Cass. civ. Sez. Unite, Sent., (ud. 15-12-2015) 20-07-2016, n. 14916

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Primo Presidente f.f. –

Dott. CICALA Mario – Presidente di Sez. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – rel. Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1451/2008 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

WORLD ARROW TOURS & CHARTERS;

– intimata –

sul ricorso 4758/2008 proposto da:

WORLD ARROW TOURS & CHARTERS INC, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TUSCOLANA 1348, presso lo studio dell’avvocato GIAMPAOLO RUGGIERO, che la rappresenta e difende, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 360/34/2007 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO, depositata il 02/10/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/12/2015 dal Consigliere Dott. BIAGIO VIRGILIO;

uditi gli avvocati Gianna Maria DE SOCIO dell’Avvocatura Generale dello Stato, Giampaolo RUGGIERO;

udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per la dichiarazione di ammissibilita’ del ricorso.

Svolgimento del processo
1. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, articolato in sei motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio indicata in epigrafe, con la quale e’ stato rigettato l’appello dell’Ufficio e confermata l’illegittimità di cinque avvisi di accertamento emessi ai fini IVA per gli anni dal 1999 al 2003 nei confronti della società statunitense World Arrow Tours & Charters Inc.: con essi l’Ufficio aveva recuperato a tassazione l’imposta (precedentemente rimborsata) ritenuta illegittimamente detratta ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74 ter, comma 3, in quanto la società aveva svolto attività di tour operator, e non solo di autonoleggio, con conseguente indetraibilità dell’IVA relativa ai costi sostenuti per le cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate da terzi a diretto vantaggio dei viaggiatori.

Il giudice d’appello ha ritenuto inadeguate le prove fornite dall’Ufficio (sito web, procura rilasciata dalla società al proprio rappresentante in Italia) al fine di dimostrare con ragionevole certezza che la contribuente, negli anni in contestazione, svolgesse effettivamente attività di tour operator e non soltanto di autonoleggio.

2. La World Arrow Tours & Charters Inc. ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo; ha anche depositato memoria.

In via pregiudiziale, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 330 cod. proc. civ., perché notificato presso il difensore domiciliatario per il giudizio di primo grado, anziché presso il difensore costituito nel giudizio di appello e presso il quale essa aveva eletto domicilio per tale grado del processo.

3. La quinta sezione civile, con ordinanza interlocutoria n. 15946 del 2014, resa all’esito dell’udienza del 9 giugno 2014 e depositata l’11 luglio 2014, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione della causa alle sezioni unite, avendo rilevato contrasti nella giurisprudenza della Corte sulle seguenti questioni: a) se alla proposizione del ricorso per cassazione avverso sentenze delle commissioni tributarie regionali debba applicarsi la disciplina dettata dall’art. 330 cod. proc. civ., oppure quella speciale prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 2, relativo al processo tributario; b) ove si accolga la prima tesi, se sia affetta da inesistenza giuridica oppure da nullità, sanabile secondo le norme del codice di rito, la notificazione eseguita presso il procuratore domiciliatario della controparte in primo grado, nel caso in cui questa b1) sia rimasta contumace in appello, o allorché’ b2) abbia revocato il mandato a detto difensore e lo abbia sostituito con un nuovo difensore presso il quale abbia anche eletto domicilio.

4. I ricorsi sono stati quindi fissati per l’odierna udienza.

5. L’Agenzia delle entrate ha depositato memoria.

Motivi della decisione
1.1. La prima questione che le sezioni unite sono chiamate a dirimere concerne l’individuazione della disciplina da applicare in ordine al luogo di notificazione del ricorso per cassazione proposto avverso sentenza di una commissione tributaria regionale.

Si tratta di stabilire, a fronte di orientamenti non univoci, qual e’ il rapporto tra il regime dettato dall’art. 330 cod. proc. civ. e quello previsto, per il processo tributario, dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 17: in particolare, il quesito è se al ricorso per cassazione si applichi in via esclusiva la disciplina del codice di rito ordinario, oppure possa, e in quali limiti, trovare applicazione la normativa speciale dettata, in materia, dal citato art. 17 del decreto sul processo tributario.

1.2. Per quanto qui interessa, l’art. 330 cit. (rubricato “Luogo di notificazione della impugnazione”) dispone, al primo comma, che “se nell’atto di notificazione della sentenza la pane ha dichiarato la sua residenza o eletto domicilio nella circoscrizione del giudice che l’ha pronunciata, l’impugnazione deve essere notificata nel luogo indicato; altrimenti si notifica, ai sensi dell’art. 170, presso il procuratore costituito o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio” (le parole “ai sensi dell’art. 170” sono state inserite dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 10, ed hanno effetto per i giudizi iniziati, in primo grado, dopo il 4 luglio 2009).

Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17 (articolo rubricato “Luogo delle comunicazioni e notificazioni”), dopo aver stabilito, al comma 1, che “le comunicazioni e le notificazioni sono fatte, salva la consegna in mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all’atto della sua costituzione in giudizio”, prevede, al comma 2, il quale in particolare rileva in questa sede, che “l’indicazione della residenza o della sede e l’elezione del domicilio hanno effetto anche per i successivi gradi del processo”.

Va aggiunto che: a) ai sensi dell’art. 1, comma 2, del citato D.Lgs. n. 546 del 1992, “i giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile”; b) in senso sostanzialmente conforme, l’art. 49 dispone che “alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni del titolo 3, capo 1, del libro 2 del codice di procedura civile, e fatto salvo quanto disposto nel presente decreto” (le parole “escluso l’art. 337” sono state soppresse dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, art. 9, comma 1, lett. u, entrato in vigore, in pane qua, l’1 gennaio 2016); c) l’art. 62, in tema di ricorso per cassazione avverso le sentenze delle commissioni tributarie regionali, stabilisce, infine, al comma 2, che “al ricorso per cassazione ed al relativo procedimento si applicano le norme dettate dal codice di procedura civile in quanto compatibili con quelle del presente decreto” (ora il citato D.Lgs. n. 156 del 2015, art. 9, comma 1, lett. z, ha introdotto la possibilità, sull’accordo delle parti, del ricorso per saltum avverso le sentenze delle commissioni tributarie provinciali, unicamente a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

1.3. Queste sezioni unite, con sentenza n. 29290 del 2008, hanno affermato che la previsione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17 costituisce eccezione alla sola disposizione di cui all’art. 170 cod. proc. civ. per le notificazioni endoprocessuali, con la conseguenza che, mancando, per la notifica degli atti di impugnazione, una disposizione specifica, deve trovare applicazione quella prevista dall’art. 330 cod. proc. civ. (si e’ ritenuta, quindi, nella fattispecie, validamente eseguita la notificazione del ricorso in appello effettuata presso il procuratore costituito – non domiciliatario – della parte nel giudizio di primo grado).

Con la recente sentenza n. 8053 del 2014, poi, le sezioni unite, occupandosi in particolare della questione dell’applicabilità al ricorso per cassazione avverso le sentenze delle commissioni tributarie delle disposizioni di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54 (convertito dalla L. n. 134 del 2012), hanno ribadito la “significativa contrapposizione” tra le disposizioni di rinvio contenute nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, e art. 49, relative al processo e alle impugnazioni in generale, e la disposizione di rinvio contenuta nel successivo art. 62, relativa al giudizio di cassazione: gli artt. 1 e 49 istituiscono un’autentica specialità del rito tributario, sancendo la prevalenza della norma processuale tributaria, ove esistente, sulla norma processuale ordinaria, la quale ultima si applica, quindi, in via del tutto sussidiaria, oltre che nei limiti della compatibilità; l’art. 62, viceversa, per il giudizio di cassazione, fa espressamente riferimento all’applicabilità delle norme del codice di procedura civile, così attribuendo, per questa sola ipotesi, la prevalenza alle norme processuali ordinarie ed escludendo l’esistenza di un “giudizio tributario di legittimità”, cioè di un giudizio di cassazione speciale in materia tributaria.

1.4. Alla stregua del sopra delineato quadro normativo, nonché dei principi che ne ha tratto la sentenza n. 8053 del 2014, deve ritenersi che, quanto all’individuazione del luogo in cui va effettuata la notificazione delle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie, occorre tenere distinta la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17 per il processo tributario, cioè per quello che si svolge dinanzi alle commissioni tributarie, da quella prevista dal codice di rito ordinario in tema di ricorso per cassazione.

In particolare, per un verso non esistono ragioni normative che impongano di affermare che l’art. 17 cit. si riferisce esclusivamente alle notificazioni endoprocessuali, laddove, anzi, proprio la previsione secondo cui “l’indicazione della residenza o della sede e l’elezione del domicilio hanno effetto anche per i successivi gradi del processo” (comma 2), nonché esigenze di coerenza sistematica, inducono alla conclusione che la norma è applicabile, con carattere di specialità e quindi di prevalenza, anche alla notificazione del ricorso in appello.

Per altro verso, alla notificazione del ricorso per cassazione si applica, ai sensi del citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, la disciplina di cui all’art. 330 cod. proc. civ. (che non può certo essere esclusa per il fatto che nel processo tributario ben può accadere che esista un difensore che non sia anche procuratore ad litem, ciò incidendo soltanto sull’ambito applicativo della norma in relazione alla concreta fattispecie).

Va però fatta, al riguardo, la seguente importante precisazione.

La previsione di ultrattività dell’indicazione della residenza (o della sede) e dell’elezione di domicilio non può non riflettersi sull’individuazione del luogo di notificazione del ricorso per cassazione: ne consegue che, in deroga alla regola ordinaria, il ricorso è validamente notificato, ai sensi dell’art. 330 c.p.c., comma 1, seconda ipotesi, anche nel caso in cui il soggetto destinatario della notificazione non si sia costituito nel giudizio di appello (oppure, pur costituitosi, non abbia effettuato alcuna indicazione) (Cass. nn. 10055 del 2000, 2882 e 15523 del 2009, 20200 del 2010, 1972 del 2015).

Non si tratta di estendere al ricorso per cassazione la disciplina del processo tributario, bensì di riconoscere alla norma in esame un effetto esterno che indubbiamente si riverbera sul disposto dell’art. 330 cod. proc. civ., rendendolo, dunque, in parte qua pienamente applicabile.

1.5. Deve essere, in conclusione, enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di ricorso per cassazione avverso le sentenze delle commissioni tributarie regionali, si applica, con riguardo al luogo della notificazione, la disciplina dettata dall’art. 330 cod. proc. civ.; tuttavia, in ragione del principio di ultrattività dell’indicazione della residenza o della sede e dell’elezione di domicilio effettuate in primo grado, stabilito dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 17, comma 2, è valida la notificazione eseguita presso uno di tali luoghi, ai sensi del citato art. 330 c.p.c., comma 1, seconda ipotesi, nel caso in cui la parte non si sia costituita nel giudizio di appello, oppure, costituitasi, non abbia espresso al riguardo alcuna indicazione”.

1.6. Nella fattispecie, non sussistono le condizioni per ritenere valida la notificazione, poiché, come risulta dagli atti ed è evidenziato nell’ordinanza di rimessione, il ricorso e’ stato notificato presso il difensore domiciliatario della parte contribuente per il giudizio di primo grado, anziché presso il nuovo procuratore costituito nel giudizio di appello e presso il quale la parte stessa aveva eletto domicilio per tale grado del processo.

2.1. Vengono, quindi, in rilievo le ulteriori questioni esposte nell’ordinanza interlocutoria, concernenti le conseguenze derivanti dalla violazione della menzionata disposizione del codice di rito, in ordine alle quali si riscontrano orientamenti difformi nella giurisprudenza di questa Corte, espressi anche da pronunce delle sezioni unite.

In particolare, e in sintesi, il Collegio rimettente rileva quanto segue.

A) Notificazione del ricorso per cassazione eseguita presso il procuratore della controparte costituito in primo grado e contumacia della stessa nel giudizio di appello: a1) un primo orientamento, muovendo dal presupposto secondo cui l’elezione di domicilio presso il procuratore spiega effetto limitatamente al grado del giudizio per il quale la procura è stata conferita, salvo espressa contraria previsione, ritiene che siffatta notificazione del ricorso è affetta da giuridica inesistenza, non da mera nullità, in quanto eseguita in luogo e presso persona non aventi più alcun riferimento con il destinatario, con conseguente inammissibilità del ricorso, senza alcuna possibilità di sanatoria mediante costituzione della parte intimata o rinnovazione ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ. (tra altre, Cass., sez. un., nn. 6248 del 1982 e 9539 del 1996, nonché Cass. mi. 1100 del 2001 e 5025 del 2002); a2) altro indirizzo, muovendo dal medesimo presupposto, perviene alla opposta conclusione secondo cui la notificazione, essendo eseguita in luogo diverso da quello prescritto dall’art. 330 c.p.c., comma 1, ma non privo di un qualche collegamento con il destinatario della notifica, deve considerarsi nulla e non inesistente (e, quindi, sanabile mediante rinnovazione o costituzione della parte intimata), in quanto l’atto, pur se viziato, poiché eseguito al di fuori delle previsioni di legge, può essere riconosciuto come appartenente alla categoria delle notificazioni, anche se non è idoneo a produrre in modo definitivo gli effetti propri del tipo di atto in questione (tra altre, Cass., sez. un., n. 10817 del 2008 e Cass. nn. 6947 del 1995, 7818 e 16952 del 2006).

B) Notificazione del ricorso per cassazione effettuata presso il procuratore della controparte costituito in primo grado e revoca del mandato a tale difensore con nomina di uno diverso per il grado di appello: B1) anche in questo caso, ed analogamente, secondo un primo indirizzo la notificazione è affetta da giuridica inesistenza e non da mera nullità (con esclusione, pertanto, di ogni possibilità di sanatoria o rinnovazione), dal momento che, una volta intervenuta la sostituzione del difensore revocato, si interrompe ogni rapporto tra la parte ed il procuratore cessato e questi non è più gravato da alcun obbligo, non operando, in tale ipotesi, la proroga disposta dall’art. 85 cod. proc. civ. per il solo caso della semplice revoca del mandato, non accompagnata dalla nomina di un nuovo difensore (tra altre, Cass., sez. un., n. 3947 del 1987 e Cass. nn. 9147 del 2007, 3338 del 2009, 13477 del 2012); b2) altro orientamento ritiene, invece, che una tale notifica, essendo eseguita in un luogo diverso da quello prescritto, ma non privo di un astratto collegamento con il destinatario, è affetta da nullità e non da giuridica inesistenza, con l’effetto che la rituale presentazione del controricorso contenente la difesa nel merito, dimostrando ex post che la notificazione ha raggiunto lo scopo cui era preordinata, impedisce di ritenerla inesistente poiché non riferibile al luogo ed alla parte destinataria, con conseguente ammissibilità del ricorso (ex aliis, Cass. n. 22293 del 2004, 13667 del 2007 e 13451 del 2013).

2.2. Anche se nella fattispecie l’ipotesi ricorrente, come detto sopra, e’ quella indicata nel paragrafo precedente sul) B), ritengono le sezioni unite che le questioni sollevate necessitano di un esame e di una soluzione unitari, poiché investono, in radice, un unico problema di fondo – di notevolissimo rilievo teorico e pratico (in quanto ha dato luogo da decenni, e continua a dar luogo, a persistenti oscillazioni giurisprudenziali) -, che consiste nell’individuare un criterio distintivo il più possibile chiaro, univoco e sicuro tra le tradizionali nozioni di inesistenza e di nullità della notificazione (specificamente, del ricorso per cassazione) e che, in definitiva, tocca la stessa validità concettuale (e concreta utilità) della distinzione tra le due nozioni, cioè, in sostanza, la configurabilità della inesistenza come “vizio” dell’atto, autonomo e più grave della nullità, con le conseguenze che ne derivano.

2.3. L’unica norma del codice di procedura civile che si occupa dell’invalidità della notificazione è l’art. 160, il quale, sotto la rubrica “Nullità della notificazione”, dispone che “La notificazione è nulla se non sono osservate le disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata la copia, o se vi è incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta o sulla data, salva l’applicazione degli artt. 156 e 157”.

Ai fini che qui interessano assume centrale rilievo l’art. 156 (“Rilevanza della nullità”), il quale prevede che: “Non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge” (comma 1); “Può tuttavia essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo” (comma 2); “La nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato” (comma 3).

Una prima osservazione può essere già formulata: in tema di notificazione, come in generale di atti processuali, il codice non contempla la categoria della “inesistenza”, nemmeno con riguardo alla sentenza priva della sottoscrizione del giudice, qualificata come affetta da nullità per la quale è tuttavia esclusa, ai sensi dell’art. 161 c.p.c., comma 2, l’applicazione del principio dell’assorbimento nei mezzi di gravame -sul tema cfr. ora Cass., sez. un., n. 11021 del 2014 -; nullità, quindi, assolutamente insanabile (in relazione alla quale viene evocata, da una gran parte della dottrina e della giurisprudenza, la figura della inesistenza).

Tale constatazione, tuttavia, per un verso non e’ appagante: il legislatore non ha motivo di disciplinare gli effetti di ciò che non esiste, non solo, com’è ovvio, dal punto di vista storico-naturalistico, ma anche sotto il profilo giuridico; per altro verso, induce a ritenere che la nozione di inesistenza della notificazione debba essere definita in termini assolutamente rigorosi, cioè confinata ad ipotesi talmente radicali che il legislatore ha, appunto, ritenuto di non prendere nemmeno in considerazione (già da tempo la giurisprudenza ha sottolineato l’esigenza di assegnare carattere residuale alla categoria dell’inesistenza della notificazione: Cass., sez. un., n. 22641 del 2007 e n. 10817 del 2008; Cass. n. 6183 del 2009 e n. 12478 del 2013).

In definitiva, deve affermarsi che l’inesistenza della notificazione è configurabile, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile quell’atto.

L’inesistenza non è, dunque, in senso stretto, un vizio dell’atto più grave della nullità, poiché la dicotomia nullità/inesistenza va, alla fine, ricondotta alla bipartizione tra l’atto e il non atto.

2.4. Rilievo fondamentale va attribuito in materia al citato art. 156 cod. proc. civ. (richiamato dall’art. 160), nel quale trova diretta espressione unitamente all’art. 121 (“Gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo”) e 131, comma 1 (secondo il quale, quando la legge non prescrive che il giudice pronunci sentenza, ordinanza o decreto, “i provvedimenti sono dati in qualsiasi forma idonea al raggiungimento del loro scopo”) – il principio di strumentalità delle forme degli atti processuali, che permea l’intero codice di procedura civile ed al quale, quindi, l’interprete deve costantemente ispirarsi.

Le forme degli atti, cioè, sono prescritte al fine esclusivo di conseguire un determinato scopo, coincidente con la funzione che il singolo atto e’ destinato ad assolvere nell’ambito del processo, e così, in definitiva, con lo scopo ultimo del processo, consistente nella pronuncia sul merito della situazione giuridica controversa: che il principio del “giusto processo”, di cui all’art. 111 Cost. ed all’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, comprenda, tra i valori che intende tutelare (oltre alla durata ragionevole del processo, all’imparzialità del giudice, alla tutela del contraddittorio, ecc.), il diritto di ogni persona ad un “giudice” che emetta una decisione sul merito della domanda ed imponga, pertanto, all’interprete di preferire scelte ermeneutiche tendenti a garantire tale finalità, costituisce affermazione acquisita nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., sez. un., nn. 15144 del 2011, 17931 del 2013, 5700 del 2014, nonché Cass. nn. 3362 del 2009, 14627 del 2010, 17698 del 2014, 1483 del 2015), anche alla luce di quella della Corte EDU, la quale ammette limitazioni all’accesso ad un giudice solo in quanto espressamente previste dalla legge ed in presenza di un rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (v., tra altre, Omar c. Francia, 29 luglio 1998; Beller c. Francia, 4 dicembre 1995), ponendo in rilievo la esigenza che tali limitazioni siano stabilite in modo chiaro e prevedibile (v., ad es., Faltejsek c. Rep. Ceca, 15 agosto 2008).

2.5. In particolare, riveste importanza decisiva il comma 3 art. 156 cit., il quale, dopo che nel comma precedente è previsto che la nullità può essere pronunciata – anche al di là dell’espressa comminatoria di legge “quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo”, stabilisce, con formula perentoria e di chiusura, che la nullità “non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”.

Da tale norma discendono, per quanto concerne la notificazione, le seguenti conseguenze:

a) occorre che un “atto”, riconoscibile come “notificazione”, esista, nei ristretti termini sopra indicati, e che verranno di seguito precisati;

b) se così è, qualunque vizio dell’atto ricade nell’ambito della nullità, senza che possa distinguersi, al fine di individuare ulteriori ipotesi di inesistenza attraverso la negazione del raggiungimento dello scopo, tra valutazione ex ante e constatazione ex post, poiché il legislatore ha chiaramente inteso dare prevalenza a quest’ultima – in piena attuazione del principio della strumentalità delle forme -, cioè ai dati dell’esperienza concreta, sia pure dovuta ad accadimenti del tutto accidentali, rispetto agli elementi di astratta potenzialità e prevedibilità.

2.6. Scopo della notificazione è quello di provocare la presa di conoscenza di un atto da parte del destinatario, attraverso la certezza legale che esso sia entrato nella sua sfera di conoscibilità, con gli effetti che ne conseguono (in termini – per quanto qui interessa – di instaurazione del contraddittorio).

In presenza di una notificazione nulla, così come opera la sanatoria per raggiungimento dello scopo, attraverso la costituzione in giudizio della parte intimata, correlativamente, in mancanza di tale costituzione, il giudice, ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ., deve dispone la rinnovazione della notificazione (fissando a tal fine un termine perentorio), a meno che la parte stessa non abbia a ciò già spontaneamente provveduto.

Entrambi i rimedi, che sono previsti a fronte del verificarsi del medesimo presupposto della nullità della notificazione – con l’unica peculiarità che l’attivazione spontanea della parte (con la costituzione o la rinnovazione) rende superfluo l’intervento del giudice -, operano con efficacia ex tunc, cioè sanano con effetto retroattivo il vizio della notificazione (quella originaria, nel caso di rinnovazione): ciò è previsto espressamente nel citato art. 291 (“la rinnovazione impedisce ogni decadenza”), si configura come una normale qualità del concetto di sanatoria e costituisce un’ulteriore espressione del principio di strumentalità delle forme.

Va ribadito, per completezza, che il detto effetto sanante ex tunc prodotto dalla costituzione del convenuto – la quale non è mai tardiva, poiché la nullità della notificazione impedisce la decorrenza del termine (per tutte, Cass., sez. un., n. 14539 del 2001) – opera anche nel caso in cui la costituzione sia effettuata al solo fine di eccepire la nullità (tra altre, Cass., sez. un., n. 5785 del 1994; Cass. nn. 10119 del 2006, 13667 del 2007, 6470 del 2011).

2.7. La notificazione è solitamente definita come una sequenza di atti, un procedimento, articolato in fasi e finalizzato allo scopo indicato nel paragrafo precedente.

Gli elementi costitutivi imprescindibili di tale procedimento vanno individuati, quanto al ricorso per cassazione: a) nell’attività di trasmissione, che deve essere svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere l’attività stessa, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento, in virtu’ dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita: restano, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, sì da dover reputare la notifica meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa.

La presenza di detti requisiti, che possono definirsi strutturali, va ritenuta idonea ai fini della riconoscibilità dell’atto come notificazione: essi, cioè, sono sufficienti a integrare la fattispecie legale minima della notificazione, rendendo qualificabile l’attività svolta come atto appartenente al tipo previsto dalla legge.

In conclusione, deve essere superata la tesi che include in tale modello legale, facendone derivare, in sua mancanza, la inesistenza della notificazione, il requisito del “collegamento” (o del “riferimento”) tra il luogo della notificazione e il destinatario: si tratta, infatti, di un elemento che si colloca fuori del perimetro strutturale della notificazione e la cui assenza (come nelle fattispecie indicate nell’ordinanza di rimessione) ricade, in base all’insieme delle considerazioni fin qui svolte, nell’ambito della nullità, sanabile con effetto ex tunc attraverso la costituzione dell’intimato o la rinnovazione dell’atto, spontanea o su ordine del giudice.

2.8. Vanno, pertanto, enunciati i seguenti principi di diritto:

– “L’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtu’ dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, sì da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa”;

– “Il luogo in cui la notificazione del ricorso per cassazione viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto. Ne consegue che i vizi relativi alla individuazione di detto luogo, anche qualora esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, come tale sanabile, con efficacia ex tunc, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ.”.

3. Alla luce degli esposti principi, nella fattispecie la notificazione del ricorso principale, eseguita presso il difensore domiciliatario della controparte per il giudizio di primo grado, anziché presso il difensore costituito nel giudizio di appello e presso il quale essa aveva eletto domicilio per tale grado del processo, è affetta da nullità per violazione dell’art. 330 cod. proc. civ., sanata dall’avvenuta costituzione della parte medesima.

4. Il ricorso va, pertanto, dichiarato ammissibile, con rimessione degli atti alla quinta sezione civile per l’ulteriore esame.

P.Q.M.
La Corte, a sezioni unite, dichiara ammissibile il ricorso principale e rimette gli atti alla quinta sezione civile.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2016


Cass. civ., Sez. Unite, Sent., (data ud. 15/12/2015) 20/07/2016, n. 14917

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Primo Presidente f.f. –

Dott. CICALA Mario – Presidente Sezione –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente Sezione –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonio – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – rel. Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23937/2011 proposto da:

F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.G. BELLI 27, presso lo studio dell’avvocato GIAN MICHELE GENTILE, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati ALBERTO PANUCCIO, ALFREDO FOTI, per delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

EDITRICE LA STAMPA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, LA LICATA FRANCESCO, MAURO EZIO, TESSANDORI VINCENZO, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PACUVIO 34, presso lo studio dell’avvocato GUIDO ROMANELLI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCO PASTORE, per delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

M.D.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2961/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 12/07/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/12/2015 dal Consigliere Dott. BIAGIO VIRGILIO;

uditi gli avvocati Gian Michele GENTILE, Lorenzo ROMANELLI per delega dell’avvocato Guido Romanelli;

udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per la dichiarazione di ammissibilita’ del ricorso.

Svolgimento del processo
1. F.G., gia’ Presidente del Tribunale di Reggio Calabria, convenne nel 2000 dinanzi al Tribunale di Roma la Editrice La Stampa s.p.a., Ma.Ez., in qualita’ di direttore responsabile pro tempore del quotidiano (OMISSIS), L.L.F., T.V. e M.D., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per diffamazione in relazione ad alcuni articoli pubblicati sul detto quotidiano nel luglio 1995, nei giorni immediatamente successivi al suo arresto per concorso esterno in associazione mafiosa, imputazione dalla quale nel 2000 il F. era stato assolto.

Nel giudizio di primo grado i convenuti Editrice La Stampa s.p.a., Ma.Ez., L.L.F. e T.V. si costituirono e nominarono propri difensori gli avvocati Franco Pastore e B.F., eleggendo domicilio presso il secondo. Il M. resto’ contumace.

Con sentenza del 27 ottobre 2005 il Tribunale di Roma rigetto’ la domanda.

Il F. propose appello e per il relativo giudizio gli anzidetti appellati revocarono il mandato all’avv. B. e nominarono nuovo difensore, in sostituzione di quest’ultimo e in aggiunta all’avv. Pastore, l’avv. Sante Ricci, eleggendo domicilio presso quest’ultimo.

Con sentenza del 12 luglio 2010 la Corte d’appello di Roma rigetto’ il gravame.

2. Avverso la sentenza il F. ha proposto ricorso per cassazione, notificandolo alle parti costituite in appello nel domicilio da queste eletto per il primo grado di giudizio.

La Editrice La Stampa s.p.a., Ma.Ez., L.L.F. e T.V. hanno resistito con controricorso, nel quale hanno esclusivamente eccepito l’inammissibilita’ del ricorso in ragione della ritenuta inesistenza della sua notificazione.

Il M. non si e’ costituito.

Le pani hanno depositato memorie.

3. La terza sezione civile, con ordinanza interlocutoria n. 6427 del 2015, resa all’esito dell’udienza del 31 ottobre 2014 e depositata il 30 marzo 2015, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle sezioni unite, avendo rilevato un contrasto nella giurisprudenza di questa Corte sulla questione se la notificazione del ricorso per cassazione nel domicilio eletto per il primo grado di giudizio, quando sia stato eletto in appello un nuovo domicilio e presso un diverso difensore, sia semplicemente nulla, con possibilita’ di rinnovazione, ovvero sia inesistente, con conseguente impossibilita’ di sanatorie di sorta.

In particolare, ha ritenuto necessario che le sezioni unite si pronuncino sulle seguenti questioni: a) se, alla luce del mutato quadro costituzionale e comunitario, conservi validita’ scientifica ed utilita’ pratica la distinzione tra nullita’ ed inesistenza della notificazione; b) in caso affermativo, se sia corretta dogmaticamente la tradizionale individuazione del discrimine tra le due categorie nell’esistenza o meno “d’un qualche collegamento” tra luogo della notifica e persona del destinatario; c) in ogni caso, se sia affetta da un vizio sanabile od insanabile la notificazione del ricorso per cassazione effettuata nel domicilio eletto per il primo grado di giudizio, nell’ipotesi in cui il destinatario dell’atto abbia in grado di appello nominato un diverso procuratore ed eletto un diverso domicilio.

Nel frattempo, ha ordinato la rinnovazione della notificazione del ricorso a M.D., contumace in appello, non andata a buon fine in quanto risultato trasferito.

4. Il ricorso e’ stato quindi fissato per l’odierna udienza.

5. I controricorrenti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione
1. Come detto in narrativa, la terza sezione civile sottopone all’esame di queste sezioni unite la questione di stabilire se la notificazione del ricorso per cassazione nel domicilio eletto per il primo grado di giudizio, quando sia stato eletto in appello un nuovo domicilio e presso un diverso difensore, sia semplicemente nulla, con possibilita’ di rinnovazione, ovvero sia inesistente, con conseguente impossibilita’ di sanatorie di sorta.

L’ordinanza interlocutoria rileva, al riguardo, l’esistenza di un contrasto nella giurisprudenza di legittimita’.

In sintesi, secondo un primo orientamento, la notifica dell’impugnazione, eseguita presso il procuratore cui sia stato revocato il mandato e sostituito da altro procuratore, deve considerarsi inesistente – e come tale insuscettibile di sanatoria, con conseguente inammissibilita’ dell’impugnazione – una volta che nel giudizio la controparte abbia avuto conoscenza legale di tale sostituzione. In tal caso, infatti, la notifica effettuata al precedente difensore si compie presso persona ed in luogo non aventi alcun riferimento con il destinatario dell’atto, giacche’, una volta intervenuta la sostituzione del difensore revocato, si interrompe ogni rapporto tra la parte ed il procuratore cessato, e questi non e’ piu’ gravato da alcun obbligo, non operando la proroga che si accompagna alla semplice revoca del mandato senza la nomina di nuovo difensore (la sentenza capostipite di questo orientamento e’ individuata in Cass., sez. un., n. 3947 del 1987; sono poi citate, tra altre, Cass. nn. 9147 del 2007, 3964 del 2008, 3338 del 2009, 13477 del 2012).

Diverso orientamento, invece, ritiene nulla (e quindi sanabile), e non inesistente, la notifica eseguita presso un domicilio od un avvocato che non abbia piu’ rapporti con la parte. In particolare e’ stata ritenuta la nullita’, e non l’inesistenza, della notificazione nei seguenti casi (tra altri): a) notificazione dell’atto di appello eseguita presso l’avvocato domiciliatario il quale, successivamente alla data di deliberazione della sentenza di primo grado, era stato cancellato dall’albo per effetto dell’irrogazione di sanzione disciplinare (Cass. n. 12478 del 2013); h) notificazione del ricorso per cassazione eseguita, anziche’ presso il procuratore domiciliatario della parte nel giudizio di secondo grado, presso il diverso procuratore domiciliatario in primo grado (Cass. n. 13451 del 2013); c) notificazione del ricorso per cassazione eseguita, anziche’ presso il procuratore domiciliatario, presso altro difensore della parte costituito nel giudizio di appello (Cass. n. 8759 del 1987); d) notificazione del ricorso per cassazione eseguita al domicilio eletto per il primo grado, quando il destinatario dell’atto sia rimasto contumace in appello (Cass., sez. un., n. 10817 del 2008 e Cass. n. 22529 del 2006); e) in un caso analogo a quello oggetto del presente giudizio – e decidendo su ricorso proposto dal medesimo odierno ricorrente -, notificazione dell’impugnazione eseguita presso il difensore nominato in primo grado, ma al quale era stato nel frattempo revocato il mandato (Cass. n. 6183 del 2009).

Si osserva, in conclusione, nell’ordinanza che, alla luce dell’analisi dell’intera produzione giurisprudenziale di questa Corte a partire da Cass., sez. un., n. 3947/87, cit., “la radice prima del contrasto risiede nella totale inaffidabilita’ della pur tradizionale distinzione tra nullita’ ed inesistenza della notificazione, o quanto meno nella pretesa di ravvisare la distinzione tra l’una e l’altra nell’esistenza o meno d’un qualche collegamento tra destinatario e luogo della notifica”. “La storia della giurisprudenza degli ultimi quaranta anni” – conclude il Collegio rimettente – “dimostra infatti che quel criterio, per la sua sconfinata latitudine, e’ stato suscettibile delle piu’ disparate applicazioni, e lungi dal costituire un criterio distintivo sicuro, ha rappresentato nei fatti un argine rotto al torrente delle opinioni, un fornite inesauribile di liti ed un volano di contrasti. Ne’ va trascurato che la tradizionale distinzione tra nullita’ ed inesistenza, nella misura in cui favorisce esiti processuali diversi da una decisione piena nel merito, appaia di dubbia compatibilita’ col mutato quadro costituzionale e con l’ordinamento sovranazionale”.

2.1. Anche se nella fattispecie l’ipotesi ricorrente, come detto sopra, e’ quella della notificazione del ricorso per cassazione effettuata nel domicilio eletto per il primo grado di giudizio, nell’ipotesi in cui il destinatario dell’atto abbia in grado di appello nominato un diverso procuratore ed eletto un diverso domicilio, ritengono le sezioni unite che le questioni sollevate necessitano di un esame e di una soluzione piu’ generali, poiche’ investono, in radice, un unico problema di fondo – di notevolissimo rilievo teorico e pratico (in quanto ha dato luogo da decenni, e continua a dar luogo, a persistenti oscillazioni giurisprudenziali) – , che consiste nell’individuare un criterio distintivo il piu’ possibile chiaro, univoco e sicuro tra le tradizionali nozioni di inesistenza e di nullita’ della notificazione (specificamente, del ricorso per cassazione) e che, in definitiva, tocca, come rileva l’ordinanza interlocutoria, la stessa validita’ concettuale (e concreta utilita’) della distinzione tra le due nozioni, cioe’, in sostanza, la configurabilita’ della inesistenza come “vizio” dell’atto, autonomo e piu’ grave della nullita’, con le conseguenze che ne derivano.

2.2. L’unica norma del codice di procedura civile che si occupa dell’invalidita’ della notificazione e’ l’art. 160, il quale, sotto la rubrica “Nullita’ della notificazione”, dispone che “La notificazione e’ nulla se non sono osservate le disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata la copia, o se vi e’ incertezza assoluta sulla persona a cui e’ fatta o sulla data, salva l’applicazione degli artt. 156 e 157”.

Ai fini che qui interessano assume centrale rilievo l’art. 156 (“Rilevanza della nullita’”), il quale prevede che: “Non puo’ essere pronunciata la nullita’ per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullita’ non e’ comminata dalla legge” (primo comma); “Puo’ tuttavia essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo” (comma 2); “La nullita’ non puo’ mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui e’ destinato” (comma 3).

Una prima osservazione puo’ essere gia’ formulata: in tema di notificazione, come in generale di atti processuali, il codice non contempla la categoria della “inesistenza”, nemmeno con riguardo alla sentenza priva della sottoscrizione del giudice, qualificata come affetta da nullita’ per la quale e’ tuttavia esclusa, ai sensi dell’art. 161 c.p.c., comma 2, l’applicazione del principio dell’assorbimento nei mezzi di gravame – sul tema cfr. ora Cass., sez. un., n. 11021 del 2014 -; nullita’, quindi, assolutamente insanabile (in relazione alla quale viene evocata, da una gran parte della dottrina e della giurisprudenza, la figura della inesistenza).

Tale constatazione, tuttavia, per un verso non e’ appagante: il legislatore non ha motivo di disciplinare gli effetti di cio’ che non esiste, non solo, com’e’ ovvio, dal punto di vista storico-naturalistico, ma anche sotto il profilo giuridico; per altro verso, induce a ritenere che la nozione di inesistenza della notificazione debba essere definita in termini assolutamente rigorosi, cioe’ confinata ad ipotesi talmente radicali che il legislatore ha, appunto, ritenuto di non prendere nemmeno in considerazione (gia’ da tempo la giurisprudenza ha sottolineato l’esigenza di assegnare carattere residuale alla categoria dell’inesistenza della notificazione: Cass., sez. un., n. 22641 del 2007 e m 10817 del 2008; Cass. n. 6183 del 2009 e n. 12478 del 2013).

In definitiva, deve affermarsi che l’inesistenza della notificazione e’ configurabile, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attivita’ priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile quell’atto.

L’inesistenza non e’, dunque, in senso stretto, un vizio dell’atto piu’ grave della nullita’, poiche’ la dicotomia nullita’/inesistenza va, alla fine, ricondotta alla bipartizione tra l’atto e il non atto.

2.3. Rilievo fondamentale va attribuito in materia al citato art. 156 c.p.c. (richiamato dall’art. 160), nel quale trova diretta espressione unitamente agli art. 121 (“gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma piu’ idonea al raggiungimento del loro scopo”) e art. 131, comma 1 (secondo il quale, quando la legge non prescrive che il giudice pronunci sentenza, ordinanza o decreto, “i provvedimenti sono dati in qualsiasi forma idonea al raggiungimento del loro scopo”) – il principio di strumentalita’ delle forme degli atti processuali, che permea l’intero codice di procedura civile ed al quale, quindi, l’interprete deve costantemente ispirarsi.

Le forme degli atti, cioe’, sono prescritte al fine esclusivo di conseguire un determinato scopo, coincidente con la funzione che il singolo atto e’ destinato ad assolvere nell’ambito del processo, e cosi’, in definitiva, con lo scopo ultimo del processo, consistente nella pronuncia sul merito della situazione giuridica controversa: che il principio del “giusto processo”, di cui all’art. 111 Cost., ed all’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, comprenda, tra i valori che intende tutelare (oltre alla durata ragionevole del processo, all’imparzialita’ del giudice, alla tutela del contraddittorio, ecc.), il diritto di ogni persona ad un “giudice” che emetta una decisione sul merito della domanda ed imponga, pertanto, all’interprete di preferire scelte ermeneutiche tendenti a garantire tale finalita’, costituisce affermazione acquisita nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., sez. un., nn. 15144 del 2011, 17931 del 2013, 5700 del 2014, nonche’ Cass. nn. 3362 del 2009, 14627 del 2010, 17698 del 2014, 1483 del 2015 e la stessa ordinanza di rimessione), anche alla luce di quella della Corte EDU, la quale ammette limitazioni all’accesso ad un giudice solo in quanto espressamente previste dalla legge ed in presenza di un rapporto di proporzionalita’ tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (v., tra altre, Omar c. Francia, 29 luglio 1998; Bellet c. Francia, 4 dicembre 1995), ponendo in rilievo la esigenza che tali limitazioni siano stabilite in modo chiaro e prevedibile (v., ad es., Fallejsek c. Rep. Ceca, 15 agosto 2008).

2.4. In particolare, riveste importanza decisiva il terzo comma dell’art. 156 cit., il quale, dopo che nel comma precedente e’ previsto che la nullita’ puo’ essere pronunciata – anche al di la’ dell’espressa comminatoria di legge – “quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo”, stabilisce, con formula perentoria e di chiusura, che la nullita’ “non puo’ mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui e’ destinato”.

Da tale norma discendono, per quanto concerne la notificazione, le seguenti conseguenze:

a) occorre che un “atto”, riconoscibile come “notificazione”, esista, nei ristretti termini sopra indicati, e che verranno di seguito precisati;

b) se cosi’ e’, qualunque vizio dell’atto ricade nell’ambito della nullita’, senza che possa distinguersi, al fine di individuare ulteriori ipotesi di inesistenza attraverso la negazione del raggiungimento dello scopo, tra valutazione ex ante e constatazione ex post, poiche’ il legislatore ha chiaramente inteso dare prevalenza a quest’ultima – in piena attuazione del principio della strumentalita’ delle forme -, cioe’ ai dati dell’esperienza concreta, sia pure dovuta ad accadimenti del tutto accidentali, rispetto agli elementi di astratta potenzialita’ e prevedibilita’.

2.5. Scopo della notificazione e’ quello di provocare la presa di conoscenza di un atto da parte del destinatario, attraverso la certezza legale che esso sia entrato nella sua sfera di conoscibilita’, con gli effetti che ne conseguono (in termini – per quanto qui interessa – di instaurazione del contraddittorio).

In presenza di una notificazione nulla, cosi’ come opera la sanatoria per raggiungimento dello scopo, attraverso la costituzione in giudizio della parte intimata, correlativamente, in mancanza di tale costituzione, il giudice, ai sensi dell’art. 291 c.p.c., deve dispone la rinnovazione della notificazione (fissando a tal fine un termine perentorio), a meno che la parte stessa non abbia a cio’ gia’ spontaneamente provveduto.

Entrambi i rimedi, che sono previsti a fronte del verificarsi del medesimo presupposto della nullita’ della notificazione – con l’unica peculiarita’ che l’attivazione spontanea della parte (con la costituzione o la rinnovazione) rende superfluo l’intervento dei giudice -, operano con efficacia ex tunc, cioe’ sanano con effetto retroattivo il vizio della notificazione (quella originaria, nei caso di rinnovazione): cio’ e’ previsto espressamente nel citato art. 291 (“la rinnovazione impedisce ogni decadenza”), si configura come una normale qualita’ del concetto di sanatoria e costituisce un’ulteriore espressione del principio di strumentalita’ delle forme.

Va ribadito, per completezza, che il detto effetto sanante ex lune prodotto dalla costituzione del convenuto – la quale non e’ mai tardiva, poiche’ la nullita’ della notificazione impedisce la decorrenza del termine (per tutte, Cass., sez. un., n. 14539 del 2001) – opera anche nel caso in cui la costituzione sia effettuata al solo fine di eccepire la nullita’ (tra altre, Cass., sez. un., n. 5785 del 1994; Cass. nn. 10119 del 2006, 13667 del 2007, 6470 del 2011).

2.6. La notificazione e’ solitamente definita come una sequenza di atti, un procedimento, articolato in fasi e finalizzato allo scopo indicato nel paragrafo precedente.

Gli elementi costitutivi imprescindibili di tale procedimento vanno individuati, quanto al ricorso per cassazione: a) nell’attivita’ di trasmissione, che deve essere svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilita’ giuridica di compiere l’attivita’ stessa, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento, in virtu’ dei quali, cioe’, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita: restano, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, si’ da dover reputare la notifica meramente tentata ma non compiuta, cioe’, in definitiva, omessa.

La presenza di detti requisiti, che possono definirsi strutturali, va ritenuta idonea ai fini della riconoscibilita’ dell’atto come notificazione: essi, cioe’, sono sufficienti a integrare la fattispecie legale minima della notificazione, rendendo qualificabile l’attivita’ svolta come atto appartenente al tipo previsto dalla legge.

In conclusione, deve essere superata la tesi che include in tale modello legale, facendone derivare, in sua mancanza, la inesistenza della notificazione, il requisito del “collegamento” (o del “riferimento”) tra il luogo della notificazione e il destinatario: si tratta, infatti, di un elemento che si colloca fuori del perimetro strutturale della notificazione e la cui assenza (come nelle fattispecie indicate nell’ordinanza di rimessione) ricade, in base all’insieme delle considerazioni fin qui svolte, nell’ambito della nullita’, sanabile con effetto ex tunc attraverso la costituzione dell’intimato o la rinnovazione dell’atto, spontanea o su ordine del giudice.

2.7. Vanno, pertanto, enunciati i seguenti principi di diritto:

– “L’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione e’ configurabile, in base ai principi di strumentalita’ delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attivita’ priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformita’ dal modello legale nella categoria della nullita’. Tali elementi consistono: a) nell’attivita’ di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilita’ giuridica di compiere detta attivita’, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtu’ dei quali, cioe’, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, si’ da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioe’, in definitiva, omessa”;

– “Il luogo in cui la notificazione del ricorso per cassazione viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto. Ne consegue che i vizi relativi alla individuazione di detto luogo, anche qualora esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell’ambito della nullita’ dell’atto, come tale sanabile, con efficacia ex tunc, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullita’), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla pane stessa oppure su ordine del giudice ai sensi dell’art. 291 c.p.c.”.

3. Alla luce degli esposti principi, nella fattispecie la notificazione del ricorso eseguita presso il difensore domiciliatario della controparte per il giudizio di primo grado, anziche’ presso il difensore costituito nel giudizio di appello e presso il quale essa aveva eletto domicilio per tale grado del processo, e’ affetta da nullita’ per violazione dell’art. 330 c.p.c., sanata dall’avvenuta costituzione della parte medesima.

4. Il ricorso va, pertanto, dichiarato ammissibile, con rimessione degli atti alla terza sezione civile per l’ulteriore esame.

P.Q.M.
La Corte, a sezioni unite, dichiara ammissibile il ricorso e rimette gli atti alla terza sezione civile.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 1 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2016


Furbetti del cartellino: entrano in vigore le nuove norme

Vita dura per i “furbetti del cartellino”. Entra in vigore, infatti, il decreto legislativo n. 116/2016 pubblicato in Gazzetta ufficiale il 28 giugno scorso (qui sotto riportato), emanato in attuazione della riforma Madia e avente il fine di mettere alle strette gli assenteisti della Pubblica Amministrazione, con un contrasto più forte che passa da un procedimento “accelerato” con sospensioni veloci e licenziamenti rapidi per chi è colto in flagranza ad attestare falsamente la presenza al lavoro, ma anche super sanzioni a carico di chi deve vigilare.

Lo scopo è quello di mettere un freno a un fenomeno che colpisce la credibilità dell’intera amministrazione pubblica, accelerato dal dibattito avviato dopo il recente episodio del comune di Sanremo (con quasi 200 indagati su poco più di 500 dipendenti) che di fatto ha scoperchiato un “vaso di Pandora” rivelando una questione nazionale che riguarda indifferentemente Nord e Sud, da Belluno alla provincia di Reggio Calabria e da ultimo a quella di Napoli, con oltre 200 episodi di assenteismo e 23 dipendenti “beccati” in flagranza, due dei quali mentre timbravano con la testa coperta da una scatola di cartone.

Saranno operative le diverse novità introdotte dal decreto che ha modificato l’art. 55 quater del Testo unico del pubblico impiego (Dlgs 165/2001).

La falsa attestazione della presenza

In base alle nuove norme, costituisce falsa attestazione della presenza in servizio, “qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l’amministrazione presso la quale il dipendente presta attività lavorativa circa il rispetto dell’orario di lavoro dello stesso”.

La sospensione senza stipendio

Se la falsa attestazione della presenza in servizio, viene “accertata in flagranza, in altre parole mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze”, l’amministrazione deve disporre l’immediata sospensione cautelare senza stipendio del dipendente, “fatto salvo solamente il diritto all’assegno alimentare nella misura stabilita dalle disposizioni normative e contrattuali vigenti, senza obbligo di preventiva audizione dell’interessato”.

La sospensione deve essere disposta dal responsabile della struttura in cui il dipendente lavora o, ove ne venga a conoscenza per primo, dall’ufficio, con provvedimento motivato, in via immediata e comunque “entro quarantotto ore” dalla conoscenza del fatto.

Nel caso di violazione di tale termine, in ogni caso non si determina la decadenza dall’azione disciplinare né l’inefficacia della sospensione cautelare, fatta salva l’eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile.

Il licenziamento

Con il medesimo provvedimento di sospensione, si avvia il procedimento disciplinare, procedendo anche alla contestuale contestazione scritta dell’addebito e alla convocazione del dipendente per il contraddittorio a sua difesa.

Il dipendente è convocato, per il contraddittorio a sua difesa, con un preavviso di almeno 15 giorni, potendo farsi assistere da un procuratore o da un rappresentante del sindacato cui aderisce o conferisce mandato.

Fino all’audizione, il dipendente può inviare memoria scritta o in caso di “grave, oggettivo e assoluto impedimento”, chiedere rinvio (motivato) del termine per l’esercizio della sua difesa per un periodo non superiore a 5 giorni. Il differimento può essere disposto soltanto una volta nel corso del procedimento.

L’ufficio deve concludere il procedimento “entro trenta giorni dalla ricezione, da parte del dipendente, della contestazione dell’addebito”. Anche in tal caso, la violazione dei termini, fatta salva l’eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dall’azione disciplinare ne’ l’invalidità della sanzione irrogata, “purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente e non sia superato il termine per la conclusione del procedimento di cui all’articolo 55-bis, comma 4”.

Al termine della procedura, se le giustificazioni addotte non sono considerate sufficienti, il lavoratore può essere licenziato.

Il danno all’immagine

Il dipendente beccato ad attestare falsamente la propria presenza al lavoro rischia anche di risarcire il danno all’immagine prodotto alla P.A.

La denuncia dei fatti al Pubblico Ministero e la segnalazione alla competente procura regionale della Corte dei Conti va fatta dal responsabile della struttura che ha sospeso il dipendente entro 15 giorni dall’avvio del procedimento disciplinare. Entro tre mesi dal licenziamento, se ritiene ricorrenti i presupposti, la procura della Corte dei Conti, emette nei confronti del dipendente “invito a dedurre” per il danno d’immagine. L’azione va esercitata entro 120 giorni successivi alla denuncia e senza possibilità di proroga. Quanto all’ammontare del danno risarcibile, questo è rimesso alla valutazione equitativa del giudice, tenendo conto anche della “rilevanza del fatto per i mezzi di informazione”. In ogni caso, l’eventuale condanna non può essere inferiore a 6 mesi di stipendio, oltre agli interessi e alle spese di giustizia.

Puniti anche colleghi e dirigenti

Della violazione perpetrata dal lavoratore sulla falsa attestazione in servizio, rispondono anche i colleghi e comunque “chi agevola con la propria condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta”.

La legge punisce anche i dirigenti e i responsabili di servizio competenti che, avendo acquisito conoscenza del fatto, non si siano attivati ad avviare il procedimento disciplinare e abbiano omesso l’adozione del provvedimento di sospensione cautelare, salvo che non abbiano avuto “giustificato motivo”.

Tali condotte costituiscono “illecito disciplinare punibile con il licenziamento e di esse è data notizia, da parte dell’ufficio competente per il procedimento disciplinare, all’autorità giudiziaria ai fini dell’accertamento della sussistenza di eventuali reati”.

Disposizioni transitorie

Le disposizioni dettate dal nuovo decreto si applicano agli illeciti disciplinari commessi successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso, e cioè a partire dal 28 giugno.

DECRETO LEGISLATIVO 20 giugno 2016, n. 116 (1).

Modifiche all’articolo 55-quater del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera s), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di licenziamento disciplinare.

(1)Pubblicato nella Gazz. Uff. 28 giugno 2016, n. 149.

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 76, 87 e 97 della Costituzione;

Vista la legge 7 agosto 2015, n. 124, recante riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, e, in particolare, l’articolo 17, comma 1, lettera s), recante delega al Governo per il riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche;

Visto il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e, in particolare gli articoli 55, 55-bis, 55-ter, 55-quater, 55-quinquies, 55-sexies come successivamente modificati dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150;

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 20 gennaio 2016;

Sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nella riunione del 4 febbraio 2016;

Acquisito il parere della Conferenza unificata, ai sensi dell’articolo 8, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, espresso nella seduta del 3 marzo 2016;

Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi nell’adunanza del 16 marzo 2016;

Acquisito il parere della Commissione parlamentare per la semplificazione e delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;

Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 15 giugno 2016;

Sulla proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione;

EMANA

il seguente decreto legislativo:

Art. 1. Modifiche all’articolo 55-quater del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165

  1. All’articolo 55-quater del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono apportate le seguenti modificazioni:
  2. a) dopo il comma 1 è inserito il seguente: «1-bis. Costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l’amministrazione presso la quale il dipendente presta attività lavorativa circa il rispetto dell’orario di lavoro dello stesso. Della violazione risponde anche chi abbia agevolato con la propria condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta.»;
  3. b) dopo il comma 3, sono inseriti i seguenti: «3-bis. Nel caso di cui al comma 1, lettera a), la falsa attestazione della presenza in servizio, accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze, determina l’immediata sospensione cautelare senza stipendio del dipendente, fatto salvo il diritto all’assegno alimentare nella misura stabilita dalle disposizioni normative e contrattuali vigenti, senza obbligo di preventiva audizione dell’interessato. La sospensione è disposta dal responsabile della struttura in cui il dipendente lavora o, ove ne venga a conoscenza per primo, dall’ufficio di cui all’articolo 55-bis, comma 4, con provvedimento motivato, in via immediata e comunque entro quarantotto ore dal momento in cui i suddetti soggetti ne sono venuti a conoscenza. La violazione di tale termine non determina la decadenza dall’azione disciplinare né l’inefficacia della sospensione cautelare, fatta salva l’eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile.

3-ter. Con il medesimo provvedimento di sospensione cautelare di cui al comma 3-bis si procede anche alla contestuale contestazione per iscritto dell’addebito e alla convocazione del dipendente dinanzi all’Ufficio di cui all’articolo 55-bis, comma 4. Il dipendente è convocato, per il contraddittorio a sua difesa, con un preavviso di almeno quindici giorni e può farsi assistere da un procuratore ovvero da un rappresentante dell’associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato. Fino alla data dell’audizione, il dipendente convocato può inviare una memoria scritta o, in caso di grave, oggettivo e assoluto impedimento, formulare motivata istanza di rinvio del termine per l’esercizio della sua difesa per un periodo non superiore a cinque giorni. Il differimento del termine a difesa del dipendente può essere disposto solo una volta nel corso del procedimento. L’Ufficio conclude il procedimento entro trenta giorni dalla ricezione, da parte del dipendente, della contestazione dell’addebito. La violazione dei suddetti termini, fatta salva l’eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dall’azione disciplinare né l’invalidità della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente e non sia superato il termine per la conclusione del procedimento di cui all’articolo 55-bis, comma 4.

3-quater. Nei casi di cui al comma 3-bis, la denuncia al pubblico ministero e la segnalazione alla competente procura regionale della Corte dei conti avvengono entro quindici giorni dall’avvio del procedimento disciplinare. La Procura della Corte dei conti, quando ne ricorrono i presupposti, emette invito a dedurre per danno d’immagine entro tre mesi dalla conclusione della procedura di licenziamento. L’azione di responsabilità è esercitata, con le modalità e nei termini di cui all’articolo 5 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, entro i centoventi giorni successivi alla denuncia, senza possibilità di proroga. L’ammontare del danno risarcibile è rimesso alla valutazione equitativa del giudice anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione e comunque l’eventuale condanna non può essere inferiore a sei mensilità dell’ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia.

3-quinquies. Nei casi di cui al comma 3-bis, per i dirigenti che abbiano acquisito conoscenza del fatto, ovvero, negli enti privi di qualifica dirigenziale, per i responsabili di servizio competenti, l’omessa attivazione del procedimento disciplinare e l’omessa adozione del provvedimento di sospensione cautelare, senza giustificato motivo, costituiscono illecito disciplinare punibile con il licenziamento e di esse è data notizia, da parte dell’ufficio competente per il procedimento disciplinare, all’Autorità giudiziaria ai fini dell’accertamento della sussistenza di eventuali reati.».

Art. 2. Clausola di invarianza finanziaria

  1. Dall’attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Art. 3. Disposizione transitoria

  1. Le disposizioni di cui all’articolo 1 si applicano agli illeciti disciplinari commessi successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.


Cass. civ. Sez. Unite, Sent., (ud. 05-04-2016) 15-07-2016, n. 14594

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente Sezione –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20550/2014 proposto da:

P.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato SERGIO GALLEANO, che la rappresenta e difende, per delega in calce al ricorso (ammesso al G.P. in data 9/9/2014);

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., società con socio unico, in persona dell’Amministratore Delegato pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la rappresenta e difende, per delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 923/2012 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 20/08/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/04/2016 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

uditi gli avvocati Sergio GALLEANO e Luigi FIORILLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
1. P.S. chiede la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bologna, pubblicata il 20 agosto 2013, emessa nella causa proposta nei confronti di Poste italiane spa.

2. La ricorrente espone di aver convenuto la società dinanzi al Tribunale di Bologna chiedendo che venisse accertata la illegittimità dell’apposizione del termine di tre contratti di lavoro subordinato, stipulati ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, (introdotto dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266):

3. Il Tribunale respinse il suo ricorso e la Corte d’appello di Bologna respinse il suo appello. Contro tale decisione la ricorrente propone un ricorso per cassazione articolato in due motivi.

4. La società si è difesa con controricorso, eccependo, preliminarmente inammissibilità del ricorso per tardività della notifica.

5. La questione di fondo è stata rimessa dalla Sezione lavoro al Primo Presidente, il quale ha disposto che la Corte pronunci a Sezioni unite (le problematiche rimesse alle Sezioni unite sono state decise, in causa analoga, con sentenza 31 maggio 2016, n. 11374).

Motivi della decisione
6. L’eccezione di inammissibilità per tardività della notifica del ricorso è fondata.

7. La sentenza della Corte d’appello di Bologna, oggetto dell’impugnazione, fu pubblicata il 20 agosto 2013. Quasi un anno dopo, il 12 agosto 2014, la ricorrente richiese la notifica del ricorso per cassazione presso gli avvocati Luigi Fiorillo e Varoutsickou Cristina, via Panzacchi 19 Bologna (indirizzo dello studio dell’avv. Cristina Varoutsickou, indicata come domiciliataria nella sentenza impugnata).

8. Il difensore della ricorrente per cassazione depositò nella cancelleria della Corte di cassazione un atto datato 15 ottobre 2014, definito “Istanza di concessione termine per notifica”, con il quale espose che la notifica del ricorso richiesta il 12 agosto 2014 con riferimento al domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Cristina Varoutsickou, sito in Bologna, viale Panzacchi n. 19, non era andata a buon fine, in quanto, come si evinceva dalla ricevuta di ritorno, l’avvocato domiciliatario risultava trasferito presso una nuova sede in via della Zecca, 1, Bologna.

Chiese, pertanto, l’assegnazione di un termine per provvedere alla notifica del ricorso al procuratore costituito nel nuovo domicilio eletto.

9. Con provvedimento del 22 ottobre 2014 il coordinatore della Sesta sezione-lavoro, esaminata la richiesta, invitò l’istante a procedere a nuova notifica, precisando che sarebbe stato poi il collegio giudicante a valutare l’idoneità delle giustificazioni e l’ammissibilità del ricorso.

10.11 procuratore della ricorrente richiese in data 12 novembre 2014 una nuova notifica all’avv. Cristina Varoutsickou, in via della Zecca n. 1, Bologna, che è stata effettuata mediante spedizione a mezzo del servizio postale il 13 novembre 2014 (l’atto è stato ricevuto dalla controparte il 19 novembre 2014).

11. Nella sua memoria la società intimata, a sostegno della eccezione di tardività, ha precisato che il trasferimento dell’avvocato domiciliatario era avvenuto sin dal 1 ottobre 2012.

12. Si pongono due problemi, in successione logica tra loro.

13. Il primo è quello della imputabilità dell’errore sul domicilio.

Le Sezioni unite, distinguono a tal fine due ipotesi, a seconda che il procuratore eserciti o meno la sua attività professionale, nel circondario del Tribunale in cui si svolge la controversia.

14. “Nel caso di difensore che svolga le sue funzioni nello stesso circondario del Tribunale a cui egli sia professionalmente assegnato, è onere della parte interessata ad eseguire la notifica accertare, anche mediante riscontro delle risultanze dell’albo professionale, quale sia l’effettivo domicilio professionale del difensore, con la conseguenza che non può ritenersi giustificata l’indicazione nella richiesta di notificazione di un indirizzo diverso, ancorchè eventualmente corrispondente a indicazione fornita dal medesimo difensore nel giudizio non seguita da comunicazione nell’ambito del giudizio del successivo mutamento” (sez. un., 24 luglio 2009, n. 17352, richiamando sez. un., 18 febbraio 2009, n. 3818).

15. Le medesime sentenze delle Sezioni unite indicano una soluzione diversa per il caso (come quello in esame) in cui il difensore svolga le sue funzioni in un altro circondario ed abbia proceduto all’elezione di domicilio ai sensi del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82. Tali pronunce ricostruiscono il sistema nel senso che solo in caso di svolgimento di attività al di fuori della circoscrizione di assegnazione si delinea un obbligo di comunicare i mutamenti di domicilio, che invece non sussiste quando il procuratore operi nel suo circondario (così, in particolare, sez. un., 3818/2009, cit., cui si rinvia per una più completa ricostruzione della normativa del 1934 e della ratio dell’art. 82).

16. In questo tipo di situazione “la notifica dell’impugnazione al procuratore che, esercente fuori della circoscrizione, abbia eletto domicilio ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82, presso un altro procuratore, assegnato alla circoscrizione dell’ufficio giudiziario adito, va effettuata nel luogo indicato come domicilio eletto in forza degli artt. 330 e 141 c.p.c., senza che al notificante sia fatto onere di riscontrare previamente la correttezza di quell’indirizzo presso il locale albo professionale, perchè è onere della parte che ha eletto domicilio comunicare alla controparte gli eventuali mutamenti”.

17. In tal senso si esprimono le sentenze delle sezioni unite prima richiamate, nonchè la successiva giurisprudenza delle sezioni semplici, compresa quella della sesta sezione civile (cfr., da ultima, Cass., 6-3, ord., 18 novembre 2014, n. 24539).

18. Quindi, nel caso in esame, la ricorrente non aveva l’onere di controllare che l’indirizzo dello studio del procuratore domiciliatario della società intimata fosse mutato rispetto a quello dichiarato nel corso del giudizio e riportato nell’intestazione della sentenza impugnata e non ha errato nel richiedere la notificazione presso lo studio del procuratore domiciliatario indicato in sentenza.

19. L’esclusione dell’imputabilità di un errore a carico della ricorrente permette di passare all’esame di un secondo problema, consistente nello stabilire quale comportamento deve tenere la parte dopo aver preso atto del fatto che, a causa del trasferimento dello studio, la notifica richiesta non è andata a buon fine.

20. La giurisprudenza delle Sezioni unite è giunta sul punto ad una posizione precisa, costantemente seguita dalla successive decisioni delle sezioni semplici.

21. Cass., sez. un., 24 luglio 2009, n. 17352, ha fissato il seguente principio di diritto: “Nel caso in cui la notificazione di un atto processuale da compiere entro un termine perentorio non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, quest’ultimo, ove se ne presenti la possibilità, ha la facoltà e l’onere di richiedere la ripresa del procedimento notificatorio, e la conseguente notificazione, ai fini del rispetto del termine, avrà effetto fin dalla data della iniziale attivazione del procedimento, semprechè la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un tempo ragionevolmente contenuto, tenuti anche presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per venire a conoscenza dell’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie”.

Quindi, se la mancata notifica non è imputabile alla parte che l’ha richiesta, il processo notificatorio continua a ritenersi iniziato nel momento in cui è stata richiesta la notifica. Questa continuità, però, sussiste solo in presenza di alcune condizioni.

22. La prima riguarda l’iniziativa. E’ la parte istante che, preso atto della non riuscita della notifica a causa della modifica del domicilio, deve attivarsi per individuare il nuovo domicilio e completare il processo notificatorio. E deve fare ciò in piena autonomia.

23. Nell’ampia motivazione della sentenza 17352/2009 le Sezioni unite hanno spiegato, correggendo una precedente decisione, che la ripresa del processo notificatorio è rimessa alla parte istante e che deve escludersi la possibilità di chiedere una preventiva autorizzazione del giudice, vuoi perchè questa sub-procedura allungherebbe ulteriormente i tempi processuali, vuoi perchè non sarebbe “neanche utile al fine di avere una previa valutazione certa circa la sussistenza delle condizioni per la ripresa del procedimento di notificazione, in quanto si tratterebbe solo di una valutazione preliminare effettuata non in sede decisoria e per di più in assenza del contraddittorio con la controparte interessata” (sez. un., 17352/2009, cit.; il principio è stato ribadito dalle sezioni semplici: Cass., 11 settembre 2013, n. 20830 e Cass., 25 settembre 2015, n. 19060).

24. L’attività della parte interessata a completare la notificazione deve essere attivata con “immediatezza” appena appresa la notizia dell’esito negativo della notificazione e deve svolgersi con “tempestività” (ancora, sez.. un., 17352/2009, cit.).

25. La giurisprudenza delle sezioni semplici successiva ha applicato costantemente questi principi.

26. Cass., 25 settembre 2015, n. 19060 ha precisato che l’onere di indicare e provare il momento in cui ha appreso dell’esito negativo della notifica grava sull’istante (in tale sentenza la Corte, applicando questo principio, ha ritenuto tardivo un ricorso per il fatto che la parte non aveva fornito una prova adeguata della sua affermazione, in quanto non aveva prodotto la cartolina di ritorno della prima notifica, a mezzo posta, non andata a buon fine).

27. Cass., 30 settembre 2011, n. 19986, ha precisato che l’istante deve provvedere con “sollecita diligenza” ed ha escluso la tardività della notifica del ricorso per cassazione perchè la rinnovazione della notificazione nel caso al suo esame era stata effettuata dopo sette giorni dalla prima tentata notifica e a distanza di quattro giorni dallo scadere del termine.

28. La sesta sezione, che sovraintende alla nomofilachia dell’inammissibilità, applicando i criteri dell’immediatezza dell’iniziativa e della sollecita diligenza nello svolgimento delle conseguenti attività, ha escluso la tardività una nuova notificazione di un ricorso per cassazione richiesta il 22 luglio 2013 a seguito della comunicazione di avvenuto trasferimento dello studio in sede di relazione negativa di una prima notifica richiesta il 16 luglio 2013 (Cass., 6-3, ord. 19 novembre 2014, n. 24641).

29. Più in generale, può affermarsi che, fermo l’onere dell’istante di provare il rispetto dei su indicati criteri, dal sistema sia anche desumibile un limite massimo del tempo necessario per riprendere e completare il processo notificatorio relativo alle impugnazioni, una volta avuta notizia dell’esito negativo della prima richiesta. Tale termine può essere fissato in misura pari alla metà del tempo indicato per ciascun tipo di atto di impugnazione dall’art. 325 c.p.c..

30. Se questi termini sono ritenuti congrui dal legislatore per svolgere un ben più complesso e impegnativo insieme di attività necessario per concepire, redigere e notificare un atto di impugnazione a decorrere dal momento in cui si è stato pubblicato il provvedimento da impugnare, può ragionevolmente desumersi che lo spazio temporale relativo alla soluzione dei soli problemi derivanti da difficoltà nella notifica, non possa andare oltre la metà degli stessi, salvo una rigorosa prova in senso contrario (ad esempio, relativa a difficoltà del tutto particolari nel reperire l’indirizzo del nuovo studio).

31. Principio di diritto: “La parte che ha richiesto la notifica, nell’ipotesi in cui non sia andata a buon fine per ragioni e lei non imputabili, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria, deve attivarsi con immediatezza per riprendere il processo notificatorio e deve svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento. Questi requisiti di immediatezza e tempestività non possono ritenersi sussistenti qualora sia stato superato il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data rigorosa prova”:

32. Nel caso in esame, i requisiti mancano con tutta evidenza, perchè la notifica fu richiesta il 12 agosto 2014, a fronte di un termine che scadeva il 20 agosto 2014; il plico fu restituito al mittente per mancata notifica nel medesimo mese di agosto 2014; il rinnovo della notifica, poi andato a buon fine, è stato richiesto il 12 novembre 2014. Il ricorso di conseguenza è inammissibile per tardività della notifica.

33. L’inammissibilità comporta la condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità. Non è invece dovuto il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, poichè la ricorrente ha documentato di essere stato ammessa al patrocinio a spese dello Stato (cfr., ampie, Cass., 2 settembre 2014, n. 18523).

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla controparte le spese del giudizio di legittimità, che liquida in 3.000,00 Euro per compensi professionali, 200,00 Euro per esborsi, oltre spese generali in misura del 15% ed accessori. Non sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2016


ARAN: I dipendenti pubblici possono essere richiamati mentre sono in ferie

I dipendenti pubblici possono essere richiamati mentre sono in ferie, previo rimborso del viaggio da parte dell’amministrazione.

Ferie e malattia non possono essere utilizzati ad ore, per entrare dopo o uscire prima dal lavoro, bensì solo a giornata.

La “stretta” arriva dall’Aran, che ha pubblicato le Linee Guida per offrire uno strumento agevole di consultazione per tutte le amministrazioni.

Così – norme, contratti e giurisprudenza alla mano – l’Aran ha sciolto dubbi su quanto è lecito e quanto non lo è, indicando tetti e vincoli in fatto di assenze.

Le vere novità invece stanno per arrivare e saranno contenute nel testo unico per il pubblico impiego che dovrebbe vedere la luce entro l’anno.

Ecco i vari chiarimenti:

Ferie e malattia non sono ad ore

Se spacchettare ferie e malattia in ore è stata sempre una questione dibattuta, l’Aran chiarisce che invece è vietato. Sono “a giornata” e quindi non frazionabili. Di conseguenza, chi volesse dimezzare la giornata non può farlo.

Così pure per le malattie, anche se nei mesi scorsi si era parlato di permettere la ricaduta dei permessi ad ore per le visite specialistiche sotto la voce “malattia”.

Ritorno “forzato” dalle vacanze

Quanto alle ferie, non ci sono dubbi invece sul fatto che la PA possa richiamare il lavoratore mentre si trova in vacanza “per oggettive e prevalenti necessità organizzative“. In tal caso scatta il “risarcimento”: il lavoratore “ha diritto al rimborso delle spese documentate di viaggio“.

Non si rinvengono invece disposizioni, legislative o contrattuali, “ostative alla fruizione delle ferie successivamente ad un’assenza per malattia e, quindi, senza la ripresa del servizio” specifica l’Aran. In ogni caso, il via libera sulle ferie è sempre rimesso alla PA.

Lecito anche sospendere le ferie per malattia, ma sempre e solo dietro adeguata documentazione.

I dipendenti pubblici possono essere richiamati mentre sono in ferie, previo rimborso del viaggio da parte dell’amministrazione. Ferie e malattia non possono essere utilizzati ad ore, per entrare dopo o uscire prima dal lavoro, bensì solo a giornata.

Niente malattia per l’attività sindacale

Replicando a un quesito, l’Aran ha chiarito che la malattia non può essere utilizzata per attività sindacale.

La stessa appare “incompatibile con il riposo psico-fisico necessario ad una rapida ripresa della prestazione lavorativa”. Per cui, occorre ricorrere per chi ne ha necessità a permessi ad hoc.

Permessi legge 104/92

Quanto alla legge 104/92, l’Aran precisa che – salvo specifiche situazioni – non possono essere convertite le ferie già fruite nei tre giorni di permessi per assistenza ai familiari portatori di handicap.

A differenza della malattia, inoltre, per l’Aran i permessi ex lege 104 non possono essere presi nel mezzo delle ferie.

Sul punto, di recente era intervenuto il Ministero del lavoro con l’interpello n.20/2016 affermando che il datore di lavoro non può mai negare al dipendente i permessi retribuiti richiesti ai sensi della legge 104 per assistere un familiare disabile, neanche durante il periodo di ferie programmate.

La fruizione dei permessi, a detta del Ministero, sospenderebbe “il godimento delle ferie” che andrebbero ricollocate in un diverso periodo, previo accordo con il datore di lavoro.

Leggi: Regioni e autonomie locali_ Raccolta sistematica Orientamenti Ferie Dicembre 2015


Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., (ud. 13-04-2016) 05-07-2016, n. 13676

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1321/2015 proposto da:

M.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GALLONIO 18, presso lo studio dell’avvocato MARCELLO FREDIANI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati CARLO DORE, GIOVANNI DORE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

LIQUIGAS S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio (TOFFOLETTO – DE LUCA TAMAJO RAFFAELE), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati FEDERICA PATERNO’, FRANCO TOFFOLETTO, PAOLA PUCCI, ALDO BOTTINI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 418/2014 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 14/11/2014 R.G.N. 226/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/04/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito l’Avvocato DORE CARLO;

udito l’Avvocato PATERNO’ FEDERICA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Con sentenza 14 novembre 2014, la Corte d’appello di Cagliari rigettava il reclamo proposto da M.M. avverso la sentenza di primo grado, che, in accoglimento dell’opposizione ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 51, della società datrice Liquigas s.p.a., aveva respinto l’impugnazione del primo, lavoratore dipendente della seconda, del licenziamento per giusta causa intimatogli con lettera del 28 dicembre 2012 e le conseguenti domande di condanna reintegratoria e risarcitoria, invece annullato dallo stesso tribunale con ordinanza ai sensi dell’art. 1, comma 49, L. cit., con ordine di reintegrazione a norma della novellata L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, e condanna della società datrice al pagamento, in favore del lavoratore, delle retribuzioni maturate dal licenziamento, per la qualificazione dell’addebito, pur ritenuto provato, ai sensi dell’art. 51, lett. L) CCNL industria chimica, con previsione di sanzione conservativa. A motivo della decisione, la Corte territoriale riteneva l’obiettiva gravità del fatto compiuto dal lavoratore (sollevamento da solo di tre bombole di gas del peso di 30 kg ciascuna e caricamento sulla propria autovettura e di una quarta del peso di 40 kg con l’aiuto di un collega il giorno 5 dicembre 2012, quando era ancora assente dal lavoro, per il periodo dal 29 ottobre al 10 dicembre 2012 a causa di discopatie e di lombalgia da cui affetto e che avevano richiesto due interventi chirurgici il 1 febbraio 2011 e il 6 marzo 2012), attentamente valutato alla luce delle scrutinate risultanze istruttorie e collocato nel contesto del risalente conflitto con la società datrice, per la sua richiesta dall’anno 2010, insoddisfatta, di adibizione non più a mansioni operaie (comportanti la movimentazione di bombole di GPL con l’ausilio di idonei macchinari per evitarne il sollevamento) ma impiegatizie, con recente prospettazione dal suo difensore di fiducia di azione legale in tale senso: con apprezzamento pertanto di gravità del fatto tale da non poter essere ascritto ad una mancanza lieve quale quelle elencate nell’art. 51 CCNL industria chimica (per tale da intendere anche la previsione di chiusura della lettera L, relative a “mancanze recanti pregiudizio alla persona, alla disciplina, alla morale o all’igiene”: al di là della forzata riconducibilità al pregiudizio che il lavoratore possa arrecare a se medesimo), sanzionate con la sospensione, ma idoneo ad integrare giusta causa di licenziamento, neppure questo qualificabile come ritorsivo, in difetto dei suoi presupposti.

Con atto notificato il 7 gennaio 2015, M.M. ricorre per cassazione con quattro motivi, cui resiste Liquigas s.p.a. con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione
Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione della L. n. 300 del 1970, art. 15, e art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per omesso esame del fatto decisivo del carattere ritorsivo o discriminatorio del licenziamento, risultante dagli elementi gravemente indiziari prospettati.

Con il secondo, il ricorrente deduce violazione della L. n. 300 del 1970, art. 4, e carenza di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per l’acquisizione della prova del fatto contestato da risultanze processuali (dichiarazioni di M.M. nel libero interrogatorio e testimoniali del suocero T. S.) inutilizzabili, perchè condizionate dall’illegittima utilizzazione di immagini registrate da telecamere collocate all’ingresso dello stabilimento datoriale, in violazione del divieto di controlli a distanza.

Con il terzo, il ricorrente deduce violazione dell’art. 51, lett. L, art. 52 CCNL industria chimica, art. 420 bis c.p.c., e carenza di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per erronea interpretazione della prima norma contrattuale collettiva, sbrigativamente esaminata dalla Corte territoriale ed omessa pronuncia del Tribunale sulla sola questione interpretativa del contratto collettivo nazionale.

Con il quarto, il ricorrente deduce violazione dell’art. 2119 c.c., e carenza di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per omesso esame dei requisiti oggettivi, soggettivi (in riferimento all’elemento intenzionale) e di proporzionalità della giusta causa di licenziamento, nel caso di specie inesistenti, anche considerato l’andamento complessivo del quindicennale rapporto di lavoro tra le parti.

Il primo motivo, relativo a violazione della L. n. 300 del 1970, art. 15, e art. 112 c.p.c., per omesso esame del fatto decisivo del carattere ritorsivo o discriminatorio del licenziamento, è inammissibile.

Con esso il ricorrente non deduce la violazione di norme di diritto in senso proprio, per la mancanza dei requisiti peculiari, di sussunzione del fatto, accertato dal giudice di merito, nell’ipotesi normativa (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 28 novembre 2007, n. 24756), neppure mediante specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina: così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla Corte regolatrice di adempiere al proprio compito istituzionale di verifica del fondamento della violazione denunziata (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984).

Sicchè esso si risolve in una censura di omessa valutazione di elementi di fatto (indicati a pgg. 9 e 10 del ricorso), inconfigurabile alla luce del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis, che esige l’esclusiva deducibilità dell’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).

Parimenti inammissibile è la denuncia di violazione di omessa pronuncia alla stregua di vizio di motivazione anzichè di error in procedendo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, (Cass. 4 giugno 2007, n. 12952; Cass. 24 febbraio 2006, n. 4201). Ed essa è anche infondata per avere la Corte territoriale (lungi dal “non” averne “nemmeno parlato”: così al primo capoverso di pg. 11 del ricorso) motivatamente escluso il carattere ritorsivo o discriminatorio del licenziamento intimato (per le ragioni esposte dall’ultimo capoverso di pg. 9 al settimo alinea di pg. 10 della sentenza).

Il secondo motivo, relativo a violazione della L. n. 300 del 1970, art. 4, e carenza di motivazione, per acquisizione della prova del fatto contestato da risultanze processuali inutilizzabili, perchè condizionate dall’illegittima utilizzazione di immagini registrate da telecamere collocate all’ingresso dello stabilimento datoriale, in violazione del divieto di controlli a distanza, è inammissibile sotto plurimi profili.

Innanzi tutto, esso mescola e sovrappone mezzi d’impugnazione eterogenei, che fanno riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende al contrario rimettere in discussione (Cass. 23 settembre 2011, n. 19443; Cass. 31 gennaio 2013, n. 2299; Cass. 20 settembre 2013, n. 21611).

Anch’esso non attinge poi i requisiti propri della violazione di legge denunciata, che pertanto non si configura, per le ragioni dette (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984).

Inoltre, essa neppure è correttamente individuata ed invocata in una fattispecie estranea alla previsione normativa di divieto di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori: non di una tale violazione trattandosi nel caso di specie, ma di asserita illegittima utilizzazione di documenti irritualmente acquisiti (senza neppure deduzione della norma processuale violata).

E la doglianza è anche infondata, non avendo la Corte territoriale (e neppure il Tribunale) basato la decisione sui documenti contestati (le videoregistrazioni effettuate con gli impianti di sorveglianza dello stabilimento datoriale), ma su un diverso ed autonomo materiale probatorio (in particolare, le dichiarazioni testimoniali del suocero del ricorrente T.S.) puntualmente illustrato (a pgg. 6 e 7 della sentenza).

Il vizio di motivazione denunciato è anche qui inammissibile, alla luce del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis, per la pubblicazione della sentenza impugnata in data posteriore (14 novembre 2014) al trentesimo giorno successivo a quella di entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134, di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (12 agosto 2012), secondo la previsione dell’art. 54, comma 3, del decreto legge citato.

Esso ha, infatti, introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (nel senso che, qualora esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”; fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie: con la conseguente preclusione nel giudizio di cassazione dell’accertamento dei fatti ovvero della loro valutazione a fini istruttori. Sicchè, detta riformulazione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Ed è pertanto denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439). Il terzo motivo, relativo a violazione dell’art. 51, lett. L, art. 52 CCNL industria chimica, art. 420 bis c.p.c., e carenza di motivazione, per erronea interpretazione della prima norma contrattuale collettiva ed omessa pronuncia del Tribunale sulla questione interpretativa del CCNL, è inammissibile.

Anche qui è ravvisabile, quale ragione di inammissibilità, la confusa combinazione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5., per la già illustrata non consentita prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili (Cass. 23 settembre 2011, n. 19443; Cass. 31 gennaio 2013, n. 2299).

Ma il mezzo viola pure i principi di autosufficienza del ricorso, per la mancata trascrizione della disposizione contrattuale collettiva denunciata (Cass. 26 luglio 2011, n. 16289; Cass. s.u. 25 marzo 2010, n. 7161; Cass. 2 aprile 2002, n. 4678) e di specificità del mezzo, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, per l’indicazione, assolutamente vaga, delle altre clausole contrattuali” alla luce delle quali essa debba essere interpretata (così a pg. 18 del ricorso).

Deve, infine, essere ribadita l’inammissibilità del vizio di motivazione denunciato, alla luce del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis, esclusivamente relativo ad omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, per le ragioni sopra esposte (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).

Il quarto motivo, relativo a violazione dell’art. 2119 c.c., e carenza di motivazione, per inesistenza dei requisiti oggettivi, soggettivi e di proporzionalità della giusta causa di licenziamento, anche considerato il quindicennale rapporto di lavoro tra le parti, è infondato.

E’ noto, in tema di licenziamento per giusta causa, che il lavoratore debba astenersi dal porre in essere non solo i comportamenti espressamente vietati ma anche qualsiasi altra condotta che, per la natura e per le possibili conseguenze, risulti in contrasto con gli obblighi connessi al suo inserimento nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa, dovendosi integrare l’art. 2105 c.c. con gli artt. 1175 e 1375 c.c., che impongono l’osservanza dei doveri di correttezza e di buona fede anche nei comportamenti extralavorativi, sì da non danneggiare il datore di lavoro (Cass. 10 febbraio 2015, n. 2550).

E d’altro canto, la giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale, dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare (Cass. 18 settembre 2012, n. 15654; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095; Cass. 13 dicembre 2010, n. 25144).

Inoltre, la sussistenza in concreto di una giusta causa di licenziamento va accertata in relazione sia della gravità dei fatti addebitati al lavoratore (desumibile dalla loro portata oggettiva e soggettiva, dalle circostanze nelle quali sono stati commessi nonchè dall’intensità dell’elemento intenzionale), sia della proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta: per la quale ultima, rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza (Cass. 16 ottobre 2015, n. 21017; Cass. 4 marzo 2013, n. 5280; Cass. 13 febbraio 2012, n. 2013).

Ebbene, nella valutazione che le pertiene, in ordine alla verifica della concretizzazione operata dall’interprete della giusta causa di licenziamento quale clausola generale, tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge (Cass. 26 aprile 2012, n. 6498; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095; Cass. 13 dicembre 2010, n. 25144), reputa questa Corte che la Corte d’appello sarda abbia fatto corretta applicazione dei suenunciati principi di diritto. E che essa abbia pure accertato la ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo, sotto il profilo del giudizio di fatto demandatole, incensurabile in cassazione se, come nel caso in esame, privo di errori logici e giuridici (Cass. 26 aprile 2012, n. 6498;

Cass. 2 marzo 2011, n. 5095; Cass. 13 dicembre 2010, n. 25144): e ciò anche in specifico riferimento al requisito di proporzionalità, che esige valutazione non astratta dell’addebito, ma attenta ad ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all’assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo (Cass. 13 febbraio 2012, n. 2013).

A ciò la Corte territoriale ha correttamente ed esaurientemente provveduto, accertando, in esito ad un argomentato e coerente percorso motivo esente da vizi logici nè giuridici (per le ragioni esposte a pgg. da 7 a 9 della sentenza), come il comportamento del lavoratore non abbia integrato una violazione del dovere di fedeltà, nè sia riconducibile ad alcuna delle ipotesi elencate nell’art. 51 CCNL industria chimica sanzionate con la sospensione, dovendo piuttosto essere ascritto, tenuto conto del ricostruito contesto del rapporto lavorativo in un clima da anni conflittuale, ad un quadro di “slealtà, che induce a dubitare seriamente della correttezza dei suoi rapporti futuri con l’azienda, e che giustifica pertanto il recesso della Liquigas s.p.a.” (così al primo capoverso di pg. 9 della sentenza). Dove il lessico dubitativo ha un chiaro tenore retorico, non nutrendo la Corte territoriale incertezza alcuna, sulla base della ricostruzione della vicenda operata (e, per le ragioni dette, insindacabile nell’odierna sede di legittimità), in ordine alla rottura definitiva del rapporto fiduciario tra le parti, tale da non consentire la prosecuzione del rapporto lavorativo.

Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio, secondo il regime di soccombenza.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna M.M. alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15 % e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2016


Tesseramento anno 2017

La Giunta Esecuiva  nella riunione del 18.06.2016 ha approvato le quote di iscrizione all’Associazione per l’anno 2017

Le tipologie delle quote di adesione all’Associazione A.N.N.A. per l’anno 2017 sono:

Tipo A – Messi Comunali: € 65,00

Tipo B – Messi del Giudice di Pace e di Conciliazione: € 65,00

Tipo C – Ufficiali Giudiziari: € 65,00

Tipo D – Messi Provinciali: € 65,00

Tipo E – Messi Notificatori di cui alla legge 296/2006 (Legge Finanziaria del 2007)  € 65,00

Tipo F – Addetti di Polizia Municipale: € 65,00

Tipo G – Avvocati: € 150,00

Tipo H – Ex Messi Comunali non più in attività: € 35,00 (con esclusione della copertura assicurativa)

Tipo I – Comuni fino a 10.000 abitanti: € 130,00

Tipo L – Comuni con popolazione da 10.001 a 100.000 abitanti: € 180,00

Tipo M – Comuni con popolazione oltre i 100.001 abitanti: € 250,00

Tipo N – Altri Enti (Consorzi di servizi, Unioni, ecc.): € 300,00

Tipo O – Soggetti privati ai sensi dell’art. 8 dello Statuto dell’Associazione: € 250,00

Tipo P – Dirigenti pubblici: € 70,00

L’iscrizione delle tipologie A, B, C, D, E, F, G, P comprendono la copertura assicurativa oltre alle agevolazioni previste dalle convenzioni che l’Associazione ha già stipulato e che effettuerà.

La Giunta Esecutiva dell’Associazione nella seduta del 18 giugno 2016 ha deliberato, tra l’altro, il rinnovo delle opportunità, riconfermate in data 13.06.2015, al fine di favorire l’adesione dei Comuni o delle loro forme Associate (Unioni, Consorzi, etc …) che rinnovano l’iscrizione all’Associazione.

Tutti gli Enti che, già soci nell’anno precedente, rinnoveranno l’adesione ad A.N.N.A. entro il 28 febbraio dell’anno 2017, avranno diritto a:

  • Iscrizione gratuita ad A.N.N.A. di un proprio dipendente (preferibilmente che svolga le mansioni di Messo Comunale/Messo Notificatore);
  • Sconto del 15% sul costo dell’iscrizione dei propri dipendenti, fino ad un massimo di 10, ai corsi di formazione organizzati da A.N.N.A.. Tale sconto si applica a tutte le quote di partecipazione ai corsi di formazione organizzati dall’Associazione A.N.N.A.. Lo sconto non si applica qualora siano presenti altre promozioni.

Scarica il Modulo adesione Messo Comunale 2017

Scarica il Modulo adesione Dirigente 2017

Scarica il Modulo adesione Ente 2017


Giornata di Studio Pisa – 08.09.2016

Locandina Pisa 2016LA NOTIFICA ON LINE

Giovedì 8 settembre 2016

Comune di Pisa

Sala convegni

Bastione Sangallo

presso il Giardino Scotto

Lungarno Fibonacci

Orario: 9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00

con il patrocinio del Comune di Pisa

Quote di Iscrizione alla giornata di studio:

€ 132.00(*) (**) se il partecipante alla giornata di studio è già socio A.N.N.A. (persona fisica già iscritta all’Associazione alla data del 31.12.2015 con rinnovo anno 2016 già pagato al 31.12.2015. Tale requisito attiene esclusivamente alle persone fisiche. L’iscrizione ad ANNA del solo ente di appartenenza non soddisfa tale condizione per i propri dipendenti.
€ 202.00(*) (**) (***) se il partecipante NON è ancora socio A.N.N.A ma intende iscriversi per l’anno 2017 pagando la quota insieme a quella della giornata di studio. Tra i servizi che l’Associazione offre ai propri Iscritti vi è anche l’accesso all’area riservata del sito www.annamessi.it ed un’assicurazione per colpa grave.
€ 272,00 più I.V.A se dovuta (*) (**), per chi vuole frequentare solo la giornata di studio (NON è iscritto ad A.N.N.A. e NON vuole iscriversi).


 Partecipazione di 2 o più dipendenti dello stesso Ente:

  • € 200,00 (*) (**) (***) per il primo partecipante
  • € 150,00 (*) (**) (***) per il secondo partecipante
  • € 65,00 (*) (**) (***) per il terzo e oltre partecipante

Tali quote comprendono l’iscrizione all’Associazione per l’anno 2017 a cui si deve aggiungere € 2,00 (Marca da Bollo) sull’unica fattura emessa. Tale promozione non è assimilabile alle Quote di Iscrizione sopra descritte (Quote di Iscrizione alla giornata di studio)


La quota di iscrizione comprende: accesso in sala, colazione di lavoro e materiale didattico.

Le quote d’iscrizione dovranno essere pagate, al netto delle spese bancarie e/o postali,   comprensive  dell’imposta di bollo di € 2,00, tramite:

Versamento in Banca sul Conto Corrente Bancario:

  • Codice IBAN: IT 20 J 07601 12100 000055115356 [Banco Posta di Poste Italiane]
  • Versamento in Posta sul Conto Corrente Postale n. 55115356
  • Versamento per contanti presso la Segreteria della giornata di studio

Intestazione : Associazione Nazionale Notifiche Atti
Causale: Giornata Pisa 2016 o numero fattura
(*) Se la fattura è intestata ad un Ente Pubblico la quota è esente da IVA ai sensi ai sensi dell’Art. 10 DPR n. 633/1972 così come dispone l’art. 14, comma 10 legge 537 del 24/12/1993 – comprensivo di  € 2,00 (Marca da Bollo)

(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento.
(***) Se la giornata di studio si effettua negli ultimi 3 mesi dell’anno la eventuale quota di iscrizione all’Associazione A.N.N.A. deve intendersi versata per l’annualità successiva.

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione alla giornata di studio potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo pagina cui dovrà seguire il versamento della quota di iscrizione alla giornata di studio.
I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

I corsi / seminari / convegni / giornate di studio non sono configurabili come appalti di servizi.

Pertanto per il loro acquisto non è necessario transitare dalle Centrali di Committenza (nazionale o regionale), né è prevista la richiesta del CIG. Si veda anche paragrafo 3.9 della Determinazione dell’AVCP n. 4 del 7 luglio 2011.

La formazione in materia di appalti e contratti pubblici, se prevista dal Piano triennale per la prevenzione della corruzione del singolo Ente, non è soggetta al tetto di spesa definito dall’art. 6, comma 13, del D.L. n. 78/2010. Si tratta infatti di formazione obbligatoria prevista dalla Legge n. 190/2012 (cfr. Corte dei conti: sez. reg.le di controllo Emilia Romagna n. 276/2013; sez. reg.le di controllo Liguria n. 75/2013; sez. reg.le di controllo Lombardia n. 116/2011)

Docente:

Asirelli Corrado 6Asirelli Corrado

Resp. Messi Comunali del Comune di Cesena (FC)

Membro della Giunta Esecutiva  di A.N.N.A.

Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

· Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

· Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti né dimoranti né domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • “Legge di Stabilità” 2013 (L. 228/2012)
  • Art. 149 bis c.p.c.

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • · La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy

· Il diritto “all’oblio”

Risposte a quesiti

 Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Nota bene: Qualora l’annullamento dell’iscrizione venga comunicato meno di cinque giorni prima dell’iniziativa, l’organizzazione si riserva la facoltà di fatturare la relativa quota, anche nel caso di non partecipazione alla giornata di studio.

Vedi: Attività di formazione anno 2016

Vedi: Depliant Giornata di Studio e di aggiornamento Pisa 2016
Vedi: Video della Giornata di Studio
Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE Pisa 2016
Sul modulo dovranno obbligatoriamente essere indicati tutti i codici (CUU, CIG ecc.) che dovranno comparire nella fattura

Scarica: Autocertificazioni Fiscali 2016

  1. Dichiarazione DURC
  2. Dichiarazione sulla tracciabilità dei pagamenti, L. 136/2010
  3. Documento d’Identità personale del Legale Rappresentante di A.N.N.A.
  4. Dichiarazione sostitutiva del certificato generale del casellario giudiziale e dei carichi pendenti
  5. Dichiarazione relativa alla fase di liquidazione delle fatture di competenza

Circolare 2016-002 Compiuta giacenza – Quando la notifica è nulla

Circolare 002/2016
Compiuta giacenza: quando la notifica è nulla

La compiuta giacenza di un atto giudiziario non consegnato al destinatario per assenza dello stesso o per rifiuto a riceverlo comporta il perfezionamento della relativa notifica una volta che siano decorsi dieci giorni senza che l’atto stesso sia stato ritirato dal soggetto interessato.
È tuttavia necessario che nel procedimento notificatorio non siano state omesse le formalità richieste dall’articolo 140 del codice di procedura civile.
Tale norma, in particolare, prevede che nel caso in cui non sia possibile eseguire la consegna dell’atto da notificare in quanto le persone individuate dal precedente articolo 139 sono irreperibili o incapaci o rifiutino di ritirarla, il Messo Comunale deve in primo luogo depositare la copia dell’atto nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi.
Egli, poi, deve affiggere un avviso di deposito sulla porta dell’abitazione, dell’ufficio o dell’azienda del destinatario dell’atto. In tale avviso devono necessariamente essere indicati il nome della persona che ha chiesto la notificazione, il nome del destinatario, la natura dell’atto, il giudice che ha pronunciato il provvedimento, la data o il termine di comparizione e la data e la firma il Messo Comunale.
L’ultima incombenza alla quale è tenuto il Messo Comunale è quella di dare notizia del deposito al destinatario mediante raccomandata con avviso di ricevimento.
Nel caso in cui una di tali formalità manchino, la notifica, nonostante la compiuta giacenza, si considera nulla.
Peraltro, il Messo Comunale che esegue il deposito deve prestare particolare attenzione: se esso avviene presso l’ufficio di una frazione del comune, considerato impropriamente come Casa Comunale, vi è comunque nullità della notifica (Cass. n. 1321/1993).
Sempre in materia di nullità è inoltre interessante sottolineare che la Corte di Cassazione (con la sentenza n. 7809/2010) ha sancito che, a seguito della sentenza numero 3/2010 della Corte costituzionale con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 140 c.p.c. laddove prevedeva che la notifica si perfezionasse per il destinatario con la spedizione della raccomandata informativa e non con il ricevimento della stessa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione, è oggi necessario che il notificante comprovi tale ulteriore circostanza. In caso contrario la notificazione deve ritenersi nulla.
Ancor più interessante, cercando tra le pronunce della giurisprudenza, è la sentenza numero 24416/2006 che si è occupata di un particolare caso di nullità della notifica. In essa si è, infatti, chiarito che “qualora sussistono i requisiti richiesti dalla legge, ai sensi degli art. 44 c.c. e 31 att. c.c., per opporre il trasferimento di residenza ai terzi di buona fede, ovvero la doppia dichiarazione fatta al comune che si abbandona e a quello di nuova residenza, con consequenziale cancellazione dall’anagrafe del comune di provenienza e iscrizione nell’anagrafe del comune di nuova residenza, aventi la stessa decorrenza, la notifica effettuata ex art. 140 c.p.c., in cui il piego relativo alla raccomandata ed attestante l’avvenuto compimento delle formalità previste dalla legge sia stato restituito al mittente per compiuta giacenza, è nulla, in quanto la notifica ex art. 140 c.p.c. non esclude ma al contrario postula che sia stato esattamente individuato il luogo di residenza, domicilio o dimora del destinatario, e che la copia non sia stata consegnata per mere difficoltà di ordine materiale, quali la momentanea assenza, l’incapacità o il rifiuto delle persone indicate dall’art. 139 c.p.c. di ricevere l’atto”.
L’avviso che troviamo nella cassetta delle lettere in cui c’è scritto che in nostra assenza è stato effettuato il tentativo di consegna di una raccomandata o di un atto giudiziario, è denominato “avviso di giacenza”.
Si tratta di un avviso con cui il destinatario della busta non recapitata viene anche reso edotto del fatto che la stessa andrà ritirata, nell’ufficio ivi indicato, nel termine massimo di dieci giorni o di trenta giorni a seconda dei casi.
Decorso tale termine, si perfezionerà la cosiddetta “compiuta giacenza” e, sempre a seconda dei casi subito o poi, la lettera o l’atto verranno rispediti al mittente. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta, quali sono gli effetti giuridici e i termini di perfezionamento
Cosa è la compiuta giacenza
La compiuta giacenza, è quella condizione in forza della quale una lettera o un atto inviati a un destinatario che non abbia provveduto nei termini a ritirarli presso l’ufficio ove gli stessi si trovano si considerano, con una finzione giuridica, consegnati e notificati.
A tal proposito è interessante rilevare che recentemente la Corte di Cassazione ha chiarito che, più precisamente, la raccomandata si presume pervenuta alla data in cui l’ufficio postale rilascia il relativo avviso di giacenza.
È evidente che a tal fine è comunque necessario che l’incaricato della consegna (sia esso un postino o un ufficiale giudiziario/Messo Comunale) che non sia riuscito a provvedere alla stessa invii al destinatario la comunicazione con la quale lo avvisa che la raccomandata si trova presso la Casa Comunale o presso uno specifico ufficio postale.
Quando di perfeziona
Se tale comunicazione è offerta, la compiuta giacenza si perfeziona una volta che siano decorsi trenta giorni o dieci giorni dalla data in cui, rispettivamente, la raccomandata o l’atto giudiziario, dopo il tentativo di consegna, sono posti a disposizione del cittadino per il ritiro presso gli appositi uffici.
La compiuta giacenza della raccomandata
Per quanto riguarda le normali raccomandate, più precisamente, la compiuta giacenza si verifica nel caso in cui il destinatario delle stesse non si rechi nei trenta giorni prescritti presso l’ufficio postale per il ritiro.
L’originale, in tal caso, è rinviato al mittente con l’apposita indicazione di compiuta giacenza. Con la conseguenza che la lettera, da un punto di vista legale, si presume ricevuta dal destinatario e quanto in essa contenuto si presume conosciuto.
Per comprendere meglio di cosa stiamo parlando, si pensi, ad esempio, al caso in cui la raccomandata contenga il verbale di un’assemblea condominiale: se il destinatario non la ritira, dal momento in cui si perfeziona la compiuta giacenza, inizia comunque a decorrere il termine di massimo trenta giorni per la sua impugnazione.
La compiuta giacenza della notifica
In caso di notifica di atti amministrativi (effettuata ai sensi dell’art. 140 c.p.c.), il termine per la compiuta giacenza è molto più breve rispetto a quello previsto per le raccomandate e si riduce a dieci giorni.
Ciò vuol dire che l’atto non recapitato e depositato per la giacenza, si considera notificato allo scadere dei dieci giorni successivi, se il destinatario non lo abbia ritirato.
È fondamentale, tuttavia, che sia stata rispettata l’intera procedura a tal fine richiesta, ovverosia deve essere stato affisso sulla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario l’avviso del deposito in busta chiusa e sigillata e al destinatario deve essere data notizia del deposito stesso mediante raccomandata con avviso di ricevimento. In caso contrario la notifica è nulla.
In realtà occorre fare un’ulteriore precisazione.
Decorsi i dieci giorni di giacenza dell’atto, al mittente viene restituito l’avviso di ricevimento tramite raccomandata, nel quale è specificata la data in cui si è perfezionata la compiuta giacenza e, di conseguenza, la notifica.
L’intero atto, invece, è riconsegnato al mittente solo se il destinatario non lo ritira entro sei mesi dalla data in cui lo stesso è stato depositato presso l’ufficio per la giacenza.
Modalità pratiche
Operativamente, dunque, non ritirare una raccomandata o un atto giudiziario sperando che così si potrà “scappare” dalle conseguenze del loro contenuto non è affatto una cosa consigliabile.
Anzi, il rischio è grande: quello di dover subire tali conseguenze senza avere piena consapevolezza delle stesse e, eventualmente, rischiando di non potersi difendere.
Pertanto, quando nella cassetta delle lettere troviamo l’avviso di giacenza o la raccomandata con la quale veniamo avvisati che c’è un atto giudiziario da ritirare presso la Casa comunale l’unica cosa da fare è quella di recarsi il prima possibile a ritirare il documento non consegnato, quanto meno di farlo nei termini sopra visti.
Raccolta di massime della Corte di Cassazione in materia di compiuta giacenza
Cassazione civile Sezione tributaria sentenza del 30/12/2015 n. 26088
la Corte costituzionale nella nota sentenza n. 477 del 2002, per quanto introducendo nel sistema il principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione a seconda che l’effetto rilevi per il notificante o per il destinatario, si è limitata a stabilire l’incostituzionalità del combinato disposto dell’art. 149 cod. proc. civ. e della L. n. 890 del 1982, art. 4, comma 3, nella parte in cui prevedono che la notificazione si perfeziona, per il notificante, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario anziché a quella, antecedente, di consegna dell’atto all’Ufficiale Giudiziario.
Vedi in proposito anche: La c.d. “scissione soggettiva” degli effetti della notificazione – SS.UU. n. 24822/2015 (I diversi momenti in cui si considera avvenuta la notificazione di un atto per il notificante e per il notificando. I chiarimenti delle Sezioni Unite).
Cassazione civile Sezione I sentenza del 20/03/2013 n. 6881
In tema di notificazioni a mezzo posta, per verificare la ritualità dell’atto occorre tener conto di tutti gli adempimenti prescritti; pertanto, la notificazione si considerar eseguita solo dopo il decorso del termine di compiuta giacenza senza che il destinatario o un suo incaricato abbia curato il ritiro del piego, pari ad almeno 10 giorni dalla data del deposito dello stesso nell’ufficio postale.
Cassazione civile Sezione VI sentenza del 25/02/2011 n. 4748
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 3 del 2010, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 140 c.p.c., nella parte in cui prevede che la notifica si perfeziona, per il destinatario, con la spedizione della raccomandata informativa, anziché con il ricevimento della stessa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione; questa Corte, con sentenza n. 7809/2010, ha già avuto modo di affermare che tale pronuncia è di immediata applicazione e che, conseguentemente, devono essere provati il ricevimento e la sottoscrizione del relativo avviso da parte del destinatario. (nella fattispecie il plico, stante la temporanea assenza del destinatario, è stato depositato presso l’Ufficio il 6.12.2008 e ritirato l’11.12.2008 prima dunque della compiuta giacenza e a tale ultima data deve quindi ritenersi perfezionata, per il destinatario, la notificazione della sentenza di primo grado).
Cassazione civile Sezione III sentenza del 23/07/2009 n. 17281
La notificazione a mezzo posta si perfeziona, nei confronti del destinatario, nel momento in cui il piego raccomandato viene da lui ritirato dall’ufficio postale, ovvero con il decorso dei termini previsti per la compiuta giacenza, fermo restando che, per quanto concerne il notificante, a seguito delle sentenze n. 477 del 2002 e n. 28 del 2004 della Corte costituzionale, la notificazione si perfeziona nel momento della presentazione della richiesta all’Ufficiale Giudiziario.
Cass. civ. Sez. III, Sent., 10-05-2016, n. 9393
Il Giudice delle Leggi ha, infatti, inteso incidere sul sistema di notifica a mezzo posta previsto dalla L. n. 890 del 1982, art. 8, in caso di temporanea assenza del destinatario e di mancanza, inidoneità od assenza di persone abilitate a ricevere l’atto, richiedendo, in conformità a quanto previsto dall’art. 140 c.p.c., che, oltre al deposito del “piego” presso l’ufficio postale ed al rilascio di apposito avviso di avvenuto deposito mediante affissione alla porta d’ingresso oppure mediante immissione nella cassetta della corrispondenza dell’abitazione, dell’ufficio o dell’azienda, l’agente postale debba dare notizia al destinatario medesimo con raccomandata con avviso di ricevimento dell’avvenuto deposito del piego. Al fine, poi, di realizzare quanto più possibile – in conformità al parametro della ragionevolezza cui debbono attenersi le scelte discrezionali del Legislatore – quella tendenziale corrispondenza tra presunzione di conoscibilità e conoscenza effettiva che il sistema delle notifiche degli atti giudiziari intende garantire, la Corte costituzionale ha, inoltre, ritenuto irragionevole l’adempimento di immediata restituzione del piego al mittente, trascorsi dieci giorni dal deposito, osservando che, se da un lato, tale adempimento non era previsto nella corrispondente forma di notifica disciplinata dall’art. 140 c.p.c., dall’altro, lo stesso non era funzionale all’esercizio dei diritto del notificante (atteso che del mancato ritiro del piego nel termine predetto, il mittente era immediatamente posto a conoscenza dall’avviso di ricevimento con indicazione “non ritirato”, che l’impiegato postale era tenuto a spedire per raccomandazione al termine della compiuta giacenza), mentre veniva a pregiudicare inutilmente la possibilità di conoscenza reale del contenuto dell’atto notificato da parte del destinatario (è opportuno considerare, al riguardo, che la questione sottoposta al Giudice delle Leggi, concerneva l’ipotesi in cui il destinatario della notifica era stato posto nella impossibilità o comunque nella estrema difficoltà di rintracciate l’atto, per predispone la propria difesa ai fini della proposizione della opposizione tardiva a decreto ingiuntivo ex art. 650 c.p.c., a causa della immediata restituzione al mittente del piego al termine dei dieci giorni di compiuta giacenza).
Cass. civ. Sez. V, Sent., 20-04-2016, n. 7849
A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 3 del 2010 (che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 140 cit., nella parte in cui prevede che la notifica si perfeziona, per il destinatario, con la spedizione della raccomandata informativa, anziché con il ricevimento della stessa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione), la notificazione effettuata ai sensi dell’art. 140 c.p.c. si perfeziona, per il destinatario, con il ricevimento della raccomandata informativa che rende conoscibile l’atto.
La giurisprudenza affermatasi dopo l’indicata dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale ha pertanto affermato che: “La notificazione effettuata ai sensi dell’art. 140 c.p.c. si perfeziona, per il destinatario, con il ricevimento della raccomandata informativa, se anteriore al maturarsi della compiuta giacenza, ovvero, in caso contrario, con il decorso del termine di dieci giorni dalla spedizione” (Cass. n. 4748 del 2011).

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Diventa legge la stretta sugli statali che si fanno timbrare il badge

Diventa legge la stretta sugli statali che timbrano il badge e poi vanno in palestra, a passeggio o a fare il secondo lavoro: 48 ore per essere sospesi, 15 giorni per difendersi e altri 15 per completare l’iter disciplinare. Il dirigente che gira la testa dall’altra parte rischia licenziamento e carcere. Apertura sul rinnovo del contratto della pubblica amministrazione dopo la riduzione da 15 a 4 comparti

Il Consiglio dei ministri ha approvato definitivamente il decreto legislativo che modifica l’art. 55-quater del decreto legislativo 165/2001, in materia di licenziamento disciplinare.

Nello specifico, il nuovo decreto interviene sulla disciplina prevista per la fattispecie di illecito disciplinare denominata falsa attestazione della presenza in servizio.

Al dipendente colto in flagrante sarà applicata la sospensione cautelare entro 48 ore e attivato il procedimento disciplinare che dovrà concludersi entro 30 giorni. E’ prevista la responsabilità disciplinare del dirigente (o del responsabile del servizio) che non proceda alla sospensione e all’avvio del procedimento.

Queste, in particolari, le novità principali:

  • la fattispecie di falsa attestazione della presenza in servizio comprende anche quella realizzata mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento
  • è stato garantito al dipendente il diritto alla percezione di un assegno alimentare – nella misura stabilita dalle disposizioni normative e contrattuali vigenti – durante il periodo di sospensione cautelare dal lavoro
  • per assicurare idonee garanzie di contraddittorio a difesa del dipendente, è stato previsto che con il provvedimento di sospensione si procede anche alla contestuale contestazione dell’addebito e alla convocazione del dipendente dinanzi all’ufficio competente per i procedimenti disciplinari
  • il dipendente sarà convocato per il contraddittorio con preavviso di almeno 15 giorni e potrà farsi assistere da un procuratore o da un rappresentante sindacale
  • nei casi in cui il dirigente abbia avuto notizia dell’illecito e non si sia attivato senza giustificato motivo è prevista la responsabilità per omessa attivazione del procedimento disciplinare e omessa adozione del provvedimento di sospensione cautelare e ne viene data notizia all’Autorità giudiziaria.

Entro l’11 agosto 2016 adozione dei documenti amministrativi informatici e del fascicolo informatico

Dall’11 agosto 2016 tutti i documenti della Pubblica Amministrazione dovranno essere digitali e confluire in un fascicolo informatico. La carta uscirà così dalla storia dell’Ente pubblico. Il percorso per raggiungere tale obiettivo non è immediato. Occorrerà procedere alla predisposizione di un crono-programma, di provvedimenti amministrativi a contenuto generale e organizzativo dell’Ente, alla formazione del personale. L’inadempimento da parte delle P.A. ai nuovi obblighi normativi potrebbe determinare l’invalidità degli atti amministrativi approvati successivamente alla scadenza in quanto privi dei requisiti previsti.

I provvedimenti e le azioni da intraprendere per rispettare gli obblighi normativi del DECRETO PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 13 novembre 2014


Adozione dei documenti amministrativi informatici e del fascicolo informatico

Dall’11 agosto 2016 tutti i documenti della Pubblica Amministrazione dovranno essere digitali e confluire in un fascicolo informatico. La carta uscirà così dalla storia dell’Ente pubblico. Il percorso per raggiungere tale obiettivo non è immediato. Occorrerà procedere alla predisposizione di un crono-programma, di provvedimenti amministrativi a contenuto generale e organizzativo dell’Ente, alla formazione del personale. L’inadempimento da parte delle P.A. ai nuovi obblighi normativi potrebbe determinare l’invalidità degli atti amministrativi approvati successivamente alla scadenza in quanto privi dei requisiti previsti.

I provvedimenti e le azioni da intraprendere per rispettare gli obblighi normativi del DPCONS 13/11/2014

Epigrafe

Premessa

Capo I

Definizioni e ambito di applicazione

Art. 1. Definizioni

Art. 2. Oggetto e ambito di applicazione

Capo II

Documento informatico

Art. 3. Formazione del documento informatico

Art. 4. Copie per immagine su supporto informatico di documenti analogici

Art. 5. Duplicati informatici di documenti informatici

Art. 6. Copie e estratti informatici di documenti informatici

Art. 7. Trasferimento nel sistema di conservazione

Art. 8. Misure di sicurezza

Capo III

Documento amministrativo informatico

Art. 9. Formazione del documento amministrativo informatico

Art. 10. Copie su supporto informatico di documenti amministrativi analogici

Art. 11. Trasferimento nel sistema di conservazione

Art. 12. Misure di sicurezza

Capo IV

Fascicoli informatici, registri e repertori informatici della pubblica amministrazione

Art. 13. Formazione dei fascicoli informatici

Art. 14. Formazione dei registri e repertori informatici

Art. 15. Trasferimento in conservazione

Art. 16. Misure di sicurezza

Capo V Disposizioni finali

Art. 17. Disposizioni finali

Allegato 1 – Glossario/definizioni

Allegato 2 – Formati

Allegato 3 – Standard e specifiche tecniche

Allegato 4 – Specifiche tecniche del pacchetto di archiviazione

Allegato 5 – Metadati

DECRETO PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 13 novembre 2014 (1).

Regole tecniche in materia di formazione, trasmissione, copia, duplicazione, riproduzione e validazione temporale dei documenti informatici nonché di formazione e conservazione dei documenti informatici delle pubbliche amministrazioni ai sensi degli articoli 20, 22, 23-bis, 23-ter, 40, comma 1, 41, e 71, comma 1, del Codice dell’amministrazione digitale di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005.

(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 12 gennaio 2015, n. 8.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Visto il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, recante «Codice dell’amministrazione digitale» e, in particolare, gli articoli 20, 22, 23-bis, 23-ter, 40, comma 1, 41 e l’71, comma 1;

Visto il decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa»;

Visto il decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e successive modificazioni, recante «Codice in materia di protezione dei dati personali»;

Visto il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, recante «Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137»;

Visti gli articoli da 19 a 22 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, recante «Misure urgenti per la crescita del Paese», con cui è stata istituita l’Agenzia per l’Italia digitale;

Visto il Regolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 luglio 2014 in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno e che abroga la direttiva 1999/93/CE, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea serie L 257 del 28 agosto 2014;

Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 22 febbraio 2013, recante «Regole tecniche in materia di generazione, apposizione e verifica delle firme elettroniche avanzate, qualificate e digitali, ai sensi degli articoli 20, comma 3, 24, comma 4, 28, comma 3, 32, comma 3, lettera b), 35, comma 2, 36, comma 2, e 71», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 21 maggio 2013, n. 117;

Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 3 dicembre 2013, recante «Regole tecniche in materia di sistema di conservazione ai sensi degli articoli 20, commi 3 e 5-bis, 23-ter, comma 4, 43, commi 1 e 3, 44, 44-bis e 71, comma 1, del Codice dell’amministrazione digitale di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005», pubblicato nel Supplemento ordinario n. 20 alla Gazzetta Ufficiale – serie generale – 12 marzo 2014, n. 59;

Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 3 dicembre 2013, recante «Regole tecniche per il protocollo informatico ai sensi degli articoli 40-bis, 41, 47, 57-bis e 71, del Codice dell’amministrazione digitale di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005», pubblicato nel Supplemento ordinario n. 20 alla Gazzetta Ufficiale – serie generale – 12 marzo 2014, n. 59;

Visto il decreto del Presidente della Repubblica 21 febbraio 2014 con cui l’onorevole dottoressa Maria Anna Madia è stata nominata Ministro senza portafoglio;

Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 22 febbraio 2014 con cui al Ministro senza portafoglio onorevole dott.ssa Maria Anna Madia è stato conferito l’incarico per la semplificazione e la pubblica amministrazione;

Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 aprile 2014 recante delega di funzioni al Ministro senza portafoglio onorevole dott.ssa Maria Anna Madia per la semplificazione e la pubblica amministrazione;

Acquisito il parere tecnico dell’Agenzia per l’Italia digitale; Sentito il Garante per la protezione dei dati personali;

Sentita la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 nella seduta del 24 agosto 2013;

Espletata la procedura di notifica alla Commissione europea di cui alla direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 giugno 1998, modificata dalla direttiva 98/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 luglio 1998, attuata con decreto legislativo 23 novembre 2000, n. 427;

Di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo per le parti relative alla formazione e conservazione dei documenti informatici delle pubbliche amministrazioni;

Decreta:

Capo I

Definizioni e ambito di applicazione

Art. 1.  Definizioni

  1. Ai fini del presente decreto si applicano le definizioni del glossario di cui all’allegato 1 che ne costituisce parte integrante.
  2. Le specifiche tecniche relative alle regole tecniche di cui al presente decreto sono indicate nell’allegato n. 2 relativo ai formati, nell’allegato n. 3 relativo agli standard tecnici di riferimento per la formazione, la gestione e la conservazione dei documenti informatici, nell’allegato n. 4 relativo alle specifiche tecniche del pacchetto di archiviazione e nell’allegato n. 5 relativo ai metadati. Le specifiche tecniche di cui al presente comma sono aggiornate con delibera dell’Agenzia per l’Italia digitale, previo parere del Garante per la protezione dei dati personali, e pubblicate sul proprio sito istituzionale.

Art. 2.  Oggetto e ambito di applicazione

  1. Il presente decreto detta le regole tecniche per i documenti informatici previste dall’art. 20, commi 3 e 4, dall’22, commi 2 e 3, dall’art. 23, e dall’23-bis, commi 1 e 2, e del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante «Codice dell’amministrazione digitale», di seguito Codice.
  2. Il presente decreto detta le regole tecniche previste dall’art. 23-ter, commi 3 e 5, dall’art. 40, comma 1 e dall’art. 41, comma 2-bis del Codice in materia di documenti amministrativi informatici e fascicolo informatico.
  3. Ai sensi dell’art. 2, comma 5, del Codice, le presenti regole tecniche si applicano nel rispetto della disciplina rilevante in materia di tutela dei dati personali e, in particolare, del Codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
  4. Le disposizioni del presente decreto si applicano ai soggetti di cui all’art. 2, commi 2 e 3, del Codice, nonché agli altri soggetti a cui è eventualmente affidata la gestione o la conservazione dei documenti informatici.

Capo II Documento informatico

Art. 3.  Formazione del documento informatico

  1. Il documento informatico è formato mediante una delle seguenti principali modalità:
  2. a) redazione tramite l’utilizzo di appositi strumenti software;
  3. b) acquisizione di un documento informatico per via telematica o su supporto informatico, acquisizione della copia per immagine su supporto informatico di un documento analogico, acquisizione della copia informatica di un documento analogico;
  4. c) registrazione informatica delle informazioni risultanti da transazioni o processi informatici o dalla presentazione telematica di dati attraverso moduli o formulari resi disponibili all’utente;
  5. d) generazione o raggruppamento anche in via automatica di un insieme di dati o registrazioni, provenienti da una o più basi dati, anche appartenenti a più soggetti interoperanti, secondo una struttura logica predeterminata e memorizzata in forma statica.
  6. Il documento informatico assume la caratteristica di immodificabilità se formato in modo che forma e contenuto non siano alterabili durante le fasi di tenuta e accesso e ne sia garantita la staticità nella fase di conservazione.
  7. Il documento informatico, identificato in modo univoco e persistente, è memorizzato in un sistema di gestione informatica dei documenti o di conservazione la cui tenuta può anche essere delegata a terzi.
  8. Nel caso di documento informatico formato ai sensi del comma 1, lettera a), le caratteristiche di immodificabilità e di integrità sono determinate da una o più delle seguenti operazioni:
  9. a) la sottoscrizione con firma digitale ovvero con firma elettronica qualificata;
  10. b) l’apposizione di una validazione temporale;
  11. c) il trasferimento a soggetti terzi con posta elettronica certificata con ricevuta completa;
  12. d) la memorizzazione su sistemi di gestione documentale che adottino idonee politiche di sicurezza;
  13. e) il versamento ad un sistema di conservazione.
  14. Nel caso di documento informatico formato ai sensi del comma 1, lettera b), le caratteristiche di immodificabilità e di integrità sono determinate dall’operazione di memorizzazione in un sistema di gestione informatica dei documenti che garantisca l’inalterabilità del documento o in un sistema di conservazione.
  15. Nel caso di documento informatico formato ai sensi del comma 1, lettere c) e d), le caratteristiche di immodificabilità e di integrità sono determinate dall’operazione di registrazione dell’esito della medesima operazione e dall’applicazione di misure per la protezione dell’integrità delle basi di dati e per la produzione e conservazione dei log di sistema, ovvero con la produzione di una estrazione statica dei dati e il trasferimento della stessa nel sistema di conservazione.
  16. Laddove non sia presente, al documento informatico immodificabile è associato un riferimento temporale.
  17. L’evidenza informatica corrispondente al documento informatico immodificabile è prodotta in uno dei formati contenuti nell’allegato 2 del presente decreto in modo da assicurare l’indipendenza dalle piattaforme tecnologiche, l’interoperabilità tra sistemi informatici e la durata nel tempo dei dati in termini di accesso e di leggibilità. Formati diversi possono essere scelti nei casi in cui la natura del documento informatico lo richieda per un utilizzo specifico nel suo contesto tipico.
  18. Al documento informatico immodificabile vengono associati i metadati che sono stati generati durante la sua formazione. L’insieme minimo dei metadati, come definiti nell’allegato 5 al presente decreto, è costituito da:
  19. a) l’identificativo univoco e persistente;
  20. b) il riferimento temporale di cui al comma 7;
  21. c) l’oggetto;
  22. d) il soggetto che ha formato il documento;
  23. e) l’eventuale destinatario;
  24. f) l’impronta del documento informatico.

Eventuali ulteriori metadati sono definiti in funzione del contesto e delle necessità gestionali e conservative.

Art. 4.  Copie per immagine su supporto informatico di documenti analogici

  1. La copia per immagine su supporto informatico di un documento analogico di cui all’art. 22, commi 2 e 3, del Codice è prodotta mediante processi e strumenti che assicurino che il documento informatico abbia contenuto e forma identici a quelli del documento analogico da cui è tratto, previo raffronto dei documenti o attraverso certificazione di processo nei casi in cui siano adottate tecniche in grado di garantire la corrispondenza della forma e del contenuto dell’originale e della copia.
  2. Fermo restando quanto previsto dall’art. 22, comma 3, del Codice, la copia per immagine di uno o più documenti analogici può essere sottoscritta con firma digitale o firma elettronica qualificata da chi effettua la copia.
  3. Laddove richiesta dalla natura dell’attività, l’attestazione di conformità delle copie per immagine su supporto informatico di un documento analogico di cui all’art. 22, comma 2, del Codice, può essere inserita nel documento informatico contenente la copia per immagine. Il documento informatico così formato è sottoscritto con firma digitale del notaio o con firma digitale o firma elettronica qualificata del pubblico ufficiale a ciò autorizzato. L’attestazione di conformità delle copie per immagine su supporto informatico di uno o più documenti analogici può essere altresì prodotta come documento informatico separato contenente un riferimento temporale e l’impronta di ogni copia per immagine. Il documento informatico così prodotto è sottoscritto con firma digitale del notaio o con firma digitale o firma elettronica qualificata del pubblico ufficiale a ciò autorizzato.

Art. 5.  Duplicati informatici di documenti informatici

  1. Il duplicato informatico di un documento informatico di cui all’art. 23-bis, comma 1, del Codice è prodotto mediante processi e strumenti che assicurino che il documento informatico ottenuto sullo stesso sistema di memorizzazione, o su un sistema diverso, contenga la stessa sequenza di bit del documento informatico di origine.

Art. 6.  Copie e estratti informatici di documenti informatici

  1. La copia e gli estratti informatici di un documento informatico di cui all’art. 23-bis, comma 2, del Codice sono prodotti attraverso l’utilizzo di uno dei formati idonei di cui all’allegato 2 al presente decreto, mediante processi e strumenti che assicurino la corrispondenza del contenuto della copia o dell’estratto informatico alle informazioni del documento informatico di origine previo raffronto dei documenti o attraverso certificazione di processo nei casi in cui siano adottate tecniche in grado di garantire la corrispondenza del contenuto dell’originale e della copia.
  2. La copia o l’estratto di uno o più documenti informatici di cui al comma 1, se sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata da chi effettua la copia ha la stessa efficacia probatoria dell’originale, salvo che la conformità allo stesso non sia espressamente disconosciuta.
  3. Laddove richiesta dalla natura dell’attività, l’attestazione di conformità delle copie o dell’estratto informatico di un documento informatico di cui al comma 1, può essere inserita nel documento informatico contenente la copia o l’estratto. Il documento informatico così formato è sottoscritto con firma digitale del notaio o con firma digitale o firma elettronica qualificata del pubblico ufficiale a ciò autorizzato. L’attestazione di conformità delle copie o dell’estratto informatico di uno o più documenti informatici può essere altresì prodotta come documento informatico separato contenente un riferimento temporale e l’impronta di ogni copia o estratto informatico. Il documento informatico così prodotto è sottoscritto con firma digitale del notaio o con firma digitale o firma elettronica qualificata del pubblico ufficiale a ciò autorizzato.

Art. 7.  Trasferimento nel sistema di conservazione

  1. Il trasferimento dei documenti informatici nel sistema di conservazione avviene generando un pacchetto di versamento nelle modalità e con il formato previsti dal manuale di conservazione di cui all’art. 8 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 dicembre 2013, in materia di conservazione dei documenti informatici.
  2. I tempi entro cui i documenti informatici devono essere versati in conservazione sono stabiliti per le diverse tipologie di documento e in conformità alle regole tecniche vigenti in materia.
  3. Il buon esito dell’operazione di versamento è verificato tramite il rapporto di versamento prodotto dal sistema di conservazione.

Art. 8.  Misure di sicurezza

  1. I soggetti privati appartenenti ad organizzazioni che applicano particolari regole di settore per la sicurezza dei propri sistemi informatici possono adottare misure di sicurezza per garantire la tenuta del documento informatico di cui all’art. 3.
  2. I soggetti privati, per garantire la tenuta del documento informatico di cui all’art. 3, possono adottare, quale modello di riferimento, quanto previsto dagli articoli 50-bis e 51 del Codice e dalle relative linee guida emanate dall’Agenzia per l’Italia digitale. I sistemi di gestione informatica dei documenti rispettano le misure di sicurezza previste dagli articoli da 31 a 36 del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 e dal disciplinare tecnico di cui all’allegato B del predetto codice.

Capo III

Documento amministrativo informatico Art. 9.  Formazione del documento amministrativo informatico

  1. Al documento amministrativo informatico si applica quanto indicato nel Capo II per il documento informatico, salvo quanto specificato nel presente Capo.
  2. Le pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’art. 40, comma 1, del Codice, formano gli originali dei propri documenti attraverso gli strumenti informatici riportati nel manuale di gestione ovvero acquisendo le istanze, le dichiarazioni e le comunicazioni di cui agli articoli 5-bis, 40-bis e 65 del Codice.
  3. Il documento amministrativo informatico, di cui all’art. 23-ter del Codice, formato mediante una delle modalità di cui all’art. 3, comma 1, del presente decreto, è identificato e trattato nel sistema di gestione informatica dei documenti di cui al Capo IV del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, comprensivo del registro di protocollo e degli altri registri di cui all’art. 53, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, dei repertori e degli archivi, nonché degli albi, degli elenchi, e di ogni raccolta di dati concernente stati, qualità personali e fatti già realizzati dalle amministrazioni su supporto informatico, in luogo dei registri cartacei, di cui all’art. 40, comma 4, del Codice, con le modalità descritte nel manuale di gestione.
  4. Le istanze, le dichiarazioni e le comunicazioni di cui agli articoli 5-bis, 40-bis e 65 del Codice sono identificate e trattate come i documenti amministrativi informatici nel sistema di gestione informatica dei documenti di cui al comma 3 ovvero, se soggette a norme specifiche che prevedono la sola tenuta di estratti per riassunto, memorizzate in specifici archivi informatici dettagliatamente descritti nel manuale di gestione.
  5. Il documento amministrativo informatico assume le caratteristiche di immodificabilità e di integrità, oltre che con le modalità di cui all’art. 3, anche con la sua registrazione nel registro di protocollo, negli ulteriori registri, nei repertori, negli albi, negli elenchi, negli archivi o nelle raccolte di dati contenute nel sistema di gestione informatica dei documenti di cui al comma 3.
  6. Fermo restando quanto stabilito nell’art. 3, comma 8, eventuali ulteriori formati possono essere utilizzati dalle pubbliche amministrazioni in relazione a specifici contesti operativi che vanno esplicitati, motivati e riportati nel manuale di gestione.
  7. Al documento amministrativo informatico viene associato l’insieme minimo dei metadati di cui all’art. 53 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, fatti salvi i documenti soggetti a registrazione particolare che comunque possono contenere al proprio interno o avere associati l’insieme minimo dei metadati di cui all’art. 3, comma 9, come descritto nel manuale di gestione.
  8. Al documento amministrativo informatico sono associati eventuali ulteriori metadati rilevanti ai fini amministrativi, definiti, per ogni tipologia di documento, nell’ambito del contesto a cui esso si riferisce, e descritti nel manuale di gestione.
  9. I metadati associati al documento amministrativo informatico, di tipo generale o appartenente ad una tipologia comune a più amministrazioni, sono definiti dalle pubbliche amministrazioni competenti, ove necessario sentito il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, e trasmessi all’Agenzia per l’Italia digitale che ne cura la pubblicazione on line sul proprio sito.
  10. Ai fini della trasmissione telematica di documenti amministrativi informatici, le pubbliche amministrazioni pubblicano sui loro siti gli standard tecnici di riferimento, le codifiche utilizzate e le specifiche per lo sviluppo degli applicativi software di colloquio, rendendo eventualmente disponibile gratuitamente sul proprio sito il software per la trasmissione di dati coerenti alle suddette codifiche e specifiche. Al fine di abilitare alla trasmissione telematica gli applicativi software sviluppati da terzi, le amministrazioni provvedono a richiedere a questi opportuna certificazione di correttezza funzionale dell’applicativo e di conformità dei dati trasmessi alle codifiche e specifiche pubblicate.

Art. 10.  Copie su supporto informatico di documenti amministrativi analogici

  1. Fatto salvo quanto previsto all’art. 4, l’attestazione di conformità, di cui all’art. 23-ter, comma 3, del Codice, della copia informatica di un documento amministrativo analogico, formato dalla pubblica amministrazione, ovvero da essa detenuto, può essere inserita nel documento informatico contenente la copia informatica. Il documento informatico così formato è sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata del funzionario delegato.
  2. L’attestazione di conformità di cui al comma 1, anche nel caso di uno o più documenti amministrativi informatici, effettuata per raffronto dei documenti o attraverso certificazione di processo nei casi in cui siano adottate tecniche in grado di garantire la corrispondenza del contenuto dell’originale e della copia, può essere prodotta come documento informatico separato contenente un riferimento temporale e l’impronta di ogni copia. Il documento informatico prodotto è sottoscritto con firma digitale o con firma elettronica qualificata del funzionario delegato.

Art. 11.  Trasferimento nel sistema di conservazione

  1. Il responsabile della gestione documentale, ovvero, ove nominato, il coordinatore della gestione documentale:
  2. a) provvede a generare, per uno o più documenti informatici, un pacchetto di versamento nelle modalità e con i formati concordati con il responsabile della conservazione e previsti dal manuale di conservazione;
  3. b) stabilisce, per le diverse tipologie di documenti, in conformità con le norme vigenti in materia, con il sistema di classificazione e con il piano di conservazione, i tempi entro cui i documenti debbono essere versati in conservazione;
  4. c) verifica il buon esito dell’operazione di versamento tramite il rapporto di versamento prodotto dal sistema di conservazione.

Art. 12.  Misure di sicurezza

  1. Il responsabile della gestione documentale ovvero, ove nominato, il coordinatore della gestione documentale predispone, in accordo con il responsabile della sicurezza e il responsabile del sistema di conservazione, il piano della sicurezza del sistema di gestione informatica dei documenti, nell’ambito del piano generale della sicurezza ed in coerenza con quanto previsto in materia dagli articoli 50-bis e 51 del Codice e dalle relative linee guida emanate dall’Agenzia per l’Italia digitale. Le suddette misure sono indicate nel manuale di gestione.
  2. Si applica quanto previsto dall’art. 8, comma 2, secondo periodo.

Capo IV

Fascicoli informatici, registri e repertori informatici della pubblica amministrazione Art. 13.  Formazione dei fascicoli informatici

  1. I fascicoli di cui all’art. 41 del Codice e all’art. 64, comma 4, e all’art. 65 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 fanno parte del sistema di gestione informatica dei documenti e contengono l’insieme minimo dei metadati indicati al comma 2-ter del predetto art. 41 del Codice, nel formato specificato nell’allegato 5 del presente decreto, e la classificazione di cui al citato art. 64 del citato decreto n. 445 del 2000.
  2. Eventuali aggregazioni documentali informatiche sono gestite nel sistema di gestione informatica dei documenti e sono descritte nel manuale di gestione. Ad esse si applicano le regole che identificano

univocamente l’aggregazione documentale informatica ed è associato l’insieme minimo dei metadati di cui al comma 1.

Art. 14.  Formazione dei registri e repertori informatici

  1. Il registro di protocollo e gli altri registri di cui all’art. 53, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, i repertori, gli albi, gli elenchi e ogni raccolta di dati concernente stati, qualità personali e fatti realizzati dalle amministrazioni su supporto informatico in luogo dei registri cartacei di cui all’art. 40, comma 4, del Codice sono formati ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera d).
  2. Le pubbliche amministrazioni gestiscono registri particolari informatici, espressamente previsti da norme o regolamenti interni, generati dal concorso di più aree organizzative omogenee con le modalità previste ed espressamente descritte nel manuale di gestione, individuando un’area organizzativa omogenea responsabile.

Art. 15.  Trasferimento in conservazione

  1. Il responsabile della gestione documentale ovvero, ove nominato, il coordinatore della gestione documentale provvede a generare, per uno o più fascicoli o aggregazioni documentali informatiche o registri o repertori informatici di cui all’art. 14, un pacchetto di versamento che contiene i riferimenti che identificano univocamente i documenti informatici appartenenti al fascicolo o all’aggregazione documentale informatica.
  2. Ai fascicoli informatici, alle aggregazioni documentali informatiche, ai registri o repertori informatici si applica quanto previsto per il documento informatico all’art. 11, comma 1, lettere b) e c).

Art. 16.  Misure di sicurezza

  1. Ai fascicoli informatici, alle aggregazioni documentali informatiche, ai registri o repertori informatici si applicano le misure di sicurezza di cui all’art. 12.

Capo V Disposizioni finali

Art. 17.  Disposizioni finali

  1. Il presente decreto entra in vigore decorsi trenta giorni dalla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
  2. Le pubbliche amministrazioni adeguano i propri sistemi di gestione informatica dei documenti entro e non oltre diciotto mesi dall’entrata in vigore del presente decreto. Fino al completamento di tale processo possono essere applicate le previgenti regole tecniche. Decorso tale termine si applicano le presenti regole tecniche.

Il presente decreto è inviato ai competenti organi di controllo e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.


Giornata di Studio in house Soc. A. e G. Spa Lucca – 28.06.2016

Locandina AeG 2016LA NOTIFICA ON LINE

Martedì 28 giugno 2016

Giornata di Studio in house

Società A. e G. Spa

Via della Canovetta  533/G

S.Pietro a Vico – Lucca

Orario: 9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00

in collaborazione con la Società A. e G. Spa

 Docente:

Asirelli Corrado 6Asirelli Corrado

Resp. Messi Comunali del Comune di Cesena (FC)

Membro della Giunta Esecutiva  di A.N.N.A.

Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

· Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

· Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti né dimoranti né domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • “Legge di Stabilità” 2013 (L. 228/2012)
  • Art. 149 bis c.p.c.

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • · La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy

· Il diritto “all’oblio”

Risposte a quesiti

 Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Vedi: Attività di formazione anno 2016

Scarica: Autocertificazioni Fiscali 2016
  1. Dichiarazione DURC
  2. Dichiarazione sulla tracciabilità dei pagamenti, L. 136/2010
  3. Documento d’Identità personale del Legale Rappresentante di A.N.N.A.
  4. Dichiarazione sostitutiva del certificato generale del casellario giudiziale e dei carichi pendenti
  5. Dichiarazione relativa alla fase di liquidazione delle fatture di competenza

Licenziamenti, Cassazione: per gli statali vale l’articolo 18

Il licenziamento del personale del pubblico impiego non è disciplinato dalla legge Fornero, bensì dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Lo afferma la Corte di Cassazione, “all’esito di una approfondita e condivisa riflessione”.

La Cassazione interviene, quindi, con la sentenza n. 11868 della Sezione Lavoro, su una questione da tempo dibattuta su cui ci sono state anche sentenze di diverso orientamento ma il governo, con il ministro della P.A. Marianna Madia, ha sempre tenuto a precisare come l’articolo 18 per gli statali non è stato cambiato né dalla legge Fornero, prima, né dal Jobs act, dopo. Per il pubblico impiego le garanzie sarebbero quindi intatte, con la reintegra in caso di licenziamento senza giusta causa. Un trattamento diverso rispetto ai lavoratori privati, sostiene il ministero, perché è diversa la natura del datore di lavoro. Per mettere fine a possibili diverse interpretazioni il governo resta dell’idea di intervenire, con una norma che chiarisca l’esclusione dei dipendenti pubblici dalle nuove regole.

La precisazione dovrebbe trovare spazio nel testo unico del pubblico impiego, in attuazione della riforma della P.A. Un impegno in questo senso era stato preso alla fine dello scorso anno dal ministro della P.A. Marianna Madia, dopo una sentenza della stessa Corte di Cassazione che allora, però, sembrava dire il contrario, ovvero che le modifiche della Fornero valevano anche per gli statali. Ora tutto sia riallinea.

LA SENTENZA. Serve un “intervento normativo di armonizzazione” per applicare la riforma Fornero anche ai lavoratori del pubblico impiego. Lo sottolinea la Corte di Cassazione sottolineando che la riforma Fornero si applica unicamente al settore privato. Finché non interverranno le norme ad hoc, sottolinea la Corte di Cassazione, “non si estendono ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni le modifiche apportate all’art.18 dello Statuto dei Lavoratori, con la conseguenza che la tutela da riconoscere a detti dipendenti in caso di licenziamento illegittimo resta quella assicurata dalla previgente formulazione della norma”.

Dunque, per gli statali, in caso di licenziamento illegittimo, scatta il reintegro nel posto di lavoro e non la tutela risarcitoria o indennitaria. Per i supremi giudici questa conclusione è avvalorata dal fatto che la legge Fornero “per come formulata nell’art. 1, comma 1, tiene conto unicamente delle esigenze proprie dell’impresa privata, alla quale solo può riferirsi la lettera C), che pone una inscindibile correlazione fra flessibilità in uscita ed in entrata, allargando le maglie della prima e riducendo nel contempo l’uso improprio delle tipologie contrattuali diverse dal rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”.

La legge Fornero, inoltre, secondo la Cassazione, “introduce una modulazione delle sanzioni con riferimento ad ipotesi di illegittimità pensate in relazione al solo lavoro privato, che non si prestano ad essere estese all’impiego pubblico contrattualizzato, per il quale il legislatore, in particolar modo con il D.lgs 27.10.2009 n.150, ha dettato una disciplina inderogabile, tipizzando anche illeciti disciplinari ai quali deve necessariamente conseguire la sanzione del licenziamento”.

Ad avviso dell’Alta Corte, poi, un’eventuale modulazione delle tutele nel pubblico impiego, “richiede da parte del legislatore una ponderazione di interessi diversa da quella compiuta per l’impiego privato” poiché, come stabilito dalla Corte di Cassazione, nel settore pubblico ci sono “garanzie e limiti che sono posti non solo e non tanto nell’interesse del soggetto da rimuovere, ma anche e soprattutto a protezione di più generali interessi collettivi”. La Corte di Cassazione ricorda che l’art. 97 della Costituzione “impone di assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione pubblica”.


Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., (ud. 17-05-2016) 09-06-2016, n. 11868

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3072/2015 proposto da:

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui uffici domicilia ope legis in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– ricorrente –

contro

C.R.;

– intimato –

nonchè da:

C.R., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI VILLA ADA 57 presso lo studio dell’avvocato PAOLO GAMBERALE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO SILVESTRI, giusta delega in atti e memoria di costituzione difensore aggiunto del 08/03/2016;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui uffici domicilia ope legis in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 10573/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/12/2014 R.G.N. 3195/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/05/2016 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito l’Avvocato FIGLIOLA ETTORE (AVVOCATURA GENERALE);

udito l’Avvocato GAMBERALE PAOLO in proprio e per delega dell’Avvocato SILVESTRI FRANCESCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Svolgimento del processo
1 – La Corte di Appello di Roma ha respinto i reclami riuniti, proposti L. 28 giugno 2012, n. 92, ex art. 1, comma 58, dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e da C.R. avverso la sentenza del Tribunale di Roma che aveva dichiarato l’intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro intercorso fra le parti, per effetto del licenziamento intimato con provvedimento del 2.9.2012, e, ritenuta la violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, aveva applicato il comma 6 dell’art. 18 dello Statuto, come modificato dalla legge sopra richiamata, condannando il Ministero a corrispondere al C. l’indennità risarcitoria onnicomprensiva, quantificata nella misura minima di sei mensilità.

2 – La Corte territoriale ha premesso che il procedimento disciplinare era stato avviato con contestazione del 2 marzo 2004, con la quale era stato addebitato al dipendente, per quel che qui interessa, di avere effettuato “operazioni per conto dell’Ufficio Provinciale di Roma mentre era in missione per esigenze del CSRPAD (Centro Superiore Ricerche e Prove Autoveicoli e Dispositivi) in località ovviamente diverse”. Il procedimento era stato contestualmente sospeso perchè i fatti emersi a seguito di visita ispettiva, di rilievo penale, erano stati segnalati dal Ministero all’autorità giudiziaria.

A seguito del passaggio in giudicato della sentenza del 24 maggio 2012, che aveva dichiarato estinti per prescrizione i delitti di truffa e falso addebitati all’imputato, il procedimento disciplinare era stato riavviato mediante richiamo alla originaria contestazione e, all’esito della audizione dell’incolpato, era stato disposto il licenziamento per giusta causa senza preavviso, sul rilievo che in almeno 4 dei 49 casi di sovrapposizione sussisteva incompatibilità assoluta fra le missioni, non giustificabile se non ipotizzando gravi falsità compiute nel corso dell’uno o dell’altro incarico, tali da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario.

3 – La Corte ha ritenuto infondato il reclamo proposto dal Ministero perchè, come evidenziato dal Tribunale all’esito del giudizio di opposizione, la amministrazione aveva violato il principio della necessaria immutabilità della contestazione, in quanto il licenziamento era stato disposto in relazione ad episodi specifici non richiamati nella lettera di avvio del procedimento disciplinare, che, oltre ad essere assolutamente generica, non faceva alcuna menzione della impossibilità di svolgere entrambe le attività dichiarate e della conseguente ritenuta falsità di almeno uno degli atti formati nello stesso giorno.

4 – La Corte territoriale ha poi escluso anche la fondatezza del reclamo proposto dal C., poichè tutti gli atti formati in occasione delle missioni e le relative richieste di rimborso erano stati firmati dal reclamante, il quale provvedeva da solo ad organizzare la propria attività lavorativa, ivi comprese le trasferte. Ha osservato, inoltre, la Corte che la distanza, superiore a 500 Km, fra le due località escludeva che il C. avesse potuto svolgere le attività nella stessa giornata, tanto più che, non avendo il dipendente documentato l’uso del mezzo aereo per gli spostamenti, questi ultimi avrebbero richiesto via terra un arco temporale di 4 – 5 ore. Infine ha richiamato l’accertamento compiuto dai giudici contabili per evidenziare che gli orari delle missioni dichiarate erano comunque incompatibili, sicchè, evidentemente, il C. aveva compilato richieste di rimborso non veritiere.

5 – La Corte di appello ha, inoltre, escluso che la condotta fosse solo colpevole ed ha anche ritenuto che il fatto non fosse riconducibile all’art. 13, comma 4 del CCNL 2006/2009, poichè nella specie non era configurabile una “manomissione” dei fogli di presenza, bensì una falsità nelle dichiarazioni, di gravità tale da giustificare la sanzione espulsiva adottata.

6 – Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sulla base di due motivi.

C.R. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale, affidato a due motivi, per censurare i capi della decisione relativi alla affermata sussistenza dei fatti ed alla sussumibilità degli stessi all’ipotesi prevista dall’art. 13, comma 6, del CCNL di comparto. Il Ministero ha resistito con controricorso alla impugnazione incidentale. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione
1 – Il ricorso principale denuncia, con il primo motivo, “violazione e falsa applicazione dell’art. 7 Statuto lavoratori, L. n. 300 del 1970; CCNL 2002/2003 del 12.5.2003 comparto ministeri; art. 115 c.p.c.” in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4. Il ricorrente, trascritti nel loro contenuto essenziale gli atti del procedimento disciplinare, rileva che, contrariamente a quanto asserito dalla Corte territoriale, sussiste assoluta corrispondenza tra la contestazione degli addebiti e le motivazioni espresse nel provvedimento disciplinare, poichè in sede di riattivazione del procedimento l’amministrazione aveva espressamente richiamato la sentenza del Tribunale Ordinario di Roma e, quindi, il capo di imputazione che conteneva la analitica indicazione di tutte le condotte ritenute di rilievo penale e nel relativo elenco erano inclusi gli episodi in relazione ai quali la misura espulsiva era stata adottata. Aggiunge che nel corso della audizione svoltasi il 28 giugno 2012 il dipendente, assistito dal legale di fiducia, si era difeso proprie sulle plurime sovrapposizioni di missioni, dimostrando di avere piena consapevolezza degli addebiti. La Corte territoriale, quindi, aveva errato nel comparare tra loro solo la contestazione iniziale e l’atto conclusivo del procedimento, senza valutare la nota di riattivazione con la quale l’atto iniziale era stato specificato.

1.1 – Il secondo motivo denuncia la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 7 dello Statuto e della normativa contrattuale sul rilievo che il principio della necessaria corrispondenza fra fatto contestato e sanzione non rende illegittimo il licenziamento ogniqualvolta il datore di lavoro provveda solo alla specificazione di aspetti fattuali della condotta contestata, che non risulti modificata quanto alla materialità ed alla gravità. Precisa al riguardo il Ministero che la incompatibilità fra le missioni era già stata evidenziata nella contestazione originaria, nella quale era stato, inoltre, richiamato il verbale ispettivo i cui esiti erano stati posti nella piena conoscenza del C..

2 – Il ricorso incidentale denuncia, con il primo motivo, “violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”. Rileva, in sintesi, il ricorrente che la attività svolta in data 18 gennaio 2002 presso la ditta Italbus di (OMISSIS) nonchè presso l’Autoscuola di (OMISSIS) risultava attestata da atti formati dallo stesso C. nella sua qualità di pubblico ufficiale, atti rispetto ai quali non era mai stata proposta dalla amministrazione querela di falso. La Corte territoriale, pertanto, non poteva ricorrere al ragionamento presuntivo in presenza di una prova legale ex art. 2700 c.c., tra l’altro riscontrata anche dalle deposizioni testimoniali assunte durante la fase sommaria. Quanto, poi, alle ulteriori missioni il giudice di appello non aveva in alcun modo considerato che le stesse si erano protratte per più giorni, sicchè ben avrebbe potuto il dipendente ultimare l’attività di collaudo nel corso della mattinata per poi svolgere in altra sede l’attività di esaminatore nel pomeriggio. Infine evidenzia che i fatti posti dalla Corte di Appello alla base della prova presuntiva non presentano i requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge.

2.1 – Il secondo motivo censura la sentenza impugnata per “violazione e falsa applicazione dell’art. 13, comma 4 CCNL personale comparto ministeri 2006/2009, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”. Assume il ricorrente incidentale che la condotta andava eventualmente sussunta nell’ipotesi prevista dalla lettera g) dell’art. 13, comma 4, del CCNL di comparto, in quanto la condotta addebitata, ove ritenuta provata, avrebbe integrato una manomissione dei fogli di presenza o delle risultanze anche cartacee degli stessi, in relazione alla quale il contratto prevedeva una sanzione conservativa.

3 – Ragioni di priorità logica impongono di esaminare innanzitutto il ricorso incidentale con il quale il C., sul presupposto della insussistenza del fatto e, comunque, della non riconducibilità dello stesso ad una delle ipotesi per le quali il contratto collettivo prevede la sanzione espulsiva, ha chiesto alla Corte, in via principale, di pronunciare ex art. 384 c.p.c., comma 2, e di riconoscere le tutele previste dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, o, in subordine, dal comma 5 dello stesso articolo, come modificato dalla L. 28 giugno 2012, n. 92. L’impugnazione incidentale, quindi, muove dalla ritenuta applicabilità al rapporto di pubblico impiego contrattualizzato della nuova disciplina, applicabilità affermata anche dai giudici di merito che, sia pure senza motivare sul punto, hanno fatto discendere dalla ritenuta violazione delle regole procedimentali le conseguenze previste dal comma 6 della norma modificata.

Ritiene, al contrario, il Collegio che la normativa invocata dal C. non sia applicabile alla fattispecie.

3.1 – Occorre premettere, che in ragione della funzione del giudizio di legittimità di garantire l’osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonchè sulla base del principio generale desumibile dall’art. 384 c.p.c., deve ritenersi che, nell’esercizio del potere di qualificazione in diritto dei fatti, la Corte di cassazione può ritenere fondata o infondata la questione, sollevata dal ricorso, per una ragione giuridica diversa da quella specificamente prospettata dalle parti e della quale si è discusso nei gradi di merito, con il solo limite che tale individuazione deve avvenire sulla base dei fatti esposti nel ricorso per cassazione, principale o incidentale, e nella stessa sentenza impugnata e fermo restando che l’esercizio del potere di qualificazione non deve confliggere con il principio del monopolio della parte nell’esercizio della domanda e delle eccezioni in senso stretto (in tal senso Cass. 14.2.2014 n. 3437; Cass. 17.4.2007 n. 9143; Cass. 29.9.2005 n. 19132).

E’ stato anche affermato da questa Corte che la locuzione giurisprudenziale “minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno” individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, ossia la statuizione che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma, che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico. Ne consegue che, sebbene ciascun elemento di detta sequenza possa essere oggetto di singolo motivo di impugnazione, nondimeno la censura motivata anche in ordine ad uno solo di essi riapre la cognizione sull’intera statuizione, perchè impedendo la formazione del giudicato interno, impone al giudice di verificare la norma applicabile e la sua corretta interpretazione (Cass. 4.2.2016 n. 2217).

Nel caso di specie la tutela reintegratoria invocata con il ricorso incidentale è quella prevista dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, sicchè, per i principi di diritto sopra richiamati, la Corte deve innanzitutto procedere alla esatta qualificazione giuridica dei fatti e, quindi, alla individuazione della normativa applicabile alla fattispecie.

3.2 – Il Collegio non ignora che sulla questione che qui viene in rilievo si sono formati nella giurisprudenza di merito, anche sulla base delle indicazioni provenienti dalla dottrina, orientamenti contrastanti che, per giungere ad affermare o a negare la applicabilità ai rapporti di pubblico impiego contrattualizzato della nuova disciplina, hanno valorizzato, principalmente, da un lato il rinvio mobile alle disposizioni dettate dalla legge n. 300 del 1970 contenuto nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 51 e la necessità di garantire, anche dopo la riforma, uniformità di trattamento fra impiego pubblico e privato; dall’altro la L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 7 e 8 nonchè la inconciliabilità della nuova disciplina con lo specifico regime imperativo dettato dagli artt. 54 e segg. delle norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

La sentenza di questa Corte 25 novembre 2015 n. 24157 ha fatto propria solo parzialmente la prima delle due opzioni esegetiche a confronto, poichè, pur affermando la applicabilità della riforma ai rapporti disciplinati dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, ha ritenuto di dovere, comunque, salvaguardare la specialità della normativa del procedimento disciplinare dettata per l’impiego pubblico dalle disposizioni sopra richiamate e, quindi, ha ricondotto all’art. 18 comma 1 e 2 modificato la violazione delle regole procedimentali, in quanto causa di nullità del licenziamento.

Il Collegio ritiene che detto orientamento debba essere disatteso, giacchè plurime ragioni inducono ad escludere che il nuovo regime delle tutele in caso di licenziamento illegittimo possa essere applicato anche ai rapporti di lavoro disciplinati dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2.

Invero la L. n. 92 del 2012, art. 1, dopo aver previsto al comma 7 che “Le disposizioni della presente legge, per quanto da esse non espressamente previsto, costituiscono principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2, e successive modificazioni, in coerenza con quanto disposto dall’art. 2, comma 2, del medesimo decreto legislativo. Restano ferme le previsioni di cui all’art. 3 del medesimo decreto legislativo.”, al comma 8 aggiunge che “Al fine dell’applicazione del comma 7 il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, individua e definisce, anche mediante iniziative normative, gli ambiti, le modalità e i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche”.

Sebbene la norma, che risulta dal combinato disposto dei commi 7 e 8, sia stata formulata in termini diversi rispetto ad altre disposizioni, con le quali è stata esclusa l’automatica estensione all’impiego pubblico contrattualizzato di norme dettate per l’impiego privato (si pensi, ad esempio, alla D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 1, comma 2), tuttavia a fini interpretativi assume peculiare rilievo il rinvio ad un successivo intervento normativo contenuto nel comma 8, non dissimile da quello previsto dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 86, comma 8, che ha, appunto, demandato al Ministro della funzione pubblica, previa consultazione delle organizzazioni sindacali, di assumere le iniziative necessarie per armonizzare la disciplina del pubblico impiego con la nuova normativa, pacificamente applicabile al solo impiego privato.

La circostanza che il comma 7 faccia salve le disposizioni della L. n. 92 che dispongano in senso diverso, si giustifica considerando che la stessa legge contiene anche norme che si riferiscono espressamente all’impiego pubblico (in particolare l’art. 2, comma 2, esclude dall’ambito della operatività dell’ASPI i dipendenti delle pubbliche amministrazioni), sicchè la eccezione opera solo con riferimento alle disposizioni in relazione alle quali la questione della applicabilità all’impiego pubblico sia stata già risolta in modo espresso dal legislatore del 2012.

Non è, questo, il caso della nuova disciplina del licenziamento, perchè sulla estensione della stessa all’impiego pubblico nulla è detto nell’art. 1, con la conseguenza che, in difetto di una espressa previsione, non può che operare il rinvio di cui al comma 8.

Ciò comporta che, sino al successivo intervento normativo di armonizzazione, non si estendono ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni le modifiche apportate all’art. 18 dello Statuto, con la conseguenza che la tutela da riconoscere a detti dipendenti in caso di licenziamento illegittimo resta quella assicurata dalla previgente formulazione della norma.

3.3 – Dette conclusioni, fondate sul tenore letterale della disciplina in commento, sono avvalorate da considerazioni di ordine logico e sistematico che, nel rispetto della doverosa sintesi imposta dall’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., possono essere così riassunte:

a) la definizione delle finalità della L. n. 92 del 2012, per come formulata nell’art. 1, comma 1, tiene conto unicamente delle esigenze proprie dell’impresa privata, alla quale solo può riferirsi la lettera c), che pone una inscindibile correlazione fra flessibilità in uscita ed in entrata, allargando le maglie della prima e riducendo nel contempo l’uso improprio delle tipologie contrattuali diverse dal rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato;

b) la formulazione dell’art. 18, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, introduce una modulazione delle sanzioni con riferimento ad ipotesi di illegittimità pensate in relazione al solo lavoro privato, che non si prestano ad essere estese all’impiego pubblico contrattualizzato per il quale il legislatore, in particolar modo con il D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, ha dettato una disciplina inderogabile, tipizzando anche illeciti disciplinari ai quali deve necessariamente conseguire la sanzione del licenziamento;

c) la inconciliabilità della nuova normativa con le disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 165 del 2001 è particolarmente evidente in relazione al licenziamento intimato senza il necessario rispetto delle garanzie procedimentali, posto che il comma 6 dell’art. 18 fa riferimento alla sola L. n. 300 del 1970, art. 7 e non agli artt. 55 e 55 bis del D.Lgs. citato, con i quali il legislatore, oltre a sottrarre alla contrattazione collettiva la disciplina del procedimento, del quale ha previsto termini e forme, ha anche affermato il carattere inderogabile delle disposizioni dettate “ai sensi e per gli effetti dell’art. 1339 c.c. e artt. 1419 c.c. e segg.”;

d) una eventuale modulazione delle tutele nell’ambito dell’impiego pubblico contrattualizzato richiede da parte del legislatore una ponderazione di interessi diversa da quella compiuta per l’impiego privato, poichè, come avvertito dalla Corte Costituzionale, mentre in quest’ultimo il potere di licenziamento del datore di lavoro è limitato allo scopo di tutelare il dipendente, nel settore pubblico il potere di risolvere il rapporto di lavoro, è circondato da garanzie e limiti che sono posti non solo e non tanto nell’interesse del soggetto da rimuovere, ma anche e soprattutto a protezione di più generali interessi collettivi (Corte Cost. 24.10.2008 n. 351).

Viene, cioè, in rilievo non l’art. 41 Cost., commi 1 e 2, bensì l’art. 97 della Carta fondamentale, che impone di assicurare il buon andamento e la imparzialità della amministrazione pubblica.

3.4 – La ritenuta inapplicabilità della riforma all’impiego pubblico contrattualizzato non può essere esclusa solo facendo leva sul rinvio contenuto nella L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 51, comma 2, “e successive modificazioni ed integrazioni”. Osserva innanzitutto il Collegio che il legislatore del T. U. nel rendere applicabili le disposizioni dello Statuto e, quindi, l’art. 18, a tutte le amministrazioni pubbliche, a prescindere dal numero dei dipendenti, ha voluto escludere in ogni caso, pur in un contesto di tendenziale armonizzazione fra impiego pubblico e privato, una tutela diversa da quella reale nell’ipotesi di licenziamento illegittimo, anche per quelle amministrazioni, pur numerose (si pensi, ad esempio agli enti territoriali minori di limitate dimensioni), per le quali sarebbe stata altrimenti applicabile la tutela obbligatoria prevista dalla L. n. 604 del 1966, art. 8.

Il rinvio, seppur mobile, nasce limitato da detta scelta fondamentale compiuta dal legislatore, che rende incompatibile con la volontà espressa nella norma di rinvio l’automatico recepimento di interventi normativi successivi, che modifichino la norma richiamata incidendo sulla natura stessa della tutela riconosciuta al dipendente licenziato.

Va, poi, sottolineato che, anche in presenza di una norma di rinvio finalizzata ad estendere ad un diverso ambito una normativa nata per disciplinare altri rapporti giuridici, è consentito al legislatore di limitare, con un successivo intervento normativo di pari rango, il rinvio medesimo e, quindi, di escludere l’automatica estensione di modifiche della disciplina richiamata.

Detto intervento, che è quello verificatosi nella fattispecie, fa sì che il rinvio si trasformi da mobile a fisso, ossia che la norma richiamata resti cristallizzata nel testo antecedente alle modifiche apportate dalla riforma, che, quindi, continua a disciplinare i rapporti interessati dalla norma di rinvio, dando vita in tal modo ad una duplicità di normative, ciascuna applicabile in relazione alla diversa natura dei rapporti giuridici in rilievo.

In via conclusiva ritiene il Collegio di dovere affermare, per le considerazioni tutte sopra esposte, che la L. n. 300 del 1970, art. 18, nel testo antecedente alle modifiche apportate dalla L. n. 92 del 2012, non è stato espunto dall’ordinamento ma resta tuttora in vigore limitatamente ai rapporti di lavoro di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2.

3.5 – Resta fuori dal tema dibattuto, e che in questa sede viene rimeditato espressamente, l’indiscutibile immediata applicazione alle impugnative dei licenziamenti adottati dalle pubbliche amministrazioni del nuovo rito, in primo grado ed in sede di impugnazione, quale disciplinato dalle norme in disamina, nulla ostando nè nelle previsioni della L. n. 92 del 2012 (art. 1, commi 48 e seguenti) nè nel corpo normativo di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001 ed anzi militando, per la generale applicazione ad ogni impugnativa di licenziamento ai sensi dell’art. 18 S.L., la espressa previsione dell’art. 1, comma 47 della legge del 2012.

3.5 – L’avere il ricorrente incidentale invocato una normativa sostanziale non applicabile al rapporto non esime, peraltro, la Corte dall’esame delle censure mosse alla sentenza impugnata, poichè il principio iura novit curia impone al giudice di ricercare le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, purchè il petitum e la causa petendi della domanda proposta restino immutati.

Nel caso di specie il ricorrente incidentale ha invocato la tutela reintegratoria sul presupposto della insussistenza dei fatti contestati e, comunque, della giusta causa, sicchè la domanda formulata risulta compatibile con la disciplina effettivamente applicabile al rapporto.

4 – Il primo motivo del ricorso incidentale è, però, infondato, poichè non si ravvisa la denunciata violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c..

La Corte territoriale, per giungere a ritenere provate la inconciliabilità delle attività attestate dal C. come avvenute nella medesima giornata e la conseguente falsità degli atti formati dal ricorrente incidentale, ha valorizzato una pluralità di elementi, tutti indicati nella articolata motivazione, ed in particolare ha considerato:

a) la distanza, superiore a 500 km, esistente fra le due località, nelle quali il C. avrebbe svolto rispettivamente i collaudi richiesti dal Centro Superiore Ricerche e Prove Autoveicoli e Dispositivi e gli esami di guida effettuati per conto dell’Ufficio Provinciale di Roma;

b) il mancato utilizzo del mezzo aereo per gli spostamenti;

c) la natura delle attività svolte nella medesima giornata ed il tempo richiesto da ognuna di esse;

d) gli orari dichiarati nelle richieste di rimborso, non compatibili con lo spostamento in altra località e con le attività ivi apparentemente svolte;

e) la circostanza che fosse lo stesso ricorrente incidentale ad organizzare in assoluta autonomia la propria attività, ivi comprese le trasferte.

4.1 – Questa Corte ha da tempo affermato che “le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione” (Cass. 11.5.2007 n. 10847 e negli stessi termini Cass. 27.10.2010 n. 21961 e Cass. 6.6.2012 n. 9108).

E’ stato anche evidenziato che nella prova per presunzioni non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità. Il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto va, quindi, accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possono verificarsi secondo regole di esperienza (Cass. 31.10.2010 n. 22656; Cass. 5.2.2014 n. 2632; Cass. 27.4.2016 n. 8324).

Il giudice del merito è solo tenuto ad esplicitare il criterio logico posto alla base della selezione degli indizi e le ragioni del suo convincimento, che deve risultare all’esito di una duplice valutazione: la prima, di tipo analitico, volta a selezionare gli elementi che presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; l’altra, di tipo sintetico, tendente ad una valutazione complessiva di tutte le emergenze in precedenza isolate, per accertare se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva. Detto giudizio di sintesi non è censurabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico (Cass. 28.10.2014 n. 22801).

Ai principi di diritto sopra richiamati si è attenuta la Corte territoriale che, nel respingere il motivo di reclamo formulato dal C., ha correttamente escluso che le presunzioni costituiscano un mezzo di prova relegato dall’ordinamento in un grado subordinato rispetto agli altri mezzi; ha indicato tutti gli elementi acquisiti al processo che, valutati complessivamente, concorrevano a far ritenere dimostrato il fatto ignoto, ossia la falsità delle attestazioni e delle richieste di rimborso formate dal reclamante; ha escluso che il ragionamento presuntivo potesse essere impedito dalla natura degli atti sottoscritti dal C., evidenziando al riguardo che l’essenza della contestazione andava individuata proprio nell’avere formato atti non rispondenti al vero, sicchè l’appellante non poteva giovarsi della sua qualità di funzionario pubblico.

4.2 – Anche la ritenuta inapplicabilità alla fattispecie dell’art. 2700 c.c., invocato dal ricorrente incidentale, è conforme alla giurisprudenza di questa Corte la quale, giudicando in fattispecie analoga, ha escluso che sia necessaria la querela di falso, quando oggetto del giudizio sia la responsabilità disciplinare del pubblico ufficiale autore dell’atto contenente una falsità ideologica.

E’ stato evidenziato, infatti, che “non appartiene all’ambito delle finalità dell’atto pubblico anche quella di influire sulla sfera giuridica personale del pubblico ufficiale autore dell’atto stesso, anche perchè ciò determinerebbe una situazione di incompatibilità, non irrilevante ai fini della stessa validità dell’atto (cfr. art. 2701 c.c.)” (Cass. 22.6.2002 n. 9147 e la giurisprudenza ivi richiamata).

4.3 – Il motivo è, poi, inammissibile nella parte in cui censura la motivazione della sentenza impugnata, sostenendo che la Corte territoriale avrebbe errato nella valutazione della prova documentale (quanto alla durata delle missioni) e delle deposizioni testimoniali (in relazione agli orari nei quali le attività sarebbero state svolte).

Si tratta di doglianze che esulano dall’ambito del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, poichè attengono alla ricostruzione dei fatti, che, per le sentenze pubblicate, come nella specie, dal trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, è censurabile in sede di legittimità solo nella ipotesi di “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti”.

Detto vizio, inoltre, non è denunciabile, per i giudizi di appello instaurati successivamente alla data sopra indicata (art. 54, comma 2, del richiamato D.L. n. 83 del 2012), qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado (art. 348 ter c.p.c., u.c.).

La disposizione è applicabile anche al reclamo disciplinato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, commi da 58 a 60, che ha natura sostanziale di appello, dalla quale consegue la applicabilità della disciplina generale dettata per le impugnazioni dal codice di rito, se non espressamente derogata (in tal senso Cass. 29.10.2014 n. 23021).

5 – E’ infondato anche il secondo motivo del ricorso incidentale, con il quale il C. ha sostenuto che, in ogni caso, il fatto andava ricondotto alla previsione dell’art. 13, comma 4, lett. g), del CCNL 12.6.2003, come modificato dall’art. 27 del CCNL per il quadriennio 2006/2009.

Anche a voler prescindere dal rilievo che la disposizione contrattuale invocata è successiva all’epoca dei fatti, va detto che le parti collettive hanno previsto la sanzione disciplinare della sospensione del servizio in relazione a “fatti e comportamenti tesi all’elusione dei sistemi di rilevamento elettronici della presenza e dell’orario o manomissione dei fogli di presenza o delle risultanze anche cartacee degli stessi”. La condotta tipizzata (in relazione alla quale il successivo D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, non applicabile ratione temporis alla fattispecie, ha invece espressamente previsto la sanzione del licenziamento) è quella relativa alla falsa attestazione dell’orario di lavoro, derivante sia dalla “elusione” dei sistemi di controllo automatici sia dalla alterazione dei fogli di presenza.

Nel caso di specie, al contrario, le falsità commesse dal ricorrente, ritenute provate dalla Corte territoriale, vanno ben oltre la mera attestazione dell’orario di lavoro, poichè il licenziamento è stato intimato per avere il dipendente formato atti pubblici e richieste di rimborso non rispondenti al vero (quantomeno in parte), inducendo in errore l’Amministrazione quanto alla durata delle missioni e realizzando, in tal modo, un ingiustificato profitto in danno dell’ente.

La Corte territoriale ha, quindi, correttamente escluso che la condotta potesse essere sussunta nella previsione invocata dal reclamante.

6 – Il giudice di appello ha, poi, valutato la gravità del comportamento tenuto, ritenendo provati il carattere doloso dello stesso e la idoneità a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, anche in considerazione della qualità di funzionario pubblico rivestita e della natura e delicatezza delle mansioni svolte.

Il capo della sentenza non è stato specificamente censurato nel ricorso incidentale, sicchè non possono essere apprezzate le doglianze contenute nella “memoria di costituzione di difensore aggiunto” dell’8 marzo 2016 e nella memoria ex art. 378 c.p.c.. Detti atti non possono integrare o ampliare il contenuto dei motivi di ricorso e con gli stessi non possono essere dedotte nuove censure nè sollevate questioni nuove (Sez. U. n. 11097 del 15/05/2006; Cass. n. 28855 del 29/12/2005; Cass. n. 14570 del 30/07/2004).

Il ricorso incidentale va, pertanto, rigettato.

7 – I motivi del ricorso principale, da trattarsi congiuntamente perchè connessi, sono, invece, fondati.

E’ opportuno premettere che il principio della immutabilità dei fatti posti a fondamento della sanzione disciplinare è finalizzato, al pari di quello relativo alla necessaria specificità della contestazione, a garantire il diritto di difesa del lavoratore incolpato, diritto che sarebbe compromesso qualora si consentisse al datore di lavoro di intimare il licenziamento in relazione a condotte rispetto alle quali il dipendente non è stato messo in condizione di discolparsi.

Valorizzando la ratio del principio, questa Corte ha precisato che non si verifica una modifica della contestazione nel caso in cui la condotta contestata resti invariata e mutino solo l’apprezzamento e la valutazione della stessa, poichè in tal caso, ove non vengano in rilievo nuove circostanze di fatto, il diritto di difesa non risulta in alcun modo compromesso (Cass. 22.3.2011 n. 6499).

E’ stato anche affermato, e va qui ribadito, che il canone della specificità, nella contestazione dell’addebito, non richiede l’osservanza di schemi prestabiliti e rigidi, come accade nella formulazione dell’accusa nel processo penale, sicchè deve ritenersi ammissibile la contestazione per relationem, in quanto consente all’incolpato l’esercizio del diritto di difesa, ogniqualvolta i fatti ed i comportamenti richiamati siano a conoscenza dell’interessato, perchè emersi nel contraddittorio con lo stesso, come accade nei casi in cui il procedimento disciplinare venga attivato in relazione a fatti già accertati in sede penale (Cass. 3 marzo 2010 n. 5115 e negli stessi termini Cass. 15.5.2014 n. 10662).

7.1 – Rileva, inoltre, il Collegio che allorquando, contestualmente alla contestazione, il datore di lavoro sospenda il procedimento in attesa della definizione del processo penale instaurato per i medesimi fatti, non risultano violati i principi della immutabilità e della specificità della contestazione se, venuta meno la causa di sospensione e riattivato il procedimento disciplinare, il datore di lavoro si avvalga degli accertamenti compiuti in sede penale per meglio circoscrivere l’addebito, comunque ricompreso in quello originario, e ciò faccia nel rispetto del diritto di difesa, ossia ponendo il lavoratore in condizione di replicare alle accuse, così come precisate al momento della riattivazione.

Detto principio, per i procedimenti instaurati in epoca successiva alla entrata in vigore del D.Lgs n. 150 del 2009, è desumibile dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 ter nella parte in cui, al comma 4, fa riferimento al “rinnovo della contestazione dell’addebito”, in occasione del quale, evidentemente, la pubblica amministrazione potrà avvalersi degli elementi emersi in sede penale, visto che nel nuovo sistema la sospensione può essere disposta solo qualora ricorra una particolare complessità del fatto da accertare ed i dati raccolti dalla amministrazione non siano sufficienti per irrogare la sanzione.

Per i procedimenti ai quali non si estende la nuova normativa la possibilità di avvalersi di quanto emerso in sede penale per meglio circoscrivere la contestazione, discende dalla finalità stessa della sospensione, che mira non solo ad evitare un contrasto fra gli esiti dei due procedimenti, ma anche a consentire un più accurato accertamento dei fatti, tra l’altro effettuato dall’autorità giudiziaria, e, quindi, da soggetto imparziale, con le garanzie che l’ordinamento riconosce sia all’imputato che al soggetto sottoposto ad indagini.

7.2 – La Corte territoriale ha ritenuto violato il principio della immutabilità della contestazione all’esito della comparazione fra la missiva del 2 marzo 2004 (con la quale il procedimento penale era stato avviato e contestualmente sospeso, in quanto i fatti emersi a seguito di visita ispettiva erano stati segnalati anche alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma) e la lettera di licenziamento ed ha ritenuto la non corrispondenza fra fatto contestato e fatto posto a fondamento del recesso, perchè nella originaria contestazione gli episodi non erano stati analiticamente indicati ed inoltre era stata sottolineata solo la sovrapposizione degli orari, senza fare cenno alla falsità degli atti ed alla possibilità che le attività dichiarate non fossero state svolte.

Così argomentando il giudice del merito non ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto sopra sintetizzati, poichè non ha valutato il tenore della nota di riattivazione del procedimento ed il richiamo contenuto nella contestazione originaria al verbale ispettivo (in relazione al quale è mancato anche ogni accertamento sulla conoscenza che dello stesso il C. avesse all’epoca dell’avvio del procedimento), nè ha considerato la missiva del 2.3.2004 nella sua interezza, non avendo chiarito se, in relazione alla descrizione della condotta contestata, potesse essere attribuito un qualche significato al richiamo fatto alla denuncia penale inoltrata.

Si impone, pertanto, la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, poichè la valutazione sulla asserita violazione del diritto di difesa del dipendente incolpato e, quindi, sulla fondatezza del reclamo proposto dal Ministero delle Infrastrutture, deve essere nuovamente effettuata dal giudice del merito, alla luce dei principi di diritto sopra indicati.

8 – Occorre a questo punto chiarire che nel giudizio di rinvio, anche qualora dovesse essere nuovamente accertata la violazione delle regole del procedimento, non potrà essere riconosciuta al C. una tutela diversa da quella meramente indennitaria, ritenuta applicabile dal Tribunale di Roma con la sentenza resa all’esito del giudizio di opposizione.

Il potere di qualificazione giuridica non deve confliggere con il principio del monopolio della parte nell’esercizio della domanda e, in sede di impugnazione, deve misurarsi con le preclusioni che derivano, per l’appello, dagli artt. 329 e 346 c.p.c. e per il ricorso per cassazione dalla natura del giudizio di legittimità, a critica vincolata, con oggetto delimitato, in ragione del principio di specificità, dalle censure sollevate con i singoli motivi.

Nel giudizio di rinvio, poi, nel quale l’atto di riassunzione non ha natura di impugnazione perchè volto solo alla prosecuzione del giudizio conclusosi con la sentenza cassata, non possono essere proposti dalle parti, nè presi in esame dal giudice, motivi diversi da quelli che erano stati formulati nel primo giudizio d’appello, che continuano a delimitare, da un lato, l’effetto devolutivo dello stesso gravame e, dall’altro, la formazione del giudicato interno (Cass. 8.11.2013 n. 25244).

Il Tribunale di Roma, accertata la violazione delle regole del procedimento disciplinare, ha ritenuto che dalla stessa dovessero discendere le sole conseguenze previste dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 6, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, e detto capo della sentenza non è stato oggetto di impugnazione, in via principale o incidentale, da parte del C., che con il reclamo ha lamentato solo la erroneità della pronuncia di rigetto della domanda principale, fondata sulla asserita insussistenza del fatto.

Il C., pertanto, non potrà giovarsi della cassazione della sentenza, per effetto della ritenuta fondatezza del ricorso principale del Ministero, per domandare nel giudizio di rinvio la tutela prevista dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, nel testo antecedente alla novella legislativa, essendo detta domanda preclusa dal disposto dell’art. 329 c.p.c., comma 2.

9 – La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame delle questioni ancora controverse, pronunciando anche sulle spese del giudizio di legittimità, attenendosi ai principi di diritto enunciati ai punti 3, 7 e 8, e sintetizzati nei termini che seguono:

a) il principio della immutabilità della contestazione non impedisce al datore di lavoro, nei casi di sospensione del procedimento disciplinare per la contestuale pendenza del processo penale relativo ai medesimi fatti, di utilizzare, all’atto della riattivazione del procedimento, gli accertamenti compiuti in sede penale per meglio circoscrivere l’addebito, ricompreso in quello originario, purchè ciò avvenga nel rispetto del diritto di difesa, ossia ponendo il lavoratore in condizione di replicare alle accuse, così come precisate al momento della riattivazione;

b) il principio della specificità della contestazione disciplinare non richiede l’osservanza di schemi prestabiliti e rigidi sicchè è ammissibile la contestazione per relationem ogniqualvolta i fatti ed i comportamenti richiamati siano a conoscenza dell’interessato;

c) ai rapporti di lavoro disciplinati dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 2, non si applicano le modifiche apportate dalla L. 28 giugno 2012, n. 92 alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, per cui la tutela del dipendente pubblico in caso di licenziamento illegittimo intimato in data successiva alla entrata in vigore della richiamata L. n. 92 del 2012 resta quella prevista dalla L. n. 300 del 1970, art. 18 nel testo antecedente alla riforma;

d) il potere del giudice di applicare alla fattispecie ricostruita la esatta regola di diritto, e quindi anche la normativa sul sindacato giurisdizionale sui licenziamenti, deve misurarsi con le preclusioni che derivano, per l’appello, dagli artt. 329 e 346 c.p.c. e, per il ricorso per cassazione, dalla natura del giudizio di legittimità, a critica vincolata, con oggetto delimitato dalle censure sollevate con i singoli motivi.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale e rigetta l’incidentale.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 17 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2016