Lettera di richiesta del Rimborso spese di notifica

Ai sensi dell’art. 10 della L. 265/1999:

ART. 10. (Notificazioni degli atti delle pubbliche amministrazioni).
l. Le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n.29, e successive modificazioni, possono avvalersi, per le notificazioni dei propri atti, dei messi comunali, qualora non sia possibile eseguire utilmente le notificazioni ricorrendo al servizio postale o alle altre forme di notificazione previste dalla legge.
2. Al comune che vi provvede spetta da parte dell’amministrazione richiedente, per ogni singolo atto notificato, oltre alle spese di spedizione a mezzo posta raccomandata con avviso di ricevimento, una somma determinata con decreto dei Ministri del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, dell’interno e delle finanze.
3. L’ente locale richiede, con cadenza semestrale, alle singole Amministrazioni dello Stato la liquidazione e il pagamento delle somme spettanti per tutte le notificazioni effettuate per conto delle stesse Amministrazioni, allegando la documentazione giustificativa. Alla liquidazione e al pagamento delle somme dovute per tutte le notificazioni effettuate per conto della stessa Amministrazione dello Stato provvede, con cadenza semestrale, il dipendente ufficio periferico avente sede nella provincia di appartenenza dell’ente locale interessato. Le entrate di cui al presente comma sono interamente acquisite al bilancio comunale e concorrono al finanziamento delle spese correnti.
4. Sono a carico dei comuni le spese per le notificazioni relative alla tenuta e revisione delle liste elettorali. Le spese per le notificazioni relative alle consultazioni elettorali e referendarie effettuate per conto dello Stato, della regione e della provincia, sono a carico degli enti per i quali si tengono le elezioni e i referendum. Ai conseguenti oneri si provvede a carico del finanziamento previsto dal decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica di cui al comma 8 dell’articolo 55 della legge 27 dicembre 1997, n.449.
5. Il primo comma dell’articolo 12 della legge 20 novembre 1982, n.890, e’ sostituito dal seguente: “Le norme sulla notificazione degli atti giudiziari a mezzo della posta sono applicabili alla notificazione degli atti adottati dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n.29, e successive modificazioni, da parte dell’ufficio che adotta l’atto stesso”.
6. Dopo il quinto comma dell’articolo 18 della legge 24 novembre 1981, n.689, e’ inserito il seguente: “La notificazione dell’ordinanza-ingiunzione può essere eseguita dall’ufficio che adotta l’atto, secondo le modalità di cui alla legge 20 novembre 1982, n.890”. 7. Ciascuna Amministrazione dello Stato individua l’unita’ previsionale di base alla quale imputare gli oneri derivanti dall’attuazione del presente articolo entro i limiti delle relative dotazioni di bilancio.
Scarica la lettera: Richiesta Rimborso spese di notifica
Leggi: DM 3 10 2006 aggiornamento spese di notifica

Il GDPR – General Data Protection Regulation – Regolamento generale sulla protezione dei dati personali

Il GDPR – General Data Protection Regulation – Regolamento generale sulla protezione dei dati sarà operativo dal 25 maggio 2018 anche in Italia

Il Garante italiano ha differito di sei mesi i controlli, e quindi le sanzioni derivanti dagli stessi, sull’applicazione del GDPR.

Citiamo testualmente:

“Il Garante italiano si pone nella stessa scia del CNIL, l’Autorità garante francese, che ha dichiarato l’istituzione di un grace period durante il quale non sanzionerà le aziende che, a seguito di ispezioni, dovessero risultare inadempienti rispetto ai nuovi obblighi introdotti dal Regolamento europeo 2016/679 (purché i titolari siano in buona fede, dimostrino di avere avviato un processo di adeguamento e uno spirito di collaborazione con l’Autorità); resteranno sanzionabili le condotte che violano regole già consolidate da tempo nella normativa nazionale e confermati dal GDPR. Resta ovviamente inteso che le suddette Autorità non hanno – né avrebbero potuto farlo – prorogato la piena operatività del GDPR, che rimane il 25 maggio 2018.”

ATTENZIONE: questo non significa che non si debba adeguare  a quanto previsto dal GDPR, ma che i possibili controlli non partiranno immediatamente.


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 21-03-2018) 11-05-2018, n. 11504

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21689-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

F.A., EQUITALIA NORD SPA;

– intimati –

Nonché da:

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA LARGO LUIGI ANTONELLI 2, presso lo studio dell’avvocato PAOLO SPATARO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente incidentale – contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, EQUITALIA NORD SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 95/2013 della COMM.TRIB.REG. di MILANO, depositata il 06/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/03/2018 dal Consigliere Dott. LIANA MARIA TERESA ZOSO.

Svolgimento del processo
1. F.A. impugnava la cartella di pagamento notificata da Equitalia Nord S.p.A. sostenendo la mancata notifica dell’avviso di accertamento e dell’atto di contestazione delle sanzioni che costituivano gli atti prodromici. La commissione tributaria provinciale di Milano accoglieva il ricorso con sentenza che era confermata dalla CTR della Lombardia sul rilievo che gli atti prodromici all’emissione della cartella impugnata non risultavano ritualmente notificati in quanto il contribuente aveva trasferito la residenza nel comune di (OMISSIS) in data 11 ottobre 2010 mentre l’avviso di accertamento e l’atto di contestazione delle sanzioni erano stati notificati il 3 dicembre 2010 presso il precedente indirizzo di (OMISSIS).

2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione l’agenzia delle entrate affidato ad un motivo. Il contribuente si è costituito in giudizio con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale condizionato affidato ad un motivo. Equitalia Nord S.p.A. non si è costituita in giudizio.

3. Con l’unico motivo l’agenzia delle entrate deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 58 e 60. Sostiene che, avendo il contribuente trasferito la propria residenza in un altro Comune, la variazione del domicilio fiscale avrebbe avuto effetto decorsi 60 giorni dal trasferimento, a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, di talchè la notifica che era stata effettuata a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. e, era rituale.

4. Con l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato il contribuente deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 57. Sostiene che nel giudizio di appello l’agenzia delle entrate aveva introdotto inammissibilmente una domanda nuova poichè solo in tale giudizio aveva affermato la legittimità della notifica richiamando il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58.

Motivi della decisione
1. Osserva la Corte che l’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso svolta dal controricorrente per non aver l’agenzia delle entrate trascritto nel ricorso il contenuto della cartella impugnata è infondata. Invero il ricorso verte sulla corretta applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 58 e 60 ed i fatti sono stati esposti in modo da rendere chiaramente intellegibili le ragioni della censura ed i punti della sentenza oggetto di doglianza, per il che appare assolto l’onere della specificità.

2. Il motivo di ricorso principale è fondato. Ciò in quanto la Corte di legittimità ha più volte affermato il principio secondo cui la disciplina delle notificazioni degli atti tributari si fonda sul criterio del domicilio fiscale e sull’onere preventivo del contribuente di indicare all’ufficio tributario il proprio domicilio fiscale e di tenere detto ufficio costantemente informato delle eventuali variazioni, di guisa che il mancato adempimento, originario o successivo, di tale onere di comunicazione legittima l’ufficio procedente ad eseguire le notifiche comunque nel domicilio fiscale per ultimo noto, eventualmente nella forma semplificata di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, lett. e), non potendosi addossare all’Amministrazione l’onere di ricercare il contribuente fuori del domicilio stesso (Cass. n. 25272 del 28/11/2014; Cass. n. 1206 de120 gennaio 2011). Ciò posto, considerato che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58 prevede che le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato hanno il domicilio fiscale nel comune nella cui anagrafe sono iscritte (comma 2) e che le cause di variazione del domicilio fiscale hanno effetto dal sessantesimo giorno successivo a quello in cui si sono verificate (comma 5), la notifica degli atti prodromici, nel caso di specie, è stata legittimamente effettuata, in mancanza di comunicazione della variazione da parte del contribuente, presso l’indirizzo pregresso di (OMISSIS), posto che dalla sentenza impugnata si evince che la notifica ha auto luogo il 3.12.2000 (sul punto il contribuente non ha svolto ricorso incidentale) e che il trasferimento di residenza nel Comune di (OMISSIS) ha avuto luogo in data 11.10.2010.

3. Il motivo di ricorso incidentale condizionato è infondato in quanto non costituisce domanda nuova, inammissibile ove proposta per la prima volta nel giudizio di appello, la prospettazione di una qualificazione giuridica della fattispecie diversa, in quanto disciplinata da norme in precedenza non invocate, ove la ricostruzione si fondi sui medesimi fatti.

4. Il ricorso principale va, dunque, accolto, il ricorso incidentale va rigettato. L’impugnata decisione va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia in diversa composizione che, adeguandosi ai principi esposti, procederà alle necessarie verifiche e deciderà nel merito oltre che sulle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale, cassa l’impugnata decisione e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2018


La firma CAdES e la firma PAdES sono equivalenti?

La questione è stata sollevata a seguito di eccezione circa la ritualità della notifica di un controricorso, avvenuta con allegazione al messaggio di PEC di tre files con estensione <*.pdf> e non <*.p7m>, e, quindi, da ritenersi privi di firma digitale.

Con ordinanza interlocutoria (Cass., 31/08/2017, n. 20672), la sez. 6-3 ha investito le Sezioni Unite della quaestio juris relativa alla scelta tra l’alternativa PAdES, opzionata da uno dei controricorrenti, o CAdES della modalità strutturale dell’atto del processo in forma di documento informatico e firmato da notificare direttamente dall’avvocato, circa la configurabilità o meno, al riguardo, ed in particolare, quando l’atto da notificare comprende anche la procura speciale indispensabile per la ritualità del ricorso o del controricorso in sede di legittimità, di una prescrizione sulla forma dell’atto indispensabile al raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156, secondo comma, cod. proc. civ., posta a pena di nullità, nonché, nella stessa fattispecie, sull’applicabilità del principio di sanatoria dell’atto nullo in caso di raggiungimento dello scopo.

L’ordinanza di rimessione

Il formato dell’atto del processo quale documento informatico è regolato dal provvedimento ministeriale del 28/12/2015, art. 12. La struttura del documento firmato è PAdES o CAdES e, nel caso del formato CAdES, il file generato si presenta con un’unica estensione <*.p7m>.

Secondo il collegio rimettente sarebbe sempre indispensabile l’estensione <*.p7m> a garanzia unica dell’autenticità del file, cioè dell’apposizione della firma digitale al file in cui il documento informatico originale è stato formato, solo per il caso in cui il documento informatico originale è creato in formato diverso da quello <*.pdf>.

Ciò sarebbe confermato dal rilievo che la notifica insieme all’atto del processo in forma di documento informatico di un allegato è consentita se questo è in formato <*.pdf>, ma, se il secondo è firmato digitalmente, dovrebbe quest’ultimo appunto recare sempre l’estensione <*.p7m>, a garanzia della sua autenticità (art. 12, comma 2 e art. 13, lett. a), provv. 28/12/2015).

Secondo il collegio rimettente, pertanto,

parrebbe dirsi che con l’imposizione dell’elaborazione del file in documento informatico con estensione <*.p7m> il normatore tecnico abbia inteso offrire la massima garanzia possibile, allo stato, di conformità del documento, non creato ab origine in formato informatico ma articolato anche su di una parte o componente istituzionalmente non informatica, quale la procura a firma analogica su supporto tradizionale, al suo originale composito, incorporando appunto i due documenti in modo inscindibile e, per quel che rileva ai fini processuali e soprattutto-se non altro con riferimento alla presente fattispecie – della regolare costituzione nel giudizio di legittimità (per la quale è da sempre stata considerata quale presupposto indispensabile la ritualità della procura speciale), con assicurazione di genuinità ed autenticità di entrambi in quanto costituenti un unicum”.

In tale prospettiva, per il collegio non dovrebbero poter giovare i precedenti delle sezioni unite e delle sezioni semplici, riferiti al documento nativo analogico, notificato in via telematica con estensione <*.doc> anziché <*.pdf>, ovvero ad un atto trasmesso mediante file con estensione <*.p7m> dedotto come illeggibile ma comunque decifrato, ovvero riguardanti il principio generale dell’insussistenza di un diritto all’astratta regolarità del processo,

visto che l’intrinseca esistenza dell’atto e della procura attiene ad elementi talmente coessenziali dell’uno e dell’altro ai fini di una valida instaurazione del rapporto processuale dinanzi al giudice di legittimità da suggerirne come indispensabile la verifica ufficiosa”.

La normativa italiana

Il processo telematico non è stato ancora esteso dal legislatore al giudizio di cassazione, che resta, ad oggi, un processo essenzialmente analogico.

Fanno eccezione solo le comunicazioni e le notificazioni da parte delle cancellerie delle sezioni civili, secondo quanto previsto dal d.m. 19 gennaio 2016, emesso ai sensi del d.I., 18/10/2012, art. 16, comma 10.

Per tale ragione, si rende necessario estrarre copie analogiche (cioè cartacee) degli atti digitali, secondo il combinato disposto degli artt. 3, 3-bis, 6 e 9 legge, 21/01/1994 n.53 e dell’art. 23, comma 1, cod. amm. Digitale, secondo cui l’avvocato, in qualità di pubblico ufficiale, ha il potere di attestare la conformità agli originali digitali delle copie del messaggio di posta elettronica certificata inviato all’avvocato di controparte, delle ricevute di accettazione e di avvenuta consegna, nonché degli atti allegati, compresivi dalla relazione di notificazione.

La normativa europea

Nella sentenza in esame, la Suprema Corte richiama la Decisione di esecuzione (UE) 2015/1506 della Commissione dell’8 settembre 2015, che stabilisce le specifiche relative ai formati delle firme elettroniche avanzate e dei sigilli avanzati che gli organismi del settore pubblico devono riconoscere, di cui all’art. 27, § 5, e all’art. 37, § 5, del Regolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno.

L’art. 1 stabilisce che

Gli Stati membri che richiedono una firma elettronica avanzata o una firma elettronica avanzata basata su un certificato qualificato, […], riconoscono la firma elettronica avanzata XML, CMS o PDF […]”.

L’allegato alla decisione, nel fissare l’elenco delle specifiche tecniche, stabilisce che

Le firme elettroniche avanzate di cui all’articolo 1 della decisione devono rispettare una delle seguenti specifiche tecniche ETSI, […]: Profilo di base XAdES […]. Profilo di base CAdES […]. Profilo di base PAdES […]”.

Il considerando della medesima decisione chiarisce che il Regolamento (UE) n. 910/2014 obbliga gli Stati membri, che richiedono una firma elettronica avanzata, a riconoscere le firme elettroniche avanzate, aventi formati convalidati conformemente a specifici metodi di riferimento, atteso che, in base al considerando,

Le firme elettroniche avanzate e i sigilli elettronici avanzati sono simili dal punto di vista tecnico”, laddove, in base al considerando, “La definizione di formati di riferimento è intesa a facilitare la convalida transfrontaliera delle firme elettroniche e a migliorare l’interoperabilità transfrontaliera delle procedure elettroniche”.

Pertanto, osservano le Sezioni Unite, che, secondo il diritto dell’Unione,

le firme digitali di tipo CAdES, ovverosia CMS (Cryptographic Message Syntax) Advanced Electronic Signatures, oppure di tipo PAdES, ovverosia PDF (Portable Document Format) Advanced Electronic Signature, che qui interessano, sono equivalenti e devono essere riconosciute e convalidate dai Paesi membri, senza eccezione alcuna”.

Invero,

al fine di garantire una disciplina uniforme della firma digitale nell’UE, sono stati adottati degli standards europei mediante il cd. regolamento eIDAS (electronic IDentification, Authentication and trust Services, ovverosia il Reg. UE, n. 910/2014, cit.) e la consequenziale decisione esecutiva (Comm. UE, 2015/1506, cit.), che impongono agli Stati membri di riconoscere le firme digitali apposte secondo determinati standards tra i quali figurano sia quello CAdES sia quello PAdES (Cons. Stato, Sez. 3, 27/11/2017, n. 5504)”.

La nozione di firma digitale e le differenze tra PAdES e CAdES

Secondo l’Agenzia per l’Italia Digitale, la firma digitale è il risultato di una procedura informatica – detta validazione – che garantisce l’autenticità e l’integrità di documenti informatici.

Essa conferisce al documento informatico le peculiari caratteristiche di:

  1. a) autenticità (perché garantisce l’identità digitale del sottoscrittore del documento);
  2. b) integrità (perché assicura che il documento non sia stato modificato dopo la sottoscrizione);
  3. c) non ripudio (perché attribuisce validità legale al documento).

Osservano i Giudici che

la stessa Agenzia precisa che la firma digitale in formato CAdES dà luogo ad un file con estensione finale <*.p7m> e può essere apposta a qualsiasi tipo di file, ma per visualizzare il documento oggetto della sottoscrizione è necessario utilizzare un’applicazione specifica. Invece, la firma digitale in formato PAdES, più nota come «firma PDF», è un file con normale estensione <*.pdf>, leggibile con i comuni readers disponibili per questo formato; inoltre prevede diverse modalità per l’apposizione della firma, a seconda che il documento sia stato predisposto o meno ad accogliere le firme previste ed eventuali ulteriori informazioni, il che rende sì il documento più facilmente fruibile, ma consente di firmare solo documenti di tipo PDF. Dunque, anche l’Agenzia certifica la piena equivalenza, riconosciuta a livello europeo, delle firme digitali nei formati CAdES e PAdES”.

In realtà, precisano le Sezioni Unite,

sin dal 2006 il CNIPA (Centro nazionale per l’informatica nella Pubblica amministrazione), organismo all’epoca competente, e la società titolare del marchio (Adobe Systems) fu sottoscritto un protocollo, che riconobbe il formato PDF valido per la firma digitale, così come definita dal Codice dell’amministrazione digitale e in conformità alla Delib. CNIPA/4/2005”.

La firma nel processo civile

L’art. 12 del decreto dirigenziale del 16 aprile 2014 (contenente le Specifiche tecniche previste dall’art. 34 d.m. 21 febbraio 2011 n. 44), stabilisce, al primo comma, che

L’atto del processo in forma di documento informatico, da depositare telematicamente all’ufficio giudiziario, rispetta i seguenti requisiti:

a) è in formato PDF;

b) è privo di elementi attivi;

c) è ottenuto da una trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti; non è pertanto ammessa la scansione di immagini;

d) è sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata esterna secondo la struttura riportata ai commi seguenti;

e) è corredato da un file in formato XML, che contiene le informazioni strutturate nonché tutte le informazioni della nota di iscrizione a ruolo, e che rispetta gli XSD riportati nell’Allegato 5; esso è denominato DatiAtto.xml ed è sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata”.

Al secondo comma, precisa:

La struttura del documento firmato è PAdES-BES (o PAdES Part 3) o CAdES-BES; il certificato di firma è inserito nella busta crittografica; è fatto divieto di inserire nella busta crittografica le informazioni di revoca riguardanti il certificato del firmatario. La modalità di apposizione della firma digitale o della firma elettronica qualificata è del tipo «firme multiple indipendenti» o «parallele», e prevede che uno o più soggetti firmino, ognuno con la propria chiave privata, lo stesso documento (o contenuto della busta). L’ordine di apposizione delle firme dei firmatari non è significativo e un’alterazione dell’ordinamento delle firme non pregiudica la validità della busta crittografica; nel caso del formato CAdES il file generato si presenta con un’unica estensione p7m. Il meccanismo qui descritto è valido sia per l’apposizione di una firma singola che per l’apposizione di firme multiple”.

Concludono i Giudici

Dunque, secondo la normativa nazionale, la struttura del documento firmato può essere indifferentemente PAdES o CAdES. Il certificato di firma è inserito nella busta crittografica, che è pacificamente presente in entrambi gli standards abilitati (www.agid.gov.it/sites/default/files/linee guida/firme multiple.pdf) a mente dell’art. 1, lett. y) – z), del decreto dirigenziale del 16 aprile 2014. Solo nel caso del formato CAdES l’art. 12 è, ovviamente, tenuto a precisare che il file generato si presenta denominato coll’estensione finale <*.p7m>, detta anche suffisso, ovverosia <nomefile.pdf.p7m>. Nel caso del formato PAdES, invece, l’art. 12 non dà alcuna indicazione, perché tecnicamente il file sottoscritto digitalmente secondo tale standard mantiene il comune aspetto, che è solo apparentemente indistinguibile, poiché la busta crittografica generata con la firma PAdES contiene sempre il documento, le evidenze informatiche e i prescritti certificati. Il che offre tutte le garanzie e verifiche del caso, anche secondo il diritto euro-unitario (http://www.agid.gov.it/agenda-digitale/infrastrutture- architetture/firme-elettroniche/software-verifica)”.

Venendo alle conclusioni, secondo gli ermellini

si deve escludere che le disposizioni tecniche tuttora vigenti (pure a livello di diritto dell’UE) comportino in via esclusiva l’uso della firma digitale in formato CAdES, rispetto alla firma digitale in formato PAdES. Né sono ravvisabili elementi obiettivi, in dottrina e prassi, per poter ritenere che solo la firma in formato CAdES offra garanzie di autenticità, laddove il diritto dell’UE e la normativa interna certificano l’equivalenza delle due firme digitali, egualmente ammesse dall’ordinamento sia pure con le differenti estensioni <*.p7m> e <*.pdf>. Addirittura, nel processo amministrativo telematico, per ragioni legate alla piattaforma interna, è stato adottato il solo standard PAdES (artt. 1, 5, 6, specifiche tecniche p.a.t., d.P.R. 16/02/2016, n. 40), mentre la giurisprudenza amministrativa riconosce la validità degli standards dell’UE tra i quali figurano, come già detto, sia quello CAdES, sia quello PAdES (Cons. Stato, n. 5504/2017, cit.)”.

Leggi: Cass. Sez. Unite 10266-2018 Equiparazione firma CADES e PADES


Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 21/12/2017) 04/05/2018, n. 10776

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 322/2017 proposto da:

COMUNE GAIBA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 21, presso lo studio dell’avvocato LORENZO SCIUBBA, rappresentato e difeso dall’avvocato RUGGERO MOLLO;

– ricorrente –

contro

P.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 702/1/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di VENEZIA, depositata il 26/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 21/12/2017 dal Consigliere Don. LUCA SOLAINI.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con ricorso in Cassazione affidato a tre motivi, nei cui confronti la parte contribuente non ha spiegato difese scritte, l’ente impositore impugnava la sentenza della CTR del Veneto, relativa ad alcuni avvisi di accertamento Tarsu/Tia per il periodo 2007-2011 riferiti a una maggiore superficie catastale degli immobili oggetto d’imposizione.

Il ricorrente comune denuncia, con un primo motivo, la nullità del procedimento, per violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1 e 17 e degli artt. 291 e 350 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto, erroneamente, la CTR aveva ritenuto valida la notifica dell’appello eseguita con consegna all’addetto dell’ufficio protocollo del comune, piuttosto che presso lo studio del difensore nominato in primo grado dove l’ente aveva eletto domicilio.

Con un secondo motivo, il ricorrente comune deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 324 c.p.c. e art. 329 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto, i giudici d’appello, avevano annullato gli atti impugnati per una violazione di quanto stabilito dal D.L. n. 201 del 2011, art. 14, comma 9, senza che l’appellante avesse proposto la relativa censura.

Con un terzo motivo, proposto in via subordinata, il ricorrente comune deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 70 e 73, D.L. n. 201 del 2011, art. 14, comma 9, convertito con L. n. 2014 del 2011, in relazione all’art. 360, comma 1 (senza indicazione del numero), in quanto, le norme di cui alla rubrica riguardano la Tares e sono entrate in vigore a decorrere dal 1 gennaio 2013, mentre, gli avvisi d’accertamento opposti riguardavano la Tarsu per le annualità 2007-2011. Il Collegio ha deliberato di adottare la presente decisione in forma semplificata.

E’ fondato il primo motivo, con assorbimento dei restanti, in quanto, la notifica dell’appello del contribuente, effettuata mediante notifica a mezzo posta ordinaria solo presso la Casa municipale (v. p. 2 del ricorso) è nulla per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 1, in quanto doveva essere effettuata presso il domicilio eletto in primo grado (vedi procura a margine delle controdeduzioni in primo grado, allegate, ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, ai fini dell’autosufficienza) mentre, l’ipotesi della consegna “a mani proprie” poteva realizzarsi solo con la consegna a mani del legale rappresentate. D’altra parte, la notifica non è inesistente ma nulla (Cass. sez. un. n. 14916/16) e dovrà essere rinnovata, ex art. 291 c.p.c.. Va, conseguentemente, accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, e la sentenza va cassata e la causa va rinviata alla Commissione tributaria regionale del Veneto, affinchè, alla luce dei principi sopra esposti, riesamini il merito della controversia.

P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in diversa composizione.

Motivazione semplificata.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2018


Mobilità volontaria: Comune di Gorgonzola (MI)

Il Comune di Gorgonzola (Città metropolitana di Milano) ha la necessità di procedere all’assunzione URGENTE (da: prima possibile) di un  collaboratore amministrativo – messo comunale, categoria B3, a tempo pieno e indeterminato.

Si  chiede pertanto di conoscere l’interesse alla mobilità volontaria presso il predetto Ente di personale appartenente a tale categoria professionale, si chiede altresì l’esistenza di eventuali graduatorie concorsuali per assunzioni a tempo indeterminato in corso di validità, per la predetta categoria e profilo professionale, da cui poter  attingere previa sottoscrizione di apposita convenzione.

Per informazioni:

Dott.ssa Rosamarina Facchinetti

Responsabile dei servizi di Amministrazione generale e Gestione delle Risorse Umane

Città di Gorgonzola

Via Italia 62 – 20064 Gorgonzola MI

(Ingresso Piazzetta C. Ripamonti – 20064 Gorgonzola MI)

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Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 19/12/2017) 06/04/2018, n. 8472

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22955/2014 proposto da:

EQUITALIA SUD SPA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA ADOLFO GANDIGLIO 27, presso lo studio dell’avvocato EMIDDIO PERRECA, rappresentato e difeso dall’avvocato GENNARO DI MAGGIO;

– ricorrente –

contro

GARAGE MARIA DI P.B. & C. SAS, elettivamente domiciliato in ROMA VIA CESARE FEDERICI 2, presso lo studio dell’avvocato MARIA CONCETTA ALESSANDRINI, rappresentato e difeso dagli avvocati MARIO DI TUORO, MAURIZIO SPIRITO, NUNZIA VISCONTI;

– controricorrente –

e contro

COMUNE DI NAPOLI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1549/2014 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI, depositata il 14/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 19/12/2017 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO.

Svolgimento del processo
che:

Equitalia Sud S.p.A. ricorre, svolgendo un solo motivo di censura, per la cassazione della sentenza n. 1549/45/14 della CTR Campania, la quale, in controversia riguardante l’impugnazione di una intimazione di pagamento, promossa dalla società contribuente Garage Maria di P.B. & C. S.a.S., rigettava l’appello proposto dalla concessionaria, sul presupposto della irregolare notifica della cartella di pagamento presupposta emessa per TARSU, annullando l’atto impugnato. Si è costituito con controricorso la società Garage Maria s.a.s. di B.P. e C.. La società di riscossione ha depositato memorie.

Motivi della decisione
che:

1. Con l’unico motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, artt. 138, 139 e 141 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), atteso che la CTR non avrebbe correttamente interpretato le norme riguardanti la notifica degli atti, effettuata a mezzo posta ad una società in accomandita semplice, presso la sede di tale società ed a persona qualificatasi come familiare convivente. Nella specie, le attestazioni dell’ufficiale notificante in ordine al rapporto tra il soggetto che riceva in consegna l’atto e il destinatario dello stesso fanno fede fino a querela di falso.

1.1. Il motivo è infondato.

Invero, qualora la notifica di una cartella di pagamento nei confronti di una società sia eseguita direttamente dal concessionario mediante raccomandata con avviso di ricevimento, del D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 26, comma 1, seconda parte, per il relativo perfezionamento è sufficiente che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento ad opera dell’ufficiale postale, se non di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la propria firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente, dovendosi escludere, stante l’alternatività di tale disciplina speciale rispetto a quella dettata dalla L. n. 890 del 1982 e dal codice di rito, l’applicabilità delle disposizioni in tema di notifica degli atti giudiziari e, in specie, dell’art. 145 c.p.c. (Cass. n. 23511 del 2016).

Nella specie, la notificazione della cartella di pagamento, eseguita presso la sede della società, a mani di persona qualificatasi “familiare convivente”, non risulta effettuata in modo giuridicamente corretto, dovendosi rilevare la peculiarità della notificazione eseguita non a persona fisicatma presso la sede della società.

E’ noto al Collegio 1″indirizzo di questa Corte secondo cui:

“Ove la consegna del piego raccomandato sia avvenuta a mani di un familiare convivente con il destinatario, ai sensi della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 7, deve presumersi che l’atto sia giunto a conoscenza dello stesso, restando irrilevante (anche) ogni indagine sulla riconducibilità del luogo di detta consegna fra quelli indicati dall’art. 139 c.p.c., in quanto il problema della identificazione del luogo ove è stata eseguita la notificazione rimane assorbito dalla dichiarazione di convivenza resa dal consegnatario dell’atto, con la conseguente irrilevanza esclusiva della prova della non convivenza, che il destinatario ha l’onere di fornire” (Cass. n. 6345 del 2013; Cass. n. 599 del 1998), ma tale forma di notifica non può ritenersi rituale, se eseguita presso la sede legale della società.

Va, invero, rilevata una distinzione tra l’ipotesi in cui la notifica venga eseguita nel luogo di residenza del legale rappresentante della società, ed il caso in cui la notifica venga eseguita presso la sede della società.

E’ incontroverso che la notifica della cartella di pagamento presupposta all’intimazione venne effettuata in data 11.2.2002 presso la sede della società Garage Maria di P.B. & C. S.a.s.. L’art. 145 c.p.c., nel testo applicabile “ratione temporis”, prima della riforma operata dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, in vigore dal 1.3.2006, dispone al primo comma che la notificazione alle persone giuridiche, ed a società non aventi personalità giuridica, si esegue nella loro sede, mediante consegna di copia dell’atto al rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa.

Ne consegue che tale specificazione rileva ai fini della ritualità della notifica presso la sede legale della società, atteso che dalla lettura dell’art. 145 c.p.c., appare evidente che i limiti posti dal legislatore si riferiscono ai soggetti cui il notificante può legittimamente consegnare l’atto da notificare, ossia al “rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa”, tra i quali non è compreso il “familiare convivente”.

La sentenza della CTR, pertanto, non merita censura, con la conseguenza che il ricorso va rigettato e la parte soccombente condannata al rimborso delle spese di lite, liquidate come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del soccombente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte soccombente al rimborso delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 2300,00 oltre spese forfetarie ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del soccombente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2018


Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., (data ud. 05/12/2017) 05/04/2018, n. 8410

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10600-2016 proposto da:

C.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MICHELE MARRA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI, 12;

– controricorrente – avverso la sentenza n. 1602/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 23/02/2016 r.g.n. 4493/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/12/2017 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MICHELE MARDEGAN per delega verbale Avvocato MICHELE MARRA;

udito l’Avvocato PAOLA DE NUNTIS.

Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Napoli ha respinto il reclamo proposto da C.A. avverso la sentenza del Giudice del lavoro del Tribunale di Santa Maria C.V. che, respingendo l’opposizione L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 51, aveva confermato l’ordinanza di rigetto del ricorso avente ad oggetto il licenziamento intimato al C. dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali in esito a procedimento disciplinare.

2. La Corte territoriale ha osservato, in sintesi, quanto segue:

– contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, il primo giudice non si era limitato a recepire l’accertamento di colpevolezza contenuto nella sentenza penale di condanna, ma aveva valutato in piena autonomia le risultanze del procedimento penale, acquisite nel contraddittorio delle parti, pur in mancanza di dibattimento, che nella specie non si era tenuto a causa della scelta del rito abbreviato da parte del C.;

– gli elementi acquisiti al processo penale avevano evidenziato che il dipendente si era reso responsabile del reato di concussione continuata in quanto, in qualità di assistente amministrativo presso l’Ispettorato del lavoro, abusando dei propri poteri e della propria qualità, si era fatto consegnare somme di denaro dai gestori di due esercizi commerciali prospettando loro la possibilità di evitare i controlli riguardanti la regolarità della posizione lavorativa del personale dipendente; tali risultanze probatorie non risultavano validamente contraddette dalle generiche difese svolte dall’imputato, non suffragate da alcun riscontro;

– la mancata ammissione delle prove testimoniali in primo grado era del tutto condivisibile, stante la genericità delle circostanze dedotte e l’indicazione, quali testi, delle parti offese, che avevano già riferito i fatti in maniera estremamente circostanziata, mentre le giustificazioni relative a presunte difficoltà familiari non avrebbero potuto sminuire la gravità della condotta, riferibile a fatti di rilevanza penale;

– non ricorreva una situazione di complessità dei fatti che giustificasse la necessità di attendere il passaggio in giudicato la sentenza penale prima di irrogare il licenziamento;

– era infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-ter, atteso che tale norma sancisce l’autonomia dell’illecito disciplinare da quello penale e prevede la possibilità della sospensione del procedimento disciplinare nei casi di particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato al dipendente.

3. Per la cassazione di tale sentenza il C. propone ricorso affidato a due motivi. Resiste con controricorso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la cui costituzione ha sanato la nullità della notifica del ricorso eseguita presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato anzichè presso l’Avvocatura Generale.

Motivi della decisione
1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-ter per non avere l’Amministrazione datrice di lavoro sospeso il procedimento disciplinare in attesa dell’esito di quello penale, in presenza di una situazione ancora non definitivamente accertata con sentenza passata in giudicato, e per avere la Corte territoriale omesso di considerare, a tal fine, la L. n. 97 del 2001, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis e il CCNL di comparto del 12 giugno 2003.

2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. per avere la Corte di appello richiamato, a fondamento del decisum, la denuncia delle parti lese, che non aveva mai fatto parte del fascicolo civile, ma era stata menzionata solo nella sentenza penale, la quale costituiva l’unica fonte di prova.

3. Il ricorso è infondato.

4. Il primo motivo sostanzialmente verte su un presunto obbligo della Pubblica Amministrazione di sospendere il procedimento disciplinare in attesa dell’esito definitivo di quello penale. Tale tesi non trova alcun riscontro nella disciplina che regola la fattispecie in esame. Il procedimento disciplinare, avviato il 10 marzo 2011, è regolato dall’art. 55-ter D.Lgs., introdotto dal D.Lgs. n. 150 del 2009 (c.d. riforma Brunetta); tale è la norma applicabile, che – com’è noto – ha inciso sul sistema delle fonti che regolano il procedimento disciplinare nel pubblico impiego privatizzato, operando la riaffermazione del primato della fonte legislativa rispetto al ruolo prima prevalente della contrattazione collettiva. Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, comma 1, u.p. prevede infatti che “nelle materie relative alle sanzioni disciplinari,…la contrattazione collettiva è consentita negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge”; inoltre, l’art. 55, comma 1 medesimo D.Lgs. attribuisce carattere di “norme imperative” alle “disposizioni del presente articolo di quelli seguenti”, con sostituzione automatica delle clausole contrattuali difformi rispetto, e previsioni legislative, in base agli artt. 1339 e 1419 c.c. testualmente richiamati.

4.1. Tanto premesso, l’art. 55-ter introdotto dalla riforma del 2009, nel testo allora vigente (ora oggetto del D.Lgs. n. 25 maggio 2017, n. 75, art. 14), dispone, al primo comma, che “Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni di minore gravità, di cui all’art. 55-bis, comma 1, primo periodo, non è ammessa la sospensione del procedimento. Per le infrazioni di maggiore gravità, di cui all’art. 55-bis, comma 1, secondo periodo, l’ufficio competente, nei casi di particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all’esito dell’istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l’irrogazione della sanzione, può sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale, salva la possibilità di adottare la sospensione o altri strumenti cautelari nei confronti del dipendente”.

5. La regola generale così introdotta è quella della autonomia dei due procedimenti (quello disciplinare e quello penale); la norma contempla la possibilità della sospensione (dunque facoltativa e non obbligatoria) come eccezione, nei casi di maggiore gravità (ossia per fatti sanzionabili con misure superiori alla sospensione fino a 10 gg.) e nei limiti in cui ricorrano casi di particolare complessità e qualora l’istruttoria disciplinare non abbia consentito di acquisire elementi sufficienti alla contestazione.

5.1. La sentenza impugnata muove, dunque, da una corretta interpretazione della normativa che regola la fattispecie, atteso che non è rinvenibile nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-ter, che disciplina i rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale, alcun obbligo di sospensione del primo in attesa della definizione del secondo.

6. Neppure esiste una disposizione che imponga alla Pubblica Amministrazione di procedere ad un’autonoma istruttoria ai fini della contestazione disciplinare. La Pubblica Amministrazione è, infatti, libera di valutare autonomamente gli atti del processo penale e di ritenere che i medesimi forniscano, senza bisogno di ulteriori acquisizioni ed indagini, sufficienti elementi per la contestazione di illeciti disciplinari al proprio dipendente e ben può avvalersi dei medesimi atti, in sede d’impugnativa giudiziale, per dimostrare la fondatezza degli addebiti (Cass. n.5284 del 2017, Cass. n.19183 del 2016).

7. Quanto all’apprezzamento delle prove acquisite in sede penale, va premesso che tali risultanze, pure ove il relativo procedimento si sia concluso con sentenza di patteggiamento o in sede di giudizio abbreviato, sono validamente utilizzabili dal giudice civile che, ai fini del proprio convincimento, può autonomamente valutare, nel contraddittorio tra le parti, ogni elemento dotato di efficacia probatoria e, dunque, anche le prove raccolte in un processo penale, e ciò anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento, potendo la parte, del resto, contestare, nell’ambito del giudizio civile, i fatti così acquisiti in sede penale (Cass. n. 2168 del 2013; v. pure Cass. n. 5317 del 2017, n. 8603 del 2017).

8. Il ricorrente sembra dolersi altresì del mero recepimento, da parte del giudice civile, delle risultanze istruttorie acquisite nel diverso procedimento, in quanto mediate dalla sentenza penale.

8.1. Anche in relazione a tale censura il ricorso è infondato, in quanto la Corte di appello, nel condividere e confermare le valutazioni già espresse dal primo giudice, ha dato conto del fatto che queste erano state espresse sulla base di un vaglio critico delle prove penali, sulle quali giudice civile ha così espresso un proprio autonomo apprezzamento.

8.2. A ciò va poi aggiunto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (v. tra le più recenti, Cass. n. 11985 del 2016), la motivazione della sentenza per relationem è ammissibile, dovendosi giudicare la sua completezza e logicità sulla base degli elementi contenuti nell’atto al quale si opera il rinvio e che, proprio in ragione del rinvio, diviene parte integrante dell’atto rinviante (Cass. n. 979/2009). Così è stata ritenuta ammissibile la motivazione per relationem della sentenza emessa in materia disciplinare attraverso il rinvio ad altri provvedimenti amministrativi o giurisdizionali, purchè la fonte richiamata sia identificabile ed accessibile alle parti (Cass. S.U. 16277 del 2010), come pure è stato ritenuto che non incorre nella violazione dell’art. 111 Cost., artt. 113 e 132 c.p.c. la motivazione della sentenza che, rinviando a principi di diritto sanciti dalla Corte di cassazione, rende detti principi parte integrante dell’atto rinviante, consentendo, in tal modo, il controllo di completezza e logicità della motivazione (Cass. n. 23223 del 2010).

9. In conclusione, il ricorso va rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo.

10. Sussistono i presupposti processuali (nella specie, rigetto del ricorso) per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2018


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 08/03/2018) 04/04/2018, n. 8293

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – rel. Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28389-2012 proposto da:

F.G., elettivamente domiciliato in ROMA VIA GERMANICO 12, presso lo studio dell’avvocato FIAMMETTA FIAMMERI, che lo rappresenta e difende giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

DIREZIONE PROVINCIALE DI ROMA III AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 648/2011 della COMM.TRIB.REG. di ROMA, depositata il 19/10/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/03/2018 dal Consigliere Dott. LIANA MARIA TERESA ZOSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL CORE Sergio, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di ragione, in subordine rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato FIAMMERI che si riporta agli atti.

Svolgimento del processo
1. F.G. impugnava la cartella di pagamento notificata il 2 aprile 2009 relativa ad Invim per l’anno 1998 e diritti camerali per l’anno 2005 derivante da avviso di liquidazione resosi definitivo per mancata impugnazione. Il contribuente sosteneva che mancava la notifica dell’avviso di accertamento prodromico e che l’Ufficio era incorso in decadenza.

La commissione tributaria provinciale di Roma rigettava il ricorso con sentenza che era confermata dalla commissione tributaria regionale del Lazio sul rilievo che il giudice di primo grado aveva verificato che il prodromico avviso di accertamento era stato notificato al portiere dello stabile sicchè l’atto si era reso definitivo per mancata impugnazione e la cartella avrebbe potuto essere impugnata solo per vizi propri. L’ufficio, poi, non era incorso in decadenza in quanto, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 78, i crediti dell’amministrazione finanziaria si prescrivono in 10 anni.

2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione il contribuente formulando tre motivi. L’agenzia delle entrate si è costituita in giudizio al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c..

3. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, comma 1, e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Sostiene che nel giudizio di primo grado l’agenzia delle entrate ha depositato tardivamente il documento da cui si evinceva la notifica dell’avviso di accertamento. Ciò in quanto l’udienza davanti alla commissione tributaria provinciale era fissata per il 21 giugno 2010 e l’Ufficio si è costituito l’11 giugno 2010, per il che vi era stata violazione della norma di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32 che prevede che le parti possono depositare documenti fino a 20 giorni prima della data di trattazione.

4. Con il secondo motivo deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 139 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Sostiene che la CTR ha omesso di accertare se il notificatore, prima di consegnare il plico al portiere avesse attestato la mancanza del destinatario ovvero di una persona di famiglia addetta alla casa. Ciò in quanto la notifica effettuata a mani del portiere dello stabile, quando la relazione dell’ufficiale postale non contenga l’attestazione del mancato rinvenimento del destinatario o del rifiuto o assenza delle persone abilitate a ricevere l’atto in posizione preferenziale, è nulla.

5. Con il terzo motivo deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 139 c.p.c. e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la CTR ha omesso di accertare se il notificatore avesse informato il destinatario dell’avvenuta consegna a mani del portiere a mezzo di invio di lettera raccomandata, posto che dal mancato invio di tale raccomandata deriva la nullità della notifica.

Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è infondato. Il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 58, fa salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti anche al di fuori degli stretti limiti consentiti dall’art. 345 c.p.c., ma tale attività processuale va esercitata – stante il richiamo operato dall’art. 61 del citato D.Lgs. alle norme relative al giudizio di primo grado entro il termine previsto dall’art. 32, comma 1, dello stesso decreto, ossia fino a venti giorni liberi prima dell’udienza con l’osservanza delle formalità di cui all’art. 24, comma 1, dovendo, peraltro, tale termine ritenersi, anche in assenza di espressa previsione legislativa, di natura perentoria, e quindi sanzionato con la decadenza, per lo scopo che persegue e la funzione (rispetto del diritto di difesa e del principio del contraddittorio) che adempie (Cass. n. 655 del 15/01/2014). Tuttavia, tale norma va interpretata in combinato disposto con il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 2, che prevede, la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti in appello che, tuttavia, può essere esercitata anche al di fuori degli stretti limiti fissati dall’art. 345 c.p.c., ma pur sempre, atteso il richiamo operato dal D.Lgs. n. 546, art. 61 alle norme del giudizio tributario di primo grado, entro il termine perentorio sancito dall’art. 32, comma 1, dello stesso decreto (Cass. n. 20109 del 16/11/2012). Pertanto i documenti tardivamente depositati nel giudizio di primo grado vanno esaminati nel giudizio di appello, ove acquisiti al fascicolo processuale, dovendosi ritenere comunque prodotti in grado di appello ed esaminabili da tale giudice in quanto prodotti entro il termine perentorio sancito dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, comma 1, applicabile anche al giudizio di appello (Cass. n. 3661 del 24/02/2015).

2. Il secondo ed il terzo motivo debbono essere esaminati congiuntamente in quanto attengono a questioni strettamente connesse. L’art. 139 c.p.c. prevede, ai suoi commi 3 e 4, che “in mancanza delle persone indicate nel comma precedente” – e cioè del destinatario di persona, oppure di una persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda (purchè non minore di quattordici anni o non palesemente incapace) -, “la copia è consegnata al portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda…”: nel qual caso, “il portiere… deve sottoscrivere una ricevuta, e l’ufficiale giudiziario dà notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto, a mezzo di lettera raccomandata”.

La Corte di legittimità ha più volte affermato che, in caso di notifica nelle mani del portiere, l’ufficiale giudiziario deve dare atto, oltre che dell’assenza del destinatario, delle vane ricerche delle altre persone preferenzialmente abilitate a ricevere l’atto; ed il relativo accertamento, sebbene non debba necessariamente tradursi in forme sacramentali, deve, nondimeno, attestare chiaramente l’assenza del destinatario e dei soggetti rientranti nelle categorie contemplate dall’art. 139 c.p.c., comma 2, secondo la successione preferenziale da detta norma tassativamente stabilita. Ne discende che deve ritenersi nulla la notificazione nelle mani del portiere, allorquando la relazione dell’ufficiale giudiziario non contenga – come nel caso di specie – l’attestazione del mancato rinvenimento delle persone indicate nella norma succitata (Cass. Sez. U, n. 8214 del 20/04/2005; Cass. n. 4627 del 16/12/2013 dep. il 26/02/2014 2014; Cass. n. 22151 del 27/09/2013). La Corte di legittimità ha, poi, affermato che l’omissione dell’avviso a mezzo di invio di lettera raccomandata non è una mera irregolarità ma è causa di nullità della notificazione per vizio dell’attività dell’ufficiale giudiziario notificante, fatti salvi gli effetti della consegna dell’atto dal notificante all’ufficiale stesso, secondo un principio esteso pure alla notifica a mezzo posta. Ciò attesa la funzione dell’avviso nella struttura complessiva di una notificazione che si perfeziona a persona non legata da quei particolari vincoli evidenziati nell’art. 139 c.p.c., comma 2, ma pur sempre da altri di peculiare intensità: l’atto entra a far parte della sfera di effettiva conoscibilità del destinatario, ma in una sua porzione connotata da un grado minore di possibilità di prendere immediata conoscenza dell’atto, rispetto a quelle altre fattispecie indicate dal secondo comma per la natura assai stretta del vincolo che lega al destinatario il consegnatario dell’atto; ed un tale minor grado di conoscibilità, se non la degrada al punto di rendere necessario lo spostamento ulteriore del momento di perfezionamento della notifica come accade appunto per l’ipotesi contemplata dall’art. 140 c.p.c., esige però almeno di essere colmato con quel quid pluris costituito dalla spedizione dell’ulteriore avviso, sia pure ex post e appunto non incidente sul precedente tempo in cui l’attività notificatoria si è svolta e compiuta (Cass., Sez. U, n. 18992 del 31/07/2017Cass. n. 1366 del 25/01/2010; Cass. n. 19366 del 21/08/2013).

Infine la Corte ha affermato il principio secondo cui, in tema di atti impositivi, deve ritenersi sanata per raggiungimento dello scopo la nullità della notificazione dell’avviso di accertamento, effettuata mediante consegna al portiere dello stabile, ai sensi dell’art. 139 c.p.c., richiamato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, senza che nella relazione di notificazione vi sia l’attestazione del tentativo di consegna alle altre persone preferenzialmente indicate, qualora sia provata la ricezione della raccomandata contenente la notizia dell’avvenuta notificazione, la quale non è soggetta alle disposizioni in materia di notificazioni a mezzo posta, ma solo al regolamento postale, sicchè, ai fini della sua validità, è sufficiente che il plico sia consegnato al domicilio del destinatario e che il relativo avviso di ricevimento sia sottoscritto dalla persona rinvenuta dall’ufficiale postale, non essendo necessario che da esso risulti anche la qualità del consegnatario o la sua relazione con il destinatario (Cass. n. 19795 del 09/08/2017).

Diverse considerazioni si impongono nel caso in cui l’ufficio finanziario proceda alla notificazione a mezzo posta ed in modo diretto degli avvisi e degli atti che per legge vanno notificati al contribuente. Quando il predetto ufficio si avvale di tale facoltà di notificazione semplificata, alla spedizione dell’atto si applicano le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle previste dalla L. n. 890 del 1982, con la conseguenza che, in caso di notifica al portiere, essa si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento da quest’ultimo sottoscritto, senza che si renda necessario l’invio di raccomandata (Cass. n. 12083 del 2016; n.17598/2010; n.911/2012; n. 14146/2014; n.19771/2013; n. 16949/2014) Dalla sentenza impugnata non è dato evincere se la notifica sia avvenuta a mezzo di ufficiale giudiziario o con invio diretto a mezzo posta. Ne primo caso, il riscontro della regolarità della notifica dell’avviso di accertamento dovrebbe avere ad oggetto anche l’invio della raccomandata poichè, se essa fosse stata inviata, ciò sanerebbe la nullità derivante dalla mancata menzione nella relata delle vane ricerche delle altre persone preferenzialmente abilitate a ricevere l’atto. Diversamente, in caso di mancato invio della raccomandata, la notifica dell’avviso di accertamento, prodromico all’emissione della cartella impugnata, sarebbe nulla.

Nel secondo caso la notifica si sarebbe perfezionata con la ricezione della raccomandata da parte del portiere.

3. L’impugnata decisione va, dunque, cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio in diversa composizione che, adeguandosi ai principi esposti, procederà alle necessarie verifiche e deciderà nel merito oltre che sulle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa l’impugnata decisione e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio in diversa composizione.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 marzo 2018

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2018


Cass. civ. Sez. VI – 2, Ord., (ud. 21-09-2017) 04-04-2018, n. 8174

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7554/2016 proposto da:

H.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 36-B, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO SCARDIGLI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIERO PETROCCHI;

– ricorrente –

COMUNE di FIRENZE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POLIBIO 15, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE LEPORE, rappresentato e difeso dagli avvocati ANDREA SANSONI, DEBORA PACINI;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 3241/2015 del TRIBUNALE di FIRENZE, depositata l’01/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 21/09/2017 dal Consigliere Dott. MILENA FALASCHI.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Il Giudice di pace di Firenze accoglieva l’opposizione L. n. 689 del 1981, ex art. 22, proposta da H.A., cittadino tedesco residente in (OMISSIS), avverso un verbale di contravvenzione al C.d.S., deducendo tra l’altro l’inesistenza della notifica del suddetto atto effettuata a mezzo posta e non con le modalità previste dalle convenzioni internazionali per le notifiche all’estero.

Successivamente il Tribunale di Firenze, con la sentenza n. 3241/2015, accoglieva l’appello proposto dal Comune di Firenze, ed, in riforma dell’appellata sentenza del Giudice di Pace, rigettava l’opposizione formulata dall’appellato H..

A sostegno della decisione il Tribunale rilevava, per quanto qui di interesse, che in generale per la notifica in (OMISSIS) degli atti amministrativi, qual era il verbale di contravvenzione al C.D.S. emesso dalla polizia municipale, dovesse trovare applicazione la disciplina contenuta nella Convenzione di Strasburgo del 24.11.1977. Tuttavia nel caso di specie l’art. 201 C.d.S., consentiva “…la notifica a mezzo del servizio postale come alternativa paritaria rispetto a quella effettuata secondo il codice di rito e che l’art. 201 C.d.S., trovava applicazione preferenziale rispetto all’art. 142 c.p.c., ratione temporis”. In ogni caso quand’anche si fosse voluto affermare che la notifica a mezzo del servizio postale non poteva essere effettuata, ciò non avrebbe dato luogo ad un’ipotesi di inesistenza della notifica, ma solo a nullità della stessa, sanata ai sensi dell’art. 156 c.p.c., avendo raggiunto il suo scopo.

Inoltre il Tribunale con riguardo alla censura relativa al fatto che il verbale di contravvenzione fosse stato notificato in lingua tedesca, perfettamente comprensibile all’appellante, riteneva che si trattasse di un mero vizio formale, che non impediva al destinatario di svolgere il suo atto di opposizione, per cui non era ravvisabile alcuna nullità.

Avverso la suddetta decisione H.A. propone ricorso per cassazione, formulando tre distinti motivi. Resiste il Comune di Firenze con apposito controricorso, contenente anche ricorso incidentale affidato ad un’unica censura.

Ritenuto che il ricorso principale potesse essere rigettato, assorbito l’incidentale condizionato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata ai difensori delle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

In prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno depositato anche memoria illustrativa.

Atteso che:

con il primo motivo di ricorso l’ H. denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 10 Cost., art. 142 c.p.c., art. 201 C.d.S., commi 1 e 3, lamentando che il giudice di appello, pur individuando correttamente la disciplina applicabile per la notifica in (OMISSIS), ossia quella prevista dalla Convenzione di Strasburgo del 24.11.1977, ha poi inopinatamente ritenuto che l’art. 201 C.d.S., consentisse di effettuare, in deroga a quanto previsto dalla Convenzione citata, la notifica a mezzo posta direttamente al destinatario residente in (OMISSIS);

con il secondo motivo di ricorso è denunciata, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 156 c.p.c., comma 3: in particolare, il ricorrente lamenta l’erronea applicazione della norma citata, giacche quand’anche si fosse voluto affermare che la notifica a mezzo del servizio postale non poteva essere effettuata, il giudice del gravame ha ritenuto che il vizio non dava luogo ad un’ipotesi di inesistenza della stessa, ma solo a nullità della notifica a H., sanata ai sensi dell’art. 156 c.p.c., avendo essa raggiunto il suo scopo, in palese violazione del divieto posto dall’ordinamento tedesco;

con il terzo mezzo, con cui è denunciata ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione del R.D.L. n. 1796 del 1925, art. 1, nonché dell’art. 7 della Convenzione di Strasburgo del 24/11/1977, per essere stato il verbale di contestazione notificato solo nella sua traduzione in lingua tedesca;

con l’unico motivo del ricorso incidentale il Comune di Firenze lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, l’inesistenza della procura speciale alle liti rilasciata su foglio a parte in primo grado da H.A., deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 83 c.p.c. e l’omessa pronuncia su un punto decisivo per il giudizio da parte del giudice di appello;

ragioni di ordine logico giuridico impongono di esaminare in primo luogo l’unico motivo del ricorso incidentale, essendo evidente che l’eventuale giudizio positivo circa la validità della procura alle liti sarebbe assorbente rispetto alle altre doglianze. Essa è fondata.

Il Tribunale pur dando atto che il Comune di Firenze aveva eccepito, in via pregiudiziale, l’inammissibilità dell’appello per nullità/inesistenza della procura alle liti rilasciata da H., non offre però alcuna motivazione in ordine a tale eccezione.

Occorre muovere dalla considerazione che, in base al disposto della L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 12, a tenore del quale il processo civile che si svolge in Italia è regolato dalla legge italiana, la procura alle liti utilizzata in un giudizio celebrato nel nostro Stato, anche se rilasciata all’estero, è disciplinata dalla legge processuale italiana, la quale, tuttavia, nella parte in cui consente l’utilizzazione di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata, rinvia al diritto sostanziale, sicché in tali evenienze la validità del mandato deve essere riscontrata, quanto alla forma, alla stregua della lex loci. A tal fine occorre però che il diritto straniero conosca, quantomeno, i suddetti istituti e li disciplini in maniera non contrastante con le linee fondamentali che lo caratterizzano nell’ordinamento italiano e che consistono, quanto alla scrittura privata autenticata, nella dichiarazione del pubblico ufficiale che il documento è stato firmato in sua presenza e nel preventivo accertamento dell’identità del sottoscrittore (Cass. Sez. Un. 13 febbraio 2008 n. 3410; Cass. 14 novembre 2008 n. 27282).

Sotto altro, concorrente profilo, va poi osservato che, benchè l’art. 122 c.p.c., comma 1, prescrivendo l’uso della lingua italiana, si riferisce ai soli atti endoprocessuali e non anche agli atti prodromici al processo, come la procura, per questi ultimi vige pur sempre il principio generale della traduzione in lingua italiana a mezzo di esperto (cfr. Cass. Sez. Un. 2 dicembre 2013 n. 26937; Cass. 29 dicembre 2011 n. 30035; Cass. 14 novembre 2008 n. 27282). Venendo al caso di specie, la procura, rilasciata da H., in (OMISSIS), era esente, in conformità alla Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961, ratificata dall’Italia con L. 20 dicembre 1966, n. 1253, nonchè alla Convenzione bilaterale tra l’Italia e la (OMISSIS) conclusa in Roma il 7 giugno 1969, sia dalla legalizzazione da parte dell’autorità consolare italiana, sia dalla c.d. apostille, e cioè dal rilascio, da parte dell’organo designato dallo Stato di formazione dell’atto, di un attestato idoneo a che l’atto venga riconosciuto ed accettato come autentico.

Tanto non esclude, tuttavia, che andava allegata non solo la traduzione della procura speciale, ma anche quella dell’attività certificativa svolta dal notaio, e cioè l’attestazione che la firma era stata apposta in sua presenza, da persona di cui egli aveva accertato l’identità. Il mancato espletamento di tale adempimento comporta la nullità della procura (v. in termini, Cass. 29 maggio 2015 n. 11165).

Il Collegio rileva, altresì, che ai sensi dell’art. 182 c.p.c., comma 2 (nel testo applicabile “ratione temporis”, successivo alle modifiche introdotte dalla L. n. 69 del 2009, trattandosi di procura rilasciata in data 21 febbraio 2011), il giudice ogni qualvolta rilevi un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione “può” assegnare un termine per la regolarizzazione della costituzione in giudizio, dev’essere interpretato nel senso che il giudice “deve” promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio e indipendentemente dalle cause del predetto difetto, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa, con effetti “ex tunc”, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali.

Non può dubitarsi dell’applicabilità di tale principio anche al vizio inerente alla procura alle liti, come affermato di recente, sia pure con riferimento alle modifiche introdotte dalla L. n. 69 del 2009, all’art. 182 c.p.c., dalle Sezioni unite di questa Corte (Cass. 22 dicembre 2011 n. 28337).

L’accoglimento del ricorso incidentale nei termini testè precisati, assorbiti i motivi del ricorso principale, comporta la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Firenze, in persona di diverso magistrato, che applicherà il principio sopra indicato, provvedendo, altresì, il merito al regolamento delle spese processuali inerenti al presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso incidentale, assorbito quello principale;

cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Firenze, in persona di diverso magistrato, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, il 21 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2018


Banca Mediolanum: convenzione

Caro/a Associato/a come avrai notato da quest’anno abbiamo chiuso il conto corrente postale in quanto troppo oneroso e poco operativo. Abbiamo pertanto aperto il conto corrente con Banca Mediolanum che garantisce maggiore efficienza ed operatività 365 giorni su 365 giorni.

Constatato che effettuare il versamento tramite bonifico della quota di iscrizione, in molti casi, la commissione bancaria che sostenete è molto onerosa, si è provveduto a sottoscrivere una convenzione con banca Mediolanum per l’apertura di un conto corrente a ZERO SPESE.

Leggi: Testo della Convenzione ANNA 2018

Leggi: Depliant convenzione Mediolanum

LA CONVENZIONE NON E’ PIU’ ATTIVA DAL 31.12.2019


Pasqua 2018

Pasqua 2018.pub


Cass. civ. Sez. VI – 2, Ord., (ud. 12-09-2017) 21-03-2018, n. 7066

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5702/2016 proposto da:

COMUNE DI MILANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE MARZIO 3, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE IZZO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANTONELLA FRASCHINI, PAOLA MARIA CECCOLI, ANTONELLO MANDARANO;

– ricorrente –

contro

L.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 82, presso lo studio dell’avvocato VITTORIO SUSTER, rappresentato e difeso dall’avvocato MARINA ALBERTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 12578/2015 del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 10/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/09/2017 dal Consigliere Dott. Elisa Picaroni.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Ritenuto che il Tribunale di Milano, con sentenza depositata il 10 novembre 2015, ha rigettato l’appello proposto dal Comune di Milano avverso la sentenza del Giudice di pace di Milano n. 1612 del 2015, e nei confronti di L.E., e per l’effetto ha confermato l’annullamento del verbale di accertamento della violazione dell’art. 142 C.d.S., comma 8;

che la violazione era stata registrata dal sistema di rilevamento automatico in data 25 maggio 2014, e il verbale di accertamento è stato notificato in data 1 dicembre 2014;

che il Tribunale ha condiviso il rilievo del Giudice di pace, che aveva accolto l’eccezione di tardività della notifica del verbale di accertamento;

che per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Comune di Milano, sulla base di un motivo anche illustrato da memoria;

che resiste con controricorso L.E.;

che il relatore ha formulato proposta di decisione, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., di manifesta infondatezza del ricorso;

che con l’unico motivo il Comune di Milano denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 201 C.d.S., e contesta che, nel caso di rilevamento automatico dell’infrazione, l’accertamento dell’illecito avviene necessariamente in un momento successivo e richiede un’attività istruttoria complessa – a mezzo dell’esame dei fotogrammi e l’incrocio dei dati – finalizzata a riscontrare il nesso tra il veicolo di cui è stato registrato il transito e la proprietà dello stesso;

che, pertanto, il momento dal quale decorre il termine per la notifica del verbale non può che coincidere con quello dell’effettivo accertamento dell’infrazione, che nel caso in esame avvenuto entro il termine di novanta giorni;

che, in ogni caso, doveva ritenersi congruo il termine intercorso tra il rilevamento automatico dell’infrazione e la notifica del verbale di accertamento, in quanto proporzionato alla quantità di violazioni commesse nei luoghi nei quali il Comune ha predisposto il sistema di rilevamento automatico della velocità dei veicoli in transito;

che la doglianza è manifestamente infondata;

che il Tribunale ha escluso la congruità del periodo di cinque mesi che l’Amministrazione comunale ha impiegato per verificare la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi della violazione e notificare il verbale al trasgressore;

che l’affermazione, argomentata sul rilievo della relativa semplicità del riscontro dei dati (dalla targa dell’autovettura memorizzata dall’apparecchiatura di rilevamento automatico, all’identificazione del titolare), e dall’assenza di allegazioni circa la particolare difficoltà dell’accertamento, risulta immune da vizi;

che, in tema di sanzioni amministrative derivanti da infrazione del codice della strada, questa Corte regolatrice ha già chiarito che, qualora sia impossibile procedere alla contestazione immediata, il verbale deve essere notificato al trasgressore entro il termine fissato dall’art. 201 C.d.S., (novanta giorni, a seguito della modifica apportata con la L. n. 120 del 2010, art. 36, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame), salvo che ricorra l’ipotesi prevista dall’ultima parte del citato art. 201, e cioè che non sia individuabile il luogo dove la notifica deve essere eseguita per mancanza dei relativi dati nel Pubblico registro automobilistico o nell’Archivio nazionale dei veicoli o negli atti dello stato civile (per tutte, Cass. 25/03/2011, n. 6971; Cass. Sez. U. 09/12/2010, n. 24851);

che la ratio che sorregge l’ipotesi residuale, e giustifica la decorrenza del termine dal momento in cui l’Amministrazione sia posta in condizione di identificare il trasgressore o il suo luogo di residenza, è invocabile soltanto in presenza di situazioni di difficoltà di accertamento addebitabili al trasgressore (tardiva trascrizione trasferimento della proprietà del veicolo; omissione di comunicazione del mutamento di residenza), ma non quando, come nella specie, la difficoltà è connessa all’attività dell’Amministrazione, chiamata a gestire un numero elevato di violazioni registrate dai rilevatori di velocità, posto che l’effettività dell’azione dell’Amministrazione non può mai realizzarsi attraverso la compressione del diritto di difesa del trasgressore;

che la questione attiene al bilanciamento tra le esigenze dell’Amministrazione e il diritto di difesa del trasgressore, ed è stata oggetto a più riprese di interventi della Corte costituzionale;

che già con la sentenza n. 255 del 1994 il Giudice delle leggi osservò che il termine di notificazione, all’epoca di centocinquanta giorni, doveva ritenersi “contenuto in limiti tollerabili nel bilanciamento delle contrapposte esigenze, anche se ciò non può significare in futuro una illimitata libertà del legislatore. Questi non potrebbe non tener conto dei profili prospettati nell’ordinanza di rinvio, che avverte le difficoltà cui va certamente incontro il destinatario della contestazione, ai fini della predisposizione della propria difesa, quanto più remota è la data in cui si è svolto il fatto rispetto alla contestazione stessa. Un ulteriore prolungamento del termine non potrebbe, perciò, non porre dubbi di costituzionalità in termini di ragionevolezza”;

che, nella stessa pronuncia, si rilevava che “ad eventuali difficoltà di ordine organizzativo, cui finora si è ritenuto di far fronte con il prolungamento dei termini, ben potrebbe ovviarsi con misure tali da assicurare un più equo contemperamento fra le contrapposte esigenze, realizzando cioè, in armonia con l’art. 97 della Costituzione, una migliore efficienza degli uffici amministrativi che oggi è più facile ottenere con l’ausilio dei mezzi offerti dalla più avanzata tecnologia, certamente in grado di soddisfare le esigenze dell’amministrazione, senza creare ulteriori difficoltà ai soggetti destinatari della contestazione”;

che successivamente, con la sentenza n. 198 del 1996, la Corte costituzionale, muovendo nel solco dei principi enunciati dal precedente dictum, ha dichiarato l’illegittimità, per violazione dell’art. 24 Cost., del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 201, comma 1, (Nuovo codice della strada), “nella parte in cui, nell’ipotesi di identificazione dell’effettivo trasgressore o degli altri responsabili avvenuta successivamente alla commissione della violazione, fa decorrere il termine di centocinquanta giorni per la notifica della contestazione dalla data dell’avvenuta identificazione, anzichè dalla data in cui risultino dai pubblici registri l’intestazione o le altre qualifiche dei soggetti responsabili o comunque dalla data in cui la pubblica amministrazione è posta in grado di provvedere alla loro identificazione”;

che, sulla scorta dei principi richiamati, tenuto conto della evoluzione dei sistemi di rilevamento dei dati utilizzabili ai fini della identificazione del trasgressore e del luogo utile per la notifica, il legislatore del 2010 ha ridotto il termine da centocinquanta a novanta giorni, così attuando un ragionevole bilanciamento tra opposte esigenze di rango costituzionale (artt. 97 e 24 Cost.), e la giurisprudenza di questa Corte è pervenuta all’interpretazione dell’art. 201 C.d.S., già i richiamata, a cui va dato seguito;

che il ricorso è rigettato e il ricorrente è condannato alle spese, nella misura liquidata in dispositivo;

che sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta – 2 Civile, il 12 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2018


Bilancio 2017

Bilancio 5Atti relativi al Bilancio dell’Associazione dell’anno 2017 approvato dalla Giunta Esecutiva del 03.02.2018  e su delega dell’Assemblea Generale del 28.01.2017 al Consiglio Generale.

Leggi: Bilancio consuntivo 2017


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 24-01-2018) 09-03-2018, n. 5747

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24031-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente – contro

B.M., B.F., B.R., elettivamente domiciliate in ROMA V.LE BRUNO BUOZZI 99, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI LAZZARA, che le rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

C.D., C.A., C.C., C.R.F.;

– intimati – avverso la decisione n. 4441/2011 della COMM. TRIBUTARIA CENTRALE di ROMA, depositata il 21/07/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/01/2018 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.

Svolgimento del processo

che la controversia promossa da F., C., A. e C.D., nonchè F., R. e B.M., quali eredi di B.B., nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di liquidazione per INVIM e Registro, relativamente all’atto a rogito del notaio mandato, registrato il 16/10/1986, in seguito ad avviso di accertamento di valore non impugnato, è stata definita con la sentenza in epigrafe, recante il rigetto dell’appello erariale e, per l’effetto, la conferma della decisione della Commissione tributaria di secondo grado di Latina, la quale aveva dichiarato nulla la notifica del prodromico avviso di accertamento irritualmente eseguita, a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, e art. 140 c.p.c., nei confronti di persona deceduta;

che la C.T.C. di Roma ha rilevato che l’avviso di accertamento, intestato alla de cuius dei contribuenti, è stato notificato dal messo notificatore, appresa la notizia del decesso della B. e non avendo reperito nel domicilio della destinataria persone idonee a ricevere l’atto, mediante deposito dell’atto medesimo presso la casa comunale e dandone notizia mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento spedita nel domicilio della de cuius, impersonalmente agli eredi, e che questi ultimi avevano fondatamente impugnato l’avviso di liquidazione successivamente notificato, assumendo di non aver avuto tempestiva cognizione dell’atto presupposto;

che l’Agenzia delle Entrate ricorre per ottenere la cassazione della sentenza con un motivo, cui le intimate F., R. e B.M., resistono con controricorso e memoria.

Motivi della decisione

che con il motivo di impugnazione la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 65, u.c., art. 140 c.p.c., D.P.R. n. 634 del 1972, art. 49, D.P.R. n. 643 del 1972, art. 20 giacché la CTC ha dichiarato la nullità dell’impugnato avviso di liquidazione delle imposte, in quanto atto consequenziale ad avviso di accertamento irritualmente notificato agli eredi di B.B., senza considerare che il richiamato art. 65 non riguarda l’ipotesi in cui l’Ufficio non abbia alcuna conoscenza della morte del soggetto passivo di imposta, e quindi dell’esistenza di eredi, cui indirizzare o notificare atti, cosicchè legittimamente la notifica dell’atto impositivo è eseguita al contribuente defunto nel domicilio fiscale dello stesso;

che la censura è infondata per le ragioni di seguito riportate;

che, ai fini della corretta soluzione della questione sottoposta all’esame del Collegio, va ricordato che l’obbligo di comunicazione previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 65, comma 2, è volto a consentire agli uffici finanziari di azionare direttamente nei confronti degli eredi le obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del contribuente e, pertanto, se la comunicazione viene effettuata, l’avviso di accertamento va notificato personalmente e nominativamente agli eredi nel domicilio fiscale da loro indicato, mentre, se essa non viene effettuata, gli uffici possono intestare l’atto al dante causa e notificarlo presso l’ultimo domicilio dello stesso, nei confronti degli eredi collettivamente ed impersonalmente, sempre che “l’Amministrazione abbia comunque acquisito la notizia della morte del contribuente, non sussistendo altrimenti la giuridica possibilità di procedere alla notifica impersonale prevista dalla legge” (Cass. n. 12886/2007);

che il richiamato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 65, comma 2, , non considera invece l’ipotesi in cui l’ufficio non abbia alcuna conoscenza della morte del soggetto passivo di imposta, ed a maggior ragione nemmeno dell’esistenza di eredi, per cui non potrebbe indirizzare loro alcun atto, nè notificazione di atti eventualmente destinati ad altri soggetti, nel caso di specie, la dante causa delle odierne intimate;

che nel caso di specie manca la comunicazione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 65, comma 2, la quale non ha equipollenti (Cass. n. 23416/2015, n. 27284/2014), e neppure v’è prova che l’Agenzia delle Entrate fosse in possesso delle necessarie informazioni circa il decesso, in data (OMISSIS), di B.B., con conseguente inapplicabilità della disposizione;

che, pertanto, vale il principio secondo cui gli atti intestati ad un soggetto che, per quanto è a conoscenza dell’Ufficio, sia ancora in vita, deve essere non solo a lui destinato, ma a lui notificato nel suo domicilio fiscale o nel luogo da lui indicato nell’atto avente per oggetto il bene immobile sottoposto ad INVIM (Cass. n. 13504/2003);

che, tuttavia, come questa Corte ha già avuto occasione di affermare, “Nel caso in cui il destinatario di un avviso di accertamento tributario sia deceduto, e gli eredi non abbiano provveduto alla comunicazione prescritta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 65, comma 2 e u.c., è nulla la notificazione nei confronti del defunto eseguita ai sensi dell’art. 140 c. p. c. “perchè sconosciuto all’indirizzo”, previo tentativo di consegna dell’atto presso il suo domicilio, non essendo la morte del destinatario equiparabile alla sua irreperibilità o al rifiuto di ricevere copia dell’atto.”;

che, infatti, un tentativo di notifica nei confronti di persona che risulti deceduta è, in realtà, un tentativo non riuscito e costituisce una ipotesi che non può essere equiparata a quella, contemplata dall’art. 140 c.p.c., d’irreperibilità del destinatario o di rifiuto di ricevere la copia, con la conseguenza che, ove il destinatario risulti deceduto, e non siano reperite nel suo ex domicilio persone idonee e disponibili a ricevere l’atto notificando, il notificatore non può procedere col rito degli irreperibili, nel senso indicato dalla norma suddetta, ma deve restituire l’atto con l’indicazione del motivo per cui la notificazione non ha potuto aver luogo, consentendo all’Ufficio, venuto così a conoscenza del decesso del contribuente, di disporre che l’atto sia notificato nei modi indicati dal citato art. 65;

che il messo notificatore, dopo aver appreso del decesso della B., e non avendo reperito nel domicilio della destinataria dell’atto persone idonee a riceverlo, non poteva validamente procedere alla notificazione secondo le modalità di cui all’art. 140 c.p.c. mancandone i relativi presupposti, come anche evidenziato dalle intimate nella memoria difensiva;

che le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della soccombente e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 7.000,00, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2018