Corso formazione/aggiornamento Alba Adriatica (TE) – 10.04.2014

LA NOTIFICA ON LINE

Giovedì 10 aprile 2014

Comune di Alba Adriatica

Sala Conferenze – Sede distaccata

Via Andrea Bafile 73

Orari:  9:00 – 13:00   14:00 – 17:00

Con il patrocinio del Comune di Alba Adriatica TE

  • Quote di partecipazione al corso:

    € 132,00(*) (**) se il partecipante al Corso è già socio A.N.N.A. (persona fisica già iscritta all’Associazione alla data del 31.12.2013 con rinnovo anno 2014 già pagato al 31.12.2013. Tale requisito attiene esclusivamente alle persone fisiche. L’iscrizione ad ANNA del solo ente di appartenenza non soddisfa tale condizione per i propri dipendenti.
    € 202,00(*) (**) (***) se il partecipante NON è ancora socio A.N.N.A ma intende iscriversi per l’anno 2014 pagando la quota insieme a quella del Corso. Tra i servizi che l’Associazione offre ai propri Iscritti vi è anche l’accesso all’area riservata del sito www.annamessi.it ed un’assicurazione per colpa grave.
    € 272,00 più I.V.A se dovuta (*) (**), per chi vuole frequentare solo il Corso (NON è iscritto ad A.N.N.A. e NON vuole iscriversi).

    La quota di iscrizione comprende: accesso in sala, colazione di lavoro e materiale didattico.

    Le quote d’iscrizione dovranno essere pagate, al netto delle spese bancarie e/o postali,   comprensive  dell’imposta di bollo di € 2,00, tramite:

    Versamento in Banca sul Conto Corrente Bancario:

  • Codice IBAN: IT 20 J 07601 12100 000055115356 [Banco Posta di Poste Italiane]
  • Versamento in Posta sul Conto Corrente Postale n. 55115356
  • Versamento per contanti presso la Segreteria del Corso

Intestazione : Associazione Nazionale Notifiche Atti
Causale: Corso Alba 2014 o numero fattura
(*) Se la fattura è intestata ad un Ente Pubblico la quota è esente da IVA ai sensi ai sensi dell’Art.10 DPR n. 633/1972 così come dispone l’art. 14, comma 10 legge 537 del 24/12/1993 – comprensivo di  € 2,00 (Marca da Bollo)

(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento.
(***) Se il corso si effettua negli ultimi 3 mesi dell’anno la eventuale quota di iscrizione all’Associazione A.N.N.A. deve intendersi versata per l’annualità successiva.

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione al corso potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo pagina cui dovrà seguire il versamento della quota di iscrizione al Corso.
I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

Docente:

Asirelli Corrado

  • Resp. Servizio Notifiche del Comune di Cesena (FC)
  • Membro della Giunta Esecutiva di A.N.N.A.
  • Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

 

Corso realizzato con il sistema Outdoor training

Programma:

Il Messo Comunale

  • Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: notifiche atti pervenuti tramite P.E.C.
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c. : notificazione nella resi- denza, dimora e domicilio

Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi

La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010

La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il do- miciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti né dimoranti né domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio scono- sciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale”

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 149 bis c.p.c. ed il Codice della Am ministrazione Digitale (D. Lgs 82 /2005)

La trasmissione di atti a mezzo posta elettronica

La PEC

La firma digitale

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Le novità introdotte dalla “Legge di Stabilità” 2013 (L. 228/2012)

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973

L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973

L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)

  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • Il D.P.R. 602/1973

L’Art 26 del D.P.R. 602/1973

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy
  • Il diritto “all’oblio”

Risposte a quesiti

 Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’iscrizione al corso dovrà essere effettuata inviando tramite fax o mail il modulo (link “Modulo di iscrizione …” a fondo pagina) a cui dovrà seguire il versamento della quota di partecipazione al Corso.

A richiesta, scritta, l’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne Comunale, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007 (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.).

Vedi: Attività di formazione anno 2014

Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE Alba Adriatica 2014

Vedi: Video della Giornata di Studio

Vedi:


8 marzo. Festa della donna

L’origine della Festa dell’8 Marzo risale al 1908, quando un gruppo di operaie di una industria tessile di New York scioperò come forma di protesta contro le terribili condizioni in cui si trovavano a lavorare.
Lo sciopero proseguì per diverse giornate ma fu proprio l’8 Marzo che la proprietà dell’azienda bloccò le uscite della fabbrica, impedendo alle operaie di uscire dalla stessa.
Un incendio ferì mortalmente 129 operaie, tra cui anche delle italiane, donne che cercavano semplicemente di migliorare la propria qualità del lavoro.
Tra di loro vi erano molte immigrate, tra cui anche delle donne italiane che, come le altre, cercavano di migliorare la loro condizione di vita. L’8 marzo assunse col tempo un’importanza mondiale, diventando il simbolo delle vessazioni che la donna ha dovuto subire nel corso dei secoli e il punto di partenza per il riscatto della propria dignità.
L’8 Marzo è quindi il ricordo di quella triste giornata.
Non è una “festa” ma piuttosto una ricorrenza che si ripropone ogni anno come segno indelebile di quanto accaduto il secolo scorso.


Autotutela, l’Agenzia delle Entrate può annullare l’avviso di liquidazione irregolare e rettificarlo

In materia di autotutela, la Corte di Cassazione ha precisato che l’Agenzia delle Entrate può annullare l’avviso di liquidazione irregolare (nella fattispecie privo di sottoscrizione da parte dell’ufficio)  ed emetterne un secondo rettificato.

Viene così respinto il ricorso con cui si rilevava l’illegittimità dell’avviso di liquidazione relativo all’imposta di registro; l’Ufficio aveva operato la reiterazione di tale avviso e ciò, stando al ricorrente, non era giustificato da elementi conosciuti o emersi successivamente.

L’Agenzia delle Entrate, ad avviso della Suprema Corte, in mancanza di una norma ostativa, può emanare nei termini di decadenza, nell’esercizio del potere di autotutela, atti sostitutivi di quelli precedenti, ancorché identici nel contenuto e con lo stesso numero di protocollo dell’atto sostituito.

Già in altre occasioni si è affermato che  è legittimo il comportamento dell’amministrazione finanziaria che annulli un avviso di accertamento, già notificato al contribuente e, nell’esercizio del potere generale di autotutela, diverso dal potere previsto dall’art. 43, comma terzo, del d.P.R. n. 600 del 1973, lo sostituisca con un nuovo avviso (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2531 del 22/02/2002, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19064 del 12/12/2003).

Né è preclusivo dell’intervento sostitutivo, aggiunge la Cassazione, la circostanza che il giudizio sul primo atto fosse ancora pendente

Leggi: Corte di Cassazione, sentenza 28 Febbraio 2014, n. 4823


Cons. Stato Sez. IV, Sent., (ud. 20-12-2013) 04-03-2014, n. 1024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5953 del 2011, proposto da:

M.S.M.T., rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Montano, con domicilio eletto presso Francesca Maria Esposito in Roma, piazza Prati degli Strozzi N.32;

contro

Comune di Lamezia Terme in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Mariannina Scaramuzzino, con domicilio eletto presso Bruna D’Amario in Roma, via Varrone, 9;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CALABRIA – CATANZARO :SEZIONE II n. 00590/2011, resa tra le parti, concernente approvazione progetto preliminare dei lavori di riqualificazione – decreto di esproprio

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Lamezia Terme;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 dicembre 2013 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati Mariannina Scaramuzzino;

Svolgimento del processo
Il Comune di Lamezia, nel 2006 approvava un progetto preliminare di lavori per la riqualificazione della piazza Romagna in fraz. Zangarona; l’1/3/2007 approvava il progetto definitivo dei lavori, contemplanti, tra l’altro la costruzione di un auditorium, previo esproprio di edifici fatiscenti.

Il progetto implicante dpu era impugnato dalla sig.ra T., proprietaria di immobili interessati dai lavori, dinanzi al TAR Calabria. L’amministrazione proseguiva nella sua azione e, in data 28/08/2009, emanava decreto di esproprio, prendendo possesso dell’immobile in data 18/11/2009. Quest’ultimi atti erano impugnati con motivi aggiunti.

Il TAR (per quanto in questa sede ancora rileva) ha respinto le censure relative all’approvazione del progetto (incompetenza del Comune; insufficienza della motivazione, irragionevolezza della localizzazione); ha dichiarato inammissibili in quanto tardive, quelle relative al decreto di esproprio.

Propone ora appello la sig.ra T..

I motivi aggiunti sarebbero tempestivi, poiché il Comune sapeva che la medesima era domiciliata presso altro indirizzo (ove aveva precedentemente notificato altri atti); in ogni caso il procedimento di notifica, condotto ex art. 140 c.p.c. non si sarebbe perfezionato in ragione di vizi relativi al secondo avviso ed alla compiuta giacenza.

Nel merito: il progetto e la dpu sarebbero illegittimi in quanto non preceduti da vincolo preordinato all’esproprio (l’opera non era prevista, quindi avrebbe dovuto procedersi in variante, ex art. 11 TU espropri); I termini indicati nella dpu sarebbero di due anni, al momento dell’inizio dell’espropriazione ampiamente scaduti; la localizzazione sarebbe altresì irragionevole.

Si è costituito il Comune di Lamezia Terme insistendo per la reiezione del gravame.

La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 20 dicembre 2013.

L’appello non è fondato per i motivi che seguono:

Motivi della decisione
Preliminare ed assorbente appare il motivo d’appello con il quale è dedotta erroneità della sentenza di prime cure nella parte in cui ha ritenuto tardiva l’impugnazione del decreto di esproprio n. 2 del 28/09/2009.

Il provvedimento sarebbe stato conosciuto solo a seguito di accesso agli atti in data 9/3/2010. La notifica effettuata da messo comunale in data 9/10/2009, in applicazione dell’art. 140 c.p.c.., non sarebbe valida, in quanto: a) la raccomandata sarebbe stata spedita all’indirizzo di residenza anagrafica e non al domicilio, ben conosciuto dall’amministrazione; b) la raccomandata spedita ex art. 140 c.p.c., a seguito della temporanea assenza constata in occasione dell’accesso del messo, non sarebbe stata mai consegnata, essendo stata restituita al mittente con la scritta “irreperibile”. La giurisprudenza avrebbe chiarito che ai fini della validità della notifica è invece necessaria la prova della ricezione della seconda raccomandata.

Il motivo non è fondato.

E’ pur vero che l’art. 140 c.p.c. è stato oggetto di una pronuncia della Corte Costituzionale (3/2010) che ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale nella parte in cui prevede che la notifica si perfeziona, per il destinatario, con la spedizione della raccomandata informativa, anziché con il ricevimento della stessa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione.

Tuttavia la pronuncia non giova all’appellante poiché nel caso di specie, dopo il vano tentativo del messo comunale, la raccomandata è stata spedita dal messo e recapitata dall’agente postale all’indirizzo del destinatario, anche se, neanche questa volta il destinatario era presente, sicchè la raccomandata è stata restituita al mittente.

Si vuol cioè dire che, ne caso di specie, non è in discussione il principio della spedizione, atteso che il ricorso sarebbe tardivo anche se si prendesse quale dies a quo della conoscenza quello successivo al decorso dei 10 gg dalla spedizione.

L’appellante è conscio di questa circostanza ed infatti focalizza le sue argomentazioni difensive sul valido decorso dei 10 gg ai fini della presunzione di legale conoscenza (che denomina, in realtà impropriamente “compiuta giacenza”), ritenendo che ove la raccomandata sia restituita immediatamente dall’agente postale al mittente, e non trattenuta in giacenza presso l’ufficio postale per almeno 10 gg. la presunzione di legge non scatti.

La tesi non può essere condivisa.

La Corte costituzionale, laddove ha ritenuto inidoneo ai fini della notifica il principio della spedizione, ha esteso la presunzione di legale conoscenza, prevista per le notifiche per posta ex art. art. 8 della L. n. 890 del 1982 e succ. mod. anche alla fase “postale” della notifica ex art. 140 c.p.c..

Il risultato è, nel caso di specie, che la notifica deve ritenersi perfezionata nei dieci giorni dalla spedizione della raccomandata. Null’altro.

Non può ulteriormente pretendersi che debba essere provata anche l’effettiva ricezione, né che debba essere riportata, sull’avviso di ricevimento della raccomandata non potuta recapitare per assenza del destinatario, anche la scritta “compiuta giacenza”, secondo un non ammissibile processo di tendenziale e totale equiparazione del disposto dell’art 140 c.p.c. a quello di cui art. 8 della L. n. 890 del 1982.

La scritta “compiuta giacenza” (e la sottostante giacenza presso l’ufficio postale) è piuttosto necessaria per gli atti giudiziari notificati a mezzo posta poiché in quel caso il plico contenente l’atto è detenuto dall’ufficio postale, ed al notificante è data notizia di una attività (quella di spedizione della “seconda” raccomandata) che è svolta dall’agente postale ed esula dalla sfera di conoscenza del primo.

Nel 140 c.p.c. invece la raccomandata è fatta dallo stesso ufficiale giudiziario o messo che ha tentato senza successo la consegna a mani. Egli ben sa quando ha spedito e quanto si deve conseguentemente ritenere prodotto l’effetto della presunta conoscenza ritenuto comunque applicabile dalla Corte Costituzionale.

Piuttosto, ai fini della presunzione legale di conoscenza, ed alla luce della ratio che ha ispirato la sentenza 3/2010 della Corte costituzionale è necessario avere prova (non già della consegna ma) del fatto che la raccomandata è effettivamente giunta al recapito del destinatario, e che non si sia invece smarrita o finita erroneamente presso altro recapito. E la prova è raggiunta a mezzo della produzione dell’avviso di ricevimento, sia esso sottoscritto dal destinatario (o persone abilitate) sia esso annotato dall’agente postale in ordine all’assenza di quest’ultimo.

Siffatta disciplina non è del resto irragionevole ove si consideri che a differenza delle notifiche a mezzo posta, il 140 c.p.c. contempla un primo tentativo di accesso da parte dell’ufficiale giudiziario (quindi non una semplice raccomandata) nonché il successivo deposito di copia nella casa comunale, ed avviso del deposito in busta chiusa e sigillata alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario.

Era invece irragionevole la coincidenza degli effetti della notifica con la semplice spedizione della raccomandata, ma a tale aporia ha posto rimedio la Corte costituzionale imponendo che la decorrenza degli effetti si abbia al momento del recapito della raccomandata o comunque decorsi 10 giorni dalla spedizione. La previsione di tale ultima presunzione è stata in particolare giustificata, nel ragionamento della Corte, nel bilanciamento tra le esigenze di certezza nella individuazione della data di perfezionamento del procedimento notificatorio, di celerità nel completamento del relativo iter e di effettività delle garanzie di difesa e di contraddittorio, nei termini già operati dall’art. 8 della L. n. 890 del 1982.

Tornando al caso in esame, la raccomandata è stata spedita dal messo comunale in data 9/10/2009 e restituita dall’agente postale per constatata assenza del destinatario, indi la notifica si è perfezionata, per il destinatario il 29/10/2009, decorsi 10 giorni dalla spedizione.

I motivi aggiunti sono stati notificati il 2 aprile 2010, ictu oculi dopo lo scadere del termine decadenziale.

Prive di pregio, in proposito, sono le ulteriori considerazioni circa la divergenza fra il domicilio (asseritamente conosciuto dall’amministrazione) e la residenza anagrafica.

L’amministrazione ha dimostrato, non solo che la residenza è stata storicamente sempre la medesima, ma anche che il diverso indirizzo indicato dall’appellante quale effettivo domicilio, è stato in passato utilizzato per la notifica di precedenti atti amministrativi dello stesso procedimento, con identici esiti di irreperibilità.

La tardività del gravame avverso il decreto di esproprio, rende privo di reale interesse il vaglio dei motivi concernenti gli atti pregressi, atteso che, anche ove di addivenisse ad una pronuncia caducatoria della dpu, essa non sarebbe idonea a determinare una caducazione automatica dell’esproprio non tempestivamente impugnato.

In ogni caso, il Collegio ritiene che le statuizioni di prime cure, meritino condivisione anche in relazione all’accertata legittimità degli atti pregressi, in punto di competenza del Comune e di localizzazione dell’opera. Sul punto è sufficiente limitarsi a richiamare quanto già affermato dal Giudice di prime cure, non senza rilevare che il motivo d’appello ruotante sull’assenza di una valido vincolo preordinato all’esproprio, sia in gran parte nuovo rispetto a quanto stringatamente e non del tutto perspicuamente dedotto in sede di ricorso introduttivo.

In conclusione, l’appello è respinto.

Avuto riguardo alla peculiarità delle questioni trattate, le spese possono essere compensate.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2013 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Raffaele Greco, Consigliere

Raffaele Potenza, Consigliere

Andrea Migliozzi, Consigliere

Giulio Veltri, Consigliere, Estensore


Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 09-01-2014) 28-02-2014, n. 4823

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. CHINDEMI Domenico – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6212-2008 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA VIA APPIA NUOVA 96, presso lo studio GABBANI e dell’avvocato D’AMICO ROBERTO, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine;

– ricorrente –

CONTRO

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 619/2006 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di LATINA, depositata il 30/01/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/01/2014 dal Consigliere Dott. DOMENICO CHINDEMI;

udito per il controricorrente l’Avvocato GALLUZZO che si riporta;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

La Commissione tributaria regionale del Lazio, con sentenza n. 619/39/06, depositata il 30.1.2007, in riforma della sentenza della Commissione tributaria provinciale di Latina n. 63/08/2004, dichiarava la legittimità dell’avviso di liquidazione, relativo all’imposta di registro, a seguito della sentenza della commissione tributaria provinciale di Latina 97/08/99, passata in giudicato, ritenendo possibile la rinnovazione, nei termini di decadenza, del precedente atto di liquidazione affetto da vizi (mancanza di sottoscrizione da parte dell’ufficio), ancorché identico nel contenuto recante lo stesso numero di protocollo. Proponeva ricorso per cassazione C.M. deducendo i seguenti motivi:

a)      errata applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art.43 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 rilevando l’illegittimità del secondo avviso di liquidazione, non giustificato da elementi conosciuti o emersi successivamente, ma emesso solo per correggere a posteriori il vizio formale del difetto di sottoscrizione del precedente avviso di liquidazione;

b)      errata applicazione della L. n. 413 del 1991, art. 53 e 57 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, rilevando l’illegittimità dell’avviso di liquidazione riferita a un periodo oggetto di condono ex L. n. 413 del 1991.

L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 9.1.2014, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

In relazione al primo motivo di ricorso va rilevato che l’ufficio ha provveduto a notificare, nel termine triennale, altro avviso di liquidazione completo di sottoscrizione, a rettifica del precedente avviso non sottoscritto.

Non è applicabile alla fattispecie del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3 che disciplina l’accertamento delle imposte sui redditi, trattandosi di imposta di registro.

L’Amministrazione, in mancanza di una norma ostativa, può emanare nei termini di decadenza, nell’esercizio del potere di autotutela, atti sostitutivi di quelli precedenti, ancorché identici nel contenuto e con lo stesso numero di protocollo dell’atto sostituito.

Questa Corte ha già rilevato che è legittimo il comportamento dell’amministrazione finanziaria che annulli un avviso di accertamento, già notificato al contribuente e, nell’esercizio del potere generale di autotutela, diverso dal potere previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3 lo sostituisca con un nuovo avviso (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2531 del 22/02/2002, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19064 del 12/12/2003).

Nè è preclusivo dell’intervento sostitutivo la circostanza che il giudizio sul primo atto fosse ancora pendente.

2.11 secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto censura la sentenza sotto il profilo dell’errata applicazione della L. n. 413 del 991, mentre il vizio avrebbe dovuto essere formulato quale violazione dell’art. 112 c.p.c. non essendosi la CTR pronunciata al riguardo.

Il motivo è comunque infondato in quanto la domanda di condono era inerente all’imposta Invim e non rileva ai fini dell’imposta di registro, solidalmente dovuta da tutti i contraenti.

Va, conseguentemente, rigettato il ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.000 per compensi professionali, oltre alle spese prenotate a debito.

 Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2014.

 Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2014


Inammissibile l’impugnazione presentata con raccomandata online

La spedizione dell’impugnazione mediante raccomandata inviata con il mezzo telematico attraverso il servizio internet di posta raccomandata “online”, non consentendo la trasmissione dell’atto scritto in originale, in quanto si sostanzia nell’inoltro di un testo o un’immagine in formato digitale che le poste provvedono successivamente a stampare e recapitare al destinatario, deve ritenersi inidonea a soddisfare i requisiti di forma prescritti, a pena di inammissibilità, per la proposizione e la spedizione dell’atto di impugnazione.

Leggi: Cassazione penale Sentenza, Sez. III, 17-02-2014, n. 7337-Inammissibile l’impugnazione presentata con raccomandata on line


Corso formazione Lecce – 6 marzo 2014

Giovedì 6 marzo 2014

Provincia di Lecce

Polizia Provinciale

Via Umberto I° 13

Lecce

Orario:  9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00

in Collaborazione con l’Amministrazione Provinciale di Lecce e la Società Vigeura s.r.l.

Lombardi Giuseppe

  • Resp. Servizio Notifiche del Comune di Alessandria
  • Membro del Consiglio Generale  di A.N.N.A.
  • Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

PROGRAMMA:

Il Messo Comunale

  • Obblighi e competenze e responsabilità
  • Qualifica soggettiva di pubblico ufficiale (art. 357, c.p.)

Il procedimento di notificazione:

  • Art. 137 c.p.c: il rispetto della privacy nel procedimento di notificazione
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Notificazione nella residenza, dimora e domicilio
  • L’art. 139 c.p.c. e criteri presenziali
  • Concetto di dimora, residenza e domicilio
  • Notifica a persone diverse dal destinatario (familiari, addetti alla casa o all’ufficio)
  • Notificazione in caso di irreperibilità o di rifiuto a ricevere la copia dell’atto (art. 140 c.p.c) e l’interpretazione della giurisprudenza: le novità alla luce della recente sentenza della Corte Costituzionale (gennaio 2010)
  • Notificazione presso il domiciliatario (art. 141 c.p.c)
  • Notificazione a persone non residenti né dimoranti né domiciliate nella repubblica (art. 142 c.p.c.)
  • Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti (art. 143 c.p.c.)
  • Notificazioni alle amministrazioni statali (art. 144 c.p.c.)
  • Notificazione alle persone giuridiche (art. 145 c.p.c) e novità introdotte dalla L. 263/2005 : analisi delle pronunce giurisprudenziali in tema di notificazione a persone giuridiche
  • Il ritiro degli atti presso la casa comunale (da parte di terzi e intestatari)

La notificazione a mezzo del servizio postale

  • Attività del messo e attività dell’ufficiale postale: ambito di applicazione della L. 890/1982 – Analisi delle diverse casistiche alla luce delle recenti pronunce giurisprudenziali
  • Le modifiche all’art. 149 c.p.c.
  • Il nuovo art. 149 bis c.p.c e la notificazione a mezzo posta elettronica
  • La notificazione delle violazioni al Codice della Strada: le novità introdotte dall’art. 36 della L. 120/2010 ” Disposizioni in materia di sicurezza stradale”
  • Soggetti – I nuovi termini per le notifiche – Validità delle notificazioni

EVOLUZIONE DELLA FIGURA DEL MESSO IN SENSO “DIGITALE”

La pubblicazione di atti e documenti all’albo on line

  • Le novità introdotte dall’art. 32 della L. 69/2009: la pubblicazione legale sul sito web a partire dal 1 gennaio 2011 – Aspetti problematici
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  • Risposte ai quesiti

Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne Provinciale, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore Provinciale previsto dalla legge finanziaria del 2007 (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)


Cassazione penale Sez. V, Sent., (ud. 16-10-2013) 21-02-2014, n. 8422

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. OLDI Paolo – Presidente –

Dott. LAPALORCIA Grazia – rel. Consigliere –

Dott. SABEONE Gerardo – Consigliere –

Dott. VESSICHELLI Maria – Consigliere –

Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.M. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 3553/2009 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 06/07/2012;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/10/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GRAZIA LAPALORCIA;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. G. Izzo, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo

1. T.M. ricorre avverso la sentenza della Corte d’Appello di Firenze in data 6-7-2012, che, confermando quella del Tribunale di Lucca del 2-12-2008, l’ha ritenuta responsabile del reato continuato di cui all’art. 476 c.p., per avere, in qualità di portalettere, contraffatto la firma del destinatario sugli avvisi di ricevimento di sei raccomandate dirette ad uno studio di commercialisti di Lucca.

2. Secondo la prospettazione accusatola condivisa dai giudici di merito anche sulla base di perizia grafologica, l’imputata, dovendo effettuare la consegna delle raccomandate in orario di chiusura dello studio, le aveva lasciate fuori dal portone apponendo essa stessa la firma per ricevimento del destinatario e restituendole al mittente, così evitando di tornare sul luogo per la seconda volta.

3.Tale conclusione, già fondata sul rilievo che le firme del portalettere e quelle del destinatario sugli avvisi di ricevimento apparivano opera della stessa mano, era confermata dall’esito della perizia, secondo la quale le sottoscrizioni apposte nello spazio degli avvisi di ricevimento riservato al destinatario erano riferibili alla T., la quale aveva pure riconosciuto come propria quella che figurava sotto l’indicazione “capo agenzia distributrice” sull’avviso di ricevimento terminante con le cifre …

241, avendo anche ammesso di essere stata lei quel giorno l’incaricata del recapito della posta.

4. Nel corso del giudizio di appello il perito, riconvocato, dichiarava che la parte iniziale della firma riconosciuta dall’imputata, era agevolmente comparabile con le sigle presenti su tutti gli altri avvisi e in particolare su quelli … 242 e … 243.

5. Il ricorso è articolato in tre motivi.

6. Con il primo si deduce omessa notifica del decreto di citazione all’imputata in violazione dell’art. 601 c.p.p., comma 1, e art. 157 c.p.p., comma 8 bis.

7. Con il secondo la ricorrente lamenta violazione di legge (art. 476 c.p., e art. 597 c.p.) e vizio di motivazione per mancato esame della questione sollevata con l’atto di appello relativa alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato: la corte del territorio, nel concludere che la condotta dell’imputata era ascrivibile alla sua scelta di non tornare per la seconda volta nello stesso posto, aveva ritenuto che il dolo fosse in re ipsa senza considerare la possibilità di una semplice leggerezza della T..

8. Il terzo motivo addebita alla sentenza vizio di motivazione in quanto il perito, che nella relazione aveva affermato che le sei sigle apposte nello spazio riservato al destinatario erano opera di una sola mano e precisamente di quella della T. sulla base del raffronto con firme e scritte autografe dell’imputata, sentito a chiarimenti nel giudizio di appello – avendo l’appellante osservato che era mancato il raffronto tra le firme del destinatario, quelle del capo agenzia distributrice e quelle sulla distinta di recapito del portalettere -, aveva confermato che le firme in contestazione erano della T., osservando che quella sull’avviso di ricevimento .. 241, nella zona riservata al capo agenzia distributrice, era stata riconosciuta come propria dall’imputata, trascurando che la paternità di tale firma non era in contestazione.

Allo stesso modo la corte fiorentina aveva motivato la non necessità di una nuova perizia relativamente alle firme del capo agenzia distributrice, che non erano in contestazione. Comunque, sempre secondo la ricorrente, la corte non aveva indicato le ragioni per le quali aveva ritenuto condivisibile la perizia.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e va disatteso.

2. Il dedotto vizio della notifica all’imputata del decreto di citazione per il giudizio di appello, integra una nullità che, ove sussistente (il che sembrerebbe smentito dal fatto che i due difensori di fiducia risultano aver ricevuto una doppia notifica, la seconda delle quali dopo che la T. era risultata irreperibile nel luogo di residenza, quindi, all’evidenza, per la stessa), è a regime intermedio e doveva essere dedotta dinanzi alla corte territoriale, il che non è avvenuto. Tale notifica non può infatti considerarsi inesistente e quindi equiparabile ad una notificazione omessa, dovendo piuttosto reputarsi idonea, in concreto, a determinare la conoscenza dell’atto da parte dell’imputata in quanto la notificazione presso il difensore, salvo che risultino elementi di fatto contrari, non è inidonea a determinare, in ragione del rapporto fiduciario, la conoscenza effettiva del procedimento da parte dell’imputato, e nella specie il difensore di fiducia, presente all’udienza, non aveva sollevato eccezioni (Cass. Sez. U 119/2004, Cass. 45990/2007, 23658/2008).

3. E’ poi infondato il secondo motivo che investe la sussistenza dell’elemento psicologico del reato. Ad escludere la possibilità di una semplice leggerezza dell’imputata, la corte ha infatti valorizzato l’intento della stessa di non tornare per la seconda volta presso lo studio di commercialisti trovato chiuso al momento della consegna delle raccomandate, idoneo a dimostrare coscienza e volontarietà di falsificare la firma del destinatario, non presente al primo accesso.

4. Del pari infondata la terza doglianza.

5. L’esame della questione dedotta deve muovere dal rilievo che, secondo quanto riconosciuto dalla stessa ricorrente, il perito grafologo aveva concluso nel senso che le sei sigle apposte nello spazio riservato al destinatario erano opera di una sola mano e precisamente, sulla base del raffronto delle prime con firme e scritture autografe dell’imputata, di quella della T.. Ciò è sufficiente a sorreggere l’affermazione di penale responsabilità avendo quest’ultima ammesso di essere stata lei quel giorno l’addetta alla consegna della posta e risultando che le raccomandate non erano state consegnate nello studio del commercialista, ma lasciate fuori dal portone dell’edificio.

6. Il mancato raffronto, lamentato dalla ricorrente che aveva per questo sollecitato l’esame a chiarimenti del perito nel giudizio di appello, tra le firme apparenti del destinatario, quelle del capo agenzia distributrice e quelle sulla distinta di recapito del portalettere, risulta superato dalla conferma da parte del perito stesso, in sede di audizione a chiarimenti, che le firme in contestazione erano della T., accompagnata dal rilievo, evidenziato in sentenza, che quella presente per esteso sull’avviso di ricevimento .. 241, nella zona riservata al capo agenzia distributrice, riconosciuta come propria dall’imputata, era nella sua parte iniziale agevolmente comparabile (o meglio compatibile) con le sigle presenti su tutti gli altri avvisi di ricevimento. Ciò non significa, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, che il perito abbia affermato che la firma riconosciuta fosse tra quelle sospette di falsità, ma vale piuttosto a rimarcare la superfluità del raffronto di cui sopra in quanto tale riconoscimento implica anche la definitiva ammissione della prevenuta di essere stata lei la portalettere incaricata quel giorno della consegna delle raccomandate con falsa firma del destinatario, recapitate tutte nello stesso luogo e nella stessa data lasciandole fuori dal portone, quindi da un’unica persona, da identificare nella T., unica interessata alla falsificazione.

7. Nè è esatto che la corte fiorentina abbia motivato la non necessità di una nuova perizia riferendosi alle firme del capo agenzia distributrice, che non erano in contestazione, avendo piuttosto ritenuto inutile, per le ragioni di cui sopra, il raffronto di esse con quelle del destinatario, attribuite dal perito all’imputata. Così come è infondato l’addebito mosso alla sentenza di mancata indicazione delle ragioni per le quali era stato condiviso l’esito della perizia, addebito non solo generico, ma che non tiene conto delle ulteriori risultanze, sopra evidenziate, che avvalorano le conclusioni del perito.

8. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alle spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2013.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2014


Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 04-02-2014) 21-02-2014, n. 8650

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AGRO’ Antonio – Presidente –

Dott. LANZA Luigi – rel. Consigliere –

Dott. LEO Guglielmo – Consigliere –

Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere –

Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

N.E., nato il giorno (OMISSIS);

avverso la sentenza 14 giugno 2013 della Corte di appello di Roma.

Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso.

Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza.

Sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale FRATICELLI Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso, nonché il difensore della parte civile avv. Greco Maurizio dell’Avvocatura di Stato, che ha chiesto l’inammissibilità o il rigetto dell’impugnazione, depositando conclusioni e nota spese, e sentito altresì il difensore del ricorrente avv. Luzi Giancarlo che ha chiesto l’accoglimento dell’impugnazione.

Svolgimento del processo

1. N.E. ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso la sentenza 14 giugno 2013 della Corte di appello di Roma che, in parziale riforma della sentenza 20 aprile 2012 del Tribunale di Roma, ha dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti per intervenuta prescrizione, confermando le statuizioni civili in favore del Ministero della Finanza.

2. Il Tribunale di Roma: ha condannato N.E. alla pena di anni 3 mesi 3 di reclusione perché responsabile del reato di cui all’art. 314 c.p. in quanto, avendo come impiegato di 5^ livello del Ministero della Finanza la disponibilità di un timbro del Ministero stesso, se ne appropriava, fatto accertato il 8-5-2001; ha condannato altresì l’imputato al risarcimento dei danni nei confronti del Ministero della Finanza costituito parte civile.

2.1. Il giudizio di responsabilità si è fondato sul verbale di sequestro del timbro all’interno dell’abitazione del prevenuto, sulla deposizione dei teste D.V., che in dibattimento riferiva di aver accertato presso il Ministero l’autenticità del timbro stesso, nonché sulla confessione resa dal N..

2.2 In conclusione, per la gravata sentenza, la condotta dell’imputato ha realizzato gli elementi oggettivi e soggettivi del reato di peculato, considerato che: egli era impiegato di 5^ livello, con mansioni di archivista presso la Direzione Generale del Ministero della Finanza (teste T.), per cui rivestiva il ruolo di incaricato di pubblico servizio; aveva l’immediata disponibilità del timbro per lo svolgimento del suo incarico amministrativo (è lui stesso a dichiarare che il timbro era sul suo tavolo di lavoro); si era appropriato dell’oggetto portandolo presso la sua abitazione.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è composto di due motivi.

1.1. Con un primo motivo viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge sul punto della mancata audizione del teste di riferimento del consegnatario del timbro, Sig. M., la cui audizione si sarebbe resa necessaria posto che, contrariamente all’assunto della gravata sentenza: a) risulta che il difensore del N. all’udienza del 20 aprile 2012 aveva chiesto l’esame del consegnatario; b) consta altresì che al detto consegnatario era stato esibito non il “timbro” ma la sua “impronta”; c) manca la prova che il “timbro fosse ancora in uso”, tanto non potendosi desumere dall’affermazione dell’imputato che aveva ammesso di averlo sottratto dal suo tavolo.

1.2. Con un secondo motivo si lamenta la ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del peculato, tenuto conto che nella specie trattavasi di timbro: non più in uso (oggetto di “antiquariato dicasteriale”); mai utilizzato dal detentore; di valore economico inconsistente anzi privo di alcun valore, senza concreta possibilità di utilizzo per la sua non attuale validità e che aveva pertanto perso il suo fisiologico vincolo di destinazione a finalità pubbliche.

2. Nessuno dei due motivi, tra loro correlati e da esaminarsi congiuntamente, risulta fondato.

2.1. Quanto alla prima censura, è noto che “prova decisiva”, la cui mancata assunzione è deducibile come motivo di ricorso per cassazione, è solo quella prova che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante (cfr. ex plurimis: cass. pen. sezione. 6, u.p. 12 maggio 2011, Cananzi ed altri).

2.2. Inoltre la valutazione di siffatta decisività va compiuta accertando se i fatti, indicati dal ricorrente nella relativa richiesta, siano tali da potere inficiare tutte le argomentazioni poste a fondamento del convincimento del Giudice (cfr. Cass. Sez. 1, 12584/1994 r.v. 200073) e risulta pertanto priva di fondamento la censura che denunzi il rigetto, sul punto, della istanza difensiva, se tale rigetto, come nella specie, risulta sorretto da argomentazioni logiche, idonee a dimostrare che le cosiddette controprove, dedotte dalla parte, non possono modificare il peso delle prove di accusa (cfr. Cass. pen. Sez. 3, 27581/2010 Rv. 248105; sez. 2, 16354/2006, rv.234752).

2.3. Nella vicenda la corte distrettuale – con una argomentazione in questa sede non censurabile per la sua linearità logica – ha sostenuto che non ricorreva la necessità di procedere a tale assunzione testimoniale in quanto l’imputato, innanzi ai P.M., aveva espressamente riconosciuto di aver sottratto il timbro dell’Amministrazione “che stava sul tavolo del suo ufficio”, circostanza questa che consentiva di apprezzare ad un tempo sia l’autenticità dello strumento, che l’attualità del suo utilizzo.

2.4. Quanto poi all’asserzione, contenuta nel gravame, e relativa alla esibizione al consegnatario dell’impronta e non dello strumento “timbro” trattasi di asserzione difensiva, avversata da contraria affermazione della Corte di appello, e non documentata in questa sede nel rispetto del canone dell’autosufficienza del ricorso.

2.5. L’accertamento dell’autenticità dello strumento, e della persistente attualità del suo utilizzo è inutilmente contrastata dal secondo motivo di doglianza, il quale peraltro non tiene conto, nè si misura in modo efficace, con gli assunti dei giudici di merito ai quali intende proporre un’alternativa realtà di un timbro non più in uso, nè mai utilizzato, privo di alcun valore, senza concreta possibilità di utilizzo per la sua non attuale validità e ormai privo del suo fisiologico vincolo di destinazione a finalità pubbliche.

2.6. L’argomentare difensivo in questione non è condivisibile considerato che, quand’anche vi fosse la prova (e ciò non risulta) che il timbro in questione non fosse più in uso (circostanza negata dal mero fatto della sua presenza sul tavolo del funzionario), tale dato temporale non invalida il valore economico-funzionale dello strumento stesso, il quale, per la sua provenienza è finalizzato a dare connotazione genetica ed ufficiale ad atti della P.A., garantendone il momento reale di formazione, soprattutto in caso di successione nel tempo di timbri di diversa configurazione e fattura.

2.7. In conclusione si è quindi ben lontani (vds: cass. pen. sez. 6, 42836/2013) Rv. 256686, Sgroi) da un’ipotesi di assenza di intrinseco rilievo economico dell’oggetto dell’appropriazione, ed anche di mancante reale incidenza di quest’ultima sulla funzionalità dell’ufficio o del servizio, apprezzata, per quest’ultima evenienza, la concreta possibilità di un illecito strumentale utilizzo.

3. Il ricorso pertanto risulta infondato, valutata la conformità del provvedimento alle norme stabilite, nonché apprezzata la tenuta logica e coerenza strutturale della giustificazione che è stata formulata, con conseguente condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali nonché di quelle sostenute dalla parte civile che si liquidano in Euro 1.200, 00 oltre i.v.a. e c.p.a..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè di quelle sostenute dalla parte civile che liquida in Euro 1.200, 00 oltre i.v.a. e c.p.a..

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2014.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2014


Il tempo impiegato dal lavoratore per indossare gli abiti da lavoro deve corrispondere una retribuzione aggiuntiva

La Corte Suprema di Cassazione, ha ribadito “in relazione alla regola fissata dal R.D.L. 5 marzo 1923, n. 692, art.  3 – secondo cui ” è considerato lavoro effettivo ogni lavoro che richieda un’occupazione assidua e continuativa”- il principio secondo cui tale disposizione non preclude che il tempo impiegato per indossare la divisa sia da considerarsi lavoro effettivo, e debba essere pertanto retribuito, ove tale operazione sia diretta dal datore di lavoro, il quale ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, ovvero si tratti di operazioni di carattere strettamente necessario ed obbligatorio per lo svolgimento dell’attività lavorativa.”

La Corte Suprema con sentenza n. 2387 del 07.02.2014 ha preso in esame il caso di un addetto alla lavorazione di gelati e surgelati, obbligato ad indossare una tuta,  scarpe antinfortunistiche copricapo e indumenti intimi fomiti dall’azienda, e a presentarsi al lavoro 15/20 minuti prima dell’inizio dell’orario di lavoro aziendale; solo dopo aver indossato tali abiti ed essere passato da un tornello con marcatura del badge poteva entrare nel luogo di lavoro accedendo al reparto dove una macchina bollatrice rilevava l’orario di ingresso. Tali operazioni si ripetevano al termine dell’orario di lavoro per dismettere gli indumenti indossati.

Il giudice dell’appello, riformando la sentenza del giudice di prime cure, ha riconosciuto il diritto del dipendente alla retribuzione per il tempo impiegato nelle operazioni di vestizione e svestizione, considerandone il carattere necessario e obbligatorio per l’espletamento dell’attività lavorativa, e lo svolgimento sotto la direzione del datore di lavoro. Una diversa regolamentazione di tale attività non poteva essere ravvisata, sul piano della disciplina collettiva, dal “silenzio” delle organizzazioni sindacali sul problema del “tempo tuta”, né da accordi aziendali intervenuti per la disciplina delle pause fisiologiche.

La sentenza impugnata ha determinato il tempo di tali attività, facendo ricorso a nozioni di comune esperienza, in dieci minuti per ognuna delle due operazioni giornaliere (vestizione e svestizione), commisurando quindi il compenso dovuto alla retribuzione oraria fissata dal contratto collettivo applicabile.

Avverso la decisione del giudice d’appello la società datrice di lavoro, premesso che la determinazione quantitativa della retribuzione risulta soprattutto dalla disciplina collettiva, trae argomenti dalle norme contrattuali in tema di durata e distribuzione dell’orario di lavoro e di riduzione dello stesso (correlata al godimento di riposi individuali) nonché dalla clausola del CCNL applicabile che, imponendo all’azienda di destinare un locale a spogliatoio, dispone che questo debba rimanere chiuso durante l’orario di lavoro; tale previsione escluderebbe che il tempo da destinare alla vestizione possa rientrare nella prestazione lavorativa.

Afferma inoltre la società che gli obblighi normativamente imposti al lavoratore (specie per il personale delle industrie alimentari) di indossare indumenti adeguati e se del caso protettivi, derivano dalla legge e non possono rientrare nell’ambito delle prerogative datoriali, gravando direttamente sul lavoratore; inoltre, che le operazioni in questione non erano predeterminate oggettivamente dal datore di lavoro, perché il personale poteva effettuarle in un arco temporale di massima ovviamente collocato in un momento precedente l’inizio dell’orario di lavoro, ma sulla base di scelte del tutto personali da parte dei dipendenti.

Non della stessa opinione i giudici di legittimità che precisano come “l’orientamento secondo cui per valutare se un certo periodo di servizio rientri o meno nella nozione di orario di lavoro, occorre stabilire se il lavoratore sia o meno obbligato ad essere fisicamente presente sul luogo di lavoro e ad essere a disposizione di quest’ultimo per poter fornire immediatamente la propria opera, consente di distinguere nel rapporto di lavoro una fase finale, che soddisfa direttamente l’interesse del datore di lavoro, ed una fase preparatoria, relativa a prestazioni od attività accessorie e strumentali, da eseguire nell’ambito della disciplina d’impresa (art. 2104 comma 2 cod.civ. ) ed autonomamente esigibili dal datore di lavoro, il quale ad esempio può rifiutare la prestazione finale in difetto di quella preparatoria. Di conseguenza al tempo impiegato dal lavoratore per indossare gli abiti da lavoro (tempo estraneo a quello destinato alla prestazione lavorativa finale) deve corrispondere una retribuzione aggiuntiva.”

Il giudice dell’appello si è attenuto a questi principi, avendo accertato che le operazioni di vestizione e svestizione si svolgevano nei locali aziendali prefissati e nei tempi delimitati non solo dal passaggio nel tornello azionabile con il badge e quindi dalla marcatura del successivo orologio, ma anche dal limite di 29 minuti prima dell’inizio del turno, secondo obblighi e divieti sanzionati disciplinarmente, stabiliti dal datore di lavoro e riferibili all’interesse aziendale, senza alcuno spazio di discrezionalità per i dipendenti.

La determinazione – si legge nella sentenza –  della durata del tempo in questione (e conseguentemente della correlativa controprestazione retributiva) è stata operata in via equitativa e con prudente apprezzamento, stante la difficoltà di accertare con precisione il “quantum” della domanda. Il giudice di merito ha fatto uso discrezionale dei poteri che gli attribuisce la norma processuale dell’art. 432 c.p.c., con apprezzamento in fatto incensurabile in Cassazione, siccome adeguatamente motivato.


Processo tributario telematico: pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il regolamento che lo disciplina

Pubblicato, il 14 febbraio 2014, nella Gazzetta Ufficiale il regolamento del Ministro dell’Economia e delle Finanze (decreto 23 dicembre 2013), che disciplina il processo tributario telematico.
Il regolamento disciplina l’uso degli strumenti informatici e telematici nell’ambito del processo tributario, che contribuiranno, attraverso la dematerializzazione dei flussi documentali, al miglioramento del servizio di giustizia tributaria nel suo complesso, con una notevole riduzione dei costi diretti e indiretti per tutti gli operatori di settore (giudici, difensori, enti impositori, contribuenti, uffici di segreteria delle commissioni tributarie).
Le successive regole tecnico-operative dell’informatizzazione del processo tributario saranno adottate con uno o più decreti direttoriali. Il primo dei quali individuerà anche le commissioni tributarie presso le quali troverà applicazione la nuova modalità.
In merito all’ambito di applicazione del regolamento, esso è individuato dall’art. 2, secondo il quale gli atti e i provvedimenti del processo tributario, nonché quelli relativi al procedimento attivato con l’istanza di reclamo e mediazione possono essere formati  come documenti  informatici sottoscritti con firma elettronica qualificata o firma digitale secondo le modalità disciplinate dal regolamento stesso. Dunque, la trasmissione, la comunicazione, la notificazione e il deposito di atti e provvedimenti del processo tributario, nonché di quelli relativi al procedimento attivato con l’istanza di reclamo e mediazione, avverranno con modalità informatiche a far data dal 1° marzo 2014. Di conseguenza, la parte che ha utilizzato in primo grado le modalità telematiche è tenuta ad utilizzare le medesime modalità per l’intero grado del giudizio nonché per l’appello, salvo sostituzione del difensore.
Anche la procura alle liti ed il conferimento dell’incarico di assistenza e difesa, ai sensi dell’art. 4 del regolamento in oggetto, dovranno essere conferiti, congiuntamente all’atto cui si riferiscono, su supporto informatico e sottoscritti con firma elettronica qualificata o firma digitale dal ricorrente e trasmessi dalle parti, dai procuratori e dai difensori  con notifica attraverso Pec.
Nell’ipotesi in cui, la procura alle liti o l ‘incarico di assistenza e difesa sono conferiti su supporto cartaceo, le parti, i procuratori e i difensori trasmettono congiuntamente all’atto cui si riferiscono, la copia per immagine su supporto informatico della procura o dell’incarico, attestata come conforme all’originale ai sensi dell’art. 22 del D.Lgs. 82/2005, mediante sottoscrizione con firma elettronica qualificata o firma digitale del difensore.


D.L. 163-2013 Regolamento Processo Tributario Telematico

Pubblicato, il 14 febbraio 2014, nella Gazzetta Ufficiale il regolamento del Ministro dell’Economia e delle Finanze (decreto 23 dicembre 2013), che disciplina il processo tributario telematico.
Il regolamento disciplina l’uso degli strumenti informatici e telematici nell’ambito del processo tributario, che contribuiranno, attraverso la dematerializzazione dei flussi documentali, al miglioramento del servizio di giustizia tributaria nel suo complesso, con una notevole riduzione dei costi diretti e indiretti per tutti gli operatori di settore (giudici, difensori, enti impositori, contribuenti, uffici di segreteria delle commissioni tributarie).

Leggi: DL 163-2013 Regolamento Processo Tributario Telematico


IL CONCETTO DI “PREPOSTO”: limiti e condizioni della responsabilità

Nuovi spunti sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro: se il lavoratore svolge la propria attività senza indossare né osservare idonee misure di prevenzione, la responsabilità è totalmente a carico del datore di lavoro.

In generale, è compito del datore di lavoro (nella PA è il dirigente) provvedere alla sorveglianza diretta dei sottoposti, al fine di evitare che gli stessi operino senza quelle precauzioni necessarie a garantire la loro sicurezza.

Ciò poiché il datore di lavoro è sempre responsabile nei confronti del lavoratore:

  • sia quando il lavoratore ometta di adottare le idonee misure protettive (es. indossando caschetto, occhiali, calzature e guanti protettivi, ecc.),
  • sia quando il datore non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente;
  • unica eccezione è il c.d. “rischio elettivo“, cioè quando il lavoratore, con un comportamento assolutamente imprevedibile e abnorme, agisca di propria iniziativa.

Nel caso esaminato l’infortunio è stato causato dalla caduta di un operaio, impegnato nell’esecuzione di alcune opere di montaggio e smontaggio, da un’impalcatura.

La  Corte di Cassazione, Sezione Lavoro – sentenza 2455 del 4.2.2014  ha affermato che “ai fini della ripartizione di responsabilità stabilita, in via gerarchica, tra datore di lavoro, dirigenti e preposti, la figura del preposto ricorre nel caso in cui il datore di lavoro … operi per deleghe secondo vari gradi di responsabilità, e presuppone uno specifico addestramento a tale scopo oltre al riconoscimento -con mansioni di caposquadra della direzione esecutiva di un gruppo di lavoratori e dei relativi poteri per l’attribuzione di compiti operativi nell’ambito dei criteri prefissati”.

Non può essere considerato “preposto” l’operaio più anziano di una squadra, pur dotato di maggiore esperienza rispetto ad altri, ma privo di uno specifico addestramento al ruolo di capo squadra nonché dei poteri di direzione esecutiva dei lavori della squadra stessa.


Cass. civ. Sez. I, Sent., (ud. 10-01-2014) 14-02-2014, n. 3552

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. BENINI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9125/2008 proposto da:

CASSA DI RISPARMIO DI FIRENZE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38, presso l’avvocato BOGGIA MASSIMO, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.G. (c.f. (OMISSIS)), C.S. (c.f. (OMISSIS)), CO.GI. (c.f.

(OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CATANZARO 9, presso l’avvocato MARONNA MAFALDA, rappresentati e difesi dall’avvocato DI STASIO MASSIMO, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso il provvedimento del TRIBUNALE di FIRENZE; in data 10/12/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/01/2014 dal Consigliere Dott. STEFANO BENINI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato BOGGIA MASSIMO che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per l’accoglimento del terzo motivo e conseguentemente cassazione senza rinvio.

Svolgimento del processo
1. Con l’ordinanza del 15.1.2008, oggetto della presente impugnazione, il Tribunale di Firenze, rilevato che il decreto ingiuntivo n. 4724 del 17.1.2001, emesso a favore della Cassa di Risparmio di Firenze, non era stato notificato alla coobbligata D.D., ha dichiarato l’inefficacia del titolo nei di lei confronti, e per essa, dei suoi eredi C.G., C.S. e Co.Gi., e ha ordinato la cancellazione dell’ipoteca ottenuta in forza del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo sui beni della D., pervenuti in successione ai figli.

2. Contro l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione la Cassa di Risparmio di Firenze s.p.a. affidandosi a tre motivi, illustrati da memoria, resistiti da controricorso degli intimati C. G., C.S. e Co.Gi..

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso, la Cassa di Risparmio di Firenze s.p.a., denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 140 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), censura l’ordinanza impugnata, di cui va ammessa la ricorribilità, per aver ritenuto il mancato perfezionamento della notifica alla D.D., in realtà eseguita presso la residenza anagrafica della destinataria a (OMISSIS), in base all’art. 140 c.p.c.. E’ sufficiente infatti che in caso di momentanea irreperibilità del destinatario in uno dei luoghi indicati dall’art. 139 c.p.c., l’ufficiale giudiziario compia le tre formalità descritte dall’art. 140 c.p.c.: deposito dell’atto nella casa comunale; affissione dell’avviso relativo al deposito, spedizione della raccomandata con avviso di ricevimento. Pur se dall’avviso di ricevimento risulta che la D. era sconosciuta, dalla certificazione anagrafica emerge che la notifica è stata effettuata nel luogo di residenza.

Con il secondo motivo di ricorso, la Cassa di Risparmio di Firenze s.p.a., denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 110 c.p.c., artt. 459, 752 e 754 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), censura l’ordinanza impugnata, per l’ipotesi in cui la notifica venisse comunque considerata nulla, osservando che tale conclusione non riguarda l’erede C. G., alla quale il decreto era stato tempestivamente notificato quale coobbligata in solido ai sensi dell’art. 143 c.p.c.:

quest’ultima, una volta divenuta erede della D., e quindi tenuta al pagamento dei debiti ereditari, si è trovata ad essere legittimata passiva dell’ingiunzione in una duplice veste.

Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 644, 650 e 188 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), censura l’ordinanza impugnata, per l’ipotesi in cui sì ritenesse il vizio del procedimento di notificazione, anche nei confronti dell’erede C.G., per aver dichiarato l’inefficacia del decreto, come se la notifica fosse inesistente, rilevandosene al contrario la mera irregolarità, o tutt’al più la nullità, con la conseguenza di una sua sanatoria con la costituzione dell’intimato o comunque con la sua rinnovazione. L’intimato, infatti, avrebbe potuto proporre opposizione tardiva all’ingiunzione, provando di non aver avuto tempestiva conoscenza dell’atto per irregolarità della notifica, essendogli di conseguenza precluso il ricorso per declaratoria dell’inefficacia, possibile solo nel caso di mancanza o giuridica inesistenza della notifica.

2. Preliminarmente, pur se non vi è contestazione, il provvedimento con cui il giudice accoglie l’istanza diretta ad ottenere la declaratoria di inefficacia del decreto ingiuntivo, ai sensi dell’art. 188 disp. att. c.p.c., è ricorribile per cassazione avendo carattere definitivo, atteso che, viceversa, in caso di rigetto, la parte può sempre chiedere nei modi ordinari la dichiarazione di inefficacia dell’ingiunzione (Cass. 3.4.2013, n. 7976).

3. Il primo motivo del ricorso è infondato.

Qualora un atto giudiziario sia stato notificato ai sensi dell’art. 140 c.p.c., la notifica si perfeziona nel momento in cui l’atto è stato consegnato all’ufficiale giudiziario, fermo restando che il consolidamento di tale effetto anticipato per il notificante dipende dal perfezionamento del procedimento notificatorio nei confronti del destinatario, con l’effettuazione degli adempimenti da tale norma stabiliti: deposito della copia dell’atto nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi; affissione dell’avviso del deposito in busta chiusa e sigillata alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario; notizia del deposito al destinatario mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Tale ultimo adempimento costituisce ulteriore garanzia per il destinatario, onde favorire al massimo l’ingresso dell’atto nella sua sfera di conoscibilità. Ne consegue che l’avviso di ricevimento debba essere allegato all’atto notificato e la sua mancanza provoca la nullità della notificazione (Cass. S.U. 13.1.2005, n. 458). Le incertezza giurisprudenziali in ordine alla necessità o meno di allegare l’avviso di ricevimento sono state superate dalla ora menzionata pronuncia delle Sezioni unite (in prosieguo, conformi: Cass. 6.5.2005, n. 9510; 21.2.2006, n. 3685; 19.5.2009, n. 11583), che hanno colto l’occasione per procedere ad una rivisitazione dell’orientamento giurisprudenziale formatosi sull’art. 140 c.p.c..

In primo luogo, si è dovuto prendere atto della sentenza della Corte costituzionale in tema di notificazione di atti giudiziari (Corte cost. 23.1.2004, n. 28), che abbandonando l’indirizzo che voleva la notificazione eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c., perfezionata, dopo il deposito della copia dell’atto e l’affissione dell’avviso relativo al deposito stesso, con la spedizione al destinatario della raccomandata con avviso di ricevimento, ha stabilito che anche per le notificazioni eseguite ai sensi dell’art. 140 c.p.c. (come per le notifiche a mezzo posta, oggetto della sentenza Corte cost.

26.11.2002, n. 477), al fine del rispetto di un termine pendente a carico del notificante è sufficiente che l’atto sia stato consegnato all’ufficiale giudiziario entro il predetto termine, mentre le formalità previste dal detto art. 140 possono essere eseguite anche in un momento successivo. Il consolidamento di tale effetto – che può definirsi provvisorio o anticipato – a vantaggio del notificante, dipende comunque dal perfezionamento del procedimento notificatorio nei confronti del destinatario. Le Sezioni unite, inoltre, hanno superato l’orientamento che, nelle notificazioni ai sensi dell’art. 140 c.p.c., riteneva l’allegazione, all’originale dell’atto, dell’avviso di ricevimento adempimento privo di rilevanza.

Nel procedimento disciplinato da questa norma, la notificazione si compie con la spedizione della raccomandata, che come atto della sequenza del processo perfeziona l’effetto di conoscibilità legale nei confronti del destinatario. Tuttavia, non diversamente da quanto avviene per il perfezionamento della notificazione nei confronti del notificante, anche per il destinatario si tratta di un effetto provvisorio o anticipato, destinato a consolidarsi con l’allegazione, all’originale dell’atto, dell’avviso di ricevimento, le cui risultanze possono confermare o smentire che la notifica abbia raggiunto lo scopo cui era destinata. A quest’ultima soluzione le Sezioni unite pervengono sulla base sia di una interpretazione costituzionalmente orientata che impone l’effettività delle garanzie di conoscibilità dell’atto da parte del destinatario medesimo e della tutela del contraddittorio; sia di una valorizzazione della ratio e del dato testuale dell’art. 140 c.p.c., per cui, se il legislatore avesse considerato l’avviso di ricevimento privo di rilevanza, non avrebbe richiesto che la raccomandata di cui all’art. 140 c.p.c., ne fosse corredata (a differenza di altri casi in cui ha ritenuto sufficiente che la notizia di una avvenuta notificazione fosse data a mezzo di raccomandata semplice). Precisano altresì le Sezioni unite che dall’avviso di ricevimento, e dalle annotazioni che l’agente postale appone su di esso quando lo restituisce al mittente, può emergere che la raccomandata non è stata consegnata perchè il destinatario risulta trasferito oppure deceduto o, ancora, per altre ragioni le quali comunque rivelano che l’atto in realtà non è pervenuto nella sfera di conoscibilità dell’interessato e che, dunque, l’effetto legale tipico, a tale evento ancorato, non si è prodotto. In tali ipotesi sembra palese che la notifica debba essere considerata nulla (non inesistente, a meno che l’atto non sia stato indirizzato verso un luogo privo di qualsiasi collegamento con il destinatario) e che, quindi, debba essere rinnovata ai sensi dell’art. 291 c.p.c.. Infatti, le suddette risultanze rendono quanto meno incerto, e possono addirittura escludere, che il luogo in cui l’ufficiale giudiziario ha svolto l’attività prevista dall’art. 140 c.p.c., sia quello di effettiva ed attuale residenza, dimora o domicilio del destinatario, con i conseguenti riflessi sulla validità della notifica effettuata. Si tratta, dunque, di una verifica necessaria, postulata del resto dalla stessa previsione normativa nel momento in cui richiede che la spedizione della raccomandata abbia luogo con avviso di ricevimento, tanto più che con l’ulteriore sentenza 14.1.2010, n. 3, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 140 c.p.c., nella parte in cui prevede che la notifica si perfeziona, per il destinatario, con la spedizione della raccomandata informativa, anzichè con il ricevimento della stessa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione.

Nella specie è accertato che l’avviso è stato restituito al notificante con l’attestazione, da parte dell’ufficiale postale, che il destinatario era sconosciuto. Deve concludersi che il destinatario non ha potuto fruire dell’ulteriore cautela prevista dalla legge a suo favore, ovvero della messa a conoscenza, a mezzo posta, dell’avvenuto deposito dell’atto nella casa comunale. Nè può ritenersi che l’atto sia pervenuto nella sfera di conoscibilità dello stesso per essere risultata aliunde la residenza anagrafica del destinatario a quell’indirizzo: l’attestazione postale doveva quanto meno ingenerare il dubbio dell’effettiva corrispondenza delle risultanze anagrafiche alla realtà, e indurre al rinnovo della notifica, se necessario nelle forme dell’art. 143 c.p.c..

Il che non è avvenuto. La certificazione anagrafica da cui risulta che la D.D., al 17.12.2001 (data della notifica) era residente a (OMISSIS), rivela l’esistenza di un collegamento tra il luogo del tentativo di notifica,, ed il suo destinatario, il che non è privo di rilevanza agli effetti della dichiarazione di inefficacia del decreto, che sarà esaminata con il terzo motivo.

4. Il secondo motivo di ricorso è infondato.

Che uno degli eredi del soggetto cui venne effettuata vana notifica avesse ricevuto la notifica in proprio dello stesso decreto ingiuntivo, in quanto debitore in solido, non comporta una presunzione di conoscenza (che solo il mezzo legale di comunicazione, costituito dalla notifica, può assicurare) dell’atto nei propri confronti, una volta che lo stesso sia divenuto erede del coobbligato.

Ove la notifica di un atto sia mancata, e l’atto sia venuto aliunde a conoscenza del destinatario, difettano gli estremi di certezza circa il modo, la data ed il luogo della consegna proprio in vista dei quali la notifica è prescritta (Cass. 17.9.2004, n. 18730).

La notifica del decreto ingiuntivo è destinata a produrre effetti autonomi nella sfera giuridica di ciascun soggetto che ne sia destinatario, anche se coobbligato in solido, sicchè, se uno di essi sia deceduto senza aver ricevuto la notifica, non può postularsi la trasmissione di quegli effetti all’erede, che per avventura fosse destinatario dello stesso decreto ingiuntivo in quanto coobbligato, e di esso avesse ricevuto regolare notifica.

5. Il terzo motivo è fondato.

Il ricorso per la dichiarazione d’inefficacia del decreto ingiuntivo, previsto dall’art. 188 disp. att. c.p.c., è ammissibile soltanto con riguardo a decreti non notificati o la cui notifica sia giuridicamente inesistente, mentre se il decreto è stato notificato, ancorchè fuori termine, o la notifica sia affetta da nullità, l’unico rimedio esperibile è l’opposizione ai sensi degli artt. 645 e 650 c.p.c., a seconda dei casi. Pertanto, il provvedimento che contenga esclusivamente la statuizione d’inefficacia ai sensi dell’art. 188 c.p.c., è affetto da nullità, in quanto pronunciato in un’ipotesi non prevista dal codice di rito (Cass. 2.4.2010, n. 8126).

La notificazione del decreto ingiuntivo, anche se nulla, è indice della volontà del creditore di avvalersi del decreto e conseguentemente esclude la presunzione di abbandono del titolo che costituisce il fondamento della previsione di inefficacia di cui all’art. 644 c.p.c., applicabile esclusivamente in caso di omissione della notificazione o di notificazione inesistente (31.10.2007, n. 22959).

Ne consegue che tranne i casi in cui un decreto ingiuntivo non è notificato, o la notifica di esso è giuridicamente inesistente, la parte contro la quale è stato emesso non può, decorso il termine stabilito dall’art. 644 c.p.c., chiederne la declaratoria di inefficacia, ai sensi dell’art. 188 disp. att. c.p.c.; se la notifica sia semplicemente nulla, l’inefficacia può essere fatta valere, onde evitare la sanatoria per eventuale acquiescenza, con l’opposizione tardiva ai sensi dell’art. 650 c.p.c., fornendo la prova di non avere avuto tempestiva conoscenza del decreto ingiuntivo per irregolarità della notificazione (Cass. 26.7.2001, n. 10183).

La censura merita accoglimento in quanto nella scarna motivazione dell’ordinanza impugnata il Presidente del Tribunale di Firenze ha rilevato, semplicemente, che “il decreto de quo non è stato notificato al coobbligato D.”: in realtà, nel ricorso per la dichiarazione d’inefficacia del decreto, proposto dagli eredi, attuali controricorrenti, si da atto che “risulta dalla relata di notifica che il plico è tornato indietro perchè sconosciuto all’indirizzo indicato”.

Orbene, poichè nella specie risulta che gli eredi dell’intimata hanno fondato la loro istanza di inefficacia del decreto ingiuntivo sulla asserita nullità della notificazione eseguita al proprio dante causa, deve ritenersi che la dichiarazione di inefficacia del decreto ingiuntivo è stata emessa in assenza dei presupposti richiesti dalla legge, non potendo ritenersi inesistente la notifica effettuata presso la residenza del destinatario.

6. In conclusione il ricorso merita accoglimento e, conseguentemente, il provvedimento impugnato dev’essere cassato senza rinvio, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, ultima parte. Le spese giudiziali seguono la soccombenza, come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo e il secondo, cassa senza rinvio l’ordinanza impugnata, e condanna i controricorrenti al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.200, di cui Euro 3.000 per compensi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2014.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2014


Pagamenti elettronici: online le nuove Linee Guida

Le Linee Guida per l’effettuazione dei pagamenti (PDF) a favore delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi sono state definitivamente approvate dalla Banca d’Italia ed entreranno in vigore dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Con la determina 8/2014 assunta dal Direttore Generale dell’Agenzia per l’Italia Digitale, in qualità di commissario straordinario, si conclude dunque il percorso partecipato e condiviso con il  Ministero dell’economia e delle finanze e tutti gli attori coinvolti nel gruppo di lavoro composto da amministrazioni centrali e locali e al quale hanno contributo anche i prestatori di servizi di pagamento attraverso le proprie associazioni di categoria ABI e A.I.I.P.

Le nuove Linee Guida rivestono un importante ruolo per il perseguimento di obiettivi definiti tanto a livello nazionale quanto europeo. Il provvedimento costituisce un tassello fondamentale per il progetto di diffusione della fattura e dei pagamenti elettronici della PA, inserito dal Governo tra le azioni prioritarie per il perseguimento degli obiettivi dell’Agenda Digitale. La strategia istituzionale assume ancor più rilevanza se si tiene conto che l’affermazione di procedure telematiche accresce l’efficienza dei servizi di pagamento riducendo l’uso del contante e i relativi costi con un risparmio stimato dello 0,3% del PIL. Le Linee Guida forniscono inoltre gli strumenti per consentire l’adeguamento delle procedure dei pagamenti delle PA alle regole SEPA per il completamento del processo di migrazione agli standard paneuropei.

La versione definitiva delle Linee Guida modifica il testo pubblicato in consultazione lo scorso 5 settembre 2013 a seguito del recepimento delle osservazioni pervenute in questa fase. In un ottica di trasparenza e partecipazione tutti i contributi ricevuti sono stati raccolti nell’apposito Position paper AgID (PDF), disponibile nella sezione documentazione insieme alle Linee guida e alle relative specifiche attuative.