluca, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in ROMA, VIA GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA, N. 63;
– ricorrente –
contro
EQUITALIA NORD S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti CIMETTI Maurizio e PARENTE Giuseppe, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. RICCI Sante in ROMA, VIA DELLE QUATTRO FONTANE, N. 161;
– resistente –
e AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore;
– intimata –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte n. 95/28/12 depositata il 10/12/12;
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13/2/2018 dal Consigliere Dott.ssa CONDELLO Pasqualina Anna Piera;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso chiedendo, in relazione al ricorso iscritto al n. 27505/10 R.G., l’accoglimento del ricorso principale ed il rigetto del ricorso incidentale; in relazione al ricorso iscritto al n. 8403/11 R.G., il rigetto del ricorso; in relazione al ricorso iscritto al n. 14657/12 R.G., l’accoglimento dell’ottavo e del decimo motivo e rigetto dei restanti motivi; in relazione al ricorso iscritto al n. 11680/13 R.G., l’accoglimento dell’ottavo motivo ed il rigetto dei restanti motivi; in relazione al ricorso iscritto al n. 15361/13 R.G., l’accoglimento del primo motivo ed il rigetto dei restanti motivi;
uditi i difensori di R.S., Avv.ti CONTALDI Gianluca e SORGENTE Elena anche per delega dell’avv. ARGENTA Enrico Sereno;
udito il difensore di Equitalia Nord s.p.a., Avv. CHIRICOTTO Simona per delega dell’avv. CIMETTI Maurizio.
Svolgimento del processo
La Agenzia delle Entrate in data 21.7.06 notificava a R.S., titolare di ditta individuale esercente la attività di commercio di autoveicoli, avviso di accertamento relativo all’anno 2003 ai fini del recupero a tassazione di Irpef, Irap e contributi previdenziali, avverso il quale il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, eccependo, tra l’altro, la nullità dell’avviso, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, u.c..
Deduceva, in particolare, che per lo stesso anno d’imposta aveva ricevuto un primo avviso del 1.7.05, con il quale era stata recuperata a tassazione l’Iva detratta ed erano stati esaminati i dati dichiarati ai fini delle imposte dirette, ed un secondo avviso del 21.7.06, con il quale era stato accertato un maggior imponibile ai fini Irpef, e faceva rilevare che l’art. 43 citato consentiva un nuovo avviso solo ove fossero sopravvenuti nuovi elementi.
La Commissione tributaria provinciale, ritenendo fondata la eccezione di nullità del secondo avviso di accertamento sollevata dal contribuente, annullava l’accertamento.
La Commissione tributaria regionale respingeva sia l’appello principale proposto dall’Ufficio che l’appello incidentale del contribuente, confermando la fondatezza della eccezione di nullità dell’avviso di accertamento e ritenendo che il giudice di primo grado avesse correttamente disposto la compensazione delle spese di lite, ai sensi dell’art. 92 cod. proc. civ..
Per la cassazione della suddetta decisione ricorre la Agenzia delle Entrate, con due motivi (ricorso iscritto al n. 27505/10 R.G.), mentre il contribuente resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, illustrati con memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
Con autonomo avviso di accertamento l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione, nei confronti di R.S., per l’anno d’imposta 2003, le detrazioni Iva ed i costi relativi ad operazioni ritenute soggettivamente inesistenti, connesse all’acquisto di autovetture di provenienza comunitaria da società considerate fittiziamente interposte.
Il ricorso proposto dal contribuente avverso tale atto impositivo veniva rigettato dall’adita Commissione tributaria provinciale e la decisione veniva confermata dalla Commissione tributaria regionale che respingeva l’appello del contribuente, ritenendo legittimo l’atto impositivo.
Avverso tale decisione R.S. propone ricorso per cassazione (iscritto al n. 8403/11 R.G.), affidato a dieci motivi, illustrati con memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
L’Agenzia delle Entrate ha depositato atto di costituzione.
Con altro avviso di accertamento l’Agenzia delle Entrate procedeva, nei confronti di R.S., al recupero a tassazione, ai fini Irpef ed Iva per l’anno di imposta 2004, in relazione all’attività di acquisto di autoveicoli di provenienza estera e successiva rivendita, le cui modalità, secondo la ricostruzione dell’Amministrazione finanziaria, realizzavano un meccanismo contabile di fatturazioni per operazioni soggettivamente inesistenti nel quadro di una “frode carosello”.
Il ricorso proposto dal contribuente, il quale contestava il suo coinvolgimento nella frode, veniva respinto dalla Commissione tributaria provinciale e la decisione veniva confermata dalla Commissione tributaria regionale, la quale motivava che si verteva in ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti e che l’acquisto di merce con fatture soggettivamente inesistenti non comportava la detrazione dei costi in assenza di buona fede dell’acquirente.
Per la cassazione della sentenza insorge R.S. (con ricorso iscritto al n. 14657/12 R.G.), con undici motivi, cui resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
In relazione all’accertamento per l’anno di imposta 2004, il Concessionario della Riscossione Equitalia Nord s.p.a. notificava a R.S. cartella di pagamento n. (OMISSIS), avverso la quale ricorreva il contribuente, eccependo l’inesistenza della notifica, il difetto di sottoscrizione del ruolo e della cartella ed il difetto di motivazione.
Con sentenza n. 103/36/12 depositata il 29.10.12, la Commissione tributaria regionale rigettava l’appello proposto da R.S. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate e di Equitalia Nord s.p.a. avverso la sentenza n. 78/1/2011 della Commissione Tributaria provinciale di Asti, che aveva respinto il ricorso proposto dal contribuente avverso la suddetta cartella di pagamento.
Avverso la sentenza di appello propone ricorso per cassazione R.S. (iscritto al n. 11680/13 R.G.), affidato ad otto motivi, cui resiste con controricorso Equitalia Nord s.p.a..
L’Agenzia delle Entrate si è costituita al solo fine di partecipare all’udienza di discussione.
A seguito di notifica di cartella di pagamento relativa ad Irpef, Irap ed addizionali regionali e comunali per l’annualità 2003, R.S. proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, che lo respingeva.
Con sentenza n. 95/28/12 del 10.12.2012 la Commissione Tributaria regionale confermava la sentenza di primo grado.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso (iscritto al n. 15631/13 R.G.) R.S., affidato ad otto motivi.
Equitalia Nord s.p.a. si è costituita al solo fine di partecipare all’udienza di discussione ex art. 370 cod. proc. civ..
Motivi della decisione
1. In via preliminare deve disporsi la riunione al ricorso iscritto al n. 27505/10 R.G. di quelli recanti nn. 8403/11 R.G. e 14657/12 R.G., per evidente connessione soggettiva ed oggettiva, trattandosi di impugnazioni proposte avverso avvisi di accertamento emessi nei confronti dello stesso contribuente in relazione agli anni di imposta 2003 e 2004.
2. Va, altresì, disposta la riunione al presente ricorso, previa sostituzione del relatore, dei ricorsi recanti nn. 11680/13 R.G. e 15631/13 R.G., avendo questi ad oggetto impugnazioni proposte avverso le cartelle di riscossione provvisoria degli avvisi di accertamento oggetto dei giudizi precedenti.
3. Ricorso n. 27505/10 R.G. Con la sentenza impugnata n. 76/26/09 la Commissione tributaria regionale del Piemonte, aderendo alla decisione di primo grado, ha respinto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, rilevando che l’Amministrazione, con il primo avviso di accertamento, oltre ad esaminare la dichiarazione presentata dal contribuente ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, ha pure valutato i dati dallo stesso dichiarati ai fini delle imposte dirette, con la conseguenza che l’atto impositivo oggetto di impugnazione integra un secondo accertamento sulle imposte dirette.
Con il primo motivo la Agenzia delle Entrate denuncia “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 e dei principi generali in tema di accertamento tributario, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, deducendo che con l’avviso datato 1.7.05 e notificato il 13.7.05 non ha formulato rilievi in materia di imposte dirette e di Irap, ma ha preso in considerazione la posizione del contribuente esclusivamente sotto il profilo dell’imposta sul valore aggiunto, con la conseguenza che la Commissione Tributaria provinciale, affermando che l’avviso datato 1.7.05 comprendeva anche un accertamento relativo alle imposte dirette, non aveva fatto corretta applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, u.c..
Precisa, inoltre, che un atto tributario, con il quale si evidenzia che quanto dichiarato dal contribuente – ai fini di una certa imposta – non dà luogo a rilievi o contestazioni, non costituisce “atto di accertamento” per quell’imposta, sicchè resta ferma la possibilità di formulare, nei termini di decadenza, i rilievi originariamente non ipotizzati a seguito di successiva e nuova valutazione degli elementi raccolti.
3.1. Il motivo è fondato.
3.2. La Commissione tributaria regionale, partendo dal presupposto di fatto che con il primo avviso di accertamento l’Ufficio, “oltre ad esaminare le risultanze Iva, aveva anche esaminato i dati dichiarati dal contribuente ai fini II.DD. poichè i relativi dati non solo sono stati riportati nell’atto suddetto, ma sono anche stati ritenuti congrui dall’Ufficio come attesta il quadro RF concernente la determinazione del reddito di impresa dichiarato in Euro 32.170,00 ed accertato nello stesso importo”, ha accolto la eccezione di nullità del secondo avviso di accertamento, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, u.c., ritenendo che l’avviso impugnato costituisca un secondo accertamento sulle imposte dirette emesso in assenza di indicazione di nuovi elementi, atti o fatti, richiesti ai fini della validità di un accertamento integrativo.
3.3. Come è noto, il citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, u.c., è preordinato alla ripresa a tassazione di altri elementi reddituali incrementativi del reddito complessivo definito in precedenza e non noti al momento dell’esercizio della precedente attività accertatrice.
La sopravvenienza di “nuovi elementi” richiesti dalla norma per l’emissione dell’accertamento integrativo non può essere restrittivamente interpretata quale sopravvenienza di “nuovi elementi reddituali”, poichè l’emersione di nuovi cespiti imponibili legittima senz’altro la adozione di un autonomo avviso di accertamento. La ampia dizione utilizzata nella disposizione di legge giustifica il ricorso all’avviso di accertamento integrativo qualora l’Ufficio, successivamente all’accertamento originario, venga a conoscenza di elementi fattuali, probatoriamente rilevanti, sconosciuti al momento della emissione dell’avviso originario.
Come chiarito da questa Corte, il contenuto preclusivo del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, u.c., deve essere limitato al divieto, rebus sic stantibus, di emettere un avviso di accertamento integrativo sulla base della semplice rivalutazione o maggiore approfondimento di dati probatori già interamente noti all’Ufficio al momento della emissione dell’avviso originario (Cass. n. 11421 del 3/6/2015; n. 8029 del 3/4/13; n. 576 del 15/1/16).
3.4. Nel caso in esame, con l’avviso di accertamento originario la Agenzia delle Entrate si è limitata ad esaminare il contenuto della dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente ed a formulare rilievi ai soli fini dell’imposta sul valore aggiunto, senza muovere contestazioni con riguardo alle imposte dirette, sicchè l’avviso emesso in data 1.7.05, non contenendo l’accertamento di una obbligazione tributaria in materia di Irpef ed Irap per l’anno di imposta 2003, non può essere considerato “avviso di accertamento” ai fini delle imposte dirette e non può, conseguentemente, escludere la adozione, da parte della Amministrazione finanziaria ed a carico del contribuente, di un successivo ed autonomo accertamento in materia di imposte dirette, che, non costituendo atto integrativo di quello emesso ai soli fini della imposta sul valore aggiunto, non esige la sussistenza di nuovi elementi sopravvenuti.
4. Con il secondo motivo di ricorso la Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per “motivazione insufficiente su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, lamentando che la motivazione resa dalla Commissione Tributaria regionale risulta insufficiente, in quanto fondata su un argomento che non consente di trarre la conseguenza che l’avviso datato 1.7.05 sia atto di accertamento anche ai fini delle altre imposte.
4.1. L’accoglimento del primo motivo fa ritenere assorbito il secondo motivo.
5. Con il primo motivo del ricorso incidentale R.S. censura la sentenza impugnata per “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 1, e dell’art. 92 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per non avere la sentenza indicato i “giusti motivi” che consentivano la compensazione delle spese di lite.
6. Con il secondo motivo del ricorso incidentale deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che la Commissione Tributaria regionale non si è pronunciata in relazione agli altri motivi di censura sollevati con il ricorso incidentale di appello.
6.1. L’accoglimento del primo motivo del ricorso principale comporta l’assorbimento del ricorso incidentale.
La sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione ai motivi accolti.
7. Ricorso n. 8403/11 R.G. Con la sentenza n. 5/15/10 depositata in data 11 febbraio 2010 la Commissione tributaria regionale del Piemonte ha confermato la sentenza di primo grado, respingendo tutti i motivi di appello proposti dal contribuente e ritenendo infondata la eccezione di inesistenza dell’avviso di accertamento per mancanza di valida relata di notificazione e fittizie, perchè soggettivamente inesistenti, le operazioni poste in essere dal contribuente.
Con il primo motivo di ricorso – rubricato: contraddittoria ed insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – R.S. sostiene che, sebbene abbia sin dal primo grado del giudizio eccepito la inesistenza della notificazione dell’avviso di accertamento, inviato a mezzo posta, in quanto sulla copia dell’atto a lui recapitata la relata di notifica non risultava nè compilata, nè firmata, nè esisteva alcuna indicazione delle modalità di notifica, la Commissione Tributaria regionale, con motivazione priva di adeguato supporto argomentativo, ha affermato che la proposizione del ricorso ha sanato eventuali vizi di notifica, pur vertendosi in ipotesi di inesistenza e non di nullità della notifica.
8. Con il secondo motivo il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, degli artt. 137, 148, 149, 156, 160 cod. proc. civ. e della L. n. 890 del 1982, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.
Il contribuente lamenta che la sentenza si pone in contrasto con il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e con l’art. 137 cod. proc. civ., atteso che l’agente postale non è indicato tra i soggetti titolati a compiere attività notificatoria, nonchè con l’art. 148 cod. proc. civ., che considera necessaria la relata di notifica, posta a tutela del destinatario della notifica, il quale, in assenza di certificazione della attività notificatoria, non è in grado di conoscere gli elementi necessari a computare con certezza i termini perentori per l’esercizio di eventuali diritti allo stesso attribuiti.
9. Con il terzo motivo il contribuente deduce “nullità della sentenza, per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, degli artt. 137, 148, 149, 156, 160 cod. proc. civ. e della L. n. 890 del 1982, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, ribadendo che la mancanza di relata produce la inesistenza insanabile della notifica dell’atto, con la conseguenza che la Commissione Tributaria regionale è incorsa in un error in procedendo quando ha affermato che la notifica è avvenuta regolarmente e che il vizio di notifica denunciato sarebbe in ogni caso sanato, ai sensi dell’art. 156 cod. proc. civ..
10. Con il quarto motivo si deduce “nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, per avere la Commissione Tributaria regionale omesso di pronunciarsi sul motivo di appello concernente la dedotta illegittimità dell’accertamento operato dall’Ufficio a fronte della istanza di concordato preventivo presentata dalla ditta contribuente.
Il ricorrente ha spiegato che avendo effettuato, per l’annualità in contestazione, il concordato preventivo disciplinato dal D.L. n. 269 del 2003, art. 33, comma 8, convertito con modifiche dalla L. n. 326 del 2003 ed integrato dalla L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 10, gli unici poteri di accertamento che residuavano nei suoi confronti erano quelli afferenti ad accertamenti analitici o induttivi motivati dalla mancata esibizione di libri e/o registri obbligatori, mentre erano inibiti all’Ufficio gli accertamenti previsti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, secondo periodo e dall’art. 55 del medesimo decreto.
Poichè, secondo la prospettazione del contribuente, l’accertamento operato dall’Ufficio, fondandosi su presunzioni, non rientra tra quelli previsti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, primo periodo, come ritenuto dal giudice di primo grado, l’attività svolta dall’Amministrazione finanziaria sarebbe illegittima.
11. Con il quinto motivo il contribuente deduce “violazione e falsa applicazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 33, comma 8, convertito con modifiche dalla L. n. 326 del 2003 ed integrato dalla L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per non avere la sentenza impugnata fatto corretta applicazione della norma richiamata.
12. Con il sesto motivo il contribuente deduce “nullità della sentenza per violazione degli artt. 24, 111 Cost., degli artt. 112, 115 cod. proc. civ., del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 7 e 58, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56 e L. n. 212 del 2000, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.
Evidenzia, al riguardo, che la Commissione Tributaria regionale alla udienza di discussione del 8.10.08 ha emesso ordinanza con la quale ha invitato l’Agenzia delle Entrate a produrre copiosa documentazione, e precisamente le fatture emesse dalla società Coces s.n.c. nei confronti del R., le fatture ricevute dalla Coces s.r.l. e provenienti da fornitori esteri, le richieste di rinvio a giudizio o di archiviazione avanzate dalla Procura della Repubblica di Asti nei confronti del contribuente, sentenze di patteggiamento, comunicazioni di notizie di reato o annotazioni di polizia riguardanti i rapporti tra la Coces s.r.l., R.S., R.G., Punto Auto ed altre società, violando il principio del contraddittorio e del diritto di difesa; sostiene pure che la attività istruttoria svolta dalla Commissione Tributaria regionale ha consentito all’Ufficio di depositare documentazione che non era stata allegata all’avviso di accertamento (in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42) e che è stata irritualmente posta dal giudice a fondamento della decisione, senza tener conto delle deduzioni difensive esposte nella memoria depositata in data 27.4.09 (ritrascritta nel ricorso per cassazione).
13. Con il settimo motivo il contribuente denuncia “nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, per avere la C.T.R. omesso di pronunciarsi in ordine alla censura concernente la inadeguata motivazione dell’avviso di accertamento.
14. Con l’ottavo motivo di ricorso il contribuente censura la sentenza per “contraddittoria ed insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, deducendo che la motivazione è contraddittoria perchè, pur facendo riferimento ad operazioni soggettivamente inesistenti ed alla “simulazione soggettiva”, e dunque ad operazioni realmente avvenute sotto il profilo oggettivo, ma che non hanno trovato svolgimento ed esecuzione fra le parti che sono indicate in fattura, ma tra altri soggetti, non individua il terzo soggetto interposto che avrebbe partecipato alla operazione.
15. Con il nono motivo censura la sentenza per “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 21, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, deducendo che la detraibilità dell’Iva non può essere esclusa senza precisi riscontri sullo stato soggettivo del cessionario in merito all’altruità della fatturazione.
16. Con il decimo motivo censura la sentenza per “insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, per avere il giudice di appello escluso la buona fede del contribuente in assenza di elementi di fatto idonei a supportare tale assunto, considerato che erano stati prodotti in appello i listini Eurotax, dai quali emergeva che i prezzi di acquisto e di vendita praticati erano in linea con i prezzi di mercato, e tenuto conto che l’esiguo margine di guadagno conseguito dalla ditta contribuente, che si collocava tra l’1% ed il 2%, non poteva costituire indice di carenza di buona fede.
17. Logicamente prioritario si presenta l’esame del quarto motivo, che è fondato.
17.1. La Commissione Tributaria regionale, pur essendo pacifico che la ditta contribuente aveva richiesto il concordato preventivo nell’anno di imposta oggetto di accertamento, ha omesso di pronunciarsi sul motivo di appello fatto valere avverso la sentenza di primo grado che aveva ritenuto infondata la eccezione di illegittimità dell’accertamento sollevata dal contribuente.
17.2. L’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, e, in genere, su una domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, integra una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e consente alla parte di chiedere – e al giudice di legittimità di effettuare – l’esame degli atti del giudizio di merito, nonchè, specificamente, dell’atto di appello (Cass. n. 22759 del 27/10/2014, Rv. 633205 – 01, Cass. n. 16/3/17 n. 6835).
La omessa pronuncia determina nullità, in parte qua, della decisione.
18. Anche il sesto motivo è fondato.
18.1. A seguito dell’abrogazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 3, al giudice di appello non è più consentito ordinare il deposito di documenti nella materiale disponibilità di una delle parti, non potendo il giudice sopperire con la propria iniziativa officiosa all’inerzia delle parti (Cass. n. 25464 del 18/12/2015; n. 13152 del 11/6/2014).
In tema di contenzioso tributario, d’altro canto, ancora sotto la vigenza del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 3, questa Corte aveva rilevato come il potere istruttorio officioso riservato alle Commissioni tributarie incontrava il limite di non dover sopperire al mancato assolvimento, ad opera della parte, del relativo onere probatorio (Cass. n. 25769 del 5/12/2014; n. 4617 del 22/2/2008).
Non possono dunque considerarsi “indispensabili”, secondo la formulazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 1, quelle prove che non sono state ritualmente prodotte in giudizio per inadempienza delle parti, non potendo tale lacuna essere colmata dall’esercizio dell’indicato potere giudiziale.
18.2. Nel caso di specie, il giudice di appello, esorbitando dai poteri allo stesso attribuiti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 2, e sostituendosi alla Amministrazione finanziaria, ha svolto una attività istruttoria integrativa volta alla acquisizione di documentazione che la Agenzia delle Entrate avrebbe già dovuto produrre in primo grado a supporto della pretesa tributaria ed ha poi utilizzato detta documentazione ai fini della decisione, avendo dato atto nella motivazione che la sentenza si fonda non solo sulle risultanze delle operazioni di accesso compiute dai verificatori e sulla contabilità, ma anche su “quanto risulta in atti”, e quindi anche sugli elementi di prova ricavati dalla documentazione acquisita per effetto della ordinanza istruttoria del 8.10.08.
Da ciò la nullità della sentenza per violazione del disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58.
19. L’accoglimento del quarto e del sesto motivo di ricorso comporta l’assorbimento di tutti gli altri motivi.
La sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione alle censure accolte.
20. Ricorso n. 14657/12 R.G. Con la sentenza n. 101/22/11 depositata il 16 dicembre 2011, la Commissione tributaria regionale del Piemonte, oltre a respingere le eccezioni di inesistenza della notificazione dell’avviso di accertamento e di difetto di sottoscrizione, sollevate dal R., ha ritenuto fondata la contestata inesistenza soggettiva delle operazioni commerciali e non provata la buona fede del contribuente.
Il R., con il primo motivo, censura la sentenza impugnata per “contraddittoria, insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in quanto la Commissione Tributaria regionale ha ritenuto soggettivamente inesistenti le operazioni di compravendita di autovetture, in difetto di prova, non fornita dalla Agenzia delle Entrate, della interposizione fittizia o della simulazione soggettiva ed in assenza della indicazione del soggetto estero interposto.
Ha, in particolare, osservato che: a) aveva eccepito sia in primo che in secondo grado che le operazioni definite “soggettivamente inesistenti” erano state descritte dalla stessa Agenzia delle Entrate come effettivamente avvenute senza indicazione o individuazione di un diverso cedente delle autovetture, con la conseguenza che doveva ritenersi che tutte le operazioni erano effettivamente avvenute b) la Agenzia delle Entrate non aveva fornito prova degli assunti richiamati nell’avviso di accertamento c) le affermazioni contenute nella sentenza e poste a fondamento della decisione erano state tratte dall’avviso di accertamento, sicchè la motivazione era apparente, e non teneva conto della documentazione prodotta nel giudizio di appello, ed in particolare dei listini del settore e della relazione tecnica redatta da ingegnere esperto nel settore degli autoveicoli comprovante che i prezzi di acquisto delle autovetture oggetto di contestazione erano coerenti con i prezzi di mercato del settore di riferimento d) la società fornitrice Autochallenge s.r.l. era titolare di partita Iva ed operava nel settore degli autoveicoli, circostanza questa che faceva escludere che fosse un soggetto “finto” e) la circostanza che la società Coces s.r.l. non riversasse l’Iva all’Erario non era indice di falsità del fornitore f) il fatto che la Point Car avesse acquistato da Autocommerciale Verbania (che non era fornitore del R.) restava fatto sconosciuto al contribuente ed inidoneo a dimostrare che la Point Car fosse soggetto “finto”.
21. Con il secondo motivo il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per avere la sentenza ritenuto, in contrasto con le regole di riparto dell’onere della prova, che nel caso di contestazione di utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti spettava al contribuente dimostrare la propria estraneità ai fatti, sebbene l’Ufficio non avesse fornito alcuna prova concreta, neppure di tipo indiziario, idonea a dimostrare gli elementi di fatto della frode affermati nell’avviso di accertamento, nonchè la ritenuta connivenza nella frode del cessionario.
Ha ribadito di avere intrattenuto rapporti commerciali con le società indicate nell’avviso, tutte operanti nel settore della compravendita di auto, ignorando che i propri fornitori non riversassero l’Iva all’Erario, e che l’Ufficio non aveva offerto prova che i prezzi di acquisto fossero “più favorevoli”, nè che la contribuente avesse usufruito degli effetti favorevoli della frode; ha fatto pure presente che in sede penale era stata dichiarata la sua estraneità ad ogni fatto contestatogli.
22. Con il terzo mezzo ha dedotto “omessa, insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in merito alla ritenuta consapevolezza del contribuente di partecipare, tramite gli acquisti degli autoveicoli, ad eventuali frodi.
Sul punto il ricorrente ha evidenziato che la Commissione Tributaria regionale si è limitata ad affermare “il contribuente avendo avuto contatti commerciali con le imprese su citate, non poteva non sapere che le stesse, dopo avere svolto l’operazione, sparivano, chiudevano e non versavano Iva”, senza tuttavia indicare gli elementi di prova da cui aveva tratto il proprio convincimento, considerato che l’avere avuto contatti con le imprese indicate nell’avviso di accertamento non era di per sè elemento probante della presunta consapevolezza.
23. Con il quarto motivo il ricorrente censura la sentenza per “violazione o falsa applicazione dell’art. 17, p. 2, lett. B) della Direttiva n. 77/388/Cee, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.
Rileva che, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, l’esigenza di assicurare la riscossione dell’imposta e di evitare le frodi non può essere attuata in modo da pregiudicare il legittimo affidamento del cittadino e che, pertanto, incombe sulla Amministrazione l’onere di fornire elementi di prova atti a giustificare la pretesa fittizietà dell’interposizione e la consapevole partecipazione del contribuente alla frode e, solo a fronte dell’assolvimento di tale onere, spetta al contribuente fornire la prova contraria.
24. Con il quinto motivo deduce “nullità della sentenza, per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, per avere la C.T.R. omesso di pronunciarsi in ordine al motivo di appello concernente la nullità dell’avviso di accertamento per violazione del disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, u.c., e L. n. 212 del 2000, art. 7, in quanto non riproducente gli atti richiamati.
25. Con il sesto motivo censura la sentenza per “contraddittoria, insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in quanto la sentenza considera motivato l’accertamento e provata la pretesa, sebbene l’avviso di accertamento non indichi la norma in base alla quale è stato eseguito e faccia riferimento ad atti e verbalizzazioni redatti nei confronti di terzi, non allegati e, quindi, non conosciuti.
26. Con il settimo motivo si deduce “violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 e 55, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4-bis, come modificato dal D.L. n. 16 del 2012, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.
Il contribuente, in particolare, sottolinea che l’accertamento analitico-induttivo deve essere sorretto da presunzioni gravi, precise e concordanti, come prevede il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e che tali elementi nel caso di specie mancano.
27. Con l’ottavo motivo si deduce, nuovamente, “insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, laddove la sentenza afferma “Col terzo motivo il ricorrente impugna la sentenza dei giudici provinciali riguardo la inesistenza della relata di notifica “.
Il contribuente ha posto in rilievo che già nel giudizio di primo grado aveva eccepito la inesistenza o nullità della notifica dell’avviso di accertamento e la conseguente decadenza della Amministrazione dal potere accertativo per l’annualità 2004, ormai maturato con lo spirare del termine del 31.12.09, questione sulla quale la C.T.R. avrebbe reso una motivazione apparente, dato che nella sentenza si assume che “l’atto sia stato notificato a mezzo del servizio postale in data 9.9.2005”, mentre l’atto di accertamento è stato emesso in data 2/11/2009.
28. Con il nono motivo il contribuente deduce “contraddittoria, insufficiente motivazione in ordine a fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, nella parte in cui la sentenza esamina la questione del difetto di sottoscrizione dell’atto di accertamento, facendo rilevare che la doglianza si riferisce alla mancata sottoscrizione degli atti prodromici all’atto di accertamento da parte di soggetti non titolari del potere accertativo.
29. Con il decimo motivo deduce “nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, per non avere la C.T.R. pronunciato sui motivi di appello concernenti 1) disconoscimento dei costi di impresa 2) omessa indicazione nell’avviso di accertamento delle aliquote di imposta applicate e del calcolo degli interessi 3) omessa indicazione delle ragioni giuridiche del trattamento sanzionatorio applicato.
30. Con l’undicesimo motivo si deduce “omessa motivazione in ordine a fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, nella parte in cui la sentenza afferma “vengono assorbite le altre eccezioni poste, considerato il grado di importanza che rivestono”, trattandosi di mera affermazione di stile, non idonea a rendere conto della decisione assunta.
31. Il primo, il secondo, ed il quarto motivo, che possono essere esaminati congiuntamente per la evidente connessione, sono infondati, mentre il terzo motivo è parzialmente fondato nei limiti che di seguito si espongono.
31.1. La questione della detraibilità dell’Iva, nel caso di fatturazione per operazioni soggettivamente inesistenti o comunque inerenti ad operazioni iscritte in un meccanismo negoziale finalizzato a frodare il fisco (cd. “frodi carosello”), è stata oggetto di numerose pronunce di questa Corte, le quali hanno chiarito, anche alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia, i criteri di ripartizione dell’onere della prova fra fisco e contribuente (Cass. n. 24490 del 2/12/2015; n. 20059 del 24/9/2014; n. 24426 del 30/10/2013; n. 23074 del 14/12/2012).
Va, in primo luogo, ribadito che una fattura che presenti i requisiti di forma e di contenuto richiesti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21 fa presumere la veridicità di quanto in essa rappresentato e costituisce, di conseguenza, valido titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell’Iva, ricadendo in tal caso sulla Agenzia delle Entrate l’onere di provare il difetto delle condizioni per la detrazione.
In caso di fatture che l’Amministrazione ritenga relative ad operazioni inesistenti, ivi compresa l’ipotesi di inesistenza soggettiva, la Amministrazione non può limitarsi a contestare la fattura, ossia la prestazione in essa rappresentata ed il costo indicato, dovendo essa provare che la operazione non è mai stata posta in essere o che è in realtà intervenuta tra soggetti diversi.
Tale prova può essere data dalla Amministrazione fornendo elementi, alla stregua del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e art. 40 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, che possono assumere anche la consistenza di indizi attendibili (presunzione semplice ex art. 2727 cod. civ.), idonei a far affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni fittizie o fornendo elementi probatori che dimostrino in modo certo la inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione; qualora gli elementi forniti dall’Ufficio siano dotati dei caratteri di gravità precisione e concordanza, passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate (Cass. 23/4/2010 n. 9784).
Con specifico riferimento alla fattispecie riconducibile alle cd. “frodi carosello”, che sono caratterizzate dal fatto che la merce acquistata dal contribuente che esercita il diritto alla detrazione Iva proviene in realtà da soggetto diverso da quello fittiziamente interposto che ha emesso la fattura, incassando l’Iva in rivalsa ed omettendo poi di versarla all’Erario, questa Corte ha stabilito che incombe sulla Amministrazione finanziaria l’onere di fornire sia la prova della interposizione fittizia nella operazione commerciale effettivamente posta in essere dal cessionario, prova che può essere data anche attraverso indizi che rivelino la natura di società “cartiera” dell’apparente soggetto cedente che ha emesso la falsa fattura, sia la prova della connivenza nella frode da parte del cessionario o la prova che il contribuente disponeva di indizi idonei ad indurre un normale operatore, mediamente esperto, a sospettare della inesistenza del contraente e della irregolarità della operazione (Cass. n. 10414 del 12/5/2011, Cass. n. 23560 del 20/12/12; Corte Giustizia in C-284/11, Bonik; Corte di Giustizia in C277/14, Ppuh); una volta fornita la prova degli elementi di fatto della frode e della connivenza nella frode da parte del cessionario, spetta al contribuente (cessionario/committente) che ha portato in detrazione l’Iva fornire la prova contraria che l’apparente cedente non è un mero soggetto fittiziamente interposto e che l’operazione è stata realmente conclusa con esso.
A tale fine non è sufficiente, tuttavia, la regolarità della documentazione contabile eseguita e la dimostrazione che la merce è stata effettivamente consegnata e che è stato regolarmente corrisposto il corrispettivo, poichè si tratta di circostanze non concludenti, la prima in quanto insita nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, e la seconda perchè relativa ad un dato di fatto inidoneo, di per sè, a dimostrare l’estraneità alla frode (Cass. 12802 del 10/6/2011; n. 5912 del 11/3/10).
Poichè, comunque, non può negarsi al contribuente “in buona fede” l’esercizio alla detrazione Iva versata in rivalsa, si è pure specificato che il soggetto cessionario, qualora non sia in grado di dimostrare, con riferimento al cedente, che la operazione fatturata è “reale” e non fittizia, può fornire prova contraria dimostrando che, sulla base degli elementi conoscitivi acquisiti o rilevabili nel corso delle trattative e della operazione intrattenuta con il soggetto cedente, non sono emerse circostanze che potessero far sorgere il sospetto sulla irregolarità fiscale della operazione.
In tale ipotesi, infatti, anche in applicazione della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, si pone una esigenza di tutela della buona fede del contribuente in ordine ad eventuali accordi fraudolenti volti alla evasione dell’Iva intercorsi tra il soggetto cedente, che ha emesso la fattura, ed i soggetti intervenuti nelle precedenti operazioni, sulla quale viene ad essere imperniato il principio della neutralità fiscale che caratterizza il sistema comune dell’Iva, in base al quale deve essere riconosciuto il diritto alla detrazione Iva a tutti i soggetti passivi che effettuino operazioni di cessione di beni o di prestazioni di servizi nell’esercizio di una attività economica (cfr. Corte di Giustizia 6.9.12 causa C.324/11, Gabor Toth, Corte giustizia 21.6.12 cause riunite C-80/11 e C-142/11, Mahageben kft e David).
Come è stato precisato dal Giudice comunitario, “gli operatori che adottano tutte le misure che si possono loro ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che le loro operazioni non facciano parte della frode… devono poter fare affidamento sulla liceità di tali operazioni senza rischiare di perdere il proprio diritto alla detrazione dell’Iva pagata a monte” (Corte giustizia 11.5.06 in causa C- 384/04, Federation of Technological Industries; Corte Giustizia 6.7.06, cause riunite C-439/04 e C-440/04, Kittel e Recolta Recycling srl).
Tali principi sono stati affermati anche nella sentenza della Corte di Giustizia del 21.6.12 (C-80/11 e C-142/11, punti 45-49), in cui viene ribadito che il soggetto passivo che “sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad una operazione che si iscriveva in una evasione dell’Iva deve essere considerato ai fini della direttiva 2006/12, partecipante di tale evasione”, non essendo “compatibile con il regime del diritto alla detrazione previsto dalla suddetta direttiva sanzionare col diniego di tale diritto un soggetto passivo che non sapeva o non avrebbe potuto sapere che l’operazione interessata si iscriveva in un’evasione commessa con il fornitore” (Corte di Giustizia 6.12.2012, in C-285/11; C-642/11, punto 48).
31.2. Nel caso di operazione soggettivamente inesistente di tipo triangolare, che è quella contestata dalla Amministrazione finanziaria nel caso in esame, caratterizzata dalla interposizione di un soggetto italiano, fittizio, nell’acquisto di beni tra un soggetto comunitario (reale cedente) ed un altro soggetto italiano (reale acquirente), questa Corte ha evidenziato che l’onere gravante sulla Amministrazione “può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione fatturata (ossia è una cartiera), poichè questo costituisce, da solo, elemento idoneamente sintomatico della mancanza di buona fede del cessionario, poichè l’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti nella frode induce ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole del contribuente in merito all’avvenuto versamento dell’Iva a soggetto non legittimato alla rivalsa, nè assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta” (Cass. n. 24426 del 30/10/13).
31.3. La C.T.R., uniformandosi ai principi comunitari ed a quelli enunciati da questa Corte sopra richiamati, ha escluso nel caso in esame la detraibilità della imposta, ritenendo la fittizietà della interposizione e la assenza di buona fede del contraente.
Quanto alla individuazione degli elementi indiziari rilevanti ai fini della decisione, ha posto in rilievo, sulla base dell’atto di accertamento, che a) la ditta fornitrice Auto Challenge s.r.l. “non svolge una reale attività di impresa”, poichè non possiede requisiti di struttura e di organizzazione b) la società Coges s.r.l. non ha assolto gli obblighi tributari, avendo omesso di versare l’Iva e trattenuto la medesima ripartendola con il cliente tramite vendita sottocosto c) la società cedente, Point Car s.r.l., “ha posto in essere fatture soggettivamente inesistenti provenienti dalla società Auto Commerciale Verbania s.r.l., operatore fittizio, all’uopo costituito e che non disponeva di normali strutture organizzative e commerciali”; tali circostanze, complessivamente valutate, sono sicuramente idonee a far ritenere provata, da parte dell’Amministrazione fiscale, la natura di “cartiere” delle società interposte.
Sotto il profilo della conoscenza o conoscibilità da parte del contribuente, la C.T.R. ha ritenuto che la immediatezza dei rapporti intercorsi tra i soggetti coinvolti inducesse ragionevolmente ad escludere la ignoranza incolpevole del contribuente in merito all’avvenuto versamento dell’Iva a soggetto non legittimato alla rivalsa, nè assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta ed ha negato che gli elementi probatori offerti dalla ditta contribuente fossero idonei a superare gli elementi presuntivi esposti dall’Ufficio, considerato che la regolarità della documentazione contabile, la effettiva consegna dei veicoli previo versamento del corrispettivo e la congruità dei prezzi praticati – che il ricorrente assumeva di avere dimostrato mediante la produzione in appello dei listini di settore e di consulenza tecnica redatta da un ingegnere esperto nel settore – non costituivano circostanze concludenti (Cass. n. 428 del 14/1/2015), trattandosi di dati facilmente falsificabili.
La sentenza, pertanto, con riferimento alla detraibilità dell’Iva, è esente dalle censure ad essa rivolte, in quanto ha fatto corretta applicazione dei criteri di ripartizione dell’onere della prova, e la motivazione, che risulta esaustiva ed immune da vizi logici, consente di individuare il percorso logico-giuridico che ha condotto il giudice ad adottare quella decisione.
31.4. Un discorso distinto occorre invece svolgere per quanto concerne la deducibilità dei costi per operazioni inesistenti ai fini delle imposte dirette.
Il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata anche nella parte in cui la C.T.R. afferma che “…anche sotto il profilo dell’imposizione diretta, l’acquisto di merce con fatture soggettivamente inesistenti non comporta la detrazione dei costi ove non emerga chiaramente la buona fede dell’acquirente”.
31.5. Deve, al riguardo, rilevarsi che il D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 1, (convertito in L. 26 aprile 2012, n. 44) ha sostituito la L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis nei seguenti termini: “Nella determinazione dei redditi di cui all’articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 425 c.p.p. ovvero la sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 c.p.p. fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’art. 157 c.p…..”.
Tale disposizione normativa ha diretta rilevanza nel presente giudizio, operando quale “ius superveniens”, che trova applicazione d’ufficio anche in sede di legittimità, in quanto il rapporto tributario controverso non è ancora esaurito.
Infatti, il comma 3 dello stesso art. 8 ha stabilito che le disposizioni di cui al citato comma 1 “si applicano, in luogo di quanto disposto dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4-bis, previgente, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore” dello stesso comma 1, ” ove più favorevoli, tenuto conto degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che i provvedimenti emessi in base al citato comma 4-bis previgente non si siano resi definitivi”.
Questa Corte ha già rilevato, sulla scorta della relazione al disegno di legge di conversione del D.L. n. 16 del 2012, che la nuova normativa comporta che, poichè nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, i beni acquistati – di regola – non sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato ma, nella maggior parte dei casi, per essere commercializzati, non è più sufficiente il coinvolgimento, anche consapevole, dell’acquirente in operazioni fatturate da soggetto diverso dall’effettivo venditore perchè non siano deducibili, ai fini delle imposte dirette, i costi relativi a dette operazioni; ferma, restando, tuttavia, la verifica della concreta deducibilità dei costi stessi in relazione ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (Cass. 24426 del 30/10/2013; n. 13803 del 18/6/2014, n. 10167 del 20/6/12, n. 12503 del 22/5/13; n. 25249 del 7/12/2016).
Ne consegue che ai soggetti coinvolti nelle “frodi carosello” non è più contestabile, alla luce della nuova norma, la deducibilità dei costi, in quanto i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente “al fine di commettere il reato”, ma, salvo prova contraria, per essere commercializzati e venduti.
Poichè nel caso in esame non è in contestazione la oggettività delle operazioni commerciali poste in essere dalla ditta R., risulta del tutto irrilevante l’accertamento della consapevolezza o meno della frode da parte della ditta cessionaria, anche se rimangono fermi i criteri ordinari, previsti dall’art. 109 del Testo Unico delle imposte dirette, che impongono la verifica della sussistenza dei principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza e determinabilità dei componenti negativi che possono essere portati in deduzione dal reddito imponibile.
32. Il quinto motivo è infondato.
32.1. La C.T.R., seppure con motivazione sintetica, ha respinto il motivo di appello affermando che l’Ufficio ha eseguito l’accertamento ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e che, sebbene l’accertamento sia scaturito da precedenti controlli effettuati nei confronti di altri soggetti, il contribuente è stato posto in condizione di difendersi, tanto che è stato invitato a produrre documentazione probatoria.
Non è, quindi, ravvisabile vizio di omessa pronuncia, che ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su un capo della domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. n. 28308 del 27/11/2017; n. 7653 del 16/5/2012).
33. Il sesto motivo è inammissibile.
Infatti, è inammissibile, per difetto di autosufficienza, il ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.p., comma 1, n. 5, avverso la sentenza che abbia ritenuto correttamente motivato l’atto impositivo, qualora non sia trascritta la motivazione di quest’ultimo, precludendo, pertanto, al giudice di legittimità ogni valutazione (Cass. n. 2928 del 13/02/2015; n. 16147 del 28/6/2017).
Nel caso di specie il ricorrente ha omesso la trascrizione dell’atto impugnato.
34. Il settimo motivo è inammissibile.
34.1. Il ricorrente, sebbene lamenti la violazione o falsa applicazione di legge, prospetta in realtà un vizio di motivazione, assumendo che la disamina di tutte le censure mosse in primo ed in secondo grado avrebbero dovuto condurre il giudice di appello ad una diversa decisione e si limita a richiamare fatti che, secondo l’assunto difensivo, non sarebbero stati esaminati (esborsi sostenuti per l’acquisto dei veicoli acquistati, mancata indicazione dei fornitori comunitari, assoluzione in sede penale), che sono, di per sè, non idonei ad escludere la inesistenza soggettiva delle operazioni e la partecipazione alla frode.
35. L’ottavo motivo è inammissibile.
35.1. Con riferimento alla eccepita inesistenza della relata di notifica ed alla decadenza della Amministrazione dal potere accertativo, la C.T.R. ha motivato che l’atto è stato notificato a mezzo servizio postale in data 9.9.2005 e che, conseguentemente, il contribuente ha avuto possibilità di spiegare il diritto di difesa; ha inoltre richiamato giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la eccezione di inesistenza o inefficacia della notifica dell’avviso di accertamento può essere fatta valere solo al fine di eccepire la decadenza dal potere accertativo o al fine di dimostrare la tempestività dell’impugnazione.
Tale statuizione è conforme al principio espresso dalla Corte, secondo il quale anche in tema di notifica di un atto tributario l’inesistenza è configurabile, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle ipotesi in cui venga posta in essere una attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto quale notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità, sanabile con efficacia “ex tunc” o per raggiungimento dello scopo (Cass. n. 21865 del 28/10/2016).
35.2. Nel caso di specie la notifica ha raggiunto il suo scopo con effetto sanante, posto che il contribuente ha tempestivamente esercitato il suo diritto di difesa proponendo il ricorso, mentre la doglianza relativa alla decadenza della Amministrazione dal potere accertativo è generica, in ragione della mancata indicazione, da parte del contribuente, della data in cui è avvenuta la notifica e dovendo ritenersi che quella indicata nella sentenza impugnata sia dipesa da un mero errore materiale.
36. Il nono motivo è infondato. La C.T.R. ha rilevato che l’atto impugnato reca la firma del soggetto addetto all’Ufficio, in conformità a quanto previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e, pertanto, non è ravvisabile il dedotto vizio di motivazione per il fatto che il Giudice di appello non si è pronunciato in merito alla mancanza di sottoscrizione di atti prodromici all’atto di accertamento (atti non autonomamente impugnabili) da parte di soggetti non titolari del potere accertativo, trattandosi di doglianza che non investe l’atto oggetto di impugnazione.
37. Il decimo motivo è fondato.
37.1. La C.T.R., come dedotto dal contribuente e come si desume dall’esame dei motivi di appello ritrascritti nel ricorso, non ha esaminato e deciso le doglianze formulate in ordine alla mancata indicazione nell’avviso di accertamento delle aliquote di imposta applicate, dei criteri di calcolo degli interessi di mora e delle sanzioni, pur trattandosi di contestazioni dedotte con il ricorso di primo grado e reiterate in sede di appello.
Costituisce una violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, e configura il vizio di cui all’art. 112 cod. proc. civ., l’omesso esame di specifiche richieste o eccezioni fatte valere dalla parte e rilevanti ai fini della definizione del giudizio, che va fatto valere ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. n. 22759 del 27/10/2014; n. 16/3/17 n. 6835).
38. L’undicesimo motivo è inammissibile, in quanto il contribuente, pur deducendo un vizio di motivazione della sentenza, laddove la C.T.R. ha affermato “vengono assorbite le altre eccezioni poste, considerato il grado di importanza che rivestono”, omette di indicare le eccezioni decisive e rilevanti non esaminate dal giudice di appello.
La sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione alle censure accolte.
39. Alla stregua delle considerazioni che precedono, i ricorsi iscritti ai nn. 27505/10 R.G., 8403/11 R.G. e 14657/12 R.G. vanno accolti in relazione ai motivi ritenuti sopra fondati, con conseguente cassazione delle decisioni impugnate e rinvio delle cause alla Commissione Tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, per il riesame e per la liquidazione delle spese dei giudizi di legittimità.
40. Ricorso n. 11680/13 R.G. Il ricorso concerne la impugnazione di cartella di riscossione provvisoria di avviso di accertamento oggetto dei ricorsi precedenti nei termini sopra indicati.
La Commissione tributaria regionale del Piemonte, con la sentenza impugnata n. 103/36/12 depositata il 29/10/12, ha respinto l’appello del contribuente, ritenendo infondati tutti i motivi di gravame proposti concernenti la inesistenza della notifica, il difetto di sottoscrizione del ruolo e della cartella, nonchè il difetto di motivazione della cartella di pagamento.
R.S. denuncia, con il primo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 10, 12 e 25 e D.P.R. n. 546 del 1992, art. 19, lamentando che la C.T.R. ha escluso la necessità della sottoscrizione del responsabile del procedimento sul ruolo.
40.1. Il motivo è infondato, perchè, come correttamente rilevato dalla C.T.R. nella sentenza impugnata, non è richiesta, a norma del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, la sottoscrizione del ruolo da parte del titolare dell’Ufficio, trattandosi di atto privo di un autonomo rilievo esterno.
Al riguardo, questa Corte ha chiarito che in tema di riscossione delle imposte sui redditi, ai sensi del D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 5-ter, conv., con modif., dalla L. n. 156 del 2005, norma di interpretazione autentica del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 4, i ruoli sono formati e resi esecutivi anche mediante la cd. validazione informatica dei dati in essi contenuti, eseguita in via centralizzata dal sistema informativo dell’Amministrazione creditrice, che deve considerarsi equipollente alla sottoscrizione del ruolo stesso (Cass. n. 1449 del 20/01/2017; n. 23550 del 18/11/2015).
41. Con il secondo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma, n. 4, vizio di difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ex art. 112 c.p.c., poichè nella sentenza impugnata era stato precisato che “l’unico vincolo previsto consiste nell’obbligo di indicare in cartella la data di esecutorietà”, mentre l’oggetto delle censure riguardava la mancanza di esecutorietà del ruolo per mancanza di sottoscrizione.
41.1. Il motivo è infondato. La C.T.R. si è pronunciata sulla questione sollevata, affermando che sulla cartella risulta indicata la data in cui il ruolo è divenuto esecutivo e che, non prevedendo il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 la “apposizione della firma del responsabile del ruolo sull’atto”, la Agenzia aveva correttamente operato; così motivando il giudice di appello si è pronunciato escludendo il vizio denunciato.
42. Con il terzo motivo denuncia, “ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, art. 2697 cod. civ., artt. 112, 113 e 115 cod. proc. civ., nonchè insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per la controversia”, lamentando la errata statuizione della C.T.R. in merito ai vizi di notifica della cartella impugnata, effettuata a mezzo posta, concernenti la assenza di relata e la mancanza di prova della consegna al destinatario.
42.1. Il motivo è infondato.
42.2. In primo luogo la Corte ha già chiarito che “in tema di riscossione delle imposte, la notifica della cartella esattoriale può avvenire anche mediante invio diretto, da parte del concessionario, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, in quanto la seconda parte del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, comma 1, prevede una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario stesso ed all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva dei soggetti ivi indicati. In tal caso, la notifica si perfeziona con la ricezione del destinatario, alla data risultante dall’avviso di ricevimento, senza necessità di un’apposita relata, visto che è l’ufficiale postale a garantirne, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella, come confermato implicitamente dal citato art. 26, comma penultimo, secondo cui il concessionario è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o con l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione” (Cass. n. 16919 del 10/8/2016; ord. 6395 del 19/3/2014; n. 4567 del 6/3/2015).
Quanto, poi, all’eccepito difetto di prova della consegna al destinatario, la C.T.R. ha affermato che la prova si desume dalla documentazione allegata da Equitalia Nord s.p.a. e, di conseguenza, l’accertamento in fatto svolto dal giudice di appello non è censurabile in sede di legittimità.
42.3. La censura è inoltre inammissibile nella parte in cui si contesta la mancata corrispondenza tra la relata prodotta da Equitalia Nord s.p.a. nei gradi di merito e la cartella impugnata; l’omessa trascrizione della relata di notifica priva, invero, il ricorso di autosufficienza, in quanto qualora oggetto del motivo di ricorso per cassazione sia una relata di notifica, il principio di autosufficienza del ricorso esige la trascrizione integrale della relata stessa (Cass. n. 5185 del 28/2/2017; n. 17424 del 2/9/2015).
43. Con il quarto motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, artt. 2697 e 2713 cod. civ., artt. 112, 113 e 115 cod. proc. civ., nonchè insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per la controversia, lamentando la errata statuizione della C.T.R. in merito all’eccepito difetto di completezza dell’atto impugnato.
44. Con il quinto motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, artt. 2697 e 2713 cod. civ., artt. 112, 113 e 115 cod. proc. civ., nonchè insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per la controversia, lamentando che la C.T.R. avrebbe dato rilievo alla circostanza che il contribuente non si sarebbe attivato “al fine di ottenere una copia completa della cartella (incluse cioè le pagine mancanti)”.
44.1. Sono infondati anche il quarto ed il quinto motivo di ricorso.
44.2. Sul tema si registrano, invero, due diversi orientamenti della giurisprudenza di legittimità, ma questo Collegio intende aderire all’orientamento che risulta prevalente, in base al quale, ove il Concessionario si avvalga della facoltà, prevista dal D.P.R. 29 settembre 1913, n. 602, art. 26, di provvedere alla notifica della cartella esattoriale mediante raccomandata con avviso di ricevimento, ai fini del perfezionamento della notificazione è sufficiente – anche alla luce della disciplina dettata dal D.M. 9 aprile 2001, artt. 32 e 39 – che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento a carico dell’ufficiale postale se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente; ai predetti fini non si ritiene invece necessario che l’agente della riscossione dia la prova anche del contenuto del plico spedito con lettera raccomandata, dal momento che l’atto pervenuto all’indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo in forza della presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se lo stesso destinatario dia prova di essersi incolpevolmente trovato nell’impossibilità di prenderne cognizione (Cass. n. 5397 del 18/3/2016; n. 15315 del 4/7/2014; n. 9111 del 6/6/12; n. 20027 del 30/9/2011).
44.3. In altri termini, la prova dell’arrivo della raccomandata fa presumere l’invio e la conoscenza dell’atto, mentre l’onere di provare eventualmente che il plico non conteneva l’atto spetta non già al mittente (in tal senso, Cass. ord. n. 9533 del 12/5/2015; n. 2625/2015; n. 18252 del 30/7/2013; n. 24031 del 10/11/2006; n. 3562 del 22/2/2005), bensì al destinatario (in tal senso, oltre ai precedenti già citati, Cass. sez. 1^, 22 maggio 2015, n. 10630; conf. Cass. n. 24322 del 14/11/2014; n. 15315 del 4/7/2014; n. 23920 del 22/10/13; n. 16155 del 8/7/2010; n. 17417 del 8/8/2007; n. 20144 del 18/10/2005; n. 15802 del 28/7/2005; n. 22133 del 24/11/2004; n. 771 del 20/1/2004; n. 11528 del 25/7/2003; n. 4878/1992; 4083/1978; cfr. Cass. ord. n. 20786 del 2/10/2014, per la quale tale presunzione non opererebbe – con inversione dell’onere della prova – ove il mittente affermasse di avere inserito più di un atto nello stesso plico ed il destinatario contestasse tale circostanza).
44.4. L’orientamento prevalente risulta peraltro conforme al principio generale di c.d. vicinanza della prova, poichè la sfera di conoscibilità del mittente incontra limiti oggettivi nella fase successiva alla consegna del plico per la spedizione, mentre la sfera di conoscibilità del destinatario si incentra proprio nella fase finale della ricezione, ben potendo egli dimostrare (ed essendone perciò onerato), in ipotesi anche avvalendosi di testimoni, che al momento dell’apertura il plico era in realtà privo di contenuto.
44.5. Merita dunque di essere confermato il principio per cui, in tema di notifica della cartella esattoriale ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26 (così come, più in generale, in caso di spedizione di plico a mezzo raccomandata), la prova del perfezionamento del procedimento di notificazione è assolta dal notificante mediante la produzione dell’avviso di ricevimento, poichè, una volta pervenuta all’indirizzo del destinatario, la cartella esattoriale deve ritenersi a lui ritualmente consegnata, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 cod. civ., fondata sulle univoche e concludenti circostanze (integranti i requisiti di cui all’art. 2729 cod. civ.) della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale, e superabile solo ove il destinatario medesimo dimostri di essersi trovato, senza colpa, nell’impossibilità di prenderne cognizione, come nel caso in cui sia fornita la prova che il plico in realtà non conteneva alcun atto al suo interno (ovvero conteneva un atto diverso da quello che si assume spedito).
44.6. Ne consegue che, nel caso di specie, non avendo il contribuente fornito la prova dell’asserita assenza, all’interno della busta notificatagli, di parte dei fogli che componevano la cartella di pagamento impugnata, detta notifica deve ritenersi validamente perfezionata.
45. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, L. n. 212 del 2000, art. 7 e L. n. 241 del 1990, art. 3, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, lamentando la errata statuizione del giudice di appello in merito all’eccepito difetto di motivazione della cartella impugnata.
46. Con il settimo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, L. n. 212 del 2000, art. 7, L. n. 241 del 1990, art. 3, nullità della sentenza ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ. ed insufficiente, contraddittoria motivazione su punti decisivi per la controversia, lamentando che la C.T.R. avrebbe dato rilievo alla circostanza che il contribuente avrebbe potuto “chiedere chiarimenti (anche in fase dell’attuale giudizio) e contestare specifici errori di calcolo”.
46.1. Il sesto e settimo motivo sono inammissibili.
46.2. In tema di contenzioso tributario, è inammissibile, infatti, per difetto di autosufficienza, il ricorso per cassazione avverso la sentenza che abbia ritenuto legittima una cartella di pagamento ove sia stata omessa la trascrizione del contenuto dell’atto impugnato, restando preclusa al Giudice di legittimità la verifica della corrispondenza tra contenuto del provvedimento impugnato e quanto asserito dal contribuente (cfr. Cass. n. 17321 del 13/7/2017; n. 16010 del 29/7/2015).
Nella specie, il ricorrente ha omesso la trascrizione, nonostante la dettagliata censura, dianzi illustrata, circa la motivazione della cartella.
47. Ricorso n. 15361/13 R.G. Anche quest’ultimo ricorso ha per oggetto la impugnazione proposta avverso cartella di riscossione provvisoria degli avvisi di accertamento oggetto dei giudizi precedenti.
Con la sentenza n. 95/28/12 del 10/12/2012, la Commissione tributaria regionale del Piemonte ha rigettato l’appello proposto dal contribuente, respingendo tutte le doglianze fatte valere concernenti vizi propri della cartella e del ruolo.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 10, 25, D.P.R. n. 546 del 1992, art. 19, nonchè nullità della sentenza o del procedimento, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, lamentando errata statuizione della C.T.R. in merito all’eccepito difetto di sottoscrizione del ruolo.
48. Con il terzo motivo (erroneamente indicato come quarto in ricorso) denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 10, artt. 112, e 115 c.p.c., “nullità della sentenza o del procedimento”, nonchè “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio” e lamenta che la C.T.R. ha omesso di rispondere sulla specifica eccezione di mancanza di sottoscrizione del ruolo.
49. Con il quarto motivo (erroneamente indicato come quinto in ricorso) il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 10, 12 e 25, D.P.R. n. 546 del 1992, art. 19, nonchè omessa o contraddittoria motivazione, ribadendo che la sottoscrizione è un elemento essenziale affinchè il ruolo acquisti efficacia esecutiva e che la C.T.R. ha affermato che non era in dubbio la provenienza di tale documento dalla Amministrazione e che tale circostanza fosse di per sè sufficiente a superare la mancanza di prova della sottoscrizione.
49.1. Il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso sono infondati per le ragioni già esposte ai paragrafi 40 e 40.1. con riguardo ad analoghe censure fatte valere dal R. con il ricorso iscritto al n. 11680/13 R.G. e non sono pertanto ravvisabili nè le denunciate violazioni di legge, nè i vizi di omessa pronuncia o di insufficiente o contraddittoria motivazione, considerato che il giudice di appello, pronunciandosi espressamente sulla questione, ha posto in rilievo che i ruoli formati direttamente dall’ente creditore sono redatti, firmati e consegnati, mediante trasmissione telematica, ai competenti concessionari del servizio nazionale della riscossione e che la eventuale mancanza di sottoscrizione della cartella non comporta nè nullità, nè annullabilità dell’atto.
49.2. Nel D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, u.c., manca, infatti, qualsiasi espressa previsione della sanzione legale della nullità del ruolo per omessa sottoscrizione, costituendo ius receptum il principio che, in mancanza di una sanzione espressa, opera la presunzione generale di riferibilità dell’atto amministrativo all’organo da cui promana, così come la giurisprudenza di legittimità ha chiarito nei più vari contesti, quali ad esempio la cartella esattoriale (cfr. Cass. n. 13461 del 2012), il diniego di condono (Cass. n. 11458 del 2012), l’avviso di mora (cfr. Cass. n. 4283 del 2010), l’attribuzione di rendita (cfr. Cass. n. 8248 del 2006), l’ordinanza-ingiunzione (cfr. Cass. n. 13375 del 2009) e diversamente da quel che accade per l’avviso di accertamento che, se non sottoscritto, è nullo per tassativa previsione di legge (cfr. Cass. n. 18758 del 2014; cfr. D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56).
49.3. In assenza dell’espressa previsione di elementi formali a pena di nullità, rileva, dunque, unicamente che l’atto sia riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo, a meno che non si dimostri, con onere della prova a carico di colui che l’allega, l’insussistenza del potere o della provenienza, ipotesi che non ricorre nel caso in esame.
50. Con il quinto motivo (erroneamente indicato come sesto in ricorso) ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, L. n. 241 del 1990, art. 21 septies e L. n. 212 del 2000, art. 7, artt. 24 e 111 Cost., art. 2697 cod. civ., artt. 112, 113 e 115 cod. proc. civ., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione”, lamentando che la cartella non è stata redatta in conformità al modello ministeriale all’epoca in vigore.
51. Con il sesto motivo (erroneamente indicato come settimo in ricorso) ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, L. n. 212 del 2000, art. 7, art. 2697 cod. civ., artt. 112, 113 e 115 cod. proc. civ. ed “omessa o comunque insufficiente e contraddittoria pronunzia sopra punti decisivi della controversia”, nonchè nullità della sentenza o del procedimento, evidenziando che, a fronte dell’eccepito difetto di motivazione della cartella esattoriale, la C.T.R. ha erroneamente ritenuto “sufficiente una motivazione inesistente”.
52. Con il settimo motivo (erroneamente indicato come ottavo in ricorso) ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 20, L. n. 212 del 2000, art. 7, artt. 112, 113 e 115 cod. proc. civ. ed “omessa o comunque insufficiente e contraddittoria pronunzia sopra punti decisivi della controversia”, sottolineando che, in riferimento alle contestazioni concernenti il calcolo degli interessi, dell’aggio e delle spese di notifica riportato nelle cartelle impugnate, la C.T.R. si è limitata ad affermare che, risultando indicata la data di esecutività dei ruoli, il contribuente fosse in grado di calcolare gli interessi.
53. Con l’ottavo motivo (erroneamente indicato come nono in ricorso) ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, e 5, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 17, e D.M. 4 agosto 2000, nonchè “omessa o comunque insufficiente e contraddittoria pronunzia sopra punti decisivi della controversia”, lamentando che la C.T.R. avrebbe erroneamente ritenuto insussistente la carenza di motivazione per mancata indicazione del calcolo dei compensi del concessionario e delle spese di notifica riportati nelle cartelle impugnate.
53.1. Il quinto, il sesto, il settimo ed ottavo motivo di ricorso sono inammissibili per le ragioni già evidenziate al paragrafo 46.2. con riguardo alle censure svolte con il ricorso iscritto al n. 11680/13 R.G. 54. Con l’ottavo motivo dedotto con il ricorso iscritto al n. 11680/13 R.G. e con il primo motivo dedotto con il ricorso iscritto al n. 15361/13 R.G., il R. lamenta “violazione e falsa applicazione del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, convertito in L. n. 44 del 2012, nonchè motivazione insufficiente, contraddittoria o illogica su punti decisivi per la controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.
Si duole, in particolare, del fatto che la C.T.R., sebbene diverse voci delle cartelle impugnate si riferiscano alle imposte dirette, non abbia tenuto conto della disposizione normativa sopravvenuta, richiamata in rubrica, che esplica efficacia in relazione ad accertamenti non ancora definitivi.
54.1. In relazione al tema della applicabilità dello ius superveniens di cui al D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, convertito in L. n. 44 del 2012, alle cartelle di riscossione in esame, operano gli stessi principi già sopra richiamati per gli avvisi di accertamento (v. paragrafi 31.4 e 31.5), attesa la dipendenza delle cartelle di pagamento dagli atti impositivi oggetto dei precedenti giudizi, trattandosi, come già detto, di cartelle frazionate dei suddetti avvisi di accertamento.
56. Alla luce di tali argomentazioni, respinte tutte le altre censure, in accoglimento dell’ottavo motivo dedotto con il ricorso n. 11680/13 R.G., la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Commissione Tributaria del Piemonte, in diversa composizione, per il riesame e per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità; in accoglimento del primo motivo dedotto con il ricorso n. 15361/13 R.G., rigettate le altre censure, la sentenza va cassata in relazione alla denegata applicazione dello ius superveniens di cui al D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, convertito in L. n. 44 del 2012, con rinvio della causa alla Commissione Tributaria del Piemonte, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.
P.Q.M.
riuniti al presente ricorso n. 27505/10 R.G. i ricorsi nn. 8403/11 R.G., 14657/12 R.G., 11680/13 R.G. e 15361/13 R.G., la Corte accoglie, quanto al ricorso n. 27505/10 R.G., il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo ed il ricorso incidentale; quanto al ricorso n. 8403/11 R.G., accoglie il quarto ed il sesto motivo, assorbiti tutti gli altri; quanto al ricorso n. 14657/12 R.G., accoglie il terzo motivo nei limiti indicati in motivazione ed integralmente il decimo, rigettati tutti gli altri; quanto al ricorso n. 11680/13 R.G., accoglie l’ottavo motivo, respinti gli altri e corrispondentemente cassa le sentenze impugnate in relazione ai motivi accolti; decidendo sul ricorso n. 15361/13 R.G., cassa altresì la sentenza impugnata in relazione alla denegata applicazione dello ius superveniens di cui al D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, convertito in L. n. 44 del 2012; rinvia alla Commissione tributaria del Piemonte, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese relative a tutti i riuniti giudizi di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 febbraio 2018.
Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2018