Legittima la notifica dell’atto impositivo al soggetto generato dalla trasformazione societaria

Nell’ipotesi di una trasformazione da società di persone a società di capitali, l’avviso di accertamento relativo a un periodo precedente alla trasformazione deve essere intestato e notificato alla società che nasce dopo la trasformazione.
Nel caso di trasformazione da società di persone a società di capitali, l’avviso di accertamento contenente le risultanze del controllo effettuato nel periodo in cui l’ente aveva la forma di società di persone, deve essere intestato e notificato alla società nata dalla trasformazione, in quanto soggetto subentrato in tutti i diritti e obblighi anteriori alla trasformazione.
Infatti, la trasformazione della società da un tipo ad un altro non si traduce nell’estinzione di un soggetto a favore di uno nuovo, configurando invece una vicenda modificativa ed evolutiva del medesimo soggetto, che non incide sui rapporti processuali e sostanziali facenti capo all’originaria organizzazione.
Queste le conclusioni a cui è pervenuta la Corte Suprema di Cassazione con la sentenza n. 29119/2023.
La controversia riguarda il ricorso proposto da una società di capitali avverso avvisi di accertamento aventi ad oggetto il controllo della posizione fiscale riferito a periodi d’imposta in cui la società aveva la diversa forma di società in accomandita semplice.
Gli atti impositivi, infatti, scaturivano dal risultato di una verifica fiscale conclusasi con un p.v.c. che ha riguardato, in particolare, la documentazione bancaria e i rapporti commerciali della s.a.s.
Nelle more del procedimento la società si è trasformata in società a responsabilità limitata e in considerazione di tale trasformazione, l’avviso di accertamento relativo alla società in accomandita semplice è stato notificato alla s.r.l.
La società e i soci impugnavano gli atti impositivi lamentando, in primo luogo, il proprio difetto di legittimazione passiva, posto che l’avviso di accertamento era stato emesso e notificato nei confronti della s.r.l. mentre la verifica fiscale riguardava la preesistente S.a.s. La CTR, a conferma della sentenza di prime cure, ha accolto il ricorso ritenendo che gli avvisi di accertamento fossero stati erroneamente emessi e notificati nei confronti della società di capitali frutto della trasformazione.
L’Agenzia delle entrate ha impugnato la sentenza della CTR, deducendo che la società nata dalla trasformazione conserva tutti i diritti e gli obblighi anteriori alla trasformazione stessa, che fa semplicemente mutare l’organizzazione già esistente (Cass. 851/2000), la quale prosegue i rapporti processuali e sostanziali che ad essa fanno capo senza che si determini alcuna interruzione della vita sociale né l’estinzione della società (Cass. 5963/2001).
Ne consegue che l’avviso di accertamento afferente a un periodo di imposta anteriore alla trasformazione è correttamente notificato al legale rappresentante della società risultante dalla trasformazione stessa, non implicando, questa, alcun mutamento del soggetto passivo del rapporto tributario.


Cass. civ., Sez. II, Ord., (data ud. 03/10/2023) 24/10/2023, n. 29438

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAVALLINO Linalisa – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –

Dott. CAPONI Remo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2287/2020 proposto da:

Garante per la protezione dei dati personali, difeso dall’Avvocatura generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

Comune di Tarvisio, difeso dall’avvocato David D’Agostini;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza del Tribunale di Udine n. 586/2019 del 24/10/2019;

Ascoltata la relazione del consigliere Dott. Remo Caponi nella camera di consiglio del 3/10/2023.

Svolgimento del processo
Nel dicembre 2017 l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali emanava nei confronti del Comune di Tarvisio due ordinanze ingiunzione di Euro 20.000 ciascuna, come sanzioni pecuniarie per la violazione ex art. 162, comma 2bis in relazione al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 19, comma 3 vigente al tempo. Infatti, una persona aveva segnalato (più volte) il permanere pubblicati di dati personali sul sito internet dell’albo pretorio comunale oltre il periodo di quindici giorni previsto dal D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 124.

Il Comune proponeva dinanzi al Tribunale di Udine nei confronti dell’Autorità Garante opposizione avverso i due provvedimenti sanzionatori, facendo valere: (a) la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, comma 2 per notifica tardiva, cioè oltre il termine di novanta giorni dall’accertamento delle violazioni (quanto al primo provvedimento, n. (Omissis), la contestazione era avvenuta il (Omissis), dopo che il (Omissis) era stato comunicato al segnalante che non sarebbero stati adottati provvedimenti prescrittivi o inibitori; quanto al secondo provvedimento, n. (Omissis), la contestazione era avvenuta il (Omissis), dopo che il (Omissis) era stato comunicato al segnalante che non sarebbero stati adottati provvedimenti prescrittivi o inibitori); (b) la violazione del principio del ne bis in idem, poichè l’infrazione è unica; (c) la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, comma 2 poichè si tratta di una sola azione/omissione (la configurazione del software di pubblicazione on line dei provvedimenti del Comune); (d) la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 3 poichè il sito internet oggetto di segnalazione non era, nè era mai stato, di titolarità del Comune, nè gestito dal medesimo; (e) l’insussistenza della violazione contestata, posto che il termine di quindici giorni per la pubblicazione nell’Albo pretorio di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 124 non è perentorio.

Il Tribunale ha accolto l’opposizione e annullato le ordinanze-ingiunzione poichè la violazione non sussiste, con compensazione delle spese legali.

Ricorre l’Autorità Garante con due motivi di ricorso. Resiste il Comune di Tarvisio con controricorso e ricorso incidentale con sette motivi, illustrati da memoria.

Motivi della decisione
1. – Il primo motivo censura D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 152, comma 1bis e D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 10 che il Tribunale non abbia rilevato l’inammissibilità dei motivi di ricorso per omessa impugnazione dei provvedimenti dirigenziali di chiusura dell’istruttoria preliminare, che costituiscono ex art. 7 Regolamento 1/2007 provvedimenti amministrativi.

Il secondo motivo denuncia che la sentenza impugnata abbia violato le disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali, secondo cui la diffusione di dati personali da parte di un soggetto pubblico è ammessa unicamente quando è prevista da una norma di legge o di regolamento, nel rispetto dei principi di pertinenza e non eccedenza. Si deduce la violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 19, comma 3, art. 11, comma 1, lett. d) (nella versione anteriore alla riforma ex D.Lgs. n. 101 del 2018 di adeguamento alla nuova disciplina Europea), in combinato disposto con il D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 124 e D.P.R. n. 118 del 2000, art. 1.

2. – Il primo motivo è rigettato.

Gli atti di cui si lamenta la mancata impugnazione tempestiva (cioè, i provvedimenti dirigenziali di chiusura dell’istruttoria preliminare) rivestono carattere preliminare, non lesivo della sfera dell’ente che sarà solo in seguito destinatario delle sanzioni amministrative. Pertanto, non vi è interesse ad impugnare.

3. – Quanto al secondo motivo, esso si rivela parimenti infondato.

Censurata è la seguente parte della sentenza impugnata. Il Tribunale ha rilevato che si tratta di dati personali, ha osservato che la pubblicazione sull’albo pretorio è avvenuta sul fondamento del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 124, comma 1 (pubblicazione delle delibere per quindici giorni) e della L. n. 69 del 2009, art. 32, comma 1 (sostituzione della pubblicazione cartacea con quella sui siti telematici), ha considerato che le finalità di trasparenza, conoscibilità e controllo dell’attività amministrativa sono da bilanciare con la tutela della riservatezza, che implica la necessità, la pertinenza e la non eccedenza del riferimento alla persona D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 11, comma 1, lett. d) e lett. e). Quanto all’asserita violazione del termine di quindici giorni, il Tribunale ha invocato a sostegno Cass. 20615/2016, che ha accertato il carattere non perentorio di tale termine.

La censura è argomentata essenzialmente in questi termini. Il Garante ha richiamato indicazioni di carattere generale sul trattamento di dati personali da parte di soggetti pubblici per finalità di pubblicazione e diffusione sul web (cfr. le linee guida del 15/05/2014). Ha considerato che, quanto ai dati personali, in tali elenchi possono essere riportati solo quelli necessari ad individuare i soggetti interessati (nominativi e data di nascita). Il Garante osserva che non è giustificato diffondere ulteriori dati non pertinenti. Ne deduce che la sentenza è incorsa in errore nel ritenere che al caso di specie fossero estensibili i principi espressi da Cass. 20615/2016. Il punto decisivo – rimarca infine il Garante – è la sproporzionata esposizione della sfera personale dell’interessato, che deriva dalla pluriennale pubblicazione dei dati personali, a fronte di un termine di legge di due settimane.

4. – L’argomentazione della sentenza impugnata resiste bene alle critiche del Garante.

Nel rifarsi alle linee guida, la prima censura non coglie il bersaglio. E’ irrilevante sottolineare che i soggetti pubblici abilitati a pubblicare e diffondere sul web i dati devono riportare solo i dati necessari ad individuare i soggetti interessati, se non si allega specificamente che nel caso di specie il novero dei dati pubblicati abbia ecceduto quelli necessari al perseguimento del fine istituzionale.

In secondo luogo, il Tribunale ha correttamente richiamato a sostegno della propria decisione il precedente di Cass. 20615/2016. Nel caso sotteso a tale pronuncia, alcune persone avevano convenuto in un precedente giudizio un’amministrazione comunale, la quale si era costituita in giudizio sulla base di due delibere di giunta pubblicate sul sito internet istituzionale. Ad avviso degli attori il contenuto delle delibere violava il loro diritto alla riservatezza e pertanto convenivano di nuovo in giudizio il Comune con una correlativa domanda risarcitoria, accolta dal giudice di merito. Nell’annullare la sentenza, Cass. 20615/2016 ha osservato che la pubblicazione e la divulgazione di atti che determinino una diffusione di dati personali deve ritenersi lecita qualora prevista da una norma di legge o di regolamento, quindi per le finalità istituzionali dell’ente – mentre non ha carattere perentorio il termine previsto dal D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 124 (“Tutte le deliberazioni del comune e della provincia sono pubblicate mediante pubblicazione all’albo pretorio, nella sede dell’ente, per quindici giorni consecutivi, salvo specifiche disposizioni di legge”). Ad abundantiam, a sostegno del carattere non perentorio del termine, Cass. 20615/2016 richiama il termine di cinque anni di durata della pubblicazione, previsto dal D.Lgs. n. 33 del 2013, art. 8 di riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni.

Il Garante mostra di ritenere che Cass. 20615/2016 non si attaglia, ma per dimostrarlo seleziona esattamente la parte della motivazione che è misurata sul caso sotteso a quel precedente e che è qui irrilevante. Viceversa, gli elementi rilevanti sono il fondamento legislativo del potere di pubblicazione, la necessità della pubblicazione per perseguire il fine istituzionale dell’ente, il carattere non perentorio del termine D.Lgs. n. 267 del 2000, ex art. 124. Non si attaglia piuttosto Cass. 30981/2017 richiamata dal Garante. Tale pronuncia riguarda i dati sensibili, ma il Garante non argomenta se i dati della cui pubblicazione si tratta nel caso di specie siano sensibili.

Quanto alla doglianza relativa alla violazione del principio di non eccedenza sotto il profilo della protrazione temporale della esposizione al pubblico dei dati personali (D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 11, lett. d vigente al tempo) il Garante non si confronta con il punto a tal riguardo centrale della motivazione: il Tribunale ha concluso il proprio ragionamento facendo proprio il dato emerso dalla relazione tecnica resa dal gestore del software che ha spiegato che la visibilità residua dei dati riguardanti la persona, anche dopo le segnalazioni del Garante e gli interventi eseguiti sulla piattaforma informatica (interventi sollecitati dal Comune, che attestano un atteggiamento collaborativo), fosse riferibile all’utilizzo di un meccanismo informatico, cioè la memorizzazione e l’utilizzo reiterato dell’indirizzo web (URL) della pagina pubblicata, utilizzato non da chiunque ma dal diretto interessato motivato a controllare il persistere della pubblicazione.

Nè infine aiuta il Garante il finale richiamo dottrinario al fatto che “l’identità più che come dato preesistente viene vista come processo, costantemente in atto, aperto ad una pluralità di esiti e continuamente esposto all’interferenza capillare e pervasiva, delle varie forme di potere sociale”. E’ superfluo ricordare che in tale dialettica tra la sfera della libertà e dell’autonomia del sè e l’incidenza del potere altrui – tratto di fondo dell’evo moderno – quest’ultimo può esercitare a seconda dei casi non solo un ruolo oppressivo o limitativo, ma anche cooperativo e proattivo. Tale è il profilo che entra specificamente in gioco nel caso di specie, in cui – ferma la necessità della pubblicazione per il fine istituzionale – il Comune ha dimostrato, nell’arco del procedimento amministrativo sollecitato dalla segnalazione al Garante, un atteggiamento cooperativo nell’adottare rimedi diretti a venire incontro al bisogno di tutela mostrato dal segnalante.

Il secondo motivo è rigettato e con ciò è rigettato il ricorso principale nel suo complesso.

5. – Quanto al ricorso incidentale, il primo motivo denuncia la mancata dichiarazione di decadenza dalle domande e dalle eccezioni ex art. 416 c.p.c. per tardività della costituzione in giudizio. Il secondo motivo denuncia, sotto il profilo dell’omesso esame circa un fatto decisivo, la determinazione del momento di accertamento della violazione quale dies a quo per il computo del termine L. n. 689 del 1981, ex art. 14, comma 2. In particolare, si censura che, pur essendo da tempo a conoscenza di tutti gli elementi necessari e utili alla valutazione, l’autorità abbia tardato notificare i provvedimenti di contestazione (si invoca Cass. 7681/2014 ove si soppesa anche l’interesse dell’autore della condotta a vedere concluso l’accertamento in tempi brevi). Il terzo motivo denuncia l’inosservanza del termine L. n. 689 del 1981, ex art. 14, comma 2. Il quarto motivo denuncia l’omesso esame circa fatto decisivo in relazione all’inosservanza del ne bis in idem nella contestazione di tante violazioni quanti sono stati i documenti pubblicati ovvero in numero pari alle segnalazioni ricevute. Il quinto motivo denuncia l’omesso esame circa fatto decisivo in relazione alla L. n. 689 del 1981, art. 8, comma 1 (“(…) chi con un’azione od omissione viola diverse disposizioni (…) o commette più violazioni della stessa disposizione, soggiace alla sanzione (…) per la violazione più grave, aumentata sino al triplo”). In particolare, si fa valere che a monte vi è un’unica azione: la configurazione del software di pubblicazione on line dei provvedimenti del Comune. Il sesto motivo denuncia l’omesso esame circa fatto decisivo in relazione alla L. n. 689 del 1981, art. 3 (“(…) ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”), poichè il sito internet oggetto di segnalazione non era, nè era mai stato, di titolarità del Comune, nè gestito dal medesimo. Il settimo motivo censura ex art. 92 la compensazione delle spese disposta per la complessità della questione.

Il ricorso incidentale riveste carattere sostanzialmente condizionato all’accoglimento del ricorso principale e rimane pertanto assorbito.

6. – E’ rigettato il ricorso principale, è assorbito il ricorso incidentale. Le spese secondo la soccombenza sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale e condanna la parte ricorrente in via principale al rimborso delle spese del presente giudizio in favore della parte controricorrente, che liquida in Euro 4.500, oltre a Euro 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi e agli accessori di legge.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2023


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 11/10/2023) 19/10/2023, n. 29119

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. DE ROSA Maria L. – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. CORTESI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 7485/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore, domiciliata ope legis in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende.

– ricorrente –

contro

D.M. C. Costruzioni Srl , in persona del legale rappresentante pro tempore, A.A., e B.B., rappresentati e difesi dall’avv. Cesare Glendi, elettivamente domiciliati in Roma alla via Alberico II n. 33, presso l’avv. Andrea Manzi.

– controricorrenti – avverso la sentenza n. 859 della Commissione tributaria regionale della Liguria, pronunciata in data 3 aprile 2014, depositata in data 29 luglio 2014 e non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’11 ottobre 2023 dal consigliere Dott. Andreina Giudicepietro.

Svolgimento del processo
CHE:

L’Agenzia delle entrate ricorre con un unico motivo contro D.M. C. Costruzioni Srl , in persona del legale rappresentante pro tempore, A.A. e B.B., che resistono con controricorso, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria indicata in epigrafe, che ha rigettato gli appelli riuniti dell’ufficio contro le decisioni della Commissione tributaria provinciale di Genova, che avevano accolto i ricorsi dei contribuenti, ritenendo che gli avvisi di accertamento fossero stati erroneamente emessi e notificati nei confronti della D.M. C. Costruzioni Srl e dei soci, pur avendo ad oggetto il controllo della posizione fiscale per gli anni (Omissis) della D.M. C. Costruzioni Sas e dei soci di quest’ultima.

Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio dell’11 ottobre 2023, ai sensi degli art. 375, u.c., e art. 380 – bis. 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Il P.G. Francesco Salzano ha fatto pervenire conclusioni scritte con cui ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione
CHE:

1.1. Con l’unico motivo, l’Agenzia delle entrate denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2498 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La ricorrente deduce che la società nata dalla trasformazione conserva tutti i diritti e gli obblighi anteriori alla trasformazione stessa, che fa semplicemente mutare l’organizzazione già esistente (Cass. 851/2000), la quale prosegue i rapporti processuali e sostanziali che ad essa fanno capo (Cass. 5963/2001) senza che si determini alcuna interruzione della vita sociale nè l’estinzione della società. La trasformazione, dunque, non comporta l’estinzione della società preesistente e la nascita di una nuova società: è la stessa società che continua a vivere in una veste giuridica rinnovata e che conserva i diritti e gli obblighi anteriori a tale operazione.

Ne consegue che l’avviso di accertamento afferente a un periodo di imposta anteriore alla trasformazione è correttamente notificato al legale rappresentante della società risultante dalla trasformazione stessa, non implicando, questa, alcun mutamento del soggetto passivo del rapporto tributario.

1.2. Il motivo è fondato e va accolto.

La presente controversia concerne una serie di avvisi di accertamento, emessi per gli anni di imposta (Omissis) nei confronti della società, allora avente ragione sociale di società in accomandita semplice, nonchè, ex art. 5 T.u.i.r, nei confronti dei singoli soci, A.A. e B.B..

Gli atti impositivi sono il risultato di una verifica fiscale conclusasi con p.v.c. del 25.5.2010, che ha riguardato, in particolare, la documentazione bancaria e i rapporti commerciali della società DMC Costruzioni Sas di B.B. & C. con la ditta individuale MM Edilizia di C.C.. Successivamente all’emissione del p.v.c., in data 28.1.2010 la società D.M. C. Costruzioni Sas di B.B. & C., il cui socio accomandante era la Sig.ra A.A., si è trasformata in D.M. C. Costruzioni Srl , con legale rappresentante la stessa Sig.ra A.A.. In considerazione di tale trasformazione societaria, l’avviso di accertamento relativo alla società in accomandita semplice è stato notificato alla signora A.A. in qualità di legale rappresentante della D.M. C. Costruzioni Srl Con distinti ricorsi davanti alla C.t.p. di Genova la società e i soci impugnavano gli atti impositivi lamentando, in primo luogo, il proprio difetto di legittimazione passiva, posto che l’avviso di accertamento era stato emesso e notificato nei confronti di DMC Costruzioni Srl in persona del legale rappresentante pro tempore A.A. e dei due soci, mentre la verifica fiscale riguardava la preesistente società DMC Costruzioni Sas di B.B. & C. Inoltre, i ricorrenti eccepivano ulteriori profili di illegittimità degli accertamenti, sia di carattere formale che di carattere sostanziale.

La C.t.r., con la sentenza impugnata, ha rigettato gli appelli riuniti dell’ufficio contro le decisioni della Commissione tributaria provinciale di Genova, che aveva accolto i ricorsi dei contribuenti, ritenendo il difetto di legittimazione passiva degli appellati, con il conseguente assorbimento di ogni altra questione.

Sul punto deve rilevarsi che l’art. 2498 c.c. dispone che “con la trasformazione, l’ente trasformato conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti anche processuali dell’ente che ha effettuato la trasformazione”.

Dunque, poichè a seguito del processo di trasformazione, si ha un trasferimento integrale dei rapporti giuridici preesistenti, la notificazione di un avviso che contesti fatti gestionali verificatisi ante trasformazione deve necessariamente e correttamente essere intestato e notificato al soggetto risultante dalla trasformazione, in quanto soggetto subentrato in tutti i diritti e obblighi anteriori alla trasformazione.

In termini è la sentenza di questa Corte n. 4510/1981 che, con principio non più sottoposto a rivisitazione, ha affermato che “in ipotesi di trasformazione di una società in accomandita semplice in società di capitali, l’avviso di accertamento, per imposta di ricchezza mobile afferente un periodo anteriore a detta trasformazione, va notificato al legale rappresentante della società risultante dalla trasformazione stessa, tenuto conto che questa determina un semplice mutamento organizzativo dell’ente, senza incidere sui rapporti giuridici in atto”.

Successivamente, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato il principio secondo cui “la trasformazione di una società da un tipo ad un altro previsto dalla legge, ancorchè connotato di personalità giuridica, non si traduce nell’estinzione di un soggetto e nella correlativa creazione di uno nuovo in luogo di quello precedente, ma configura una vicenda meramente evolutiva e modificativa del medesimo soggetto, la quale comporta soltanto una variazione di assetto e di struttura organizzativa, senza incidere sui rapporti processuali e sostanziali facenti capo all’originaria organizzazione societaria” (ex multis, Cass. n. 7258/1990; n. 9569/2007; n. 21961/2010; n. 18373/2016; vedi anche Cass. n. 25846/2014, richiamata nella conclusioni scritte del P.G. e relativa proprio alle pendenze fiscali di una S.a.s.).

Ancora, con la sentenza n. 3269/2009, questa Corte ha ribadito che “la trasformazione di una società di persone in società di capitali non comporta l’estinzione di un soggetto e la creazione di un altro soggetto, ma la semplice modificazione della struttura e dell’organizzazione societaria, che lascia immutata l’identità soggettiva dell’ente ed immutati i rapporti giuridici ad essa facenti capo”, ritenendo la validità della notifica di una cartella di pagamento indirizzata alla società con la denominazione anteriore alla trasformazione, purchè non implicante una situazione d’incertezza sull’identificazione della parte stessa; tale considerazione presuppone l’assunto che, in caso di trasformazione, la notifica vada fatta, di regola, al soggetto risultante dalla trasformazione.

Va ulteriormente precisato che, nel caso in esame, gli avvisi di accertamento nei confronti dei soci dipendono dalla imputazione per trasparenza dei redditi della società di persone, ex art. 5 T.u.i.r., applicabile anche alle società in accomandita semplice, forma che la società rivestiva negli anni oggetto di verifica fiscale.

In conclusione, la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2023


Cass. civ., Sez. III, Ord., (data ud. 11/07/2023) 18/10/2023, n. 28852

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2596/2021 R.G. proposto da:

A.A. TOURS Srl , in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via Bernardo Barbiellini Amidei n. 45, presso lo studio dell’Avv. Chiara Iovine, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Aniello Pullano e Rosa-Anna Paloscia;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE;

– intimato –

Avverso la sentenza n. 409/2020 del TRIBUNALE DI FROSINONE, pubblicata il 17 giugno 2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio tenuta il giorno 11 luglio 2023 dal Consigliere RAFFAELE ROSSI.

Svolgimento del processo
1. La A.A. tours Srl impugnò una comunicazione preventiva di iscrizione di fermo amministrativo su veicolo di sua proprietà notificata dall’Agenzia delle Entrate Riscossione, emessa, tra l’altro, per la soddisfazione di un credito causalmente ascritto a sanzioni amministrative per violazioni al codice della strada.

2. Svolto il giudizio in contraddittorio con l’agente della riscossione, la domanda attorea è stata disattesa in ambedue i gradi di merito.

3. Ricorre per cassazione la A.A. Tours Srl , affidandosi a sei motivi; non svolge difese in grado di legittimità l’intimata.

4. All’esito dell’adunanza camerale sopra indicata, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di cui al comma 2 dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c., si assume che il giudice territoriale abbia “erroneamente riferito il denunciato vizio della inesistenza della notifica dell’atto impugnato alla cartella di pagamento sottesa al preavviso di fermo e non al preavviso, come invece denunciato dalla A.A. tours”.

La doglianza è inammissibile e, comunque, infondata.

1.1. Inammissibile per carente esposizione del fatto processuale, requisito prescritto dall’art. 366, comma 1, num. 3, c.p.c..

L’impugnante lamenta, in sostanza, l’errata comprensione, ad opera del giudice di appello, dell’oggetto della domanda: ma di essa omette di riferire – per il tramite della trascrizione, nelle parti di interesse o comunque nei tratti essenziali, dei propri scritti difensivi nel ricorso di adizione di questa Corte – il contenuto in maniera compiuta ed idonea, mancando, in particolare, di precisare se la irregolarità della notificazione fosse stata lamentata con riferimento al preavviso di fermo oppure alla prodromica cartella.

Specificazione tanto più necessaria poichè la gravata sentenza, nella narrazione del fatto processuale, dà conto di vizi notificatori denunciati con riguardo tanto alla cartella quanto al preavviso.

1.2. Ad ogni buon conto, la censura è destituita di fondamento.

La pronuncia in parola ha infatti vagliato nel merito i vizi di regolarità formale di tutti gli atti della riscossione dedotti in lite; ha poi argomentato la irrilevanza delle nullità notificatorie per intervenuta sanatoria facendo richiamo alla conoscenza del destinatario evinta dalla impugnativa proposta contro l’atto, circostanza univocamente riferibile soltanto alla comunicazione preventiva di fermo.

2. Con il secondo motivo, per violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 22 e 23 del codice dell’amministrazione digitale in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c., si prospetta la giuridica inesistenza della notificazione, avvenuta a mezzo pec, per allegazione alla mail dell’atto in formato.pdf (copia per immagine su supporto informatico) e non già come documento informatico provvisto di firma digitale (.pdf nativo digitale).

2.1. Il motivo – sviluppato in maniera confusa ed aspecifica, dacchè a tratti riferito alla notificazione della cartella, a tratti alla notificazione del preavviso di fermo – è inammissibile.

Sul punto, il giudice territoriale ha ritenuto irrilevante la mancata allegazione della copia della cartella di pagamento con file “pdf nativo” sul rilievo che si trattava di “atto già notificato nell’anno 2017, e quindi ben noto all’opponente, che, per di più, non contesta affatto la sua difformità rispetto all’originale”.

L’argomentare del ricorrente non attinge criticamente la trascritta ratio decidendi: e tanto giustifica l’inammissibilità della doglianza.

2.2. Sol per dovere nomofilattico e nei limiti in cui il suo contenuto è dato evincere dalle modalità di formulazione della censura già rilevate ai fini della sua inammissibilità, si evidenzia la sua infondatezza.

Valorizzando le disposizioni dettate dal D.P.R. n. 11 febbraio 2005, n. 68, art. 1, comma 1, lett. c), f) ed i-ter), e del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 20, questa Corte ha ripetutamente affermato che “la notifica della cartella di pagamento può avvenire, indifferentemente, sia allegando al messaggio PEC un documento informatico, che sia duplicato informatico dell’atto originario (il c.d. “atto nativo digitale”), sia mediante una copia per immagini su supporto informatico di documento in originale cartaceo (la c.d. “copia informatica”)”, ossia, appunto, un file in formato PDF (portable document format), con l’ulteriore precisazione, che “nessuna norma di legge impone che la copia su supporto informatico della cartella di pagamento in origine cartacea, notificata dall’agente della riscossione tramite PEC, venga poi sottoscritta con firma digitale” (testualmente Cass. 27/11/2019, n. 30948; conf., ex multis, Cass. 05/10/2020, n. 21328; Cass. 08/07/2020, n. 14402).

Donde vizio della notifica per tale ragione non è dato riscontrare.

3. Il terzo mezzo rileva nullità della sentenza per motivazione inesistente ed apparente ex art. 360, comma 1, num. 4, c.p.c., in relazione all’eccepito vizio della notifica per assenza della relata.

3.1. Il motivo è infondato.

Ricorre “motivazione apparente”, causa di nullità della sentenza, quando il giudice ometta di esporre i motivi, in fatto ed in diritto, della decisione, di rendere intellegibile l’iter logico seguito per pervenire al dictum reso, così impedendo la praticabilità di un controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento (sulla nozione di “motivazione apparente” cfr., tra le tantissime, Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. U., 22/09/2014, n. 19881; Cass., Sez. U., 21/06/2016, n. 16599; Cass., Sez. U., 03/11/2016, n. 22232; Cass. 25/09/2018, n. 22598; Cass. 23/05/2019, n. 13977).

Nella vicenda in parola, il giudice territoriale ha compiutamente risposto al rilievo della parte attrice: “quanto alla relata di notifica” ha considerato “il vizio sanato con la proposizione dell’opposizione, avendo l’atto raggiunto il suo scopo, specie qualora non sia contestata la provenienza dell’atto”.

Motivazione sintetica, ma adeguatamente sufficiente, poichè senza dubbio idonea a dare conto delle ragioni fondanti il dictum.

4. Con il quarto motivo, replicando in sostanza le deduzioni già poste a suffragio del secondo, il ricorrente assume violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 22 e 23 del codice dell’amministrazione digitale in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c.: nuovamente sostiene la giuridica inesistenza della notificazione, dacchè concretata nel caso dalla trasmissione di una mera scansione dell’atto, oltremodo priva della sottoscrizione digitale.

4.2. La doglianza è destituita di fondamento: valgano, a suffragio della conclusione, le argomentazioni già svolte sopra, sub p. 2.2., da intendersi qui integralmente riportate e trascritte, in uno agli operati richiami ai precedenti arresti nomofilattici.

5. Il quinto motivo censura l’operata liquidazione delle spese legali, per violazione del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c..

Sull’assunto che il valore della controversia era pari ad Euro 1.066,20 (per essere l’impugnativa del fermo limitata alla sola cartella di pagamento per siffatto importo), l’impugnante rileva che i compensi liquidabili secondo i valori medi di tariffa (cui il giudicante aveva fatto richiamo) ammontano ad Euro 640, sicchè erronea risulta la quantificazione degli stessi in Euro 2.025 operata in sentenza.

5.1. La doglianza è inammissibile, ancora una volta per carente esposizione del fatto processuale, in trasgressione del disposto dell’art. 366, comma 1, num. 3, c.p.c..

La narrazione dello svolgimento della vicenda contenziosa compiuta nel libello introduttivo non consente a questa Corte – cui è precluso, per la natura del giudizio di legittimità ed altresì in considerazione del tipo di vizio dedotto, l’accesso ad altre fonti ed atti del processo – una chiara e sicura comprensione dell’esatto thema decidendum devoluto al giudice del merito e sul quale la gravata pronuncia ha statuito.

Più in particolare, la rappresentazione dei motivi dedotti a supporto dell’azione nel merito proposta genera non superabili incertezze circa la direzione della domanda di annullamento, cioè a dire se essa avesse ad oggetto la comunicazione di preavviso di fermo nella sua interezza (come sembrerebbe inferirsi da alcuni vizi denunciati, attinenti alla regolarità formale di tale atto nel suo complesso e, quindi, miranti ad una caducazione integrale dello stesso), oppure soltanto una cartella ad esso sottesa (cartella del valore di Euro 1.066,20, ovvero parte del credito totale azionato con il fermo, pari ad Euro 2.999,08).

Sul punto, non traendosi elementi dalla gravata sentenza, la mancata riproduzione, nel ricorso di adizione di questa Corte, delle conclusioni rassegnate nel giudizio di merito impedisce di poter apprezzare il valore della causa, parametro di determinazione della contestata liquidazione, e, quindi, in ultima analisi, di vagliare la fondatezza nel merito del motivo de quo.

6. Il sesto motivo lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c..

Ad avviso dell’impugnante, è errata la “condanna al pagamento” del raddoppio del contributo unificato per difetto dei presupposti, in specie poichè l’appello non è stato dichiarato nè inammissibile, nè improcedibile nè rigettato integralmente.

6.1. La doglianza è inammissibile.

Basti, sul tema, ribadire il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui la declaratoria della sussistenza dei presupposti per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, in ragione della inammissibilità o improcedibilità o dell’integrale rigetto della impugnazione, non ha natura di condanna – non riguardando l’oggetto del contendere tra le parti in causa – bensì la funzione di agevolare l’accertamento amministrativo sulla correlata obbligazione tributaria: la attestazione resa dalla sentenza non può pertanto formare oggetto di impugnazione, restando riservata alla competente sede del giudizio tributaria ogni contestazione ad opera delle parti circa i presupposti della debenza del c.d. doppio contributo (in tal senso, ex multis, Cass. 27/11/2020, n. 27131; Cass. 13/11/2019, n. 29424; Cass. 11/06/2018, n. 15166; Cass. 09/11/2016, n. 22867).

7. Rigettato il ricorso, non vi è luogo a provvedere sulle spese del grado, in ragione della indefensio della parte intimata.

9. Atteso il rigetto del ricorso, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile, il 11 luglio 2023.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2023


Atto notificato per posta al portiere dello stabile

È nulla la notifica di un atto eseguita a mezzo del servizio postale con la consegna del plico al portiere dello stabile se nell’avviso di ricevimento non viene dato atto del mancato rinvenimento del destinatario o del rifiuto o dell’assenza delle persone abilitate alla ricezione (persona di famiglia, addetta alla casa o al servizio).

Così si è espressa la Corte Suprema di Cassazione con la sentenza n. 28093 del 5 ottobre 2023.

La Corte di Appello dichiarava inammissibile il gravame proposto da un avvocato avverso una sentenza del Tribunale per nullità della notifica dell’atto di appello eseguita a mezzo del servizio postale, in quanto eseguita in violazione degli artt. 3 e 11 della legge n. 53/94. Nullità che non era stata sanata dalla successiva rinnovazione.

Il plico era stato consegnato al portiere dello stabile dello studio del legale del domiciliatario della parte appellata e nell’avviso di ricevimento della raccomandata non risultava indicata la qualità del soggetto che aveva ricevuto l’atto, ma esclusivamente il nominativo di questo, privo di qualunque specificazione in ordine al suo rapporto con il destinatario.

Pertanto, il legale sottoponeva la questione all’esame della Corte Suprema di Cassazione deducendo, tra i motivi dell’impugnazione della sentenza della Corte di Appello, la violazione degli artt. 3 e 11 della legge n. 53 del 1994, dell’art. 156 c.p.c. in relazione all’art 160 c.p.c. e del principio della tassatività delle nullità.

Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte Suprema di Cassazione, la quale nel rigettarlo ha osservato che:

  • in tema di notifica a mezzo del servizio postale, la legge n. 890/1982 consente, non diversamente da quanto dispone l’articolo 139 del c.p.c. per la notifica effettuata dall’ufficiale giudiziario, la ricezione dell’atto da parte di un soggetto diverso dal destinatario attraverso la previsione di una successione preferenziale tassativa e vincolante delle categorie di persone alle quali la copia deve essere consegnata, successione che presuppone la necessità, ai fini della validità della notifica, dell’assenza di coloro che si trovino in posizione di precedenza per giustificare la consegna a soggetti appartenenti alla categoria successiva;
  • l’ufficiale postale o l’ufficiale giudiziario deve dare atto nell’avviso di ricevimento o nella relata dell’assenza o rifiuto delle persone alle quali la copia deve essere consegnata;
  • l’assenza del destinatario e delle persona alle quali la copia deve essere consegnata in ordine preferenziale non può desumersi o ritenersi altrimenti implicata dalla consegna stessa del piego al portiere. Un tale ragionamento equivarrebbe a eludere l’attestazione e, con essa, la necessità di osservare l’ordine di preferenza nella consegna, che resterebbe di fatto vanificato.

Cass. civ., Sez. III, Sent., (data ud. 13/09/2023) 11/10/2023, n. 28425

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 13276 del ruolo generale dell’anno 2019, proposto da:

A.A. (C.F.: (Omissis)) rappresentato e difeso, giusta procura allegata al ricorso, dall’avvocato Antonio Feroleto (C.F.: (Omissis));

– ricorrente –

nei confronti di B.B. (C.F.: (Omissis));

C.C. (C.F.: (Omissis));

rappresentati e difesi, giusta procura allegata al controricorso, dall’avvocato Alessandro Manno (C.F.: (Omissis));

-controricorrenti-

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma n. 1271/2019, pubblicata in data 20 febbraio 2019;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza del 13 settembre 2023 dal consigliere Augusto Tatangelo;

uditi:

il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Dott. Giovanni Battista Nardecchia, che ha concluso per il rigetto del ricorso, come da requisitoria scritta in atti;

l’avvocato Antonio Feroleto, per il ricorrente; l’avvocato Alessandro Manno, per i controricorrenti.

Svolgimento del processo
B.B. e C.C. hanno agito in giudizio nei confronti di A.A. per ottenere la dichiarazione di inadempimento di quest’ultimo ad un contratto preliminare di vendita immobiliare (stipulato con il loro dante causa D.D.), l’accertamento della legittimità del recesso da detto contratto, nonchè la condanna del A.A. al pagamento del doppio della caparra confirmatoria versata, per Euro 160.000,00.

Le domande sono state accolte dal Tribunale di Tivoli, con sentenza n. 1990/2014 in data 19 settembre 2014.

La Corte d’appello di Roma ha dichiarato inammissibile l’appello del A.A. avverso tale sentenza, proposto nel settembre del 2018, ritenendolo tardivo.

Ricorre il A.A., sulla base di quattro motivi.

Resistono con controricorso gli B.B..

E’ stata inizialmente disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c..

Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

La Corte, all’esito dell’adunanza camerale del 3 maggio 2023, ha disposto la trattazione in pubblica udienza, in vista della quale parte ricorrente ha depositato ulteriore memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione
1. Si premette che l’oggetto del presente giudizio è l’accertamento della legittimità del recesso da un contratto preliminare di vendita immobiliare (contratto dichiarato risolto per inadempimento del promittente venditore, con condanna al pagamento del doppio della caparra, all’sito del giudizio di merito): non si tratta dunque di un ricorso in materia di esecuzione forzata che, sebbene in astratto rientrante nella competenza tabellare di altra Sezione della Corte, viene comunque trattato da questa Sezione in quanto espressamente assegnato alla stessa sulla base di provvedimenti dirigenziali interni non più contestabili.

2. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 143, 156, 157, 160, 325, 326 e 327 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4) c.p.c.”. Con il secondo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 143, 156, 157, 160, 325, 326 e 327 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4) c.p.c.”.

I primi due motivi del ricorso hanno ad oggetto la statuizione della sentenza impugnata in cui si rileva la tardività del gravame del ricorrente avverso la sentenza di primo grado, in quanto proposto oltre il termine di trenta giorni dalla notificazione della predetta sentenza, in violazione del termine breve di cui agli artt. 325 e 326 c.p.c..

Essi sono fondati.

La sentenza di primo grado risulta pubblicata in data 19 settembre 2014 e notificata al ricorrente A.A. (unitamente all’atto di precetto), ai sensi dell’art. 143 c.p.c., in data 16 dicembre 2014; successivamente, in data 27 gennaio 2015 risulta notificato al A.A., sempre ai sensi dell’art. 143 c.p.c., un atto di pignoramento immobiliare.

Il A.A. sostiene di avere avuto conoscenza del processo di cognizione, della sentenza che lo aveva definito e del processo esecutivo solo in data 20 febbraio 2018, a seguito di una istanza di accesso agli atti dello stesso processo esecutivo: risulta infatti che egli abbia anche proposto una opposizione esecutiva il 12 marzo 2018, opposizione che, peraltro, non è oggetto del presente ricorso e della quale non viene in realtà neanche specificato l’esito.

L’atto di appello avverso la sentenza di merito di primo grado è stato notificato in data 3/6 settembre 2018, entro sei mesi, quindi, dalla dedotta conoscenza della sentenza stessa, maggiorati della sospensione feriale dei termini processuali, che nella fattispecie è certamente applicabile, in quanto, come chiarito nel precedente paragrafo, non si tratta di controversia in materia di esecuzione forzata.

La corte d’appello ha affermato che “non si rinviene nell’atto di appello una precisa eccezione di nullità della notificazione della sentenza appellata, concentrandosi l’attenzione dell’appellante sulla notificazione dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado”: sarebbe quindi decorso, dal momento di detta notificazione (che risulterebbe eseguita, come già visto, il 16 dicembre 2014, ai sensi dell’art. 143 c.p.c., unitamente al precetto), il termine breve per l’appello.

Il ricorrente censura tale statuizione deducendo, in primo luogo, che il principio di diritto applicato dalla corte d’appello (la quale richiama a sostegno della propria statuizione il remoto precedente di cui a Cass., Sez. 2, Sentenza n. 1766 del 17/06/1974, Rv. 369948 01), secondo cui non sarebbe rilevabile di ufficio la nullità della notificazione della sentenza impugnata oltre il termine breve, sarebbe stato superato da più recenti pronunzie di questa stessa Corte nelle quali si afferma, invece, che è sempre rilevabile di ufficio l’eventuale nullità della notificazione della sentenza, vizio il quale impedisce la decorrenza del termine breve.

Sostiene, altresì, che la nullità della notificazione della sentenza era stata in realtà dedotta, unitamente a quella della nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di cognizione e degli atti in base ai quali era stata minacciata e poi attuata l’esecuzione forzata, in quanto con l’appello era stato esplicitamente allegato che tali atti erano stati tutti notificati ai sensi dell’art. 143 c.p.c., ma in mancanza dei relativi presupposti, quindi in modo non valido.

Entrambi i profili delle censure in esame risultano fondati.

Il A.A. ha proposto l’appello nel 2018, dopo tre anni dalla pretesa notifica della sentenza di primo grado (avvenuta unitamente all’atto di precetto, ai sensi dell’art. 143 c.p.c., nel dicembre 2014): con il suo gravame ha sostenuto di avere avuto conoscenza del processo di cognizione e della sentenza che lo aveva definito solo nel corso del processo esecutivo, in quanto tutte le notificazioni degli atti precedenti (atto di citazione, sentenza di merito di primo grado con allegato precetto, nonchè atto di pignoramento) erano nulle, anzi, a suo dire addirittura giuridicamente inesistenti.

La nullità della notificazione della sentenza di primo grado deve pertanto ritenersi esplicitamente allegata dall’appellante.

Per quanto poi riguarda l’eventuale decorrenza del termine breve, egli non aveva altro onere che dimostrare la indicata nullità (che ne impedisce l’operatività) e sulla quale, invece, la corte d’appello non si è pronunciata affatto.

D’altra parte, effettivamente, secondo il più recente indirizzo di questa stessa Corte, cui intende darsi continuità, il giudice di appello, prima di dichiarare la tardività del gravame per violazione del termine breve di impugnazione, deve normalmente verificare, anche di ufficio, la regolarità della notificazione della sentenza impugnata (salvo il caso in cui la nullità riguardi la persona alla quale debba essere consegnato l’atto, o se vi sia incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta la consegna o sulla data, ipotesi non ricorrenti nella specie), in mancanza della quale il suddetto termine breve non decorre (cfr. Cass., Sez. L, Sentenza n. 3091 del 19/05/1982, Rv. 421023 – 01: “il giudice dell’appello ha il dovere di accertare di ufficio la regolarità del procedimento e, quindi, anche l’ammissibilità del gravame proposto entro l’anno dalla pubblicazione della sentenza ma dopo trenta giorni dalla sua notificazione con riferimento alla persona – parte o difensore – cui era stata diretta, mentre la parte destinataria della notificazione, nel proporre appello oltre il termine breve, ha l’onere di dedurre la nullità – non, quindi, la inidoneità ai fini in questione – della notificazione medesima, sicchè il giudice non può rilevarla d’ufficio soltanto ove la nullità riguardi la persona alla quale deve essere consegnata la copia, o se vi sia incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta o sulla data, a norma dell’art. 160 c.p.c. “).

In definitiva, deve concludersi che il A.A. aveva proposto l’appello tardivo sostenendo espressamente di non avere avuto conoscenza del processo e della sentenza di primo grado (e neanche del precetto e del pignoramento), quale conseguenza della nullità delle relative notificazioni, effettuate a suo dire illegittimamente ai sensi dell’art. 143 c.p.c., cioè mediante deposito presso la casa comunale sulla base dell’assunto che egli avesse dimora, domicilio e residenza sconosciuti, mentre così, a suo avviso, non era.

Di conseguenza, la corte d’appello ha errato nel sostenere che l’appellante non avesse specificamente dedotto l’invalidità della notificazione della sentenza impugnata.

Essa avrebbe dovuto, invece, esaminare e valutare nel merito il dedotto vizio della notificazione della sentenza (nonchè, ancor prima, quello dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di cognizione, come meglio si chiarirà anche in prosieguo).

3. Con il terzo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 116, 143, 327 c. 2 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4) c.p.c.”.

Con il quarto motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2729, 2697 c.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3) c.p.c.”.

Il terzo e il quarto motivo del ricorso hanno ad oggetto la statuizione della decisione impugnata in cui si afferma che l’appello sarebbe inammissibile, in quanto proposto oltre il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., senza che l’appellante abbia allegato o provato la non conoscenza del processo a causa della nullità dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado.

Secondo la corte d’appello, non sarebbe stata fornita la suddetta dimostrazione, perchè l’appellante si sarebbe limitato a dedurre che solo il 20 febbraio 2018 era venuto a conoscenza del processo esecutivo, promosso con atto di pignoramento del 27 gennaio 2015, nonchè della stessa esistenza del titolo esecutivo rappresentato dalla sentenza di cui si controverte nel presente giudizio e dell’atto di precetto, affermando testualmente, con riguardo a tali ultimi atti, “anch’essi asseritamente e unitamente notificati ai sensi dell’art. 143 c.p.c. in data 16 dicembre 2014. A.A. non ha mai avuto conoscenza della notificazione di nessun atto presupposto alla procedura esecutiva sopra indicata”.

Da questa sintetica (se non ermetica) motivazione, in realtà, non emerge se la corte d’appello abbia inteso imputare al A.A. un difetto di allegazione della sua mancata conoscenza del processo o abbia invece inteso semplicemente affermare che, ferma l’allegazione, sarebbe insufficiente la relativa prova.

In ordine alla valutazione di tale prova, peraltro, non vi è alcuna ulteriore considerazione nella sentenza che consenta di comprendere su che basi sia stata effettuata la verifica delle eventuali emergenze istruttorie, anche presuntive, fornite dall’appellante in ordine alla mancata conoscenza del processo di cognizione per il dedotto vizio della notificazione del relativo atto introduttivo.

3.1 Il ricorrente sostiene che non era suo onere dimostrare la mancata conoscenza del processo in conseguenza del vizio della notificazione del relativo atto di citazione, avendo egli dedotto l’inesistenza giuridica della notificazione di detto atto introduttivo e non la sua mera nullità, e ciò in conformità al tradizionale (e tralaticio, come meglio si vedrà in seguito) orientamento di questa Corte secondo il quale “per stabilire se sia ammissibile una impugnazione tardivamente proposta, sul presupposto che l’impugnante non abbia avuto conoscenza del processo a causa di un vizio della notificazione dell’atto introduttivo, occorre distinguere due ipotesi: se la notificazione è inesistente, la mancata conoscenza della pendenza della lite da parte del destinatario si presume “iuris tantum”, ed è onere dell’altra parte dimostrare che l’impugnante ha avuto comunque contezza del processo; se invece la notificazione è nulla, si presume “iuris tantum” la conoscenza della pendenza del processo da parte dell’impugnante, e dovrà essere quest’ultimo a provare che la nullità gli ha impedito la materiale conoscenza dell’atto” (cfr., per tutte: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 18243 del 03/07/2008, Rv. 605008 – 01).

3.2 In proposito, va peraltro precisato che è ormai definitivamente insostenibile l’assunto per cui, nel caso della notificazione eseguita ai sensi dell’art. 143 c.p.c. in mancanza dei necessari presupposti (dimora, residenza e domicilio del destinatario della notificazione sconosciuti nonostante le necessarie specifiche ricerche all’uopo effettuate), si sia di fronte ad una ipotesi di inesistenza giuridica della notificazione e non di mera nullità della stessa: le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. U, Sentenza n. 14916 del 20/07/2016, Rv. 640603 – 01) hanno infatti definitivamente chiarito che “l’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità; tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, “ex lege”, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa”.

D’altra parte, in caso di notificazione ai sensi dell’art. 143 c.p.c. effettuata in mancanza dei relativi presupposti e, in particolare, senza l’effettuazione delle ricerche della nuova residenza di fatto, già in passato si era attribuita al vizio la qualificazione di nullità, sebbene tale qualificazione fosse discussa (e discutibile), in base ai pregressi indirizzi (cfr. ad es. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 16527 del 05/08/2016, Rv. 641326 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 17307 del 31/08/2015, Rv. 636431 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 2909 del 07/02/2008, Rv. 601331 – 01).

In ogni caso, attualmente, dopo l’arresto delle Sezioni Unite di questa Corte sopra richiamato, l’assunto in diritto che si tratti di una notificazione giuridicamente inesistente e non meramente nulla è certamente da ritenersi infondato.

3.3 Al di là della corretta qualificazione del vizio afferente le notificazioni contestate, tuttavia, va comunque tenuto presente che il ricorrente ha certamente e specificamente dedotto, già con il suo atto di appello, di non avere mai ricevuto la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, in quanto la stessa sarebbe stata effettuata con il mero deposito dell’atto presso la casa comunale, ai sensi dell’art. 143 c.p.c., senza alcun altro avviso a lui diretto, sebbene in mancanza dei necessari presupposti, cioè senza che (a suo dire) fossero effettivamente sconosciuti la sua residenza, il suo domicilio e la sua dimora.

Va, quindi, stabilito se una siffatta allegazione possa ritenersi di per sè sufficiente a dar conto della mancata conoscenza del processo, fondando quanto meno una mera presunzione, comunque suscettibile di prova contraria, ai fini della fattispecie di cui all’art. 327, comma 2, c.p.c..

In proposito, si deve tener conto dello sviluppo diacronico degli indirizzi di questa Corte sull’inquadramento e la qualificazione dei vizi delle notificazioni.

3.3.1 In primo luogo, si rileva che, come già chiarito, il A.A., nel proporre l’appello (dopo tre anni dalla pubblicazione della sentenza di primo grado), in occasione della sopravvenuta conoscenza del processo di esecuzione fondato sulla stessa, aveva certamente e specificamente dedotto di non aver mai ricevuto alcuna notificazione degli atti del processo di cognizione e della sentenza che lo aveva definito in primo grado, perchè tali atti erano stati tutti notificati mediante mero deposito presso la casa comunale, sebbene la sua residenza (almeno a suo dire) non fosse affatto sconosciuta: la corte di appello non ha però affrontato in alcun modo la questione della validità o meno di queste notificazioni, omettendo di chiarire se le stesse si fossero in realtà validamente perfezionate o meno.

3.3.2 Esaminando i precedenti di questa Corte in tema di impugnazione tardiva del contumace involontario, emerge che l’effettivo principio di diritto applicato nelle decisioni pubblicate risulta espresso, soprattutto nella sintesi verbale delle relative massime, con una semplificazione che, oggi, in base all’evoluzione successiva della giurisprudenza di questa Corte in tema di vizi delle notificazioni, può ritenersi inattuale, se non addirittura fuorviante.

Occorre premettere che, almeno fino al 2008, era ancora esistente un indirizzo di legittimità secondo il quale “il comma 1 dell’art. 327 c.p.c……. non trova applicazione quando il contumace dimostri di non avere avuto conoscenza del processo, per nullità della citazione o della notificazione di essa e per nullità degli atti di cui all’art. 292 c.p.c., sicchè il contumace è onerato tanto della prova della nullità della citazione o della relativa notificazione, quanto di quella della non conoscenza del processo a causa di dette nullità; tuttavia la prova relativa a quest’ultima circostanza non è necessaria allorchè vi sia nullità della notificazione della citazione, essendo detto vizio, salvo prova contraria, tale da impedire alla parte di acquisire la notizia dell’esistenza stessa del giudizio, con la conseguenza che in tal caso, dal momento che è la rituale notificazione dell’atto introduttivo a determinare la conoscenza legale del giudizio, la nullità di tale notificazione dà luogo alla presunzione di non conoscenza del processo, incombendo, quindi, a chi eccepisce la tardività l’onere di provare che la controparte abbia avuto detta conoscenza di fatto nonostante quella nullità” (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17014 del 26/08/2004, Rv. 576267 01; Sez. L, Sentenza n. 9989 del 16/04/2008, Rv. 602853 01).

A partire dal 2008 (in particolare, a partire dall’arresto di cui a Cass., Sez. 3, Sentenza n. 18243 del 03/07/2008, Rv. 605008 – 01), si è però consolidato un diverso e più rigoroso indirizzo, che viene formulato e argomentato nei seguenti termini nella motivazione dell’arresto appena richiamato (che pare opportuno trascrivere integralmente, in parte qua, per chiarezza):

“In una recente decisione della Corte – la sentenza 16 aprile 2008 n. 9989 – è stato affermato che il convenuto non deve dare altra prova di non avere avuto conoscenza del processo, perchè ne è prova sufficiente la circostanza che la notificazione dell’atto introduttivo della lite sia avvenuta con modalità che ne provocano la nullità, sicchè spetta a chi ha assunto l’iniziativa della notificazione dare dimostrazione del contrario.

Questo orientamento appare però contrario alla prevalente giurisprudenza della Corte. La Corte segue tale indirizzo nei soli casi in cui la notificazione è stata eseguita con modalità che ne determinano l’inesistenza, quando cioè la notificazione è eseguita in luogo o con consegna a persona, che non hanno alcun collegamento col destinatario della notifica, sicchè v’è una presunzione che la parte non abbia potuto avere conoscenza dell’atto a lei indirizzato (in tema di distinzione tra notificazione nulla e notificazione inesistente, da ultimo: Sez. Un. 29 aprile 2008 n. 10817; sullo stesso tema, in rapporto alla prova della conoscenza del processo in sede di applicazione dell’art. 327 c.p.c., comma 2: Cass. 22 maggio 2006 n. 11991; e, in rapporto alla 14570). Quanto ai casi in cui la notificazione è nulla, perchè è stata eseguita con modalità difformi da quelle prescritte, ma in luogo o con consegna a persona che hanno con la parte un collegamento che fa presumere che la stessa parte possa avere in concreto conosciuto l’atto, perchè è questo che di solito avviene, l’onere di dimostrare il contrario è invece accollato al convenuto, del resto in conformità del dettato letterale della norma (Sez. Un. 12 maggio 2005 n. 9938; Cass. 8 giugno 2007 n. 13506; 14 settembre 2007 n. 19225). Il collegio condivide gli argomenti che sono a base di questo indirizzo, appunto per la ragione che vale a distinguere la notificazione nulla da quella inesistente”.

In effetti, l’indirizzo che si è consolidato (e che trova conferma in svariati altre successive decisioni: cfr. ad es. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 1308 del 19/01/2018, Rv. 646916 – 01; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 19574 del 30/09/2015, Rv. 637215 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 2817 del 05/02/2009, Rv. 606613 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 36181 del 12/12/2022, Rv. 666540 – 01) opera, al di là dell’inquadramento qualificatorio dei vizi delle notificazioni, una distinzione tra due fattispecie concrete: 1) la “notificazione eseguita con modalità difformi da quelle prescritte, ma in luogo o con consegna a persona, che hanno con la parte un collegamento che fa presumere che la stessa parte possa avere in concreto conosciuto l’atto, perchè è questo che di solito avviene”, nel qual caso l’onere di allegare e dimostrare il contrario è accollato al convenuto, che si afferma contumace involontario; 2) la “notificazione eseguita in luogo o con consegna a persona che non hanno alcun collegamento col destinatario della notifica”, nel qual caso si afferma esservi una presunzione che la parte non abbia potuto avere conoscenza dell’atto a lei indirizzato e, di conseguenza, spetta all’attore notificante l’onere di dimostrare l’eventuale avvenuta conoscenza di fatto del processo da parte del preteso contumace involontario, nonostante l’assenza di una valida notificazione dell’atto introduttivo dello stesso.

Il principio risulta dunque chiaro, nella sua effettiva sostanza, e può ritenersi condivisibile.

In altri termini, in base a tale indirizzo, se la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio avviene, sia pure invalidamente, con consegna dell’atto a persona e/o in luogo che hanno comunque un collegamento con il destinatario, si può quanto meno presumere che il destinatario possa comunque avere avuto conoscenza di fatto del processo e, quindi, questi dovrà puntualmente allegare e dimostrare che tale conoscenza non vi fu, ai sensi dell’art. 327, comma 2, c.p.c..

Se, invece, la notificazione avviene senza la consegna dell’atto a una persona o in un luogo che abbia un qualche collegamento con il destinatario, è logico presumere, quale conseguenza normale, che questi non ne possa in alcun modo avere avuto conoscenza e, così, egli non avrà l’onere di ulteriormente e più specificamente allegare e dimostrare tale mancata conoscenza in caso di impugnazione tardiva; più precisamente, l’allega-zione della mancata conoscenza dell’atto da notificare è da considerarsi implicita nella stessa allegazione delle specifiche circostanze di fatto che stanno alla base della dedotta radicale invalidità della notificazione, avvenuta senza consegna dell’atto o con consegna in luogo o a persona privi di collegamenti con il destinatario.

La “semplificazione” dell’espressione sintetica di tali principi di diritto – che si riscontra soprattutto nelle massime, ma anche in qualche motivazione dei precedenti richiamati – sta nell’ulteriore affermazione, per cui alla prima delle due ipotesi sopra descritte corrisponderebbe, sul piano tecnico, il vizio di mera “nullità” della notificazione, mentre alla seconda corrisponderebbe il vizio qualificabile come radicale “inesistenza giuridica” della stessa: di conseguenza si è per anni affermato, del tutto tralaticiamente e sulla base di una semplificazione da ritenersi oggi eccessiva, che solo in caso di inesistenza giuridica della notificazione dell’atto introduttivo non è necessario per il preteso contumace involontario allegare e provare specificamente la mancata conoscenza del processo derivata dalla invalidità di detta notificazione.

Tale “semplificazione” del principio di diritto può probabilmente comprendersi, in verità, in base al prevalente orientamento interpretativo anteriore al 2016, secondo il quale la notificazione eseguita con consegna dell’atto a persona o in luogo senza alcun collegamento con il destinatario era da ritenere sempre affetta dal vizio di “giuridica inesistenza” e non da quello di “mera nullità”; ma in realtà si tratta di una “semplificazione” imprecisa sul piano giuridico, perchè minata alla base dalla non correttezza proprio di tale ultima distinzione nell’ambito delle categorie dei vizi delle notificazioni, come poi definitivamente chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la già richiamata Cass., SSUU n. 14916/2016.

E’ opportuno sottolineare che, dai precedenti di questa Corte che si sono occupati della fattispecie in esame, non emerge un effettivo contrasto nell’applicazione concreta del principio di diritto (che resta quello sopra esposto, cioè quello che fa leva sull’esistenza di un collegamento o meno tra destinatario e luogo/persona di consegna dell’atto da notificare), ma solo, al più, una mera disarmonia nell’espressione verbale sintetica del principio stesso. Lo dimostra il fatto che, anche prima del 2016, proprio nel caso di notificazione dell’atto introduttivo del giudizio eseguita mediante mero deposito dell’atto presso la casa comunale, senza alcun avviso al destinatario, come avviene nell’ipotesi di cui all’art. 143 c.p.c., in mancanza dei presupposti di legge, è stato affermato che non vi era alcuna necessità di ulteriore specifica allegazione e di prova della mancata conoscenza del processo da parte del contumace involontario, dovendo la stessa logicamente presumersi.

In un precedente specifico che ha affrontato la questione della nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio effettuata col “rito degli irreperibili” (ai sensi del D.P.R. n. 603 del 1972, art. 60, che prevede modalità del tutto analoghe a quelle di cui all’art. 143 c.p.c., esaurendosi in sostanza nel deposito dell’atto presso la casa comunale, senza alcun avviso diretto al destinatario) in mancanza dei necessari presupposti, in relazione all’onere della prova della mancata conoscenza del processo da parte del contumace involontario, ai sensi dell’art. 327, comma 2, c.p.c., si è in effetti affermato che la mancata conoscenza del processo si deve presumere, perchè la notificazione è avvenuta “senza consegna ad alcuno ed in luogo privo di collegamento con il destinatario” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 2817 del 05/02/2009, Rv. 606613 – 01), e ciò – pare opportuno sottolineare – non in contrasto, ma sulla espressa premessa della esplicita e integrale adesione all’indirizzo tradizionale sull’onere probatorio che si atteggia in ragione della distinzione tra nullità e inesistenza della notificazione.

In motivazione, nella decisione appena richiamata si afferma molto chiaramente quanto segue (anche in questo caso pare opportuno trascrivere integralmente i passaggi motivazionali rilevanti):

“…… per stabilire se sia ammissibile una impugnazione tardivamente proposta, sul presupposto che l’impugnante non abbia avuto conoscenza del processo a causa di un vizio della notificazione dell’atto introduttivo, occorre distinguere due ipotesi: se la notificazione è inesistente (cioè è stata eseguita in luogo o con consegna a persona che non hanno alcun collegamento col destinatario), la mancata conoscenza della pendenza della lite da parte del destinatario si presume iuris tantum, ed è onere dell’altra parte dimostrare che l’impugnante ha avuto comunque contezza del processo; se invece la notificazione è nulla (perchè è stata eseguita con modalità difformi da quelle prescritte, ma in luogo o con consegna a persona che hanno con la parte un collegamento che fa presumere che la parte stessa possa avere in concreto conosciuto l’atto), si presume iuris tantum la conoscenza della pendenza del processo da parte dell’impugnante, e dovrà essere quest’ul-timo a provare che la nullità gli ha impedito la materiale conoscenza dell’atto (così, da ult., Cass. n. 18243 del 2008; cfr., già, Cass., Sez. un., n. 9938 del 2005 e, in tema di decorrenza del termine di cui all’art. 325 c.p.c., n. 14570 del 2007, nonchè, in materia di contenzioso tributario, Cass. n. 11991 del 2006); che, ciò posto, nella fattispecie, come risulta dall’esame diretto degli atti, il messo comunale, una volta rilevata la “momentanea irreperibilità” del destinatario, ha provveduto a depositare copia dell’atto presso la casa comunale e ad affiggere l’avviso di tale deposito per otto giorni nell’albo pretorio: trattasi di modalità di notificazione tale da far presumere, in ossequio al principio di diritto sopra richiamato, la mancata conoscenza della pendenza del processo da parte del destinatario, in quanto eseguita senza consegna ad alcuno ed in luogo privo di collegamento con il destinatario medesimo (nè può rilevare, in contrario, che una siffatta modalità è prevista peraltro, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non nella ipotesi di momentanea irreperibilità del destinatario per la notificazione degli avvisi tributari, dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. e – norma, infatti, richiamata nella relata -, essendo sufficiente rilevare che trattasi di disciplina attinente ad atti di natura sostanziale e non processuale e, quindi, a materia alla quale non sono, in linea di principio, applicabili le più rigorose garanzie specificamente connesse al regime degli atti processuali: v. Cass. n. 7773 del 2006);

che, in conclusione, il ricorso deve ritenersi ammissibile, pur se tardivamente proposto;

che il ricorso stesso, con il quale si denuncia la “nullità inesistenza” della notificazione dell’atto di appello, con conseguente inammissibilità del medesimo, è, poi, manifestamente fondato per le medesime ragioni già esposte, in quanto la notificazione, come s’è detto, è stata eseguita con modalità difformi da quelle prescritte dalla legge (processuale), senza consegna ad alcuno e in luogo (casa comunale) privo di collegamento col destinatario (ed ovviamente senza invio di alcuna raccomandata con funzione informativa ex art. 140 c.p.c.)”.

3.3.3 Fatte queste premesse, ai fini della decisione del presente ricorso pare assorbente il rilievo per cui, oggi, si può certamente prescindere dall’analisi delle implicazioni di carattere “qualificatorio” degli orientamenti ormai superati in tema di vizi delle notificazioni, in quanto:

a) le disarmonie qualificatorie sui vizi delle notificazioni non hanno dato luogo ad un vero e proprio contrasto “effettivo” nell’applicazione dei principi di diritto relativi all’ipotesi di cui all’art. 327, comma 2, c.p.c., in particolare nella individuazione delle ipotesi in cui la specifica allegazione delle caratteristiche del vizio della notificazione dell’atto introduttivo del processo era da considerare sufficiente ai fini della presunzione “iuris tantum” della mancata conoscenza del processo stesso; segnatamente, non è ravvisabile un contrasto sulla sussistenza di tale presunzione in caso di notificazione eseguita mediante deposito dell’atto presso la casa comunale senza avviso al destinatario, in mancanza del presupposto della mancata conoscenza della residenza o del domicilio del destinatario; in tali ipotesi si è, infatti, concordemente sempre ritenuto che operasse la presunzione di mancata conoscenza del processo, anche indipendentemente dalla corretta qualificazione del vizio;

b) in ogni caso, tali disarmonie non possono più ritenersi attuali, dopo che, come sancito da Cass., SSUU n. 14916/2016, deve escludersi la stessa configurabilità della categoria generale di un vizio della notificazione qualificabile come “inesistenza giuridica”, a fianco del vizio qualificabile come “nullità”, in quanto il vizio della notificazione che venga eseguita e dunque si perfezioni secondo una qualunque delle forme previste dalla legge, anche “virtuali” (quindi: non solo con la consegna dell’atto, ma anche con il deposito dello stesso nelle forme per legge equiparate alla consegna), sia pure invalidamente, è sempre quello, evidentemente omnicomprensivo, della “nullità”, a prescindere dall’esistenza di un collegamento con il destinatario del luogo e/o della persona dove e/o alla quale avvenga la consegna dell’atto, mentre nel caso in cui (non solo) non vi sia nessuna consegna dell’atto ma non vi sia neanche alcun deposito equipollente nelle forme di legge, la notificazione non è viziata, ma semplicemente non ha avuto affatto luogo (trattandosi sostanzialmente una ipotesi di omessa notifica, non di notifica viziata). Dunque, non può che concludersi che, dopo Cass., SSUU n. 14916/2016, non possono più avere seguito, in generale, i precedenti indirizzi che distinguevano, per determinati effetti giuridici, tra il vizio di “nullità” e il vizio di “inesistenza giuridica” della notificazione; in particolare, con riguardo all’indirizzo relativo agli oneri di allegazione e prova della mancata conoscenza del processo ai fini dell’impugnazione tardiva di cui all’art., 327, comma 2, c.p.c., certamente non può più farsi riferimento alla “semplificazione” che attribuiva rilievo proprio a tale distinzione tra le due diverse forme di invalidità della notificazione (inesistenza e nullità), trattandosi di distinzione della quale è stata ormai sancita l’inconfigurabilità sul piano teorico e, che, comunque (anche a volerla “traslare” sull’attuale distinzione tra notifica nulla e omessa notifica), avrebbe un significato del tutto diverso da quello che aveva in passato, implicando oggi una diversa qualificazione dei medesimi vizi.

L’area dell’attuale vizio di “nullità della notificazione” rispetto a quella dell’omessa notifica (secondo l’attuale indirizzo sancito dalle SSUU nel 2016), infatti, non corrisponde affatto alla precedente area della “nullità” rispetto a quella della “inesistenza giuridica” della notificazione, secondo i vecchi indirizzi ormai superati.

Di conseguenza, non si possono continuare ad applicare indirizzi interpretativi anteriori all’arresto di cui alle Sezioni Unite di questa Corte del 2016 che richiamavano tale distinzione, come nel caso qui in esame dell’art. 327, comma 2, c.p.c..

Ne deriva, ancora, che la tralaticia affermazione per cui, in caso di impugnazione tardiva del contumace involontario ai sensi dell’art. 327, comma 2, c.p.c., bisogna distinguere tra “inesistenza giuridica” e mera “nullità” della notificazione dell’atto introduttivo del processo e solo nella prima ipotesi vi è una presunzione di fatto di mancata conoscenza del processo stesso, tale da imporre alla controparte (cioè all’attore vittorioso) di dimostrare che detta conoscenza di fatto in realtà vi fu, non è oggi più predicabile in tali medesimi termini e va certamente (quanto meno) aggiornata in base ai nuovi principi espressi da Cass. SSUU n. 14916/2016.

3.3.4 A tale ultimo fine, se si analizza e si individua l’effettivo principio di diritto che è stato costantemente affermato nei precedenti in tema di impugnazione tardiva del contumace involontario ai sensi dell’art. 327, comma 2, c.p.c., al di là delle formule giuridico-linguistiche con cui esso era espresso, soprattutto nelle massime tralaticie, la soluzione attualmente applicabile emerge con chiarezza.

Come ampiamente esposto, il principio di diritto effettivamente e costantemente applicato in tutti i precedenti sull’art. 327, comma 2, c.p.c., ai fini della sussistenza di una presunzione di fatto (peraltro sempre superabile con prova contraria) distingue, infatti, tra notificazione dell’atto introduttivo eseguita in luogo o a persona con un collegamento con il destinatario (che fa presumere quanto meno la normale possibilità di una conoscenza di fatto del processo) e notificazione eseguita in luogo o a persona privi di tale collegamento (in cui tale presunzione è da escludere).

L’ipotesi del deposito dell’atto presso la casa comunale senza alcun avviso al destinatario, non vi è dubbio che sia stato sempre fatto rientrare, e che rientri effettivamente, in questa seconda fattispecie, non essendovi consegna dell’atto a chicchessia e non essendovi alcun collegamento tra la casa comunale e il destinatario, che possa lasciare immaginare almeno la possibilità che tale notificazione venga a determinare una conoscenza di fatto della pendenza del processo.

In conclusione, proprio al fine di dare continuità ai principi di diritto fino ad oggi seguiti da questa Corte in tema di impugnazione del contumace involontario, semplicemente adeguandoli alla nuova sistematica qualificatoria dei vizi delle notificazioni imposta da Cass., SSUU n. 14916/2016, deve ritenersi che, non potendosi più seguire la distinzione, ormai definitivamente esclusa dalle Sezioni Unite, tra vizio di nullità e vizio di inesistenza giuridica della notificazione, si debba nondimeno attribuire la giusta rilevanza, a tutela dell’effettività del diritto di difesa, alle concrete peculiarità dell’invalidità ricorrenti nella fattispecie e, in tal modo modulandone la rilevanza ai fini della loro allegazione e prova, affermare il seguente principio di diritto (da intendersi non già quale principio realmente innovativo, ma in piena continuità con i precedenti, sebbene “aggiornato” alla corretta qualificazione dei vizi delle notificazioni sancita dalle Sezioni Unite):

“ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione tardiva del cd. contumace involontario, ai sensi dell’art. 327, comma 2, c.p.c., grava su quest’ultimo l’onere di allegare e dimostrare non solo la causa della eventuale nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, ma anche di non aver avuto conoscenza del processo in conseguenza di quel vizio; peraltro, nell’ipotesi in cui la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio sia stata invalidamente eseguita in luogo o con consegna a persona che non hanno alcun collegamento col destinatario della notifica, la relativa allegazione deve considerarsi implicita nella specifica allegazione dello stesso vizio della notificazione e, in tal caso, non può affermarsi alcuna presunzione “iuris tantum” di conoscenza del processo da parte dell’impugnante, onde grava sulla controparte l’onere di dimostrare che tale conoscenza vi sia eventualmente stata ugualmente”.

In applicazione di tale principio, poichè in caso di notificazione (che si alleghi essere stata) eseguita ai sensi dell’art. 143 c.p.c. con il mero deposito dell’atto presso la casa comunale pur in mancanza del presupposto di legge dell’effettiva oggettiva mancata conoscenza della residenza, della dimora e del domicilio del destinatario della notificazione, questa avviene certamente senza alcuna consegna a persona o in luogo avente un collegamento col destinatario, di conseguenza (e in continuità con quanto già sancito dalla richiamata Cass. n. 2817/2009), laddove il preteso contumace involontario alleghi specificamente un siffatto vizio della notificazione (e benchè si tratti senza alcun dubbio di vizio oggi da qualificarsi in termini di nullità), egli sta allegando altresì, quanto meno implicitamente, una situazione di fatto che implica di per sè e fa presumere, sia pure solo iuris tantum, la mancata conoscenza del processo e, dunque, spetterà alla controparte di dimostrare eventualmente il contrario; ciò a meno che ovviamente non si accerti che la notificazione “virtuale” ai sensi dell’art. 143 c.p.c. sia valida, nel qual caso è ovviamente escluso in radice ogni vizio che possa giustificare una impugnazione tardiva.

3.3.5 Per quanto riguarda la fattispecie in esame, sulla base di quanto sin qui esposto, deve osservarsi che, nonostante la inesatta qualificazione giuridica del vizio della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio (in termini di inesistenza giuridica anzichè di nullità) operata dal ricorrente, l’allegazione da parte sua della circostanza di fatto che la notificazione di tale atto era stata eseguita, sebbene la propria residenza fosse a suo dire conosciuta (o, quanto meno, conoscibile con l’ordinaria diligenza), con il mero deposito di esso presso la casa comunale, cioè senza consegna dell’atto a persona o in luogo che presentavano un qualunque collegamento con la sua sfera personale, costituisce una sufficiente allegazione (quanto meno implicita) in fatto idonea a determinare, in diritto, una presunzione semplice di fatto di mancata conoscenza del processo.

Di fronte a tale implicita allegazione, i giudici del merito avrebbero dovuto verificare, in primo luogo, l’effettiva validità della notificazione dell’atto introduttivo del processo eseguita ai sensi dell’art. 143 c.p.c. (in quanto la eventuale validità di tale notifica sarebbe assorbente ai fini di escludere l’ammissibilità dell’impugnazione tardiva ai sensi dell’art. 327, comma 2, c.p.c.) e, benchè solo in esito al positivo riscontro della sua invalidità, la sussistenza di una prova (il cui onere è a carico dell’appellato) della eventuale conoscenza di fatto del processo da parte del convenuto, nonostante detta invalidità.

Per non essersi determinato a tanto il giudice dell’appello, ne consegue l’accoglimento del ricorso e la cassazione della decisione impugnata, affinchè in sede di rinvio sia valutata in concreto la validità o meno della notificazione, effettuata ai sensi dell’art. 143 c.p.c., dell’atto introduttivo del giudizio di merito e della sentenza impugnata, anche ai fini dell’ammissibilità del gravame tardivo, sulla base dei principi di diritto più sopra enunciati.

4. Il ricorso è accolto, per quanto di ragione, nei limiti di cui in motivazione.

La sentenza impugnata è cassata in relazione alle censure accolte, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte:

– accoglie il ricorso per quanto di ragione e cassa in relazione alle censure accolte la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 13 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2023


Rimborso spese legali solo previo parere di congruità. Dipendente pubblico viene assolto

L’Amministrazione di appartenenza verifica se sussistono i presupposti per il rimborso, con l’ausilio dell’Avvocatura dello Stato il cui parere ha natura obbligatoria e vincolante

Il parere di congruità previsto dall’ art. 18 del d.l. 25 marzo 1997, n. 67, convertito con L. n. 135 del 1997 è obbligatorio e vincolante. Pertanto, le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti pubblici per fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza di assoluzione, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato (Consiglio di Stato, sentenza n. 7917/2023).

Un Carabiniere otteneva il rimborso delle spese di patrocinio legale sopportate per un procedimento penale – conclusosi con l’assoluzione – per fatti connessi all’esercizio delle proprie funzioni, nella misura complessiva di € 20.000,00.

Il Ministero della difesa impugnava tale decisione, sostenendo che il T.A.R., annullato il diniego di rimborso delle spese legali, non avrebbe potuto stabilirne il quantum, ma avrebbe dovuto rimetterne la determinazione all’Amministrazione, previa valutazione di congruità della competente Avvocatura erariale, in ragione del carattere obbligatorio e vincolante del parere di congruità previsto dall’art. 18 del d.l. 25 marzo 1997, n. 67, convertito con l. n. 135 del 1997.

Per il Consiglio di Stato, l’appello è fondato.

L’art. 18 sopra richiamato stabilisce, infatti, che “le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato”.

In precedenti pronunce, il Consiglio di Stato aveva già chiarito che, nei casi di giurisdizione amministrativa esclusiva, rilevano i principi generali per i quali, in presenza di un potere valutativo dell’Amministrazione, la posizione del dipendente va qualificata come interesse legittimo.

L’art. 18 citato attribuisce un peculiare potere valutativo all’Amministrazione con riferimento all’an ed al quantum, poiché essa deve verificare se sussistano in concreto i presupposti per disporre il rimborso di tali spese e la loro congruità, con l’ausilio dell’Avvocatura dello Stato, il cui parere ha natura obbligatoria e vincolante.

Il parere deve valutare quali siano state le effettive necessità difensive ed è sindacabile in sede di giurisdizione di legittimità per errore di fatto, illogicità, carenza di motivazione, incoerenza, irrazionalità o per violazione delle norme di settore (Cons. Stato, Sez. II, 2009, n. 7722)”.

Pertanto, il T.A.R., dopo aver annullato il provvedimento di diniego, si sarebbe dovuto limitare a rimetterne la quantificazione all’Amministrazione, perché vi procedesse con l’ausilio dell’Avvocatura dello Stato.


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 21/06/2023) 06/10/2023, n. 28215

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino L. – Presidente –

Dott. LA ROCCA Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. HMELJAK Tania – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 35508/2019 R.G. proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA RIDOLFI VENUTI 42, presso lo studio dell’avvocato DI SARNO ALESSANDRA, (D Srl SN68D57H501L) rappresentato e difeso dall’avvocato CURRO’ ANTONELLO, (CRRNNL72M19F158G);

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, (ADS80224030587) che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

nonchè contro

RISCOSSIONE SICILIA Spa domiciliata ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato CIMINO MAURIZIO, (CMNMRZ73R16F158Z);

– controricorrente –

avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. MESSINA n. 2500/2019 depositata il 24/04/2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/06/2023 dal Consigliere Dott. GIOVANNI LA ROCCA.

Svolgimento del processo
CHE:

1. A.A., quale erede di B.B., ha impugnato davanti alla Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Messina la cartella di pagamento n. (Omissis) della complessiva somma di Euro 868.623,81, dovuta a titolo di IRPEF e IVA ed accessori per gli anni (Omissis), iscritta a ruolo sulla base di tre avvisi di accertamento oggetto di impugnazione non ancora definita.

2. La CTP di Messina ha rigettato il ricorso, rilevando la ritualità della notifica effettuata impersonalmente agli eredi e, comunque, la sanatoria di ogni vizio di notifica a seguito della impugnazione in termini, l’inammissibilità delle questioni relative agli altri chiamati che avevano rinunziato all’eredità, la regolare formazione della cartella.

3. Il A.A. ha proposto appello che la Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Sicilia ha rigettato, con la resistenza in giudizio sia dell’Agenzia delle entrate sia di riscossione Sicilia Spa affermando il difetto di legittimazione passiva dell’Agenzia delle entrate, posto che l’impugnazione riguardava una cartella di pagamento, il raggiungimento dello scopo della notifica dell’atto, la ritualità della cartella redatta secondo modello ministeriale, la genericità e pretestuosità del rilievo relativo agli interessi con riguardo ai quali non venivano specificamente indicati gli errori di calcolo.

4. Avverso questa pronunzia propone ricorso per cassazione A.A., quale erede di B.B., affidandosi a quattro motivi.

5. Resistono con controricorso l’Agenzia delle entrate e la Riscossioni Sicilia spa.

Motivi della decisione
CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. ed omessa motivazione circa punti decisivi della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in merito al computo del dovuto, in quanto incombe sull’Amministrazione l’onere di provare la debenza delle somme pretese, tanto per capitale quanto per interessi e altri accessori, “frutto di un complesso calcolo”, in ragione dell’istituto della riscossione frazionata in pendenza di giudizio; in particolare, il ricorrente segnala che con le sentenze della CTP nn. 405/10/2008, 406/10/2008 e 407/10/2008 si era notevolmente ridotta la pretesa erariale e dubita della correttezza dei calcoli (“La cartella in esame tiene conto di tale rideterminazione della pretesa? Si tiene conti delle cartelle già emesse e poi rettificate? Gli interessi sono stati computati nel passaggio dai vari giudizi di merito?”), ritenendo altresì che non sia “dato comprendere come sia possibile un’iscrizione a ruolo di ulteriori 868.623,81 Euro a fronte di una prima cartella di pagamento emessa in pendenza di ricorso portante una pretesa di ben 3.086.392,49 Euro, una seconda cartella di 4.081.461,70 Euro, al cospetto di un accertato pari a complessive 10.265.8982,21 (sic) Euro (somma degli importi totali dei tre accertamenti come emessi) tenuto conto, inoltre di tre sentenze di primo grado che hanno rideterminato la pretesa in modo significativo e che in corso di causa è venuto a mancare il debitore accertato, con rideterminazione della pretesa in termini di sanzioni e interessi su queste calcolati”.

2. Con il secondo motivo deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2 e della L. n. 212 del 2000, art. 7 e della L. n. 241 del 1990, art. 3 in quanto erroneamente la CTR non aveva rilevato il vizio di motivazione della cartella impugnata, priva di elementi sufficienti a comprendere il calcolo degli importi pretesi sia per tributo che per interessi, tanto che “il Concessionario della riscossione potrebbe aver calcolato (il condizionale è d’obbligo perchè nulla è dato sapere) i predetti interessi di mora su tutte le somme iscritte a ruolo, ovvero sull’importo costituito dal tributo, dagli interessi da ritardata iscrizione a ruolo e delle sanzioni irrogate in origine al de cuius, di fatto realizzando due gravi violazioni di legge” (calcolo di interessi sulle sanzioni e di anatocismo).

3. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono inammissibili; da un lato, come si desume dalla superiore espositiva e come già rilevato dalla CTR, le doglianze sono formulate in termini generici, oltre che dubitativi e ipotetici; d’altro lato, l’articolazione delle censure difetta non solo di specificità ma anche di autosufficienza in quanto non viene riportato, neppure in parte, il contenuto della cartella impugnata che dovrebbe rivelare il vizio motivazionale e, comunque, andrebbe valutato, con riguardo agli interessi calcolati in cartella, alla luce dei principi espressi da questa Corte secondo cui “La cartella di pagamento, allorchè segua l’adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il “quantum” del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, è congruamente motivata – con riguardo al calcolo degli interessi nel frattempo maturati – attraverso il semplice richiamo dell’atto precedente e la quantificazione dell’importo per gli ulteriori accessori, indicazione che soddisfa l’obbligo di motivazione prescritto dalla L. n. 212 del 2000, art. 7 e dalla L. n. 241 del 1990, art. 3″ (Cass. sez. un. 22281 del 2022).

5. Con il terzo motivo deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente e contraddittoria motivazione sul difetto di legittimazione passiva dell’Agenzia delle entrate.

5.1. Il motivo è inammissibile perchè, a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purchè il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. n. 7090 del 2022; Cass. sez. un. 8053 del 2014); la modifica, inoltre, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali che hanno costituito oggetto di discussione tra le parti avente carattere decisivo (Cass. n. 13024 del 2022), senza che possano considerarsi tali nè le singole questioni decise dal giudice di merito, nè i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, nè le mere ipotesi alternative, nè le singole risultanze istruttorie (Cass. n. 10525 del 2022; Cass. n. 5795 del 2017). In questo caso manca la precisa individuazione del fatto storico decisivo il cui esame sarebbe stato omesso, risolvendosi la doglianza nel rilievo che la deduzione degli errori di calcolo doveva avere come legittimo contraddittore l’Ente impositore; si propone, in realtà, una questione giuridica che, peraltro, contrasta con la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il concessionario del servizio di riscossione è parte, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 10 quando oggetto della controversia è l’impugnazione di atti viziati da errori ad esso direttamente imputabili, cioè per vizi propri della cartella o dell’avviso di mora, e non è configurabile un litisconsorzio necessario con l’Amministrazione finanziaria (Cass. n. 8370 del 2015; Cass. n. 22729 del 2016; Cass. n. 22729 del 2016).

6. Con il quarto motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 65, comma 2 laddove si è ritenuta corretta la notifica della cartella di pagamento effettuata presso l’ultima residenza del de cuius impersonalmente a tutti gli eredi, in quanto in più occasioni A.A. aveva inoltrato all’Agenzia delle entrate comunicazioni nelle quali rappresentava la sua qualità di erede universale e indicava il suo domicilio fiscale; si trattava di un caso di inesistenza della notificazione che impediva la sanatoria per raggiungimento dello scopo.

6.1. Il motivo è inammissibile e comunque è infondato.

6.2. Ai sensi dell’art. 65 cit., “Gli eredi rispondono in solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante causa” (comma 1); “Gli eredi del contribuente devono comunicare all’ufficio delle imposte del domicilio fiscale del dante causa le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale. La comunicazione può essere presentata direttamente all’ufficio o trasmessa mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso si intende fatta nel giorno di spedizione” (comma 2); ” La notifica degli atti intestati al dante causa può essere effettuata agli eredi impersonalmente e collettivamente nell’ultimo domicilio dello stesso ed è efficace nei confronti degli eredi che, almeno trenta giorni prima non abbiano effettuato la comunicazione di cui al comma 2″ (comma 4).

6.3. Risulta un difetto di specificità e autosufficienza in quanto non si precisano gli estremi delle comunicazioni che sarebbero state effettuate almeno trenta giorni prima della notifica della cartella di pagamento. Il motivo, in ogni caso, è infondato perchè la notifica dell’atto tributario nei confronti di un contribuente deceduto, notificato agli eredi collettivamente e impersonalmente presso il domicilio del de cuius, è nulla, ma non inesistente, ove gli eredi abbiano effettuato la comunicazione di cui all’art. 65 cit. prima della notificazione; quindi, atteso che la natura sostanziale dell’atto tributario non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, detta nullità deve ritenersi sanata, per raggiungimento dello scopo dell’atto ex art. 156 c.p.c., comma 3, qualora l’erede proponga tempestivo ricorso avverso il ruolo, purchè ciò avvenga prima della scadenza del termine di decadenza, previsto dalle singole leggi d’imposta, per l’esercizio del potere di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria (Cass. n. 1156 del 2019).

7. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e le spese vanno liquidate secondo soccombenza.

P.Q.M.
rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento, in favore a ciascuno dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per l’Agenzia delle entrate, in Euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito, e, per Riscossione Sicilia Spa in Euro 5.600,00 oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 21 giugno 2023.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2023


Cass. civ., Sez. II, Ord., (data ud. 19/12/2022) 05/10/2023, n. 28093

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. ROLFI Federico Vincenzo Amedeo – Consigliere –

Dott. POLETTI Dianora – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al R.G.N. 2274/2018 proposto da:

AVV. A.A., in proprio, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIULIA, 66, presso il proprio studio;

– ricorrente –

contro

MARCHIO COSTRUZIONI GENERALI Srl , in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 6594/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/10/2017; udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 19/12/2022 dal Consigliere Dott. DIANORA POLETTI.

Svolgimento del processo
Con sentenza n. 6594/2017, la Corte di Appello di Roma dichiarava inammissibile il gravame proposto dall’avvocato A.A. contro la sentenza emessa dal Tribunale di Roma n. 5561/2013 per nullità della notifica dell’atto di appello, siccome effettuata in violazione della L. n. 53 del 1994, artt. 3 e 11, non sanata dalla successiva rinnovazione.

Affermava la Corte che dall’esame di quanto depositato, unitamente all’atto di appello in rinnovazione, si evinceva che l’avvocato notificante, abilitato ai sensi della L. n. 53 del 1994, aveva compilato “”l’avviso di ricevimento della comunicazione di avvenuto deposito della raccomandata” (CAD)”, e non già l’avviso di ricevimento della raccomandata (intendi, quella integrante la notifica a mezzo del servizio postale: n.d.r.); e che, comunque, in tale avviso non risultava indicata la qualità del soggetto che aveva ricevuto l’atto, ma esclusivamente il nominativo di questo, privo di qualunque specificazione in ordine al suo rapporto con il destinatario.

Avverso tale decisione l’avv. A.A. ha proposto ricorso per cassazione articolato in cinque motivi.

Marchio Costruzioni Generali Srl è rimasta intimata.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380-bis.1 c.p.c..

Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione della L. n. 53 del 1994, artt. 3 e 11, dell’art. 156 c.p.c., in relazione all’art. 160 c.p.c., e del principio della tassatività delle nullità.

Sostiene che la prima notificazione dell’atto di appello, effettuata al difensore domiciliatario, notificazione in forza della quale era stata dichiarata la contumacia della società in allora appellata, era pienamente legittima, non rinvenendosi nella L. 53 del 1994, art. 3, alcuna prescrizione di riscontrare nella ricevuta di ritorno l’indicazione della qualifica del destinatario, stante la tassatività delle nullità e l’operatività di questo rimedio solo quando vi è incertezza sulla persona a cui è stata consegnata la copia dell’atto o sulla data di notifica.

Inoltre, l’atto che dispone la rinnovazione della notifica, quando una rituale notifica vi sia già stata, deve ritenersi nullo ai sensi dell’art. 156 c.p.c..

2. – Con il secondo motivo il ricorrente espone la violazione di legge con riferimento agli artt. 156, 160, 162, 164, 183, 291 e 359 c.p.c..

Deduce che la ritenuta nullità della notifica, successiva alla declaratoria di contumacia, deve condurre alla rinnovazione della medesima, con termine da concedere all’appellante. La decisione è dunque illegittima per violazione dell’art. 156 c.p.c., che detta il principio di tassatività delle nullità e dell’art. 160 c.p.c., secondo cui la nullità opera solo in caso di incertezza assoluta sulla persona del destinatario. Nel caso di notifica a mezzo del servizio postale, qualora l’atto sia consegnato all’indirizzo del destinatario a persona che abbia sottoscritto l’avviso di ricevimento nello spazio appositamente riservato e non risulti che il piego sia stato consegnato dall’agente postale a persona diversa dal destinatario, la consegna deve ritenersi validamente effettuata a mani proprie del destinatario stesso fino a querela di falso.

3. – I successivi tre motivi ripropongono le questioni di merito non esaminate dalla Corte di appello, che il ricorrente richiama per evidenziare l’interesse specifico all’annullamento della sentenza.

4. – Entrambi i suddetti motivi – da esaminare congiuntamente per la loro interconnessione – sono infondati, a stregua della documentazione così come depositata agli atti (che questa Corte è chiamata ad esaminare, essendo stato dedotto un error in procedendo), sebbene debba correggersi, ai sensi dell’art. 384, u.c., la motivazione della pronuncia impugnata.

4.1. – La Corte d’appello, sciogliendo la riserva espressa all’udienza dell’11.2.2014 (v. pag. 10 del ricorso), dichiarò la nullità della notificazione dell’atto introduttivo, effettuata a mezzo del servizio postale dall’avv. A.A., per violazione della L. n. 53 del 1994, artt. 3 e 11, ne dispose per la rinnovazione e, all’esito, all’udienza del 28.10.2014 (v. pag. 11 del ricorso) dichiarò la contumacia della parte appellata. Salvo, poi, re melius perpensa revocare tale dichiarazione e decidere l’appello dichiarandone l’inammissibilità per le ragioni indicate supra in narrativa.

Due, pertanto, le questioni poste dal ricorso: a) se sia legittima la declaratoria di nullità della notifica dell’atto d’appello; e solo in caso affermativo, b) se sia stata, a sua volta, validamente rinnovata tale notificazione, in ottemperanza dell’ordine della Corte territoriale.

4.1.1. – Riguardo alla prima questione, va richiamata la giurisprudenza di questa Corte secondo cui in tema di notifica a mezzo del servizio postale la L. n. 890 del 1982, consente (non diversamente da quanto dispone l’art. 139 c.p.c., per la notifica effettuata dall’ufficiale giudiziario), la ricezione dell’atto da parte di un soggetto diverso dal destinatario attraverso la previsione di una successione preferenziale tassativa e vincolante delle categorie di persone alle quali la copia deve essere consegnata, successione che presuppone la necessità, ai fini della validità della notifica, dell’assenza di coloro che si trovino in posizione di precedenza per giustificare la consegna a soggetti appartenenti alla categoria successiva. E di tale assenza o rifiuto l’ufficiale postale (o l’ufficiale giudiziario) deve dare atto nell’avviso di ricevimento (o nella relata). Ne consegue che è nulla la notifica effettuata a mani del portiere dello stabile, allorquando la relazione dell’ufficiale postale non contenga l’attestazione del mancato rinvenimento del destinatario o del rifiuto o dell’assenza delle persone abilitate a ricevere l’atto in posizione preferenziale (persona di famiglia, addetta alla casa o al servizio) (così Cass. n. 6021/07).

Nè tale assenza può desumersi o ritenersi altrimenti implicata dalla consegna stessa del piego al portiere. Un siffatto ragionamento equivarrebbe a eludere l’attestazione di cui sopra e, con essa, la necessità di osservare l’anzidetto ordine di preferenza nella consegna, che resterebbe di fatto vanificato.

A sua volta, tale nullità può essere sanata (oltre che dalla costituzione della parte convenuta, anche) qualora sia provata la ricezione della raccomandata semplice, c.d. informativa, contenente la notizia dell’avvenuta notificazione. Quest’ultima, infatti, non è soggetta alle disposizioni in materia di notificazioni a mezzo posta, ma solo al regolamento postale, sicchè, ai fini della sua validità, è sufficiente che il plico sia consegnato al domicilio del destinatario e che il relativo avviso di ricevimento sia sottoscritto dalla persona rinvenuta dall’ufficiale postale, non essendo necessario che da esso risulti anche la qualità del consegnatario o la sua relazione con il destinatario (v. Cass. nn. 24899/22 e 19795/17).

Nella specie, parte ricorrente ha depositato il duplicato dell’avviso di ricevimento della notificazione dell’atto d’appello, che risulta effettuata a mezzo del servizio postale con raccomandata a.r. n. (Omissis), sub n. reg. cronologico 144. Tale duplicato, rilasciato dall’ufficio postale il 6.2.2014, attesta che la ridetta raccomandata (indirizzata all’avv. Matteo Serva, difensore in primo grado della società convenuta in appello) è stata consegnata il (Omissis) “a firma: portiere dello stabile” (così, testualmente). Nella parte centrale di tale duplicato si rileva, inoltre, un timbro rettangolare ove si legge “Emessa racc.ta n. (Omissis) del (Omissis)”, nonchè, a lato, una stampigliatura verticale dicente “regolarizzato d’ufficio”.

In tale duplicato manca, per contro, qualsiasi attestazione del mancato rinvenimento del destinatario o del rifiuto o dell’assenza delle persone abilitate a ricevere l’atto in posizione preferenziale rispetto a quella del portiere.

E’ probabile che la raccomandata emessa sotto il n. (Omissis) in data (Omissis) altro non sia che la raccomandata semplice prevista in funzione informativa, non essendovi stata consegna diretta al destinatario. Ma non risulta affatto che essa sia stata ricevuta, per cui la nullità della notificazione, per le superiori ragioni indicate, permane e non può ritenersi sanata.

Nè ha pregio alcuno l’assunto del ricorrente secondo cui la notificazione è nulla, ai sensi dell’art. 160 c.p.c., solo se vi è incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta: la norma invocata, infatti, prevede quale causa di nullità anche l’inosservanza delle disposizioni circa la persona cui deve essere consegnata la copia dell’atto.

4.1.2. – Quanto alla seconda questione, va premesso che è nulla la notifica dell’atto d’appello a mezzo del servizio postale ove nella relazione di notificazione sia indicato solo il nome del consegnatario ma non il suo rapporto con il destinatario, a meno che l’appellante non deduca e dimostri la sussistenza, tra consegnatario e destinatario, di uno dei rapporti richiesti dalla legge per la validità della notificazione (cfr. Cass. nn. 4400/08, 4942/94, 304/73 e 2475/72).

Nella specie, si rileva che la ricevuta di ritorno della raccomandata a.r. n. (Omissis), contenente l’atto di citazione in rinnovazione, oltre ad essere stata redatta sul diverso modulo previsto per la “comunicazione di avvenuto deposito” di atto giudiziario, reca la sottoscrizione del ricevente (B.B., persona diversa dal destinatario), ma non anche la specificazione della qualità rivestita.

Nè vale il richiamo, operato da parte ricorrente, a S.U. n. 9962/10, che concerne una fattispecie del tutto diversa. Infatti, detto precedente afferma che nel caso di notifica a mezzo del servizio postale, ove l’atto sia consegnato all’indirizzo del destinatario a persona che abbia sottoscritto l’avviso di ricevimento, con grafia illeggibile, nello spazio relativo alla “firma del destinatario o di persona delegata”, e non risulti che il piego sia stato consegnato dall’agente postale a persona diversa dal destinatario tra quelle indicate dalla L. n. 890 del 1982, art. 7, comma 2 (corsivo di questo estensore), la consegna deve ritenersi validamente effettuata a mani proprie del destinatario, fino a querela di falso, a nulla rilevando che nell’avviso non sia stata sbarrata la relativa casella e non sia altrimenti indicata la qualità del consegnatario, non essendo integrata alcuna delle ipotesi di nullità di cui all’art. 160 c.p.c..

Nel caso di specie, invece, è indiscusso e indiscutibile che la consegna sia avvenuta a mani non del destinatario (avv. Matteo Serva), ma di un altro soggetto, di cui, però, l’avviso di ricevimento non indica la qualità.

5. – Il rigetto dei primi due motivi assorbe l’esame dei restanti, peraltro di per sè inammissibili, in quanto aventi ad oggetto questioni rimaste assorbite nel grado d’appello.

6. – Il ricorso è, dunque, respinto.

7. – Nulla per le spese, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.

8. – Segue il raddoppio del contributo unificato, se dovuto, a carico del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 dicembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2023


Cass. civ., Sez. II, Ord., (data ud. 19/12/2022) 28/09/2023, n. 27540

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. ROLFI Federico Vincenzo Amedeo – Consigliere –

Dott. POLETTI Dianora – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al R.G.N. 4468/2018 proposto da:

A.A., rappresentata e difesa dall’avvocato FEDERICA MONTESI, giusta procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

B.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE, 44, presso lo studio dell’avvocato AGNESE LATERZA CRISTOFARO, rappresentato e difeso in proprio e dall’avvocato FRANCESCO MARIA D’ACUNTO, giusta procura speciale in atti;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di RAVENNA, depositata il 26/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 19/12/2022 dal Consigliere Dott. DIANORA POLETTI.

Svolgimento del processo
1. Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., l’avv. B.B. chiedeva al Tribunale di Ravenna la condanna di A.A. al pagamento dei corrispettivi professionali conseguenti all’attività di rappresentanza e assistenza legale svolta in suo favore nel procedimento iscritto al r.g. n. 2697/2009 promosso dai coeredi C.C. e D.D. davanti al Tribunale di Napoli, conclusosi con transazione del (Omissis).

A.A. rimaneva contumace.

2. Con ordinanza del 26/11/2016 il Tribunale di Ravenna liquidava al ricorrente, per l’attività professionale svolta in favore di A.A., il compenso di Euro 14.442,00 oltre al 15% per spese generali, Iva e contributi di legge, al lordo dell’acconto già versato di Euro 3.000,00, oltre agli interessi legali della domanda al soddisfo e alle spese del procedimento.

3. Avverso tale ordinanza A.A. ha proposto ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., notificato il 19.1.2018, basato su un unico motivo.

4. L’avv. B.B. ha resistito con controricorso, corredato da memoria depositata in prossimità dell’udienza, insistendo nella dichiarazione di inammissibilità del ricorso per tardività dello stesso.

Motivi della decisione
1.- Con l’unico motivo del ricorso A.A. deduce la nullità della notificazione del ricorso introduttivo ex art. 702 bis c.p.c. del procedimento iscritto al R.G. n. 761/2016 presso il Tribunale di Ravenna e la nullità della notificazione dell’ordinanza in forma esecutiva ai fini dell’idoneità a far decorrere il termine breve per la proposizione del mezzo di gravame, per violazione e falsa applicazione degli artt. 138, 139, 140 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per essere stata la stessa eseguita presso la sua residenza anagrafica in assenza del requisito della temporanea/precaria assenza della resistente, senza aver tenuto conto della residenza effettiva e/o del domicilio effettivo.

Sostiene la ricorrente che in data (Omissis) (data del mancato ritiro entro il decimo giorno del ricorso introduttivo iscritto al RGN 761/2016 del Tribunale di Ravenna) la stessa non aveva la residenza effettiva in (Omissis), bensì a (Omissis), nonchè era in carica – svolgendo attività di magistrato – presso la Corte di Appello di Milano, per cui la notifica eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c., a (Omissis) nella residenza anagrafica doveva essere dichiarata nulla. Di conseguenza, la nullità dell’intero procedimento e dell’ordinanza impugnata.

Analogamente, sostiene, è nulla la notificazione dell’ordinanza impugnata in forma esecutiva, formulata ai fini della decorrenza del termine per la proposizione del ricorso straordinario per Cassazione.

Aggiunge la ricorrente di essere venuta a conoscenza del procedimento di cui è causa solo nel mese di (Omissis), in occasione dell’inizio delle trattenute sulla sua retribuzione a seguito del pignoramento presso terzi avviato dall’avv. B.B..

2.- Il motivo è fondato e merita accoglimento.

In primo luogo, è priva di pregio è l’eccezione del controricorrente che invoca l’avvenuta decorrenza del termine “lungo” semestrale dal deposito dell’ordinanza anche per la proposizione del ricorso straordinario per cassazione, e dunque la tardività dello stesso. Infatti, la disposizione dell’art. 327 c.p.c., comma 1, non si applica, per l’espressa previsione di cui al comma 2 del medesimo articolo, nel caso in cui la parte contumace dimostri la ricorrenza di due presupposti, l’uno soggettivo e l’altro oggettivo, consistenti nel non aver avuto conoscenza del processo per nullità della citazione o della notificazione di essa.

Presupposti, entrambi, che ricorrono nella specie, per le ragioni che seguono.

La costante giurisprudenza di questa Corte, con riguardo alla notifica eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c., presso la residenza anagrafica del destinatario dell’atto, in realtà dimorante stabilmente altrove, ha affermato che la notifica deve ritenersi correttamente eseguita solo qualora non possa addebitarsi al notificante l’inosservanza dell’obbligo di ordinaria diligenza nell’accertamento dell’effettiva residenza del destinatario della stessa (v. Cass. n. 19473/2007, n. 16941/2003, n. 2230/1998, n. 10248/1991). E’ stato precisato che la notificazione eseguita, ai sensi dell’art. 140 c.p.c., non è valida anche se effettuata nel luogo di residenza del destinatario risultante dai registri anagrafici, nell’ipotesi in cui questi si sia trasferito altrove e il notificante ne abbia conosciuto, ovvero con l’ordinaria diligenza avrebbe potuto conoscerne, l’effettiva residenza, dimora o domicilio, dove è tenuto ad effettuare la notifica stessa, in osservanza dell’art. 139 c.p.c. (Cass. n. 30952/2017; 11369/2006; n. 16941/2003; v. anche Cass. n. 3590/2015; n. 30952/2017).

L’orientamento tiene conto dell’efficacia meramente presuntiva delle risultanze anagrafiche: è stato infatti riconosciuto che “la circostanza secondo la quale nell’indirizzo risultante dai registri anagrafici si trovi la residenza effettiva del destinatario costituisce mera presunzione superabile con qualsiasi mezzo di prova, in quanto non coperta dalla fidefacenza della relata” (Cass. n. 4274/2019).

Inoltre, la prova della mancata conoscenza del processo a causa della nullità della notifica della citazione può essere fornita, a sua volta, mediante l’impiego di presunzioni (giurisprudenza anch’essa costante di questa Corte: cfr. ex multis nn. 26427/17 e 19225/07).

Nel caso di specie, tanto la nullità della notifica della citazione quanto la prova della mancata conoscenza del processo a causa di ciò, si traggono dal fatto che l’effettiva residenza, dimora o domicilio della A.A. in luogo diverso dalla residenza anagrafica era ed è agevolmente ritraibile dall’attività di magistrato svolta dalla medesima in altra sede, circostanza, questa, di cui l’avv. B.B. era a perfetta conoscenza, come si ricava dalle dichiarazioni contenute nell’atto introduttivo del giudizio, riportate a pag. 7 del ricorso.

Se ne deve trarre, pertanto, sia la nullità della notifica dell’atto introduttivo del giudizio di merito, sia la prova, di tipo presuntivo, che l’odierna ricorrente non abbia appreso del procedimento a causa di tale nullità.

3.- In conseguenza dell’accoglimento del motivo, l’ordinanza impugnata deve essere cassata con rinvio al Tribunale di Ravenna, in altra composizione collegiale, che provvederà a decidere nuovamente la causa nel merito e a regolare anche le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Ravenna, in diversa composizione collegiale, anche per le spese del presente giudizio.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 19 dicembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2023


Circolare 2023-001: Modalità di notifica ai sensi dell’art. 139 C.p.c.

Circolare A.N.N.A. N. 1-2023

È consuetudine dell’Associazione monitorare le sentenze in modo da avere l’opportunità di cogliere i principi desumibili dall’insieme delle decisioni rese dagli organi giurisdizionali, in pratica l’indirizzo che la giurisprudenza adotta quale interprete delle leggi vigenti.

In questo ambito, avendo ricevuto, in diverse occasioni, sollecitazioni atte a dirimere i dubbi, nell’ambito dell’attività di notifica dei messi comunali e notificatori circa le problematiche che emergono quando ci si ritrova nella circostanza per la quale il soggetto destinatario è temporaneamente assente dall’abitazione, nella quale si rinviene una persona che si qualifica come famigliare o come convivente di fatto dello stesso destinatario, tenteremo, di seguito, di dare organicità alla questione.

La domanda che ci si pone è relativa alla possibilità che sia considerata valida la notifica a familiare non convivente ma anche come sia possibile per il messo comunale o notificatore stabilire se il soggetto a cui affida il plico sia davvero una persona di famiglia o meno.

Cercheremo, di seguito, di riportare le principali sentenze in materia che, è opportuno rilevarlo, non hanno un indirizzo univoco, anche se, tendenzialmente, la Corte Suprema di Cassazione pare orientata a garantire la consegna dell’atto, in virtù del principio secondo cui il termine individuato nell’articolo 139 del Codice di procedura civile deve essere inteso nel senso che appartenga ad uno “dei soggetti legati allo stesso destinatario da vincoli di sangue o di parentela, comportanti diritti e doveri reciproci e che implicano la presunzione della successiva consegna al destinatario”.

Salvo che “accetti l’atto senza riserve, la validità della notificazione può essere esclusa solo se il notificando, che assume di non avere ricevuto l’atto, dia la dimostrazione che la presenza del familiare in casa era del tutto occasionale e momentanea”.

Ma andiamo con ordine riportando per esteso il dettato dell’articolo 139 del C.P.C.

Se non avviene nel modo previsto nell’articolo precedente, la notificazione deve essere fatta nel comune di residenza del destinatario, ricercandolo nella casa di abitazione o dove ha l’ufficio o esercita l’industria o il commercio

Se il destinatario non viene trovato in uno di tali luoghi, l’ufficiale giudiziario consegna copia dell’atto a una persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda, purché non minore di quattordici anni o non palesemente incapace.

In mancanza delle persone indicate nel comma precedente, la copia è consegnata al portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda e, quando anche il portiere manca, a un vicino di casa che accetti di riceverla.

Se la copia è consegnata al portiere o al vicino, l’ufficiale giudiziario ne dà atto nella relazione di notificazione, specificando le modalità con le quali ne ha accertato l’identità, e dà notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto, a mezzo di lettera raccomandata.

Se il destinatario vive abitualmente a bordo di una nave mercantile, l’atto può essere consegnato al capitano o a chi ne fa le veci.

Quando non è noto il comune di residenza, la notificazione si fa nel comune di dimora, e, se anche questa è ignota, nel comune di domicilio, osservate in quanto è possibile le disposizioni precedenti.

L’articolo in argomento ha lo scopo di garantire che la notifica degli atti venga effettuata quando questa non può avvenire in mani proprie ai sensi del precedente articolo 138. Quindi vengono prescritte determinate modalità relative sia ai luoghi dove ricercare il destinatario, come la residenza, la dimora o il domicilio, sia alle persone abilitate a ricevere l’atto, i c.d. consegnatari.

Questi ultimi soggetti permettono che in ogni caso sia assicurato il conseguimento dello scopo della conoscenza legale in mancanza della persona fisica destinataria.

Si rileva come, finora, dottrina e giurisprudenza intendano la successione rigida dei luoghi in cui effettuare la ricerca quindi nel comune di residenza del destinatario, ricercandolo nella casa di abitazione o dove ha l’ufficio o esercita l’industria o il commercio, quindi nel comune di dimora, e, se anche questa è ignota, nel comune di domicilio, osservate in quanto è possibile le disposizioni precedenti.

Ricordiamo, ancora, che in ogni caso è affetta da nullità la notifica eseguita in un comune differente da quelli indicati nell’articolo 139, salvo che venga effettuata a mani proprie del destinatario ai sensi del citato art. 138 c.p.c. ed in un luogo ove il soggetto attivo della notificazione, (ufficiale giudiziario, messo comunale, messo notificatore etc.) abbia competenza territoriale.

Prima di addentrarci in modo più incisivo sul dispositivo dell’articolo 139 c.p.c. sopra riportato occorre chiarire che il disposto normativo, per quanto riguarda il messo comunale o notificatore, così come rinviene, riguarda la notificazione di atti in materia amministrativa, quindi sanzioni amministrative, ordinanze sindacali o dirigenziali, atti di accertamento in materia di tributi locali etc.

La legge, infatti, dispone differenti modalità, qualora la categoria degli atti destinati a notificazione sia governata da una normativa speciale che, partendo dal contenuto delle norme procedurali civilistiche, dispone, di volta in volta, differenti modalità di comportamento.

A titolo di esempio ricordiamo che, per quanto concerne la notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente, quindi il caso degli avvisi di accertamento relativi all’imposta sui redditi, emanati dall’Agenzia delle Entrate, l’articolo 60 del D.P.R. 29 settembre 1973 N. 600 che regolamenta tale speciale materia, pur rinviando alla disciplina del codice di procedura civile, richiede, a differenza di quanto disposto dall’art. 139 c.p.c., anche ove l’atto sia consegnato nelle mani di persona di famiglia, l’invio della raccomandata informativa quale adempimento essenziale della notifica che sia eseguita dai messi comunali o dai messi speciali autorizzati dall’ufficio delle imposte.

Ancora differente il disposto dell’art. 7 della Legge 20 novembre 1982, n. 890 in materia di notificazione a mezzo della posta, c.d. atti giudiziari, laddove si stabilisce che (comma 2°):

2. Se la consegna non può essere fatta personalmente al destinatario, il piego è consegnato, nel luogo indicato sulla busta che contiene l’atto da notificare, a persona di famiglia che conviva anche temporaneamente con lui ovvero addetta alla casa ovvero al servizio del destinatario, purché il consegnatario non sia persona manifestamente affetta da malattia mentale o abbia età inferiore a quattordici anni. In mancanza delle persone indicate al periodo precedente, il piego può essere consegnato al portiere dello stabile ovvero a persona che, vincolata da rapporto di lavoro continuativo, è comunque tenuta alla distribuzione della posta al destinatario.

Mentre il comma 3° indica che:

“3. L’avviso di ricevimento e di documenti attestanti la consegna debbono essere sottoscritti dalla persona alla quale è consegnato il piego e, quando la consegna sia effettuata a persona diversa dal destinatario, la firma deve essere seguita, su entrambi i documenti summenzionati, dalla specificazione della qualità rivestita dal consegnatario, con l’aggiunta, se trattasi di familiare, dell’indicazione di convivente anche se temporaneo. Se il piego non viene consegnato personalmente al destinatario dell’atto, l’operatore postale dà notizia al destinatario medesimo dell’avvenuta notificazione dell’atto a mezzo di lettera raccomandata. Il costo della raccomandata è a carico del mittente”.

Così che, in questa fattispecie, la Corte Suprema di Cassazione Civile con Ordinanza 15 settembre 2021 n. 24880 ha stabilito, fra l’altro che “La consegna del plico al famigliare nel caso di notificazione a mezzo del servizio postale è valida se il famigliare convive, anche temporaneamente, con il destinatario. Questo rapporto di convivenza può essere presunto se il famigliare si trova nell’abitazione del destinatario e riceve l’atto e Il destinatario ha l’onere di provare la non convivenza per contestare la notificazione”.

Quindi l’esortazione è quella di porre particolare attenzione sia al momento della procedura nella quale ci si trova, presso uno dei luoghi deputati ed effettuare la notificazione, nel caso in cui non sia possibile effettuare la consegna a mani proprie ai sensi dell’ articolo 138 Codice Procedura Civile, ma anche tenendo conto della categoria degli atti destinati a notificazione nonché dello strumento che si sta utilizzando, quindi, laddove si proceda a mani o utilizzando il disposto della Legge 20 novembre 1982, n. 890 perché, come abbiamo visto, esistono differenze che, mal interpretate, possono portare alla nullità della procedura di notificazione.

Così come occorre porre attenzione nella redazione della relazione di notificazione da cui deve emergere che, il ricorso all’articolo in argomento deriva dall’impossibilità di procedere mediante consegna a mani proprie ed, ancora, come, nel caso di notifica nelle mani del portiere, l’ufficiale notificante deve dare atto, oltre che dell’inutile tentativo di consegna a mani proprie per l’assenza del destinatario, delle vane ricerche delle altre persone preferenzialmente abilitate a ricevere l’atto, pena la possibile dichiarazione di nullità della procedura. Conseguentemente deve intendersi nell’ultima delle eventualità qualora anche il portiere manchi nell’effettuare la consegna al vicino di casa che accetti di ricevere. Infine, si rammenta che anche la mancanza della spedizione della prevista raccomandata prevista in caso di consegna al portiere ed al vicino di casa che accetti di ricevere è parimenti causa di nullità, rammentando quanto sopra riportato nell’eventualità in cui sia la legge speciale a governare la notifica dell’atto. Quindi, per inciso, quando si applichi il disposto dell’art. 60 D.P.R. 600/1973, anche ove l’atto sia consegnato nelle mani di persona di famiglia, l’invio della raccomandata informativa è adempimento essenziale della notifica.

Alle persone di famiglia, secondo la dottrina vigente, devono intendersi equiparati gli affini. Da notare che la norma non richiede necessariamente la sussistenza di un rapporto di convivenza tra la persona di famiglia ed il destinatario dell’atto, con la conseguenza che, se il soggetto attivo nella notificazione (ufficiale giudiziario, messo comunale, messo notificatore etc.) trovi un soggetto che a lui si qualifica come familiare, nell’abitazione del destinatario e questi accetti di ricevere l’atto, senza riserve, si presume la validità della notifica. Ovvero l’esistenza della presunzione giuridica che ammette una prova contraria, prevede cioè solo una inversione dell’onere della prova in conseguenza delle dichiarazioni rese allo stesso soggetto che sta effettuando la notificazione (ufficiale giudiziario, messo comunale, messo notificatore etc.). Indubbiamente, questo non vale, con conseguente nullità della notifica, nel caso in cui la stessa sia eseguita presso la residenza, domicilio o dimora del familiare, non coincidente con quella del destinatario.

Di seguito riportiamo quindi le principali sentenze che possono aiutare l’attività del messo comunale o notificatore nel caso in cui debba ricorrere all’applicazione dell’articolo 139 Codice di Procedura Civile:

Corte Suprema di Cassazione, civile sez. III, 1° aprile 1992 n. 3936

La notificazione mediante consegna a persona di famiglia, ai sensi dell’art. 139 c.p.c. non postula necessariamente un rapporto di convivenza con il destinatario dell’atto, intendendosi il termine di “convivenza” nello stretto senso di appartenenza allo stesso nucleo familiare, considerato che l’espressione adottata dal citato art. 139, comma 2 è comprensiva non solo delle persone in rapporto di stabile convivenza con il destinatario, ma anche dei soggetti legati allo stesso destinatario da vincoli di sangue o di parentela, comportanti diritti e doveri reciproci e che implicano la presunzione della successiva consegna al destinatario. Ne consegue che ove la persona di famiglia trovata dall’ufficiale giudiziario nella casa di abitazione del destinatario accetti l’atto senza riserve, la validità della notificazione può essere esclusa solo se il notificando, che assume di non avere ricevuto l’atto, dia la dimostrazione che la presenza del familiare in casa era del tutto occasionale e momentanea.

Corte Suprema di Cassazione civile, Sez. VI-5, sentenza n. 3906 del 12 marzo 2012

In tema di notificazioni, la dimostrazione dell’insussistenza del rapporto di parentela tra il destinatario dell’atto e la persona che risulti indicata come consegnataria nella relata di notifica può essere offerta mediante prova documentale, riguardando un’attestazione che non è frutto della diretta percezione dell’ufficiale giudiziario procedente, ma di notizie a questo fornite, e non è, quindi, assistita da fede privilegiata; tuttavia, non è sufficiente, al fine di negare validità alla notificazione, la produzione di uno stato integrale di famiglia, il cui contenuto non esclude il rapporto di parentela.

Corte Suprema di Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 322 del 11 gennaio 2007

L’art. 139 c.p.c., consentendo la consegna della copia dell’atto da notificare a persona di famiglia del destinatario, per l’ipotesi in cui non sia stata possibile la consegna nelle mani di quest’ultimo, non impone all’ufficiale giudiziario procedente di svolgere ricerche in ordine al rapporto di convivenza indicato dalla suddetta persona con dichiarazione della quale viene dato atto nella relata di notifica, incombendo, invece, a chi contesta la veridicità di siffatta dichiarazione di fornire la prova del contrario.

Corte Suprema di Cassazione civile, Sez. V, sentenza n. 23368 del 30 ottobre 2006

In tema di notificazioni, la consegna dell’atto da notificare «a persona di famiglia» secondo il disposto dell’art. 139 c.p.c., non postula necessariamente né il solo rapporto di parentela — cui è da ritenersi equiparato quello di affinità — né l’ulteriore requisito della convivenza del familiare con il destinatario dell’atto, non espressamente menzionato dalla norma, risultando, all’uopo, sufficiente l’esistenza di un vincolo di parentela o di affinità che giustifichi la presunzione che la «persona di famiglia» consegnerà l’atto al destinatario stesso; resta, in ogni caso, a carico di colui che assume di non aver ricevuto l’atto l’onere di provare il carattere del tutto occasionale della presenza del consegnatario in casa propria, senza che a tal fine rilevino le sole certificazioni anagrafiche del familiare medesimo.

Corte Suprema di Cassazione civile, Sez. V, sentenza n. 16164 del 28 ottobre 2003

In caso di notificazione ai sensi dell’art. 139, secondo comma, c.p.c., la qualità di persona di famiglia o di addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda di chi ha ricevuto l’atto si presume iuris tantum dalle dichiarazioni recepite dall’ufficiale giudiziario nella relata di notifica, incombendo sul destinatario dell’atto, che contesti la validità della notificazione, l’onere di fornire la prova contraria ed, in particolare, di allegare e provare l’inesistenza di alcun rapporto con il consegnatario, comportante una delle qualità su indicate, ovvero la occasionalità della presenza dello stesso consegnatario. Per tale forma di notificazione non è necessario l’ulteriore adempimento dell’avviso al destinatario, a mezzo lettera raccomandata, dell’avvenuta notificazione, come è invece previsto, al quarto comma dello stesso art. 139, in caso di consegna al portiere o al vicino di casa. La qualifica di “coadiuvante” attribuita nella relata di notifica alla persona consegnataria dell’atto va ritenuta espressione equivalente a quella di “addetta alla casa”, con la quale l’art. 139, secondo comma, c.p.c. fa riferimento a peculiari rapporti sostanziali, anche di natura provvisoria o precaria, fra consegnatario e destinatario dell’atto, che facciano presumere, indipendentemente dall’espressione letterale utilizzata nella relata, che il secondo venga successivamente edotto dal primo dell’avvenuta notifica.

Cass., Sez. Un., 30 maggio 2005, n. 11332

In caso di notifica nelle mani del portiere, l’ufficiale notificante deve dare atto, oltre che dell’inutile tentativo di consegna a mani proprie per l’assenza del destinatario, delle vane ricerche delle altre persone preferenzialmente abilitate a ricevere l’atto, onde nel riferire al riguardo, sebbene non debba necessariamente fare uso di formule sacramentali né riprodurre testualmente le ipotesi normative, deve, non di meno, attestare chiaramente l’assenza del destinatario e dei soggetti rientranti nelle categorie contemplate dal comma 2 dell’articolo 139 del c.p.c., la successione preferenziale dei quali è nella norma tassativamente stabilita. È nulla, pertanto, la notificazione nelle mani del portiere quando la relazione dell’ufficiale giudiziario non contenga l’attestazione del mancato rinvenimento delle persone indicate nella norma citata.

Ovviamente abbiamo detto che la consegna, ai c.d. consegnatari, effettuata ai sensi dell’art. 139 c.p.c. deve tenere conto di determinate modalità relative sia ai luoghi dove ricercare il destinatario, come la residenza, la dimora o il domicilio, sia alle persone abilitate a ricevere l’atto, i c.d. consegnatari, tanto che possiamo, di seguito, leggere una sentenza che chiarisce in modo indiscutibile come la consegna al di fuori di uno dei luoghi deputati, pur effettuata ad un ipotetico soggetto idoneo a ricevere sia causa di nullità:

Corte Suprema di Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 19218 del 14 settembre 2007

In tema di notificazioni, nel procedimento disciplinato dagli artt. 138 e 139 c.p.c., che è imperniato sulla consegna diretta della copia dell’atto al destinatario, la consegna della copia a persona la cui presenza in casa sia occasionale (nella specie, a persona che si assumeva «coniuge di fatto» del destinatario e in un luogo diverso da quello ove quest’ultimo aveva il domicilio o la dimora) — pur non richiedendosi che sia legata a lui da rapporto di parentela o di stabile convivenza — non è assistita dalla presunzione di consegna al destinatario stesso e non consente il perfezionamento della notifica, che deve ritenersi quindi nulla, salva la sanabilità di tale nullità con la costituzione in giudizio della parte o con la mancata deduzione di essa con l’atto di impugnazione.

Riassumendo, vediamo quindi che la regola definisce che il soggetto attivo della notificazione si rechi a casa del destinatario per notificare un atto, quindi questo sia consegnato direttamente nelle mani del destinatario.

Se questi, però, dovesse essere temporaneamente assente, la notifica può essere fatta a una persona di casa. Con «persona di famiglia» si intende un familiare convivente con più di 14 anni e che non sia palesemente incapace di intendere e volere.

Il coniuge non è compreso tra i parenti o affini e va aggiunto a parte. Si pensi che il rapporto di coniugio trascina con sé quello di unione civile e convivenza di fatto, il che rappresenta spesso un problema per il notificatore. Così come la persona coabitante non rientra in nessuna delle categorie descritte anche se palesemente sarebbe più di un vicino di casa, eppure non è contemplato tra i consegnatari, e rappresenta un caso sempre più frequente soprattutto nelle città, dove si condivide spesso l’abitazione con persone anche sconosciute, ma più spesso legate da amicizia, ben più di un vicino, ebbene, in questo caso non è possibile considerarlo come soggetto utile ad effettuare il ritiro.

Oltre al familiare convivente, la busta può essere data anche a una «persona addetta alla casa» come la collaboratrice domestica (o, nel caso degli uffici, la segretaria).

Il problema si pone quando ad aprire la porta è una persona che, seppur legata da un rapporto di parentela con il destinatario dell’atto, non convive con lui e si trova nel suo appartamento solo momentaneamente, a titolo di cortesia. Parliamo insomma del classico ospite: si pensi ad una suocera o ad una sorella. Di qui il dubbio: è valida la notifica a familiare non convivente? E soprattutto, come fa l’ufficiale giudiziario a stabilire se il soggetto a cui affida il plico è davvero un convivente stabile o meno?

Sul punto, si sono sprecate pagine di giurisprudenza. Non perché la questione sia controversa, ma perché uno dei motivi di ricorso più sfruttati contro la notificazione degli atti, gli atti giudiziari, le cartelle esattoriali o gli accertamenti fiscali è sempre legato alla correttezza della notifica. E siccome postini, ufficiali giudiziari, messi comunali svolgono spesso un compito legato a rigide formalità, è possibile ottenere dal giudice una dichiarazione di nullità della notifica.

La Corte Suprema di Cassazione ha cercato di fissare delle regole in merito alla notifica a familiare non convivente.

A chi notificare un atto?

Le regole sulle notifiche, valide sia per gli atti giudiziari che per quelli amministrativi/fiscali, sono contenute agli articoli 138 e seguenti del codice di procedura civile.

L’articolo 139 fissa un rigido ordine di soggetti a cui la notifica va consegnata in caso di temporanea assenza del destinatario presso la propria abitazione, nonché di luoghi ove accedere.

  1. persona di famiglia o addetta alla casa, purché non minore di 14 anni e non palesemente incapace;
  2. in mancanza di questa, al portiere dello stabile ove è sita l’abitazione o l’ufficio del destinatario;
  3. in mancanza anche del portiere, a un vicino di casa che accetti di ricevere la notifica.

Tale ordine delle persone è tassativo: pertanto, si può passare da una categoria all’altra solo in caso di assenza, incapacità o rifiuto del consegnatario precedente.

Indispensabile il richiamo alla necessità di esplicitare in relata di notifica il susseguirsi delle condizioni che portano ad individuare il soggetto cui è effettuata la consegna, quindi la consegna alla persona di famiglia, capace e maggiore di 14 anni, in assenza del destinatario; l’eventuale consegna al portiere in assenza del destinatario, della persona di famiglia o addetta alla casa etc.

Familiare non convivente: chi è?

Come dicevamo in apertura, quando la norma parla di persona di famiglia intende un familiare che si dichiari come tale e sia reperito nell’abitazione del destinatario ed accetti di ricevere senza riserve.

Questo significa che è nulla la notifica di un atto nelle mani di un familiare che ha la propria residenza in luogo diverso da quella del destinatario e non sia convivente del secondo. La notifica non può essere sanata neanche se l’effettivo destinatario viene a conoscenza dell’atto in modo diverso.

Ciò che vuol dire la Corte Suprema di Cassazione è che non si può ritenere valida la consegna dell’atto ad un indirizzo ove il destinatario non vive più neanche se, in tale abitazione, vivono i suoi familiari.

La giurisprudenza afferma che la consegna dell’atto da notificare è validamente effettuata quando l’atto è consegnato a persona di famiglia e, con la dizione «persona di famiglia», la norma non fa riferimento al solo rapporto di parentela, né all’ulteriore requisito della convivenza del familiare con il destinatario dell’atto, ma è sufficiente l’esistenza di un vincolo di parentela o di affinità che giustifichi la presunzione che la persona di famiglia consegnerà l’atto al destinatario.

Questo significa che, nell’ipotesi di notifica all’indirizzo ove il destinatario è effettivamente residente, l’atto è valido anche se consegnato a un familiare che si trova in quel luogo momentaneamente, come ospite.

Resta, in ogni caso, a carico di chi dichiara di non aver ricevuto l’atto, l’onere di provare il carattere del tutto occasionale della presenza del consegnatario in casa propria, senza che a tal fine rilevino le sole certificazioni anagrafiche del familiare medesimo.

In sintesi, possiamo dire che:

  • la notifica in un luogo ove il destinatario non è residente è sempre nulla, anche se l’atto è consegnato a familiare;
  • la notifica nel luogo ove il destinatario è residente è valida solo se consegnata a un familiare, anche se non convivente, purché si trovi lì a titolo di ospitalità. Viceversa, se la presenza del familiare è del tutto occasionale, ad esempio solo qualche ora, la notifica nelle sue mani è suscettibile di nullità.

 Notifica a familiare non convivente: che fare?

Il destinatario che riceva una notifica presso la vecchia residenza ove non abita più può far valere la nullità dell’atto anche se lo stesso viene accettato dai suoi familiari che ancora vivono in tale appartamento. Non si può, infatti, presumere che questi ultimi abbiano consegnato la busta all’effettivo destinatario.

Di conseguenza, la Corte Suprema di Cassazione, richiamando il suo precedente orientamento, ha ricordato che la notifica a mani di un familiare del destinatario, eseguita presso la residenza del primo, che sia diversa da quella del secondo, non determina l’operatività della presunzione di convivenza non meramente occasionale tra i due, con conseguente nullità della notificazione medesima, non sanata dalla conoscenza che ne abbia il destinatario.

Si tratta di un vizio insanabile della notifica che può essere fatto valere, però, solo a determinate condizioni, da parte dello stesso destinatario.

Deve altresì considerarsi nulla la notifica dell’atto giudiziario eseguita in mani di un familiare che si dichiari convivente, ma non lo sia, stante il trasferimento altrove dell’effettivo destinatario della notifica.

Come dimostrare la non convivenza?

Spetta al destinatario dimostrare che l’atto è stato consegnato a familiare non convivente. A tal fine, come chiarito dalla Corte Suprema di Cassazione, la parentela e la convivenza tra destinatario dell’atto e consegnatario, quest’ultimo dichiaratosi, nella specie, “familiare convivente” non possono presumersi dall’attestazione dell’agente postale, che fa fede solo delle dichiarazioni a lui rese, non anche dell’intrinseca veridicità del relativo contenuto; sicché, il destinatario, che abbia prodotto a confutazione di tale veridicità un certificato storico di residenza, non è tenuto ad un’ulteriore, impossibile, prova del fatto negativo circa l’assenza di ogni relazione di parentela e convivenza col consegnatario dell’atto.

Nel concludere, l’articolo 139 c.p.c. individua diverse categorie di consegnatari. Dapprima abbiamo le persone di famiglia o quelle addette alla casa, all’ufficio o all’azienda, poi si passa ad altra categoria e precisamente al portiere dello stabile e, in sua mancanza, al vicino di casa che accetti di riceverla.

La prima locuzione, e cioè quella di “persona di famiglia”, ha comportato un annoso problema interpretativo circa la necessità che il familiare consegnatario sia in rapporto di convivenza col destinatario o invece che tale vincolo non necessiti ai fini della validità della notificazione.

La necessità di garantire che l’atto giunga nella sfera di conoscibilità del destinatario aveva fatto ritenere dapprima che solo l’ulteriore requisito della convivenza del familiare potesse garantire il conseguimento dello scopo.

Tuttavia, la mancanza nella norma di un espresso richiamo in tal senso ha contribuito a modificare successivamente l’orientamento giurisprudenziale. Pertanto, la qualità di “persona di famiglia” viene riconosciuta a parenti, affini, affiliati, presenti non occasionalmente presso l’abitazione del destinatario e alle persone con esso conviventi.

Quindi, quando anche manchi un vincolo di parentela, il requisito della convivenza consente di ricomprendere il consegnatario nell’ambito della famiglia. Se invece il consegnatario è legato da uno dei vincoli di relazione sopra indicati, non è necessario l’ulteriore requisito della convivenza.

È opportuno allora precisare il significato di convivenza.

Convivenza significa comunione di vita, ossia comunanza di mezzi e di fini nel vivere quotidiano. Si differenzia enormemente, dunque, dalla coabitazione e dalla presenza occasionale presso l’abitazione.

Si precisa che ai fini della validità della notifica mediante consegna ad un familiare, l’attuale orientamento giurisprudenziale ritiene sia sufficiente che tale persona sia rinvenuta presso l’abitazione, ufficio o azienda del destinatario, che la stessa si qualifichi come familiare e che accetti di ricevere l’atto senza riserve. Il fatto che il familiare sia rinvenuto presso la casa del destinatario, in sua assenza, contribuisce a ritenere che tale consegnatario sia idoneo, per il vincolo che a lui lo lega, a recapitare sollecitamente l’atto. Non è sufficiente, ai fini della contestazione della notifica, la produzione di un certificato anagrafico che attesti la diversa residenza del familiare, che ben potrebbe essere anche temporaneamente convivente.

È comunque fondamentale che la notifica avvenga esclusivamente nella residenza o dimora o domicilio del destinatario dell’atto, ed è nulla nell’ipotesi in cui la notifica sia eseguita nella residenza del familiare.

Ricordiamo che la notifica a persona convivente è suscettibile di nullità se la firma è illeggibile, manca l’indicazione del nominativo e del grado di parentela con il destinatario dell’atto.

La notifica effettuata tramite consegna del plico a persona convivente con il destinatario è nulla se questa è difficilmente identificabile perché per esempio manca l’indicazione del rapporto di parentela.

È quanto affermato dalla Corte Suprema di Cassazione che condanna le relate di notifica generiche e poco chiare.

Queste ultime, infatti, devono essere complete di tutti gli elementi necessari per dimostrare la correttezza del procedimento di consegna dell’atto.

Eventuali errori e omissioni nella relata possono compromettere la validità della notifica.

Settembre 2023

La Commissione Normativa

 

Scarica: Circolare 2023-001 Modalità di notifica ai sensi dell’art. 139 c.p.c.


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 12/09/2023) 21/09/2023, n. 27007

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. BILLI Stefania – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7121/2016 proposto da:

EQUITALIA SUD Spa in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Michela Nocco ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Bianca Maria Casadei in Roma, Via San Giovanni in Laterano n. 226/210;

– ricorrente –

contro

A.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Luigi Maria Giannini il quale dichiara di voler ricevere le notificazioni comunicazioni all’indirizzo di posta elettronica certificata (Omissis).

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1825/11/15 della Commissione tributaria Regionale della Puglia, depositata il 7/9/2015;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/9/2023 dal Consigliere Dott. Stefano Pepe.

Svolgimento del processo
Che:

1. La Commissione tributaria regionale della Puglia (CTR) con la sentenza n. 1825/11/2015, depositata il 7.9.2015, accoglieva l’appello del contribuente sul rilievo che le cartelle di pagamento, poste a fondamento delle intimazioni di pagamento impugnate, erano state notificate mediante servizio postale in violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26 in quanto tale notifica era avvenuta ad opera del Concessionario, soggetto non abilitato. In ragione di ciò, conclude la CTR, la suindicata notifica doveva considerarsi inesistente. I giudici di merito osservavano, poi, che il Concessionario non aveva dato prova dell’avvenuta emissione e notifica (avvenuta in plico chiuso) delle cartelle, non essendo all’uopo sufficiente: il deposito della cartolina di ricevimento della raccomandata, la notificazione delle successive intimazioni di pagamento, le fotocopie degli estratti di ruolo.

2. Avverso tale sentenza Equitalia Sud Spa propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

3. A.A. ha depositato controricorso.

Motivi della decisione
che:

1. Con il primo motivo Equitalia Sud Spa deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26. La ricorrente rileva che l’art. 26 cit., diversamente da quanto affermato dalla CTR, consente al Concessionario di avvalersi direttamente del servizio postale per la notifica degli atti impositivi, rappresentando tale notifica una forma alternativa alle altre previste dalla stessa disposizione.

2. Con il secondo motivo si lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 e dell’art. 115 c.p.c., per avere la CTR, a fronte dell’eccezione della parte di non aver ricevuto le cartelle, ritenuto la produzione documentale offerta quale prova dell’avvenuta notifica delle cartelle, ovvero le copie conformi delle ricevute di ritorno delle raccomandate attestanti la consegna delle stesse, insufficienti a fornire la prova richiesta. Rileva la ricorrente l’erroneità di tale affermazione, tenuto conto anche della produzione in copia conforme degli estratti di ruolo in cui erano riportate le cartelle, di talchè con tale ultima produzione, unitamente a quella suindicata, risultava assolto l’onere probatorio imposto al Concessionario e la legittimità della pretesa azionata nei confronti del contribuente.

La censura in esame teneva, altresì, conto della circostanza che il A.A. aveva lamentato l’omessa notifica delle cartelle non avendo, al contrario, mai contestato il contenuto degli atti notificati.

3. Con il terzo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2719 c.c. e del D.L. n. 669 del 1996, art. 5, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR affermato che le copie delle ricevute di ritorno delle raccomandate con le quali erano state notificate le cartelle di pagamento, non erano idonee a provare l’avvenuta notifica. In particolare, la CTR non aveva tenuto conto del fatto che erano state depositate copie conformi agli originali (delle quali il contribuente non aveva mai negato la veridicità) e non mere fotocopie avendo, poi, del tutto omesso di valutare il potere certificativo del Concessionario ex art. 5 cit..

4. In via preliminare va rilevato che nessun rilievo, ai fini della richiesta interruzione del giudizio, assume l’avvenuto decesso del contribuente comunicato dal procuratore dello stesso. Ed invero, nel giudizio di cassazione, in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento di legittimità, non è applicabile l’istituto dell’interruzione del processo, con la conseguenza che la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume alcun rilievo, nè consente agli eredi di tale parte l’ingresso nel processo (Cass. n. 1757 del 2016 Rv. 638717 – 01).

5. Il primo motivo è manifestamente fondato.

Nella specie è incontroverso che l’agente della riscossione ha provveduto alla notifica diretta a mezzo del servizio postale, D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 26 delle cartelle di pagamento.

Il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, comma 1, nel testo vigente ratione temporis prevedeva che “La cartella è notificata dagli ufficiali della riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale. La notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento; in tal caso, la cartella è notificata in plico chiuso e la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal comma 2 o dal portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda. (omissis). Il concessionario deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento ed ha l’obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell’amministrazione”.

Per effetto di tale disposizione la notifica della cartella esattoriale può avvenire anche mediante invio diretto, da parte del concessionario, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, in quanto la seconda parte dell’art. 26 cit. prevede una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario stesso ed all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva dei soggetti ivi indicati. In tal caso, la notifica si perfeziona con la ricezione del destinatario, alla data risultante dall’avviso di ricevimento, senza necessità di un’apposita relata, visto che è l’ufficiale postale a garantirne, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella, come confermato implicitamente dal citato art. 26, comma penultimo, secondo cui il concessionario è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o con l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione.

Quanto sopra trova conferma nell’indirizzo univoco di questa Corte (ex plurimis Cass. n. 10037 del 2019 Rv. 653680 – 01 e n. 1686 del 2023 Rv. 666661 – 01) secondo cui “La notificazione a mezzo posta della cartella esattoriale da parte del concessionario della riscossione (ora ADER) eseguita mediante raccomandata con avviso di ricevimento, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 si perfeziona, secondo la disciplina del D.M. 9 aprile 2001, artt. 32 e 39 con la consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento ad opera dell’ufficiale postale se non quello di curare che la persona, individuata come legittimata alla ricezione, apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente. Ne consegue che, qualora nell’avviso di ricevimento manchino le generalità della persona cui l’atto è stato consegnato (adempimento non previsto da alcuna norma) e la relativa sottoscrizione non risulti intellegibile, l’avviso di ricevimento, in quanto atto pubblico, è assistito dall’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c.c. avuto riguardo alla relazione tra la persona cui esso è destinato e quella cui è consegnato (oggetto del preliminare accertamento di competenza dell’ufficiale postale)”.

Risulta da quanto sopra del tutto errata l’affermazione della CTR circa l’inesistenza della notifica della cartella fondata sul rilievo che il Concessionario non poteva all’uopo effettuarla mediante il servizio postale.

6. Il secondo e il terzo motivo, da trattarsi congiuntamente stante la loro connessione, sono manifestamente fondati. In tema di notifica della cartella esattoriale ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, la prova del perfezionamento del procedimento di notifica e della relativa data è assolta mediante la produzione della relazione di notificazione o dell’avviso di ricevimento, recanti il numero identificativo della cartella, non essendo necessaria la produzione in giudizio della copia o dell’originale della cartella stessa (ex plurimis e da ultimo Cass. n. 8201 del 2023). Nel caso di specie, la CTR dà conto dell’avvenuta produzione, da parte dell’agente della riscossione, delle copie fotostatiche delle relate di notifica delle cartelle e dei relativi estratti di ruolo, e la conformità delle copie agli originali non risulta essere stata posta in discussione dal contribuente. L’estratto di ruolo, inoltre, è l’equipollente della matrice, in quanto è la fedele riproduzione della parte del ruolo relativa alla o alle pretese creditorie azionate verso il debitore con la cartella esattoriale, che contiene tutti gli elementi essenziali per identificare la persona del debitore, la causa e l’ammontare della pretesa creditoria (cfr. Cass. n. 16121 del 2019, Cass. n. 33563 del 2018, Cass. n. 23902 del 2017).

7. In accoglimento dei motivi, la sentenza deve essere cassata con rinvio al giudice di merito per la valutazione delle ulteriori doglianze sollevate dal contribuente.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per la Puglia in diversa composizione.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 12 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2023


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 12/09/2023) 21/09/2023, n. 27017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. BILLI Stefania – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21545/2019 proposti da:

A.A., nato a (Omissis) (C.F.: (Omissis)), e residente in (Omissis), rappresentato e difeso dall’Avv. Gianfilippo Ceccio – (C.F.: (Omissis) pec: (Omissis) Fax (Omissis)) del Foro di Messina ed elettivamente domiciliato in Roma, alla Via della Mercede n. 11, presso lo studio dell’Avv. Luigi Ragno (C.F.: (Omissis) – pec: (Omissis) – fax (Omissis)), giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Pizzo;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4654/2018 emessa dalla CTR Calabria in data 31/12/2018 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Andrea Penta.

Svolgimento del processo
Che:

1. A.A. proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Vibo Valentia avverso un avviso di accertamento per ICI relativo all’anno 2007.

2. La Commissione Tributaria Provinciale rigettava il ricorso.

3. Sull’appello del contribuente, la Commissione Tributaria Regionale Calabria rigettava il gravame, affermando, quanto al preteso vizio di notifica, che la nullità doveva intendersi sanata per raggiungimento dello scopo avendo il A.A. impugnato l’avviso, e che l’edificabilità di un’area doveva essere desunta esclusivamente dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dalla sua approvazione da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi.

4. Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per cassazione A.A. sulla base di cinque motivi. Il Comune di Pizzo non ha svolto difese.

Motivi della decisione
che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non essersi la CTR pronunciata sulla inesistenza della notifica dell’avviso di accertamento impugnato, in quanto la relata non risultava compilata.

1.1. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.

E’, invero, configurabile la decisione implicita (peraltro, nel caso di specie, la CTR ha espressamente affermato che non si versava in un’ipotesi di inesistenza) di una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o rilevabile d’ufficio) quando queste risultino superate e travolte, benchè non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di un’altra questione, il cui solo esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza; ne consegue che la reiezione implicita di una tesi difensiva o di una eccezione è censurabile mediante ricorso per cassazione non per omessa pronunzia (e, dunque, per la violazione di una norma sul procedimento), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, semprechè la soluzione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e censurabile oltre che utilmente censurata, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività (cfr., di recente, Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 12131 del 08/05/2023).

In ogni caso, anche a voler prescindere dalla confusione di piani operata (atteso che, mentre nella rubrica e nell’incipit dello sviluppo del motivo si deduce che si sarebbe al cospetto di una notifica inesistente – con conseguente inapplicabilità del principio di sanatoria per raggiungimento dello scopo -, successivamente si sostiene che il detto principio non sarebbe applicabile all’avviso di accertamento, trattandosi di un atto avente natura sostanziale), rappresenta un principio ormai consolidato, dal quale non vi è ragione per discostarsene (nè il ricorrente indica ragioni per farlo), quello secondo cui l’invalida notifica dell’avviso di accertamento è sanata per raggiungimento dello scopo ove detto vizio non abbia pregiudicato il diritto di difesa del contribuente, situazione che si realizza nell’ipotesi in cui il medesimo, in sede di ricorso giurisdizionale contro l’atto, ne abbia diffusamente contestato il contenuto (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 654 del 15/01/2014; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 1238 del 22/01/2014; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 5057 del 13/03/2015; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 22476 del 04/11/2015; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 11043 del 09/05/2018).

Invero, la notificazione è una mera condizione di efficacia e non un elemento dell’atto d’imposizione fiscale, sicchè la sua nullità è sanata, a norma dell’art. 156 c.p.c., comma 2, per effetto del raggiungimento dello scopo, desumibile anche dalla tempestiva impugnazione (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 18480 del 21/09/2016).

Avuto riguardo alla dedotta mancata compilazione della relata di notificazione, fermo restando che il ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, ha omesso di trascrivere la detta relata, va ricordato che è inesistente solo la notificazione eseguita in luogo non avente alcun collegamento con il destinatario ovvero nel caso in cui sia stata omessa la consegna dell’atto da notificare, mentre è nulla quando essa, nonostante l’inosservanza di formalità e di disposizioni di legge, sia, comunque, materialmente avvenuta mediante rilascio di copia dell’atto a persona e luogo avente un qualche riferimento con il destinatario della notificazione (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 28285 del 18/12/2013; conf. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 5412 del 03/03/2017).

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la “nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver la CTR considerato l’esistenza di un vincolo idrogeologico che determinava una condizione reale di inedificabilità del suolo.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Invero, il ricorrente ha omesso di trascrivere, almeno nei suoi passaggi maggiormente significativi, l’atto di appello, al fine di porre questo Collegio nelle condizioni di verificare se la specifica questione fosse stata reiterata in quella sede.

Senza tralasciare che la censura costituisce frutto della confusione tra jus edificandi e jus valutandi e rivela, quindi, la sua erroneità per aver fatto discendere indissolubilmente il secondo dal primo. A seguito dell’entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 11-quaterdecies, comma 16, convertito con modificazioni dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, e del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, che hanno fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. b), l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, dev’essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi. La natura edificabile non viene meno, trattandosi di evenienze incidenti sulla sola determinazione del valore venale dell’area, nè per le ridotte dimensioni e/o la particolare conformazione del lotto, che non incidono su tale qualità (salvo che siano espressamente considerate da detti strumenti attributive della stessa), essendo sempre possibile l’accorpamento con fondi vicini della medesima zona, ovvero l’asservimento urbanistico a fondo contiguo avente identica destinazione, nè a seguito di decadenza del vincolo preordinato alla realizzazione dell’opera pubblica, che, ferma restando l’utilizzabilità economica del fondo, in primo luogo a fini agricoli, configura pur sempre, anche se a titolo provvisorio, un limitato indice di edificabilità (Cass. 25676/2008; 11433/2010; n. 24478/2010; 16485/2016; n. 31051/2017; Cass. 12792/2018; Cass. 2107//2017).

In sintesi, un’area fabbricabile in base al piano regolatore comunale è soggetta all’I.C.I., a prescindere dall’esistenza di vincoli fattuali edificatori, incidendo questi ultimi solamente sul valore venale dell’area e, quindi, sulla base imponibile dell’imposta.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non aver la CTR considerato che il vincolo idrogeologico esistente sul terreno incideva sulla sua potenzialità edificatoria e, quindi, sul suo valore venale.

3.1. Il motivo è fondato.

Sebbene, infatti, come si è visto nell’analizzare il secondo motivo, la presenza del vincolo idrogeologico non sottragga le aree su cui insistono al regime fiscale proprio dei suoli edificabili, lo stesso può incidere sulla concreta valutazione del relativo valore venale e, conseguentemente, sulla base imponibile”.

Orbene, premesso che la doglianza è stata (ri)formulata con il secondo motivo di appello, la CTR ha omesso ogni accertamento e ogni motivazione sul punto. In particolare, la sentenza impugnata non riporta nella parte relativa ai presupposti dell’applicabilità del tributo alcun riferimento a detta contestazione, la cui analisi risulta pregiudiziale per l’attribuzione del valore venale del bene.

4. Con il quarto motivo il ricorrente si duole della nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non aver la CTR provveduto in ordine alla sua richiesta di nomina di un c.t.u..

4.1. Il motivo è inammissibile.

La consulenza tecnica d’ufficio è, infatti, mezzo istruttorio (e non una prova vera e propria) sottratto alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario e la motivazione dell’eventuale diniego può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato effettuata dal suddetto giudice (Sez. 3, Sentenza n. 4660 del 02/03/2006; conf. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 15219 del 05/07/2007, Cass., Sez. L, Sentenza n. 9461 del 21/04/2010, Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 326 del 13/01/2020). Anche nel processo tributario, la consulenza tecnica d’ufficio è mezzo istruttorio – e non prova vera e propria – sottratto alla disponibilità delle parti ed affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, nel cui potere discrezionale rientra la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario, potendo motivare l’eventuale diniego anche implicitamente, con argomentazioni desumibili dal contesto generale e dal quadro probatorio unitariamente considerato (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 25253 del 09/10/2019.

D’altra parte, il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevante ai fini di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si configura esclusivamente con riferimento a domande attinenti al merito e non anche in relazione ad istanze istruttorie per le quali l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (Sez. L, Sentenza n. 6715 del 18/03/2013; conf. Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 13716 del 05/07/2016, Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 24830 del 20/10/2017).

5. Con il quinto motivo il ricorrente denunzia la “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 14 e D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè l’omessa pronuncia, per non aver la CTR considerato che non si era in presenza di un’ipotesi di omessa e/o infedele dichiarazione di possesso, sicchè le sanzioni irrogate erano illegittime, e che, a tutto concedere, le stesse avrebbero dovuto essere soggette al cumulo giuridico per effetto del vincolo di continuazione.

5.1. Il motivo è inammissibile.

Invero, non essendovene cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente avrebbe dovuto indicare con precisione in quale fase e con quale atto processuale avesse tempestivamente sollevato la relativa questione. D’altra parte, il contribuente non ha neppure dedotto di averla riproposta in sede di appello.

6. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso merita di essere accolto con riferimento al terzo motivo. Ne consegue la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Commissione tributaria di secondo grado della Calabria.

P.Q.M.
accoglie il terzo motivo del ricorso, rigetta i primi due, dichiara inammissibili i restanti; cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Commissione tributaria di secondo grado della Calabria in differente composizione.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi, il 12 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2023


Se il cartello col limite di velocità è a meno di 1 km dall’autovelox: multa illegittima

Un automobilista impugnava innanzi al Giudice di Pace territorialmente competente un verbale di contestazione – eccesso di velocità rispetto al limite vigente di 70 km/h – per violazione dell’art. 142 comma 9 C.d.s. elevato dalla Polizia locale.

La contestazione predetta prevedeva il pagamento sanzionatorio di € 550,00 e la decurtazione di 6 punti dalla patente di guida.

L’opposizione a sanzione amministrativa intentata dall’automobilista faceva leva, tra le altre doglianze, sul mancato rispetto della distanza minima di un chilometro tra il segnale riproducente il limite di velocità vigente sul tratto di strada e l’apparecchiatura autovelox, come imposta dall’art. 25 comma 2 della L. 120/2010.

L’opposizione alla sanzione amministrativa veniva respinta in primo grado dal Giudice di Pace mentre veniva accolta dal Tribunale in funzione di Giudice dell’appello.

La decisione della Suprema Corte di Cassazione

Proponeva ricorso per la Suprema Corte di Cassazione l’Unione dei Comuni – da cui dipendeva la Polizia Locale che aveva elevato la contravvenzione – sostenendo che, nel caso di specie, andasse disapplicato il capo 7.6 allegato al D.M. n. 282/2017 di attuazione dell’art. 25 comma 2 della L. 120/2010 atteso che, secondo le tesi della parte ricorrente, l’ambito di applicazione della predetta norma – che impone la distanza di un chilometro tra segnale che impone il limite di velocità e la postazione autovelox – sarebbe limitato al caso in cui vi sia un segnale che imponga di abbassare il limite di velocità e non di un segnale che ripeta, in modo inalterato, il limite precedente.

Si fa riferimento al caso in cui, l’utente della strada – che si immette nel nuovo tratto viario provenendo da altra strada – incontra, dopo l’intersezione, un nuovo limite di velocità.

Il capo 7.6 allegato al D.M. n. 282/2017 dispone: “Nel caso di diverso limite massimo di velocità anche lungo un solo ramo della intersezione, sia maggiore che minore rispetto a quello ripetuto dopo l’intersezione, la distanza minima di un chilometro si computa dopo quest’ultimo in modo da garantire a tutti gli utenti della strada in approccio alla postazione lo stesso trattamento”.

Secondo la parte ricorrente tale disposizione andrebbe disapplicata in quanto irragionevole con riferimento all’art. 3 della Costituzione, considerato che pone sullo stesso piano il caso di chi proviene da una strada in cui il limite di velocità è inferiore – e si immette su un tratto viario in cui il limite è superiore – e quello esattamente opposto, in cui il privato proviene da un tratto stradale ove il limite di velocità è maggiore rispetto a quello vigente dopo l’intersezione.

La Suprema Corte di Cassazione (con la sentenza n. 25544/2023), rigettando il ricorso, ha considerato tale interpretazione del tutto insostenibile, atteso che il segnale di limite di velocità, prescrivendo un divieto, segnala, in ogni caso, un’imposizione, indipendentemente dall’esistenza di un precedente limite e dall’entità di tale limite.

A nulla rileva, per di più, la prova che l’utente della strada si sia effettivamente immesso dal tratto di strada ove, nel caso di specie, vigeva il limite di 50 km/h – inferiore rispetto a quello di 70 km/h vigente dopo l’intersezione – considerato che il verbale di violazione del Codice della strada risultava viziato per la questione oggettiva del posizionamento dell’autovelox ad una distanza inferiore ad un chilometro dal segnale di limite di velocità.


Avviso di accertamento con firma digitale: è valido?

Quali sono gli elementi essenziali dell’avviso di accertamento e cosa accade se la firma è digitale ma l’atto è notificato per posta.

Chi riceve un avviso di accertamento dal Fisco può difendersi, oltre che per motivi sostanziali relativi all’imposta addebitata e alla condotta degli uffici accertatori, per i vizi formali dell’atto notificato. La legge prevede, infatti, determinati elementi essenziali di validità dell’atto, in assenza dei quali l’accertamento è nullo. Tra questi elementi vi è la sottoscrizione dell’avviso da parte di un soggetto avente idonei poteri, perché svolge carriera direttiva o perché validamente delegato dal capo dell’ufficio o altro direttore.

Vediamo quali sono gli elementi essenziali dell’avviso di accertamento, quando la sottoscrizione deve ritenersi esistente e valida e cosa accade se la firma è digitale ma l’atto notificato è cartaceo.

  • Elementi essenziali avviso di accertamento
  • Sottoscrizione avviso di accertamento
  • Se l’avviso di accertamento è firmato digitalmente

Elementi essenziali avviso di accertamento

L’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione, le indicazioni dei dati essenziali del rapporto tributario, la motivazione dell’accertamento stesso e dell’imposta e sanzioni dovute [Art. 42 D.P.R. 600/1973].

Più precisamente, avviso di accertamento deve recare:

  • la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato;
  • l’indicazione dell’imponibile o degli imponibili accertati, delle aliquote applicate e delle imposte liquidate, al lordo e al netto delle detrazioni, delle ritenute di acconto e dei crediti d’imposta;
  • la motivazione in relazione ai presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato l’accertamento, con distinto riferimento ai singoli redditi delle varie categorie e con la specifica indicazione dei fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a metodi induttivi o sintetici e delle ragioni del mancato riconoscimento di deduzioni e detrazioni. Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale (per esempio in caso di imposta di registro su atti giudiziari).

Sottoscrizione avviso di accertamento

L’avviso di accertamento è nullo se non è firmato dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. La delega può essere conferita o con atto proprio o con ordine di servizio purché venga indicato, unitamente alle ragioni della delega (cioè, le cause che ne hanno resa necessaria l’adozione, quali carenza di personale, assenza, vacanza, malattia, etc.), il termine di validità ed il nominativo del soggetto delegato.

La delega per la firma dell’avviso di accertamento è valida se sussistono i seguenti requisiti:

  • identificazione specifica del delegante e del delegato
  • forma scritta (sottoscritta autograficamente, protocollata e depositata agli atti dell’ufficio);
  • motivazione (indicazione delle esigenze di servizio che hanno reso necessaria la delega);
  • qualifica, funzione e generalità del dirigente/funzionario delegato;
  • durata e limitazioni (periodo e valore/materia/atti/servizi ecc.).

Secondo la Corte Suprema di Cassazione [Cass. sentt. n. 18758/2014, 22800/2015, 24492/2015], il solo possesso della qualifica non abilita il funzionario della carriera direttiva alla sottoscrizione; il potere di organizzazione deve essere in concreto riferibile al capo dell’ufficio.

Se il contribuente contesta la firma riconducibile non già al “capo dell’ufficio titolare”, bensì ad un “funzionario della carriera direttiva”, ricade sull’Amministrazione l’onere di dimostrare il corretto esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell’ufficio.

Se l’avviso di accertamento è firmato digitalmente

Spesso accade che l’avviso di accertamento è firmato digitalmente dal capo dell’ufficio ma l’atto notificato è cartaceo. In questo caso la firma è valida? O l’atto devo considerarsi nullo?

Secondo una recente sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Salerno [CTP Salerno, sent. del 14.05.2018], l’avviso di accertamento cartaceo che, in luogo della firma autografa, rechi l’indicazione della firma digitale, è nullo.

L’apposizione della firma digitale conferisce genuinità ed indubbia paternità al documento informatico da notificare unitamente alla garanzia offerta al destinatario dello stesso di aprire la “busta crittografica” e confermarne l’autenticità e, quindi, la sua validità.

Ma quando l’avviso di accertamento, pur se firmato digitalmente, viene notificato in via ordinaria (tramite Messo Comunale/Notificatore o per posta), esso è nullo perché privo del requisito essenziale della sottoscrizione.

L’avviso di accertamento, da emettere obbligatoriamente in via analogica (su documento cartaceo o comunque diverso dal digitale), deve essere necessariamente sottoscritto con firma autografa del capo dell’Ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato e non firmato digitalmente senza alcuna sottoscrizione in originale.

Secondo i giudici, l’avviso notificato in via ordinaria e firmato digitalmente è un atto da considerarsi privo di sottoscrizione, ed è quindi affetto da inesistenza giuridica in ragione della insussistenza di un suo elemento essenziale qual è, appunto, la mancata formazione della volontà di assunzione dei contenuti dell’atto medesimo da parte dell’ufficio che lo ha emesso.