Albo pretorio on line: no ai dati personali pubblicati troppo a lungo

sicurezza-dati-privacyfix-300x249E’ illecito pubblicare nell’albo pretorio on line documenti contenenti dati personali oltre il termine previsto dalla legge. Il principio è stato ribadito dal Garante privacy che ha vietato alla Regione Valle d’Aosta l’ulteriore pubblicazione sul proprio sito web dei dati personali di un dipendente presenti nella delibera di Giunta con la quale il lavoratore veniva trasferito ad altro ufficio per incompatibilità ambientale.

Nel dare ragione al dipendente che aveva segnalato la violazione, l’Autorità ha rilevato che la pubblicazione dei dati personali del lavoratore sul sito della Regione oltre il termine di 15 giorni previsto dalla legge, non essendo prevista da alcuna norma, determina una diffusione illecita di dati personali. Il Garante ha ritenuto, inoltre, non conforme al principio di pertinenza e non eccedenza del Codice privacy la messa online della delibera contenente una serie di informazioni risultate eccessive, nonché lesive della dignità del lavoratore (nome e cognome del dipendente, valutazioni sulla professionalità e sul comportamento, motivi del trasferimento, dettagli su rapporti conflittuali, difficoltà di funzionamento dell’ufficio attribuiti alla sua presenza).

Con il provvedimento, il Garante ha chiarito, infine che qualora la Regione intendesse mettere on line altri documenti, ad es. tutte le delibere adottate dagli organi collegiali, potrebbe farlo solo dopo aver proceduto alla anonimizzazione dei dati personali in esse eventualmente presenti. Entro 180 giorni la Regione dovrà comunicare al Garante le misure adottate per adeguare la pubblicazione delle delibere in Internet alle prescrizioni impartite.

Con un separato procedimento l’Autorità si è riservata di valutare l’applicazione della sanzione amministrativa prevista per l’illecita diffusione di dati.

Prescrizioni del Garante per la pubblicazione di deliberazioni contenenti dati personali sull’albo pretorio online di una Regione – 26 marzo 2015 [3882453]

Registro dei provvedimenti
n. 182 del 26 marzo 2015

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

NELLA riunione odierna, in presenza del dott. Antonello Soro, presidente, della dott.ssa Augusta Iannini, vicepresidente, della dott.ssa Giovanna Bianchi Clerici e della prof.ssa Licia Califano, componenti, e del dott. Giuseppe Busia, segretario generale;

ESAMINATA la segnalazione del 27 agosto 2013 di XX;

VISTO il d.lg. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali, di seguito “Codice”);

VISTE le indicazioni fornite dal Garante con il Provvedimento n. 243 del 15 maggio 2014, recante Linee guida in materia di trattamento di dati personali, contenuti anche in atti e documenti amministrativi, effettuato per finalità di pubblicità e trasparenza sul web da soggetti pubblici e da altri enti obbligati (in www.garanteprivacy.it, doc. web n. 3134436);

VISTE le Linee guida in materia di trattamento di dati personali di lavoratori per finalità di gestione del rapporto di lavoro in ambito pubblico del 14 giugno 2007 (pubblicate in G.U. 13 luglio 2007, n. 161, doc. web n. 1417809);

VISTE le osservazioni formulate dal segretario generale ai sensi dell’art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;

RELATORE la prof.ssa Licia Califano;

PREMESSO

1. XX, dipendente della Regione autonoma Valle d’Aosta, attualmente funzionario in servizio presso l’Assessorato Sanità e politiche sociali, ha segnalato la persistente pubblicazione di dati personali a sé riferiti sul sito web istituzionale della Regione (in particolare nella sezione denominata “deliberazioni”) contenuti nella deliberazione della Giunta regionale n. 1016 del 7 giugno 2013, avente ad oggetto “Mobilità per esigenze organizzative di un dipendente nell’ambito dell’organico della giunta regionale”. L’atto pubblicato riporta “valutazioni sulla professionalità” e sul contegno dell’interessato, peraltro espressamente identificato (cfr. segnalazione del 27 agosto 2013 e allegato n. 1).

In particolare, la deliberazione − adottata a seguito del procedimento per l’accertamento dell’incompatibilità ambientale dell’interessato (ai sensi dell’art. 43 L. Regionale n. 22/2010 e della delibera della Giunta regionale n. 2426/2012 − dà conto di “tensioni e rapporti conflittuali che incidono negativamente […] sull’organizzazione e sulla funzionalità complessiva degli uffici […] sul prestigio e sul decoro del Dipartimento […]” e delle “difficoltà di funzionamento degli uffici in relazione alla presenza del dipendente sig. XX” disponendone infine il trasferimento “per accertata incompatibilità ambientale” (cfr. pp. 3 e 4, delibera n. 1016 del 7 giugno 2013, in atti).

2.1. Nel dare riscontro alla richiesta di informazioni formulata dall’Ufficio la Regione, in qualità di titolare del trattamento (artt. 4, comma 1, lett. f) e 28 del Codice), ha dichiarato che la pubblicazione della determinazione in questione sarebbe avvenuta “in base a specifiche disposizioni di legge, concordemente a quanto previsto dal Codice” (cfr. nota del 2 ottobre 2013, in atti). In particolare, la pubblicazione troverebbe il proprio fondamento giuridico nell’art. 10, comma 1, d.lg. 22 aprile 1994, n. 320 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Valle d’Aosta), che fa riferimento alla pubblicazione “per quindici giorni consecutivi” degli atti deliberativi degli organi regionali “all’albo notiziario dell’amministrazione regionale”. Il titolare del trattamento ha pertanto ritenuto di aver assolto agli obblighi di pubblicità “tramite pubblicazione sul sito web della Regione” nel rispetto anche di quanto disposto dall’art. 32, l. 18 giugno 2009, n. 69 (istitutiva dell’albo on line).

Con riguardo al profilo concernente la persistente disponibilità on line dell’atto la Regione ha altresì affermato di aver osservato quanto stabilito, più di recente, dall’art. 8, comma 3, del d.lg. 14 marzo 2013, n. 33 (Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni). (cfr. nota del 2 ottobre 2013, cit.)

2.2. Nelle proprie controdeduzioni l’interessato, oltre a confermare la circostanza della persistente pubblicazione sul sito web della Regione del testo integrale della delibera (che è stata peraltro oggetto di impugnativa innanzi al giudice amministrativo), ha contestato “l’allungamento ad opera dell’art. 8, comma 3 [del c.d. decreto trasparenza] dei termini tradizionalmente previsti per la pubblicazione […] all’albo”  (cfr. note 2 dicembre 2013 e 11 novembre 2014, in atti).

3.1. La diffusione di dati personali (art. 4, comma 1, lett. b) ed m) del Codice) −ancorché non “sensibili” né “giudiziari” (art. 4, comma 1, lett. d) ed e) del Codice)− può essere lecitamente effettuata da parte di un soggetto pubblico unicamente quando tale operazione sia prevista da una norma di legge o di regolamento (artt. 11, comma 1, lett. a) e 19, comma 3, del Codice) e nel rispetto del principio di pertinenza e non eccedenza (art. 11, comma 1, lett. d) ed e) del Codice).

3.2. Nel caso di specie l’accertata reperibilità di dati personali riferiti all’interessato sul sito istituzionale della Regione nella sezione “deliberazioni” oltre il termine di 15 giorni previsti dalla disciplina di settore, determina per il periodo eccedente una diffusione illecita in quanto effettuata in assenza di idoneo presupposto normativo (artt. 11, comma 1, lett. a) e 19, comma 3, del Codice, nonché Provv.ti 23 febbraio 2012, n. 73, doc. web n. 1876679 e 6 dicembre 2012, n. 384, doc. web n. 2223278; parte II, punti 1 e 3.a, Linee guida cit.).

La richiamata disciplina di settore, infatti, fissa in “quindici giorni consecutivi, salvo il più breve termine stabilito nell’atto stesso” il termine massimo di pubblicazione delle delibere regionali al c.d. albo notiziario (cfr. art. 10, comma 1, d.lg. 22 aprile 1994, n. 320, in analogia a quanto stabilito con riguardo all’albo pretorio degli enti locali, art. 124, d.lg. 18 agosto 2000, n. 267 e art. 32, l. 18 giugno 2009, n. 69).

3.3. Non può peraltro essere invocato l’art. 8, comma 3, del d.lg. 33/2013 stante la mancata previsione dell’obbligo di pubblicazione di tale tipologia di atti tra le ipotesi puntualmente elencate dal legislatore nel capo II del citato decreto o in altra specifica norma in materia di trasparenza. Queste norme – che prevedono obblighi di pubblicazione nella apposita sezione del sito istituzionale denominata “Amministrazione trasparente” di informazioni “concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni” per favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni e sull’utilizzo delle risorse pubbliche (artt. 1, comma 1 e 2, comma 2, d.lg. n. 33/2013) − infatti, vanno mantenute distinte, anche sotto il profilo del diverso regime giuridico applicabile, dalle specifiche disposizioni di settore che regolano altri obblighi di pubblicità degli atti amministrativi per finalità diverse dalla trasparenza,  come deve considerarsi l’obbligo di pubblicità all’albo notiziario.

Non trova pertanto applicazione al caso di specie il regime di conoscibilità stabilito dalla normativa sulla trasparenza, ivi compresa la specifica previsione concernente l’arco temporale quinquennale di permanenza sul web (cfr. introduzione, parte I, punto I e parte  II, Linee guida cit.).

3.4. Inoltre, l’adempimento ad un obbligo di pubblicazione online di informazioni e documenti che comporti una diffusione di dati personali deve avvenire contemperando le esigenze di pubblicità con i diritti e le libertà fondamentali, nonché la dignità dell’interessato (art. 2 del Codice). Tanto premesso, si ritiene che la pubblicazione della delibera riportante il nominativo del segnalante, le valutazioni in merito all’operato nell’esecuzione della propria prestazione lavorativa e le specifiche ragioni poste a fondamento del trasferimento ad altro ufficio, non sia conforme al principio di pertinenza e non eccedenza (art. 11, comma 1, lett. d), del Codice; Linee guida cit.; in tal senso v. Provv. 1° agosto 2013, doc. web n. 2578588, con riguardo alla pubblicazione sul sito web di un’Azienda per i servizi sanitari di un provvedimento di recesso da un contratto individuale di lavoro recante valutazioni negative sull’operato del dipendente e Provv. 13 marzo 2014, doc web n. 3112708, con riguardo alla pubblicazione di delibere che riportavano anche giudizi sull’operato di un dipendente comunale; nella giurisprudenza di legittimità, in senso analogo, cfr. Cass., 20 luglio 2012, n. 12726, che ha confermato il Provv. 9 dicembre 2003, doc. web n. 1054649).

4. Alla luce delle considerazioni svolte, deve pertanto essere vietato alla Regione Valle d’Aosta ai sensi degli artt. 143, comma 1, lett. c), 144 e 154, comma 1, lett. d) del Codice, di diffondere ulteriormente in Internet, tramite il sito web istituzionale, i dati personali riferiti al segnalante nella delibera della Giunta regionale n. 1016 del 7 giugno 2013. Si ricorda, al riguardo, che l’inosservanza del provvedimento di divieto del Garante è punita ai sensi dell’art. 170 del Codice ed è  altresì applicata in sede amministrativa, in ogni caso, la sanzione di cui all’art. 162, comma 2-ter, del Codice.

Si prescrive, inoltre, ai sensi degli artt. 143, comma 1, lett. b), e 154, comma 1, lett. c), del Codice, di conformare la pubblicazione di atti e documenti in Internet alle disposizioni contenute nel Codice in materia di protezione dei dati personali tenendo presente le indicazioni contenute nelle menzionate Linee guida (cfr., parte II) e rispettando, in particolare, il principio in base al quale la diffusione di dati personali è lecita quando prevista da una norma di legge o di regolamento (artt. 11, comma 1, lett. a) e 19, comma 3, del Codice).

Si ricorda, al riguardo, che l’inosservanza del provvedimento del Garante di prescrizione di misure necessarie determina l’applicazione in sede amministrativa, in ogni caso, della sanzione di cui all’art. 162, comma 2-ter, del Codice.

5. Si osserva, infine, che, sebbene la disciplina in materia di trasparenza non preveda espressamente la pubblicazione obbligatoria delle delibere della Regione, resta salva la facoltà in capo alla Regione di disporre – anche al fine di favorire la “conoscenza degli atti emanati dall’Amministrazione regionale e di trasparenza della relativa attività” (cfr. documentazione in atti) – la pubblicazione di documenti ulteriori, ad esempio tutte le deliberazioni adottate dagli organi regionali, sempre che tale pubblicazione sia effettuata per esclusive finalità di trasparenza. In tali casi di pubblicazione facoltativa per finalità di trasparenza, la Regione potrà procedere alla pubblicazione solo dopo aver provveduto “alla anonimizzazione dei dati personali eventualmente presenti” (art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 33/2013, nonché, parte I, punto 3, Linee guida cit.).

Dopo aver proceduto a tale indispensabile opera di anonimizzazione, tenendo presente le indicazioni che il Garante ha fornito nelle Linee guida (cfr., parte I, punto 3), sarà quindi possibile procedere alla pubblicazione di tutte le delibere all’interno della apposita sezione denominata “Amministrazione trasparente” (art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 33/2013).

6. L‘Autorità si riserva di valutare, con separato procedimento, gli estremi per la contestazione della violazione amministrativa prevista dall’art. 162, comma 2-bis, del Codice.

TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE

nei confronti della Regione Valle d’Aosta, ritenuta illecita per  violazione degli artt. 11, comma 1, lett. a) e d), nonché 19, comma 3 del Codice, nei termini indicati in motivazione, la diffusione dei dati personali riferiti al segnalante,

1. vieta, ai sensi degli artt. 143, comma 1, lett. c), 144 e 154, comma 1, lett. d), del Codice, di diffondere ulteriormente in Internet, mediante il proprio sito web istituzionale, i dati personali oggetto di segnalazione riferiti al segnalante contenuti nella delibera della Giunta regionale n. 1016 del 7 giugno 2013;

2. prescrive, ai sensi degli artt. 143, comma 1, lett. b), e 154, comma 1, lett. c), del Codice, di conformare la pubblicazione di atti e documenti in Internet alle disposizioni contenute nel Codice in materia di protezione dei dati personali tenendo presente le indicazioni contenute nelle Linee guida in materia di trattamento di dati personali, contenuti anche in atti e documenti amministrativi, effettuato per finalità di pubblicità e trasparenza sul web da soggetti pubblici e da altri enti obbligati (cfr., parte II), rispettando, in particolare, il principio in base al quale la diffusione di dati personali è lecita quando prevista da una norma di legge o di regolamento (artt. 11, comma 1, lett. a) e 19, comma 3, del Codice);

3. chiede, ai sensi dell’art. 157 del Codice, di dare comunicazione al Garante, entro centottanta giorni dalla data di ricezione del presente provvedimento, delle misure adottate per conformarsi alle prescrizioni impartite con il presente provvedimento. Il mancato riscontro alla presente richiesta è punito con la sanzione amministrativa di cui all’art. 164 del Codice.

Ai sensi degli artt. 152 del Codice e 10 del d.lg. n. 150/2011, avverso il presente provvedimento può essere proposta opposizione all’autorità giudiziaria ordinaria, con ricorso depositato al tribunale ordinario del luogo ove ha la residenza il titolare del trattamento dei dati, entro il termine di trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento stesso, ovvero di sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero.

Roma, 26 marzo 2015

IL PRESIDENTE
Soro

IL RELATORE
Califano

IL SEGRETARIO GENERALE
Busia

 


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 06/10/2014) 22/04/2015, n. 8154

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. BIELLI Stefano – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4882/2009 proposto da:

ROSSI MARCELLO SAS IN LIQUIDAZIONE in persona del Liquidatore, elettivamente domiciliato, in ROMA VIA DELLE QUATTRO FONTANE 15, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI CONTESTABILE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE TINELLI giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE CENTRALE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA, EQUITALIA GERIT SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 131/2007 della COMM.TRIB.REG. di ROMA, depositata il 16/01/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/10/2014 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito per il ricorrente l’Avvocato DE LORENZI su delega dell’Avvocato TINELLI che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato GALLUZZO che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Con sentenza 10.1.2008 n. 131 la Commissione tributaria della regione Lazio in accoglimento dell’appello proposto dall’Ufficio di Viterbo della Agenzia delle Entrate ha dichiarato legittima la cartella di pagamento, notificata in data 27.3.2004 a Rossi Marcello s.a.s. dal Concessionario per il servizio di riscossione ed emessa in seguito a controllo automatizzato – ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis – della dichiarazione fiscale relativa all’anno 1998 (Modello Unico 1999) ed avente ad oggetto le somme dovute dalla società contribuente a titolo IRAP ed IVA, come esposte in dichiarazione ma il cui versamento risultava omesso.

I Giudici territoriali rigettavano la eccezione pregiudiziale formulata dalla società in ordine alla inammissibilità dell’appello proposto dall’Ufficio, ritenendo irrilevante che la notifica fosse stata eseguita in luogo diverso ((OMISSIS)) da quello in cui, circa due anni prima, avevano trasferito il proprio studio ((OMISSIS)) i difensori abilitati alla assistenza tecnica presso i quali la parte contribuente aveva eletto domicilio ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17. Ritenevano infatti i Giudici che essendo stato ricevuto l’atto di appello in data 24.8.2006 da soggetto dichiaratosi “impiegato addetto alla corrispondenza”, la notifica si era perfezionata e sarebbe stato onere della parte eccipiente fornire la prova della insussistenza della qualità dichiarata dal consegnatario. Inoltre il luogo della notifica era stato individuato correttamente, con riferimento al domicilio eletto dalla società in primo grado, avendo omesso la contribuente di comunicare alle parti costituite la successiva variazione di domicilio, come prescritto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 1.

Nel merito la CTR riteneva fondati i motivi di gravame dell’Ufficio appellante, andando esente la cartella dal vizio di nullità per omessa previa comunicazione al contribuente dell’esito del controllo automatizzato, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, non essendo emerse nella specie “incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione” ed inoltre non essendo incorso l’Ufficio in decadenza dall’esercizio del potere di controllo, trovando applicazione alle “controversie pendenti il termine del 31.12.2004 fissato dalla norma transitoria di cui alla L. 31 luglio 2005, n. 156, art. 1, comma 5 bis, di conversione del D.L. 17 giugno 2005, n. 106, avente efficacia retroattiva.

Avverso tale sentenza la società ha proposto rituale ricorso per cassazione, deducendo sette motivi, con atti notificati alla Agenzia delle Entrate, alla Banca Monte Paschi Siena s.p.a. già Concessionaria per la riscossione dei tributi e ad Equitalia Gerit s.p.a. subentrata quale Agente per la riscossione della provincia di Roma.

Ha resistito la Agenzia delle Entrate con controricorso.

Non hanno svolto difese gli altri intimati.

La società ha depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione
1. Con il primo ed il secondo motivo la società deduce il vizio di nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non aver dichiarato la CTR la inammissibilità dell’atto di appello, in quanto proposto oltre il termine di cui all’art. 327 c.p.c., ritenendo invece validamente perfezionata la notifica della impugnazione in violazione dell’art. 139 c.p.c., commi 1, 2 e 3.

Sostiene la società che la notifica dell’atto di appello nel luogo indicato nella elezione di domicilio effettuata in primo grado doveva ritenersi inesistente, essendo venuto meno, a seguito del trasferimento dello studio professionale, avvenuto per entrambi i legali difensori della società avv. Tinelli ed avv. Contestabile in data 12.11.2004 (come attestato dalle certificazioni rilasciate dal Consiglio dell’Ordine forense di appartenenza), qualsiasi collegamento tra detto luogo ed i domiciliatari, e non potendo prevalere, ai fini della validità della notifica, il criterio della qualifica soggettiva del ricevente l’atto (quale “impiegato addetto alla corrispondenza”: cfr. sentenza CTR motiv. pag. 3) sul diverso criterio della previa corretta individuazione del luogo della notifica, come si evinceva dal tenore dell’art. 139 c.p.c. (primo motivo).

Ad analoga conclusione, secondo la ricorrente, doveva pervenirsi anche nel caso in cui il vizio di invalidità fosse da ricondursi nella categoria della nullità e non della inesistenza, in quanto la costituzione in grado di appello della società era intervenuta dopo lo spirare del termine c.d. “lungo” di impugnazione, sicchè la costituzione in giudizio non poteva produrre effetti sananti, essendo già passata in giudicato la sentenza (secondo motivo).

2. Con il terzo e quarto motivo la società deduce la nullità della sentenza di appello nella parte in cui ha rigettato la eccezione di inammissibilità dell’appello proposto dall’Ufficio, sul presupposto della corretta notifica dell’atto di appello presso l’originario domicilio, in quanto la contribuente aveva omesso di comunicare, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 1, la variazione del domicilio eletto.

La società sostiene che tale obbligo di comunicazione sussiste soltanto in caso di domicilio “volontariamente eletto” e non anche in caso di “mera indicazione” del domiciliatario: in quest’ultima ipotesi, secondo costante giurisprudenza di questa Corte, l’aspetto personale prevale su quello reale sicchè, qualora il domiciliatario trasferisca il proprio studio, il soggetto che richiede la notifica è tenuto previamente a verificare, tramite informazioni acquisite dall’albo professionale, quale sia l’attuale indirizzo dello studio professionale, tanto più che tale variazione risultava nota alla Amministrazione finanziaria dagli atti di altro giudizio tributario pendente tra le stesse parti (terzo motivo). In ogni caso la mancata comunicazione della variazione dello studio del domiciliatario non autorizzava ad eseguire la notifica in luogo avulso da qualsiasi collegamento con il destinatario dell’atto, sicchè l’Ufficio, qualora non fosse stato in grado di conoscere il nuovo indirizzo, avrebbe allora dovuto notificare l’appello presso la Segreteria della CTR ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 3 (quarto motivo).

3. I motivi primo, secondo, terzo e quarto, con i quali si sollevano questioni interpretative delle norme che disciplinano il procedimento notificatorio, possono essere esaminati congiuntamente.

3.1 La soluzione della questione di diritto sottoposta all’esame della Corte si prospetta evidentemente opposta, secondo che agli indicati vizi della notifica (consegna dell’atto in luogo diverso da quello in cui era stato trasferito lo studio professionale del domiciliatario) si attribuisca un effetto invalidante – suscettibile di sanatoria per raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c. -, oppure, all’errore di consegna dell’atto, debba invece riconoscersi un effetto radicalmente inemendabile, tale da rendere del tutto inesistente l’atto di notifica, tenuto conto che la “ratio legis” sottesa alla assoluta improduttività di effetti giuridici determinati dalla “inesistenza” dell’atto notificatorio, si fonda sulla regola di esperienza (id quod plerumque accidit) secondo cui la “totale difformità” del procedimento in concreto seguito, rispetto allo schema legale, induce a ritenere che l’atto notificando non sia pervenuto a conoscenza del destinatario.

3.2 Da tale corretta premessa non può, tuttavia, farsi discendere, come vorrebbe la società ricorrente, sia per il caso di “inesistenza” che per il caso di “vizio di nullità” della notifica dell’atto introduttivo del giudizio (nella specie della notifica dell’atto di appello), la equipollenza degli effetti (passaggio in giudicato della sentenza impugnata) laddove vi sia stata “tardiva” costituzione in giudizio (mediante deposito della memoria contenente le controdeduzioni oltre il termine di decadenza previsto per la impugnazione principale: artt. 325 e 327 c.p.c.; D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 21 e 51) del destinatario dell’atto invalidamente notificato. Mentre infatti la notifica “nulla” corrisponde ad una violazione delle modalità di applicazione della disciplina normativa che regola il procedimento notificatorio, sicchè quest’ultimo è riconoscibile negli atti compiuti dall’ufficiale notificatore (es.

nella ipotesi in cui non sia stato seguito l’ordine tassativo delle persone abilitate a ricevere l’atto: Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 11332 del 30/05/2005; id. Sez. 5, Sentenza n. 22151 del 27/09/2013) e la costituzione del convenuto consente di ritenere raggiunto il risultato di conoscenza legale cui il procedimento è preordinato, come se fin “ab origine” il vizio attinente l’attività notificatoria non si fosse verificato, viceversa tale efficacia sanante, con effetto ex tunc, del vizio del procedimento non può riconoscersi in caso di “inesistenza” della notifica, rimanendo irrilevante a tale proposito che l’atto sia comunque effettivamente pervenuto a conoscenza del destinatario: appare evidente, infatti, come non possa logicamente concepirsi una sanatoria, con effetto “ex tunc”, di un atto che nella realtà giuridica non è mai venuto ad esistenza (la difformità dell’atto dal modello legale è, in questo caso, tale da impedire di riconoscere negli atti compiuti un’attività riconducibile allo stesso procedimento notificatorio disciplinato dalla legge: si verifica tale ipotesi quando la illegittimità non attiene alle modalità di condotta “interne” alla sequenza procedimentale, descritta dalla legge, ma si risolve invece nel compimento di una attività del tutto avulsa dalla fattispecie normativa astratta come nel caso in cui l’atto, venga consegnato ad un “soggetto diverso” da una delle persone indicate nell’art. 139 c.p.c.). Ne segue che, in difetto della stessa “esistenza” di un atto notificatorio sia pure invalido, la successiva eventuale instaurazione del contraddittorio, mediante costituzione in giudizio del destinatario, non potrà che operare con effetto “ex nunc”, atteso che la costituzione in giudizio, in questo caso, non può considerarsi effetto conseguenziale del procedimento notificatorio (inesistente), ma interviene quale atto di accettazione del contraddittorio, autonomamente ed originariamente riferibile alla volontà del convenuto, ed in quanto tale privo di qualsiasi collegamento causale con la (inesistente) “vocatio in jus”, con l’ulteriore corollario che l’atto di impugnazione non portato a conoscenza del destinatario (statnte la inesistenza della notifica) potrà ritenersi tempestivamente proposto soltanto nel caso in cui la costituzione in giudizio del convenuto/resistente avvenga prima della scadenza del termine di decadenza previsto per la proposizione della impugnazione.

3.3 Tanto premesso occorre richiamare i consolidati principi di diritto, enunciati da questa Corte, secondo cui sussiste radicale inesistenza della notifica soltanto quando la stessa venga effettuata con consegna di copia dell’atto “in luogo o a persona privi di qualsiasi rapporto con il suo destinatario”, mentre, nel caso in cui essa sia stata eseguita in un luogo (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 1.6.2007 n. 12908 – notifica eseguita presso lo studio del procuratore non domiciliatario, anzichè presso il domicilio eletto – ) od a persona (cfr. Corte Cass. 1^ sez. 29.7.2011 n. 16759 – notifica eseguita a procuratore diverso da quello domiciliatario, ma con studio in comune -) non privi di “astratto collegamento” con il destinatario, ricorre mera nullità della notifica, sanata con effetto “ex tunc”, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3, a seguito del raggiungimento dello scopo dell’atto, che si verifica tanto nel caso in cui il resistente si sia ritualmente costituito in giudizio (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 4.4.2008 n. 8777 – essendo irrilevante ai fini della sanatoria che la costituzione in giudizio sia avvenuta ai solo fine di eccepire la nullità -), quanto nel caso di rinnovazione della notifica invalida cui la parte istante provveda spontaneamente o in esecuzione dell’ordine impartito dal giudice (cfr. Corte Cass. 1^ sez. 15.1.2007 n. 621; id. 2^ sez. 2.12.2009 n. 25350).

3.4 La statuizione della CTR che ha ritenuto valida la notifica dell’atto di appello, impugnata dalla società ricorrente, si articola su due distinte “rationes decidendi”:

a) la notifica dell’atto di appello, se pure eseguita presso il luogo del precedente studio professionale dei difensori, è stata ricevuta da persona qualificatasi come “impiegato addetto alla corrispondenza del suddetto studio legale”: sussiste quindi un collegamento tra il luogo di ricezione ed i difensori destinatari dell’atto che legittima la presunzione legale di avvenuta conoscenza e che può essere contrastata soltanto mediante la prova che la persona rinvenuta in loco non rivestisse la qualità dichiarata b) correttamente l’Amministrazione finanziaria, aveva notificato l’atto di appello presso il domicilio indicato in primo grado, non avendo adempiuto i difensori a comunicare la variazione del domicilio eletto, come prescritto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 1.

3.5 La decisione della CTR deve ritenersi conforme a diritto, alla stregua delle seguenti precisazioni correttive della motivazione.

3.6 Occorre, in premessa, dare atto del consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte (riferito al “procuratore ad litem” nel giudizio regolato dal codice di procedura civile), secondo cui la elezione di domicilio, della parte, presso il difensore costituito, non deve intendersi riferita al “luogo” ma alla “persona” (così argomentando a contrario dall’art. 141 c.p.c.), prevalendo l’”elemento personale” su quello “reale-spaziale”, essendo effettuata la elezione di domicilio “presso la persona del difensore” in qualunque luogo essa si trovi, con la conseguenza che la indicazione dello studio non assolve alla funzione di elemento costitutivo della elezione di domicilio, ma solo alla esigenza pratica di individuare il luogo in cui il domiciliatario è reperibile: venendosi, dunque, a distinguere tra elezione “volontaria” di domicilio “presso una persona od un ufficio” ex art. 141 c.p.c., in cui prevale l’elemento topografico, ed indicazione di domicilio presso il “procuratore costituito”, fondata sugli artt. 84 e 170 c.p.c., interpretati alla luce dell’art. 330 c.p.c., in cui prevale l’elemento personale.

3.7 Da ciò la giurisprudenza trae come corollario:

1- che il procuratore-domiciliatario, trasferendo il proprio studio, non modifica la originaria elezione di domicilio;

2- pertanto non è tenuto a comunicarla all’Ufficio e neppure alle altre parti costituite in quanto:

2a) solo la parte che ha “autonomamente” eletto domicilio ex art. 141 c.p.c. è tenuta a comunicare le variazioni, e non anche invece il procuratore-domiciliatario;

2b) non determinandosi “variazione di elezione di domicilio”, la ricerca della individuazione del luogo ove è l’attuale studio professionale del procuratore costituito, ricade sulla parte che effettua la notifica, in quanto onere non eccessivamente disagevole, potendo essere accertato il nuovo indirizzo tramite informazioni acquisite dall’Albo professionale.

3.8 La distinzione tra le due tipologie della elezione volontaria di domicilio e della indicazione di domicilio presso il difensore, effettuate ai fini processuali, rinviene il proprio discrimine nel potere rappresentativo conferito dalla parte al proprio difensore – presso il quale elegge domicilio – mediante il rilascio della “procura ad litem”, e trova il proprio referente normativo nell’art. 82 c.p.c., comma 3, art. 83 c.p.c., comma 1, art. 84 c.p.c., comma 1, art. 170 c.p.c., comma 1, e art. 330 c.p.c., comma 1, seconda parte.

3.9 Quanto al giudizio tributario, l’apparente ostacolo della non immediata trasponibilità dei principi di diritto indicati (enunciati dalla giurisprudenza in relazione al processo civile), non essendo in tale processo richiesto obbligatoriamente il “ministero del difensore” ma soltanto l’”assistenza in giudizio” di un difensore abilitato (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, comma 1), e dunque non essendo dato rinvenire – in ogni caso – un conferimento di potere rappresentativo mediante un atto di procura, deve essere superato relegando la speciale disciplina del luogo delle comunicazioni e della notifica dettata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 1, (secondo cui le notifiche debbono essere eseguite nel domicilio eletto o in mancanza nella residenza o sede dichiarata dalla parte all’atto della costituzione) ai soli atti “endoprocessuali”, in tal modo venendo a trovare applicazione agli atti di impugnazione delle sentenze tributarie – mediante la norma di rinvio di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 49 – le disposizioni del codice di procedura (art. 170 c.p.c., comma 1, e art. 330 c.p.c., comma 1) che consentono la notifica degli atti anche al “procuratore costituito”, cui viene a tutti gli effetti equiparato il “difensore abilitato alla assistenza tecnica” nel processo tributario, anche se sprovvisto di “procura ad litem” (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 29290 del 15/12/2008 secondo cui “L’art. 330 c.p.c., nella parte in cui dispone l’eseguibilità della notifica dell’impugnazione “presso il procuratore costituito”, è applicabile al processo tributario in quanto la specifica previsione normativa in tema di notificazioni contenuta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 1, secondo la quale la notifica deve eseguirsi (salvo quella a mani proprie) nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all’atto della costituzione in giudizio, costituisce eccezione all’art. 170 c.p.c., (relativo alle sole notificazioni endoprocessuali) e non all’art. 330 c.p.c., invece applicabile in virtù del richiamo contenuto nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, e art. 49, alle norme processuali codicistiche, non costituendo ostacolo, all’introduzione della notifica dell’impugnazione “presso il procuratore costituito”, la non obbligatorietà, nel processo tributario, della rappresentanza processuale da parte del procuratore “ad litem”, in quanto tale rappresentanza, non essendo vietata, è facoltativa”; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 460 del 13/01/2014).

3.10 Pertanto anche nel processo tributario è dato distinguere una elezione di domicilio “autonoma” (ove prevale l’elemento topografico) compiuta volontariamente dal contribuente, che rimane pertanto onerato della comunicazione di eventuali successive variazioni del domicilio eletto (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 1), dalla “mera indicazione” come domiciliatario del difensore incaricato della assistenza tecnica (ove prevale invece l’elemento personale), in relazione alla quale non assumono rilevanza eventuali successivi trasferimenti dello studio professionale del domiciliatario: da un lato, non essendo tenuto il “domiciliatario” a comunicare le variazioni dell’indirizzo dello studio professionale (in assenza di specifica prescrizione normativa); dall’altro, essendo invece onerata la parte che deve effettuare la notifica della previa verifica (mediante le opportune ricerche presso gli albi elenchi o ruoli professionali: D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12) del luogo in cui può essere utilmente eseguita la consegna dell’atto al domiciliatario (anche tale onere non è espressamente previsto, ma deve ritenersi tuttavia immanente alle norme che disciplinano il procedimento notificatorio e va ricondotto alle attività preliminari di ricerca nelle quali si sostanzia la ordinaria diligenza richiesta al notificante, tenuto conto altresì che tale attività preliminare non si traduce in un onere particolarmente gravoso e non comporta eccessive difficoltà).

3.11 Deve, pertanto, essere corretta la motivazione della sentenza impugnata, quanto alla seconda “ratio decidendi”, atteso che nella fattispecie in esame – da quanto è dato evincere dagli atti – il contribuente aveva incaricato della propria difesa tecnica due avvocati, che collaboravano nello stesso studio legale, eleggendo il domicilio, ai fini della notifica degli atti del processo, presso il loro studio professionale (recte indicando i difensori quali “domiciliatari”), con la conseguenza che, trovando applicazione – in difetto di notifica della sentenza di appello – la disposizione dell’art. 330 c.p.c., comma 1, seconda parte, che autorizza la notifica della impugnazione anche al “procuratore costituito” – cui deve essere equiparato il difensore domiciliatario incaricato della assistenza tecnica nel processo tributario -, alcun obbligo incombeva sui predetti difensori di comunicare la variazione dell’indirizzo del loro studio professionale, essendo invece tenuta la Amministrazione finanziaria ad esperire le relative ricerche prima di eseguire la notifica dell’atto di appello.

3.12 La errata motivazione della CTR non inficia, tuttavia, la conformità a diritto della decisione di rigetto della eccezione di inammissibilità dell’atto di impugnazione della sentenza di primo grado, atteso che l’atto di appello – come risulta dall’accertamento in fatto compiuto dalla CTR e non contestato dalla società contribuente – è stato consegnato a persona qualificatasi (nella relata di notifica dell’Ufficiale giudiziario) come “impiegato addetto alla corrispondenza” dello studio legale dei difensori della società.

3.13 In proposito deve ritenersi consolidata la giurisprudenza di questa Corte che ritiene applicabili, anche in caso di “indicazione del domiciliatario”, le norme processuali concernenti la ricerca del destinatario e la consegna dell’atto, in sua temporanea assenza, a persone abilitate alla ricezione, in quanto legate al domiciliatario da rapporti di lavoro subordinato o di collaborazione, con la conseguenza che è da ritenersi validamente perfezionata, non soltanto la notifica eseguita con consegna dell’atto a persona dichiaratasi “addetta all’ufficio” rinvenuta dall’Ufficiale giudiziario nel luogo indicato dal contribuente al momento della “indicazione del domicilio presso il procuratore costituito” (cfr.

Corte Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 24502 del 30/10/2013), ma anche a persona che, in considerazione della qualifica dichiarata, possa comunque relazionarsi al procuratore domiciliatario, anche se rinvenuta dall’Ufficiale notificatore “in luogo diverso” da quello originariamente indicato come domicilio (cfr. Corte Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 17391 del 24/07/2009; id. Sez. 3, Sentenza n. 19763 del 13/11/2012; id. 7 febbraio 2013, n. 2907 – per la notifica dell’atto di appello -). Ed infatti la prevalenza che deve essere attribuita nel caso di procuratore domiciliatario all’”elemento personale”, rispetto a quello “topografico” dell’indirizzo dello studio professionale (che è appunto suscettibile di variazioni senza onere di comunicazione alle altre parti del processo), consente di valorizzare il momento della consegna dell’atto a persone che, per la qualità rivestita e dichiarata, appaiono tenute ad introdurre l’atto notificato nella sfera di conoscibilità legale del “procuratore domiciliatario”, anche se rintracciate in luogo diverso – se pure non del tutto privo di astratto collegamento con i domiciliatari – da quello dello studio professionale in cui i difensori – domiciliatari risultano essersi attualmente trasferiti. In tal caso la notifica dell’atto di impugnazione, con consegna della copia a “persona addetta allo studio” fuori dei locali dello studio o comunque in luogo diverso -quale nella specie l’originario indirizzo dello studio professionale indicato al momento della “elezione di domicilio presso il procuratore costituito” – non può ritenersi validamente perfezionata, ma tale vizio riverbera come mera “nullità sanabile” e non si traduce nella “inesistenza del procedimento notifìcatorio” (cfr. Corte Cass. Sez., 5, Sentenza n. 2907 del 07/02/2013 – per la notifica dell’atto di appello – secondo cui la notificazione dell’atto di appello avverso la decisione della commissione tributaria provinciale effettuata al difensore al domicilio inizialmente indicato per il giudizio, con la consegna a persona dichiaratasi abilitata a riceverlo “quale collaboratore”, priva di rilevanza la circostanza che il difensore destinatario abbia nel frattempo comunicato la variazione dello studio, attestando la relata di notifica la conservazione di una relazione tale da autorizzare la presunzione che il difensore medesimo sia stato informato del contenuto dell’atto notificato; id. Sez. 5, Sentenza n. 28285 del 18/12/2013 – che applica il medesimo principio alla notifica del ricorso per cassazione -).

Orbene, incontestata la circostanza della consegna dell’atto di appello a persona qualificatasi come “collaboratore ed addetto allo studio professionale”, la notifica della impugnazione da parte dell’Amministrazione finanziaria in luogo diverso da quello in cui era stato attualmente trasferito lo studio professionale, non determina la inesistenza ma soltanto la nullità del procedimento notificatorio, dovendo pertanto ritenersi sanati, con effetto ex tunc, i vizi della notifica dell’atto di appello proposto dall’Ufficio avanti la CTR, per raggiungimento dello scopo dell’atto, a seguito della costituzione in giudizio della società appellata, non essendo da questa stata fornita alcuna prova che la persona che aveva ricevuto l’atto non rivestisse la qualità indicata, nè che la consegna dell’atto nel luogo indicato aveva impedito la materiale conoscenza della impugnazione.

3.14 Infondati il primo ed il secondo motivo, divengono inammissibili per carenza di interesse i motivi terzo e quarto (concernenti il rigetto della eccezione di inammissibilità per omessa comunicazione D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 17, della variazione dell’indirizzo dello studio) in quanto dall’accoglimento degli stessi la parte ricorrente non potrebbe comunque conseguire la cassazione della pronuncia impugnata.

4. Venendo a trattare i motivi concernenti il merito della pretesa tributaria, ritiene il Collegio infondato il quinto motivo di ricorso con cui si impugna la sentenza di appello per violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, che prescrive, a pena di nullità dell’atto impositivo, l’obbligo dell’Amministrazione accertatrice “prima di procedere alle iscrizioni a ruolo” a seguito di controlli automatizzati delle dichiarazioni fiscali, di “invitare il contribuente…..a fornire i chiarimenti necessari od i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla richiesta” (la norma generale dello Statuto del contribuente è stata successivamente riprodotta nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, comma 3, e nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 3, come modificati dal D.L. n. 203 del 2005, art. 2, conv. in L. n. 248 del 2005: tali disposizioni, tuttavia, non prevedono alcuna autonoma comminatoria della sanzione di nullità in caso di inosservanza della previa informazione al contribuente, dovendo quindi ricondursi la sanzione della nullità dell’atto impositivo esclusivamente alla ipotesi specificamente contemplata dalla L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, che condiziona l’obbligo di invitare il contribuente a fornire chiarimenti prima di effettuare la iscrizione a ruolo “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”. La sanzione di nullità, espressamente comminata dalla L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, era bene presente al Legislatore quando ha modificato, nel 2005, gli D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, inserendo gli obblighi di comunicazione al contribuente in seguito ai controlli automatizzati: la mancata espressa previsione della nullità della cartella in caso di inosservanza di tali obblighi induce quindi a ritenere che il Legislatore abbia inteso limitare la grave sanzione di invalidità dell’atto impositivo esclusivamente alla ipotesi di “rilevante incertezza” sui dati esposti nella dichiarazione considerata dalla norma dello Statuto del contribuente).

4.1 La norma in questione è stata, infatti, costantemente interpretata da questa Corte alla stregua del costante orientamento di questa Corte secondo, cui in tema di riscossione delle imposte, l’avviso bonario con cui, ai sensi della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 5, prima di procedere all’iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione di un tributo risultante da una dichiarazione ovvero nel caso in cui emerga la spettanza di un minor rimborso d’imposta rispetto a quello richiesto, si invita il contribuente a fornire chiarimenti o a produrre documenti mancanti, deve essere inviato dall’Amministrazione finanziaria, a pena di nullità, nei soli casi in cui “sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione” (come testualmente prevede la norma asseritamente violata) e non anche se non risulti dall’atto impositivo l’esistenza di incerte e rilevanti questioni interpretative, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti alla disposizione appena indicata (in sede cioè di rettifica di errori materiali o di mera constatazione della difformità tra imposta dovuta, esposta in dichiarazione, e somme effettivamente versate all’Erario), la quale implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo; del resto, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione, non avrebbe posto la condizione di cui al citato inciso (cfr. Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 26316 del 29/12/2010;

id. Sez. 5, Sentenza n. 795 del 14/01/2011; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 7536 del 31/03/2011; id. Sez. 5, Sentenza n. 8342 del 25/05/2012).

4.2 La parte ricorrente non ha neppure allegato quale fosse, nel caso concreto, l’”elemento di incertezza” – irrisolta – presente nei dati esposti in dichiarazione, sul quale era stata fondata la emissione della cartella di pagamento avente ad oggetto la somma incontestata e non ancora versata dalla contribuente, nè ha ricollegato la incertezza ad incomprensione di lettura dei dati esposti nella dichiarazione (ipotesi ravvisatale nel caso in cui non sia chiara graficamente la posta di un onere deducibile o di una spesa detraibile). Nè, peraltro, è stato addotto dalla parte ricorrente, che sussisteva l’obbligo di instaurazione anticipata del contraddittorio, in quanto l’Ufficio, svolgendo il controllo automatizzato, ha inteso piuttosto contestare le qualificazioni giuridiche delle singole voci esposte in dichiarazione, fornendo una diversa valutazione che viene ad incidere, modificando il dato esposto in dichiarazione, sul titolo dei componenti positivi e negativi di reddito (è la ipotesi della “rettifica c.d. cartolare” che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, impone alla Amministrazione di inserire nella cartella di pagamento tutti gli elementi essenziali dell’atto impositivo, trattandosi del primo atto con il quale vengono portate a conoscenza del contribuente le ragioni della pretesa) in tal modo portando ad emersione “una imposta od una maggiore imposta” (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 3;

D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, comma 3) non risultante dalla dichiarazione e quindi non riferibile direttamente al contribuente (art. 36 bis, comma 4; art. 54 bis, comma 4: “i dati contabili risultanti dalla liquidazione…..si considerano a tutti gli effetti come dichiarati dal contribuente….”).

Pertanto, in difetto del presupposto della incertezza risultante dalla dichiarazione o dell’accertamento di una imposta diversa da quella liquidata nella dichiarazione sottoposta a controllo, alcun invito preventivo a chiarimenti doveva essere trasmesso al contribuente dalla Amministrazione finanziaria.

5. Infondata è anche la censura (sesto motivo) concernente la violazione del D.Lgs. n. 18 dicembre 1997, n. 462, art. 2, comma 2, che disponeva, nel testo applicabile al tempo della notifica della cartella: “1. Le somme che, a seguito dei controlli automatici effettuati ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, e D.P.R. 29 settembre 1972, n. 633, art. 54 bis, risultano dovute a titolo d’imposta, ritenute, contributi e premi o di minori crediti già utilizzati, nonchè di interessi e di sanzioni per ritardato o omesso versamento, sono iscritte direttamente nei ruoli a titolo definitivo, entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione.

1-bis. Se i termini per il versamento delle somme di cui al comma 1, sono fissati oltre il 31 dicembre dell’anno in cui è presentata la dichiarazione, l’iscrizione a ruolo a titolo definitivo è eseguita entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui èprevisto il versamento dell’unica o ultima rata.

2. L’iscrizione a ruolo non è eseguita, in tutto o in parte, se il contribuente o il sostituto d’imposta provvede a pagare le somme dovute con le modalità indicate nel D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 19, concernente le modalità di versamento mediante delega, entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione, prevista dai commi 3, dei predetti art. 36 bis, e art. 54 bis, ovvero della comunicazione definitiva contenente la rideterminazione in sede di autotutela delle somme dovute, a seguito dei chiarimenti forniti dal contribuente o dal sostituto d’imposta. In tal caso, l’ammontare delle sanzioni amministrative dovute è ridotto ad un terzo”.

5.1 Premesso che la parte ricorrente omette del tutto di precisare le ragioni per le quali la norma speciale in questione verrebbe ad esautorare il presupposto al quale sia la norma dello Statuto del contribuente (incertezza rilevante su aspetti della dichiarazione) che le norme tributarie sui “controlli automatizzati”, in materia di II.DD. e di IVA (emersione di un risultato diverso da quello indicato nella dichiarazione, o di una imposta o maggiore imposta non indicata in dichiarazione), condizionano l’obbligo di previa informativa, è appena il caso di evidenziare che, anche a volere individuare nella disposizione del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2, un autonomo obbligo di previa informativa del contribuente del constatato inadempimento parziale o totale del versamento della imposta liquidata nella dichiarazione (che si aggiunge agli obblighi di comunicazione previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 3, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, comma 3), la violazione di un tale obbligo di comunicazione preventiva non determinerebbe in alcun modo la invalidità della cartella di pagamento in quanto:

a) la cartella notificata in base ad iscrizione a ruolo eseguita “anticipatamente” rispetto al termine dilatorio previsto dal D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2, non incorre in vizio di nullità, trattandosi di sanzione non espressamente comminata dalla legge (Corte Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18140 del 22/10/2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 3366 del 12/02/2013);

b) non è ravvisabile un pregiudizio indiretto – conseguente al mancato invio della previa comunicazione al contribuente – incidente sulla possibilità di fruire del beneficio della riduzione della sanzione pecuniaria irrogata per tardivo od omesso versamento della imposte dovute: è stato, infatti, precisato da questa Corte che, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’omessa comunicazione dell’invito al pagamento prima dell’iscrizione a ruolo, con la riduzione e per gli effetti previsti dal D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2, non determina la nullità di tale iscrizione e degli atti successivi, ma una mera irregolarità, inidonea ad incidere sull’efficacia dell’atto, sia perchè non si tratta di condizione di validità, stante la mancata espressa sanzione della nullità, avendo il previo invito al pagamento l’unica funzione di dare al contribuente la possibilità di attenuare le conseguenze sanzionatorie dell’omissione di versamento, sia perchè l’interessato può comunque pagare, per estinguere la pretesa fiscale, con riduzione della sanzione, una volta ricevuta la notifica della cartella (cfr. Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3366 del 12/02/2013, in termini. Con riferimento alla analoga previsione della comunicazione dell’invito al versamento delle somme dovute, contemplato dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 6, invito cui l’ufficio risulta tenuto “ex lege” al fine di consentire al contribuente il versamento di quanto addebitatogli entro trenta giorni dal ricevimento dell’avviso, con applicazione della soprattassa, oggi sanzione amministrativa ex D.Lgs. n. 471 del 1997, pari al sessanta per cento della somma non versata, cfr. Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 907 del 25/01/2002 ed id. Sez. 5, Sentenza n. 13948 del 24/06/2011 che rilevano come l’unica funzione dell’avviso predetto è quella di consentire al contribuente di attenuare le conseguenze sanzionatorie della realizzata omissione, fermo restandone l’obbligo di corresponsione integrale del tributo e degli interessi sul medesimo, “medio tempore” maturati. Vedi anche Corte Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18140 del 22/10/2012 – in materia di imposte sui redditi, che esclude la nullità della cartella emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, in difetto di previa comunicazione trasmessa al contribuente).

5.2 Anche il sesto motivo è, pertanto, infondato.

6. Con il settimo motivo si censura la sentenza per errata applicazione del D.L. 17 giugno 2005, n. 106, art. 1, commi 5 bis e 5 ter, convertito con modificazioni nella L. 31 luglio 2005, n. 156, nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 1, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, sostenendo la società che la CTR avrebbe illegittimamente applicato con efficacia retroattiva le disposizioni del D.L. n. 106 del 2005, che differivano il termine di decadenza per la notifica delle cartelle emesse a seguito di esercizio dei controlli automatizzati, in quanto, viceversa, avrebbe dovuto disconoscere alla norma efficacia retroattiva e dichiarare decaduta l’Amministrazione finanziaria.

6.1 I fatti sono di seguito esposti.

La dichiarazione fiscale concerne l’anno d’imposta 1998 ed è stata presentata nel 1999.

In esito a controllo automatizzato la PA ha notificato la cartella di pagamento in data 27.3.2004.

6.2 Sostiene la società ricorrente che la CTR sarebbe incorsa in errore non applicando la disposizione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, (“il concessionario notifica la cartella di pagamento, entro l’ultimo giorno del quarto mese successivo a quello di consegna del ruolo”) nel testo anteriore a quello vigente alla data della notifica della cartella di pagamento (2 aprile 2003) ed introdotto a seguito del D.Lgs. n. 193 del 2001, art. 1, comma 1, lett. b), – applicabile ai ruoli esecutivi a decorrere dal 9.6.2001 – che non stabiliva alcun termine per la notifica della cartella, rimanendo questa, in quanto esercizio del diritto di credito, assoggettata al solo termine ordinario di prescrizione.

6.3 Occorre premettere che:

– il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, prevedeva originariamente che l’iscrizione a ruolo e la successiva consegna dei ruoli all’intendenza di finanza dovevano avvenire entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione;

– il D.Lgs. n. 46 del 1999, con l’art. 6 – che aveva sostituito il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17 – prescriveva, inoltre, che le somme dovute a seguito di liquidazione ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, dovevano essere iscritte in ruoli resi esecutivi entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione;

– il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, disponeva che la notifica della cartella doveva avvenire entro l’ultimo giorno del quarto mese successivo a quello di consegna del ruolo: tale termine era poi venuto meno a seguito di abrogazione disposta dal D.Lgs. 27 aprile 2001, n. 193, art. 1, comma 1, lett. b), (la L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 417, lett. c), ha poi nuovamente stabilito un termine di decadenza prevedendo che la cartella doveva essere notificata “entro l’ultimo giorno del dodicesimo mese successivo a quello di consegna del ruolo, ovvero entro l’ultimo giorno del sesto mese successivo alla consegna se la cartella è relativa ad un ruolo straordinario”).

6.4 Venuto meno, a far data dal 9.6.2001 (data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 193 del 2001), il termine di decadenza previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, per la notifica della cartella di pagamento, ed in considerazione della disposizione, espressamente definita di interpretazione autentica, contenuta nella L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 28, che aveva dichiarato “non perentorio” il termine annuale per la rettifica in controllo automatizzato delle dichiarazioni fissato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, le SS.UU. di questa Corte erano intervenute a colmare la completa mancanza di termini perentori per l’esercizio della potestà impositiva, determinatasi a seguito del combinato disposto normativo sopra indicato, statuendo con sentenza 12.11.2004 n. 21498 che, “non essendo concepibile che il cittadino resti soggetto “sine die” al potere dell’Amministrazione, il termine di decadenza entro cui va circoscritta l’azione accertatrice dell’Amministrazione finanziaria va ricollegato, nelle ipotesi di “controllo c.d. formale” (o, più rettamente, cartolare), a cui segua una mera attività di liquidazione, a quello per l’iscrizione a ruolo, fissato nel D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17, comma 1, (nel testo vigente “ratione temporis”), mentre nelle ipotesi di “rettifica cartolare” (o formale), il relativo potere deve, a pena di decadenza, essere esercitato mediante la notifica dell’atto impugnabile (la cartella di pagamento) entro il termine stabilito, in via generale, dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 1, (nel testo applicabile “ratione temporis”).

6.5 Successivamente la questione relativa alla mancanza di un termine di decadenza per la notificazione delle cartelle di pagamento approdava avanti alla Corte costituzionale, che, con sentenza 7.7.2005 n. 280, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 – nel testo modificato dal D.Lgs. n. 193 del 2001 -, nella parte in cui non prevedeva alcun termine a pena di decadenza entro il quale si doveva notificare al contribuente la cartella di pagamento.

Il Legislatore ha, quindi, inteso conformarsi alla pronuncia del Giudice delle Leggi adottando il D.L. 17 giugno 2005, n. 106, convertito con modificazioni nella L. 31 luglio 2005, n. 156, ridisciplinando la intera materia dei termini di decadenza sia per l’attività di accertamento che per la notificazione delle cartelle.

In particolare, all’art. 1, commi 5 bis e 5 ter – con riferimento ai “controlli automatizzati” delle dichiarazioni fiscali – ha stabilito:

1-) dettando la disciplina normativa “a regime” (ed al dichiarato fine di “di conseguire… la necessaria uniformità del sistema di riscossione mediante ruolo delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto”) che, a modifica del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, comma 1, la notifica delle cartelle deve essere eseguita entro “il 31 dicembre: a) del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, per le somme che risultando dovute a seguito dell’attività di liquidazione prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 36 bis” (art. 1, comma 5 ter, lett. a), n. 2);

2-) dettando la disciplina normativa “transitoria” che, a modifica del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 36, comma 2, le cartelle di pagamento, “in deroga al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25, comma 1, lett. a)”, dovevano essere notificate a pena di decadenza “entro il 31 dicembre: a) del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, relativamente alle dichiarazioni presentate negli anni 2002 e 2003; b) del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, relativamente alle dichiarazioni presentate entro il 31 dicembre 2001” (art. 1, comma 5 ter, lett. b, n. 2).

6.6 Tanto premesso, relativamente alla dichiarazione presentata dalla società con il modello unico 1999 concernente l’anno di imposta 1998 occorre rilevare l’orientamento assolutamente prevalente di questa Corte di legittimità secondo cui alla disciplina introdotta, in tema di riscossione delle imposte, dal D.L. n. 106 del 2005, art. 1, convcrtito con modificazioni nella L. n. 156 del 2005 – emanato a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 280 del 2005 di declaratoria d’incostituzionalità del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 -, nella parte in cui, modificando il D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 36, comma 2, ha prescritto che per le somme che risultano dovute a seguito dei controlli automatizzati delle dichiarazioni presentate entro il 31 dicembre 2001, la cartella di pagamento debba essere notificata, a pena di decadenza “entro il 31 dicembre:……b) del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione”, deve riconoscersi inequivoco valore transitorio, con conseguente applicazione della stessa, non solo alle situazioni tributarie anteriori alla sua entrata in vigore, ma anche a quelle ancora non definite con sentenza passata in giudicato (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 21.7.2006 n. 16826; id. 5^ sez. 30.6.2009 n. 15313; id.

5^ Sez. 5, sentenza n. 2212 del 31/1/2011; id. 5^ sez. ord. 30.12.2011 n. 30704; id. Sez. 5^, sentenza n. 15786 del 19/9/2012;

id. Sez. 5^, sentenza n. 16365 del 26.9.2012; id. 5^ sez. 5.10.2012 n. 16990).

6.7 Tale orientamento deve essere condiviso in quanto confermato anche dal Giudice delle Leggi, che ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 5 ter, rilevando come tale disciplina fornisse un equilibrato bilanciamento dell’interesse del contribuente (a non rimanere assoggettato “sine die” al potere impositivo) e dell’interesse del Fisco (ad assicurare i controlli necessari alla riscossione delle entrate), e giudicando ragionevoli i termini indicati in quanto termini di decadenza più ridotti avrebbero comportato, quanto alle dichiarazioni presentate prima della entrata in vigore della L. n. 156 del 2005, “la consumazione, in tutto o in gran parte, del termine decadenziale di notificazione della cartella ancor prima dell’entrata in vigore della suddetta legge che tale termine introduce” (cfr.

Corte cost. sentenza n. 11/2008 ed ord. n. 378/2008).

6.8 Pertanto vertendosi nel caso di specie di notifica della cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, ed D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, della dichiarazione modello unico, relativa all’anno di imposta 1998 e presentata nell’anno 1999, la Amministrazione finanziaria, notificando la cartella in data 27.3.2004, non è incorsa in decadenza, atteso che – per le dichiarazioni presentate entro il 31 dicembre 2001 – il relativo termine di decadenza, in deroga al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, veniva a scadere – ai sensi del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 36, comma 2, come modificato dal D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 5 ter, lett. b, n. 2, conv. in L. n. 156 del 2006 – alla data del 31.12.2004.

7. In conclusione il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna della parte soccombente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte:

– rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 8.500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 6 ottobre 2014.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2015


Cass. civ., Sez. III, Sent., (data ud. 08/01/2015) 16/04/2015, n. 7688

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19155/2012 proposto da:

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DON MINZONI 9, presso lo studio dell’avvocato AFELTRA Roberto, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

SOC. COOP. COCIF, in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore Signor B.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 103, presso lo studio dell’avvocato LUISA GOBBI, rappresentata e difesa dall’avvocato GHINELLI Maurizio giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 118/2012 del TRIBUNALE di CASSINO, depositata il 02/02/2012, R.G.N. 1800/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/01/2015 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA AMBROSIO;

udito l’Avvocato DONATELLO FUMIA per delega;

udito l’Avvocato LUISA GOBBI per delega non scritta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Con sentenza in data 02 febbraio 2012, il Tribunale di Cassino ha rigettato l’opposizione ex art. 617 c.p.c., proposta da M. F. avverso l’esecuzione immobiliare promossa ai suoi danni dalla COCIF s.c.a.r.l. per lamentare la nullità degli atti della procedura sull’assunto dell’omessa notifica dell’atto di precetto, del pignoramento immobiliare, nonchè dell’avviso ex art. 569 c.p.c..

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione M. F., svolgendo due motivi, illustrati anche da memoria.

Ha resistito la s.c.r.l. COCIF, depositando controricorso.

Motivi della decisione
1. Il Tribunale ha ritenuto infondata la censura di omessa notifica del pignoramento, osservando che l’atto risultava notificato mediante consegna, da parte dell’ufficiale giudiziario procedente, alla madre del M. dichiaratasi convivente, come da relata che faceva fede fino a querela di falso, con la conseguenza che il problema dell’identificazione del luogo ove era stata eseguita la notifica risultava assorbito dalla dichiarazione di convivenza resa dalla consegnataria dell’atto; ha, altresì, ritenuto preclusa, perchè tardiva qualsivoglia contestazione in ordine alla notificazione del precetto, per inosservanza del termine di cui all’art. 617 c.p.c.;

ha, infine, ritenuto regolare anche la notificazione dell’avviso ex art. 569 c.p.c., a mezzo posta, siccome avvenuta sempre mediante consegna del plico alla madre del M., precisando che gli atti successivi in forza del disposto dell’art. 176 c.p.c., si presumevano conosciuti e che, in ogni caso, la contestazione era tardiva, stante l’autonomia di ciascuna fase o subprocedimento del processo esecutivo, con conseguente sanatoria dei vizi degli atti afferenti alla fase precedente e non tempestivamente impugnati ex art. 617 c.p.c..

1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, erronea e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 2700 c.c., artt. 617 e 569 c.p.c.. Al riguardo parte ricorrente – precisato che nella relata dell’atto di pignoramento si dava atto della consegna del plico alla “madre convivente”, mentre nell’avviso di ricevimento del plico contenente l’avviso ex art. 569 c.p.c., non vi era l’indicazione della qualità di “convivente” della madre, come pure negli avvisi successivi – lamenta che il Tribunale abbia erroneamente attribuito valore di pubblica fede al contenuto di siffatte dichiarazioni e non abbia, quindi, ritenuto ammissibile la prova contraria, omettendo, altresì, di dare atto che la documentazione prodotta attestava l’effettività della sua residenza in luogo diverso da quello delle notificazioni.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Al riguardo parte ricorrente lamenta che il Tribunale abbia del tutto omesso di motivare sul punto decisivo e controverso della vicenda, costituito dalla circostanza che esso opponente, in realtà, non era convivente con la madre, ma residente, prima in (OMISSIS) con il suo nucleo famigliare, come risultava dalle certificazioni anagrafiche e da altri documenti prodotti in giudizio e come si voleva provare per testi.

2. Va preliminarmente dato atto che il ricorso prescinde totalmente dal rilievo di tardività delle censure attinenti alla notificazione del precetto, con la conseguenza che in parte qua la decisione è passata in giudicato.

2.1. Ciò premesso e precisato che i motivi vanno esaminati congiuntamente per la stretta connessione delle censure, il Collegio ritiene il ricorso, per un verso, infondato e, per altro, inammissibile.

L’infondatezza consegue al rilievo che la decisione impugnata risulta conforme al principio, costantemente predicato in fattispecie analoghe da questa Corte, con specifico riferimento alla notifica a mezzo posta, in ragione del quale se la consegna dell’atto sia avvenuta nelle mani di persona dichiaratasi famigliare convivente con il destinatario, deve presumersi che l’atto sia giunto a conoscenza dello stesso, restando irrilevante ogni indagine sulla riconducibilità del luogo di detta consegna fra quelli indicati dall’art. 139 c.p.c., in quanto il problema dell’identificazione del luogo ove è stata eseguita la notificazione rimane assorbito dalla dichiarazione di convivenza resa dal consegnatario dell’atto, con la conseguente rilevanza esclusiva della prova della non convivenza, che il destinatario ha l’onere di fornire (cfr. Cass. 13 marzo 2013, n. 6345; Cass. 26 ottobre 2009, n. 22607; Cass. 22 novembre 2006, n. 24852; Cass. 19 marzo 1993 n. 3261, quest’ultima già cit. nella sentenza impugnata).

2.2. L’inammissibilità discende dal difetto di specificità delle censure, segnatamente quella di violazione dell’art. 2700 c.c., posto che il Tribunale ha riconosciuto valore di pubblica fede all’attività svolta dall’ufficiale giudiziario procedente (o dall’agente postale), alla constatazione di quanto avvenuto in loro presenza e, in specie, al ricevimento da parte di costoro delle dichiarazioni rese dalla consegnataria dell’atto, esclusivamente con riguardo al loro contenuto estrinseco, ritenendo, di conseguenza, irrilevante la documentazione attestante la residenza dell’opponente, a fronte dell’assorbente rilievo dell’indiscutibilità del dato di fatto che la consegnataria avesse dichiarato di essere “madre convivente” con il destinatario della notifica.

Ne consegue che la critica del ricorrente avrebbe dovuto essere diretta alla dimostrazione di avere provato e/o chiesto di provare – non già di avere trasferito altrove la propria residenza ovvero di avere costituito un proprio nucleo famigliare – bensì di non avere avuto alcun rapporto di convivenza, neppure provvisorio, con la consegnataria dell’atto al momento della sua notificazione. E tanto avrebbe richiesto, in particolare, che il ricorrente riportasse in ricorso i capitoli di prova articolati, in ossequio all’onere dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, che, secondo una consolidata elaborazione giurisprudenziale, costituisce il corollario del requisito di specificità dei motivi di impugnazione e che risulta ora tradotto nelle più puntuali e definitive disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (cfr. SS.UU. 22 maggio 2012, n.8077 in motivazione).

2.3. Sussiste un ulteriore profilo di inammissibilità – con specifico riferimento alle contestazioni concernenti la notificazione dell’avviso ex art. 569 c.p.c. e gli atti successivi – giacchè parte opponente ignora gli altri argomenti svolti dal Tribunale, di per sè idonei a sorreggere la decisione, rappresentati dal rilievo dell’intervenuta preclusione a fare valere eventuali vizi anteriori al subprocedimento di vendita e dalla presunzione di conoscenza dei successivi provvedimenti assunti in udienza. Si rammenta che l’impugnazione in sede di legittimità di una decisione di merito che si fonda su distinte rationes decidendo, autonome l’una dall’altra e ciascuna sufficiente, da sola, a sorreggerla, è meritevole di ingresso solo se risulta articolata in uno spettro di censure che investano utilmente tutti gli ordini di ragioni esposte nella sentenza, atteso che la eventuale fondatezza del motivo dedotto con riferimento a una sola parte delle ragioni della decisione non porterebbe alla cassazione della sentenza, che rimarrebbe ferma sulla base dell’argomento non censurato (Cass. 16 dicembre 2010, n. 25510;

Cass. S.U. 2004/19200; Cass. 2002/3965; 2007/1596; 2009/24540).

In conclusione l’esame complessivo dei motivi conduce al rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, seguono la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 8.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre accessori come per legge e contributo spese generali.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 8 gennaio 2015.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2015


Il dipendente comunale non viene demansionato se viene assegnato ad altro ufficio

La problematica oggetto di discussione è quella attinente al demansionamento o meno di un dipendente comunale qualora venga raggiunto da un provvedimento amministrativo che assegni quest’ultimo da un ufficio ad un altro.

La giurisprudenza è unanime e costante nel ritenere che il provvedimento amministrativo di destinazione di un dipendente, frutto di un’organizzazione della pianta organica, sia un atto di macro organizzazione la cui legittimità può essere valutata incidentalmente ai fini di un’eventuale disapplicazione (cf. Cassazione Civile, Sezioni Unite n. 1140/07) e che, dunque, l’atto di riorganizzazione degli uffici sia un atto del tutto legittimo e valido. Tanto deriva dal fatto che la pubblica amministrazione può discrezionalmente decidere di modificare la pianta organica e redistribuire i servizi, al fine di un miglioramento degli stessi, senza con ciò ledere i diritti dei dipendenti o commettere alcun demansionamento, qualora lo spostamento consista in mansioni equivalenti e di uguale livello professionale.

Su tale punto la Suprema Corte di Cassazione, in particolare, con la Sentenza delle Sezioni Unite n. 8740/08, ha chiarito tale punto, tanto da specificare come il datore di lavoro, quando adibisce il dipendente a mansioni diverse da quelle originarie, non arreca alcun danno in termini di demansionamento, se le mansioni nuove siano da annoverare nella medesima categoria, secondo una valutazione non sottoponibile al vaglio giudiziale.

La Cassazione Civile, con Sentenza n. 11835/2009, si è espressa comunque sanzionando lo svuotamento totale delle mansioni affidate ad un dipendente, ponendo pertanto dei limiti alla sottrazione integrale di ogni funzione da svolgere.

Con Sentenza dell’11 marzo 2015, r.c. n. 379/2015, il Giudice del lavoro del Tribunale di Brindisi, consultato su un caso simile a quello discusso, ha confermato la giurisprudenza degli ultimi anni. La suddetta sentenza è interessante perché il Giudice del Lavoro ha rigettato le motivazioni addotte dalla parte ricorrente, (tra l’altro l’azione era stata proposta con un procedimento ex articolo 700 del codice di procedura civile), proprio perché ha ritenuto insussistente il fumus boni iuris e addirittura superflua la sussistenza del periculum in mora, con ciò confermando in toto le ragioni dell’amministrazione datrice di lavoro.


INPS, visite fiscali 2015: cosa cambia? Orari, regole, sanzioni e stipendio per l’anno in corso

Dal 1°gennaio 2015 sono cambiate le regole e gli orari per le visite fiscali che dipendenti pubblici e privati ricevono in caso di assenza dal lavoro per malattia. L’INPS, attraverso un’apposita circolare, ha illustrato le modifiche entrate in vigore da quest’anno.

Le regole diramate dall’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale riguardano sia i Medici fiscali e che i lavoratori . Questi ultimi, in particolare, nel caso in cui al momento della visita non si trovassero nel domicilio indicato nella documentazione, andranno incontro a sanzioni.

Ma quali sono le nuove regole valide per l’anno 2015? Ecco la Guida per non farsi trovare impreparati.

Dipendenti Statali

Vengono raggruppati all’interno di questo gruppo:

  • i dipendenti statali,
  • gli insegnanti,
  • i lavoratori della Pubblica Amministrazione,
  • i lavoratori degli Enti locali,
  • i vigili del fuoco,
  • la Polizia di Stato,
  • le Asl,
  • i militari

La reperibilità in questo caso è attiva 7 giorni su 7, comprese le giornate non lavorative, i festivi, i prefestivi e i weekend. Per quanto riguarda le fasce orarie, i lavoratori potranno ricevere una visita fiscale:

  • dalle ore: 9.00 alle ore: 13.00,
  • dalle ore: 15:00 alle ore: 18:00.

Nelle seguenti fasce orarie i dipendenti statali sono tenuti a restare presso l’indirizzo di residenza indicato nella documentazione medica di malattia e attendere la visita del medico fiscale inviata dal datore di lavoro o dall’INPS.

Il vincolo di reperibilità decade in presenza dei seguenti motivi:

1) malattie di una certa entità di cui necessitano cure salvavita.

2) Infortuni di lavoro.

3) Patologie documentate e identificate le cause di servizio.

4) Quadri morbosi inerenti alla circostanza di menomazione attestata.

5) Gestazione a rischio.

Sono esenti anche i dipendenti che hanno già ricevuto la visita fiscale per il periodo di prognosi indicato nel certificato.

Dipendenti Privati

Per quanto riguarda i dipendenti privati, permane l’obbligo di reperibilità 7 giorni su 7, ma, rispetto ai lavoratori pubblici, cambiano gli orari:

  • dalle ore: 10:00 alle ore: 12:00.
  • dalle ore: 17:00 alle ore: 19:00.

Le eccezioni e le esenzioni precedentemente elencate per i lavoratori pubblici, valgono anche per i dipendenti privati.

Visite fiscali: le regole per il medico

Il medico fiscale ha il dovere di verificare le condizioni fisiche del paziente e di analizzare la patologia riportata all’interno del documento di malattia. In caso di necessità, potrà protrarre la diagnosi di 48 ore, variarla e sollecitare il dipende a sottoporsi ad un controllo specialistico.

Visite fiscali: le sanzioni

Se, al momento della visita fiscale, il lavoratore non si trovasse all’interno della residenza segnalata nella certificazione e fosse sprovvisto di motivazione, non avrà più diritto al 100% retribuzione per i primi 10 giorni di malattia. Per i giorni seguenti invece la retribuzione scenderà al 50%.

Il dipendente avrà inoltre 15 giorni di tempo per comprovare la propria assenza ed evitare la sanzione sopra indicata.

Visite Fiscali: lo stipendio

Nel corso del periodo di assenza per malattia, lo stipendio diminuisce progressivamente alle fasce temporali:

  • dall’inizio della malattia e fino al nono mese (incluso) la retribuzione sarà del 100%,
  • dal 10° mese fino ad un anno di assenza la retribuzione sarà del 90%,
  • dal 13° al 18° mese, la retribuzione sarà pari al 50%.

Gli Orari Visite Fiscali 2015 INPS dipendenti pubblici, insegnanti, aziende private, militari, carabinieri, Asl e il controllo fiscale sono stati modificati a seguito dell’entrata in vigore del D.L. 6 luglio 2011, n. 98.

Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria convertito nella legge n. 111 del 15 luglio 2011 che ha previsto che la verifica della reperibilità del lavoratore da parte dell’Inps possa essere attivata “dal primo giorno se l’assenza si verifica nelle giornate precedenti o successive a quelle non lavorative.

Nuove regole 2015 INPS:

La nuova normativa INPS Visita fiscale 2015 ha chiarito le modalità e il diritto del datore di lavoro di attivare la procedura di visita fiscale nei confronti dei lavoratori che dichiarano uno stato di malattia, che da tale data può essere richiesta per via telematica mediante i servizi online messi a disposizione dall’Istituto.

In altre parole, il datore di lavoro ha diritto a richiedere all’Inps il servizio di controllo dello stato di salute dei propri dipendenti mediante presentazione online della richiesta sin dal primo giorno di malattia se l’assenza si verifica nelle giornate precedenti o successive a quelle non lavorative.

Queste ultime sono da individuare non solo nelle giornate festive e nella domenica, ma anche nelle giornate di riposo infrasettimanale conseguenti all’effettuazione di turni o servizi, nonché in quelle di permesso o di licenza concesse.

Il datore di lavoro, mediante i servizi online dell’Inps, richiede e dispone, pertanto, il controllo fiscale del suo dipendente che si dichiara in malattia per un certo numero di giorni o per una sola giornata, il sistema a fine procedura rilascia al richiedente il numero di protocollo relativo alla sua richiesta, con il quale può conoscere in qualsiasi momento e in tempo reale, dallo stato di avanzamento fino all’esito finale della visita medica.

Importante: se un tempo la visita fiscale poteva essere richiesta per motivi di fattibilità solo un paio di giorni dopo la dichiarazione dello stato di malattia da parte del lavoratore, oggi, è attivabile immediatamente è quindi possibile che il lavoratore in malattia possa ricevere già nel primo giorno di assenza per malattia la visita fiscale del medico Inps.

Pubblico Impiego:

Gli orari visite fiscali lavoratori assenti per malattia devono obbligatoriamente rispettate per non incorrere a sanzioni e/o provvedimenti disciplinari seguono fasce orarie diverse a seconda se si tratti di lavoratori dipendenti pubblici, Pubblico Impiego, insegnanti, militari, Polizia di Stato, Carabinieri, Enti Locali, Agenzie Fiscali ecc che lavoratori privati:

Gli orari visite fiscali 2015 dipendenti pubblici quali Statali, Scuola, Insegnanti, Militari, Polizia di Stato, Vigili del Fuoco, Asl, Enti Locali, durante i quali i dipendenti assenti per malattia hanno l’obbligo di reperibilità sono nelle seguenti fasce orarie malattia: 7 giorni su 7 inclusi sabato, domenica, festivi e prefestivi, nelle fasce orarie dalle ore 09:00 alle ore 13:00 e dalle ore 15:00 alle ore 18:00.

Durante tali fasce orarie, il lavoratore assente per malattia può ricevere la visita medica fiscale richiesta dal datore di lavoro o dall’Inps stessa, pertanto, il lavoratore è obbligato a farsi trovare presso il suo domicilio o altro indirizzo comunicato al momento della dichiarazione dell’inizio malattia.

L’obbligo di reperibilità si ricorda è previsto anche nei giorni non lavorativi e festivi, dall’obbligo di reperibilità sono esclusi i dipendenti la cui assenza dal lavoro sia dipesa da patologie gravi che richiedono terapie salvavita, da infortuni sul lavoro, da malattie per le quali è riconosciuta la causa di servizio e dagli stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta.

Riforma PA 2015 visite fiscali polo unico INPS per la verifica dei certificati medici e visite fiscali PA. All’indomani dello scandalo di Capodanno che ha visto come protagonisti i Vigili urbani di Roma Capitale che si sono ammalati in massa proprio nella notte più lunga dell’anno, il Governo ha scelto la linea dura indagando in primis sull’accaduto e modificando le norme del lavoro nella PA come già previsto dall’articolo 13 della legge delega Madia per il riordino della disciplina dei dipendenti pubblici, che riprenderà il suo corso a febbraio. Tali modifiche, consisteranno in un emendamento che di fatto andrà ad aumentare i controlli sui certificati medici nel Pubblico Impiego che verranno gestiti non più dalla ASL ma dall’INPS come avviene già per i lavoratori privati e prevedendo che l’obbligo per ciascuna Amministrazione di dotarsi di una specifica commissione con il compito di valutare il comportamento dei dipendenti e decidere eventualmente sull’applicazione di sanzioni disciplinari quali il licenziamento per scarso rendimento già previsto dalla Legge Brunetta ma quasi mai applicato.

Dipendenti aziende private: operai, commercio, TLC

Gli orari visite fiscali 2015 dipendenti privati per lavoratori assenti per malattia INPS, sono:

7 giorni su 7 con reperibilità nelle fasce dalle 10:00 alle 12:00 e dalle 17:00 alle 19:00

Durante tali fasce orarie, il lavoratore privato assente per malattia INPS può ricevere la visita medica fiscale richiesta dal datore di lavoro o dall’Inps stessa, pertanto, il lavoratore è obbligato a farsi trovare presso il suo domicilio o altro indirizzo comunicato al momento della dichiarazione dell’inizio malattia.

L’obbligo di reperibilità malattia nelle fasce orarie si ricorda è previsto anche nei giorni non lavorativi e festivi quindi anche il giorno di Natale, Capodanno, Pasqua e le feste patronali, nei giorni di riposo se l’evento morboso cade prima o dopo tali giornate.

Lavoratori esclusi da obbligo reperibilità:

I soli dipendenti pubblici, Non hanno l’obbligo di rispettare le fasce orarie di reperibilità per le visite fiscali, se assenti per malattia per le seguenti cause:

  • Patologie gravi che richiedono terapie salvavita.
  • Gravidanza a Rischio.
  • Infortunio sul lavoro Inail.
  • Malattie professionali INAIL, per le quali è stata riconosciuta la Causa di Servizio.
  • Stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta

Chi è escluso dall’obbligo della visita fiscale e quando? Queste sono le domande più comuni che i dipendenti e lavoratori in generale, si chiedono al fine di non incorrere in sanzioni amministrative e disciplinari per essere usciti di casa senza un giustificato motivo di esclusione.

Chi è escluso dall’obbligo della visita fiscale?

Innanzitutto, è bene fare subito una precisazione, ovvero, che la possibilità di esclusione dal cd. obbligo di reperibilità durante gli orari della visita fiscale è solo per i dipendenti pubblici, in presenza di specifiche cause e motivazioni.

La legge e vari decreti, sono intervenuti sull’argomento proprio per tutelare determinate categorie di lavoratori affetti da specifiche malattie che esulano il dipendente dall’obbligo della visita fiscale e dal dover essere reperibile durante gli orari che, ricordiamo sono per i dipendenti del Pubblico Impiego, Agenzia delle Entrate, Agenzie fiscali, Enti locali e comunali, ASL e sanitari, statali dalle ore 9-13 e 15-18 di ogni giorno compresi domeniche e festivi.

Pertanto, il decreto ministeriale 206/2009 ha introdotto una nuova formulazione circa le cause di esclusione dall’obbligo sia di rispettare le fasce di reperibilità durante gli orari delle visite fiscali che della possibilità di essere sottoposti a controllo medico fiscale da parte dell’amministrazione che dall’ASL e INPS.

Quando, cause e motivi di esclusione:

L’articolo 69 del decreto legislativo 150/2009, ha escluso dall’obbligo della visita fiscale e quindi dall’obbligo di reperibilità i soli dipendenti pubblici per i quali l’assenza dal posto di lavoro sia determinata da una serie di cause e motivi tali da non dover rispettare alcun obbligo di orari.

Le cause e motivi che determinano l’esclusione dalla visita fiscale, sono:

  1. patologie gravi che richiedono terapie salvavita.
  2. infortuni sul lavoro.
  3. malattie per le quali è stata riconosciuta la causa di servizio.
  4. stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta.

Il decreto ha inoltre escluso dal predetto obbligo di reperibilità anche i dipendenti nei confronti dei quali è stata già effettuata la visita fiscale per il periodo di prognosi indicato nel certificato medico.

Per cui nelle patologie gravi che richiedono terapie salvavita, rientrano malattia molto gravi come per esempio tumori con terapie chemioterapiche o dialisi per il malfunzionamento dei reni, per malattie professionali INAIL già accertate dall’amministrazione e comprovate dall’istituto come malattia causa di servizio e per infortuni occorsi al dipendente e e gli stati patologici sottesi e/o connessi alla situazione d invalidità legalmente riconosciuta dalla commissione ASL.

Riassumendo, le esclusioni dall’obbligo di reperibilità per la visita fiscale (art. 2 Decreto 18 dicembre, 2009 n. 206), vi sono solo se la malattia è connessa ad una delle condizioni sopra elencate e solo se l’amministrazione si già in possesso della documentazione formale sanitaria che certifichi la patologia che causa l’esclusione dal suddetto obbligo, pertanto, nel caso in cui il dipendente che rientra nel regime di esenzione non fosse trovato presso il proprio domicilio in occasione della visita fiscale, non andrebbe incontro a responsabilità e all’applicazione di alcuna sanzioni.

Come fare per farsi riconoscere l’esclusione dalle visite fiscali?

Il dipendente ammalato che rientra in una delle cause che determinano l’esclusione dagli obblighi di reperibilità malattia durante gli orari delle visite fiscali e dell’invio stesso del medico ASL e INPS per effettuare la visita fiscale, deve presentare una serie di documenti per far scattare tale esclusione,

Infatti, solo la presentazione all’amministrazione e quindi al datore di lavoro, della documentazione sanitaria ASL comprovante l’esistenza delle cause di esenzione, può escludere il dipendente ammalato dai suddetti obblighi.

La documentazione medica sanitaria, deve essere accompagnata dal certificato medico di malattia che giustifichi l’assenza dal lavoro del dipendente, nel quale deve essere indicata la causa di esenzione, la patologia che rientra nel regime di esclusione dell’obbligo di reperibilità degli orari della visite fiscale e dalla visita stessa.

Esclusione obbligo visita fiscale a causa di malattie professionali:

Tra le cause che determinano l’esclusione dall’obbligo degli orari visite fiscali, troviamo la Malattia professionale INAIL o causa di servizio, che si distinguono in malattie tabellate e non tabellate. Le malattie professionali tabellate sono indicate in due tabelle una per l’industria e una per l’agricoltura in base a quanto previsto dal D.M. del 27 Aprile 2004, che ha sostituito il precedente D.M. del 18 Aprile 1973.

Nell’elenco delle malattie professionali INAIL tabellate che determinano l’esclusione dei dipendenti pubblici dall’obbligo delle visite fiscali sono indicate in 3 liste:

Lista 1: malattia professionale INAIL la cui origine lavorativa è di elevata probabilità come per esempio i disturbi causati dalle vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio, del tratto lombare e l’ernia discale lombare per a causa di continui movimenti ripetuti durante il turno lavorativo, sindromi da sovraccarico per la spalla e gomito e del polso-mano e di arti inferiori, borsite, Tunnel Carpale.

Lista 2: malattia professionale INAIL la cui origine lavorativa è di limitata probabilità, come per esempio sindromi da sovraccarico dell’arto superiore per micro-traumi o posture incongrue degli arti superiori per attività eseguite con ritmi continui e ripetitivi per almeno la metà del turno lavorativo, tendiniti e ernia discale lombare in lavoratori esposti a vibrazioni trasmesse al corpo intero per le attività di guida di automezzi pesanti e conduzione di mezzi meccanici

Lista 3: malattia professionale INAIL la cui origine lavorativa è possibile, come per esempio la sindrome dello stretto toracico (esclusa la forma vascolare) e il Morbo di Dupuytren relativi ad esposizione a microtraumi e posture incongrue degli arti superiori per le attività eseguite con ritmi continuativi e ripetitivi per almeno la metà del tempo del turno lavorativo.

Tabelle delle Malattie Professionale allegate al D.M. del 27 aprile 2004, con le liste I, II e III.

Le Malattie professionali “Non tabellate” INAIL, sono invece quelle malattie che determinano sempre una malattia causa di servizio, che non rientrano in quelle tabellate dall’INAIL e per questo motivo, il dipendente deve dimostrare la causa ed effetto della malattia con il lavoro.

Esclusione obbligo visita fiscale per infortunio sul lavoro:

La malattia connessa ad un infortunio sul lavoro, rientra in quelle cause che determinano l’esclusione dall’obbligo di rispettare gli orari visite fiscali 2014 2015.

L’infortunio sul lavoro, non è altro che un incidente occorso al lavoratore e al dipendente durante l’orario di lavoro o durante il tragitto casa-lavoro il cd. infortunio in itinere

Nell’infortunio sul lavoro occorso al dipendente, rientrano tutti gli incidenti causati da agenti aggressivi esterni tali da provocare danneggiamenti all’integrità psico fisica del lavoratore come ad esempio sostanze tossiche, sforzi muscolari eccessivi o virus, eventi che possono danneggiare la salute del lavoratore durante lo svolgimento della sua attività lavorativa durante l’orario di lavoro, o incidenti anche direttamente causati dal lavoratore stesso per negligenza, imprudenza o incidenti durante il tragitto di andata e ritorno tra casa e posto di lavoro, il cd. infortunio in itinere.

Quali sono le terapie salvavita?

Le terapie salvavita che escludono il lavoratore dall’obbligo della visita fiscale, sono ad esempio le terapie di emodialisi, chemioterapia, riabilitative per i lavoratori affetti da AIDS ecc. L’elenco completo delle terapie salvavita che consentono al dipendente di essere escluso dall’obbligo di rispettare gli orari delle visite fiscali sono indicate nell’art. 10 del decreto Legge 15.9.2000.

Tale articolo, sottolinea anche che i giorni di malattia oggetto di esclusione dall’obbligo di reperibilità durante le fasce orarie della visita fiscale, sono solo i giorni di ricovero ospedaliero o di day-hospital, necessari a far sottoporre il dipendente affetto da grave patologia, alle terapie salvavita o altre ad esse assimilabili. Quindi, non una qualunque patologia seppur grave e con ricovero ospedaliero. Nel caso in cui, la malattia sia dovuta a stati patologici che non riguardano la terapia salvavita, la giornata di assenza va certificata con l’invio telematico del certificato medico rilasciato dal medico curante, ASL o altra struttura convenzionata.

Stati patologici connessi a invalidità riconosciuta:

Negli stati patologici connessi a invalidità riconosciuta che escludono il dipendente dall’obbligo di reperibilità delle visite fiscali, rientrano tutte le menomazioni congenite o acquisite, anche di carattere progressivo, insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionale, che abbiano una riduzione della capacità lavorativa in misura superiore a 1/3, sordomuti o ciechi civili ecc.

L’elenco stati patologici invalidità INPS senza obbligo visite fiscali e dal rispettare le fasce per la visita medica di controllo da parte del datore di lavoro, ALS o INPS sono ad esempio:

  • Insufficienza cardiaca
  • Insufficienza respiratoria in trattamento continuo di ossigenoterapia o ventilazione meccanica.
  • Perdita delle funzionalità renali
  • Perdita delle funzioni degli arti superiori o degli arti inferiori.
  • Menomazioni dell’apparato osteo-articolare con la perdita o gravi limitazioni funzionali
  • Epatopatie
  • Patologia oncologica
  • Patologie e sindromi neurologiche
  • Malattie genetiche e/o congenite
  • Malattie mentali
  • Deficit totale dell’udito

Malattia professionale e infortunio sul lavoro INAIL:

Le visite di controllo nei confronti dei lavoratori assenti dal lavoro per infortunio sul lavoro o malattia professionale, hanno l’obbligo di reperibilità nelle fasce orarie se previsto dai contratti collettivi.

Il mancato rispetto di tale obbligo, accertato dai medici ASL o dell’INPS, autorizza il datore di lavoro ad applicare la sanzione disciplinare, ove prevista dal contratto collettivo, ma non determina la perdita dell’indennità per inabilità di temporanea assoluta INAIL da parte del lavoratore.

Sentenza Corte di Cassazione n. 15773/2002: in merito all’obbligo di reperibilità dei lavoratori assenti per infortunio, la sentenza, ha ribadito che il lavoratore è comunque sottoposto ai diversi obblighi regolati dal contratto collettivo di lavoro.

In caso di infortunio e malattia professionale con relativa denuncia all’INAIL, non è infatti competenza di tale Istituto assicuratore  attivare la richiesta di visita fiscale da parte del medico legale INAIL ma è di competenza dell’INPS, attivare il servizio per eseguire la visite fiscali di controllo a domicilio, non solo sulle assenze dal lavoro per malattia, ma anche nei casi di denuncia di infortunio sul lavoro.

Questo perché in base a quanto stabilito dall’art. 5, comma 2 della legge 20 maggio 1970, n. 300, il datore di lavoro o l’istituto creditore della prestazione, ha diritto ad accertare la situazione patologica del lavoratore stesso, quale potenziale fattore di una propria responsabilità. In altre parole, il datore di lavoro ha diritto di rivolgersi all’INPS per chiedere la verifica dell’effettivo stato di salute del lavoratore, che denuncia un infortunio sul lavoro, per il quale sia prevista una indennità temporanea, e ciò per tutto l’arco della durata dell’infortunio e sino a guarigione clinica.

Pertanto appare evidente che l’assenza dal lavoro per malattia e quella per inabilità temporanea al lavoro, a seguito di infortunio denunciato come tale, avranno lo stesso trattamento da parte dei medici legali dell’INPS, che interverranno su semplice richiesta del datore di lavoro. E’ evidente quindi che il rispetto delle le fasce orarie di reperibilità malattia così come previste dalla contrattazione collettiva, debbano essere obbligatoriamente rispettate anche dai lavoratori assenti causa infortunio e malattia professionale.

Infortuni sul lavoro e malattie dovute a causa di servizio (Art. 22 ccnl 1994/1997 integrato con ccnl integrativo 1998-2001)

1) Il dipendente che si assenta per malattia a causa di un infortunio ha diritto alla conservazione del posto fino a completa guarigione clinica e, comunque, non oltre i periodi di conservazione del posto previsti dall’art. 21, commi 1 e 2. In tali periodi al dipendente spetta l’intera retribuzione di cui all’art. 21, comma 7, lettera a), comprensiva del trattamento accessorio.

2) Se l’assenza del lavoratore è riconosciuta dipendente da causa di servizio, al lavoratore spetta l’intera retribuzione di cui all’art. 21, comma 7, per tutti i periodi di conservazione del posto di cui al comma 1.

3) Per i lavoratori che, non essendo disabili al momento dell’assunzione, abbiano acquisito per infortunio sul lavoro o malattia collegata a causa di servizio eventuali inabilità trova applicazione l’art. 1, comma 7, della legge n. 68/1999. Nel caso di lavoratori che divengono inabili allo svolgimento delle proprie mansioni in conseguenza di infortunio o malattia, trova applicazione l’art. 4, comma 4 della stessa legge.

4) Trattamento economico spettante al dipendente che si assenta per malattia è pari a:

  • 100% della retribuzione fissa mensile per i primi 9 mesi di malattia: pari o superiori a 15 giorni o in caso di ricovero ospedaliero e per il periodo di convalescenza post ricovero, ricovero domiciliare, va certificato dalla ASL o struttura sanitaria competente, in questi casi al dipendente spetta per intero l’indennità di amministrazione.
  • 90% della retribuzione per i successivi 3 mesi di assenza: per cui dopo i primi nove mesi pagati interamente, per i successivi 3 mesi che vanno a completare 1 anno di assenza per malattia, l’indennità scende al 90%.
  • 50% della retribuzione per ulteriori 6 mesi: del periodo di conservazione del posto di lavoro 18 mesi previsto nel comma 1, per i periodi di assenza previsti dal comma 2 non sono retribuiti.

5) Le patologie gravi che richiedano terapie salvavita come l’emodialisi, la chemioterapia, il trattamento per l’infezione da HIV- AIDS sono escluse dal computo dei giorni di assenza per malattia i relativi giorni di ricovero ospedaliero o di day – hospital ed i giorni di assenza dovuti alle citate terapie, debitamente certificati dalla competenze Azienda sanitaria Locale o Struttura Convenzionata. In tali giornate il dipendente ha diritto in ogni caso all’intera retribuzione.

Dipendenti ASL, SSN infermieri e medici:

Per i dipendenti delle Asl, il datore di lavoro che intende richiedere le visite fiscali 2015 dipendenti ASL deve inoltrare la richiesta presso l’Ufficio Visite Fiscali della Medicina Legale competente per distretto territoriale, fornendo i seguenti dati:

  • denominazione e indirizzo della Ditta o Ente pubblico o privato completo di partita IVA o Codice Fiscale;
  • nome e cognome del lavoratore
  • indirizzo di residenza o domicilio del lavoratore durante la malattia completo di scala ed interno;
  • specificare se la fascia oraria di reperibilità è diversa da quella prevista dal D.lgs 165/2001 cioè dalle ore 9,00 alle ore 13,00 e dalle ore 15,00 alle ore 18,00 di tutti i giorni, compresi i non lavorativi e festivi.

Il medico incaricato dall’Azienda ASL effettua la visita fiscale, richiesta ai sensi della normativa vigente dal datore di lavoro.

L’accertamento viene effettuato dai sanitari della Medicina Legale nelle specifiche fasce di reperibilità sopra indicate.

I dipendenti Asl Pubblico Impiego assenti per malattia sono esclusi dall’obbligo di rispettare le fasce di reperibilità se l’assenza dal lavoro è riconducibile ad una delle seguenti cause di esclusione sopra elencate.

Esito della visita di controllo del dipendente assente per malattia: 

Il medico incaricato dalla Asl ad effettuare la visita fiscale presso il domicilio del dipendente assente per malattia, esamina il certificato medico rilasciato al lavoratore dal medico curante che ha verificato lo stato di malattia e l’indicazione della prognosi. Il medico fiscale a seguito del controllo di tale documentazione e la visita del paziente può prolungare la prognosi al massimo di ulteriori 48 ore, confermare la prognosi o modificarla in caso di miglioramento e mancata sussistenza di sintomi tali da impedire la ripresa dell’attività lavorativa invitando il dipendente a tornare al lavoro. Solo in caso di dubbio diagnostico e di patologie specifiche il Medico Fiscale può richiedere una visita specialistica alla quale il lavoratore deve obbligatoriamente sottoporsi.

Cosa succede se non vengono rispettate le fasce orarie di vista fiscale? Se il lavoratore non si fa trovare a casa: Se il lavoratore assente per malattia non viene trovato a casa durante le fasce orarie di reperibilità per sottoporsi al controllo fiscale, successivamente viene tramite comunicazione ufficiale invitato a presentarsi presso l’ambulatorio della ASL osservando rigorosamente il giorno e l’orario indicato dal medico fiscale per giustificare l’assenza.

Militari, Carabinieri, esercito:

Le Visite fiscali in caso di assenze per malattia e assenze per prestazioni specialistiche, sono state modificate con il Decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011, n.111, e trova Applicazione al personale militare in servizio permanente che al Corpo dei Carabinieri.

In base agli ultimi chiarimenti forniti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica con la circolare n. 10 del 1° agosto 2011 e con il parere n. DFP 0056340 P-4.17.1.7.5 del 21 novembre 2011, la Visita Fiscale per i militari e carabinieri assenti per malattia può essere disposta fin dal primo giorno quando l’assenza stessa si verifica nelle giornate immediatamente precedenti o successive a quelle non lavorative. Queste ultime sono da individuare non solo nelle giornate festive e nella domenica, ma anche nelle giornate di riposo infrasettimanale conseguenti all’effettuazione di turni o servizi, nonché in quelle di permesso o di licenza concesse.

In tutti gli altri casi, invece la visita fiscale per i militari assenti per malattia può essere richiesta dal Comandante di Corpo in considerazione anche della condotta complessiva del militare dipendente e gli oneri connessi all’effettuazione della visita.

Quali sono gli orari da rispettare durante la malattia per i militari e Carabinieri? Reperibilità fasce Orarie Visita Fiscale 2015:

Le fasce orarie che Carabinieri e Militari assenti per malattia sono obbligati a rispettare per la Visita Fiscale 2013 sono stabilite in base al Prot. n. M_D GMIL1 II 5 1 0269222 orari visite fiscali militari carabinieri del Ministero della Difesa: dalle ore 09.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 18.00

Casi di Esclusione dall’obbligo di reperibilità fasce malattia per i Militari e Carabinieri: sono le stesse del Pubblico Impiego, fermo restando, l’obbligo da parte del dipendente di comunicare preventivamente all’amministrazione la necessità di doversi assentare dal domicilio durante le predette fasce di reperibilità, per iscritto o anche a mezzo telefono, a causa di:

  • visite mediche
  • prestazioni specialistiche
  • accertamenti diagnostici
  • altri “giustificati motivi”: documentabili anche con dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà purché quest’ultima attenga a fatti, stati o qualità personali verificabili dall’Amministrazione sulla base degli stessi elementi che il militare dipendente è tenuto a produrre, il Comandante di Corpo dovrà anche valutare se i motivi stessi siano “giustificabili” in relazione alle circostanze concrete del caso.

In caso di assenza ingiustificata alla visita fiscale, si applica l’articolo 5, comma 14 del decreto legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito nella legge 11 novembre 1983, n. 638, che commina una specifica sanzione riguardante il trattamento economico, ferma restando la possibilità di applicazione di un’eventuale sanzione disciplinare in presenza dei presupposti e a seguito del relativo procedimento.

Insegnanti e docenti scuola, personale scolastico e ATA:

Per il personale scolastico, insegnanti, docenti e ATA, sono partite con il nuovo anno scolastico, le circolari riguardante l’assenza per malattia – Accertamenti visite fiscali tempestive e gli orari visite fiscali 2015, in base alle disposizioni previste dalla L. 6/8/2008 n. 133 art. 71 comma 3. Dlgs. N.98 del 2011 convertito in Legge 111 del 2011 art 16 comma 9 e 10. Nuove Disposizioni Visite Mediche Dipendenti Pubblici – legge n. 111 del 15 luglio 2011.

Tali disposizioni, hanno infatti previsto per i dipendenti pubblici che:

l’assenza per malattia deve essere immediatamente comunicata all’amministrazione e nel caso del personale scolastico, all’istituto entro la mattinata del primo giorno di assenza. Tale obbligo, vige anche in caso di prolungamento della malattia.

La comunicazione dell’assenza, deve essere registrata come fonogramma che indichi l’orario, il domicilio assunto dal dipendente per effettuare le visite fiscali e il presunto periodo di malattia. Nel caso invece, che il dipendente si avvalga dell’informazione del collega o del fiduciario deve comunque informare tempestivamente l’ufficio che può provvedere sin dal primo giorno di dichiarazione malattia, ad inviare la visita fiscale.

Le visite fiscali, disposte dall’istituto o dall’ASL, possono essere effettuate entro specifici orari visite fiscali distinte in due fasce orarie, indipendentemente dall’acquisizione del certificato medico telematico che deve essere rilasciato esclusivamente da medici convenzionati con il Servizio sanitario nazionale.

le visite fiscali per il personale scolastico in malattia, verranno eseguiti durante i nuovi orari visite fiscali 2015: fasce di reperibilità sono: mattino 9,00 – 13,00 / pomeriggio 15,00 – 18,00 l’obbligo di reperibilità sussiste anche nei giorni non lavorativi e festivi.

Qualora il dipendente debba assentarsi dal domicilio durante gli orari visite fiscali per effettuare visite mediche, prestazioni o accertamenti specialistici o per altri giustificati motivi, è tenuto a dare preventiva comunicazione all’amministrazione che in caso può richiedere la certificazione a giustificazione dell’assenza.

La certificazione a giustificazione dell’assenza, è valida solo se è rilasciata da medici convenzionati con il SSN mentre non è valida quella rilasciata da medici professionisti .

Per quanto riguarda il trattamento economico per insegnanti, docenti e personale scolastico ATA assenti per malattia, l’assenza inferiore a 10 giorni è

pagata con il trattamento base, fatta eccezione per la malattia dovuta ad infortunio sul lavoro o malattia professionale INAIL o causa di servizio, oppure a ricovero ospedaliero o a day hospital o a terapie salvavita.

Polizia e vigili del fuoco:

Il Dipartimento della Funzione Pubblica con la circolare n. 10/2011 orari visite fiscali Polizia e Vigili del Fuoco ha fornito alcuni chiarimenti in merito alle novità introdotte dall’art. 16, commi 9 e 10, del Decreto Legge 98/2011 convertito con Legge 111/2011, riguardanti la materia dei controlli sulle assenze dal servizio per malattia dei dipendenti pubblici e nello specifico è intervenuto a sottolineare che tali novità siano estese anche al personale della Polizia di Stato e dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile.

Le novità introdotte dal suddetto decreto riguardano le regole per la visita fiscale, le fasce orarie di reperibilità, gli esoneri dall’obbligo di mantenere la reperibilità.

Quali sono gli orari da rispettare durante la malattia per i poliziotti e vigili del fuoco? Reperibilità fasce Orarie Visita Fiscale:

La visita fiscale dei dipendenti della Polizia di Stato e Vigili del Fuoco assenti per malattia può essere effettuata nella seguente fascia oraria: dalle ore 09.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 18.00, vi è però l’esclusione dall’obbligo di reperibilità nei casi in cui l’assenza per malattia rientri in una delle cause di esclusione previste per i dipendenti pubblici.

Polizia Penitenziaria nuove fasce orarie 2015:

Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha chiarito che le nuove fasce orarie di reperibilità 9-13 e 15-18, valide e obbligatorie per tutti i dipendenti pubblici e statali riguardano anche il personale della Polizia Penitenziaria.

Quali sono gli orari da rispettare durante la malattia perla Polizia Penitenziaria? Reperibilità fasce Orarie Visita Fiscale 2015 Polizia Penitenziaria dalle ore 9:00 alle 13:00 e dalle ore 15:00 alle ore 18:00. Stesse regole dei dipendenti PA per le cause di esclusione dall’obbligo di reperibilità malattia.

Malattia Bimbo:

Gli Orari Visita Fiscale 2015 previsti per i dipendenti pubblici e privati assenti per malattia Bambino, sono stabiliti dall’art. 47 del Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 – Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della Legge 8 marzo 2000, n. 53, che dispongono il non obbligo da parte di genitori e bambini di rispettare gli orari visite fiscali, in quanto per legge è previsto che entrambi i genitori, alternativamente, abbiano il diritto di astenersi dal lavoro per periodi corrispondenti alle malattie di ciascun figlio di età non superiore a 3 anni.

Sabato o Domenica, festivi Natale, Capodanno e Pasqua:

Il Datore di Lavoro ha diritto a richiedere per i lavoratori privati il controllo medico domiciliare all’Inps o la ASL se l’ambito è pubblico. Tali richieste effettuate presso il servizio di medicina fiscale, sono a pagamento e vengono fatturate al richiedente nel momento della richiesta fornendo la sua esatta denominazione, indirizzo e Codice Fiscale.

La richiesta deve essere obbligatoriamente inoltrata via fax entro le ore 11.30 del giorno per cui si richiede il controllo, compreso il sabato, al presidio distrettuale di residenza. Entro le 11.30 del sabato devono altresì pervenire le richieste per i controlli da attuarsi nei giorni festivi come la Domenica, Natale, Capodanno, Pasqua o Ferragosto.


Cassazione: sì alla responsabilità civile della P.A. per le condotte dei propri dipendenti

Sussiste la potenziale responsabilità della Pubblica Amministrazione per condotte dei propri dipendenti che, sfruttando l’adempimento di funzioni pubbliche ad essi espressamente attribuite, ed in esclusiva ragione di un tale adempimento che quindi costituisce l’occasione necessaria e strutturale del contatto, tengano condotte, anche di rilevanza penale e pur volte a perseguire finalità esclusivamente personali, che cagionano danni a terzi, ogniqualvolta le condotte che cagionano danno risultino non imprevedibile ed eterogeneo sviluppo di un non corretto esercizio di tali funzioni.

È questo il principio di diritto sancito dalla Corte di Cassazione nella sentenza del 31 marzo 2015 n. 13799.

Per la Corte nessuna ragione di ordine costituzionale esclude la responsabilità della Pubblica Amministrazione (cui compete la selezione ed organizzazione delle persone che in concreto svolgono le sue proprie funzioni) per i danni che il non corretto, ma tuttavia non assolutamente imprevedibile ed eterogeneo, esercizio delle funzioni cagioni a terzi coinvolti nell’esercizio della funzione.

Addirittura secondo la Suprema Corte l’introduzione effettuata con l’art. 28 della Costituzione della responsabilità della Pubblica Amministrazione per fatto dei propri dipendenti è nel senso dell’affermazione espressa di un principio positivo.

In concreto l’applicazione del soprariportato principio comporta che il cosiddetto rapporto di immedesimazione organica non può costituire un limite a qualsiasi responsabilità dell’Amministrazione per fatti compiuti approfittando dello svolgimento della funzione pubblica.

Conclude, quindi, la Suprema Corte rilevando che non vi è alcuna ragione per non affermare potenzialmente sussistente, nei limiti sopra indicati, la responsabilità indiretta ex art. 2049 del codice civile.

La vicenda concreta sulla base della quale la Corte ha pronunciato il suindicato principio di diritto riguarda una dipendente dell’Ufficio Notifiche (UNEP) condannata per peculato e di truffa aggravata e falso.

I Giudici d’Appello avevano rigettato la domanda risarcitoria nei confronti del datore di lavoro Ministero della Giustizia.

La Corte di Cassazione, per i motivi sopra esposti, ha annullato la sentenza con rinvio al giudice civile il quale dovrà, alla luce dei principi sopra esposti e dalle risultanze istruttorie, valutare la sussistenza o meno nel caso concreto delle condizioni per affermare la sussistenza della responsabilità della Pubblica Amministrazione, individuare l’eventuale danno della parte civile, ed in caso di esito positivo, quantificarlo.

Leggi: Cassazione Sentenza n. 13799 ud. 31 03 2015


Riforma della Pubblica Amministrazione. Dirigenti licenziabili

Primo sì del Senato, in commissione Affari Costituzionali, al Ddl di riforma della Pubblica amministrazione. Tra le novità la stretta sulle assenze nella Pa e la scure sulle società partecipate. «È stato votato (01.04.2015 ndr) il mandato al relatore, ora senza perdere un minuto andiamo alla discussione in Aula» ha dichiarato il ministro per la Pa, Marianna Madia, al termine della seduta. L’esame proseguirà mercoledì prossimo, 8 aprile. Il sì di Palazzo Madama arriverà dopo Pasqua.

Cosa cambia:

Pa, dirigenti licenziabili: senza incarico decadono.

I dirigenti privi di incarico vengono collocati in disponibilità e passato un certo periodo, da definire, decadono dal ruolo unico. Il punto, che in sostanza rende licenziabile il dirigente, ha avuto l’ok della commissione Affari Costituzionali del Senato.

Al via ruolo unico dirigenti

La dirigenza sarà articolata in ruoli unificati, con piena mobilità. La riforma prevede anche l’eliminazione della distinzione in due fasce. Inoltre, viene stabilito, gli incarichi dirigenziali avranno una durata di tre anni, rinnovabili una sola volta senza ripassare per un bando e una selezione. Oltre al concorso per diventare dirigenti a tempo indeterminato sarà necessario anche superare un altro esame, dopo i primi anni di servizio.

Niente più automatismi per carriere dirigenti

Un emendamento del relatore alla delega Pa sancisce il «superamento degli automatismi nel percorso di carriera», che dipenderà dalla «valutazione», ovvero dal merito Viene ribadita la definizione di limiti assoluti per il trattamento economico complessivo.

Segretari comunali aboliti, ma ‘fase ponte’ 3 anni

Previsto il mantenimento della funzione relativa al controllo di legalità, ma superando la figura del segretario comunale e provinciale, che confluirà nel ruolo unico della dirigenza pubblica. Ci sarà però una fase ponte, per cui in sede di prima applicazione, per tre anni, le funzioni in questione verranno affidate ai dirigenti del ruolo unico provenienti dall’albo dei segretari comunali.

Ok al taglio delle Camere di Commercio

Ieri la commissione Affari costituzionali del Senato ha approvato l’emendamento che sancisce la riduzione delle Camere di Commercio da 105 a 60. Il via libera al testo dovrebbe arrivare domani: l’approdo in Aula è previsto per giovedì. La proposta di modifica approvata, presentata dal relatore Giorgio Pagliari (Pd), prevede la «riduzione» delle Camere di commercio «mediante accorpamento». La soglia dimensionale minima dovrà essere di 80.000 imprese iscritte nel registro.

Sì alla norma “taglia-decreti”

Con un altro emendamento, sempre proposto dal relatore, si è introdotto nel testo del ddl l’articolo 15 bis, che delega il Governo a modificare e abrogare le disposizioni di legge che prevedono l’adozione di provvedimenti attuativi. L’obiettivo è duplice: semplificare il sistema normativo e i procedimenti amministrativi e dare «maggiore impulso al processo di attuazione delle leggi». In pratica l’Esecutivo, su proposta del presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il ministro per le Riforme, potrà eliminare una o più disposizioni legislative «che prevedano provvedimenti non legislativi di attuazione, entrate in vigore dopo il 31 dicembre 2011». La sforbiciata tocca decreti ministeriali, dpcm e regolamenti, mentre restano esclusi i decreti legislativi.

Al via il riordino dei servizi pubblici locali

È stato inoltre approvato l’emendamento che dà il via libera al riordino dei servizi pubblici locali. Tra le novità la previsione di incentivi agli enti locali che accorpano le attività e che «privatizzano, o meglio cedono il controllo a privati», ha spiegato la senatrice Pd Linda Lanzillotta, commentando una modifica a sua firma. Si apre anche a una ricognizione per eliminare regimi di esclusività non giustificati e contrari alla concorrenza.

Reati di mafia. E’ sui reati di mafia che arriva una prima stretta. Aumentano infatti le pene per il 416 bis e la corruzione. Per chi fa parte di una associazione mafiosa formata da 3 o più persone è prevista la reclusione da 10 a 15 anni (oggi è dai 7 ai 12). Le pene aumentano per chi promuove, organizza e dirige l’associazione. Per quel che riguarda la reclusione, si passa dagli attuali 9-14 anni a 12-18 anni previsti nel ddl.

Falso in bilancio. Sul falso il bilancio, le pene per le società non quotate andranno da 1 a 5 anni (e ciò renderà impossibile l’uso delle intercettazioni). Per le società quotate, invece, le pene andranno da un minimo di 3 ad un massimo di 8 anni. Per le piccole imprese si andrà da un minimo di 6 mesi ad un massimo di 3 anni. Le sanzioni pecuniarie a carico delle società che hanno tratto vantaggio o avuto interesse dal falso in bilancio, la misura arriva a 600 quote per le società in Borsa e a 400 quote per le non quotate.

Più poteri di vigilanza all’Anac. Aumenta il peso dell’Anac, l’autorità nazionale anti corruzione che dovrà essere informata attraverso il suo presidente dal pm qualora quest’ultimo eserciti l’azione penale per reati contro la pubblica amministrazione. L’Anac, inoltre, potrà intervenire sui contratti di appalto segretati e sarà informata su ogni notizia emersa in contrasto con le regole della trasparenza nelle controversie sull’affidamento di lavori pubblici e sul divieto di rinnovo tacito di contratti di lavoro pubblici.

Pubblica amministrazione. Novità anche per quel che  riguarda la corruzione nella pubblica amministrazione. Ma per poter richiedere un patteggiamento sarà necessaria la restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato corruttivo. Questo varrà per alcuni dei principali reati contro lo Stato. Non solo: sulla condizionale, per ottenere la sospensione della pena, bisognerà aver risarcito la PA.


BUONA PASQUA !!!

Pasqua 2015


La Corte Costituzionale dice stop ai Funzionari della P.A. con incarichi dirigenziali

Corte Costituzionale che, con la Sentenza n. 37 depositata lo scorso 17 marzo 2015, ha messo la parola fine all’uso distorto nell’attribuzione di incarichi dirigenziali a Funzionari direttivi interni alle Pubbliche Amministrazioni. La questione, non nuova, è stata sollevata dal Consiglio di Stato trovatosi a valutare la legittimità del comportamento dell’Agenzia delle Entrate che da anni, in forza di reiterate proroghe, affida mansioni dirigenziali a propri Funzionari direttivi in attesa di coprire i posti dirigenziali con procedure concorsuali.

L’Agenzia delle Entrate, che più volte è stata sanzionata dalla giustizia amministrativa, era pure riuscita a trovare il conforto del legislatore attraverso una norma ad hoc che abilitasse la stessa a perseverare sia nell’attribuzione degli incarichi dirigenziali sia nel prorogarne gli effetti in attesa di espletare le procedure concorsuali. La controversia, dai risvolti originariamente solo amministrativi, si è quindi spostata sui binari della legittimità costituzionale attesa l’esigenza di valutare preventivamente la conformità ai principi costituzionali della sopravvenuta normativa statale. Il Giudice delle leggi, nell’annullare la citata disposizione di legge, ha sancito alcuni importanti principi, alcuni dei quali nuovi.

Il primo, che “nessun dubbio può nutrirsi in ordine al fatto che il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di un’amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, e che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio. Anche il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporta «l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso”.

Il secondo, che “Le reiterate delibere di proroga del termine finale hanno di fatto consentito, negli anni, di utilizzare uno strumento pensato per situazioni peculiari quale metodo ordinario per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti. Secondo la giurisprudenza, nell’ambito dell’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, l’illegittimità di questa modalità di copertura delle posizioni dirigenziali deriva dalla sua non riconducibilità, né al modello dell’affidamento di mansioni superiori a impiegati appartenenti ad un livello inferiore, né all’istituto della cosiddetta reggenza. Il primo modello, disciplinato dall’articolo 52 del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, prevede l’affidamento al lavoratore di mansioni superiori, nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi prorogabili fino a dodici, qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti, ma è applicabile solo nell’ambito del sistema di classificazione del personale dei livelli, non già delle qualifiche, e in particolare non è applicabile (ed è illegittimo se applicato) laddove sia necessario il passaggio dalla qualifica di funzionario a quella di dirigente (…). Invero, l’assegnazione di posizioni dirigenziali a un funzionario può avvenire solo ricorrendo al secondo modello, cioè all’istituto della reggenza, regolato in generale dall’articolo 20 del Decreto del Presidente della Repubblica 8 maggio 1987, n. 266 (Norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 26 marzo 1987 concernente il comparto del personale dipendente dai Ministeri). La reggenza si differenzia dal primo modello perché serve a colmare vacanze nell’ufficio determinate da cause imprevedibili, e viceversa si avvicina ad esso perché è possibile farvi ricorso a condizione che sia stato avviato il procedimento per la copertura del posto vacante, e nei limiti di tempo previsti per tale copertura. Straordinarietà e temporaneità sono perciò caratteristiche essenziali dell’istituto (…).

Il terzo, che “I contratti non sono dunque assegnati attraverso il ricorso ad una procedura aperta e pubblica, conformemente a quanto richiesto dagli articoli 3, 51 e 97 della Costituzione”. La norma censurata si era infatti limitata “…a prevedere che l’amministrazione renda conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti che si rendono disponibili nella dotazione organica e i criteri di scelta, stabilendo, altresì, che siano acquisite e valutate le disponibilità dei funzionari interni interessati”.

Sentenza 37/2015

Giudizio

GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE

Presidente CRISCUOLO – Redattore ZANON

Udienza Pubblica del 24/02/2015 Decisione del 25/02/2015

Deposito del 17/03/2015 Pubblicazione in G. U.

Norme impugnate:

Art. 8, c. 24, del decreto legge 02/03/2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, c. 1, della legge 26/04/2012, n. 44.

Atti decisi: ord. 9/2014

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alessandro CRISCUOLO; Giudici : Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 24, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44, promosso dal Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, nei procedimenti riuniti vertenti tra l’Agenzia delle entrate e Dirpubblica − Federazione del Pubblico Impiego (già Dirpubblica − Federazione dei funzionari, delle elevate professionalità, dei professionisti e dei dirigenti delle pubbliche amministrazioni e delle Agenzie) ed altri, con ordinanza del 26 novembre 2013, iscritta al n. 9 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visti l’atto di costituzione di Dirpubblica, nonché gli atti di intervento del Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori) e del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 24 febbraio 2015 il Giudice relatore Nicolò Zanon;

uditi gli avvocati Gino Giuliano per il Codacons, Carmine Medici per Dirpubblica e l’avvocato dello Stato Fabrizio Fedeli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.− Con ordinanza del 26 novembre 2013 (r.o. n. 9 del 2014), il Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, questione di legittimità dell’art. 8, comma 24, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44.

La disposizione impugnata, fatti salvi i limiti previsti dalla legislazione vigente per le assunzioni nel pubblico impiego, autorizza l’Agenzia delle dogane, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia del territorio ad espletare procedure concorsuali, da completare entro il 31 dicembre 2013, per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti, secondo le modalità di cui all’art. 1, comma 530, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge finanziaria 2007), e all’art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248. Tale autorizzazione è posta in relazione «all’esigenza urgente e inderogabile di assicurare la funzionalità operativa delle proprie strutture, volta a garantire una efficace attuazione delle misure di contrasto all’evasione», disposte da altri commi dello stesso art. 8 del d.l. n. 16 del 2012, come convertito.

La disposizione prevede, inoltre, che «[n]elle more dell’espletamento di dette procedure l’Agenzia delle dogane, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia del territorio, salvi gli incarichi già affidati, potranno attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso». Dopo aver stabilito che gli incarichi in questione sono attribuiti «con apposita procedura selettiva applicando l’articolo 19, comma 1-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165», e che «[a]i funzionari cui è conferito l’incarico compete lo stesso trattamento economico dei dirigenti», la norma precisa che «[a] seguito dell’assunzione dei vincitori delle procedure concorsuali di cui al presente comma, l’Agenzia delle dogane, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia del territorio non potranno attribuire nuovi incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165». I periodi finali indicano le modalità attraverso le quali si provvede agli oneri finanziari derivanti dall’attuazione delle misure ricordate.

2.− La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata nel corso di un giudizio riunito avente ad oggetto tre ricorsi in appello, proposti dall’Agenzia delle entrate, per la riforma di altrettante sentenze del Tribunale amministrativo regionale del Lazio. Era stata tra l’altro affermata, mediante uno dei provvedimenti impugnati, l’illegittimità della delibera n. 55 del 22 dicembre 2009, assunta dal Comitato di gestione dell’Agenzia delle entrate, di proroga al 31 dicembre 2010 dei termini contenuti nell’art. 24 del regolamento di amministrazione della stessa Agenzia. Quest’ultima disposizione prevede, per inderogabili esigenze di funzionamento dell’Agenzia, ed entro un termine più volte prorogato, che le eventuali vacanze sopravvenute nelle posizioni dirigenziali possano essere provvisoriamente coperte, previo interpello e salva l’urgenza, con contratti individuali di lavoro a termine stipulati con funzionari interni, ai quali va attribuito lo stesso trattamento economico dei dirigenti.

Il TAR del Lazio, in sintesi, aveva ritenuto che la norma regolamentare attuasse un conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti privi della relativa qualifica, in palese violazione degli artt. 19 e 52, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche). Di qui l’annullamento della delibera impugnata.

Nelle more del procedimento d’appello, è entrato in vigore l’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, cioè la norma censurata nel presente giudizio, che opera una sorta di trasposizione in legge di quanto previsto nel ricordato art. 24 del regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate.

Il Consiglio di Stato, respinte questioni pregiudiziali di diritto e preliminari di merito, con separata ordinanza del 26 novembre 2013, ha quindi rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale del citato art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 Cost.

3.− Il giudice rimettente, in punto di rilevanza, osserva che la disposizione censurata, ponendosi «quale factum principis sopravvenuto», determinerebbe la declaratoria di improcedibilità dei ricorsi in appello per sopravvenuto difetto di interesse alla decisione. Consentendo che, nelle more dell’espletamento delle procedure concorsuali, le Agenzie delle dogane, delle entrate e del territorio, fatti salvi gli incarichi già affidati, possano attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari privi della corrispondente qualifica, con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso, essa determinerebbe infatti la “salvezza” del provvedimento impugnato nel giudizio a quo, cioè la delibera del Comitato di gestione dell’Agenzia delle entrate con la quale è stato modificato l’art. 24 del regolamento di amministrazione.

4.− Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice rimettente, in primo luogo, ritiene che la norma censurata contrasti con gli artt. 3 e 97 Cost., in quanto, consentendo l’attribuzione di incarichi a funzionari privi della relativa qualifica, aggirerebbe la regola costituzionale di accesso ai pubblici uffici mediante concorso.

Si assume in sintesi, anche mediante richiami alla giurisprudenza costituzionale (ex plurimis, sentenza n. 205 del 2004), che nel concorso pubblico va riconosciuta «la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, in quanto meccanismo strumentale al canone di efficienza dell’amministrazione». La forma concorsuale esige – secondo il rimettente – che non siano introdotte arbitrarie ed irragionevoli restrizioni nell’ambito dei soggetti legittimati alla partecipazione, ed in particolare che, pur non essendo preclusa la previsione per legge di condizioni di accesso intese a favorire il consolidamento di pregresse esperienze lavorative maturate all’interno di un’amministrazione, non sia dato luogo, salvo circostanze eccezionali, a riserva integrale dei posti disponibili in favore del personale interno, né a scivolamenti automatici verso posizioni superiori, senza concorso o comunque senza adeguate verifiche attitudinali. Inoltre, il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporterebbe l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate e sarebbe esso stesso soggetto, pertanto, quale forma di reclutamento, alla regola del pubblico concorso (è citata la sentenza di questa Corte n. 194 del 2002).

A fronte di questi principi, la norma impugnata consentirebbe invece a funzionari privi della relativa qualifica, di essere destinatari, senza aver superato un pubblico concorso, di incarichi dirigenziali, quindi di accedere allo svolgimento di mansioni proprie di un’area e di una qualifica afferente ad un ruolo diverso nell’ambito dell’amministrazione.

In secondo luogo, il giudice rimettente assume che l’elusione della regola del pubblico concorso determinerebbe un vulnus al principio del buon andamento della pubblica amministrazione, con conseguente lesione, sotto questo profilo, degli artt. 3 e 97 Cost.: infatti, rappresentando il concorso la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, esso costituisce un meccanismo strumentale al canone di efficienza dell’amministrazione e, dunque, attuativo del principio del buon andamento.

In terzo luogo, è prospettata una violazione degli artt. 3 e 97, primo comma, Cost., in relazione ai principi di legalità, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, poiché, permettendo l’attribuzione di incarichi a funzionari privi della relativa qualifica, la norma censurata consentirebbe la preposizione ad organi amministrativi di soggetti privi dei requisiti necessari, determinando una diminuzione delle garanzie dei cittadini che confidano in una amministrazione competente, imparziale ed efficiente.

Infine, secondo il giudice a quo, la disposizione censurata si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 51 Cost., in quanto consentirebbe l’accesso all’ufficio di dirigente in violazione delle condizioni di uguaglianza tra i cittadini che aspirano ad accedere ai pubblici uffici e in violazione dei requisiti stabiliti dalla legge per il conferimento degli incarichi dirigenziali, posto che l’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001 prevederebbe un ben diverso procedimento per il conferimento degli incarichi dirigenziali.

5.− Con atto depositato in data 4 marzo 2014 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

Secondo l’Avvocatura generale, l’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, non legittima le censure prospettate dal rimettente, in quanto norma a carattere assolutamente temporaneo ed eccezionale, introdotta al solo fine di garantire, nelle more dell’espletamento del concorso, il buon andamento degli uffici dell’Agenzia delle entrate. In particolare, la disposizione non consentirebbe uno scivolamento automatico nella qualifica dirigenziale dei funzionari dell’Agenzia inquadrati nella terza area funzionale, ma si limiterebbe ad attribuire a costoro mansioni dirigenziali, per il solo tempo necessario allo svolgimento del concorso. Si ricorda dalla stessa Avvocatura generale come questa Corte, con la sentenza n. 212 del 2012, abbia dichiarato l’infondatezza di una questione di legittimità costituzionale relativa ad una disposizione di legge (regionale) di contenuto asseritamente analogo a quella ora impugnata.

Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, l’eccezionalità e la temporaneità della previsione contenuta nella disposizione censurata sarebbero dimostrate anche dal fatto che l’Agenzia delle entrate ha dato effettivamente avvio a procedure concorsuali per il reclutamento di personale dirigente, attualmente in corso.

Quanto alla dedotta diminuzione delle garanzie per i cittadini, in ragione della presunta elusione della regola del concorso, l’Avvocatura generale osserva che la disposizione censurata è semmai volta ad evitare conseguenze pregiudizievoli nei riguardi delle finanze pubbliche e della collettività, che si verificherebbero qualora gli uffici delle Agenzie rimanessero privi di un responsabile.

Infine si rileva come, nelle more del presente giudizio, l’art. 8, comma 24, primo periodo, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, sia stato modificato dall’art. 1, comma 14, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 27 febbraio 2014, n. 15, che proroga al 31 dicembre 2014 il termine «per il completamento delle procedure concorsuali» e stabilisce che nelle more possono essere prorogati solo gli incarichi già attribuiti ai sensi del secondo periodo del medesimo comma 24 dell’art. 8 del d.l. n. 16 del 2012, come convertito. Secondo l’Avvocatura generale, la disposizione da ultimo richiamata non farebbe altro che confermare la volontà di garantire, da un lato, l’efficiente organizzazione degli uffici dell’Agenzia, e, dall’altro, la copertura delle vacanze organiche nel rispetto del principio generale del pubblico concorso.

6.− Nel giudizio innanzi alla Corte, con atto depositato il 4 marzo 2014, si è costituita Dirpubblica − Federazione del Pubblico Impiego, parte nel procedimento a quo, chiedendo, in primo luogo, l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 Cost. A tal fine, richiamati adesivamente gli argomenti del rimettente, la parte ricorda come la giurisprudenza consideri illegittimo, distinguendolo dalla reggenza, lo svolgimento di mansioni dirigenziali da parte di un funzionario, al fine di porre in evidenza che la norma censurata avrebbe fatto “salva”, perpetuandola, una prassi contra legem, impedendo la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti attraverso procedure concorsuali.

In secondo luogo, Dirpubblica chiede che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale in via consequenziale dell’art. 1, comma 14, del d.l. n. 150 del 2013, come convertito, entrato in vigore nelle more del presente giudizio di costituzionalità, in relazione agli artt. 3, 51 e 97 Cost. Assume, in proposito, che tale disposizione incorrerebbe nelle medesime censure già evidenziate con riguardo all’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, in quanto proroga di un anno il termine per il completamento di procedure concorsuali – per altro, a far data dall’entrata in vigore del richiamato d.l. n. 150 del 2013, non ancora avviate – e, nel frattempo, consente di prorogare o modificare gli incarichi dirigenziali già attribuiti ai sensi dell’art. 8, comma 24, secondo periodo, del d.l. n. 16 del 2012.

In terzo luogo, eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 14, del d.l. n. 150 del 2013, come convertito, anche per violazione degli artt. 3, 24, 97, 101, 111, 113 e 117 Cost., nonché dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (CEDU), ritenendo che la disposizione sarebbe stata adottata al fine di risolvere ex auctoritate legis una controversia pendente dinnanzi al giudice amministrativo, con ciò pregiudicando il principio di parità delle armi e il diritto di difesa e incidendo sull’esercizio della funzione giurisdizionale.

Infine, chiede che la Corte costituzionale sollevi di fronte a se stessa questione di legittimità costituzionale della legge n. 15 del 2014, nella parte in cui ha modificato l’art. 1, comma 14, del d.l. n. 150 del 2013, in riferimento agli artt. 64, primo comma, e 81, terzo comma, Cost., allegando che nel procedimento di conversione sarebbero stati violati gli artt. 40, comma 2, e 102-bis, comma 1, del Regolamento del Senato della Repubblica.

7.− Con atto depositato in data 3 marzo 2014, è intervenuto in giudizio il Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori), chiedendo, in adesione alle argomentazioni del rimettente Consiglio di Stato, l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale.

In ordine all’ammissibilità del proprio intervento, osserva che l’Associazione, per espressa previsione statutaria, «[t]utela il diritto alla trasparenza, alla corretta gestione e al buon andamento delle pubbliche amministrazioni». Rileva, inoltre, di aver spiegato intervento ad opponendum nel giudizio a quo, notificato in data 18 febbraio 2014 e depositato in data 20 febbraio 2014.

8.− Nell’imminenza dell’udienza pubblica, in data 3 febbraio 2015, ha depositato ulteriore memoria l’Avvocatura generale dello Stato. Oltre a ribadire le argomentazioni già illustrate, eccepisce l’inammissibilità delle censure sollevate da Dirpubblica sull’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, in relazione a tutti i parametri non evocati nell’ordinanza di rimessione.

9.− Dirpubblica, in data 3 febbraio 2015, ha depositato a sua volta una memoria in cui, dopo aver illustrato le vicende successive alla proposizione della questione di costituzionalità, ribadisce la richiesta di accoglimento della questione sollevata e di estensione della dichiarazione d’incostituzionalità, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), all’art. 1, comma 14, del d.l. n. 150 del 2013, come convertito, sia in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 Cost., già evocati nella memoria depositata in data 4 marzo 2014, sia in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 101, 111, 113 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione alla norma interposta di cui all’art. 6, paragrafo 1, della CEDU.

Chiede, inoltre, che la dichiarazione di illegittimità costituzionale consequenziale sia estesa, per gli stessi motivi, all’art. 1, comma 8, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative).

10.− In data 2 febbraio 2015, ha depositato memoria il Codacons, insistendo sia per la propria legittimazione ad intervenire in giudizio, sia per l’accoglimento della questione.

Considerato in diritto

1.− Il Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, questione di legittimità dell’art. 8, comma 24, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44.

La disposizione censurata, in relazione alla «esigenza urgente e inderogabile di assicurare la funzionalità» delle strutture delle Agenzie delle dogane, delle entrate e del territorio, e per «garantire una efficace attuazione delle misure di contrasto all’evasione» contenute in altri commi dello stesso art. 8 del d.l. n.16 del 2012, come convertito, autorizza le Agenzie ricordate ad espletare procedure concorsuali, da completarsi entro il 31 dicembre 2013, per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti, attraverso il richiamo alla disciplina contenuta nell’art. 1, comma 530, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge finanziaria 2007), e nell’art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248.

In questo contesto, la disposizione censurata aggiunge una specifica previsione, che costituisce l’effettivo oggetto delle censure del giudice a quo, e che opera in due distinte direzioni: fa salvi, per il passato, gli incarichi dirigenziali già affidati dalle Agenzie in parola a propri funzionari, e consente, nelle more dell’espletamento delle procedure concorsuali prima richiamate, di attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari, mediante la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso. Questi incarichi sono attribuiti, afferma la disposizione censurata, con «apposita procedura selettiva», applicandosi l’art. 19, comma 1-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche). Dopo aver precisato che ai funzionari cui è conferito l’incarico compete lo stesso trattamento economico dei dirigenti, la disposizione in questione conclude che le Agenzie ricordate non potranno attribuire nuovi incarichi dirigenziali, secondo le modalità appena descritte e fatto salvo quanto previsto dall’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, dal momento della «assunzione dei vincitori delle procedure concorsuali di cui al presente comma».

1.1.− Il giudice a quo è investito, tra l’altro, dell’impugnazione di una sentenza di annullamento della delibera del Comitato di gestione dell’Agenzia delle entrate (n. 55 del 22 dicembre 2009), con la quale è stato modificato l’art. 24 del regolamento di amministrazione della stessa Agenzia. Tale ultima norma, regolando la «copertura provvisoria di posizioni dirigenziali», consente la stipulazione di contratti a termine con i funzionari interni, fino all’attuazione delle procedure di accesso alla dirigenza e comunque non oltre una scadenza che – al momento dell’impugnativa – era fissata al 31 dicembre 2010. Il giudice rimettente pone in evidenza come la norma censurata – entrata in vigore nelle more del giudizio principale – operi una trasposizione in legge di quanto stabilito nella disposizione regolamentare cui si riferisce l’impugnativa, e condizioni dunque l’esito del giudizio a quo, ponendosi «quale factum principis sopravvenuto», che determinerebbe una declaratoria di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione.

1.2.− Ad avviso del giudice a quo, consentendo l’attribuzione di incarichi a funzionari privi della relativa qualifica, l’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, aggirerebbe la regola costituzionale di accesso ai pubblici uffici mediante concorso, in violazione degli artt. 3 e 97 Cost. Viene, a tal proposito, richiamata la giurisprudenza costituzionale che riconosce nel concorso pubblico la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, quale procedura strumentale al canone di efficienza dell’amministrazione, ciò che, riguardo all’assegnazione di funzioni direttive, priverebbe di legittimazione arbitrarie preclusioni di accesso, riserve integrali di posti o forme di attribuzione automatica in favore del personale interno. La norma censurata, sempre secondo il giudice a quo, consentirebbe invece a funzionari, privi della relativa qualifica, di accedere, senza aver superato un pubblico concorso, ad un «ruolo» diverso nell’ambito della propria amministrazione.

L’elusione della regola del pubblico concorso determinerebbe anche un vulnus al principio del buon andamento, con conseguente ulteriore lesione, sotto questo diverso profilo, degli artt. 3 e 97 Cost. Ancora, la disposizione censurata violerebbe gli artt. 3 e 97, primo comma, Cost., in relazione ai principi di legalità, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, poiché, permettendo l’attribuzione di incarichi a funzionari privi della relativa qualifica, consentirebbe la preposizione ad uffici amministrativi di soggetti privi dei requisiti necessari, determinando una diminuzione delle garanzie dei cittadini che confidano in una amministrazione competente, imparziale ed efficiente.

Il rimettente prospetta, infine, una violazione degli artt. 3 e 51 Cost., poiché l’accesso a funzioni dirigenziali sarebbe consentito, in deroga al principio di uguaglianza, pur nell’assenza dei requisiti stabiliti dalla legge (e, in particolare, dall’art. 19 del citato d.lgs. n. 165 del 2011).

2.− In via preliminare, va ribadito quanto stabilito nell’ordinanza della quale è stata data lettura in udienza, allegata alla presente sentenza, in ordine all’inammissibilità dell’intervento del Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori) nel presente giudizio di legittimità costituzionale.

3.− La questione va esaminata entro i limiti del thema decidendum individuato dall’ordinanza di rimessione, dato che non possono essere prese in considerazione le censure svolte dalla parte del giudizio principale, con riferimento a parametri costituzionali ed a profili non evocati dal giudice a quo (ex plurimis, sentenze n. 211 e n. 198 del 2014, n. 275 del 2013, n. 310, n. 227 e n. 50 del 2010).

4.− La questione è fondata.

4.1.− Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, nessun dubbio può nutrirsi in ordine al fatto che il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di un’amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, e che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio. Anche il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporta «l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso» (sentenza n. 194 del 2002; ex plurimis, inoltre, sentenze n. 217 del 2012, n. 7 del 2011, n. 150 del 2010, n. 293 del 2009).

In apparenza, la disposizione impugnata non si pone in contrasto diretto con tali principi. Essa non conferisce in via definitiva incarichi dirigenziali a soggetti privi della relativa qualifica, bensì consente, in via asseritamente temporanea, l’assunzione di tali incarichi da parte di funzionari, in attesa del completamento delle procedure concorsuali.

Tuttavia, l’aggiramento della regola del concorso pubblico per l’accesso alle posizioni dirigenziali in parola si rivela, sia alla luce delle circostanze di fatto, precedenti e successive alla proposizione della questione di costituzionalità, nelle quali la disposizione impugnata si inserisce, sia all’esito di un più attento esame della fattispecie delineata dall’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012.

4.2.− Per colmare le carenze nell’organico dei propri dirigenti, l’Agenzia delle entrate ha, negli anni, fatto ampio ricorso ad un istituto previsto dall’art. 24 del proprio regolamento di amministrazione. Tale disposizione consente, «[p]er inderogabili esigenze di funzionamento dell’Agenzia», la copertura provvisoria delle eventuali vacanze verificatesi nelle posizioni dirigenziali, previo interpello e previa specifica valutazione dell’idoneità degli aspiranti, mediante la stipula di contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari, con l’attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti, «fino all’attuazione delle procedure di accesso alla dirigenza» e, comunque, fino ad un termine finale predeterminato. Questo termine finale è stato di volta in volta prorogato, a partire dal 2006, con apposite delibere del Comitato di gestione dell’Agenzia. Al momento della proposizione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, esso risultava fissato al 31 dicembre 2010. Successivamente alla proposizione della questione, il termine è stato prorogato altre due volte, da ultimo (con delibera n. 51 del 29 dicembre 2011) «al 31 maggio 2012».

Le reiterate delibere di proroga del termine finale hanno di fatto consentito, negli anni, di utilizzare uno strumento pensato per situazioni peculiari quale metodo ordinario per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti. Secondo la giurisprudenza, nell’ambito dell’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, l’illegittimità di questa modalità di copertura delle posizioni dirigenziali deriva dalla sua non riconducibilità, né al modello dell’affidamento di mansioni superiori a impiegati appartenenti ad un livello inferiore, né all’istituto della cosiddetta reggenza. Il primo modello, disciplinato dall’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, prevede l’affidamento al lavoratore di mansioni superiori, nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi prorogabili fino a dodici, qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti, ma è applicabile solo nell’ambito del sistema di classificazione del personale dei livelli, non già delle qualifiche, e in particolare non è applicabile (ed è illegittimo se applicato) laddove sia necessario il passaggio dalla qualifica di funzionario a quella di dirigente (sentenza di questa Corte n. 17 del 2014; nella giurisprudenza di legittimità, ex plurimis, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 12 aprile 2006, n. 8529, e 26 marzo 2010, n. 7342).

Invero, l’assegnazione di posizioni dirigenziali a un funzionario può avvenire solo ricorrendo al secondo modello, cioè all’istituto della reggenza, regolato in generale dall’art. 20 del d.P.R. 8 maggio 1987, n. 266 (Norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 26 marzo 1987 concernente il comparto del personale dipendente dai Ministeri). La reggenza si differenzia dal primo modello perché serve a colmare vacanze nell’ufficio determinate da cause imprevedibili, e viceversa si avvicina ad esso perché è possibile farvi ricorso a condizione che sia stato avviato il procedimento per la copertura del posto vacante, e nei limiti di tempo previsti per tale copertura. Straordinarietà e temporaneità sono perciò caratteristiche essenziali dell’istituto (ex plurimis, Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenze 22 febbraio 2010, n. 4063, 16 febbraio 2011, n. 3814, 14 maggio 2014, n. 10413). Ebbene, le reiterate proroghe del termine previsto dal regolamento di organizzazione dell’Agenzia delle entrate per l’espletamento del concorso per dirigenti e, conseguentemente, per l’attribuzione di funzioni dirigenziali mediante la stipula di contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari, con l’attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti, hanno indotto la giurisprudenza amministrativa (TAR Lazio, Roma, seconda sezione, sentenze 30 settembre 2011, n. 7636, e 1° agosto 2011, n. 6884) a ritenere carenti, nella fattispecie prevista dall’art. 24 del regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate, i due presupposti ricordati della straordinarietà e della temporaneità, a non configurarla come un’ipotesi di reggenza e quindi a considerarla in contrasto con la disciplina generale di cui agli artt. 19 e 52 del d.lgs. n. 165 del 2001.

In questo quadro normativo e giurisprudenziale, e nella relativa vicenda processuale, interviene il legislatore, attraverso la disposizione sospettata di illegittimità costituzionale.

La norma impugnata esordisce autorizzando le Agenzie delle entrate, del territorio e delle dogane ad espletare procedure concorsuali, da completarsi entro il 31 dicembre 2013, per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti, attraverso il richiamo alla disciplina contenuta nell’art. 1, comma 530, della l. n. 296 del 2006 e nell’art. 2, comma 2, secondo periodo, del d.l. n. 203 del 2005, come convertito. L’autorizzazione in parola è rafforzata attraverso un riferimento alla «esigenza urgente e inderogabile di assicurare la funzionalità» delle strutture delle Agenzie e alla necessità di garantire «una efficace attuazione delle misure di contrasto all’evasione» contenute in altri commi dello stesso art. 8 del d.l. n. 16 del 2012, come convertito.

In realtà, del tutto indipendentemente dalla norma impugnata, l’indizione di concorsi per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti è resa possibile da norme già vigenti, che lo stesso art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, si limita a richiamare senza aggiungervi nulla (si veda l’art. 2, comma 2, del d.l. n. 203 del 2005, come convertito). Inoltre, considerando le regole organizzative interne dell’Agenzia delle entrate e la possibilità di ricorrere all’istituto della delega, anche a funzionari, per l’adozione di atti a competenza dirigenziale − come affermato dalla giurisprudenza tributaria di legittimità sulla provenienza dell’atto dall’ufficio e sulla sua idoneità ad esprimerne all’esterno la volontà (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione tributaria civile, sentenze 9 gennaio 2014, n. 220; 10 luglio 2013, n. 17044; 10 agosto 2010, n. 18515; sezione sesta civile − T, 11 ottobre 25012, n. 17400) – la funzionalità delle Agenzie non è condizionata dalla validità degli incarichi dirigenziali previsti dalla disposizione censurata. Sicché l’obbiettivo reale della disposizione in esame è rivelato dal secondo periodo della norma in questione, ove, da un lato, si fanno salvi i contratti stipulati in passato tra le Agenzie e i propri funzionari, dall’altro si consente ulteriormente che, nelle more dell’espletamento delle procedure concorsuali, da completare entro il 31 dicembre 2013, le Agenzie attribuiscano incarichi dirigenziali a propri funzionari, mediante la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso.

Dopo la proposizione della questione di legittimità costituzionale, il termine originariamente fissato per il «completamento» delle procedure concorsuali viene prorogato due volte. Dapprima, l’art. 1, comma 14, primo periodo, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 27 febbraio 2014, n. 15, lo ha spostato al 31 dicembre 2014, purché le procedure fossero indette entro il 30 giugno 2014, con la precisazione che, nelle more, era possibile prorogare o modificare solo gli incarichi dirigenziali già attribuiti, non invece conferirne di nuovi. Successivamente, l’art. 1, comma 8, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), lo ha ulteriormente prorogato al 30 giugno 2015.

Benché il legislatore abbia esplicitamente precisato, in questi interventi di proroga, che non è consentito conferire nuovi incarichi a funzionari interni, è indubbio che gli interventi descritti abbiano aggravato gli aspetti lesivi della disposizione impugnata. In tal modo, infatti, il legislatore apparentemente ha riaffermato, da un lato, la temporaneità della disciplina, fissando nuovi termini per il completamento delle procedure concorsuali, ma, dall’altro, allontanando sempre di nuovo nel tempo la scadenza di questi, ha operato in stridente contraddizione con l’affermata temporaneità.

4.3.− La norma impugnata ha cura di esibire, quale caratteristica essenziale, la propria temporaneità: il ricorso alla descritta modalità di copertura delle posizioni dirigenziali vacanti sarebbe provvisorio, strettamente collegato all’indizione di regolari procedure concorsuali per l’accesso alla dirigenza, da completarsi entro un termine ben identificato, che la disposizione impugnata, in origine, fissava al 31 dicembre 2013.

Tuttavia, l’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, inserisce in tale costruzione un elemento d’incertezza, nella parte in cui stabilisce che, fatto salvo quanto disposto dall’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, le Agenzie interessate non potranno attribuire nuovi incarichi dirigenziali a propri funzionari «[a] seguito dell’assunzione dei vincitori delle procedure concorsuali di cui al presente comma». Questo significa che al termine, certo nell’an e nel quando, del completamento delle procedure concorsuali – nelle cui more è possibile attribuire incarichi dirigenziali con le modalità descritte – si affianca un diverso termine, certo nella sola attribuzione del diritto all’assunzione, ma incerto nel quando, perché tra il completamento delle procedure concorsuali (coincidente con l’approvazione delle graduatorie) e l’assunzione dei vincitori, può trascorrere, per i più diversi motivi, anche un notevole lasso di tempo.

È quindi lo stesso tenore testuale della disposizione impugnata a non escludere che, pur essendo concluse le operazioni concorsuali, le Agenzie interessate possano prorogare, per periodi ulteriori, gli incarichi dirigenziali già conferiti a propri funzionari, in caso di ritardata assunzione di uno o più vincitori. In questo senso, in contraddizione con l’affermata temporaneità, il termine finale fissato dalla disposizione impugnata finisce per non essere «certo, preciso e sicuro» (sentenza n. 102 del 2013).

Per questo, non è conferente il richiamo, effettuato dall’Avvocatura generale dello Stato, alla fattispecie normativa scrutinata con la sentenza di questa Corte n. 212 del 2012. In tale sentenza, l’infondatezza della questione derivava dalla circostanza per cui la norma di legge (regionale) impugnata consentiva, in assenza di personale con qualifica dirigenziale, che talune delle suddette funzioni potessero essere attribuite a funzionari della categoria più elevata non dirigenziale, fino all’espletamento dei relativi concorsi e, comunque, per non più di due anni. Come si vede, in quel caso il termine finale della copertura delle vacanze attraverso il conferimento d’incarichi non era ancorato ad un evento incerto nel quando come l’assunzione dei vincitori, ma era fissato perentoriamente.

Anche considerando il tenore letterale della norma impugnata, quindi, il carattere di temporaneità della soluzione da essa prevista, sul quale insiste l’Avvocatura generale dello Stato, tende a scolorire fin quasi ad annullarsi.

4.4.− Si aggiunga, per quanto necessario, che la regola del concorso non è certo soddisfatta dal rinvio che la stessa norma impugnata opera all’art. 19, comma 1-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001, nella parte in cui stabilisce che gli incarichi dirigenziali ai funzionari «sono attribuiti con apposita procedura selettiva». In realtà, la norma di rinvio si limita a prevedere che l’amministrazione renda conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti che si rendono disponibili nella dotazione organica e i criteri di scelta, stabilendo, altresì, che siano acquisite e valutate le disponibilità dei funzionari interni interessati. I contratti non sono dunque assegnati attraverso il ricorso ad una procedura aperta e pubblica, conformemente a quanto richiesto dagli artt. 3, 51 e 97 Cost. (sentenze n. 217 del 2012, n. 150 e n. 149 del 2010, n. 293 del 2009, n. 453 del 1990).

4.5.− In definitiva, l’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, ha contribuito all’indefinito protrarsi nel tempo di un’assegnazione asseritamente temporanea di mansioni superiori, senza provvedere alla copertura dei posti dirigenziali vacanti da parte dei vincitori di una procedura concorsuale aperta e pubblica. Per questo, ne va dichiarata l’illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 3, 51 e 97 Cost.

Posto che le ricordate proroghe di termini fanno corpo con la norma impugnata, producendo unitamente ad essa effetti lesivi, ed anzi aggravandoli, in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), la dichiarazione di illegittimità costituzionale va estesa all’art. 1, comma 14, del d.l. 30 dicembre 2013, n. 150, come convertito, e all’art. 1, comma 8, del d.l. 31 dicembre 2014, n. 192. E proprio perché tali disposizioni hanno carattere consequenziale e concorrono a integrare la disciplina impugnata, non vi sono ostacoli ad estendere ad esse la dichiarazione d’illegittimità costituzionale, pur trattandosi di disposizioni normative sopravvenute al giudizio a quo. Infatti, «l’apprezzamento di questa Corte, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, non presuppone la rilevanza delle norme ai fini della decisione propria del processo principale, ma cade invece sul rapporto con cui esse si concatenano nell’ordinamento, con riguardo agli effetti prodotti dalle sentenze dichiarative di illegittimità costituzionali» (sentenza n. 214 del 2010).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 24, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44;

2) dichiara, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 14, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 27 febbraio 2014, n. 15;

3) dichiara, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art 1, comma 8, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 2015.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Nicolò ZANON, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 17 marzo 2015.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Gabriella Paola MELATTI

Allegato:

Ordinanza letta all’udienza del 24 febbraio 2015

ORDINANZA

Rilevato che nel giudizio promosso dal Consiglio di Stato, sezione IV giurisdizionale, con ordinanza 26 novembre 2013 (reg. ord. n. 9 del 2014), è intervenuto, con atto depositato il 3 marzo 2014, il Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori);

che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, possono partecipare al giudizio in via incidentale di legittimità costituzionale le sole parti del giudizio principale e i terzi portatori di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura (tra le tante, ordinanza n. 240 del 2014, sentenza n. 162 del 2014 e relativa ordinanza letta all’udienza dell’8 aprile 2014, ordinanza n. 156 del 2013, ordinanza n. 150 del 2012 e relativa ordinanza letta all’udienza del 22 maggio 2012, sentenza n. 293 del 2011, sentenza n. 118 del 2011, sentenza n. 138 del 2010 e relativa ordinanza letta all’udienza del 23 marzo 2010);

che, in questo caso, i rapporti sostanziali dedotti in causa concernono profili attinenti alla posizione dei funzionari e dei dirigenti pubblici, i quali non hanno alcuna incidenza diretta sulla posizione giuridica del Codacons;

che, inoltre, i rapporti sostanziali dedotti in causa solo in via indiretta ed eventuale possono riguardare gli interessi della collettività indistinta dei consumatori, che il Codacons si propone di rappresentare (v. sentenza n. 420 del 1994 e relativa ordinanza letta all’udienza dell’8 novembre 1994);

che, infine, pur avendo il Codacons presentato, in data 20 febbraio 2014, richiesta di intervento nel giudizio principale, è inammissibile, nel giudizio costituzionale in via incidentale, l’intervento del soggetto che, nel giudizio a quo, si sia costituito soltanto dopo la sollevazione della questione di legittimità costituzionale (sentenza n. 223 del 2012, ordinanza n. 295 del 2008, sentenza n. 315 del 1992).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile, nel presente giudizio di costituzionalità, l’intervento del Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori).

F.to: Alessandro Criscuolo, Presidente


Modulo per richiesta rimborso spese – anno 2015

Nel rimborso delle spese ricadono i costi degli spostamenti, e quindi di treni, automobili ed aerei, nonché dei mezzi pubblici. Vi sono inoltre i costi di vitto e alloggio, effettuati in strutture di ristorazione ed alberghiere.

E’ importante, al fine di ottenere il dovuto rimborso delle spese di viaggio, di tenere nota accurata di ogni spesa, redigendone una opportuna nota spese, con i seguenti dati:

  • data in cui la spesa è effettuata
  • luogo in cui la spesa è effettuata
  • importo della spesa effettuata
  • documentazione allegata comprovante l’importo (fattura o ricevuta)

Tale nota spese sarà poi consegnata/inviata all’Unità Operativa Vicolo Quasimodo 34 – 35020 Albignasego PD.

I costi chilometrici per utilizzo di mezzi di trasporto di proprietà

Tariffe ACI e trasferte nel comune

Nella realtà è frequente rilevare l’erogazione e la contabilizzazione di rimborsi chilometrici per l’utilizzo da parte di dipendenti e parasubordinati di mezzi di trasporto propri per conto e nell’interesse delle imprese in cui operano.

Il relativo costo viene determinato in base alle percorrenze e prendendo come riferimento le tariffe ACI che sono determinate in base ai seguenti parametri:

• categoria del veicolo utilizzato (autovettura, motociclo, ciclomotore, fuoristrada, autofurgone);

• elenco delle marche automobilistiche;

• tipo di alimentazione (es. benzina, gasolio, ecc.);

• periodo di utilizzo del veicolo.

In linea generale l’utilizzo da parte di dipendenti e parasubordinati di veicoli propri genera in loro favore il diritto al riconoscimento di un’indennità chilometrica a titolo di rimborso spese.

La stessa viene calcolata in base ai seguenti due elementi:

percorrenza effettuata per conto dell’impresa, determinata in chilometri;

costo chilometrico oggettivamente attribuibile al tipo di mezzo utilizzato.

Va preliminarmente precisato che se viene riconosciuto un costo superiore rispetto a quello effettivo per l’impiego di autoveicoli personali del dipendente o parasubordinato, il maggiore importo rispetto alla tariffa ACI genera un fringe benefit che deve venire computato fra gli emolumenti imponibili delle retribuzioni o dei corrispettivi, sia ai fini fiscali che previdenziali. È parimenti considerato fringe benefit il corrispettivo erogato che non risulti analiticamente giustificato in base alla percorrenza effettiva del mezzo per finalità aziendali.

L’utilizzo dell’auto del dipendente o parasubordinato può riguardare trasferte:

• poste in essere nel territorio del comune sede di lavoro;

• relative a tragitti fatti al di fuori del comune sede di lavoro.

Trasferte nel comune

In linea generale l’indennità chilometrica corrisposta per trasferte nel comune sede di lavoro costituisce sempre un emolumento imponibile ai fini IRPEF e per il calcolo dei contributi previdenziali.

Invece l’indennità chilometrica corrisposta per trasferte fatte con utilizzo di autovetture del dipendente e parasubordinato è considerata un rimborso spese e non va assoggettata a ritenute previdenziali e fiscali quando il relativo ammontare non supera il limite determinato dalla Tariffa ACI con riferimento al veicolo usato.

In ogni caso l’indennità in esame deve risultare esposta nel Libro Unico del lavoro, e deve venire documentata con un prospetto analitico predisposto e sottoscritto dal soggetto utilizzatore.

Scarica il modulo: Prospetto rimborso spese 2015


Incontro con l’On. Coppola Paolo

L’incontro svoltosi a Udine il 23 marzo 2015 con l’On. Coppola è stato improntato sulla problematica relativa al procedimento notificatorio che fa seguito al nostro impegno per la definizione normativa del “Testo Unico delle Notifiche”.

All’incontro erano presenti il Presidente Nazionale Pietro Tacchini e il membro della Giunta Esecutiva A.N.N.A. Sig. Durì Francesco.

Si sono analizzati vari problemi che affliggono i Messi Comunali in particolare ribadendo la necessità di una normativa più chiara e un diverso inquadramento del Messo Comunale, oggi l’unico che se sbaglia la redazione di una notifica ne risponde patrimonialmente.

All’On. Coppola è stato dato un promemoria con alcune proposte a cui seguirà una relazione più ampia della semplificazione delle norme che regolano attualmente il procedimento notificatorio.

Promemoria:

Proposta del 23 03 2015

Lettera del 08 04 2015

Proposta del 16 05 2015


È trattamento illecito di dati personali pubblicare on line informazioni non previste dagli obblighi di trasparenza

TAR1Interessante sentenza quella depositata dalla Terza Sezione del TAR Lombardia che ha rigettato per difetto di giurisdizione il ricorso proposto contro la deliberazione del Consiglio di Amministrazione di un Ente Ospedaliero di approvazione dell’aggiornamento annuale 2014 del Programma Triennale per la Trasparenza e L’integrità 2013-2015, nella parte in cui prevede la pubblicazione dei dati relativi ai compensi percepiti per l’attività libero professionale intramuraria, chiedendo la disapplicazione della delibera n. 50 del 2013 della Civit, rubricata “linee guida per l’aggiornamento del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità 2014-2016”.

Oggetto di contestazione è la deliberazione dell’ente ospedaliero che attua gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni previsti dal D. Lgs. 14 marzo 2013, n. 33.

In attuazione di tale legge e di quelle precedenti la Delibera n. 50/2013 dell’ANAC, detta le “Linee guida per l’aggiornamento del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità 2014-2016”, contenenti le principali indicazioni per l’aggiornamento del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità e per il suo coordinamento con il Piano di prevenzione della corruzione previsto dalla legge n. 190/2012, per il controllo e il monitoraggio sull’elaborazione e sull’attuazione del Programma.

La legge e le linee guida prevedono, nella parte che ci interessa, la pubblicazione di una serie di dati personali relativi ai lavoratori del settore pubblico, che altrimenti sarebbero sottratti alla conoscenza pubblica.

Tali obblighi di trasparenza svolgono una funzione fondamentale nella prevenzione e repressione della corruzione e dell’illegalità nella Pubblica Amministrazione e comportano il trattamento dei dati personali dei cittadini.

Ai sensi dell’art. 1 del Dlgs. 196/2003 chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano, chiarendo quindi che il corretto trattamento dei dati personali costituisce oggetto di un vero e proprio diritto soggettivo.

Sulla base di tali premesse il giudice amministrativo ha ritenuto che la denunciata previsione di pubblicazione di dati personali, nel caso in questione a contenuto economico, al di fuori dei limiti stabiliti dalla legge, lede un diritto soggettivo in quanto costituisce un illecito trattamento dei dati personali.

Ne consegue, ad avviso del TAR, che nei confronti degli atti impugnati sussiste la giurisdizione del giudice ordinario.

Infatti la giurisprudenza ha affermato (Cassazione SS. UU., n. 1139 del 19 gennaio 2007) che: “la giurisdizione si determina sulla base della domanda e, ai fini del riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il petitum sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti sono manifestazione.”


Percorso formativo di base – Comune di Cento (FE) – 25-26 marzo 2015

Locandina Cento 2015PERCORSO FORMATIVO DI BASE

Mercoledì 25 marzo 2015

Giovedì 26 marzo 2015

Comune di Cento

Sede Municipale

 Via Provenzali 15

Orario:  9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00

9:00 – 13:00

Percorso formativo di base in house richiesto dal Comune di Cento (FE)

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

Docente:

Asirelli Corrado 4Asirelli Corrado

  • Resp. Messi Comunali del Comune di Cesena (FC)
  • Membro della Giunta Esecutiva  di A.N.N.A.
  • Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

· Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

· Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti né dimoranti né domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • “Legge di Stabilità” 2013 (L. 228/2012)
  • Art. 149 bis c.p.c.

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • · La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy
  • · Il diritto “all’oblio”

Risposte a quesiti

 Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Vedi: Attività di formazione anno 2015


Comunicazioni a mezzo PEC – TAR Toscana – legittimità utilizzo della PEC

Il Tribunale amministrativo della Toscana ha recentemente ribadito la legittimità dell’esclusivo utilizzo della Pec nelle comunicazioni ufficiali da parte degli enti pubblici. È questo quanto affermato dai giudici amministrativi con la sentenza n. 272 del 16 febbraio 2015.

I fatti

Nel caso specifico, a essere coinvolto era il Comune di Firenze che aveva comunicato al ricorrente – esclusivamente tramite posta elettronica certificata, e non anche per posta o consegna a mano – l’avvio del procedimento riguardante la decadenza di alcune concessioni di cui quest’ultimo era titolare.

L’imprenditore ricorrente, il quale ammetteva di avere una scarsa dimestichezza con lo strumento della Pec (circostanza che avrebbe cagionato il ritardo nell’apprendere la notizia comunicata dal Comune), sosteneva che agendo in questo modo l’amministrazione non avrebbe ottemperato ai principi di buon andamento, trasparenza e leale collaborazione, perpetrando inoltre una disparità di trattamento rispetto ad altri casi nei quali l’avvio del procedimento era stato comunicato nelle forme “tradizionali”. Secondo il tribunale toscano, invece, la comunicazione via Pec effettuata dal Comune di Firenze è perfettamente in linea con quanto disposto dagli articoli 5-bis e 48 del Codice dell’amministrazione digitale, dal Dpcm 22 luglio 2011 nonché dall’articolo 5 del decreto legge n. 179 del 2012.

Le osservazioni del giudice amministrativo

In particolare, in base all’articolo 5-bis la presentazione di istanze, dichiarazioni e dati, lo scambio di informazioni e documenti, anche a fini statistici tra imprese e pubbliche amministrazioni, nonché l’adozione e la comunicazione di atti e provvedimenti amministrativi da parte delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese devono seguire esclusivamente le modalità offerte dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Secondo quanto disposto dall’articolo 48 del Codice dell’amministrazione digitale, invece, le comunicazioni per le quali è necessaria una ricevuta d’invio e una di consegna vengono trasmesse tramite posta elettronica certificata e tale trasmissione equivale alla notificazione per mezzo posta, salvo diverse disposizioni di legge.

L’amministrazione, quindi, può, ma non ha il dovere di inviare le comunicazioni anche per le vie tradizionali, a maggior ragione nel caso in cui gli imprenditori abbiano comunicato ufficialmente il loro indirizzo Pec, e quindi il vizio di disparità di trattamento ravvisato dal ricorrente secondo il Tar non sussiste.

Il tribunale amministrativo regionale, inoltre, ha fatto riferimento anche all’articolo 6, comma 3, del Dpr 11 febbraio 2005, n. 68, secondo il quale il mittente della Pec riceve prova del recepimento del messaggio di posta elettronica certificata inviato mediante la ricevuta di avvenuta consegna, e non è quindi tenuto a preoccuparsi di diffondere diversamente la comunicazione, ma è al contrario dovere del titolare di una casella Pec verificare con solerzia la posta ricevuta.


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 27/01/2015) 11/03/2015, n. 4862

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4884/2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata, in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 30/2009 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI, depositata il 27/01/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/01/2015 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GAROFOLI che ha chiesto l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità e in subordine l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo
1. Alla signora C.C. veniva notificata dall’Ufficio di Aversa dell’Agenzia delle Entrate una cartella di pagamento, con la quale l’Ufficio recuperava a tassazione, per l’anno 2003, la maggiore l’IVA dovuta a seguito del controllo automatizzato della relativa dichiarazione, D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 54 bis.

2. L’atto impositivo veniva impugnato dalla contribuente dinanzi alla CTP di Caserta, che accoglieva il ricorso.

3. L’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate veniva disatteso dalla CTR della Campania con sentenza n. 30/15/2009, depositata il 27.1.2009, con la quale il giudice di seconde cure riteneva improponibile l’appello dell’Ufficio, per non essere stato il medesimo parte del giudizio di prime cure.

4. Per la cassazione della sentenza n. 30/15/2009 ha proposto, quindi, ricorso l’Agenzia delle Entrate affidato ad un solo motivo.

l’intimata non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10, e art. 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.1. Si duole l’Amministrazione ricorrente del fatto cha la CTR abbia dichiarato inammissibile l’appello proposto dall’Ufficio, per non essere stato il medesimo parte nel processo di prime cure, non essendosi costituito dinanzi alla Commissione Tributaria di prima istanza.

1.2. Il motivo è fondato.

1.2.1. Ed invero, il fatto che la sentenza di primo grado sia stata resa nei confronti dell’Ufficio di Caserta dell’Agenzia delle Entrate e che l’appello sia stato proposto dall’Ufficio di Aversa, non comporta l’inammissibilità dell’appello. E ciò, sia per il carattere unitario dell’Agenzia delle Entrate, sia per il principio di effettività della tutela giurisdizionale che impone di ridurre al massimo le ipotesi d’inammissibilità, sia per la natura impugnatoria del processo tributario, che attribuisce la qualità di parte all’organo (e non alle singole articolazioni organizzative) che ha emesso l’atto o il provvedimento impugnato (Cass. 29465/2008;

15718/2009; 3727/2010).

1.2.2. Nè può dubitarsi del fatto che la parte contumace nel processo tributario di primo grado possa legittimamente proporre appello, come si evince dal combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 3, e art. 327 c.p.c. (Cass. 11991/2006).

1.3. Il mezzo va, di conseguenza, accolto.

2. L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione dell’impugnata sentenza, con rinvio ad altra sezione della CTR della Campania, che dovrà procedere all’esame del merito della controversia, attenendosi ai seguenti principi di diritto: “l’appello proposto da un Ufficio dell’Agenzia delle Entrate diverso da quello nei cui confronti è stata emessa la sentenza di primo grado è ammissibile, sia per il carattere unitario dell’Agenzia delle Entrate, sia per il principio di effettività della tutela giurisdizionale che impone di ridurre ai massimo le ipotesi d’inammissibilità, sia per la natura impugnatoria del processo tributario, che attribuisce la qualità di parte all’organo (e non alle singole articolazioni organizzative) che ha emesso l’atto o il provvedimento impugnato “; “la parte contumace nel processo tributano di primo grado può legittimamente proporre appello, come si evince dal combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 3, e art. 327 c.p.c.”.

3. Il giudice del rinvio provvederà, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;

accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Tributaria, il 27 gennaio 2015.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2015