2 giugno 2023: Festa della Repubblica


Sottoscrizione autografa degli atti amministrativi

Il Consiglio di Stato con sentenza emessa in data 17 aprile 2023 ha rigettato il motivo di gravame con il quale l’appellante ha censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto infondata la doglianza afferente alla mancanza della sottoscrizione autografa del Responsabile Area Urbanistica Edilizia del Comune del provvedimento di rigetto della domanda in sanatoria evidenziando come la giustificazione addotta dal Comune, in ordine alle procedure utilizzate per la formazione degli originali e delle copie conformi all’epoca dell’adozione dell’atto, non potesse ritenersi sufficiente ai fini della totale irrilevanza della firma.

Ad avviso dell’appellante sarebbe stata necessaria, infatti, almeno un’attestazione di conformità della copia all’originale ad opera di un pubblico ufficiale autorizzato, non potendo ritenersi sufficiente l’apposizione della dicitura “firmato” sul duplicato del provvedimento.

In replica a quanto dedotto dalla parte appellante, l’Amministrazione comunale ha ribadito quanto già esposto in primo grado in ordine alle procedure informatiche in uso all’epoca dell’adozione del provvedimento impugnato, che avrebbero consentito la stampa di un unico originale cartaceo e di una pluralità di copie, la cui conformità sarebbe stata attestata dal funzionario, in qualità di autore dell’atto.

Il Consiglio di Stato ritiene corretto il ragionamento logico-giuridico proposto dal T.A.R. a sostegno della reiezione del motivo “in quanto l’assenza di sottoscrizione non può ritenersi invalidante qualora risulti possibile e inequivocabile l’accertamento circa la concreta riconducibilità dell’atto al suo autore.

Invero, in virtù del principio di correttezza e buona fede cui devono essere improntati i rapporti tra Pubblica Amministrazione e cittadino, l’autografia della sottoscrizione non può essere qualificata in termini di requisito di esistenza o validità giuridica degli atti amministrativi ove concorrano ulteriori elementi testuali (indicazione dell’ente competente, qualifica, ufficio di appartenenza del funzionario che lo ha adottato), emergenti anche dal contesto documentativo dell’atto, che consentano di individuare la sicura provenienza e l’attribuibilità dell’atto al suo autore (Consiglio di Stato, sez. II, 24/01/2023, n. 793; Consiglio di Stato, sez. V, 28/5/2012, n. 3119; Consiglio di Stato, sez. IV, 11/5/2007, n. 2325).

Inoltre, come già affermato, anche qualora si ritenesse che l’atto fosse inesistente, ci si troverebbe comunque al cospetto di un’ipotesi di silenzio-diniego prevista ex lege, atteso che l’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, dispone che il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncino sulla richiesta di permesso in sanatoria entro il termine di sessanta giorni, decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata.(…)”.


Notifica ex art. 140 c.p.c. se la moglie convivente rifiuta di firmare l’atto

Per la Cassazione, il rifiuto della moglie convivente di firmare l’atto obbliga ad eseguire la notifica ex art. 140 c.p.c.
Scatta la notifica ex art. 140 c.p.c. se la moglie convivente si rifiuta di firmare la cartella esattoriale. Lo ha stabilito la Corte Suprema di Cassazione nella sentenza n. 10805/2023 accogliendo il ricorso di un contribuente contro l’Agenzia delle Entrate che aveva notificato intimazione di pagamento per oltre 185mila euro per l’anno di imposta 1996.
Nella vicenda, la notifica era stata effettuata presso l’abitazione del destinatario della cartella ma, in sua assenza, la moglie convivente si era rifiutata di firmare. In tal caso, ricorre l’ipotesi del rifiuto, l’agente notificatore avrebbe dovuto procedere con l’affissione dell’avviso presso l’abitazione ed il deposito presso la casa comunale come è prescritto dall’articolo 140 c.p.c., ma la procedura tuttavia non veniva tentata.
A fronte dell’art. 139, comma 2, c.p.c., secondo cui se il destinatario non viene trovato in uno dei luoghi ove deve essere ricercato, l’ufficiale giudiziario/Messo Comunale consegna copia dell’atto a una persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda, purché non minore di 14 anni o non palesemente incapace afferma la Corte Suprema di Cassazione, nella specie, trova applicazione l’art. 140 c.p.c. secondo cui “se non è possibile eseguire la consegna per irreperibilità o per incapacità o rifiuto delle persone indicate nell’articolo precedente, l’ufficiale giudiziario deposita la copia nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi, affigge avviso del deposito in busta chiusa e sigillata alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario e gliene dà notizia per raccomandata con avviso di ricevimento”.
Per cui la sentenza impugnata va annullata e cancellata senza rinvio.


Solidarietà alla popolazione romagnola

L’Associazione A.N.N.A. esprime dolore e solidarietà alle popolazioni dei territori della Romagna colpite dall’evento calamitoso del 2 maggio scorso.

La nostra vicinanza è particolarmente rivolta alle persone che hanno subito gravissime perdite negli affetti e nei beni materiali.

Si esprime, altresì, la nostra vicinanza particolare ai nostri iscritti dei comuni della zona particolarmente colpiti.

Quanto accaduto nella Regione Emilia-Romagna è un fenomeno che ci porta tutti a interrogarci su come gli eventi naturali possano diventare anche catastrofici per molteplici responsabilità.


Legittima la notifica della multa presso la dimora

Per la Corte Suprema di Cassazione, la notifica della multa è legittima se eseguita presso la dimora e non presso la residenza anagrafica

È legittima la notifica della multa presso la dimora del destinatario e non presso la residenza anagrafica. Così la Corte Suprema di Cassazione nella  sentenza n. 12613/2023 .

Nella vicenda, un automobilista ricorreva alla Corte Suprema di Cassazione avverso la sentenza del tribunale di Castrovillari che, confermando la decisione di primo grado di rigetto dell’opposizione avverso l’ingiunzione di pagamento di sanzioni amministrative per violazione del Codice della Strada, aveva dichiarato valida la notifica del verbale di contestazione eseguita presso il luogo di dimora, seppur diverso dalla sua residenza anagrafica.

In particolare, il tribunale aveva rilevato che il verbale era stato ricevuto da persona qualificatasi come convivente presso il luogo dove erano state effettuate anche le successive notifiche.

Per la Corte Suprema di Cassazione, il ricorso è inammissibile.

Il tribunale ha ritenuto che non fosse causa di nullità della notifica che la stessa non fosse stata eseguita presso la residenza anagrafica del destinatario, essendo comunque stata ricevuta presso il suo luogo di dimora.

l principio di diritto applicato dalla corte distrettuale, per la S.C., “è conforme all’art. 201, comma 3, Cds che richiama, a tal fine, le modalità previste dal Codice di procedura civile, secondo cui se la notificazione non è fatta a mani proprie va fatta presso il luogo di residenza, dimora o domicilio del destinatario” nonché al costante orientamento della corte di legittimità, secondo cui “ai fini della corretta determinazione del luogo di residenza o di dimora del destinatario, assume rilevanza esclusiva il luogo ove questi dimori di fatto in via abituale, con la conseguenza che le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo di residenza, e possono essere superate da una prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento, e quindi, anche mediante presunzioni (Cass. n. 9049/2020).


Cass. civ., Sez. II, Ord., (data ud. 05/04/2023) 10/05/2023, n. 12613

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. POLETTI Dianora – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

A.A., rappresentato e difeso per procura alle liti in calce al ricorso dall’Avvocato Marco Naccarato, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Corigliano Rossano, viale Michelangelo n. 55. – Ricorrente –

contro

Comune di Rocca Imperiale, in persona del sindaco, rappresentato e difeso per procura alle liti in calce al controricorso dall’Avvocato Antonio Chiaromonte, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Rocca Imperiale, viale Europa n. 22. – Controricorrente –

e Area Riscossioni Srl ;

– Intimata –

avverso la sentenza n. 392/2022 del Tribunale di Castrovillari, pubblicata il 25.3.2022.

Udita la relazione della causa svolta dal consigliere Mario Bertuzzi alla camera di consiglio del 5.4.2023.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con atto notificato il 25.5.2022 A.A. ricorre per la cassazione della sentenza n. 392/2022 del Tribunale di Castrovillari, pubblicata il 25.3.2022, che aveva confermato la decisione di primo grado di rigetto della sua opposizione avverso l’ingiunzione di pagamento di sanzioni amministrative per violazione del codice della strada, dichiarando valida la notifica del verbale di contestazione eseguita presso il luogo di dimora dell’opponente, pur diverso dalla sua residenza anagrafica. In particolare, il Tribunale motivava tale conclusione sui rilievi che il verbale era stato ricevuto da persona che si era qualificato convivente, che l’ingiunzione di pagamento era stata ricevuta presso tale indirizzo personalmente dall’opponente e che ivi era stato notificato anche un preavviso di fermo.

Il comune di Rocca Imperiale ha notificato controricorso, mentre la società Area Riscossioni non ha svolto attività difensiva.

La causa è stata avviata in decisione in camera di consiglio.

Parte ricorrente ha depositato memoria.

Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal comune controricorrente sul presupposto che esso sia stato notificato oltre il termine di sessanta giorni dalla data della sentenza impugnata, atteso che, non risultando che tale provvedimento sia stato notificato, l’impugnazione soggiace al termine lungo stabilito dall’art. 327 c.p.c..

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonchè dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto che, ai fini della determinazione del luogo di residenza o di dimora del destinatario della notificazione, rilevi esclusivamente la dimora abituale, rivestendo le risultanze anagrafiche mero valore presuntivo e potendo le stesse essere superate.

Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonchè dell’art. 24 Cost. e art. 2697 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5 per avere il giudice omesso di valutare il certificato storico di residenza e la querela di falso del 12 novembre 2020, nonchè il certificato storico dello stato di famiglia del 7 aprile 2020.

I due motivi, che possono trattarsi congiuntamente, sono entrambi inammissibili.

Il Tribunale ha motivato il proprio convincimento in ordine alla validità della notifica del verbale di accertamento della violazione, oggetto di contestazione da parte dell’opponente, rilevando che essa era stata eseguita presso la sua dimora o domicilio, essendo stata ricevuta da persona qualificatasi con lui convivente e risultando anche le notifiche degli atti successivi ricevute al predetto indirizzo, tra cui quella dell’ingiunzione di pagamento della sanzione di cui si tratta, ricevuta personalmente dallo stesso opponente. Ha quindi ritenuto che non fosse causa di nullità della notifica che essa non fosse stata eseguita presso la residenza anagrafica del destinatario, essendo comunque stata ricevuta presso il suo luogo di dimora.

Tanto precisato, il principio di diritto applicato dalla Corte distrettuale in tema di luogo di notifica del verbale di contestazione delle violazioni del codice della strada appare conforme all’art. 201 C.d.S., comma 3, che richiama, a tal fine, le modalità previste dal codice di procedura civile, secondo cui se la notificazione non è fatta a mani proprie, va fatta presso il luogo di residenza, dimora o domicilio del destinatario, nonchè al costante orientamento di questa Corte, secondo cui, ai fini della corretta determinazione del luogo di residenza o di dimora del destinatario, assume rilevanza esclusiva il luogo ove questi dimori di fatto in via abituale, con la conseguenza che le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo di residenza, e possono essere superate da una prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento, e quindi anche mediante presunzioni (Cass. n. 9049 del 2020; Cass. n. 19387 del 2017; Cass. n. 11550 del 2013).

Il medesimo indirizzo giurisprudenziale inoltre sottolinea che il relativo apprezzamento di tali elementi, integrando un apprezzamento di fatto delle risultanze probatorie, costituisce valutazione demandata all’esclusiva competenza del giudice di merito. Anche sotto tale profilo, pertanto, le censure sollevate sono inammissibili, in quanto l’accertamento del giudice di merito in ordine alla effettiva dimora del destinatario dell’atto non è sindacabile in sede di giudizio di legittimità.

La censura di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio è infine inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., secondo cui il ricorso per cassazione non è proponibile per il motivo indicato dall’art. 360 c.p.c., n. 5 nel caso in cui, come nella specie, il giudice di secondo grado abbia deciso le questioni di fatto conformemente alla decisione appellata (c.d. doppia conforme).

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore della controricorrente comune di Rocca Imperiale, che liquida in Euro 950,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 aprile 2023.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2023


Fissate le spese di notifica poste a carico dei contribuenti

Fissato l’importo delle spese di notifica degli atti emanati dagli enti locali e dai concessionari affidatari del servizio di accertamento e riscossione, il cui costo è posto a carico dei contribuenti. Il compenso è stabilito in modo forfettario per ogni tipologia di notifica

Fissato l’importo delle spese di notifica degli atti impositivi, degli atti di contestazione delle sanzioni e di sollecito di pagamento, emanati dagli enti locali e dai concessionari affidatari del servizio di accertamento e riscossione, il cui costo è posto a carico dei contribuenti. Il compenso è stabilito in modo forfettario per ogni tipologia di notifica, a seconda che venga effettuata tramite ufficiale giudiziario, messo comunale, messo notificatore o a mezzo del servizio postale. Non sono ripetibili, invece, le spese per la notifica degli atti istruttori e degli atti amministrativi emanati su richiesta dell’interessato. Queste nuove disposizioni sono contenute nel decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 14 aprile 2023.

Il decreto ministeriale ridetermina gli importi delle spese addebitabili ai contribuenti destinatari degli avvisi di accertamento esecutivi, degli atti di contestazione delle sanzioni, delle ingiunzioni e dei solleciti di pagamento, notificati dalle amministrazioni locali o dai concessionari con le diverse modalità consentite dalle norme di legge. In particolare, è stabilito che per gli atti impositivi, di irrogazione delle sanzioni e di sollecito di pagamento, le spese sostenute sono dovute dai destinatari nella misura di euro 7,83 per le notifiche effettuate mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento, di euro 6,51 per le raccomandate semplici, di euro 2 per le notifiche effettuate mediante l’invio a mezzo posta elettronica certificata, di euro 11,55 per le notifiche degli avvisi ai contribuenti, ai sensi degli articoli 60 del dpr 600/1973 e 14 della legge 890/1982, vale a dire tramite il procedimento previsto per gli atti giudiziari, con la cosiddetta busta verde. Infine, per i solleciti di pagamento inviati a mezzo posta ordinaria la misura del compenso si riduce a 1,33 euro. Un costo maggiore è addebitato per le notifiche eseguite all’estero, il cui importo è fissato nella misura unitaria di euro 12,19, “fatto salvo quanto diversamente previsto dalle disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali”. L’articolo 3 del decreto esclude espressamente la ripetibilità delle spese per la notifica “di atti istruttori e di atti amministrativi alla cui emanazione l’amministrazione è tenuta su richiesta”. Per esempio, in caso di accoglimento dell’istanza di rimborso del tributo o di autotutela, per vizi o errori contenuti negli atti emanati.

In merito alla notifica degli atti impositivi degli enti locali è stato chiarito, con recenti interventi giurisprudenziali, che le amministrazioni possono fare ricorso al servizio postale ordinario. Gli atti tributari possono essere notificati tramite il servizio di posta ordinaria, con raccomandata con avviso di ricevimento.

Non è imposto di fare ricorso al procedimento di notifica degli atti giudiziari, che assicurano maggiori garanzie ai destinatari. La scelta del legislatore di prevedere una forma semplificata di notifica è finalizzata a garantire una veloce realizzazione del credito fiscale. Si è così espressa la commissione tributaria regionale di Roma, terza sezione, con la sentenza 3198/2022, richiamando la pronuncia della Corte costituzionale 175/2018.

Trovano, quindi, applicazione le norme relative al servizio postale ordinario e non solo quelle della legge 890/1982. Al riguardo, anche la Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 28872/2018, ha operato un esplicito richiamo alla sentenza della Consulta suindicata, secondo cui la forma semplificata di notificazione trova la propria giustificazione nella funzione pubblicistica esercitata con la finalità di assicurare “la pronta realizzazione del credito fiscale e quindi a garanzia del regolare espletamento della vita finanziaria dello Stato”.

Pertanto, non è obbligatorio avvalersi del procedimento di notifica degli atti giudiziari. Naturalmente, in caso di utilizzo del servizio postale ordinario non è richiesta la relata di notifica, ma è sufficiente fornire la prova dell’avvenuta consegna del plico al destinatario o al consegnatario. La notifica può essere eseguita dall’ente anche senza l’intermediazione dell’ufficiale giudiziario o del messo notificatore.

Sono utilizzabili tutte le forme di notifica elencate nel decreto del Ministero dell’economia e delle finanze citato, ma le relative spese non possono essere addebitate in misura superiore a quelle predeterminate in modo forfettario.


Nel caso di “doppia notifica” fa fede la prima notifica

Notificazione di un atto tributario al legale rappresentante o alla società: la modalità è alternativa. In caso di doppia notifica, bisogna far riferimento alla prima per il rispetto dei termini decadenziali dell’atto impositivo.
La notifica di un atto tributario ad una società priva di personalità giuridica avviene, in via alternativa, mediante notificazione al legale rappresentante o alla società.
In caso di “doppia notifica”, quindi, è la prima notifica che va considerata ai fini del rispetto dei termini decadenziali dell’atto impositivo.
Queste la decisione dettata dalla sentenza n. 10282/2023 della Corte Suprema di Cassazione.
La vicenda riguarda il ricorso proposto da una società di persone avverso l’atto di irrogazione della sanzione accessoria, previsto dall’art. 12 co. 2 DLgs. n. 471 del 1997, della sospensione dall’esercizio dell’attività per la durata di tre giorni consecutivi in esito alla contestazione nel quinquennio di quattro violazioni dell’obbligo di emettere lo scontrino fiscale.
L’Agenzia delle entrate aveva notificato l’atto impositivo due volte, sia alla società, in data 26 aprile 2012, sia al suo legale rappresentante, in data 20 aprile 2012.
La società proponeva ricorso avanti la CTP per intervenuta decadenza dal potere di irrogare sanzioni, in quanto l’atto era stato notificato oltre il previsto termine di sei mesi dalla quarta contestazione.
Il ricorso è stato accolto in primo grado ma il giudizio è stato riformato dalla CTR che, in accoglimento dell’appello proposto dall’amministrazione finanziaria, ha chiarito che il dies a quo per far decorrere il termine di sei mesi previsto dalla legge, è quello in cui l’atto è stato notificato alla società nelle mani del legale rappresentante.
La società ha impugnato la decisione di secondo grado dinanzi alla Corte Suprema di Cassazione, deducendo violazione dell’art. 12 co. 2-bis DLgs. n. 471 del 1997.
A parere della ricorrente il termine di sei mesi avrebbe dovuto, in ogni caso, computarsi dal 20 aprile 2012, giorno in cui era avvenuta la consegna al legale rappresentante della società, e non dal 26 aprile 2012, giorno in cui era avvenuta la consegna alla società.
Infatti, trattandosi di una società priva di personalità giuridica, la notificazione al legale rappresentante della società, con consegna dell’atto a quest’ultima attraverso di essa, già in data 20 aprile 2012 rende in sostanza irrilevante la successiva consegna direttamente alla società il 26 aprile 2012.
Ritenendo fondato il motivo di doglianza della società, la Corte Suprema di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ha accolto l’originario ricorso proposto dalla ricorrente.
Il collegio di legittimità ha contestato la tesi della CTR per cui la doppia notifica si perfeziona con l’ultima notificazione.
La Corte Suprema di Cassazione richiama, a tal riguardo, la lettera dell’art. 145 co. 2 c.p.c. (nella versione vigente dal 1° marzo 2006), che prevede la possibilità di effettuare la notificazione di un atto a un ente non personificato o mediante notificazione all’ente stesso nella sede legale o al legale rappresentante dello stesso nei luoghi di sua residenza o domicilio.
La previsione del novellato art. 145 co. 2 c.p.c. – che pone il criterio dell’alternatività tra la notificazione nella sede o al legale rappresentante – si applica, ai sensi dell’art. 2 co. 4 L. n. 263/2005, ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006.
Non si tratta, pertanto, di eccesso di zelo dell’Ufficio, bensì di notifica alternativa correttamente eseguita e sottoscritta dal destinatario.
Nella fattispecie, trattandosi di notificazioni effettuate nel 2012, deve farsi applicazione della disciplina pro tempore, ritenendosi corretta la prima notificazione, con conseguente fondatezza del motivo.
Da ciò discende l’annullamento della sentenza impugnata.


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 21/12/2022) 21/04/2023, n. 10805

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. HMELJAK Tania – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. SALEMME Andrea Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4425/2020 R.G. proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA OVIDIO N. 32, presso lo studio dell’avvocato CHIARANTANO BRUNO, (CHRBRN77R21L719W) rappresentato e difeso dall’avvocato RIJLI SALVATORE, (RJLSVT62C25H224Y);

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE-RISCOSSIONE;

– intimata –

avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della CALABRIA-SEZ.DIST. REGGIO CALABRIA n. 2162/2019 depositata il 17/06/2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/12/2022 dal Consigliere ANDREA ANTONIO SALEMME.

Svolgimento del processo
CHE:

1. In data 23 dicembre 2012, A.A. riceveva notificazione di intimazione di pagamento n. (Omissis) per la complessiva somma di Euro 185.822,71 quanto all’anno di imposta (Omissis) in riferimento ai ruoli (Omissis) e (Omissis). L’intimazione era fondata sulla cartella di pagamento n. (Omissis).

2. Proponeva impugnazione il contribuente eccependo la nullità dell’intimazione per mancata notifica della cartella.

3. La CTP di Reggio Calabria, con la sentenza n. 1147/03/2014, rigettava il ricorso.

4. Proponeva appello il contribuente e la CTR della Calabria, con la sentenza impugnata, accoglieva in parte il gravame, relativamente al calcolo degli interessi.

In particolare, la CTR così motivava:

“La notifica della cartella appare del tutto rituale. Dalla fotocopia prodotta e non contestata dal contribuente si deduce infatti che la copia è stata ritirata dalla moglie del contribuente che si è soltanto rifiutata di sottoscrivere la relata. Di conseguenza la notifica appare corretta e conforme alla normativa vigente.” 5. Propone ricorso per cassazione il contribuente con un unico motivo. L’Agenzia delle entrate-Riscossione resta intimata.

Motivi della decisione
CHE:

1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione DEL D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60 e degli artt. 138, 139 e 140 c.p.c. 1.1. Le considerazioni della CTR sono smentite dalle evidenze documentali, poichè è indubitabile che la consegna del plico non è mai avvenuta. La circostanza assunta a fondamento della decisione, ossia la consegna dell’atto presupposto alla moglie del contribuente, nonostante il rifiuto della medesima di sottoscrivere l’atto, risulta incontestabilmente esclusa dalla relata di notificazione depositata dall’agente della riscossione: come emerge da detta relata (riprodotta per autosufficienza a pagina 5 del ricorso), “il messo notificatore non attesta di aver consegnato alla moglie del contribuente la cartella stessa, circostanza(,) questa(,) emergente dalla mancata apposizione del contrassegno alla casella: ‘Consegnandola in assenza del contribuentè”. Risulta quindi smentita la regolarità della notificazione, atteso che, in costanza di rifiuto opposto da persona diversa dal destinatario, il messo avrebbe dovuto procedere ai sensi dell’art. 140 c.p.c. L’osservanza della procedura ai sensi di quest’ultimo articolo era in ogni caso dovuta, essendo normativamente prescritto che solo il rifiuto del destinatario possa assumere rilevanza ai fini della regolarità della notificazione.

2. Il motivo è fondato e merita accoglimento.

2.1. Dalla relazione di notificazione della cartella di pagamento, costituente il presupposto dell’intimazione oggetto di impugnazione, notificazione, come detto, riprodotta nel corpo del ricorso, emerge che:

– non è contrassegnato il riquadro relativo alla casella che recita: “Consegnandola in assenza del contribuente”;

– la “moglie convivente” del contribuente “si rifiuta di firmare”.

2.2. In ragione di quanto precede, ed in particolare della dicitura: “Si rifiuta di firmare”, la suddetta “moglie convivente” ha espressamente ricusato di ricevere la notifica, senza peraltro che, a differenza di quanto ritenuto dalla CTR, il tenore letterale della relata consenta di affermare che la medesima abbia comunque ricevuto il piego.

2.3. Pertanto, a fronte dell’art. 139 c.p.c., comma 2, secondo cui, “se il destinatario non viene trovato in uno d(ei) luoghi (ove deve essere ricercato), l’ufficiale giudiziario consegna copia dell’atto a una persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda, purchè non minore di quattordici anni o non palesemente incapace”, nella specie, trova applicazione l’art. 140 c.p.c., secondo cui, “se non è possibile eseguire la consegna per irreperibilità o per incapacità o rifiuto delle persone indicate nell’articolo precedente, l’ufficiale giudiziario deposita la copia nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi, affigge avviso del deposito in busta chiusa e sigillata alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario, e gliene dà notizia per raccomandata con avviso di ricevimento”.

Invero, come detto, ricorre l’ipotesi del “rifiuto”.

3. La sentenza impugnata va pertanto annullata e cassata senza rinvio.

3.1. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, questa Suprema Corte è abilitata a decidere definitivamente la causa, accogliendo il ricorso introduttivo del giudizio, in ragione dell’omessa rituale notificazione della cartella di pagamento al contribuente.

3.2. L’esito del giudizio comporta, in punto di spese, che, compensate quelle dei gradi di merito, l’Agenzia delle entrate-Riscossione sia condannata a rifondere al contribuente quelle del grado di legittimità, liquidate, secondo tariffa, come in dispositivo.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso.

Per l’effetto, annulla e cassa senza rinvio la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del giudizio.

Compensa integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio di merito.

Condanna l’Agenzia delle entrate-Riscossione a rifondere alla contribuente le spese del presente grado di giudizio, che liquida in Euro 5.600, oltre esborsi per Euro 200, spese forfetarie in misura del 15% ed accessori, se ed in quanto dovuti.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2023


Fallimento: la notifica pec al domicilio digitale fa decorrere il termine per il reclamo

La Corte d’appello di Catanzaro, con la sentenza del 9 febbraio 2023, nel ritenere valida la notificazione della sentenza dichiarativa di fallimento presso il “domicilio digitale” del procuratore della società fallita e, di conseguenza, spirato il termine per la proposizione del reclamo da parte del socio illimitatamente responsabile e legale rappresentante della medesima società, ha affermato che, alla luce della vigente normativa, deve considerarsi come validamente effettuata la notifica via pec al “domicilio digitale” anche in caso di espressa elezione di “domicilio fisico”, in quanto trattasi di due opzioni alternative che, lungi l’una dal precludere l’altra, concorrono.

Orientamenti giurisprudenziali: Cass. civ., Sez. III, Ord., 14 dicembre 2021, n. 39970Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., 11 febbraio 2021, n. 3557

La Corte di d’appello di Catanzaro, si è pronunciata sulla validità della notificazione della sentenza di fallimento di una s.n.c., emessa dal Tribunale di Cosenza, al “domicilio digitale”, ovvero all’indirizzo pec, del procuratore della società; nonché di conseguenza sull’idoneità della stessa a far decorrere il termine perentorio per proporre reclamo, ai fini di valutare la tempestività o meno del ricorso depositato dal socio illimitatamente responsabile e legale rappresentate della s.n.c..

Infatti, nel costituirsi in giudizio, la Curatela del Fallimento aveva eccepito l’inammissibilità del reclamo per tardività, poiché il relativo ricorso era stato proposto dal fallito oltre il termine perentorio di trenta giorni stabilito dall’art. 18 comma 1 L.F., termine decorrente “dalla data della notificazione della sentenza a norma dell’art.17” (art. 18, co. 4, L.F.).

Precisamente, l’art. 17 L.F. dispone che entro il giorno successivo al deposito in cancelleria, la sentenza che dichiara il fallimento vada notificata, su richiesta del cancelliere, al debitore, eventualmente presso il domicilio eletto nel corso del procedimento, e comunicata per estratto al pubblico ministero, al curatore e al richiedente il fallimento, con la specificazione che l’estratto deve contenere il nome del debitore, il nome del curatore, il dispositivo e la data del deposito della sentenza.

L’art. 18 L.F. prosegue poi prevedendo che contro la sentenza che dichiara il fallimento possa essere proposto reclamo dal debitore e da qualunque interessato con ricorso da depositarsi nella cancelleria della Corte d’appello nel termine perentorio di trenta giorni, termine che come precisato al comma 4 decorre per il debitore dalla data della notificazione della sentenza.

Premettendo che l’eccezione è stata ritenuta fondata e meritevole di accoglimento, la Corte d’Appello ha rilevato come risultasse dall’attestazione telematica che in data 31.01.2022 la Cancelleria fallimentare del Tribunale di Cosenza aveva notificato a mezzo pec la sentenza dichiarativa di fallimento, oggetto del reclamo, ex art. 170 c.p.c., all’indirizzo di posta elettronica certificata dell’avvocato procuratore speciale costituito nel giudizio pre-fallimentare.

I Giudici hanno evidenziato come, ai sensi dell’art. 16, comma 4, D.L. 18.10.2012, n. 179 (convertito in L. 17.12.2012 n. 221), “Nei procedimenti civili e in quelli davanti al Consiglio nazionale forense in sede giurisdizionale, le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici”.

Pertanto, la notificazione della sentenza dichiarativa del fallimento da parte della Cancelleria all’indirizzo pec del procuratore domiciliatario era da ritenersi idonea a far decorrere il termine per impugnare ex art. 18 .L.F.; e ciò ancorché la società fallita, nell’atto di costituzione in giudizio, avesse optato per un’elezione di “domicilio fisico” presso lo studio dell’avvocato.

Al riguardo, la Corte di Catanzaro ha richiamato la giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione la quale ritiene che, alla luce della vigente normativa, il “domicilio fisico” costituisca un’alternativa al “domicilio digitale”, e che, dunque, debba considerarsi come validamente effettuata la notifica al “domicilio digitale” pure in caso di espressa elezione di “domicilio fisico”.

In particolare, si è riportato un precedente della giurisprudenza di legittimità che, seppur non riguardante l’ipotesi di reclamo ex art. 18 L.F., è stato ritenuto a questa assimilabile, e in cui la Suprema Corte di Cassazione ha considerato tardivo il ricorso per cassazione in quanto la sentenza impugnata era da ritenersi, ai fini di decorrenza del termine breve, validamente notificata via pec al domiciliatario in appello oltre che al “dominus” difensore; e ciò nonostante l’elezione di “domicilio fisico” in capo all’avvocato, destinatario della notifica telematica (Cass. civ., Sez. III, Ord., 14 dicembre 2021, n. 39970).

La norma venuta in rilievo nel caso appena menzionato è quella, sempre introdotta con la L. di conversione n. 221/2012, dell’art. 16-sexies D.L. n. 179/2021, che sotto la rubrica “Domicilio digitale” stabilisce che “quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all’articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia”.

La Corte Suprema di Cassazione ha così affermato, richiamando a propria volta un’altra pronuncia di legittimità (Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., 11 febbraio 2021, n. 3557), che il “domicilio digitale” può essere utilizzato per la notificazione in questione, anche se non elide la prerogativa processuale di eleggere “domicilio fisico”, sicché le due opzioni concorrono: in tal caso, la parte aveva solo eletto domiciliazione fisica, ma la domiciliazione digitale, pur non impedendo l’utilizzo della prima, restava, per volontà dell’ordinamento, una delle due possibilità ai fini in discussione. Ne discendeva la ritualità della notifica della sentenza impugnata, nei sensi eccepiti dalla controricorrente, con conseguente sua idoneità all’attivazione del termine breve di impugnazione e tardività del ricorso.

Dunque, la validità della notificazione della sentenza dichiarativa di fallimento presso il “domicilio digitale” del procuratore della società fallita ha portato, di riflesso, a ritenere che fosse spirato il termine per la proposizione del reclamo da parte del socio illimitatamente responsabile e legale rappresentante della società fallita.

Ed invero, è stato applicato alla fattispecie il principio enunciato da Cass. civ., Sez. I, 17 novembre 2016, n. 23430, secondo cui “nel caso di dichiarazione di fallimento di una società di persone e del socio illimitatamente responsabile, anche in virtù di un ragionevole bilanciamento tra le ricordate esigenze di tutela del diritto di difesa e quelle di concentrazione e celerità dello svolgimento delle procedure concorsuali, deve ritenersi che, nel caso in cui il socio dichiarato fallito abbia anche la veste di legale rappresentante della società, la notifica della sentenza ricevuta in questa veste assicuri la piena conoscenza della decisione anche con riguardo alla dichiarazione del suo fallimento personale, con la conseguenza che da detta notifica decorre il termine breve per proporre reclamo anche nella qualità di socio illimitatamente responsabile”.

La Corte d’Appello non ha dubitato che il suddetto soggetto avesse avuto legale e completa conoscenza della sentenza che dichiarava il suo fallimento quale socio illimitatamente responsabile della snc, già al momento della notifica dell’atto presso il domicilio eletto da quest’ultima, in quanto egli aveva anche la veste di legale rappresentante della società.

Ne è derivata, pertanto, l’inammissibilità del reclamo proposto in data 2.5.2022, poiché ben oltre il termine di trenta giorni dalla notifica della sentenza impugnata avvenuta in data 31.1.2022; e la Corte d’Appello di Catanzaro, ha in definitiva dichiarato inammissibile il reclamo e condannato il reclamante al pagamento delle spese di lite.


Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., (data ud. 25/11/2020) 11/02/2021, n. 3557

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7271/2018 proposto da:

G.A., in persona del curatore pro tempore, domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCO CAMPO;

– ricorrente –

contro

LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI TRAPANI già PROVINCIA REGIONALE DI TRAPANI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE MELLINI 44, presso lo studio dell’avvocato NICOLA ADRAGNA, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA STELLA PORRETTO;

– controricorrente –

e contro

ASSESSORATO REGIONALE DELLA FAMIGLIA, DELLE POLITICHE SOCIALI E DEL LAVORO, SERVIZIO UFFICIO PROVINCIALE DEL LAVORO DI TRAPANI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 782/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 20/11/2017 R.G.N. 1032/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/11/2020 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato FRANCO CAMPO;

udito l’Avvocato NICOLA ADRAGNA per delega verbale Avvocato MARIA STELLA PORRETTO.

Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Trapani aveva dichiarato il diritto di G.A. ad essere assunto a tempo indeterminato, a decorrere dal 10.2.2009, come soggetto appartenente alle categorie protette ex L. n. 68 del 1999, e condannò la Provincia di Trapani (poi, Libero Consorzio Comunale di Trapani) al risarcimento del danno, liquidandolo in misura pari alla differenza tra quanto il G. aveva percepito dal 10.2.2009 e quanto il medesimo avrebbe percepito ove l’obbligo di assunzione fosse stato assolto.

2. Adita dal Libero Consorzio Comunale di Trapani, la Corte di Appello di Palermo, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda proposta dal G..

3. Avverso questa sentenza G.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria, al quale ha resistito con controricorso il Libero Consorzio Comunale Di Trapani.

4. L’Assessorato Regionale della Famiglia, delle Politiche Sociali e del Lavoro e il Servizio Ufficio Provinciale del Lavoro di Trapani non risultano costituiti in giudizio.

Motivi della decisione
Sintesi dei motivi.

5. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 68 del 1999, art. 3 e art. 4, comma 4, per avere la Corte territoriale affermato che il transito del lavoratore già dipendente del datore di lavoro pubblico, nella quota di riserva non comporta una novazione del rapporto che rimane immutato nè la trasformazione del rapporto di lavoro da rapporto a tempo determinato e part-time in rapporto a tempo indeterminato a tempo pieno.

6. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 68 del 1999, art. 7.

7. Sostiene l’erroneità della statuizione della Corte territoriale nella parte in cui ha affermato che, in base alla L. n. 68 del 1999, art. 7, che rinvia al D.Lgs. n. 29 del 1993, oggi D.Lgs. n. 165 del 2001, la P.A. deve procedere alleòassunzioni delle categorie protette mediante chiamata numerica degli iscritti nelle apposte liste e che a tale regola non farebbe eccezione l’ipotesi disciplinata dalla L. n. 68 del 1999, art. 4, comma 4, secondo l’indicazione di questa Corte Cass. n. 14153/2012.

8. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 4 quater e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 3 bis. Deduce che dalla documentazione acquisita agli atti del giudizio di primo grado era stato dimostrato che nel 2007 la Provincia Regionale di Trapani non rispettava la quota di assunzioni obbligatorie prevista dalla L. n. 68 del 1999, art. 3 e che l’Ufficio Provinciale del Lavoro la aveva diffidata a procedere al reclutamento della L. n. 68 del 1999, ex art. 3, conformemente alle previsioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, prescrizione alla quale la Provincia non aveva ottemperato.

9. In via preliminare deve essere esaminata la questione (affrontata funditus da entrambe le parti nel ricorso, nel controricorso e nella memoria depositata dal ricorrente), della quale si impone il rilievo d’ufficio, riguardante la ammissibilità del ricorso proposto il 20 febbraio 2018 a fronte della notifica della sentenza impugnata avvenuta il 30 novembre 2017 “nei confronti di G.A. il quale agisce con l’assistenza del curatore G.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Franco Campo nel domicilio eletto”.

10. E’ infondata la prospettazione difensiva del ricorrente, che al fine di negare la validità di detta notificazione ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione, asserisce che a seguito dell’introduzione del domicilio digitale, corrispondente all’indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza, previsto dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, conv. con modif. in L. n. 221 del 2012, la notificazione degli atti processuali deve essere effettuata unicamente all’indirizzo p.e.c. sul rilievo che soluzioni alternative sono possibili solo ove la posta certificata non funzioni”.

11. Il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-sexies, convertito dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, rubricato “Domicilio digitale”, introdotto dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 52, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, dispone che Salvo quanto previsto dall’art. 366 c.p.c., quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6-bis, nonchè dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia.

12. Il dato testuale (quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario…) attesta in modo chiaro ed inequivoco che la disposizione innanzi richiamata, nell’ambito della giurisdizione civile, fatto salvo quanto disposto dall’art. 366 c.p.c., per il giudizio di cassazione, ha depotenziato la domiciliazione ex lege presso la Cancelleria dell’ufficio giudiziario imponendo alle parti la notificazione dei propri atti presso l’indirizzo PEC risultante dagli elenchi INI PEC di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6-bis (Codice dell’amministrazione digitale), ovvero presso il ReGindE, di cui al D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, gestito dal Ministero della Giustizia, salvo nei casi di impossibilità di procedere alla notifica a mezzo PEC, per causa da addebitarsi al destinatario della notificazione.

13. Ad un tempo l’art. 16 sexies, ha ridimensionato il campo di applicazione del R.D. n. 37 del 1934, art. 82, ormai limitato nella sua applicazione al caso in cui la notificazione a mezzo p.e.c non è possibile per causa imputabile al destinatario della stessa.

14. La prescrizione prescinde, dunque, dalla stessa indicazione dell’indirizzo di posta elettronica ad opera del difensore, e trova applicazione direttamente in forza dell’indicazione normativa degli elenchi/registri dai quali è possibile attingere l’indirizzo PEC del difensore; ciò in ragione dell’obbligo gravante su quest’ultimo di comunicarlo al proprio ordine e in capo al Consiglio dell’Ordine di inserirlo sia nel registro INIPEC, che nel ReGindE. 15. In altri termini, la domiciliazione ex lege presso la cancelleria è oggi prevista solamente nelle ipotesi in cui le comunicazioni o le notificazioni della cancelleria o delle parti private non possano farsi presso il domicilio telematico per causa imputabile al destinatario (Cass. n. 14140 del 2019, n. 14914 del 2018, Cass. 17048/2017).

16. Deve, però, escludersi che il regime normativo concernente l’identificazione del c.d. domicilio digitale abbia soppresso la prerogativa processuale della parte di individuare, in via elettiva, uno specifico luogo fisico come valido riferimento, eventualmente in associazione al domicilio digitale, per la notificazione degli atti del processo alla stessa destinati (Cass. 1982/2020, Cass. 2942/2019, Cass. 22892/2015).

17. Quest’ affermazione non contrasta con i principi affermati nella decisione di questa Corte n. 10355 del 2020 relativa a fattispecie, diversa da quella in esame, nella quale veniva in rilievo la notificazione della sentenza di appello effettuata presso il domiciliatario nonostante l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore costituito.

18. Prevista per agevolare le comunicazioni di cancelleria e le notificazioni delle parti, l’indicazione della PEC non rende, infatti, inapplicabile l’intero insieme delle norme e dei principi sulla domiciliazione nel giudizio, soprattutto allorchè sia la stessa parte o il suo difensore a designare l’elemento topografico dell’elezione di domicilio in maniera compatibile con le regole del processo.

19. Deve, pertanto, affermarsi che ai fini della decorrenza del termine breve per proporre ricorso per cassazione, anche dopo l’introduzione del “domicilio digitale” (D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, conv. con modif. in L. n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, conv., con modif., in L. n. 114 del 2014), resta valida la notificazione effettuata presso il domicilio fisico ove il destinatario abbia scelto, eventualmente in associazione a quello digitale, di eleggervi il domicilio.

20. Nella fattispecie in esame è indiscusso che vi era stata esplicitata elezione del domicilio fisico (topograficamente coincidente con l’indirizzo dello studio del difensore dell’odierno ricorrente costituito in giudizio) e che non vi fu alcuna scelta di ricevere le notificazioni e/o le comunicazioni presso l’indirizzo p.e.c..

21. Dall’esame degli atti del giudizio emerge, inoltre, che la sentenza impugnata era stata notificata in data 30.11.2017 “nei confronti di G.A. il quale agisce con l’assistenza del curatore G.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Franco Campo nel domicilio eletto” ed era stata ricevuta da quest’ultimo, raggiungendo lo scopo di provocare e attivare l’attività di impugnazione, scopo proprio della notificazione della sentenza (Cass. Sez. Un. 20866 del 2020; Cass. 2396 del 2020, Cass. 16663 del 2018, Cass. n. 2220 del 2016, Cass. 7365 del 2010, Cass. 11093 del 1998).

22. La notifica effettuata a G.A. presso il difensore costituito, al di là della formula letterale che è stata oggetto di specifica contestazione da parte del ricorrente, è idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione.

23. La notificazione della sentenza munita della formula esecutiva alla parte presso il procuratore costituito, è, infatti, equivalente alla notificazione al procuratore stesso, prescritta dagli artt. 285 e 170 c.p.c., ed è pertanto idonea a far decorrere il termine di sessanta giorni per proporre ricorso per cassazione previsto dall’art. 325 c.p.c., comma 2 (Cass. 2974/20020, Cass. 11216/2008).

24. Come già evidenziato, è indiscusso tra le parti, e la circostanza emerge dall’esame degli atti, che il ricorso per cassazione è stato notificato al Libero Consorzio del Comune di Trapani il 20 febbraio 2018, ben oltre, quindi il termine di sessanta giorni previsto dall’art. 325 c.p.c., u.c., decorrente, ai sensi dell’art. 326 c.p.c., comma 1, dalla data della notificazione della sentenza impugnata (come detto 30 novembre 2017).

25. Va, in conclusione dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

26. La complessità della questione concernente la validità della notifica della sentenza impugnata giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

27. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.
La Corte;

Dichiara il ricorso inammissibile.

Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2021


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 27/01/2023) 18/04/2023, n. 10282

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’AQUINO Filippo – Presidente –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO VISCIDO Maria Giulia – Consigliere –

Dott. SALEMME Andrea Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26239-2016 R.G. proposto da:

A.A. DI B.B. e C Snc , elettivamente domiciliata in ROMA VIA VITTORIA COLONNA 40, presso lo studio dell’avvocato DI CAPUA ALBERTO, rappresentata e difesa dall’avvocato SANGIOVANNI GIUSEPPE (SNGGPP63S18A345I);

-ricorrente-

CONTRO

AGENZIA DELLE ENTRATE, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO ((Omissis)) che la rappresenta e difende;

-controricorrente-

avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA-NAPOLI n. 3273-2016 depositata il 07/04/2016.Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/01/2023 dal Consigliere ANDREA ANTONIO SALEMME.

Svolgimento del processo
1. A.A. DI B.B. e C. Snc era attinta da atto di irrogazione della sanzione accessoria ex D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 12, comma 2, della sospensione dall’esercizio dell’attività per la durata di tre giorni consecutivi in esito alla contestazione nel quinquennio di quattro violazioni dell’obbligo di emettere lo scontrino fiscale.

Ai fini del presente giudizio, rileva che l’atto di contestazione della quarta violazione era stato notificato due volte, avendo l’Agenzia delle entrate provveduto alla cd. doppia notifica, mediante inoltro per la notifica ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 14 sia alla società, sia al suo legale rappresentante; l’una aveva ricevuto la notifica in data 26 aprile 2012, l’altro in data 20 aprile 2012.

2. La società proponeva ricorso avanti la CTP di Napoli per intervenuta decadenza dell’amministratore dal potere di irrogare sanzioni in quanto l’atto era stato notificato oltre il previsto termine di sei mesi dalla quarta contestazione.

2.1. Con sentenza n. 13766 del 28 maggio 2014, la CTP di Napoli accoglieva l’eccezione di decadenza.

3. L’Agenzia delle entrate proponeva appello, che la CTR della Campania accoglieva, osservando:

– la motivazione della sentenza di primo grado è contraddittoria: “mentre da un lato si dà atto delle regolarità del provvedimento impugnato e della tempestività della notifica, facendo decorrere il termine di sei mesi dall’ultima notifica dell’atto di contestazione avvenuta il 26/04/2012, poi si considera (la stessa) non idonea alla prova della avvenuta notifica, sul presupposto della mera contestazione da parte della società contribuente”;

– “deve invece ritenersi che (…) l’eccezione relativa alla tardività della notifica del provvedimento con il quale l’Ufficio irrogava le sanzioni accessorie risulti (…) priva di fondamento”;

– il termine di sei mesi è rispettato, “atteso che nel caso in esame l’Ufficio provvedeva a notificare l’avviso di irrogazione di sanzioni una prima volta il 20/04/2012 all’amministratore della società appellata Sig. B.B. e una seconda volta il 26/04/2012 con ulteriore raccomandata inviata alla società A.A. di B.B. e C. s.n.c.”;

– “avendo l’amministrazione finanziaria provveduto ad una doppia notifica appare corretto considerare quale ‘dies a quò, per far decorrere il termine di sei mesi previsto dalla legge, l’ultimo atto notificato alla società nelle mani del legale rappresentante, non comprendendosi per quale motivo e sulla base di quale presupposto di legge dovrebbe tenersi conto solo della prima raccomandata”.

4. Avverso la sentenza della CTR propone la società ricorso per cassazione con tre motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso. La società deposita memoria, mediante la quale ulteriormente illustra i motivi di cui al ricorso.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 12, comma 2-bis, dell’art. 149 c.p.c. e della L. n. 890 del 1982, art. 4, comma 3.

1.1. Alla stregua delle rubricate disposizioni di legge, in caso di consegna dell’atto notificando, l’efficacia della notificazione, per il notificante, retroagisce al momento dell’invio. Di conseguenza il termine di sei mesi avrebbe dovuto nella specie essere computato dal 18 aprile 2012, giorno in cui era avvenuto l’invio delle due distinte raccomandate attraverso le quali l’atto di irrogazione di sanzioni era stato rimesso alla società ed alla persona fisica che la rappresentava.

2. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 12, comma 2-bis, e dell’art. 145, comma 2, c.p.c. nel testo “ratione temporis” applicabile.

2.1. Pur non volendo accedere alla tesi di cui al primo motivo, il termine di sei mesi avrebbe dovuto, in ogni caso, computarsi dal 20 aprile 2012, giorno in cui era avvenuta la consegna al legale rappresentante della società, e non dal 26 aprile 2012, giorno in cui era avvenuta la consegna alla società. A partire dal 1 marzo 2006, l’art. 145, comma 2, c.p.c. prevede che la notificazione ad una società non avente personalità giuridica si possa fare a norma del comma precedente (ossia mediante consegna di copia dell’atto al rappresentante o alla persona incaricata) presso la sede o alla persona fisica che rappresenta l’ente. Conseguentemente, nella specie, la notificazione al legale rappresentante della società, con consegna dell’atto a quest’ultima attraverso di essa, già in data 20 aprile 2012 ha reso irrilevante la successiva consegna direttamente alla società il 26 aprile 2012.

3. Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione della Cost., art. 11, comma 6, e dell’art. 132 c.p.c. e motivazione apparente e/o perplessa ed obiettivamente incomprensibile.

3.1. La motivazione della sentenza impugnata sulla tempestività dell’atto di irrogazione è tautologica ed incomprensibile, ragion per cui essa, meramente apparente, è sostanzialmente inesistente.

4. Procedendo in ordine logico nella disamina dei motivi, rileva preliminarmente l’esame del terzo.

4.1. Esso è infondato, in quanto la motivazione della sentenza impugnata si esprime chiaramente – ed in tal senso, infatti, è stata intesa in ricorso – nel senso di individuare il “dies a quo” del termine semestrale nella seconda delle due notificazioni dell’atto di contestazione della quarta violazione effettuate dall’Agenzia delle entrate, per il fatto di avere quest’ultima “provveduto ad una doppia notifica”. In buona sostanza, secondo la CTR, la doppia notifica si perfeziona con l’ultima notificazione, nel senso che, a fronte della duplice notificazione alla società ed al legale rappresentante, quantunque quella a questi siasi perfezionata prima, è alla seconda, perfezionatasi dopo, ossia per ultima, a dover essere accordata preminenza.

Trattasi di una motivazione errata, come subito si dirà, ma non per questo perplessa e men che meno apparente.

5. Fondato è il secondo motivo.

5.1. Esso assume come presupposto che l’art. 145, comma 2, c.p.c. (nella versione vigente dal 1 marzo 2006) prevede la possibilità di effettuare la notificazione di un atto a un ente non personificato o mediante notificazione all’ente stesso nella sede legale o al legale rappresentante dello stesso nei luoghi di sua residenza o domicilio.

5.2. La previsione del novellato art. 145, comma 2, c.p.c. – che pone il criterio dell’alternatività tra la notificazione nella sede o al legale rappresentante (atteso che “la notificazione alle società non aventi personalità giuridica, alle associazioni non riconosciute e ai comitati di cui agli artt. 36 e seguenti del codice civile si fa a norma del comma precedente, nella sede indicata nell’art. 19, comma 2, ovvero alla persona fisica che rappresenta l’ente qualora nell’atto da notificare ne sia indicata la qualità e risultino specificati residenza, domicilio e dimora abituale”) – si applica, ai sensi della l. n. 263 del 2005, art. 2, comma 4, ai procedimenti instaurati successivamente al 1 marzo 2006.

5.3. Il criterio dell’alternatività della notificazione trova suggello nella costante giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, 10 maggio 2022, n. 14716; Sez. 5, 10 novembre 2020, n. 25137, Sez. 5, 7 giugno 2021, n. 17266; Sez. 5, 22 novembre 2021, n. 35889; Sez. 5, 10 maggio 2022, n. 14716; Sez. 6-3, 7 settembre 2001, n. 24061, Rv. 662217-01); così come si afferma che l’obbligo di notificazione degli atti tributari presso il domicilio fiscale ex D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. c, non esclude la possibilità di eseguire la notificazione in via alternativa a quella nella loro sede, direttamente alla persona fisica che le rappresenta, purchè ne siano indicati nell’atto la qualità, la residenza, il domicilio o la dimora abituale (Sez. 5, 10 novembre 2010, n. 25137).

5.4. Non si tratta, pertanto, di “eccesso di zelo” dell’Ufficio, bensì di notifica alternativa correttamente eseguita e sottoscritta dal destinatario. Nella specie, trattandosi di notificazioni effettuate nel 2012, deve farsi applicazione della disciplina pro tempore, ritenendosi corretta la prima notificazione, con conseguente fondatezza del motivo.

5.5. La fondatezza del secondo motivo – da cui discende l’assorbimento del primo – comporta l’annullamento della sentenza impugnata. Non essendo necessari nuovi accertamenti di fatto ex art. 384 c.p.c., la causa può essere decisa nel merito, accogliendosi il ricorso introduttivo spiegato dalla contribuente avverso l’atto di irrogazione della sanzione. Invero, come risulta dalla sentenza impugnata e dalla concorde versione delle parti, a fronte dell’essere stato l’avviso di contestazione della quarta violazione validamente (per le esposte ragioni) notificato all’amministratore della contribuente il 20 aprile 2012, la notificazione dell’atto di irrogazione della sanzione in data 22 ottobre 2012 è avvenuta oltre il termine semestrale, previsto espressamente a pena di decadenza, dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 12, comma 2-bis.

5.6. In punto spese, l’esito del giudizio comporta che, compensate integralmente tra le parti quelle di entrambi i gradi di merito, l’Agenzia delle entrate va condannata a rifondere alla contribuente quelle del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il terzo ed assorbito il primo.

Per l’effetto, in relazione al motivo accolto, annulla e cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie l’originario ricorso.

Compensa integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi di merito.

Condanna l’Agenzia delle entrate a rifondere a A.A. DI B.B. e C. Snc le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.000, oltre Euro 200 a titolo di esborsi, 15% a titolo di contributo forfetario e accessori se e in quanto dovuti.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2023


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 10/11/2022) 17/04/2023, n. 10162

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. HMELJAK Tania – rel. Consigliere –

Dott. SALEMME Andrea Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 13901/2020 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Edmond Pharma Srl , a socio unico;

– intimata – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 3689/04/2019, depositata in data 30.09.2019;

Udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Tania Hmeljak all’udienza pubblica del 10.11.2022, tenutasi secondo le modalità di cui al D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 176 del 2020;

Lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Cardino Alberto, con le quali è stato chiesto il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
La Commissione tributaria provinciale di Milano rigettava il ricorso proposto dalla Edmond Pharma Srl a socio unico avverso l’avviso di accertamento con il quale, per l’anno (Omissis), era stata recuperata l’IVA non applicata in relazione all’acquisto di beni e servizi D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ex art. 8, comma 1, lett. c).

La Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva l’appello proposto dalla società contribuente, evidenziando, per quanto ancora qui interessa, che dal contratto di locazione finanziaria, stipulato tra la ABF Leasing Srl e la Edmond Pharma Srl , a cui si riferivano le operazioni fatturate senza l’applicazione dell’IVA, non si poteva evincere la sussistenza di una clausola negoziale che vincolasse le parti al trasferimento dell’immobile da costruire, per cui era applicabile il regime del plafond di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 8, comma 1, lett. c).

L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo.

La società contribuente è rimasta intimata.

Il ricorso, già assegnato alla Sesta sezione civile, era stato rinviato a nuovo ruolo, per essere trattato in pubblica udienza, stante la novità della questione prospettata.

Motivi della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia deduce la violazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riferimento al giudicato esterno formatosi in relazione ad altra sentenza della CTR della Lombardia (n. 730/7/2019), divenuta irrevocabile in data 18.09.2019 (e, dunque, successivamente alla pronuncia della sentenza oggetto del presente ricorso), che aveva accertato, in relazione all’anno d’imposta (Omissis), che il contratto di leasing (lo stesso che rileva nel presente ricorso) si traduceva in una cessione del fabbricato, con conseguente assoggettamento ad IVA delle operazioni di fatturazione dei canoni di locazione finanziaria.

1.2 Con successiva memoria ex art. 380-bis c.p.c., la ricorrente ha chiesto di essere rimessa in termini ai sensi dell’art. 153 c.p.c., comma 2, in relazione alla non tempestiva produzione della sentenza n. 730/7/2019, con l’attestazione del suo passaggio in giudicato, precisando di averla prodotta solo in data 21.07.2020, in quanto, a causa della nota emergenza pandemica, il Direttore Generale delle Finanze, con nota prot. n. 6121 del 25.03.2020, aveva vietato, fino a nuova determina, l’accesso del pubblico agli uffici di tutte le Commissioni tributarie.

2. Il motivo è inammissibile.

2.1 La ricorrente ha sollevato, con l’unico motivo, eccezione di giudicato esterno formatosi con la sentenza n. 730/7/2019 della CTR della Lombardia, depositata in data 18.02.2019, passata in giudicato perchè non impugnata con i mezzi ordinari, la quale, nel giudizio tra le stesse parti e concernente una diversa annualità della medesima imposta (IVA per l’anno (Omissis)), aveva accertato l’assoggettabilità ad IVA delle fatture emesse per il pagamento dei canoni periodici del medesimo contratto di leasing immobiliare.

2.2 Secondo l’indirizzo ormai consolidato di questa Corte, il giudicato esterno è rilevabile di ufficio anche in sede di legittimità e, ove tale giudicato si sia formato dopo la notifica del ricorso per cassazione, la relativa produzione documentale è ammissibile fino all’udienza di discussione (Cass. S.U. n. 13916/06). Il principio della rilevabilità di ufficio del giudicato esterno, anche in sede di legittimità, va, tuttavia, coordinato con la disciplina della produzione dei documenti davanti alla Corte di cassazione, per cui, quanto il giudicato si sia formato dopo l’esaurimento dei gradi di merito, ma prima della notificazione del ricorso per cassazione, la sentenza con la relativa attestazione di definitività deve essere prodotta con la notifica del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 369 c.p.c. (ex plurimis, Cass. 26041/2016).

2.3 Ciò premesso, il deposito di detto documento doveva essere effettuato, unitamente al deposito del ricorso, entro venti giorni dalla notificazione alla controparte. Poichè la notificazione del ricorso è avvenuta a mezzo PEC in data 22.05.2020, la sentenza con l’attestazione del passaggio in giudicato doveva essere depositata entro l’11.06.2020, mentre ciò è avvenuto solo in data 21.07.2020 e, dunque, tardivamente.

2.4 La richiesta presentata ex art. 153 c.p.c., comma 2, è infondata, atteso che il presupposto della rimessione in termini è che la parte richiedente dimostri di non aver potuto esercitare tempestivamente il potere processuale per una causa a lei non imputabile o per caso fortuito o forza maggiore. Occorre, in sostanza, che vi sia un impedimento non evitabile con un comportamento diligente (Cass. n. 21794/2015).

2.5 Nella specie, la ricorrente ha dedotto che, a causa della nota emergenza epidemiologica, in tutti gli uffici delle Commissioni tributarie era stato disposto il divieto di accesso al pubblico fino a nuovo ordine, per cui non era riuscita ad ottenere copia della sentenza passata in giudicato. In realtà, la ricorrente non ha dimostrato che un divieto assoluto di accesso sia perdurato fino alla scadenza del termine per il deposito della notificazione del ricorso (11.06.2020), essendo notorio che tutti gli uffici giudiziari avevano predisposto in detto periodo parziali aperture al pubblico e consentito, comunque, modalità telematiche di trasmissione degli atti.

2.6 La ricorrente non ha documentato, pertanto, di avere trasmesso alla Commissione una richiesta di rilascio di copia della suindicata sentenza.

3. Il ricorso va, dunque, rigettato e nulla va disposto sulle spese, stante la mancata costituzione della società intimata.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 10 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 17 aprile 2023


Cons. Stato, Sez. VII, Sent., (data ud. 24/02/2023) 17/04/2023, n. 3829

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8297 del 2018, proposto da P.P., rappresentato e difeso dagli avvocati Roberto Giromini, Federico Pardini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Bolano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Marialuisa Zanobini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 243/2018, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Bolano;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.;

Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 24 febbraio 2023 il Cons. Fabrizio D’Alessandri e presenti le parti come da verbale;

Svolgimento del processo
L’odierna appellante ha impugnato la sentenza del T.A.R. Liguria, sez. I, n. 243/2018, pubblicata in data 26 marzo 2018, che ha respinto, previa riunione, i ricorsi R.G. 284/2016 e 285/2017 proposti rispettivamente per:

– l’annullamento del diniego di accertamento di conformità urbanistica del fabbricato residenziale di sua proprietà, successivo a un’ordinanza di demolizione, nonché della comunicazione con la quale il Comune di Bolano ha avvertito che si sarebbe tenuto un sopralluogo finalizzato alla verifica circa l’ottemperanza all’ordine di demolizione precedentemente adottato (R.G. 284/2016);

– l’annullamento della determinazione con cui il Responsabile dei Servizi Area Urbanistico Edilizia Privata e Ambiente ha dichiarato l’intervenuta acquisizione gratuita dell’area al patrimonio del Comune (R.G. 285/2017).

Più precisamente, con il primo ricorso n. 284 del 2016, l’odierna appellante ha impugnato la Det. n. 8 del 2 marzo 2016 con cui il Comune di Bolano ha dichiarato irricevibile per tardività la domanda di sanatoria presentata in data 18/11/2015, al fine di ottenere l’accertamento di conformità urbanistica del suo fabbricato residenziale sito nel predetto Comune, oggetto di una precedente ordinanza di demolizione, in quanto realizzato in mancanza dei prescritti titoli edilizi.

Ad avviso della ricorrente, il provvedimento risultava meritevole di annullamento perchè ritenuto viziato per violazione di legge, in quanto privo della firma autografa del Responsabile dell’Area, nonché per incompetenza perché adottato da personale privo di qualifica dirigenziale.

Successivamente, con atto di motivi aggiunti, la ricorrente ha impugnato la comunicazione del 12/03/2016 con la quale il Comune aveva avvertito che in data 31/03/2016 si sarebbe tenuto un sopralluogo volto a verificare l’ottemperanza all’ordine di demolizione precedentemente emesso, ossia in data 30/10/2007.

Con tale impugnativa, la ricorrente ha censurato la violazione dell’obbligo del preavviso di rigetto di cui all’art. 10-bis della L. n. 241 del 1990 e, analogamente a quanto dedotto con il ricorso principale, la mancanza di sottoscrizione autografa della Det. n. 8 del 2016 che avrebbe, a suo avviso, invalidato il successivo provvedimento.

Il 21 aprile 2016, in pendenza del giudizio, il Comune di Bolano ha notificato all’odierna appellante il verbale di accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione e successivamente, con Det. n. 21 del 10 febbraio 2017, ha dichiarato l’intervenuta acquisizione gratuita delle opere realizzate al patrimonio comunale, cui ha fatto seguito la nota di iscrizione presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di La Spezia.

L’odierna appellante, pertanto, con distinto ricorso R.G. n. 285 del 2017, ha impugnato quest’ultima Det. n. 21 del 2017, censurando le modalità con cui il Comune avrebbe applicato gli articoli 31 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e 45 della L.R. n. 16 del 2008, che prevedono – in caso di inottemperanza dell’ordine di demolizione – l’acquisizione non solo del bene o dell’area di sedime coperta dall’opera abusiva, ma anche di quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive purché non superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita.

Ad avviso dell’odierna appellante, infatti, il Comune, nell’individuazione dell’ulteriore superficie da acquisire, si sarebbe limitato a dar conto del rispetto del limite massimo previsto dalla richiamata normativa, senza motivare lo specifico interesse pubblico a detto ampliamento nonché le modalità di determinazione ed individuazione della superficie complessiva oggetto di acquisizione.

Inoltre, anche con tale gravame, la ricorrente ha dedotto l’illegittimità della determinazione per carenza di sottoscrizione autografa.

Il T.A.R. Liguria, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto i suddetti ricorsi, previa riunione, ritenendo:

– infondata la censura concernente la mancanza di sottoscrizione autografa in quanto, ad avviso del Giudice di prime cure, tale carenza non integrerebbe ex se motivo di invalidità dell’atto amministrativo, ove concorrano altri elementi testuali che consentano di individuare la sicura provenienza e attribuibilità dell’atto al suo autore;

– infondata e insufficientemente argomentata la doglianza concernente l’adozione della determinazione da parte di organo incompetente, atteso che non sono presenti figure dirigenziali all’interno dell’Amministrazione intimata;

– che il provvedimento impugnato con l’atto di motivi aggiunti non risulta affetto, pertanto, da invalidità derivata;

– che l’Amministrazione comunale non ha violato l’obbligo del preavviso di rigetto, stante la natura officiosa del procedimento di cui trattasi;

– infondata, infine, la censura riguardante l’errata modalità di individuazione della superficie ulteriore da acquisire, ritenendo che il Comune abbia adeguatamente motivato le determinazioni assunte sulla base della normativa urbanistica esistente e delle esigenze di utilizzabilità dell’area.

Avverso la suddetta sentenza, l’odierna appellante ha proposto il presente gravame, formulando i seguenti rubricati motivi di appello:

I. Error in iudicando sul primo motivo del ricorso n. rg 284/2016. violazione di legge. Eccesso di

potere per travisamento dei fatti, erroneità sui presupposti, mancanza dei requisiti essenziale dell’atto impugnato;

II. Error in iudicando sul secondo motivo di ricorso n. rg 284/2016. Violazione di legge. Eccesso di

potere per travisamento dei fatti, erroneità sui presupposti, mancanza dei requisiti essenziale dell’atto impugnato;

III. Error in iudicando sul primo motivo di ricorso dei motivi aggiunti. Violazione di legge. Eccesso di potere per travisamento dei fatti, erroneità sui presupposti, mancanza dei requisiti essenziali dell’atto impugnato anche in via derivata;

IV. Error in iudicando sul secondo motivo di ricorso dei motivi aggiunti. Violazione di legge con

specifico riferimento all’art. 10 bis della L. n. 241 del 1990. Eccesso di potere per travisamento, sviamento, erroneità sui presupposti, ingiustizia grave e manifesta, difetto di motivazione ed istruttoria;

V. Error in iudicando sul primo motivo del ricorso 285/2017. Violazione degli artt. 31 e 45 D.P.R. n. 380 del 2001. Eccesso di potere per travisamento, sviamento, erroneità sui presupposti, illogicità, ingiustizia, difetto di motivazione;

VI. Error in iudicando sul secondo motivo del ricorso 285/2017. violazione degli artt. 18 e 19 D.P.R. n. 445 del 2000 e L. n. 69 del 2009. eccesso potere per travisamento dei fatti, erroneità sui presupposti, mancanza dei requisiti essenziale dell’atto impugnato;

VII. Error in iudicando sulle spese di lite.

Il Comune si è costituito in giudizio in data 26 maggio 2021, concludendo per la reiezione dell’appello, in quanto inammissibile, irricevibile e infondato.

In vista dell’udienza di trattazione l’Amministrazione comunale ha depositato documenti e una memoria, con cui ha illustrato le proprie difese e replicato in maniera puntuale alle censure ex adverso proposte.

In particolare, con memoria depositata in data 16 gennaio 2023, il Comune intimato ha eccepito l’inammissibilità dell’appello per carenza di interesse, atteso che la statuizione del giudice di prime cure concernente l’intervenuto silenzio diniego, ex art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001, non sarebbe stata puntualmente censurata dalla parte appellante.

La parte resistente ha ribadito, altresì, che l’area di sedime su cui insistono gli abusi, nonché l’area necessaria alle opere analoghe a quelle realizzate sine titulo, sono state calcolate in modo esatto.

A sostegno di tale assunto, il Comune intimato ha richiamato il contenuto del documento inerente i criteri per la determinazione dell’area da acquisire, all’interno del quale risulta correttamente illustrato il procedimento seguito dall’Amministrazione nella determinazione del perimetro della c.d. pertinenza urbanistica.

L’acquisizione, infatti, sarebbe stata effettuata con quelle modalità al fine di garantire l’accesso della viabilità di uso pubblico esistente, la distanza dal perimetro del fabbricato abusivo di almeno 5 metri da ogni spigolo dello stesso, nonché ogni possibilità di manovra durante le operazioni di demolizione.

In data 7 febbraio 2023, le parti hanno depositato un’istanza congiunta di passaggio in decisione della causa sulla base degli scritti difensivi depositati.

All’udienza di smaltimento del 24 febbraio 2023, svoltasi da remoto, la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione
1. L’appello è da rigettare.

2. In via preliminare, il Collegio deve dare atto della fondatezza, relativamente al solo primo motivo di appello, dell’eccezione di inammissibilità dell’appello per carenza di interesse formulata dalla difesa comunale.

Sul punto, il Collegio osserva che, analogamente a quanto sostenuto dal giudice di prime cure, nonché evidenziato dalla parte resistente, l’eventuale accoglimento della prima censura afferente alla carenza di sottoscrizione autografa del provvedimento di rigetto (che lo renderebbe a detta dell’appellante inesistente), non consentirebbe – in ogni caso – all’odierno appellante di conseguire il pieno soddisfacimento dell’interesse fatto valere in giudizio, atteso che l’istanza di sanatoria dovrebbe ritenersi comunque rigettata dal Comune, versandosi in un’ipotesi di silenzio-diniego prevista ex lege.

Secondo la consolidata giurisprudenza amministrativa, al silenzio serbato dal Comune sull’istanza di accertamento di conformità, possono ricollegarsi gli effetti di un provvedimento esplicito di diniego, essendo pacificamente annoverato tra le ipotesi di silenzio significativo cui la legge attribuisce natura provvedimentale (Cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 07/04/2022, n. 3396; Consiglio di Stato, sezione VI, 06/06/2018, n. 3417).

In virtù della mancata impugnazione della statuizione del giudice di prime cure concernente tale profilo e del conseguente passaggio in giudicato del capo della sentenza non censurato, pertanto, deve dichiararsi l’inammissibilità dell’appello in ordine al primo motivo del ricorso, in considerazione della mancanza di utilità pratica che deriverebbe dall’accoglimento della doglianza, a causa della formazione del silenzio-diniego.

3. Fatto salvo quanto indicato, il Collegio rileva per completezza dell’esame come, in ogni caso, il primo motivo di ricorso risulti infondato anche nel merito.

Infatti, con il primo motivo di gravame, l’appellante ha censurato la sentenza nella parte in cui ha ritenuto infondata la doglianza afferente alla mancanza della sottoscrizione autografa del Responsabile Area Urbanistica Edilizia del Comune di Bolano.

Al riguardo, l’appellante ha dedotto anche in sede di appello l’illegittimità della Det. n. 8 del 02 marzo 2016 di rigetto della domanda di sanatoria per carenza del requisito essenziale della sottoscrizione ed evidenziato come la giustificazione addotta dal Comune, in ordine alle procedure utilizzate per la formazione degli originali e delle copie conformi all’epoca dell’adozione dell’atto, non potesse ritenersi sufficiente ai fini della totale irrilevanza della firma.

Ad avviso dell’appellante sarebbe stata necessaria, infatti, almeno un’attestazione di conformità della copia all’originale ad opera di un pubblico ufficiale autorizzato, non potendo ritenersi sufficiente l’apposizione della dicitura “firmato” sul duplicato del provvedimento.

In replica a quanto dedotto dalla parte appellante, l’Amministrazione comunale ha ribadito quanto già esposto in primo grado in ordine alle procedure informatiche in uso all’epoca dell’adozione del provvedimento impugnato, che avrebbero consentito la stampa di un unico originale cartaceo e di una pluralità di copie, la cui conformità sarebbe stata attestata dal funzionario, in qualità di autore dell’atto.

Il Collegio, ritiene corretto il ragionamento logico-giuridico proposto dal T.A.R. a sostegno della reiezione del motivo, in quanto l’assenza di sottoscrizione non può ritenersi invalidante qualora risulti possibile e inequivocabile l’accertamento circa la concreta riconducibilità dell’atto al suo autore.

Invero, in virtù del principio di correttezza e buona fede cui devono essere improntati i rapporti tra Pubblica Amministrazione e cittadino, l’autografia della sottoscrizione non può essere qualificata in termini di requisito di esistenza o validità giuridica degli atti amministrativi ove concorrano ulteriori elementi testuali (indicazione dell’ente competente, qualifica, ufficio di appartenenza del funzionario che lo ha adottato), emergenti anche dal contesto documentativo dell’atto, che consentano di individuare la sicura provenienza e l’attribuibilità dell’atto al suo autore (Cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 24/01/2023, n. 793; Consiglio di Stato, sez. V, 28/5/2012, n. 3119; Consiglio di Stato, sez. IV, 11/5/2007, n. 2325).

Inoltre, come già affermato, anche qualora si ritenesse che l’atto fosse inesistente, ci si troverebbe comunque al cospetto di un’ipotesi di silenzio-diniego prevista ex lege, atteso che l’art. 36 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, dispone che il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncino sulla richiesta di permesso in sanatoria entro il termine di sessanta giorni, decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata.

4. Nel merito il Collegio ritiene infondati anche gli altri motivi di appello per le ragioni che seguono.

Con il secondo motivo di appello, l’appellante ha criticato la sentenza nella parte in cui ha ritenuto infondata e insufficientemente argomentata la censura riguardante l’incompetenza dell’organo che ha adottato il provvedimento impugnato.

Ad avviso dell’odierna appellante, nella fattispecie di giudizio non possono ritenersi applicabili i presupposti di cui all’art. 109, comma 2, D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, che consentono, in assenza di personale con qualifica dirigenziale, l’attribuzione delle competenze in materia edilizia in capo ai responsabili degli uffici o servizi, in quanto, alla data di emissione del provvedimento impugnato, nel Comune di Bolano erano presenti numerose figure dirigenziali.

Al riguardo, la difesa comunale ha ribadito la competenza del Responsabile dell’ufficio,

atteso che alla data di adozione del provvedimento impugnato non risultavano presenti figure dirigenziali nella pianta organica dell’ente, in guisa tale da poter affermare la legittimazione dell’organo che ha adottato il provvedimento.

Sul punto, il Collegio ritiene che le argomentazioni esposte in sede di appello dall’appellante non sono idonee a sovvertire la valutazione effettuata dal giudice di prime cure, in quanto non è stato acquisito alcun elemento probatorio che possa attribuire rilievo alla doglianza dedotta dalla ricorrente.

La mera indicazione del rinvio all’analisi del “portale web” dell’Amministrazione comunale in ordine all’esistenza al momento dell’adozione dell’atto di figure dirigenziali all’interno del Comune, non suffragato da alcuna produzione documentale, non può ritenersi sufficiente ai fini dell’accoglimento della censura.

L’appellante avrebbe dovuto dare ben altra evidenza rispetto a tale circostanza meramente affermata sia in primo che in secondo grado e non ammessa dall’Amministrazione resistente.

Conseguentemente, va ritenuto che il Responsabile dell’ufficio comunale abbia legittimamente adottato il provvedimento di rigetto della sanatoria, tenuto conto che, in materia edilizia, la normativa statale è univoca nel consentire ai Comuni sprovvisti di personale con qualifica dirigenziale l’attribuzione delle funzioni previste dall’art. 107, commi 2 e 3, D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, ai responsabili degli uffici o servizi (Cfr., ex multis, Consiglio Stato, Sez. V, 15/10/2009, n. 6327; Cons. Stato, sez. IV, 31/03/2009, n. 2024).

5. Con il quarto motivo di doglianza, l’appellante contesta il ragionamento logico-giuridico seguito dal Giudice di prime cure. Quest’ultimo, nel ritenere infondata la censura riguardante l’omissione del “preavviso di rigetto”, in virtù della natura officiosa del procedimento, non avrebbe analizzato correttamente le garanzie partecipative sottese all’istituto di cui all’art. 10-bis della L. 7 agosto 1990, n. 241.

In altri termini, l’appellante ritiene che la mancata adozione del preavviso di rigetto abbia invalidato la comunicazione del 12 marzo 2016, ritenuta completamente immotivata, irrituale e, pertanto, violativa del diritto partecipativo dell’appellante.

Ad avviso del Collegio, anche tale motivo si appalesa infondato in quanto, come sostenuto correttamente dal T.A.R., l’atto impugnato risulta attinente a una procedura ufficiosa volta all’acquisizione gratuita del bene abusivo che non necessita dell’obbligo di comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, previsto dall’articolo 10-bis della L. 7 agosto 1990, n. 241, soltanto per i procedimenti ad istanza di parte (ex pluris: Consiglio di Stato, sez. V, 30.12.2015, n. 5868; Consiglio di Stato, Sez. V, 3/05/2012, n. 2548).

6. Con il quinto motivo di appello, sono state contestate le argomentazioni della sentenza impugnata in ordine all’individuazione della complessiva area oggetto di acquisizione comunale.

In sintesi, l’appellante sostiene che il Comune non abbia adeguatamente motivato l’interesse pubblico sotteso all’acquisizione gratuita della porzione ulteriore rispetto a quella coincidente con l’area su cui insistono le opere contestate e che difetterebbe il nesso funzionale tra i due acquisti.

Sempre secondo l’appellante, l’area di acquisizione individuata dal Comune eccede largamente la necessità di garantire un accesso dalla viabilità ad uso pubblico esistente e una distanza dal perimetro del fabbricato abusivo di 5 metri in tutti i punti.

Inoltre, l’individuazione dell’area oggetto di acquisizione si appaleserebbe errata poichè il Comune intimato non avrebbe considerato che la ricorrente è proprietaria di 30.000 mq di terreno, a fronte dei 12.682 mq riconosciuti.

Sul punto, il Collegio ritiene non sussista alcun difetto di motivazione e sia condivisibile quanto illustrato dal giudice di prime cure in ordine all’esatta individuazione dell’area oggetto di acquisizione gratuita.

E invero, sulla base degli atti processuali e dei documenti versati nel giudizio, sono emerse le modalità di calcolo con cui l’Amministrazione è pervenuta all’individuazione dell’”area ulteriore”.

Dal contenuto dell’ordinanza di demolizione n. 81 del 30/10/2007, del provvedimento di rigetto della istanza di sanatoria, del provvedimento di acquisizione gratuita delle opere, nonché della planimetria catastale, della documentazione fotografica e degli allegati criteri per l’individuazione dell’area, si evince esplicitamente la superficie complessiva del fabbricato realizzato abusivamente, pari a 126,82 mq., la zona urbanistica in cui ricade il predetto manufatto, nonché le modalità di calcolo dell’area circostante acquisibile.

L’Amministrazione comunale, infatti, in ottemperanza a quanto previsto dagli articoli 31, comma 3, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e 45 della L.R. n. 16 del 2008, ha esplicitato

correttamente la superficie necessaria alla realizzazione di opere analoghe a quelle realizzate abusivamente, pari a 12.682 mq, poi ridotta a 1.268,20 mq., ai fini del rispetto del limite massimo di dieci volte la superficie utile abusivamente costruita.

A ciò si aggiunga che, come può evincersi dalla planimetria catastale, la predetta superficie garantisce l’accesso dalla viabilità ad uso pubblico esistente e una distanza dal perimetro del fabbricato abusivo di almeno 5 metri, al fine di garantire la possibilità di manovra durante le operazioni di demolizione.

Tali motivazioni, peraltro, costituendo esercizio di discrezionalità tecnica dell’Amministrazione, non possono essere sindacate se non per evidente violazione di criteri di ragionevolezza o illogicità o per travisamento dei fatti; profili che il Collegio ritiene non siano ravvisabili nel caso in esame.

7. Per le ragioni suindicate, che hanno confermato la legittimità degli atti gravati, devono ritenersi prive di pregio anche le doglianze, di cui al terzo e sesto motivo di appello, con cui è stata dedotta l’illegittimità, in via derivata, dell’atto impugnato con i motivi aggiunti, nonché della Det. n. 21 del 10 febbraio 2017 con cui il Comune ha dichiarato l’intervenuta acquisizione gratuita delle opere realizzate al patrimonio comunale.

8. Infondato è, altresì, il settimo motivo di appello volto a contestare genericamente la condanna alle spese in primo grado, che va rigettato in ragione della circostanza che il Collegio di primo grado ha seguito il corretto criterio della soccombenza e che la sentenza è stata confermata in questa sede di appello.

9. Per quanto suindicato, l’appello in epigrafe deve essere respinto, con conferma della sentenza di primo grado.

Le spese del grado di appello seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna l’appellante alla rifusione delle spese e degli onorari del grado di giudizio di appello, che liquida in € 4.000,00, oltre accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Conclusione
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 febbraio 2023 con l’intervento dei magistrati:

Marco Lipari, Presidente

Raffaello Sestini, Consigliere

Giovanni Tulumello, Consigliere

Laura Marzano, Consigliere

Fabrizio D’Alessandri, Consigliere, Estensore


Ministero dell’economia e delle finanze – Decreto 14 aprile 2023

Individuazione delle misure relative al costo della notifica degli atti degli enti locali correlata all’attivazione di procedure esecutive e cautelari a carico del debitore.2

1Pubblicato nella Gazz. Uff. 29 aprile 2023, n. 100.

2Emanato dal Ministero dell’economia e delle finanze.

Preambolo

Capo I

Disposizioni In Materia Di Ripetibilità Delle Spese Di Notifica

Art. 1. Ripetibilità delle spese di notifica

Art. 2. Costo della notifica

Art. 3. Esclusioni

Art. 4. Decorrenza

Capo II

Disposizioni in materia di determinazione dei diritti, oneri e spese per la fase esecutiva

Art. 5. Misure del rimborso delle spese esecutive a carico dei debitori

Art. 6. Coefficienti di maggiorazione

Art. 7. Rimborso delle spese sostenute per le attività funzionalmente connesse allo svolgimento della procedura di riscossione coattiva

Art. 8. Imposte di registro e quelle sugli atti giudiziari

Art. 9. Decorrenza

Capo III

Disposizioni finali

Art. 10. Annullamento o inesigibilità del credito

Art. 11. Oneri connessi agli istituti di vendite giudiziarie

Art. 12. Aggiornamento delle spese di notifica ed esecutive

Art. 13. Pubblicazione

Tabella allegato A

Tabella allegato B

Preambolo

IL DIRETTORE GENERALE DELLE FINANZE

Visto l’art. 1, comma 803, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, il quale stabilisce che i costi di elaborazione e di notifica degli atti degli enti locali e quelli delle successive fasi cautelari ed esecutive sono posti a carico del debitore;

Visto l’art. 1, comma 803, lettera b), della legge n. 160 del 2019 il quale prevede, tra l’altro, che con decreto non regolamentare del Ministero dell’economia e delle finanze sono individuate le misure concernenti il costo della notifica degli atti correlata all’attivazione di procedure esecutive e cautelari a carico del debitore, ivi comprese le spese per compensi dovuti agli istituti di vendite giudiziarie e i diritti, oneri ed eventuali spese di assistenza legale strettamente attinenti alla procedura di recupero, nonché le tipologie di spesa oggetto del rimborso e che nelle more dell’adozione del provvedimento, con specifico riferimento alla riscossione degli enti locali, si applicano le misure e le tipologie di spesa di cui ai decreti del Ministero delle finanze 21 novembre 2000 e del Ministro dell’economia e delle finanze 12 settembre 2012;

Visto l’art. 1, comma 784, della legge n. 160 del 2019 secondo il quale le disposizioni di cui ai commi da 786 a 814 si applicano alle province, alle città metropolitane, ai comuni, alle comunità montane, alle unioni di comuni e ai consorzi tra gli enti locali, di seguito complessivamente denominati «enti»;

Visto l’art. 52, comma 5, lettera b), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 che disciplina la facoltà di affidare a terzi, anche disgiuntamente, l’accertamento e la riscossione dei tributi e di tutte le entrate, nel rispetto della normativa dell’Unione europea e delle procedure vi-genti in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali;

Visto l’art. 26 del decreto legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, concernente la Piattaforma per la notificazione digitale degli atti della pubblica amministrazione, di cui all’art. 1, comma 402, della legge n. 160 del 2019, il quale al comma 2, lettera c), stabilisce che per «amministrazioni» devono intendersi le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, gli agenti della riscossione e, limitatamente agli atti emessi nell’esercizio di attività ad essi affidate ai sensi dell’art. 52 del decreto legislativo n. 446 del 1997, i soggetti di cui all’art. 52, comma 5, lettera b), numeri 1), 2), 3) e 4), del medesimo decreto legislativo;

Visto il decreto del Ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale 30 maggio 2022 sull’«individuazione dei costi e dei criteri e modalità di ripartizione e ripetizione delle spese di notifica degli atti tramite la piattaforma di cui all’art. 26, comma 14 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76»;

Ritenuto che per la determinazione della misura delle spese di notifica si possa procedere a una rivalutazione di quelle previste nel decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 12 settembre 2012 tenuto conto dell’incremento dei costi applicati da Poste Italiane S.p.a. per ogni tipologia d’invio;

Ritenuto che per la determinazione della misura delle spese esecutive a carico del debitore si possa far riferimento agli importi indicati nella tabella A allegata al decreto del Ministero delle finanze 21 novembre 2000, attualizzati tenendo conto degli incrementi registrati dall’indice Istatindice dei prezzi al consumo per famiglie, operai e impiegati – dal mese di gennaio 2001 al mese di dicembre 2021;

Ritenuto che la misura dei rimborsi delle spese per le procedure esecutive vada applicata in misura fissa per crediti non superiori a euro cinquecento, mentre per importi superiori deve essere applicato un coefficiente di maggiorazione, graduato in funzione dell’entità del credito, atto a rappresentare la maggiore onerosità riconducibile al corretto svolgimento di attività esecutive ai fini del recupero di crediti di rilevante importo;

Considerato che oltre al rimborso delle spese per le procedure esecutive svolte direttamente, agli enti e ai soggetti di cui all’art. 52, comma 5, lettera b) del decreto legislativo n. 446 del 1997 compete anche il rimborso delle spese vive sostenute per le attività necessariamente svolte da soggetti esterni, funzionalmente connesse allo svolgimento delle procedure di riscossione coattiva, da rimborsarsi nelle misure risultanti da tariffe ufficiali e sulla base di atti di liquidazione corredati di idonea documentazione;

Ritenuto di non dover procedere alla revisione dei regolamenti di cui ai decreti del Ministro dell’economia e delle finanze 18 dicembre 2001, n. 455, del Ministro di grazia e giustizia 11 febbraio 1997, n. 109, e del Ministro della giustizia 15 maggio 2009, n. 80, per quanto riguarda gli oneri connessi agli istituti di vendite giudiziarie che pertanto continuano a trovare applicazione in forza della previsione dell’art. 1, comma 803, lettera b), della legge n. 160 del 2019;

EMANA

il seguente decreto:

Capo I

Disposizioni In Materia Di Ripetibilità Delle Spese Di Notifica

Art. 1. Ripetibilità delle spese di notifica

  1. Sono ripetibili le spese per i compensi di notifica degli atti impositivi e degli atti di contestazione e di irrogazione delle sanzioni e di sollecito, stabiliti in applicazione della legge 20 novembre 1982, n. 890, quelle derivanti dall’esecuzione degli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile, dell’art. 1, commi 792 e seguenti della legge 27 dicembre 2019, n. 160, nonché le spese derivanti dall’applicazione delle altre modalità di notifica previste da specifiche disposizioni normative.
  2. Per la ripetizione delle spese di notifica degli atti tramite la piattaforma per la notificazione digitale degli atti della pubblica amministrazione di cui all’art. 26 decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, si applica il decreto del Ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale 30 maggio 2022.

Art. 2. Costo della notifica

  1. L’ammontare delle spese di cui all’art. 1, ripetibile nei confronti del destinatario dell’atto notificato, è fissato nella misura unitaria di euro 7,83 per le notifiche effettuate mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento, di euro 6,51 per le raccomandate semplici, di euro 2 per le notifiche effettuate mediante l’invio a mezzo posta elettronica certificata, di euro 11,55 per le notifiche effettuate ai sensi dell’art. 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 14 della legge 20 novembre 1982, n. 890 e di euro 1,33 per i solleciti inviati a mezzo posta ordinaria ai sensi dell’art. 1, comma 795 della legge n. 160 del 2019.
  2. L’ammontare delle spese di cui all’art. 1, escluse quelle relative alla traduzione degli atti, ripetibili nei confronti del destinatario degli atti stessi, è fissato nella misura unitaria di euro 12,19 per le notifiche eseguite all’estero, ai sensi dell’art. 60, primo comma, lettera e-bis), quarto e quinto comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, degli articoli 37 e 77 del decreto legislativo 3 febbraio 2011, n. 71 e dell’art. 142 del codice di procedura civile, fatto salvo quanto diversamente previsto dalle disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali.

Art. 3. Esclusioni

  1. Non sono ripetibili le spese per la notifica di atti istruttori e di atti amministrativi alla cui emanazione l’amministrazione è tenuta su richiesta.
  2. E’ esclusa, altresì, la ripetizione relativamente all’invio di qualsiasi atto mediante comunicazione, fatta salva l’applicazione dell’art. 2, comma 1.

Art. 4. Decorrenza

  1. Le spese di cui al presente Capo si applicano per gli atti emessi successivamente all’entrata in vigore del presente decreto.

Capo II

Disposizioni in materia di determinazione dei diritti, oneri e spese per la fase esecutiva

Art. 5. Misure del rimborso delle spese esecutive a carico dei debitori

  1. E’ approvata la tabella, riportata in allegato A, che fa parte integrante del presente decreto, concernente la misura del rimborso delle spese esecutive a carico dei debitori correlata all’attivazione di procedure esecutive e cautelari ai sensi dell’art. 1, comma 803, lettera b), della legge n. 160 del 2019.
  2. Il valore riportato nella tabella in allegato A, rimborsa tutti i costi e gli oneri sostenuti per l’attivazione delle procedure cautelari ed esecutive.
  3. Le spese di notifica vengono rimborsate secondo quanto previsto dal Capo I del presente decreto.

Art. 6. Coefficienti di maggiorazione

  1. Ai fini dell’applicazione dei coefficienti di maggiorazione, la misura del rimborso delle spese relative alle singole procedure esecutive, di cui alla tabella in allegato A al presente decreto, si calcola prendendo per base l’importo complessivo del credito per cui si procede.
  2. Per l’esecuzione mobiliare il diritto a percepire il rimborso della spesa sorge all’atto in cui il funzionario responsabile della riscossione si presenta per eseguire il pignoramento, anche se il contribuente paghi il suo debito all’atto stesso.

Art. 7. Rimborso delle spese sostenute per le attività funzionalmente connesse allo svolgimento della procedura di riscossione coattiva

  1. Oltre al rimborso di cui agli articoli 5 e 6, compete anche il rimborso delle spese vive, diritti ed oneri sostenuti per quelle attività, riportate nella tabella in allegato B, che fa parte integrante del presente decreto, funzionalmente connesse allo svolgimento della procedura di riscossione coattiva. Il rimborso di tali spese spetta sulla base di atti di liquidazione corredati da idonea documentazione.
  2. Per lo svolgimento delle attività comprese nella tabella in allegato B la liquidazione del relativo rimborso è calcolata utilizzando i parametri forensi previsti dalle tabelle allegate al decreto del Ministro della Giustizia 10 marzo 2014, n. 55, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto.
  3. E’, altresì, rimborsabile ogni ulteriore ed eventuale spesa, diritto od onere, documentati, non compresi nella tabella in allegato B, strettamente attinente al tentativo di recupero coattivo del credito e necessario alla finalizzazione dello stesso.

Art. 8. Imposte di registro e quelle sugli atti giudiziari

  1. Le imposte di registro e quelle sugli atti giudiziari sono a carico dell’aggiudicatario o dell’acquirente ove sia seguita l’aggiudicazione o l’acquisto; in caso contrario le stesse sono a carico del contribuente.

Art. 9. Decorrenza

  1. Le tabelle in allegato A e B si applicano per il rimborso delle spese relative agli atti emessi successivamente all’entrata in vigore del presente decreto.

Capo III

Disposizioni finali

Art. 10. Annullamento o inesigibilità del credito

  1. Nel caso di annullamento o inesigibilità del credito, fatte salve le diverse pattuizioni contrattuali, al soggetto affidatario spetta il rimborso delle spese a carico dell’ente creditore nella misura della spesa effettivamente sopportata e addebitata al debitore.

Art. 11. Oneri connessi agli istituti di vendite giudiziarie

  1. Gli oneri connessi agli istituti di vendite giudiziarie continuano a essere regolati dai decreti del Ministro dell’economia e delle finanze 18 dicembre 2001, n. 455, del Ministro di grazia e giustizia 11 febbraio 1997, n. 109, e del Ministro della giustizia 15 maggio 2009, n. 80, in forza dell’art. 1, comma 803, lettera b), della legge n. 160 del 2019.

Art. 12. Aggiornamento delle spese di notifica ed esecutive

  1. Le misure previste per le spese di notifica e per quelle esecutive di cui ai capi I e II possono essere aggiornate con cadenza triennale, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto. L’aggiornamento è effettuato ai sensi dell’art. 1, comma 803, lettera b), della legge n. 160 del 2019.

Art. 13. Pubblicazione

  1. Il presente decreto è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

Tabella allegato A

SPESE ESECUTIVE

Pignoramento mobiliare

26,00

Pignoramento presso terzi (compreso fitti e pigioni)

38,00

Pignoramento immobiliare o di mobili registrati

248,00

Istanza di insinuazione nelle procedure concorsuali

212,00

Incanto mobiliare

13,00

Vendita a trattativa privata

17,00

Incanto immobiliare

57,00

Iscrizione di causa a ruolo

11,00

Per ogni udienza davanti al giudice

57,00

Progetto di attribuzione del ricavato

38,00

Richiesta di registrazione

11,00

Asporto per procedure eseguite nell’aggregato urbano

35,00

Asporto per procedure eseguite fuori dell’aggregato urbano

57,00

Deposito:

 

a) autocarri, autotreni, autoarticolati e semirimorchi

3,90 / giorno

con portata fino a 25 q.li

4,60 / giorno/

con portata fino a 35 q.li

8,50 / giorno

con portata oltre 35 q.li

14,20 / giorno

di rimorchi ed autocarri con motrici

29,70

b) di autoveicoli

1,10 /giorno

con valore fino a euro 2.582,00 – primi trenta giorni

39,00 1,80 / giorno

con valore fino a euro 2.582,00 – giorni successivi a trenta

 

con valore superiore a euro 2.582,00 – primi trenta giorni

42,50

con valore superiore a euro 2.582,00 – giorni successivi a trenta

0,90 / giorno 68,00 1,70 / giorno

c) altri beni con valore fino a euro 2.582,00 – primi trenta giorni

 

con valore fino a euro 2.582,00 – giorni successivi a trenta

con valore superiore a euro 2.582,00 – primi trenta giorni

 

con valore superiore a euro 2.582,00 – giorni successivi a trenta

 

Comunicazione preventiva fermo amministrativo

43,00

Comunicazione preventiva iscrizione ipotecaria

212,00

Cancellazione ipotecaria

78,00

Sequestro conservativo

180,00

Coefficienti di applicazione della maggiorazione per gli importi superiori a euro 500,00

Da

A

incremento

500,01

1000,00

20,00%

1000,01

3000,00

50,00%

3000,01

5000,00

100%

5000,01

10.000,00

200%

10.000,01

20.000,00

300%

Oltre 20.000,00

 

500%

Tabella allegato B

TABELLA ATTIVITA’ SVOLTE SOGGETTE A RIMBORSO SPESE

PROCEDURE

ATTIVITA’

Pignoramento mobiliare

Stima dei beni pignorati

 

Opera di specialisti per accesso forzato

 

Assistenza forza pubblica

 

Pignoramento ex art. 521 bis c.p.c. (c.d. pignoramento auto) e relativa trascrizione presso PRA

 

Pignoramento di quote sociali, relativa trascrizione e spese di Consulenza

Tecnica d’Ufficio necessaria per la valutazione delle quote

 

Pignoramento di cose mobili

 

Intervento nell’esecuzione mobiliare

 

Pignoramento presso terzi ed eventuale giudizio di accertamento

 

Pignoramento ex art. 72 bis D.P.R. 602/73

Pignoramento immobiliare

Attività propedeutica all’avvio della procedura (iscrizione, cancellazione e riduzione ipotecaria)

 

Richiesta certificati ipotecari

 

Richiesta certificati catastali

 

Perizia Ufficio tecnico erariale

 

Trascrizione del pignoramento immobiliare

 

Istanza di vendita

 

Consulenza tecnica d’ufficio

 

Pubblicità

 

Intervento nella procedura immobiliare

Procedure concorsuali

Istanza di liquidazione giudiziale

 

Insinuazione tempestiva, tardiva ed ultra tardiva

 

Eventuale relazione del consulente tecnico di parte

Procedure di opposizione ad esecuzione,atti esecutivi e di terzo

Costituzione in giudizio e compimento di ogni attività necessaria al fine del compimento del mandato professionale

Procedure di reclamo in ambitoconcorsuale

Costituzione in giudizio e compimento di ogni attività necessaria al fine del compimento del mandato professionale

Assistenza stragiudiziale

Assistenza legale nella definizione delle procedure esecutive al fine di agevolare il recupero del credito