Nuovo regolamento privacy (GDPR): cos’è e cosa cambia

Ne sentiamo parlare ormai da diverse settimane sui media, sui social e negli ambienti professionali in modo tamburellante; alcuni si spingono a dipingere scenari foschi per le imprese che devono aggiornarsi ed adeguarsi alle nuove regole.

La prossima entrata in vigore, prevista per il 25 maggio 2018, del Regolamento Europeo della Privacy n. 2016/679, comunemente detto GDPR, pone la necessità di evidenziare le principali differenze tra tale normativa e quella attualmente in vigore in Italia, in modo da avere presente quali devono essere i punti di attenzione per  risultare in linea con la disciplina europea.

Invero, il D. Lgs. n. 196/2003, Codice del trattamento dei dati personali, non viene del tutto abrogato, ma alcune disposizioni in esso contenute devono essere modificate o integrate alla luce delle disposizioni del GDPR, il cui scopo è fornire a tutti gli Stati membri della UE regole comuni in materia di trattamento dei dati personali, in modo da eliminare le disparità di trattamento tra i soggetti dell’Unione.

Fin dalla sua pubblicazione nella gazzetta Ufficiale della UE, nel 2016, il GDPR ha posto questioni interpretative, alcune delle quali ancora da risolvere da parte principalmente del Garante Privacy (non solo italiano, ma di qualunque Stato membro) e di coordinamento con la disciplina nazionale già in vigore. A tal fine, il Garante Privacy ha attivato non solo una serie di tavoli di lavoro con i rappresentanti delle maggiori realtà associative italiane, private e pubbliche, ma sta anche svolgendo un lavoro interpretativo e coordinativo, in modo da fornire agli interessati le indicazioni chiare e necessarie per poter adeguarsi alla nuova normativa.

Tra le varie iniziative finora intraprese, lo stesso Garante ha pubblicato una Guida in cui illustra le principali modifiche che il GDPR apporta al D. Lgs. n. 196/2003, rilevando le differenze tra le due leggi. Scopo del presente articolo è, quindi, riassumere in maniera sintetica le più rilevanti tra tali modifiche.

  • Fondamenti di liceità del trattamento: sono indicati nell’art. 6 del GDPR e, in linea di massima, coincidono con quelli del D. Lgs. n. 196/2003 (consenso, adempimento obblighi contrattuali, interessi vitali della persona interessata o di terzi, doveri del titolare, interesse pubblico o esercizio di pubblici poteri, interesse legittimo prevalente del titolare o di terzi cui i dati sono comunicati), con alcuni cambiamenti:
    • Consenso: (i) deve essere esplicito per i dati sensibili e in caso di trattamenti automatizzati, compresa la profilazione. “Esplicito” non è sinonimo di forma scritta, benché questa è la modalità idonea per configurare l’inequivocabilità del consenso e, in ogni caso, il titolare deve essere in grado di dimostrare che l’interessato ha prestato il consenso a uno specifico trattamento; (ii) il consenso dei minori è valido a partire dai 16 anni.
    • Interesse vitale di un terzo: è invocabile a condizione che, nella fattispecie concreta, nessuna delle altre condizioni di liceità può trovare applicazione.
    • Interesse legittimo prevalente di un titolare o di un terzo: il bilanciamento tra tale interesse e i diritti e la libertà dell’interessato spetta allo stesso titolare (estensione del principio di “responsabilizzazione”, uno dei cardini del GDPR).
    • Informativa: i contenuti dell’Informativa sono tassativamente indicati negli artt. 13, par. 1, e 14, par. 1, del GDPR. In particolare, essa deve contenere: (i) i dati di contatto del RDP-DPO (Responsabile della protezione dati – Data Protection Officer), ove esistente; (ii) la base giuridica del trattamento; (iii) l’interesse legittimo, se costituisce la base legittima del trattamento; (iv) se i dati sono trasferiti in Paesi terzi e, in caso affermativo, attraverso quali strumenti; (v) periodo di conservazione dei dati o i criteri per stabilire tale periodo; (vi) diritto di presentare un reclamo all’autorità di controllo; (vi) in caso di processi decisionali automatizzati, compresa la profilazione, indicazione della logica di tali processi e delle conseguenze previste per l’interessato.
      Nell’ipotesi di dati personali non raccolti direttamente presso l’interessato, l’Informativa deve essere fornita entro un tempo non superiore a un mese dalla raccolta, oppure al momento della comunicazione dei dati.

      • Caratteristiche dell’Informativa: concisa, trasparente, intellegibile per l’interessato e facilmente accessibile, uso di un linguaggio chiaro e semplice e previsione di idonee informative per i minori.
      • Forma dell’Informativa: date le imprescindibili caratteristiche sopra delineate, in linea di principio è data per iscritto e preferibilmente in formato elettronico, fermo restando che sono ammessi altri mezzi, compresa la forma orale. È ammesso l’uso di icone che ne riassumono i contenuti principali, ma solo in combinazione con l’Informativa estesa. Le icone devono essere uguali in tutti gli Stati membri e saranno definite dalla Commissione europea.
      • Tempi: l’Informativa deve essere fornita all’interessato prima di effettuare la raccolta dei dati o, se questi non sono raccolti direttamente presso l’interessato, deve comprendere anche le categorie dei dati personali oggetto di trattamento. Il titolare deve sempre comunque specificare la propria identità e quella dell’eventuale rappresentante nel territorio italiano, le finalità del trattamento, i diritti degli interessati e, se esiste un responsabile del trattamento, la sua identità e quali sono i destinatari dei dati.
  • Diritti degli interessati:
    • Modalità per l’esercizio dei diritti (artt. 11 e 12 GDPR): il termine per la risposta all’interessato è un mese, estendibile fino a tre mesi in casi di particolare complessità. Il titolare deve sempre dare un riscontro all’interessato entro un mese dalla richiesta, anche in caso di diniego. Spetta al titolare valutare la complessità del riscontro all’interessato e l’ammontare dell’eventuale contributo da chiedere a quest’ultimo, ma solo se si tratta di richieste manifestamente infondate o eccessive o ripetitive, o se prevedono il rilascio di più copie dei dati personali nell’ipotesi di diritto di accesso. La risposta all’interessato deve essere data per iscritto (la forma orale è ammessa solo se espressamente richiesta dall’interessato), concisa, trasparente, facilmente accessibile ed espressa con un linguaggio semplice e chiaro.
    • Diritto di accesso (art. 15 GDPR): è il diritto a ricevere una copia dei dati personali oggetto di trattamento nonché l’indicazione del periodo di conservazione previsto o, se non è possibile prevederlo, dei criteri utilizzati per definire tale periodo e le garanzie applicate in caso di trasferimento dei dati in Paesi terzi.
    • Diritto di cancellazione – diritto all’oblio (art. 17 GDPR): è il diritto di cancellazione dei propri dati personali in forma rafforzata. I titolari hanno l’obbligo, se hanno reso pubblici tali dati, ad esempio pubblicandoli su un sito web, di informare della richiesta di cancellazione altri titolari che trattano i dati personali cancellati, compresi “qualsiasi link, copia o riproduzione”. Rispetto al D. Lgs. n. 196/2003 l’interessato ha il diritto di chiedere la cancellazione dei propri dati anche dopo la revoca del consenso al trattamento.
    • Diritto di limitazione del trattamento (art. 18 GDPR): è un diritto diverso e più esteso rispetto all’attuale “blocco” del trattamento previsto dall’art. 7, comma 3, lett. a) del D. Lgs. n.196/2003. Il GDPR prevede, infatti, che tale diritto possa essere esercitato non solo in caso di violazione dei presupposti di liceità del trattamento (quale alternativa alla cancellazione dei dati), bensì anche se l’interessato chiede la rettifica dei suoi dati o si oppone al trattamento, in attesa della valutazione di tale opposizione da parte del titolare.
    • Diritto alla portabilità dei dati (art. 20 GDPR): è uno dei nuovi diritti introdotti dalla normativa europea. Esso non si applica ai trattamenti non automatizzati (archivi o registri cartacei); sono portabili solo i dati trattati con il consenso dell’interessato o sulla base di un contratto stipulato con l’interessato e solo i dati che siano stati forniti dall’interessato al titolare. Quest’ultimo deve, inoltre, essere in grado di trasferire direttamente i dati portabili a un altro titolare indicato dall’interessato, se tecnicamente possibile.
  • Titolare, Responsabile, Incaricato del trattamento (artt. 26 e ss. GDPR):
    • Contitolarità del trattamento (art. 26 GDPR): i titolari devono definire specificamente con un atto giuridicamente valido il rispettivo ambito di responsabilità e i relativi compiti con particolare riguardo all’esercizio dei diritti degli interessati, che hanno la possibilità di rivolgersi indifferentemente a qualunque titolare operante congiuntamente. Con riferimento al predetto atto giuridicamente valido, l’art. 29 GDPR specifica che deve trattarsi di un contratto (o altro atto giuridico conforme al diritto nazionale) e deve disciplinare tassativamente le materie riportate all’art. 28, par. 3, al fine di dimostrare che il titolare offre garanzie sufficienti (natura, durata e finalità del trattamento, categorie di dati oggetto di trattamento, misure tecniche e organizzative adeguate a consentire il rispetto delle istruzioni impartite dal titolare e delle disposizioni regolamentari). È consentita la nomina di sub-responsabili del trattamento da parte di un responsabile (art. 28, par. 4 GDPR) per specifiche attività di trattamento. Il responsabile risponde davanti al titolare per eventuali inadempimenti del sub-responsabile, salvo che dimostri che l’evento dannoso “non gli è in alcun modo imputabile”.
    • Obblighi specifici in capo ai responsabili del trattamento, distinti da quelli dei titolari: tenuta del registro dei trattamenti svolti (art. 30, par. 2 GDPR); adozione di misure tecniche e organizzative per garantire la sicurezza dei trattamenti (art. 32 GDPR); designazione di un RDP-DPO nei casi previsti dal Regolamento o dalla normativa nazionale (art. 37 GDPR).
      Importante, infine, la previsione dettata dall’art. 27, par. 3, GDPR relativa all’obbligo di nomina di un rappresentante in Italia da parte del responsabile non stabilito nella UE.
  • Approccio basato sul rischio e misure di accountability (i.e. responsabilizzazione) di titolari e responsabili: in generale, si tratta dell’adozione di comportamenti proattivi e tali da dimostrare la concreta adozione di misure finalizzate ad assicurare l’applicazione del Regolamento. In pratica, viene affidato ai titolari il compito di stabilire autonomamente le modalità, le garanzie e i limiti del trattamento dei dati personali, sempre nel rispetto delle normative e dei criteri contenuti nel GDPR.
    • Data protection by default e by design (art. 25 GDPR): analisi preventiva per configurare il trattamento prevedendo a monte, ovvero prima di procedere al trattamento, le garanzie indispensabili al fine di soddisfare i requisiti del Regolamento e tutelare i diritti degli interessati. L’analisi preventiva deve attuarsi attraverso una serie di attività specifiche e dimostrabili, tra cui quelle connesse al rischio inerente al trattamento. Tale rischio è rappresentato da impatti negativi sulle libertà e i diritti degli interessati, che devono essere analizzati attraverso un apposito processo di valutazione, al cui esito il titolare potrà autonomamente decidere se iniziare il trattamento (perché ha adottato misure idonee a mitigare sufficientemente il rischio) o a consultare l’autorità di controllo competente per avere informazioni su come gestire il rischio. Da notare che l’intervento dell’autorità è quindi successiva alle determinazioni del titolare e non è autorizzativa. Ciò spiega l’abolizione, a partire dal 25 maggio 2018, della notifica preventiva dei trattamenti e della verifica preliminare prevista dall’art. 17 del D. Lgs. n. 196/2003.
    • Registro dei trattamenti (art. 30, par. 5 GDPR): tutti i titolari e i responsabili del trattamento, eccettuati gli organismi con meno di 250 dipendenti, ma solo se non effettuano trattamenti a rischio, devono tenere un registro dei trattamenti effettuati, in forma scritta, anche elettronica, che dovrà essere esibito dietro richiesta del Garante.
    • Misure di sicurezza (art. 32 GDPR): il Regolamento prevede una lista aperta e non esaustiva delle misure tali da garantire un livello di sicurezza adeguato al rischio del trattamento. Dopo il 25 maggio 2018 non potranno sussistere obblighi generalizzati di adozione di misure minime di sicurezza, la cui valutazione sarà rimessa, caso per caso, al titolare e al responsabile in rapporto ai rischi specificamente individuati.
    • Notifica delle violazioni di dati personali: prevede l’obbligo in capo a tutti i titolari di notificare all’autorità competente le violazioni di dati personali di cui vengano a conoscenza entro 72 ore e comunque senza giustificato ritardo, ma soltanto se ritengono probabile che da tale violazione derivino rischi per i diritti e le libertà degli interessati. Ne deriva che la notifica all’autorità non è obbligatoria, essendo subordinata (e qui ritorna il principio di responsabilizzazione) alla valutazione da parte del titolare.
    • Responsabile della protezione dei dati (RDP-DPO): è finalizzata a facilitare l’attuazione del Regolamento da parte del titolare/responsabile. Tale figura (che deve rispondere ai requisiti di indipendenza, autorevolezza e competenza managariale), infatti, deve, tra l’altro, sensibilizzare e formare il personale in merito agli adempimenti privacy, nonché sorvegliare sulla valutazione di impatto del rischio. La sua designazione è obbligatoria nei casi previsti dall’art. 37. Si rimanda alle Linee Guida stabilite dal Gruppo art. 29 per le maggiori specifiche relative alla DPO.
  • Trasferimenti di dati verso Paesi terzi e organismi internazionali (artt. 45 ss. GDPR):
    Resta in vigore la necessità della previa autorizzazione del Garante solo nel caso in cui il titolare desidera utilizzare clausole contrattuali non riconosciute come adeguate dalla Commissione europea oppure accordi amministrativi stipulati tra autorità pubbliche. Il Regolamento consente di ricorrere anche a codici di condotta o schemi di certificazione per dimostrare le garanzie adeguate previste dall’art. 46 GDPR. Ne consegue che i titolari o i responsabili del trattamento dei Paesi terzi potranno far valere gli impegni sottoscritti attraverso l’adesione a codici di condotta o a schemi di certificazione, ove questi disciplino anche o esclusivamente i trasferimenti di dati verso Paesi terzi. In ogni caso, tali titolari dovranno assumere un impegno vincolante mediante uno specifico strumento contrattuale o altro strumento giuridicamente vincolabile o azionabile dagli interessati. È vietato il trasferimento verso Paesi terzi sulla base di decisioni giudiziarie o ordinanze amministrative emesse da autorità di tale Paese terzo in mancanza di accordi internazionali di mutua assistenza giudiziaria o simili. In deroga al principio generale, il Regolamento ammette il trasferimento di dati personali verso un Paese terzo non adeguato “per importanti motivi di interesse pubblico”, purché tale interesse sia riconosciuto dal diritto dello Stato membro del titolare o dal diritto dell’UE (quindi, non  rileva l’interesse pubblico riconosciuto dal solo Paese terzo).

Leggi: REGOLAMENTO (UE) 2016-679 privacy 2018


Agcom: emanato il regolamento per le multe e atti giudiziari notificati dai privati

Emanato il regolamento Agcom per il rilascio delle licenze individuali per lo svolgimento del servizio di notifica multe e atti giudiziari da parte dei privati

Venuto meno il monopolio di Poste Italiane sui servizi di notificazione e comunicazioni per atti giudiziari e multe la legge ha attribuito ad Agcom, sentito il Ministero della giustizia ed entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge, la determinazione degli obblighi e dei requisiti per il rilascio delle licenze individuali per lo svolgimento del servizio.

Multe e atti giudiziari ai privati: il regolamento Agcom

Di questo tema si occupa la delibera n. 77/18/Cons (sotto allegata), con la quale l’Agcom ha approvato il regolamento in materia di rilascio delle licenze per svolgere il servizio di notificazione a mezzo posta di atti giudiziari e delle violazioni del codice della strada, dando attuazione alle modifiche introdotte dalla legge sulla concorrenza (n. 124/2017) per la liberalizzazione del servizio. In particolare gli obblighi riguardano il rispetto dei parametri attinenti «alla sicurezza, alla qualità, alla continuità, alla disponibilità e all’esecuzione dei servizi medesimi», i requisiti, invece, dovranno essere delineati alla luce delle richiamate nozioni di affidabilità, professionalità e onorabilità dei richiedenti.

 Requisiti per il rilascio della licenza individuale speciale

La licenza individuale speciale può avere ad oggetto: l’abilitazione a svolgere l’attività di notificazione degli atti giudiziari e delle violazioni del codice della strada; l’abilitazione a svolgere la sola attività di notificazione delle violazioni del codice della strada.

Il soggetto richiedente può essere anche l’operatore capogruppo per il servizio di notificazione svolto con il medesimo segno distintivo e con un’organizzazione unitaria composta dall’aggregazione di più operatori postali che siano titolari di licenza individuale in base al regolamento generale.

 Ai fini del rilascio della licenza è necessario possedere i requisiti di affidabilità; della professionalità, con effettiva esperienza nell’attività di notificazione dimostrata dal richiedente attraverso la produzione di dati di bilancio del biennio precedente da cui risulti: l’attività svolta nel settore postale relativa ad invii certificati e registrati per una percentuale del fatturato totale non inferiore al 10% nel biennio; ovvero, l’attività svolta attraverso messi notificatori, comprovata da almeno tre attestazioni positive qualificate, per un importo non inferiore al 10% del fatturato totale nel biennio; per attestazioni qualificate si intendono quelle relative ad affidamenti da parte di pubbliche amministrazioni, enti locali, compagnie di servizi di pubblica utilità e, più in generale, grandi utenti. Ed infine dell’onorabilità, in primis, dimostrando di non aver commesso violazioni definitivamente accertate, nel triennio anteriore alla data della domanda per il rilascio della licenza, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui risiedono.

Il regolamento stabilisce obblighi in materia di personale dipendente: in particolare quello di «sottoscrivere esclusivamente contratti di lavoro subordinato per l’assunzione del personale addetto alle fasi di accettazione e di recapito del servizio di notificazione a mezzo posta; impiegare un numero di dipendenti non inferiore ai limiti previsti nell’allegato 1, in relazione all’ambito geografico oggetto della licenza») e di qualità di servizio.

Leggi: AGCOM delibera 77-18-CONS 20 02 2018

Leggi: AGCOM delibera 77-18-CONS ALLEGATO A 20 02 2018


8 Marzo 2018 – Festa della donna

FESTA-DONNE-MONDO-2-554x420Ma perché proprio la mimosa per celebrare l’8 marzo? Perché proprio i rametti dai pallini gialli dal profumo intenso e delicato? La mimosa, appartenente alla famiglia delle Mimosaceae, è il simbolo per eccellenza della Festa delle Donne, per via di un avvenimento storico tutto italiano. Nel 1946, su iniziativa delle attiviste Rita Montagnana e Teresa Mattei, l’UDI (Unione Donne in Italia), giunse a scegliere la mimosa, dopo un percorso alquanto complesso. Le donne preferivano l’orchidea, ma la Mattei, che l’anno dopo avrebbe fatto parte dell’Assemblea Costituente, per evitare la scelta ricadesse su un fiore costoso come quello, si inventò una leggenda cinese, raccontando che la mimosa rappresentava per quel popolo il calore familiare e il simbolo della gentilezza femminile, convincendo così il gentil sesso a propendere per i rametti. Una pianta pioniera, spontanea, scelta come simbolo della rivendicazione dei diritti femminili, come emblema della lotta per farli valere; facilmente reperibile proprio in questo periodo, poco costosa, con fiori luminosi, solari, apparentemente delicati, ma forti e rigogliosi… caratteristiche che, a ben vedere, sono tipiche di tutte le donne!

Essere donna è così affascinante. È un’avventura che richiede un tale coraggio, una sfida, che non finisce mai.
(Oriana Fallaci)

Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 08/02/2018) 28/02/2018, n. 4616

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. DI GERONIMO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28564/2011 proposto da:

COMUNE DI GATTATICO, elettivamente domiciliano in ROMA VIA F. DENZA 20, presso lo studio dell’avvocato LORENZO DEL FEDERICO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CHRISTIAN CALIFANO;

– ricorrente –

contro

FRANTOIO BERTOZZI SRL, elettivamente domiciliato in ROMA LARGO SOMALIA 67, presso lo studio dell’avvocato RITA GRADARA, rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTO LEONI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 83/2010 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA, depositata il 13/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/02/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO DI GERONIMO.

Svolgimento del processo
che:

1. Il Frantoio Bertozzi s.r.l. impugnava gli avvisi di accertamento con i quali il Comune di Gattatico procedeva al recupero dell’ICI dovuta per le annualità 2003-2007;

2. la CTR per l’Emilia Romagna, confermando la sentenza di primo grado, recepiva la tesi del contribuente, secondo cui i terreni di sua proprietà non erano assoggettabili ad ICI in quanto non edificabili;

3. il Comune di Gattatico propone ricorso per cassazione affidato ad un motivo, la società contribuente resiste eccependo l’intervenuto passaggio in giudicato della sentenza della CTR e, comunque, l’infondatezza del ricorso.

Motivi della decisione
che:

1. La preliminare eccezione di tardività del ricorso per cassazione è fondata. Sostiene la controricorrente che è decorso il termine breve per impugnare la sentenza della CTR, assumendo l’esistenza di una valida notifica della sentenza di secondo grado, secondo i modi previsti dal D.Lgs. n. 542 del 1992, novellato art. 38, in base al quale nel caso di specie la parte controricorrente ha documentato di avere proceduto alla notifica mediante consegna diretta della sentenza della CTR (depositata il 13/10/2010) al Comune di Gattatico in data 3/12/2010, sicchè il termine di 60 giorni per proporre ricorso in cassazione scadeva in data 3/2/2011, mentre il ricorso risulta notificato solo il 25/11/2011.

1.2 a fronte di tale deduzione, il Comune ricorrente ha eccepito che la consegna a mani della sentenza non integra una forma di notifica idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione, richiamando a supporto l’orientamento di questa Corte secondo cui la conoscenza della sentenza da parte del soccombente non determina di per sè la decorrenza del termine breve. Pur condividendosi tale orientamento, deve rilevarsi la non applicabilità nell’ambito del processo tributario, stante la specialità della disciplina prevista per tale giudizio;

1.4 il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 2, è stato modificato dal D.L. n. 40 del 2010, art. 3 (conv. L. n. 73 del 2010), essendosi previsto che “al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 38, comma 2, le parole: “a norma degli artt. 137 c.p.c. e segg.” sono sostituite dalle seguenti: “a norma dell’art. 16” e, dopo le parole: “dell’originale notificato”, sono inserite le seguenti: “ovvero copia autentica della sentenza consegnata o spedita per posta, con fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione per raccomandata mezzo del servizio postale unitamente all’avviso di ricevimento”. La modifica normativa appena ricordata ha consentito alle parti private di procedere alla notificazione della sentenza con consegna diretta ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, comma 3, in base al quale le notificazioni all’ufficio del Ministero delle finanze ed all’ente locale, possono essere effettuate “mediante consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia”;

1.5. non è dubitabile che la peculiarità del regime della notifica valida in ambito tributario è sicuramente applicabile anche in relazione alla notifica della sentenza, come implicitamente riconosciuto da questa Corte, allorchè si è affermato il principio secondo cui in tema di contenzioso tributario, ai fini del decorso del termine “breve” per impugnare le sentenze, fissato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 51, la modifica dell’art. 38 dello stesso D.Lgs. per effetto del D.L. n. 40 del 2010, art. 3, comma 1, lett. a), conv., con modif., dalla L. n. 73 del 2010 – opera solo a partire dall’entrata in vigore della disposizione novellatrice, sicchè, per l’epoca precedente, la notifica della sentenza deve effettuarsi ai sensi degli artt. 137 e ss. c.p.c. e non già del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 16 (Cass. n. 9108 del 2017, rv. 643952);

1.6. occorre, altresì, precisare che questa Corte si è già espressa in merito alla validità della notifica nelle forme previste dal D.Lgs. n. 542 del 1992, art. 38, sia pur con riferimento alla diversa fattispecie della notifica mediante raccomandata A/R, affermando che nel processo tributario, ai fini del decorso del termine breve d’impugnazione la sentenza può essere notificata anche mediante servizio postale, in plico raccomandato, senza busta e con avviso di ricevimento, nel rispetto delle formalità previste dallo stesso art. 38 (Cass., ord. n. 26449 del 2017, rv. 646165);

1.7. analogo principi può, quindi, essere affermato anche nel caso in esame, dovendosi ritenere che nel processo tributario, la notifica della sentenza effettuata a mani della parte soccombente, è idonea a determinare il decorso del termine breve per proporre il ricorso per cassazione (in senso conforme, si veda Cass. n. 4222 del 2015, non massimata);

1.8. sulla base di tali principi, il ricorso per cassazione proposto dal Comune di Gattatico va dichiarato inammissibile, stante l’intervenuto decorso del termine per impugnare;

2. le spese di giudizio vanno compensate, atteso che la decisione si fonda su un orientamento giurisprudenziale successivo rispetto alla proposizione del ricorso.

P.Q.M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e compensa le spese di giudizio.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2018


Circolare 001/2018: La nuova modulistica di poste italiane per la notificazione postale e le comunicazioni connesse alla notificazione

Nel 2017 Poste Italiane aveva annunciato la predisposizione di una nuova modulistica per la notificazione postale e le comunicazioni connesse alla notificazione.

Dopo un anno in cui la vecchia e nuova modulistica hanno convissuto, Poste Italiane ha comunicato che dal prossimo 1° marzo 2018 accetterà solo le nuove buste e avvisi di ricevimento.

Poste ha inviato comunicazione che la data dalla quale dovrà essere utilizzata esclusivamente la nuova modulistica per la notifica postale e la RAG è prorogata al 2 maggio 2018.

Leggi: Circolare 2018-001 LA NUOVA MODULISTICA DI POSTE ITALIANE PER LA NOTIFICAZIONE POSTALE E LE COMUNICAZIONI CONNESSE ALLA NOTIFICAZIONE

Leggi anche: Raccomandata giudiziaria-scheda-tecnica 2018


Tesseramento anno 2019

La Giunta Esecutiva nella riunione del 03.02.2018 ha approvato le quote di iscrizione all’Associazione per l’anno 2019.
Le tipologie delle quote di adesione all’Associazione A.N.N.A. per l’anno 2019 sono:

Tipo

Descrizione/Qualifica

Importo

A Addetto all’Albo On Line €  70.00
B Addetto alla Casa Comunale €  70.00
C Altri Enti (IVA) €  323.00
D Altri Enti (TN) €  323.00
E Altro €  216.00
F Ausiliario del traffico €  70.00
G Avvocati/Commercialisti €  163.00
H Avvocato Comunale €  75.00
I Collaboratore Serv. Ausiliari €  70.00
L Comandante P.L. €  75.00
M Coordinatore Uff. Notifiche €  70.00
N Dirigente €  75.00
O Ditta €  323.00
P Ente Pubblico fino a 10.000 €  141.00
Q Ente Pubblico fino a 100.000 €  195.00
R Ente Pubblico oltre 100.000 €  270.00
S Ex Messo Comunale €  37.00
T Funzionario €  70.00
U Impiegato/Istruttore €  70.00
V Imprenditore €  270.00
Z Lavoratore Socialmente Utile €  70.00
AA Messo Comunale €  70.00
BB Messo Comunale e Notificatore €  70.00
CC Messo Comunale/Accertatore Anagrafico €  70.00
DD Messo del Giudice di Pace €  70.00
EE Messo Esattoriale €  70.00
FF Messo Notificatore €  70.00
GG Messo Notificatore Provinciale €  70.00
HH Messo Provinciale €  70.00
II Polizia Locale €  70.00
LL Portalettere/Messo Notificatore €  70.00
MM Privato €  268.00
NN Responsabile P.O. €  75.00
OO Responsabile Uff. Notifiche €  70.00
PP Segretario Comunale €  75.00
QQ Socio fondatore CA €  32.00
RR Ufficiale di Riscossione €  70.00
SS Ufficiale Giudiziario €  70.00
UC Unione dei Comuni € 323,00

L’iscrizione delle tipologie A, B, F, G, H, I, L, M, N, T, U, Z, AA, BB, CC, DD, EE, FF, GG, HH, II, LL, NN, OO, QQ, RR, SS, comprendono la copertura assicurativa oltre alle agevolazioni previste dalle convenzioni che l’Associazione ha già stipulato e che effettuerà.

Qualora venga richiesta la fattura elettronica, occorrerà aggiungere agli importi che superano €  77,47  l’imposta di bollo di € 2,00.

Le quote di adesione all’Associazione devono pervenire al netto delle spese bancarie, che sono a carico di chi effettua il versamento.

La Giunta Esecutiva dell’Associazione nella seduta del 3 febbraio 2018 ha deliberato, tra l’altro, il rinnovo delle opportunità, riconfermate in data 18.06.2016, al fine di favorire l’adesione dei Comuni o delle loro forme Associate (Unioni, Consorzi, etc …) che rinnovano l’iscrizione all’Associazione.

  • Tutti gli Enti che, già soci nell’anno precedente, rinnoveranno l’adesione ad A.N.N.A. entro il 31 gennaio dell’anno 2019, avranno diritto a:
    • Iscrizione gratuita ad A.N.N.A. di un proprio dipendente (preferibilmente che svolga le mansioni di Messo Comunale/Messo Notificatore);
    • Sconto del 15% sul costo dell’iscrizione dei propri dipendenti, fino ad un massimo di 10, ai corsi di formazione organizzati da A.N.N.A.. Tale sconto si applica su tutte le quote di partecipazione ai corsi di formazione organizzati dall’Associazione A.N.N.A.. Lo sconto non si applica qualora siano presenti altre promozioni.

Scarica: Modulo adesione Messo Comunale 2019

Scarica: Modulo adesione Dirigente 2019

Scarica: Modulo adesione Ente 2019

Scarica: Riepilogo Quote Iscrizione 2019

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Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 28-09-2017) 16-02-2018, n. 3805

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ACETO Aldo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29404/2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.A.M., elettivamente domiciliato in ROMA VIA PANAMA 68, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI PUOTI, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1450/2016 della COMM.TRIB.REG. CAMPANIA, depositata il 18/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/09/2017 dal Consigliere Dott. MARIA ENZA LA TORRE.

Svolgimento del processo
L’Agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della sentenza della C.T.R. della Campania, n. 1450/44/16 dep. 18.2.2016, emessa su riassunzione del giudizio originato dal silenzio rifiuto sull’istanza di rimborso proposto da D.A.M., ex dirigente Enel, di cui alla sentenza della Cassazione n. 241/2014, che aveva accolto il ricorso del contribuente demandando alla C.T.R. di “quantificare la somma corrispondente al rendimento netto derivante dalla gestione sul mercato finanziario del capitale accantonato” su cui applicare l’aliquota del 12,50%.

La C.T.R., sulla base della certificazione rilasciata dall’Enel, su cui è stata applicata l’aliquota TFR del 32,46%, ha ritenuto applicabile l’aliquota del 12,50% sul rendimento certificato dall’Enel, disponendone il rimborso.

D.A.M. si costituisce con controricorso e deposita successiva memoria.

L’Agenzia delle entrate deposita memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione
1. Preliminarmente va disattesa l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per cassazione proposta dal controricorrente per carenza della prescritta sottoscrizione digitale del ricorso e della relata di notifica.

1.1.Va premesso che la notificazione telematica degli atti è disciplinata: dalla L. 21 gennaio 1994, n. 53, artt. 1, 3 bis, 6, 9 e 11; dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16 septies, conv. L. n. 221 del 2012; dal D.M. n. 44 del 2011, art. 18; dagli artt. 13 e 19 bis del Provvedimento del Responsabile S.I.A. del 16 aprile 2014, oltre che dal D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68 (Regolamento recante disposizioni per l’utilizzo della posta elettronica certificata, a norma della L. 16 gennaio 2003, n. 3, art. 27) e dal D.P.C.M. 2 novembre 2005 (Regole tecniche per la formazione, la trasmissione e la validazione, anche temporale, della posta elettronica certificata). In particolare la L. n. 53 del 1994, nel disciplinare le modalità di notifica tramite PEC, rimanda all’art. 19 bis cit. (Notificazioni per via telematica eseguite dagli avvocati – art. 18 del regolamento), emanate in attuazione del codice dell’amministrazione digitale, che al comma 1, e al comma 2, prevede solo che l’atto sia in formato PDF; ciò anche nell’ipotesi di notifica tramite PEC da eseguirsi in un procedimento dinanzi alla Corte di cassazione.

1.2.Ciò premesso l’Avvocatura di stato ha regolarmente depositato l’attestazione di conformità – del ricorso, delle relazioni di notifica e di tutta la documentazione – all’originale informatico dell’atto, sottoscritto con firma digitale e notificato come allegato ai messaggi di posta elettronica certificata, ai sensi della L. n. 53 del 1994, artt. 6 e 9, e del D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 23. Non è quindi esatto quanto afferma il controricorrente, sia con riferimento alla mancanza della firma digitale nel ricorso notificato via PEC, data la presenza di attestato di conformità all’originale informatico, sia circa la successiva modificabilità del documento sottoscritto con firma digitale PAdES (PDF Advanced Electronic Signatures), poichè questa può essere verificata aprendo il file con l’idoneo programma (Acrobat Reader) opportunamente impostato, che non consente di inficiare la validità del documento firmato originariamente.

1.3.Peraltro le Sezioni Unite (con sentenza n. 7665 del 18 aprile 2016) hanno stabilito che anche alle notifiche PEC deve applicarsi il principio, sancito in via generale dall’art. 156 c.p.c., secondo cui la nullità non può essere mai pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato; principio che vale anche per le notificazioni, per le quali la nullità non può essere dichiarata tutte le volte che l’atto, malgrado l’irritualità della notificazione, sia venuto a conoscenza del destinatario, statuendo altresì, riguardo alla modalità con la quale l’eccezione di nullità viene sollevata, 11nammissibilità dell’”eccezione con la quale si lamenti un mero vizio procedimentale, “senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o possa comportare altro pregiudizio per la decisione finale della Corte”.

1.4.Quanto alla ulteriore deduzione di inammissibilità del ricorso per mancanza della firma nella relata di notifica, è anch’essa infondata, in applicazione della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in tema di notificazione del ricorso per cassazione a mezzo posta elettronica certificata (PEC), la mancanza, nella relata, della firma digitale dell’avvocato notificante non è causa d’inesistenza dell’atto, potendo la stessa essere riscontrata attraverso altri elementi di individuazione dell’esecutore della notifica, come la riconducibilità della persona del difensore menzionato nella relata alla persona munita di procura speciale per la proposizione del ricorso, essendosi comunque raggiunti la conoscenza dell’atto e, dunque, lo scopo legale della notifica (Cass. n. 6518 del 2017).

2. Col primo motivo del ricorso si deduce violazione di legge (art. 383, 392 e 393 c.p.c., nonchè artt. 16 e 17, art. 41 comma 1, lett. g) quater, e art. 42, comma 4 del TUIR, in relazione al D.L. n. 669 del 1996, art. 1 comma 5, conv. in L. n. 30 del 1997; al D.Lgs. 124 del 1993, art. 13, comma 9; alla L. n. 335 del 1995, art. 11, comma 3), per avere la C.T.R. erroneamente calcolato il rendimento come semplice differenza fra il capitale versato e il capitale liquidato, senza tener conto delle modalità contrattuali con le quali questo capitale veniva impiegato, alla luce del contratto che regola il Fondo.

3. Col secondo motivo si deduce error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4, violazione dell’art. 111 Cost., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, e artt. 112 e 132 c.p.c., per nullità della sentenza, che si è limitata a rinviare ai conteggi provenienti dall’Enel e dal contribuente, con ciò mancando di motivazione.

4. Col terzo motivo del ricorso si deduce violazione di legge, D.Lgs. 124 del 1993, art. 13, comma 9; D.L. n. 669 del 1996, art. 1 comma 5, conv. in L. n. 30 del 1996; artt. 16, 17, 42 TUIR. 5. Col quarto motivo si lamenta violazione di legge art. 2697 c.c., e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1.

6. Col quinto motivo si censura la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo, inerente alla natura giuridica del rendimento sulla base della disamina dei meccanismi di funzionamento del fondo Fondenel/Pia, e omesso esame dell’impiego sui mercati dal capitale affluito nel Fondo PIA. 7. Il ricorso va accolto nei termini di cui in prosieguo.

7.1. Sulla questione si sono pronunciate le Sezioni Unite di questa Corte (n. 13642 del 2011), che hanno affermato il seguente principio: “In tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17, solo per quanto riguarda la “sorte capitale” corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. n. 482 del 1985, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dal 1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17″.

7.2.Alla stregua di tali principi, il meccanismo impositivo di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6, (aliquota del 12,5% sulla differenza tra l’ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo) si applica agli iscritti al fondo di previdenza complementare aziendale (FONDENEL/P.I.A. da epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993), sulle somme percepite a titolo di liquidazione in capitale del trattamento di previdenza integrativa aziendale, solo limitatamente agli importi maturati entro il 31.12.2000 che provengano dalla liquidazione del rendimento del capitale.

7.3. Tali principi, non sono risultati però, di fatto, interamente risolutivi delle controversie pendenti, essendo emerse tra le parti in lite – nella presente come in altre controversie, come anche nei giudizi di rinvio dalla cassazione – contrapposte interpretazioni circa il concetto di “rendimento netto”, cui applicare la detta ritenuta del 12,5%.

7.4.Di recente questa Corte ha avuto modo di precisare ulteriormente i principi espressi dalla citata sentenza delle S.U., affermando il seguente principio di diritto, che si intende qui ribadire: “in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati a decorrere dal 1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17, (nel testo vigente ratione temporis); b) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, invece, la prestazione è assoggettata a detto regime di tassazione separata solo per quanto riguarda la sorte capitale, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore e corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6, alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento. Sono tali le somme derivanti dall’effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato – non necessariamente finanziario – non anche quelle calcolate attraverso l’adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnico-attuariali di capitalizzazione, al fine di garantire la copertura richiesta dalle prestazioni previdenziali concordate” (Cass. 26/04/2017, n. 10285 e Cass. n. 12267 del 17/05/2017).

8. In tali termini il ricorso merita pertanto accoglimento e la sentenza impugnata va cassata con rinvio, per nuovo esame, alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2018


Inquadramento contrattuale dei Messi Comunali

In occasione dell’attuale fase di rinnovo contrattuale del comparto autonomie Locali, l’Associazione ha ritenuto utile sottoporre all’attenzione delle Organizzazioni sindacali alcune considerazioni e proposte maturate nel dibattito interno e in occasioni pubbliche in merito alla attuale classificazione degli operatori nostri associati.

Leggi: CCNL rinnovo pro memoria inquadramento Messi Comunali 2018


Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 30/11/2017) 07/02/2018, n. 2877

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20224/2016 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI 43, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO D’AYALA VALVA, rappresentato e difeso dall’avvocato TIZIANO LUCCHESE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 661/6/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di MILANO, depositata il 04/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 30/11/2017 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO GIOVANNI CONTI.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
La CTR Lombardia, con la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate e, in riforma della pronunzia di primo grado, ha ritenuto la legittimità della cartella di pagamento impugnata da B.S. ritenendo ben notificati, con le forme di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), gli atti prodromici, tenuto conto dell’irreperibilità assoluta del contribuente acclarata dal messo notificatore attraverso le notizie acquisite dal custode dello stabile ove era ubicato il di lui domicilio fiscale e pure confermata dalla documentazione prodotta nel corso del giudizio dall’Ufficio.

Il B. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, al quale l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

Il procedimento può essere definito con motivazione semplificata.

Con l’unico motivo proposto il ricorrente prospetta la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e).

La CTR avrebbe dovuto rilevare l’assenza dei presupposti per ritenere l’irreperibilità assoluta dal contribuente, non avendo il messo notificatore compiuto alcuna ricerca circa l’esistenza di un ufficio o azienda del contribuente. Ricerche che, ove compiute, avrebbe agevolmente consentito all’amministrazione di individuare il luogo di lavoro in Milano ed in mancanza delle quali non poteva dirsi regolare il compimento della notifica con le modalità di cui all’art. 60, lett. e) cit.

Il ricorso è fondato.

E’ noto, in linea generale, che secondo questa Corte la notificazione degli avvisi e degli atti tributari impositivi va eseguita ai sensi dell’art. 140 c.c., solo ove sia conosciuta la residenza o l’indirizzo del destinatario che, per temporanea irreperibilità, non sia stato rinvenuto al momento della consegna dell’atto, mentre va effettuata del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 60, lett. e), quando il notificatore non reperisca il contribuente perchè trasferitosi in luogo sconosciuto, sempre che abbia accertato, previe ricerche, attestate nella relata, che il trasferimento non sia consistito nel mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso comune del domicilio fiscale – cfr. Cass. n. 6788/2017.

Orbene, la questione assume particolare rilievo in relazione alla circostanza che per le ipotesi di c.d. irreperibilità relativa correlata al trasferimento nell’ambito dello stesso Comune disciplinate dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e) – la notifica si perfeziona con il compimento delle attività stabilite dall’art. 140 c.p.c., richiamato dalla disposizione appena citata, occorrendo oltre al deposito di copia dell’atto nella casa del comune in cui la notificazione deve eseguirsi, all’affissione dell’avviso di deposito alla porta dell’abitazione o ufficio o azienda del destinatario anche la comunicazione con raccomandata A.R. dell’avvenuto deposito nella casa comunale dell’atto e il ricevimento della raccomandata informativa – ovvero il decorso del termine di dieci giorni dalla spedizione della detta raccomandata -.

Per converso, alle ipotesi di c.d. irreperibilità assoluta – agganciata al trasferimento del contribuente in diverso comune da quello in cui il contribuente aveva il domicilio fiscale la medesima disposizione sopra ricordata richiede, accanto al deposito dell’atto nella casa comunale, l’affissione dell’avviso nell’albo e il decorso del termine di otto giorni dalla data di affissione.

Ciò posto, questa Corte, affrontando il tema delle modalità che il messo notificatore o ufficiale giudiziario devono seguire per attivare in modo rituale il meccanismo notificatorio di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), in caso di irreperibilità assoluta, ha ritenuto che il messo notificatore, prima di procedere alla notifica, deve effettuare nel Comune del domicilio fiscale del contribuente le ricerche volte a verificare la sussistenza dei presupposti per operare la scelta, tra le due citate possibili opzioni, del procedimento notificatorio onde accertare che il mancato rinvenimento del destinatario dell’atto sia dovuto ad irreperibilità relativa ovvero ad irreperibilità assoluta in quanto nel Comune, già sede del domicilio fiscale, il contribuente non ha più nè abitazione, nè ufficio o azienda e, quindi, mancano dati ed elementi, oggettivamente idonei, per notificare altrimenti l’atto – Cass. n. 6911/2017, Cass. n. 4502/2017-.

Questa Corte (Cass. n. 12509/2016) ha perciò ritenuto che il messo deve pervenire all’accertamento del trasferimento del destinatario in luogo sconosciuto dopo aver effettuato ricerche nel Comune dov’è situato il domicilio fiscale del contribuente, per verificare che il suddetto trasferimento non si sia risolto in un mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso Comune; con riferimento proprio alla previa acquisizione di notizie e/o al previo espletamento delle ricerche, va evidenziato che “nessuna norma prescrive quali attività devono esattamente essere a tal fine compiute nè con quali espressioni verbali ed in quale contesto documentale deve essere espresso il risultato di tali ricerche, purchè emerga chiaramente che le ricerche sono state effettuate, che sono attribuibili al messo notificatore e riferibili alla notifica in esame” – conf. Cass. n. 2884/2017-.

Orbene, a tali principi non si è attenuto il giudice di merito ritenendo sufficiente le attività di ricerca del contribuente eseguite presso il custode, la genericità delle quali, peraltro, proprio in relazione alla loro vaghezza, avrebbe reso vieppiù necessaria un’ulteriore attività di verifica volta ad acclarare se il trasferimento del contribuente fosse avvenuto all’interno del comune o presso altro comune, attraverso la verifiche delle risultanze anagrafiche.

Non pare decisivo, per ritenere il contrario, evocare, come invece ha fatto la CTR, altro precedente di questa Corte – Cass. n. 12526/2014 – in tema di notificazione compiuta alla stregua dell’art. 143, allorchè si è ritenuto che “…l’ordinaria diligenza, alla quale il notificante è tenuto a conformare la propria condotta, per vincere l’ignoranza in cui versi circa la residenza, il domicilio o la dimora del notificando, al fine del legittimo ricorso alle modalità di notificazione previste dall’art. 143 c.p.c., va valutata in relazione a parametri di normalità e buona fede secondo la regola generale dell’art. 1147 c.c. e non può tradursi nel dovere di compiere ogni indagine che possa in astratto dimostrarsi idonea all’acquisizione delle notizie necessarie per eseguire la notifica a norma dell’art. 139 c.p.c., anche sopportando spese non lievi ed attese di non breve durata. Ne consegue l’adeguatezza delle ricerche svolte in quelle direzioni (uffici anagrafici, portiere della casa in cui il notificando risulti aver avuto la sua ultima residenza conosciuta) in cui è ragionevole ritenere, secondo una presunzione fondata sulle ordinarie manifestazioni della cura che ciascuno ha dei propri affari ed interessi, siano reperibili informazioni lasciate dallo stesso soggetto interessato, per consentire ai terzi di conoscere l’attuale suo domicilio (residenza o dimora)”.

Ed infatti, è evidente la specialità del sistema notificatorio previsto dal ricordato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, rispetto alla disciplina codicistica oggetto del precedente di questa Corte da ultimo ricordato che, per l’un verso, non consente l’estensione dei principi giurisprudenziali evocati dalla CTR e, per altro verso, rende dovuta da parte del messo notificatore un’attività di verifica volta a stabilire se il mancato rinvenimento del destinatario della notifica fosse stato riconducibile ad un trasferimento all’interno dello stesso comune ove risulta essere domiciliato ovvero al di fuori di esso.

Ne consegue che proprio rispetto al caso di specie, la verifica operata dal messo in ordine al fatto che il contribuente, in relazione alle generiche notizie fornite dal custode, risultava trasferito in località “non nota”, avrebbe dovuto indurre l’ufficiale notificante a compiere le verifiche necessarie al fine di acclarare se il trasferimento fosse avvenuto nel comune ovvero al di fuori del comune di domicilio. Verifiche che avrebbero ineludibilmente richiesto l’esame dei registri anagrafici che, per converso, il messo notificante non ha minimamente compulsato.

Nè a sopperire tale mancanza può risultare utile la verifica “ex post” che la CTR inteso valorizzare tenendo in considerazione elementi acquisiti aliunde, essendo sul punto sufficiente rammentare che secondo questa Corte (Cass. n. 24260/2014) deve escludersi che l’attestazione circa l’irreperibilità o il trasferimento in altro comune possa essere fornita dalla parte, nel corso del giudizio, laddove il messo notificatore abbia attestato la sola irreperibilità, senza ulteriore attestazione in ordine alle ricerche compiute “per verificare che il suddetto trasferimento non si sia risolto in un mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso Comune”.

Orbene, a tali principi non si è conformato il giudice di appello, considerando idonee a giustificare il ricorso alla notifica di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. e), unicamente le informazioni raccolte dal custode dello stabile ove era ubicato il domicilio fiscale del contribuente circa il di lui trasferimento in località non nota.

Sulla base di tali considerazioni, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della CTR Lombardia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR Lombardia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Motivazione semplificata.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 30 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2018


Modulistica aggiornata: anno 2018 al 20.03.2018

«Ai fini della ritualità e validità della relazione di notifica si rivela del tutto irrilevante l’uso di un timbro anziché della scrittura al fine di descrivere le operazioni svolte, dovendo tenersi conto delle operazioni indicate dal pubblico ufficiale, indipendentemente dallo strumento utilizzato per indicarle» (Cass. civ., sez. I, 12.5.1998, n. 4762). Le relate di notifica devono essere correttamente compilate (complete del Cognome e Nome del notificatore e della sua qualifica, possibilmente a stampa o con timbro, oltre che della di lui sottoscrizione) sia sull’originale che sulla copia che è consegnata al destinatario o chi per lui o depositata nella Casa Comunale.

Si ricorda che la relata di notifica deve essere apposta in calce all’atto, cioè in fondo (od al limite dietro l’ultima pagina) e non davanti o dove vi è spazio nel corpo dell’atto.

Leggi/scarica: MODULISTICA 2018 al 20 03 2018


Giornata di Studio Lainate (MI) – 23.04.2018

Locandina GdS Lainate 2018LA NOTIFICA ON LINE

Lunedi 23 aprile 2018

Comune di Lainate (MI)

Ariston Urban Center

Biblioteca

Largo Vittorio Veneto, 17/21

Orario: 9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00
con il Patrocinio del Comune di Lainate (MI)
Quote di Iscrizione alla giornata di studio:

€ 142.00(*) (**) se il partecipante alla giornata di studio è già è socio A.N.N.A. (persona fisica già iscritta all’Associazione alla data del 31.12.2017 con rinnovo anno 2018 già pagato al 31.12.2017. Tale requisito attiene esclusivamente alle persone fisiche. L’iscrizione ad ANNA del solo ente di appartenenza non soddisfa tale condizione per i propri dipendenti.

€ 212.00(*) (**) (***) se il partecipante NON E’ ancora socio A.N.N.A ma intende iscriversi per l’anno 2018 pagando la quota insieme a quella della giornata di studio. Tra i servizi che l’Associazione offre ai propri Iscritti vi è anche l’accesso all’area riservata del sito www.annamessi.it ed un’assicurazione per colpa grave.

€ 272,00 più I.V.A se dovuta (*) (**), per chi vuole frequentare solo la giornata di studio (NON E’ iscritto ad A.N.N.A. e NON vuole iscriversi).

Le quote d’iscrizione dovranno essere pagate, al netto delle spese bancarie, comprensive dell’imposta di bollo di € 2,00, tramite:

Versamento in Banca sul Conto Corrente Bancario:

  • Codice IBAN: Codice IBAN: IT06 T030 6234 2100 0000 1790 603 (Banca Mediolanum)
  • Versamento sul Conto Corrente n. 1790 603 (Banca Mediolanum)
  • Versamento per contanti presso la Segreteria della giornata di studio
Intestazione : Associazione Nazionale Notifiche Atti

Causale: G.d.S. Lainate 2018 o numero fattura elettronica

(*) Se la fattura è intestata ad un Ente Pubblico, la quota è esente da IVA ai sensi ai sensi dell’Art. 10 DPR n. 633/1972 così come dispone l’art. 14, comma 10 legge 537 del 24/12/1993, ed è comprensiva di € 2,00 (Marca da Bollo)

(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento.

(***) Se la giornata di studio si effettua negli ultimi 3 mesi dell’anno la eventuale quota di iscrizione all’Associazione A.N.N.A. deve intendersi versata per l’annualità  successiva.


Partecipazione di 2 o più dipendenti dello stesso Ente:

  • € 200,00 (**) (***) per il primo partecipante
  • € 170,00  (**) (***) per il secondo partecipante
  • €  80,00   (**) (***) per il terzo e oltre partecipante

Tali quote comprendono l’iscrizione all’Associazione per l’anno 2018 a cui si deve aggiungere € 2,00 (Marca da Bollo) sull’unica fattura emessa. Tale promozione non è assimilabile e/o integrabile alle Quote di Iscrizione sopra descritte (Quote di Iscrizione alla giornata di studio) e per un massimo di numero 10 dipendenti. Dall’11° dipendente si riprende con la quota di € 200,00 ecc. 


La quota di iscrizione comprende: accesso in sala, colazione di lavoro e materiale didattico.

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione alla giornata di studio potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo pagina cui dovrà  seguire il versamento della quota di iscrizione alla giornata di studio. I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

I corsi / seminari / convegni / giornate di studio non sono configurabili come appalti di servizi.

Pertanto per il loro acquisto non è necessario transitare dalle Centrali di Committenza (nazionale o regionale), non è prevista la richiesta del CIG. Si veda anche paragrafo 3.9 della Determinazione dell’AVCP n. 4 del 7 luglio 2011.

La formazione in materia di appalti e contratti pubblici, se prevista dal Piano triennale per la prevenzione della corruzione del singolo Ente, non è soggetta al tetto di spesa definito dall’art. 6, comma 13, del D.L. n. 78/2010. Si tratta infatti di formazione obbligatoria prevista dalla Legge n. 190/2012 (cfr. Corte dei conti: sez. reg.le di controllo Emilia Romagna n. 276/2013; sez. reg.le di controllo Liguria n. 75/2013; sez. reg.le di controllo Lombardia n. 116/2011)

Docente:

Asirelli Corrado 4Asirelli Corrado

Coord. Servizio Notifiche del Comune di Cesena FC

Membro della Giunta Esecutiva di A.N.N.A.

Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti ne dimoranti ne domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale”

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • Art. 149 bis c.p.c.
  • Le nuove disposizioni del C.A.D.
  • La PEC come strumento esclusivo di comunicazione e notifica della P.A. 

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  • L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  • L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy

Il diritto all’oblio

Risposte a quesiti

Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Nota bene: Qualora l’annullamento dell’iscrizione venga comunicato meno di cinque giorni prima dell’iniziativa, l’organizzazione si riserva la facoltà di fatturare la relativa quota, anche nel caso di non partecipazione alla giornata di studio.

Vedi: Attività formativa anno 2018

Scarica: Depliant Giornata di Studio Lainate 2018

Vedi: Piantina stradale Ariston Urban Center

Vedi: Fotografie della Giornata di Studio a Lainate MI

Vedi: Video della Giornata di Studio a Lainate MI

Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE G.d.S. Lainate MI 2018

Sul modulo dovranno obbligatoriamente essere indicati tutti i codici (CUU, CIG ecc.) che dovranno comparire nella fattura elettronica allegando la Determina Dirigenziale di autorizzazione

Scarica: Autocertificazioni Fiscali 2018

  1. Comunicazione Associazione Senza finalità di lucro
  2. Comunicazione di attivazione di conto corrente dedicato ai sensi dell’art. 3, comma 7, della legge n. 136/2010
  3. Dichiarazione relativa all’esonero dall’obbligo di redazione del “DURC” con riferimento alla iscrizione a corsi di formazione/aggiornamento. (Dichiarazione redatta ai sensi degli art. n. 46 e 47 del DPR n. 445/2000)
  4. Dichiarazione sostitutiva del certificato generale del casellario giudiziale e dei carichi pendenti (D.P.R. 28/12/2000 N° 445)
  5. Dichiarazione relativa alla fase di liquidazione delle fatture di competenza
  6. Dichiarazione insussistenza motivi di esclusione a contrattare con la Pubblica Amministrazione
  7. Dichiarazione ai sensi dell’art. 53 comma 16-ter del D.Lgs. 165/2001 e s.m.
  8. Documento di identità  personale del Legale Rappresentante pro tempore

Cass. civ., Sez. Unite, Sent., (data ud. 09/05/2017) 24/01/2018, n. 1785

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24010/2015 proposto da:

AZIENDA U.S.L. N. (OMISSIS) DI LIVORNO, in persona del Commissario pro tempore, GESTIONE STRALCIO DELLA EX U.S.L. N. (OMISSIS) DI LIVORNO, in persona del Commissario liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato MICHELE MARIANI;

– ricorrenti –

C.T., elettivamente domiciliata in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati MARIA PIA LESSI e ANDREA BAVA;

B.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 99, presso lo studio dell’avvocato VALENTINA PETRI, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO CARROZZA;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

AZIENDA U.S.L. N. (OMISSIS) DI LIVORNO, in persona del Commissario pro tempore, GESTIONE STRALCIO DELLA EX U.S.L. N. (OMISSIS) DI LIVORNO, in persona del Commissario liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato MICHELE MARIANI;

– controricorrenti all’incidentale –

e contro

REGIONE TOSCANA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 638/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 08/04/2015.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/05/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. IACOVIELLO Francesco Mauro, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

uditi gli avvocati Roberto Romei per delega orale, Andrea Bava e Giovanni Battista Conte per delega dell’avvocato Paolo Carrozza.

Svolgimento del processo
1. L’Azienda U.S.L. n. (OMISSIS) di Livorno (d’ora in avanti AUSL n. 6) e la Gestione Stralcio della ex U.S.L. n. (OMISSIS) di Livorno hanno proposto ricorso per cassazione contro C.T. e B.F., nonchè nei confronti della Regione Toscana, avverso la sentenza dell’8 aprile 2015, con la quale la Corte di Appello di Firenze ha riformato in grado di appello la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Livorno nel giugno del 2008.

2. La controversia di cui è processo ha tratto origine dal ricorso presentato nel luglio del 2000 dalla C. – medico dipendente della U.S.L. n. (OMISSIS) di Livorno e già della cessata (nel 1995) U.S.L. n. (OMISSIS) di Livorno, con inquadramento sin dal gennaio del 1989 come dirigente medico presso l’Unità Operativa di Ostetricia e Ginecologia – davanti al Tribunale di Livorno, in funzione di giudice del lavoro, contro l’U.S.L. n. (OMISSIS), in persona del commissario liquidatore, e per essa la Regione Toscana, nonchè contro l’AUSL n. (OMISSIS) di Livorno.

Nel ricorso la C. prospettava che l’allora primario di reparto, professor B.F., aveva iniziato ad arrecarle molestie sessuali per le quali era stato rinviato a giudizio nell’aprile del 1996, per i delitti di cui agli artt. 519 e 521 c.p., in relazione all’art. 56 stesso codice e art. 323 c.p., in relazione all’art. 81 stesso codice, con successiva pronuncia del Tribunale di Livorno, di applicazione, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., della pena di anni uno e mesi quattro di reclusione – e, vedendole respinte, aveva dato corso ad una cosciente e sistematica opera di distruzione della sua professionalità, venendo supportato dalla dirigenza dell’allora U.S.L. n. (OMISSIS), tramite ripetute conferme dei suoi atti.

In particolare, nel periodo dal luglio 1993 al luglio 1999, allorquando era stata reintegrata in servizio, detta opera si era concretata nella sottoposizione a quattro procedimenti disciplinari, conclusisi senza sanzione, a quattro provvedimenti di allontanamento dal reparto, ad un provvedimento di apertura di verifica delle sue capacità professionali e ad un provvedimento di affiancamento di un collega più anziano per la supervisione della correttezza del suo operato e servizio.

3. Sulla base di tale prospettazione la C. chiedeva:

a) da un lato, accertarsi la responsabilità contrattuale dell’AUSL n. 6 ai sensi dell’art. 2087 c.c. e, per il periodo successivo al 30 giugno 1998 (avendo per il periodo anteriore promosso un giudizio davanti al Tar Toscana, in ragione del criterio di riparto di giurisdizione collegato a quella data), farsi luogo alla sua condanna al risarcimento dei danni sofferti, a titolo di c.d. danno morale, di danno da lesione della propria dignità personale, di danno all’immagine professionale e di danno da mancata percezione dell’indennità di turnazione;

b) dall’altro lato, accertarsi, per l’intero periodo dal 1993 alla data di proposizione del ricorso, la responsabilità sia dell’U.S.L. n. (OMISSIS) che dell’AUSL n. (OMISSIS), a titolo extracontrattuale, per danno morale, lesione delle dignità professionale, dequalificazione e lesione dell’immagine professionale, con condanna dell’U.S.L., del Commissario Liquidatore, e della Regione Toscana, sia in proprio che in qualità di successore dell’U.S.L., al relativo risarcimento.

4. Nel relativo giudizio l’U.S.L. n. (OMISSIS), costituendosi in persona del liquidatore, e l’AUSL n. (OMISSIS), oltre a contestare il fondamento delle avverso domande, chiamavano in garanzia il B..

Costui, costituendosi a sua volta e adducendo di avere cessato di prestare servizio presso l’Unita Operativa il 26 aprile 1996, contestava sia la domanda principale sia quella di manleva, eccependo il difetto di giurisdizione su quest’ultima, per essere sussistente la giurisdizione della Corte di Conti, ed il difetto di giurisdizione sulla domanda della C., per essere essa riconducibile alla giurisdizione del giudice amministrativo, poichè la C. aveva proposto cinque ricorsi davanti al Tar Toscana, impugnando gli atti dell’AUSL n. (OMISSIS) sui quali si fondava la pretesa risarcitoria.

5. Lo stesso B., in data 31 luglio 2003, proponeva ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione.

Il Giudice del Lavoro adito, nelle more della decisione del regolamento, non ravvisava ragioni per sospendere il giudizio ai sensi dell’art. 367 c.p.c., ma, con ordinanza del 12 ottobre 2005, reputava l’inerenza alla propria competenza speciale soltanto della domanda di responsabilità contrattuale e ne tratteneva la cognizione, mentre, previa separazione, rimetteva gli atti al Presidente del Tribunale quanto alla domanda di responsabilità extracontrattuale, ritenendo che la sua trattazione dovesse avvenire secondo il rito ordinario.

Il Presidente del Tribunale assegnava la controversia in parte qua a magistrato addetto ai procedimenti ordinari e, a seguito della sua iscrizione a ruolo con un numero diverso da quello originario, il relativo giudizio veniva questa volta sospeso in attesa della definizione del regolamento preventivo.

6. La controversia rimasta davanti al giudice del lavoro veniva decisa con sentenza n. 84 del 21 aprile 2006, poi confermata in appello e passata in cosa giudicata. Con tale sentenza veniva accolta la domanda risarcitoria nei confronti dell’AUSL n. (OMISSIS) riguardo ai soli danni alla dignità ed all’immagine professionale ed all’indennità di turnazione, mentre veniva dichiarato il difetto di giurisdizione dell’a.g.o. quanto alla domanda di rivalsa dell’AUSL contro il B..

7. Successivamente alla lettura del dispositivo della citata sentenza livornese, avvenuta l’8 febbraio 2006, le Sezioni Unite di questa Corte, decidendo sul regolamento preventivo di giurisdizione con ordinanza n. 7986 del 6 aprile 2006, così statuivano:

aa) quanto alla domanda avente ad oggetto il risarcimento del danno contrattuale prodotto dopo il 30 giugno 1998 dichiaravano la giurisdizione ordinaria ai sensi del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 63, comma 1 e 2, nonchè del successivo art. 69, comma 7;

bb) quanto alla domanda relativa al danno extracontrattuale, dichiaravano la giurisdizione ordinaria “con riferimento a tutti i periodi, trattandosi di domanda fondata sul diritto civile comune ossia estranea al rapporto di pubblico impiego”;

cc) inoltre, dichiaravano “priva di ogni fondamento la tesi, sostenuta dalla controricorrente, secondo cui la controversia apparteneva alla giurisdizione della Corte dei Conti, trattandosi di azione di rivalsa esercitata dalla pubblica amministrazione contro un dipendente per danno risarcito ad un privato”, osservando, in particolare, che “nella specie l’amministrazione sanitaria non esercita(va) alcuna azione di rivalsa contro il dipendente ma gli chiede(va) solo di essere garantita contro la pretesa del privato”.

8. A seguito di riassunzione operata dalla C., il giudizio di cognizione ordinaria rimasto pendente dinanzi al Tribunale di Livorno in sede ordinaria veniva deciso con sentenza n. 834 del 26 giugno 2008, la quale rigettava le domande della C..

9. Viceversa, con la sentenza qui impugnata la Corte d’Appello di Firenze, in riforma della sentenza del primo giudice, dopo avere respinto una serie di eccezioni: 1a) ha condannato la Gestione Liquidatoria della cessata U.S.L. n. (OMISSIS) di Livorno e la Regione Toscana al pagamento a favore della C., a titolo risarcitorio, della somma di Euro 243.960,27 oltre interessi legali dalla pubblicazione al saldo; 1b) ha condannato l’AUSL n. (OMISSIS) di Livorno a pagamento di Euro 165.456,00 oltre interessi con la stessa decorrenza; 1c) ha condannato il B. a tenere indenne in rivalsa la detta Gestione totalmente e l’AUSL n. (OMISSIS) nella misura di Euro 72.589,45 sempre con interessi dalla pubblicazione; 1d) nel resto ha confermato la sentenza di primo grado.

10. Al ricorso per cassazione della Gestione Liquidatoria e dell’AUSL n. (OMISSIS), che si fonda su sei motivi, hanno resistito: a1) la C., con controricorso nel quale ha svolto ricorso incidentale affidato ad un unico motivo; b1) il B., con controricorso nel quale ha svolto ricorso incidentale affidato a nove motivi, dei quali i primi due pongono questioni inerenti alla giurisdizione.

11. Le ricorrenti principali hanno notificato congiuntamente un controricorso per resistere al ricorso incidentale della C. e sempre congiuntamente altro ricorso per resistere al ricorso incidentale del B.. La C., a sua volta ha resistito con controricorso al ricorso incidentale del B.. Il B. ha resistito con controricorso al ricorso della C..

12. Tutte le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso principale l’impugnata sentenza della corte d’appello è censurata per avere confermato l’ordinanza con la quale il giudice del lavoro in primo grado aveva modificato il rito per la trattazione della (ritenuta) domanda extracontrattuale. Secondo la ricorrente sarebbe invece occorsa una pronuncia di mutamento di rito da parte del giudice d’appello il quale, qualificata la causa come causa di responsabilità contrattuale, avrebbe dovuto dichiarare la giurisdizione amministrativa essendo gli episodi asseritamente lesivi tutti precedenti al 30 giugno 1998 (data di spartiacque del riparto di giurisdizione, secondo la disciplina transitoria dettata del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 7).

1.1. Il motivo non è accoglibile, benchè la motivazione della sentenza impugnata debba essere corretta perchè il giudice d’appello si è pronunciato in manifesta violazione dell’esistenza di un giudicato interno formatosi per effetto della decisione del primo giudice.

Infatti la qualificazione come extracontrattuale della responsabilità per le vicende anteriori al 30 giugno 1998 era stata ritenuta dal Tribunale di Firenze in funzione di giudice del lavoro nell’ordinanza di cambiamento del rito processuale quanto alla relativa domanda, ed il Tribunale di Firenze in sede ordinaria, a seguito del mutamento del rito, ha trattato espressamente la causa sulla base della qualificazione data dal giudice del lavoro senza porla in discussione.

In presenza dell’adozione esplicita da parte della sentenza di primo grado di una qualificazione della domanda come imperniata su una responsabilità extracontrattuale, il decisum, là dove venne reso sulla base di essa, sebbene con un rigetto della domanda, sarebbe stato ridiscutibile dalla parte rimasta vittoriosa in senso pratico nell’esito finale della lite, soltanto con la proposizione di un appello incidentale condizionato in seno all’appello principale della controparte. Appello incidentale condizionato diretto a far valere la soccombenza c.d. virtuale sulla questione di qualificazione (si veda, in argomento, Sez. un. n. 11799 del 2017).

Viceversa, le attuali ricorrenti, resistendo all’appello principale, si limitarono a prospettare la questione in via di eccezione, cioè per il tramite dell’istituto della c.d. riproposizione, di cui all’art. 346 c.p.c..

Ne segue che la corte territoriale avrebbe dovuto rilevare che la riproposizione come eccezione della questione di qualificazione era mezzo inidoneo a consentirne il riesame e considerare che, in mancanza di appello incidentale condizionato, su quella questione si era formata la cosa giudicata interna a norma dell’art. 329 c.p.c., comma 2, indipendentemente dal fatto che la questione di qualificazione della domanda è esaminabile d’ufficio dal giudice e non solo su rilievo di parte. Sicchè, è per tale ragione che l’eccezione (rectius: la questione) si sarebbe dovuta disattendere nel senso della sua inammissibilità per essersi formata cosa giudicata interna, piuttosto che con la motivazione resa dalla corte fiorentina.

Quest’ultima deve perciò esser corretta su questo punto (essendo condivisibile il principio di diritto, già affermato da Cass. n. 15810 del 2006 e, quindi, da altre decisioni delle Sezioni Semplici), tenuto conto che deve ritenersi configurabile il potere della Corte di Cassazione di correzione della motivazione della sentenza impugnata anche in relazione ad un error in procedendo, fermi restando anche in tal caso come nella specie – i limiti della non necessità di indagini di fatto (ulteriori rispetto a quelle che la Corte di Cassazione può compiere sul fascicolo, come di norma, nell’esame di detto “error”) e del rispetto del principio dispositivo (dovendosi trattare di fatti ed eccezioni rilevati dalle parti o rilevabili d’ufficio).

1.2. Si deve aggiungere altresì che la questione di giurisdizione sollevata in via consequenziale nel motivo di ricorso, se non stata fosse decisiva la disposta correzione della motivazione, sarebbe risultata comunque ormai preclusa dall’ordinanza emessa da queste Sezioni unite in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, già menzionata nella parte espositiva della presente sentenza. In particolare, un ipotetico appello incidentale condizionato si sarebbe dovuto rigettare comunque per tale ragione.

2. Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 28 Cost. e art. 2049 c.c.. E’ censurata l’estensione alle aziende ricorrenti della responsabilità per i comportamenti illeciti tenuti dal proprio dipendente B.. In realtà la critica investe la sentenza impugnata solo là dove si è occupata della condotta del B. di natura sessuale e non dell’altra di abuso di ufficio.

2.1. In una prima parte la censura è imperniata sull’assunto della qualificazione contrattuale della responsabilità delle qui ricorrenti, che si sostiene avrebbe dovuto essere discussa ai sensi dell’art. 2087 c.c., cioè in termini di c.d. condotte protettive e non ai sensi dell’art. 2049 c.c.. Tuttavia, non solo si omette di specificare dove e come i giudici della sentenza impugnata fossero stati investiti di una siffatta prospettazione, ma si fa riferimento ad una serie di circostanze fattuali e ad un atto (il ricorso al t.a.r.) sui quali essa si fonda senza rispettare l’onere di indicazione specifica di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6. Inoltre, la censura denuncia l’omessa considerazione di fatti al cui esame la corte territoriale non avrebbe dovuto procedere a giusta ragione, tenuto conto di quanto osservato a proposito del primo motivo a proposito della mancata proposizione dell’appello incidentale condizionato diretto a censurare la qualificazione extracontrattuale della responsabilità.

2.2. In una seconda parte dell’illustrazione del motivo, che inizia con il punto 2. della pagina 11 del ricorso, si dichiara di porsi nella logica della responsabilità delle ricorrenti ai sensi dell’art. 2049 c.c. e art. 28 Cost. e si imputa alla corte territoriale di avere erroneamente inteso il nesso di occasionalità necessaria, che deve essere escluso quando il dipendente “non abbia perseguito finalità coerenti con le mansioni che gli furono affidate, ma finalità proprie, alle quali il committente non sia neppure immediatamente interessato o compartecipe”. Essendo pacifica, nel caso di specie, l’inesistenza di un qualche interesse anche mediato, dell’Usl odierna ricorrente, nelle molestie sessuali inflitte, in ipotesi, dal Prof. B. alla Dott.ssa C., se ne deduce che il nesso di c.d. occasionalità necessaria non avrebbe potuto essere ravvisato.

2.2.1. La censura è inammissibile, in quanto non presenta una struttura idonea a consentire l’esame della proposta quaestio iuris in tema di occasionalità necessaria in relazione all’ipotesi di responsabilità di cui all’art. 2049 c.c..

Infatti, i ricorrenti hanno omesso di individuare la motivazione della sentenza impugnata in cui si anniderebbe l’error iuris in punto di occasionalità necessaria tra il contesto e la condotta illecita esplicata dal primario e le mansioni ed i poteri affidatigli dalla p.a., “grazie ai quali il B. aveva ottenuto di potersi appartare con l’attrice in luogo soggetto per l’accesso altrui al suo consenso, per poi insidiare la sottoposta”. Si deve, infatti considerare che l’unico passo motivazionale della sentenza impugnata evocato dall’illustrazione del motivo e, quindi, da intendersi oggetto di critica è quello in cui essa afferma la sussistenza dell’occasionalità necessaria, “a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale, peraltro senza minimamente soffermarsi sul contenuto delle condotte concrete”. Ebbene, tale affermazione sottende la conclusione di un ragionamento che la corte fiorentina ha svolto precedentemente e del quale nell’illustrazione del motivo si omette del tutto l’individuazione, con conseguente difetto di specificità (Cass., Sez. Un. n. 7074 del 2017) e chiarezza (Cass., Sez. Un. n. 8077 del 2012) del motivo.

Si deve rilevare che prima del passo riportato, la corte fiorentina ha effettivamente esposto considerazioni che si sono articolate dalle ultime otto righe della pagina 9 sino alle prime undici della pagina 12. Si ha, quindi, conferma che il passo motivazione riportato dal motivo è stato preceduto da un articolato ragionamento, del quale le ricorrenti avrebbero dovuto farsi carico evocandolo e criticandolo specificamente.

In realtà il motivo di ricorso accumula rilievi in diritto a considerazioni che attengono all’accertamento ed alla valutazione dei fatti: il che, per un verso, priva le doglianze in diritto di sufficiente specificità e, per altro verso, sembra non tener conto della natura stessa del giudizio di legittimità, quasi fosse un terzo grado di merito.

Si deve anzi rilevare che, benchè verbalmente riferita alla violazione dell’art. 2049 c.c., la dedotta censura non consente di individuare un error iuris in punto di applicazione del concetto di occasionalità necessaria ma si sostanzia in una serie di considerazioni che, al più, varrebbero a mettere in dubbio la adeguatezza della motivazione con cui, in punto di fatto, la corte di merito ha ravvisato l’esistenza di un tal nesso di necessaria occasionalità tra i comportamenti posti in essere dal dipendente e la funzione da lui esercitata nell’ambito dell’ufficio. Ma, in questi termini, la doglianza, piuttosto che connotarsi come censura di falsa applicazione della norma di diritto di cui all’art. 2049 c.c., almeno sotto il profilo del c.d. vizio di sussunzione, finisce per rivelarsi come censura relativa alla ricostruzione della quaestio facti e così apprezzata fuoriesce anche dall’ambito applicativo del novellato art. 360 c.p.c., n. 5. Ed inoltre non considera il profilo, appunto inerente le valutazioni relative alla ricostruzione del fatto, dell’esistenza eventuale di comportamenti degli organi delle ricorrenti di omissione di interventi pur nella consapevolezza dell’utilizzo da parte del B. del contesto lavorativo per i fatti delittuosi a sfondo sessuale.

3. Con il terzo motivo si sostiene – deducendo violazione dell’art. 445 c.p.p., comma 1-bis – che le molestie sessuali lamentate dalla C. ed imputate al B. non avrebbero potuto ritenersi provate sulla base della sola sentenza di patteggiamento emessa nei confronti di quest’ultimo.

3.1. Orbene, la sentenza impugnata si è effettivamente soffermata a discutere della questione, ma erroneamente, perchè la possibilità di discutere del valore della sentenza di patteggiamento non le era stata ritualmente devoluta.

Infatti, l’avviso espresso dal Tribunale in ordine alla ascrivibilità al B. delle condotte oggetto di sentenza di patteggiamento avrebbe potuto essere riesaminato solo se le ricorrenti, vittoriose quanto all’esito finale della lite, ma soccombenti in ordine a quella ascrivibilità, avessero proposto un appello incidentale condizionato.

Invero, la lettura della sentenza di primo grado, presente nel fascicolo di ufficio, evidenzia che il Tribunale – dopo avere ricordato le imputazioni subite dal B. e la conclusione del procedimento penale con la sentenza di patteggiamento del 21 marzo 1997 – si era espressa, a pagina 9, in questi termini: “al riguardo, occorre premettere che, anche a prescindere dall’esistenza del principio secondo cui il giudice può utilizzare, per la formazione del proprio convincimento, anche le prove raccolte in un diverso processo, una volta che la relativa documentazione sia stata prodotta, la sentenza penale di applicazione della pena ai sensi della 444 c.p.p. (cosiddetto patteggiamento) costituisce indiscutibilmente elemento di prova per il giudice di merito, il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità e il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione. Detto riconoscimento, pur non essendo oggetto di una statuizione assistita dal giudicato, ben può essere utilizzato come prova nel corrispondente giudizio di responsabilità in sede civile (vedi Cass. civ., Sez. 1, 22/12/2004, n. 23771. Ritenuta pertanto la valenza probatoria nell’odierno giudizio del riconoscimento della responsabilità del B. in relazione ai reati contestatigli….”.

Stante il tenore della sentenza di primo grado, le qui ricorrenti, vittoriose in senso pratico, ma soccombenti in senso virtuale sull’affermazione di esistenza della prova della responsabilità penale in forza della ritenuta efficacia probatoria della sentenza di patteggiamento, avrebbero avuto l’onere di proporre appello incidentale condizionato, questa essendo condizione necessaria perchè il giudice d’appello potesse riesaminare la questione. Invece, esse si limitarono alla c.d. mera riproposizione, mezzo del tutto inidoneo.

La questione posta con il motivo in esame evidenzia allora e nuovamente una situazione nella quale la motivazione della sentenza impugnata dev’essere corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c..

4. Con il quarto motivo si fa valere, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 2043 e dell’art. 2727 c.c. e si intende discutere la responsabilità affermata dalla sentenza impugnata per le voci di danno richieste dalla C. in relazione ad atti e comportamenti adottati dall’azienda sanitaria, la maggior parte a firma del Dottor B..

4.1. Il motivo non risulta nei vari punti con i quali si commentano gli atti ed i documenti evocati, articolato in modo idoneo ad evidenziare il vizio di violazione dell’art. 2727 c.c..

La deduzione della violazione dell’art. 2727 cod. civ. è fatta manifestamente con riferimento al modo in cui la sentenza impugnata ha utilizzato c.d. presunzioni semplici e, quindi, a quelle cui allude l’art. 2729 c.c., ancorchè tale norma non venga formalmente evocata.

Ora, la denuncia di violazione o di falsa applicazione della norma di diritto di cui all’art. 2729 c.c., si può prospettare (come altrove venne sostenuto: Cass. n. 17457 del 2007; successivamente, Cass. n. 17535 del 2008; di recente: Cass. n. 19485 del 2017) sotto i seguenti aspetti:

aa) il giudice di merito (ma è caso scolastico) contraddice il disposto dell’art. 2729 c.c., comma 1, affermando (e, quindi, facendone poi concreta applicazione) che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni (rectius:fatti), che non siano gravi, precise e concordanti: questo è un errore di diretta violazione della norma;

bb) il giudice di merito fonda la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota, così sussumendo sotto la norma dell’art. 2729 c.c., fatti privi di quelle caratteristiche e, quindi, incorrendo in una sua falsa applicazione, giacchè dichiara di applicarla assumendola esattamente nel suo contenuto astratto, ma lo fa con riguardo ad una fattispecie concreta che non si presta ad essere ricondotta sotto tale contenuto, cioè sotto la specie della gravità, precisione e concordanza.

Con riferimento a tale secondo profilo, si rileva che, com’è noto, la gravità allude ad un concetto logico, generale o speciale (cioè rispondente a principi di logica in genere oppure a principi di una qualche logica particolare, per esempio di natura scientifica o propria di una qualche lex artis), che esprime nient’altro – almeno secondo l’opinione preferibile – che la presunzione si deve fondare su un ragionamento probabilistico, per cui dato un fatto A noto è probabile che si sia verificato il fatto B (non è condivisibile, invece, l’idea che vorrebbe sotteso alla “gravità” che l’inferenza presuntiva sia “certa”).

La precisione esprime l’idea che l’inferenza probabilistica conduca alla conoscenza del fatto ignoto con un grado di probabilità che si indirizzi solo verso il fatto B e non lasci spazio, sempre al livello della probabilità, ad un indirizzarsi in senso diverso, cioè anche verso un altro o altri fatti.

La concordanza esprime – almeno secondo l’opinione preferibile – un requisito del ragionamento presuntivo (cioè di una applicazione “non falsa” dell’art. 2729 c.c.), che non lo concerne in modo assoluto, cioè di per sè considerato, come invece gli altri due elementi, bensì in modo relativo, cioè nel quadro della possibile sussistenza di altri elementi probatori considerati, volendo esprimere l’idea che, in tanto la presunzione è ammissibile, in quanto indirizzi alla conoscenza del fatto in modo concordante con altri elementi probatori, che, peraltro, possono essere o meno anche altri ragionamenti presuntivi.

Ebbene, quando il giudice di merito sussume erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione fatti concreti accertati che non sono invece rispondenti a quei caratteri, si deve senz’altro ritenere che il suo ragionamento sia censurabile alla stregua dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e compete, dunque, alla Corte di cassazione controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta dal giudice di merito, lo sia stata anche a livello di applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta. Essa può, pertanto, essere investita ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’errore in cui il giudice di merito sia incorso nel considerare grave una presunzione (cioè un’inferenza) che non lo sia o sotto un profilo logico generale o sotto il particolare profilo logico (interno ad una certa disciplina) entro il quale essa si collochi. La stessa cosa dicasi per il controllo della precisione e per quello della concordanza.

4.1.1. In base alle considerazioni svolte la deduzione del vizio di falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 1, suppone allora un’attività argomentativa che si deve estrinsecare nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione che il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di merito – assunto, però, come tale e, quindi, in facto per come è stato enunciato – risulti irrispettoso del paradigma della gravità, o di quello della precisione o di quello della concordanza.

Occorre, dunque, una preliminare attività di individuazione del ragionamento asseritamente irrispettoso di uno o di tutti tali paradigmi compiuto dal giudice di merito e, quindi, è su di esso che la critica di c.d. falsa applicazione si deve innestare ed essa postula l’evidenziare in modo chiaro che quel ragionamento è stato erroneamente sussunto sotto uno o sotto tutti quei paradigmi.

4.1.2. Di contro la critica al ragionamento presuntivo svolto da giudice di merito sfugge al concetto di falsa applicazione quando invece si concreta o in un’attività diretta ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali in relazione alle quali il ragionamento presuntivo è stato enunciato dal giudice di merito, avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo (sicchè il giudice di merito è partito in definitiva da un presupposto fattuale erroneo nell’applicare il ragionamento presuntivo), o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito, senza spiegare e dimostrare perchè quella da costui applicata abbia esorbitato dai paradigmi dell’art. 2729, comma 1 (e ciò tanto se questa prospettazione sia basata sulle stesse circostanze fattuali su cui si è basato il giudice di merito, quanto se basata altresì su altre circostanze fattuali).

In questi casi la critica si risolve in realtà in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti, e, in definitiva, nella prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa quaestio e ci si pone su un terreno che non è quello dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 1), ma è quello che sollecita un controllo sulla motivazione del giudice relativa alla ricostruzione della quaestio facti. Terreno che, come le Sezioni Unite, (Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014) hanno avuto modo di precisare, vigente dell’art. 360 c.p.c., nuovo n. 5, è percorribile solo qualora si denunci che il giudice di merito l’esame di un fatto principale o secondario, che avrebbe avuto carattere decisivo per una diversa individuazione del modo di essere della detta quaestio ai fini della decisione, occorrendo, peraltro, che tale fatto venga indicato in modo chiaro e non potendo esso individuarsi solo nell’omessa valutazione di una risultanza istruttoria.

4.1.3. Ebbene, la lunga illustrazione del motivo non prospetta la falsa applicazione dell’art. 2729, comma nei termini su indicati, ma si risolve talora solo nella prospettazione di pretese inferenze probabilistiche diverse sulla base della evocazione di emergenze istruttorie e talora nella prospettazione di una diversa ricostruzione delle quaestiones facti ripercorse in relazione agli oggetti dei vari documenti dell’elenco iniziale sopra ricordato.

Ne segue che il motivo non presenta le caratteristiche della denuncia di un vizio di falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 1 e nemmeno, pur riconvertito alla stregua di Cass., Sez. Un., n. 17931 del 2013, quelle di un motivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

5. Il quinto motivo deduce “violazione degli artt. 2043 e 1227 c.c.”, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

L’esordio del motivo dichiara che in esso si vuole argomentare “che in questa causa manca la prova e prima ancora l’allegazione, dei danni il cui risarcimento è stato chiesto ex adverso, come esattamente aveva rilevato il Tribunale”, così rivelando di voler porre una censura di mancanza di prova e non in iure.

In effetti la censura, dopo aver riepilogato in via del tutto generale lo stato della giurisprudenza in proposito, si addentra in considerazioni attinenti al governo che la corte di merito ha fatto delle risultanze di causa, risolvendosi nell’assunto secondo cui la parte avversaria non avrebbe allegato e provato alcuno dei danni richiesti. In tal modo si finisce però per richiedere un riesame delle risultanze probatorie in questa sede non consentito.

Le critiche rivolte a questo proposito alla motivazione dell’impugnata sentenza neppure possono, d’altronde, essere qui prese in considerazione, non solo e non tanto perchè l’intestazione del motivo di ricorso fa riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 (e non n. 5), quanto perchè non individuano un omesso esame di fatti decisivi e quindi non corrispondono al modello legale del citato art. 360, n. 5.

Tanto si osserva non senza doversi pure rilevare che in più punti della lunga esposizione del motivo si fa riferimento alla motivazione o non correlandosi alla sua effettività, o in modo assolutamente generico o senza individuare la parte di essa che determinerebbe il vizio denunciato (Cass., Sez. Un. n. 7074 del 2017), mentre in altri non si rispetta l’art. 366 c.p.c., n. 6.

6. Con un ultimo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 1226 c.c. e, poichè ci si limita ad una mera affermazione (“Trattandosi di danno non patrimoniale, la liquidazione è giocoforza avvenuta in via equitativa, da parte della Corte territoriale; sennonchè, ciò non l’avrebbe esentata dal manifestare i criteri della suddetta liquidazione, così da renderla verificabile. Ciò non è avvenuto, donde questo ulteriore motivo di ricorso”), è inammissibile per la sua assoluta genericità argomentativa e per l’assenza di individuazione della motivazione della sentenza impugnata che determinerebbe il vizio.

7. Il ricorso principale è, conclusivamente, rigettato.

8. Con l’unico motivo del suo ricorso incidentale la C. deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, “omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le arti e abbia carattere decisivo”.

Il motivo concerne la negazione fatta dalla sentenza impugnata del riconoscimento alla C. di un danno quanto all’immagine pubblica al di fuori dell’ambiente di lavoro.

Il motivo non individua la motivazione della sentenza impugnata sul punto, ma, dopo una prima affermazione, che risulta incomprensibile, dato che vi si parla di considerazione pubblica nell’ambito ospedaliero, fa un generico riferimento a non meglio identificati giornali ed a quelli che definisce i loro “titoloni”, ma omette di fornire riguardo a tali risultanze l’indicazione specifica di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6. Si limita, poi, a riprodurre un passo dell’atto di appello evocativo della pubblicazione di un articolo di giornale.

La prospettazione è del tutto generica e, se si confronta con la pur breve motivazione della sentenza impugnata, non appare nemmeno ad essa pertinente. La sentenza ha, infatti, affermato a pag. 35: “Non risulta invece la prova di danni all’immagine al di fuori dell’ambiente di lavoro; gli unici articoli di giornale prodotti concernono soltanto condanne penali per errori medici del primario e di colleghi oltre che la notizia della sentenza ex art. 444 c.p.p. a carico di B.”. Quindi ha ritenuto le produzioni documentali non pertinenti ed occorreva, nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., n. 6, dimostrare il contrario.

A quanto osservato v’è da aggiungere che la prospettazione non denuncia in alcun l’omesso esame di fatti, dato che tali non sono certamente le deduzioni argomentative della conclusionale.

8.1. Il ricorso incidentale è, pertanto, rigettato.

9. Con il primo motivo del suo ricorso incidentale il B. censura la sentenza impugnata là dove ha ritenuto inammissibile la sua eccezione di sussistenza della giurisdizione della Corte dei Conti sulla domanda di manleva esercitata dalle ricorrenti principali.

9.1. La decisione impugnata è corretta attesa l’efficacia di statuizione sulla giurisdizione dell’a.g.o. certamente da riconoscesi alla pronuncia di queste Sezioni Unite, la quale, come emerge dalla motivazione della sentenza impugnata e come questa Corte può verificare trattandosi di propria decisione, aveva – al contrario di quanto afferma il B. – statuito anche sull’esclusione della giurisdizione contabile, in particolare osservando che: “è priva di ogni fondamento la tesi, sostenuta dalla controricorrente, secondo cui la controversia apparterebbe alla giurisdizione della Corte dei Conti, trattandosi di azione di rivalsa esercitata dalla pubblica amministrazione contro un dipendente per danno risarcito ad un privato: nella specie l’amministrazione sanitaria non esercita alcuna azione di rivalsa contro il dipendente ma gli chiede solo di essere garantita contro la pretesa del privato”.

Tale statuizione, ancorchè fatta a seguito di una questione posta con il controricorso avverso il ricorso del B., che aveva chiesto dichiararsi la giurisdizione del giudice amministrativo, ha individuato, con l’efficacia definitiva propria delle statuizioni rese dalle Sezioni Unite in sede di regolamento, la giurisdizione su tutta la controversia in quella ordinaria e ciò anche quanto alla domanda di garanzia.

Del resto, le Sezioni Unite, anche a prescindere dalla sollecitazione rivolta dalla C., avrebbero ugualmente dovuto statuire anche sulla domanda di rivalsa.

Il motivo è, pertanto, rigettato.

10. Con il secondo motivo il B.: a) sostiene anzitutto la sussistenza della giurisdizione amministrativa con riferimento all’azione risarcitoria in relazione ai fatti anteriori al 30 giugno 1998; b) quindi, con una seconda lapidaria prospettazione, adombra che si fosse formato, per effetto delle decisioni del giudice amministrativo, un giudicato sulla giurisdizione di quel giudice.

10.1. La censura nuovamente si risolve in una inammissibile pretesa di porre in discussione la giurisdizione del giudice ordinario nonostante su di essa queste Sezioni Unite abbiano statuito con l’ord. n. 7986 del 2006.

Per ciò solo è manifestamente priva di fondamento.

Tanto si rileva non senza doversi rimarcare che, avendo il giudice di primo grado espressamente e doverosamente preso atto (nell’esordio della sua motivazione) che la giurisdizione era stata sancita da quell’ordinanza, ogni possibilità di discutere al riguardo supponeva da parte del B. (chiamato in causa in garanzia e, quindi, abilitato a contestare il modo di essere del rapporto giuridico principale fra la C. e le aziende sanitarie) la proposizione di un appello incidentale condizionato (destinato comunque a cattiva sorte, stante l’efficacia della citata ordinanza), dato il rigetto della domanda principale, dei cui effetti beneficiava quale chiamato in garanzia.

Risulta allora così anche pienamente comprensibile perchè la sentenza impugnata nulla abbia detto sulla questione di cui alla censura.

10.2. Un’ulteriore censura viene argomentata, questa volta con riferimento alla motivazione della sentenza impugnata, là dove essa ha escluso si configurasse una c.d. pregiudiziale amministrativa: tale censura è inammissibile, perchè non si fa carico di criticare la motivazione della sentenza impugnata (Cass. Sez. Un. n. 7074 del 2017). Infatti, pure avendola evocata all’inizio della illustrazione dell’intero motivo, là dove essa si è espressamente richiamata all’insegnamento di Cass. sez. un. n. 500 del 1999, lo svolgimento della censura ignora completamente questo riferimento alla sentenza n. 500 del 1999, giusto o sbagliato che sia stato. Ci si limita, infatti, ad evocare decisioni del giudice amministrativo e di un giudice ordinario di merito senza fare alcun riferimento alla suddetta sentenza e senza spiegare come e perchè sarebbero pertinenti rispetto ai principi da essa affermati.

D’altro canto, la valutazione della pregiudiziale avrebbe supposto una precisa individuazione dei fatti riguardo alla quale si sarebbe configurata, che, quindi, avrebbero dovuto essere individuati in modo puntuale e nella loro correlazione con i provvedimenti delle amministrazioni sanitarie. Invece a questa Corte non è stata offerta alcuna precisazione al riguardo, essendovi stata, nell’illustrazione della precedente censura, l’individuazione di giudizi impugnatori davanti al t.a.r. e fra l’altro senza la localizzazione dei relativi riferimenti.

11. Con il terzo motivo si denuncia “l’insufficiente e contraddittoria motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio” e si insiste nel sostenere l’estraneità del B. ai fatti di molestia sessuale addebitatigli.

Il motivo risulta inammissibile già in base alla sua intestazione, in quanto deduce il vecchio paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e non quello introdotto dalla riforma del 2012. Inoltre, là dove afferma che su alcuni punti l’impugnata sentenza sarebbe priva di motivazione, si astiene dall’indicare, con riferimenti all’amplissima parte della motivazione riprodotta, quali sarebbero questi punti.

11.1. Tanto implica che il motivo sia strutturalmente inidoneo ad assumere la funzione di critica alla sentenza impugnata e ciò a(di là della sua caratterizzazione come critica non ispirata a quanto è consentito dal paradigma del n. 5 vigente.

Là dove poi il ricorrente si duole che il primo giudice non avrebbe accertato le condotte di reato limitandosi a fare riferimento alla sentenza di patteggiamento, è sufficiente richiamare quanto già detto esaminando il ricorso principale.

Ed infatti il motivo sotto tale profilo indugia su una questione sulla quale la statuizione del giudice di primo grado avrebbe dovuto essere impugnata anche dal B. con appello incidentale condizionato, tanto che, come s’è detto, la corte territoriale avrebbe dovuto omettere di farsi carico delle contestazioni proposte al riguardo con la c.d. mera riproposizione.

12. Con il quarto motivo viene di nuovo prospettata “un’insufficiente e contraddittoria motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, con riferimento all’illiceità delle condotte contestate diverse da quelle esaminate dalla sentenza ex art. 444 c.p.p., in mancanza del previo annullamento degli atti amministrativi presupposti dinanzi al Giudice amministrativo.

12.1. Anche per tale motivo vale quanto sopra osservato in ordine al mutato paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè in ordine alla mancata specifica individuazione del preteso fatto di cui si sarebbe omesso l’esame.

Ne discende che tali censure sarebbero per ciò solo inammissibili.

12.2. Si evoca altresì nuovamente il problema della pregiudiziale e, dunque, una quaestio iuris, ma anche in questo caso senza che si faccia constare, in modo rispettoso dell’art. 366 c.p.c., n. 6, quali erano i comportamenti per cui era stata proposta l’azione risarcitoria dalla C., riguardo ai quali avrebbe assunto rilievo pregiudicante l’impugnazione di provvedimenti amministrativi. Infatti, si fa generico riferimento alle sentenze del t.a.r. Toscana che dichiararono improcedibili giudizi instaurati dalla C. e accolsero parzialmente uno di essi. Di modo che l’apprezzamento della questione di c.d. pregiudizialità dovrebbe farsi senza una precisa e chiara individuazione degli oggetti rispetto ai quali procedere al relativo apprezzamento.

12.3. In ogni caso, quando pure fosse superabile l’esposto rilievo, l’inammissibilità della seconda censura del secondo motivo renderebbe comunque ulteriormente inammissibile la doglianza.

13. Considerazioni analoghe valgono per il quinto ed il sesto motivo, che nuovamente denunciano vizi di motivazione dell’impugnata sentenza (in punto di accertamento e di quantificazione del danno) in termini meramente assertori e generici e senza tener conto della vigente formulazione del più volte citato art. 360, n. 5.

I motivi, di contenuto assertivo, sono, pertanto, inammissibili.

14. Con un settimo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 c.c., ma, poichè l’attività illustrativa si riduce all’affermazione che “nel caso di specie, trattandosi di danni non patrimoniali, la liquidazione è stata fatta in via equitativa dalla Corte d’Appello, che però avrebbe dovuto esplicitare i criteri di liquidazione, al fine di rendere verificabili e comprensibili gli importi”, nonchè a quella ulteriore “ma così non è stato con la conseguenza che la sentenza è viziata anche sotto questo ulteriore profilo”, anche in questo caso valgono i rilievi di inammissibilità appena svolti a proposito dei precedenti motivi.

15. L’ottavo motivo è articolato in più censure (sei submotivi), tra loro non ben coordinate e che nuovamente sovrappongono profili di diritto e considerazioni di merito non prospettabili in questa sede.

L’illustrazione sostiene i primo luogo che la pronuncia sarebbe viziata nella parte in cui afferma quanto poi viene fatto constare con la riproduzione, dall’ottavo rigo della pagina 54 sino al sesto della pagina 56, di una parte della motivazione della sentenza.

Segue l’affermazione che “l’assunto, come palesemente risulta dalle deduzioni sin qui svolte in riferimento agli (altri) motivi, appare infondato. Quanto si qui esposto risulta assorbente ed idoneo a definire il giudizio sotto il profilo della chiamata in causa del prof. B.”.

Successivamente, contraddicendo tale assunto, si prosegue, però, fino alla pagina 62 con cinque paragrafi, che, pur senza che lo si dica, dovrebbero argomentare gli indicati submotivi.

15.1. Con una prima censura che appare correlata al secondo submotivo (e non all’intestato primo submotivo) si lamenta che la corte territoriale, pur dando atto che in primo grado, in sede di precisazione delle conclusioni, la difesa dell’USSL-AUSL si era limitata a chiedere il “rigetto delle domande attoree” senza nulla dire sulla domanda di garanzia contro il B., abbia escluso che queste domanda fosse stata abbandonata. L’erroneità della motivazione viene sostenuta invocando Cass. n. 16840 del 2013 e Cass. n. 2093 del 2013.

15.2. La motivazione oggetto di critica – enunciata dalla Corte territoriale, dopo avere rilevato che nel verbale di udienza di precisazione delle conclusioni effettivamente la difesa dell’AUS e dell’USL aveva semplicemente chiesto il rigetto delle domande attoree e che tuttavia la domanda di manleva verso il B. era stata insistita nei successivi scritti ai sensi dell’art. 190 c.p.c. – ha avuto il seguente tenore: “Ora, secondo costante giurisprudenza di legittimità, affinchè una domanda possa ritenersi abbandonata dalla parte non è sufficiente che essa non venga riproposta nella precisazione delle conclusioni, costituendo tale omissione una mera presunzione di abbandono, dovendosi, invece, necessariamente accertare se, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte, o dalla stretta connessione della domanda non riproposta con quelle esplicitamente reiterate, emerga una volontà inequivoca di insistere sulla domanda pretermessa (in termini recentemente Cass. n. 15860/2014. Nella fattispecie la difesa USL-AUSL aveva appositamente chiamato in giudizio B.F. per manleva e non aveva mai, nel corso del primo grado, espresso dubbi sul mantenimento della propria volontà di essere garantita. L’istruttoria era stata documentale e nulla di diverso sulla posizione di B.F. nella vicenda risulta emergere dai documenti acquisiti dopo gli atti introduttivi. Si è già detto infine che la chiamante ha nuovamente insistito nella manleva. Dal complesso della condotta processuale di USL-AUSL, inserita nel contesto descritto, si trae univocamente la dimostrazione che la detta omissione all’udienza di p.c. è stata una mera svista, non manifestante alcuna implicita volontà di abbandono della domanda di garanzia”.

Si tratta di una motivazione sostanzialmente corretta, là dove invoca il principio di diritto di cui a Cass. n. 15860 del 2014, il quale, peraltro, trova riscontro in un non recente precedente delle Sezioni Unite: Cass., Sez. Un. n. 6033 del 1984, secondo cui “L’omessa riproposizione, in Sede di precisazione delle conclusioni, di una domanda in precedenza formulata, non è di per sè sufficiente a farne presumere la rinuncia o l’abbandono, dovendosi ciò escludere qualora la complessiva condotta della parte evidenzi l’intento di mantenere ferma la domanda medesima, nonostante detta materiale omissione”.

Questo precedente è stato enunciato in un’epoca in cui il regime processuale del processo di cognizione ordinario non era imperniato come invece, quello introdotto dalla L. n. 353 del 1990, che è applicabile al processo – sulla previsione del maturare di una serie di preclusioni e nel quale l’udienza di precisazione delle conclusioni, di cui all’allora art. 184 c.p.c., consentiva di precisare e modificare le conclusioni. In quel regime, un atteggiamento di mancata indicazione in sede di precisazione delle conclusioni di una conclusione in precedenza formulata, poteva assumere di per sè il significato di sintomo tendenziale di abbandono, cioè di riconoscimento tacito della infondatezza della domanda oggetto della conclusione non riproposta, tenuto conto proprio dell’ampia possibilità di ius variandi. Tuttavia, in ossequio alla buona fede processuale, rimaneva salva la verifica da farsi in relazione alla complessiva condotta della parte anteriormente a quel momento.

Nel vigore dell’attuale art. 189 c.p.c., che dopo la riforma della L. n. 353 del 1990 e successive modifiche, regola l’udienza di precisazione delle conclusioni, poichè la norma dice che le conclusioni debbono essere formulate nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o ai sensi dell’art. 183 c.p.c., il contenuto di conclusioni precisate in essa in modo più limitato di quelle di cui a dette sedi, con la mancata riformulazione di una domanda che lì era presente, potrebbe apparentemente considerarsi come significativo di un tacito abbandono di essa, perchè la norma avalla la possibilità di limitare le conclusioni pregresse. Ma potrebbe anche suggerire l’idea opposta, perchè potrebbe ex adverso opporsi che l’udienza di precisazione delle conclusioni esiga una specifica attività di riduzione dei petita.

Anche nel sistema vigente l’attribuzione effettiva di un significato di abbandono alla mancata riproposizione, proprio per questa incertezza evidenzia allora che è corretto il criterio di esegesi della mancata riproposizione che esige la sua necessaria considerazione al lume di altri elementi della condotta processuale della parte.

Il punto è che tanto nel vecchio regime quanto nel nuovo occorre aver chiaro che la condotta processuale della parte, rilevante per l’interpretazione delle conclusioni in cui sia stata omessa quella relativa ad una domanda, può e deve essere solo quella antecedente alla precisazione delle conclusioni e non anche quella successiva, espressa nelle conclusionali. E ciò per il caso che si debba ritenere mantenuta la domanda (infatti, se nella conclusionale si sostenesse che si è inteso abbandonare la domanda, poichè l’esito dell’abbandono sarebbe il suo rigetto, equivalendo essa a riconoscimento della sua infondatezza, nemmeno vi sarebbe problema di esegesi). La ragione è che la situazione inerente all’oggetto su cui le conclusioni si debbono intendere precisate interessa, a garanzia del contraddittorio, l’altra parte ed essa non può che vedere regolata la propria condotta da quello che può percepire, secondo un criterio di affidamento processuale, fino al momento in cui sono state precisate le conclusioni. Ne segue che, al contrario di quanto ha ulteriormente opinato nella sua motivazione la sentenza impugnata, il riferimento alla conclusionale risulta errato.

Avuto riguardo al caso di specie, tuttavia, si deve considerare che, allorquando la parte convenuta con la domanda principale abbia chiamato in garanzia un terzo per essere manlevata delle conseguenze della sua soccombenza sulla domanda principale, la circostanza che in sede di precisazione delle conclusioni essa si sia limitata a chiedere il rigetto di quest’ultima deve essere letta considerando che implica necessariamente la consapevolezza che il giudice potrebbe non accoglierla e che, dunque, la garanzia potrebbe venire in rilievo.

Sicchè, l’assenza di conclusioni sulla domanda di garanzia non può di per sè apparire significativa di un suo abbandono, ma anzi implica che quella domanda, per quell’eventualità, la si sia voluta mantenere. Siffatta interpretazione della conclusione di solo rigetto della domanda principale potrebbe essere messa in crisi solo se si vertesse in una situazione in cui il terzo chiamato, costituendosi, avesse contestato la stessa esistenza del rapporto di garanzia e il convenuto in via riconvenzionale, avesse chiesto l’accertamento dell’esistenza di tale rapporto con efficacia di giudicato e non solo in funzione della garanzia quanto alla soccombenza sul rapporto principale. In questo caso, poichè è lo stesso convenuto che alla chiamata in causa ha aggiunto detta richiesta e, quindi, una reconventio reconventionis, parrebbe ragionevole tendenzialmente escludere, di fronte ad una conclusione di solo rigetto della domanda principale, che la pretesa di garanzia si sia intesa mantenere.

Il secondo submotivo è, dunque, in definitiva rigettato, previa parziale correzione della motivazione quanto al riferimento alla conclusionale.

15.3. Sempre nel medesimo motivo il ricorrente incidentale sostiene che riguardo agli atti e ai fatti oggetto della responsabilità delle strutture sanitarie fino al momento della sua cessazione dal servizio del B., egli sarebbe stato estraneo alla loro adozione e al loro compimento.

L’assunto, al di là del suo carattere assertorio e della pretesa di dimostralo semplicemente facendo un generico riferimento a documenti riguardo ai quali non si ottempera all’art. 366 c.p.c., n. 6, si risolve nella sollecitazione alla Corte a controllare, tra l’altro senza un preciso riferimento alla motivazione della sentenza, la ricostruzione della quaestio facti. Le dedotte censure si collocano del tutto al di fuori dei contenuti assegnati da Cass. Sez. Un. nn. 8053 e 8054 del 2011 dell’art. 360, nuovo n. 5.

15.4. Considerazioni simili meritano i rilievi svolti nei paragrafi indicati con numerazione da 8.2 a 8.6 del ricorso e particolarmente sia per l’affermazione del ricorrente secondo cui la domanda della C. sarebbe risultata sfornita di prova quanto all’an ed al quantum, sia per quanto dedotto in ordine al collegamento tra i fatti di cui al patteggiamento e le vicende del rapporto di lavoro e circa la prova della responsabilità del B.: deduzioni che risultano assolutamente generiche ed assertive e come tali appaiono inammissibili, oltre a non essere formulate secondo i limiti indicati dalle Sezioni Unite per dell’art. 360, nuovo n. 5.

16. Il nono motivo afferisce al regime delle spese di lite, ma, in realtà si risolve nel semplice auspicio di quanto dovrebbe scaturire dall’applicazione dell’art. 336 c.p.c., comma 1, per il caso di cassazione della sentenza in accoglimento di alcuno dei motivi precedenti.

19. Il ricorso incidentale del B. è, conclusivamente, rigettato.

20. Tutti i ricorsi sono dunque rigettati.

21. Riguardo alle spese giudiziali, sia nel rapporto fra le ricorrenti principali e la C. sia nel rapporto fra il ricorrente incidentale B. e la C., esse seguono la soccombenza di detti soggetti a favore della C., ma nei limiti dei tre quarti del loro complessivo ammontare, così compensato il quarto residuo, stante la soccombenza della C. sul suo ricorso incidentale. Le spese si liquidano ai sensi del D.M. n. 55 del 2014. Nel rapporto processuale fra le ricorrenti principale ed il B. la soccombenza è riferibile a quest’ultimo, data la sua posizione di garante ed a maggior ragione per il rigetto del suo ricorso incidentale quanto all’ottavo motivo, con cui si tendeva a rigettare le conseguenze della manleva. Ritiene, tuttavia, il Collegio di far luogo in tale rapporto processuale alla compensazione per giusti motivi, attesa la complessità delle problematiche che nell’annosa controversie hanno riguardato il rapporto di manleva in relazione all’altrettale complessità della pretesa della C. rispetto alle garantite.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte sia delle ricorrenti principali, sia di ognuno delle parti ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.
La Corte rigetta tutti i ricorsi. Condanna le ricorrenti principali e il ricorrente incidentale B. alla rifusione alla C., previa compensazione di un quarto, dei tre quarti delle spese del giudizio di cassazione, liquidate a carico delle ricorrenti principali in euro settemiladuecento, oltre duecento per esborsi, le spese generali al 15% e gli accessori come per legge, ed a carico del ricorrente incidentale B. nello stesso importo. Compensa le spese nel rapporto processuale fra le ricorrenti principali ed il B.. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte sia delle ricorrenti principali, sia di entrambi i ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 9 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2018


Nulla la notifica se la p.e.c. del destinatario è attribuita a due società

L’attribuzione del medesimo indirizzo p.e.c. a due società rende nulla, ai sensi dell’articolo 160 del codice di procedura civile, la notifica dell’udienza prefallimentare eseguita utilizzando tale indirizzo se non è possibile accertare se essa è stata effettivamente ricevuta dal destinatario corretto.

Della vicenda, rara ma evidentemente non impossibile, si è occupata la sentenza numero 710/2018 della Corte di cassazione (qui sotto allegata), che ha cassato con rinvio la decisione del Tribunale di Roma di respingere il reclamo proposto da una donna contro la sentenza che aveva dichiarato il fallimento di una società sua debitrice.

P.e.c., dubbi sul destinatario

Come correttamente rilevato anche dal Tribunale (nonostante il diverso approdo), a fronte dell’attribuzione dello stesso indirizzo p.e.c. a due diversi soggetti l’unica ipotesi possibile è che il messaggio sia stato ricevuto solo da uno di loro. Nel caso di specie: o solo dalla società fallita o solo dalla società estranea alla vicenda.

Posto quindi che, dinanzi a una simile situazione, non è possibile sapere con certezza chi dei due abbia ricevuto l’atto notificato, ci si trova di fronte all’ipotesi disciplinata dall’articolo 160 del codice civile, ovverosia all’ipotesi di nullità della notificazione per incertezza assoluta della persona a cui è fatta (superabile solo se l’identità del soggetto può essere comunque ricostruita dal tenore complessivo dell’atto notificato e della relata).

Leggi: Corte di cassazione sentenza numero 710-2018 Nulla la notifica se la pec del destinatario è attribuita a due società


Decreto Ministero dell’Interno del 18.12.2017

Decreto del Ministero dell’Interno sulla disciplina delle procedure per la notificazione dei verbali di accertamento delle violazioni del Codice della Strada, tramite posta elettronica certificata

Leggi: DECRETO 18 dicembre 2017 Notifiche tramite PEC


Disciplina delle procedure per la notificazione dei verbali di accertamento delle violazioni al C.d.S.

E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 16.01.2018 il Decreto del Ministero dell’Interno sulla disciplina delle procedure per la notificazione dei verbali di accertamento delle violazioni del Codice della Strada, tramite posta elettronica certificata.

Il presente decreto si applica al procedimento di notificazione dei verbali di contestazione, redatti dagli organi di Polizia Stradale, di cui all’art. 12 del Codice della Strada, a seguito dell’accertamento di violazioni del Codice della Strada.