Corte d’Appello Catanzaro, Sez. lavoro, Sent., 09/03/2023, n. 157

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Corte D’Appello di Catanzaro
SEZIONE LAVORO

La Corte, riunita in camera di consiglio, così composta:

1. dott.ssa Barbara Fatale – Presidente rel.

2. dott. Rosario Murgida – Consigliere

3. dott.ssa Giuseppina Bonofiglio – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa in grado di appello iscritta al numero 138 del Ruolo generale affari contenziosi dell’anno 2022 e vertente

TRA

M.A., con l’Avv. DURANTE EUGENIO, che lo rappresenta e difende in virtù di procura a margine del ricorso di primo grado, presso il cui studio, sito in Lamezia Terme, via S. Miceli n. 24/O, è elettivamente domiciliato

appellante
E
ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (INPS) (C.F.:.(…) – PIVA:(…)), in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in Catanzaro, Via Milano, 9, presso l’ufficio legale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avv.ti Maria Teresa Pugliano, Giacinto Greco, Silvia Parisi e Francesco Muscari Tomaioli, giusta procura generale ad lites, ad atto Notaio Dott. P.C. ni, in R., lì (…), rep. (…), rogito (…)

appellato

e

AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE, p.iva (…), in persona del Legale Rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Catanzaro, Via V. Cortese n. 12 presso lo Studio dell’Avv. Vincenzo GALLO, da cui è rappresentata e difesa, giusta procura allegata alla memoria di costituzione in appello

appellato

Avente ad oggetto: appello avverso sentenza del Tribunale di Lamezia Terme. Obbligo contributivo

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale di Lamezia Terme, Giudice del lavoro, il 23.1.2013, M.A. ha chiesto di annullare e/o dichiarare nullo e/o di risolvere e/o rescindere e/o rettificare, e, comunque di dichiarare inefficace, l’accordo di rateazione perfezionato a seguito dell’istanza presentata dal medesimo M. il 29.1.2012 ed accettata da Equitalia Sud Spa con comunicazione del 14.2.2012, avente ad oggetto “Accoglimento dell’istanza di rateazione protocollo n. (…) del 31/01/2012 presentata dal CF: (…)”. Ciò poiché nell’accettazione della rateazione: a) è stato erroneamente computato l’importo pari ad Euro 269.213,15, riportato attraverso l’espresso richiamo della cartella di pagamento n. (…) e del sotteso Decreto Ingiuntivo n. 44/2001, che è titolo giudiziale in verità emesso per un credito di gran lunga inferiore e pari a L. 2.211.877 (quindi poco oltre i 2 milioni di L.); b) è stato erroneamente computato anche l’importo di Euro 56.182,89, riportato attraverso l’espresso richiamo della cartella di pagamento n. (…). Le dette somme, ed i relativi titoli, sono stati erroneamente inseriti da Equitalia nel piano di rateazione, e non erano presenti nella istanza del M., la quale non conteneva alcun importo né il riferimento ad alcuna specifica cartella di pagamento. Invero il M. aveva formulato l’istanza di rateazione in modo del tutto generico al solo fine di eliminare ogni pendenza nei confronti dell’agente della riscossione, chiedendo semplicemente e genericamente di rateizzare tutti i debiti in quel momento esistenti. Sulla scorta di tali vizi ed errori, il ricorrente ha chiesto la condanna dei convenuti Equitalia e Inps, in solido tra loro, alla restituzione delle corrispondenti maggiori somme non dovute, medio tempore versate, maggiorate di interessi e rivalutazione, dal dì del dovuto sino all’integrale soddisfo. Sempre nel ricorso, l’istante ha chiesto al Tribunale di accertare la prescrizione di tutti i crediti riportati nelle due cartelle sopra indicate, e nella specie l’intervenuta prescrizione decennale del credito INPS contenuto nel citato D.I. n. 47 del 2001, emesso dal Tribunale del Lavoro di Lamezia Terme in data 1.9.2001 per il valore di L. 80.848,596 (quindi oltre 80 milioni di L.), che è titolo non compreso nella cartella impugnata, ove si fa invece espresso riferimento al diverso decreto ingiuntivo n. 44/2001. Ciò poiché il credito contenuto nel decreto ingiuntivo n. 47/2001 era stato azionato – da ultimo – con la notifica dell’atto di pignoramento avvenuta il 21.12.2001, e questo ha rappresentato l’ultimo atto interruttivo della prescrizione. Invero la procedura è stata dichiarata estinta e dunque non si è mai formato alcun successivo atto e/o provvedimento che abbia potuto interrompere – nuovamente – la prescrizione decennale. Il relativo credito si è pertanto prescritto il 21.12.2011, dunque in epoca antecedente alla istanza di rateazione del M. (del 29.1.2012) e della sua accettazione da parte di Equitalia, e quindi, è ovvio, in epoca anteriore all’instaurazione del presente giudizio. In ogni caso ed infine, il ricorrente ha chiesto il risarcimento dei danni cagionati in seguito e per l’effetto della erronea e/o colposa e/o dolosa iscrizione a ruolo da parte dell’INPS e di Equitalia delle somme di cui alla ripetuta cartella n. (…), e dunque della fittizia esposizione debitoria cagionata in danno al ricorrente, costretto ad accettare una rateazione a condizioni ben più svantaggiose di quelle di cui avrebbe usufruito se fosse stato invitato a rateizzare solo le somme – ben più modiche – effettivamente dovute. Allo stesso modo ha eccepito la prescrizione del credito INAIL riportato nella cartella di pagamento n. (…).

In giudizio si sono costituiti i resistenti Equitalia, INPS ed Inail, i quali hanno chiesto il rigetto delle domande del ricorrente.

Il processo è stato istruito tramite prova per testi ed in via documentale, ed è stato dichiarato interrotto in data 19/01/2018, a seguito dell’assorbimento di Equitalia in Agenzia delle Entrate Riscossione. Esso è stato poi riassunto dal ricorrente in data 11/4/2018 tramite il deposito di ricorso in riassunzione.

Il Tribunale ha rigettato il ricorso alla luce delle seguenti argomentazioni:

“Ai fini della decisione ritiene opportuno questo Giudice che sia necessario fare alcune precisazioni. Riguardo al riconoscimento del debito e dell’effetto interruttivo della istanza di rateizzazione, la S.C. ha avuto modi confermare con decisioni dal n.12731 al 12735 del 2020 che “… Va rammentato che, in materia tributaria, non costituisce acquiescenza, da parte del contribuente, l’aver chiesto ed ottenuto, senza alcuna riserva, la rateizzazione degli importi indicati nella cartella di pagamento, atteso che non può attribuirsi al puro e semplice riconoscimento d’essere tenuto al pagamento di un tributo, contenuto in atti della procedura di accertamento e diriscossione (denunce, adesioni, pagamenti, domande di rateazione o di altri benefici), l’effetto di precludere ogni contestazione in ordine all’an debeatur, salvo che non siano scaduti i termini di impugnazione e non possa considerarsi estinto il rapporto tributario (Cass. n. 3347 del 2017). Correttamente, pertanto, la CTR ha escluso che l’istanza di rateazione avanzata dalla contribuente costituisse acquiescenza, rilevando, altresì, ai fini del decorso del termine di impugnazione, che la presentazione di tale istanza non comportava l’effettiva conoscenza della cartella di pagamento, ben potendo il contribuente richiedere il pagamento rateale per finalità (evitare di subire un’esecuzione o misure cautelar’) che non presuppongono il riconoscimento del debito. …” . Già con precedenti decisioni la S.C. ha avuto modo di affermare che “… Considerato che la Corte territoriale, confermando la decisione del giudice di primo grado – premesso che l’atto di riconoscimento di debito per avere effetto interruttivo della prescrizione deve essere univoco e sorretto da specifica intenzione ricognitiva, dovendosi escludere tale effetto escludere quando abbia finalità diverse – ha ritenuto che tale valore non potesse nel caso attribuirsi alla richiesta di rateizzazione, valorizzando le dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società – già valutate dal giudice di primo grado – a conferma di una diversa volontà da parte del debitore, confermata a pochi mesi di distanza dalla presentazione dell’istanza di trattazione del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado in cui si faceva anche valere l’intervenuta prescrizione. Il primo motivo di ricorso di Equitalia Servizi di Riscossione è dunque inammissibile, in quanto valorizza solo la presentazione dell’istanza di rateizzazione ed il pagamento di alcune delle rate, senza confutare la motivazione della Corte che ha avuto riguardo alla volontà ivi espressa dalla parte, quale ricostruita anche in base al comportamento complessivo da questa tenuto, ritenuta non univocamente significativa della volontà ricognitiva. …” (S.C. n.13506/2018) ed ancora con Ordinanza n.16098/2018 ha avuto modo di precisare ulteriormente che “… Con il primo motivo la ricorrente denuncia in rubrica violazione dell’art. 100 c.p.c., artt. 2 e 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sviluppando nel corpo dell’articolazione della censura, in relazione alla giurisprudenza della Corte ivi richiamata, l’argomentazione anche in relazione alla violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, rilevando l’erroneità dell’impugnata pronuncia nella parte in cui ha ritenuto ammissibile l’originaria impugnazione proposta dal contribuente avverso le cartelle ed i ruoli in questione per il tramite di estratto di ruolo, quantunque le risultanze probatorie avessero dimostrato che il contribuente aveva acquisito piena conoscenza di tutte le cartelle in questione, la cui impugnazione doveva ritenersi quindi inammissibile perchè tardiva, non potendo assumersi – una volta notificate le cartelle – l’autonoma impugnabilità dell’estratto di ruolo quale atto interno dell’Amministrazione. Il motivo è manifestamente fondato alla stregua dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 2 ottobre 2015, n. 19704), che hanno chiarito che la tutela del contribuente può estendersi sì anche all’impugnazione delle cartelle e dei ruoli ad esse sottesi sempre che l’interesse all’impugnazione nasca effettivamente dalla conoscenza che se ne abbia, in assenza di notifica, solo per mezzo della consegna dell’estratto di ruolo, restando, al di fuori di detta ipotesi, non consentita l’impugnazione in sè dell’estratto di ruolo quale atto interno dell’Amministrazione. Di detto principio la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione, ritenendo che solo per una delle cartelle l’agente della riscossione avesse provato l’avvenuta rituale notifica. Per le altre cartelle per le quali l’agente della riscossione aveva prodotto documentazione comprovante la richiesta di rateizzazione del debito dalle stesse portato e finanche il pagamento di un certo numero di rate (17 su 72 del beneficio concesso), pur richiamando remoto precedente di questa Corte (Cass. sez. 1^, 19 giugno 1975, n. 2436), la sentenza impugnata se ne è in concreto discostata, perchè, se è vero che di per sè in materia tributaria, non può costituire acquiescenza da parte del contribuente l’avere chiesto ed ottenuto, senza riserva alcuna, la rateizzazione degli importi indicati nelle cartelle di pagamento, nondimeno il riconoscimento del debito comporta in ogni caso l’interruzione del decorso del termine di prescrizione e si pone quindi in maniera incompatibile con l’allegazione del contribuente di non avere ricevuto notifica delle cartelle. Ciò comporta, come chiarito più di recente anche da Cass. sez. 5, 8 febbraio 2017, n. 3347, che in tanto è possibile, comunque, la contestazione nell’an della pretesa tributaria, sempre che non siano scaduti i termini per la proposizione dell’impugnazione avverso le cartelle, nella fattispecie in esameampiamente decorsi all’atto della proposizione del ricorso in primo grado, avuto riguardo alla data del 15 gennaio 2012 dei provvedimenti che avevano autorizzato la rateizzazione del debito richiesta dal contribuente. Il ricorso è dunque fondato in relazione al primo motivo, ciò comportando l’assorbimento del terzo, e la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, ex art. 382 c.p.c., perché la causa non avrebbe potuto essere proposta. …”. Alla luce di quanto sinora esposto, quindi, vista la giurisprudenza, non si può non confermare il principio che sottoscrivere un piano di rateizzazione con Agenzia delle Entrate Riscossione non costituisce riconoscimento del debito, ma può comportare al limite una riapertura dei termini di prescrizione, salvo che non siano già decorsi ed in mancanza legittimando eventualmente l’ente ad intraprendere nuove azioni esecutive in danno del debitore. Valutazione quest’ultima che sarà, eventualmente, affrontata ove dovesse presentarsi l’esigenza d’analisi di una simile circostanza nel caso in specie. In aggiunta a quanto si rende necessario precisare che la S. C. a Sezioni Unite, con la sentenza n.23397/2016 ha affermato il principio, costante in giurisprudenza di legittimità, non per ultime la n.18360 e n.18362 del 20020, n.1088 e n.6888 del 2019, la n.23418/2018, di cui deve farsi applicazione, secondo il quale “… La scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 3, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo sena determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 333 del 1993, art. 3, commi 9 e 10) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che, dal 1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (D.L. n. 78 del 2010, art. 30, conv., con modif., dalla L. n. 122 del 2010). …”. Orbene, nel caso in esame, parte ricorrente lamenta, l’intervenuta prescrizione dei crediti INPS contenuti nella Cartella Esattoriale n.(…) notificata in data 7.10.2010, e conseguentemente l’illegittimo inserimento della stessa nell’istanza di rateizzazione, in quanto non più riscuotibili per previsione normativa, evidenziando identica questione per l’altra cartella contenente crediti per premi INAIL, il cui esame però è stato demandato alla competenza del Giudice del Lavoro del Tribunale di Catanzaro. Inoltre, lamenta che all’interno della cartella è indicato come titolo il decreto ingiuntivo n.44/2001, mentre i contributi risultano riferirsi al decreto ingiuntivo n.47/2001, di cui non si fa menzione, per cui lo stesso risulta essersi prescritto insieme ai contributi in esso contenuti. Ritiene questo Giudice che il ricorso sulla base della documentazione in atti ed in applicazione proprio dei principi della S.C., non possa esser accolto.

Atteso che i contributi contenuti nei due decreti ingiuntivi n.44 e n.47 del 2001 risultano regolarmente azionati per stessa ammissione di parte ricorrente, con un’esecuzione terminata con l’estinzione della procedura esecutiva il 28.02.2002, e trattandosi di titoli giudiziari la prescrizione è decennale e questa inizia a decorrere certamente dal 01.03.2002 per cui sino al 28.02.2012 non poteva verificarsi alcuna prescrizione dei crediti in essi contenuti. A ciò si aggiunga che la Cartella Esattoriale n.(…) notificata in data 7.10.2010 al di là della corretta o meno indicazione del decreto ingiuntivo ritenuto azionato, indica in modo inequivocabile i contributi e gli anni richiesti in pagamento e non essendo stata opposta, pur essendo stata regolarmente notificata, per stessa ammissione di parte ricorrente che ne ha allegato l’originale in atti, ha fatto sì che questi siano divenuti intangibili, con la conseguenza che l’eventuale loro prescrizione, ove possibile, ha iniziato a decorrere dal 08.10.2010, ancorché quinquennale, per gli anni non contenuti correttamente nel decreto ingiuntivo n.44/2001, per cui la loro prescrizione al limite poteva verificarsi solo dopo il 08.10.2015 . Per cui pur ipotizzando la possibilità di eccepirne la prescrizione dei contributi in essa contenuti, questa doveva esser fatta valere con la tempestiva opposizione alla cartella esattoriale, ma così non è stato, rendendo il suo contenuto irretrattabile, come da giurisprudenza richiamata. Negli atti di causa, fascicolo INPS, vi è un atto di precetto, regolarmente notificato al M. inerente il decreto ingiuntivo n.47/2001, considerato che si intima il pagamento di £.80.848.596 più accessori ecorrispondente all’importo del decreto richiamato, e notificato il precetto il 02.12.2002, per cui anche in questo caso gli importi dei contributi contenuti in detto titolo esecutivo giudiziario, in mancanza di altri atti interruttivi, si sarebbero prescritti a decorrere dal 01.12.2012. Da quanto sopra, essendo l’istanza di rateizzazione è del 31.01.2012, l’Agente della Riscossione ha correttamente inserito la Cartella Esattoriale n.(…), la quale non risulta esser prescritta e ne lo sono i contributi in essa contenuti, per le ragioni su esposte. Conseguenza di quanto sopra è che il ricorso risulta privo di fondamento, non essendoci alcuna prescrizione contributiva, né tantomeno risulta fondata l’affermazione di un abuso dell’Agente per la Riscossione nell’inserire la cartella in questione in quelle da rateizzare, per le ragioni su esposte. Riguardo alla Cartella Esattoriale contenente i crediti INAIL, per come già evidenziato, si è già disposto con Ordinanza d’incompetenza territoriale in favore del Giudice del Lavoro di Catanzaro, conseguentemente, la valutazione ha riguardato solo ed esclusivamente la Cartella Esattoriale n.(…) notificata in data 07.10.2010, sulla cui avvenuta notifica e non opposizione, nel termine di 40 gg dalla sua notifica ai sensi dell’art. 24 del D.Lgs. n. 46 del 1999, non vi è contestazione. Riguardo all’eccezione di inammissibilità avanzata da parte ricorrente inerente il deposito della memoria di costituzione da parte dell’INPS dopo al riassunzione avvenuta cartaceamente e non già per via telematicamente, questa oltre a presentarsi tardiva, perchè proposta all’odierna udienza e non già alla prima utile dopo la riassunzione, risulta essere generica e priva di riferimenti normativi e quindi inammissibile. La domanda è rigettata, le spese di lite, seguono la soccombenza, le quali vengono liquidate anche in favore dell’INAIL, attesa la rinnovata chiamata in giudizio nella riassunzione, nonostante né fosse stata dichiarata l’estromissione per incompetenza territoriale, e che per tutti si liquidano come da dispositivo”.

La sentenza è gravata d’appello da M.A., nei soli confronti di Agenzia Entrate Riscossione e dell’Inps, con atto depositato il 25 febbraio 2022.

Costituitisi in giudizio, gli appellati hanno rassegnato le conclusioni sopra riportate.

La Corte, acquisito il fascicolo telematico di primo grado, alla fissata udienza, sentiti i procuratori delle parti, decide come da allegato dispositivo.

Con il proposto gravame, il sig. M. lamenta che:

1) Il Tribunale ha correttamente rilevato che la richiesta di rateizzazione formulata dal ricorrente non comporta acquiescenza e che ha effetto interruttivo della prescrizione solo quando in essa vi sia atto di riconoscimento del debito univoco e sorretto da specifica intenzione ricognitiva, citando, tra le tante, Cass. civ. n. 13506/2018, salvo che alla data di rateizzazione non siano già decorso il termine prescrizionale (pagg. 7, 8 e 9). Il Giudice di prime cure ha poi correttamente delineato i termini della questione ove ha dedotto “Orbene, nel caso in esame, parte ricorrente lamenta, l’intervenuta prescrizione dei crediti INPS contenuti nella Cartella Esattoriale n.(…) notificata in data 7.10.2010, e conseguentemente l’illegittimo inserimento della stessa nell’istanza di rateizzazione”. Esso ha poi fatto, però, mal governo del principio sopra esposto, omettendo di rilevare l’intervenuta prescrizione del credito riportato nella ripetuta cartella n.(…), afferente il decreto ingiuntivo n. 44/2011. Invero, a parere del Giudice, posto che il titolo è stato azionato con la procedura esecutiva dichiarata estinta in data 28.2.2002, solo dopo il provvedimento di estinzione sarebbe iniziato il nuovo decorso del termine prescrizionale interrotto con l’atto di pignoramento, in concreto il termine inziale per la prescrizione cadrebbe in data 1.3.2002 mentre quello finale in data 28.2.2012 (in realtà, secondo l’errata tesi qui censurata, il decorso della prescrizione si sarebbe compiuto il giorno seguente, ossia l’1.3.2012). “Atteso che i contributi contenuti nei due decreti ingiuntivi n.44 e n.47 del 2001 risultano regolarmente azionati per stessa ammissione di parte ricorrente, con un’esecuzione terminata con l’estinzione della procedura esecutiva il 28.02.2002, e trattandosi di titoli giudiziari la prescrizione è decennale e questa inizia a decorrere certamente dal 01.03.2002 per cui sino al 28.02.2012 non poteva verificarsi alcuna prescrizione dei crediti in essi contenuti” (pag. 10). Tale statuizione è del tutto errata posto che il Tribunale ha ritenuto che il termine di prescrizione sia rimasto sospeso fino alla dichiarazione di estinzione, allo stesso modo di quanto avviene per i giudizi regolarmente esitati con sentenza. Ed invece il Tribunale non ha affatto considerato che “In caso di estinzione del processo, solo l’atto introduttivo del giudizio ha efficacia interruttiva istantanea della prescrizione,che ricomincia a decorrere dalla data di tale atto, non avendo efficacia interruttiva le attività processuali svolte nei processo estinto” (Cass. civ. n. 11016/2003). Dunque, il Tribunale avrebbe dovuto accertare, quale ultimo atto interruttivo, il pignoramento notificato il 21.12.2001, e avrebbe dovuto accertare e dichiarare l’intervenuta prescrizione del credito contenuto risalente al 21.12.2011, dunque in epoca antecedente alla istanza di rateazione del M. (del 29.1.2012) e della sua accettazione da parte di Equitalia, e dunque in epoca anteriore all’instaurazione del presente giudizio;

2) Sempre nella sentenza impugnata, in maniera contraddittoria, il Tribunale ha poi aggiunto che essendo il medesimo credito riportato nella cartella n.(…) notificata il 7.10.2010, esso è divenuto intangibile e che la sua prescrizione ha iniziato a decorrere dal 8.10.2020, ovvero dal giorno seguente al termine per la sua impugnazione. Anche in parte qua la pronuncia si rivela errata, posto che la cartella non può in alcun modo rappresentare atto interruttivo della prescrizione posto che essa è del tutto errata, sebben riferita al d.i. 44/2017 contiene in realtà il credito di cui al d.i. n. 47/2017. Essa non rappresenta certo atto nel quale si richieda in modo chiaro e non equivoco il pagamento di una certa somma di denaro. Al contrario, esso è atto manifestamente errato non certo in grado produrre effetto interruttivo. Non può essere certo condivisibile quanto affermato dal Tribunale, secondo cui la cartella non risulta esser prescritta (come è noto però la prescrizione non riguarda la cartella ma il diritto di credito) e ne lo sono i contributi in essa contenuti.

In via preliminare, si osserva che l’appellante ha espressamente dichiarato di non volere impugnare la parte di sentenza nella parte riguardante l’Inail, sicché i relativi capi devono reputarsi coperti da giudicato; del resto, trattandosi di cause scindibili, non si pone l’esigenza di integrazione del contraddittorio nei confronti del suddetto ente previdenziale.

Nel merito, l’appello non si presta ad essere accolto

Orbene, dalla disamina dell’atto di pignoramento (cfr fascicolo di primo grado di parte ricorrente) notificato il 21.12.2001 si evince che questo si riferisce ad entrambi i decreti ingiuntivi (44/01 e 47/01); d’altro canto, la cartella n. (…) (prodotta dallo stesso ricorrente), riguarda il decreto ingiuntivo 44/01 (lo si legge nella causale della cartella); la sua notifica (è pacifico tra le parti), risale al 7.10.2011, ed è dunque antecedente alla presentazione dell’istanza di rateazione (31.1.2012); nell’istanza che risulta depositata dall’odierno appellante nel suo fascicolo di primo grado, non si indicano le cartelle cui l’istanza è riferita (nel relativo spazio si fa riferimento al prospetto allegato, che però non è stato prodotto); tale istanza, peraltro, non reca il timbro di deposito presso il concessionario, diversamente da quella depositata da Equitalia in primo grado, nel proprio fascicolo, che risulta completa dell’indicazione delle cartelle cui l’istanza si riferisce – tra le quali figura anche la cartella qui in contestazione -, e che reca la sottoscrizione del ricorrente e la data.

Tali notazioni consentono di disattendere le questioni prospettate dall’appellante/opponente inerenti alla mancata conoscenza del contenuto dell’accordo di rateazione; è infatti evidente che, allorché il sig. M. lo sottoscrive, è pienamente consapevole dei titoli cui è riferito, compreso quello del cui inserimento qui si lamenta – che era a lui noto, visto che gli era stato previamente notificato.

Quanto all’eccezione di prescrizione, è vero che dopo l’estinzione del processo esecutivo non inizia a decorrere un nuovo termine di prescrizione, come avviene ai sensi di secondo comma di art. 2945 c.c. allorquando il processo si chiude con sentenza, ma è altrettanto vero che la notifica (7.10.2011) della cartella, riferita al decreto ingiuntivo n. 44/2011, è intervenuta entro dieci anni dalla notifica (21.12.2001) dell’atto di pignoramento ed il termine di prescrizione è decennale, perché si tratta di titolo di formazione giudiziale (il decreto ingiuntivo, appunto).

Ne discende che, quando viene inserito nell’istanza di rateazione, non era ancora prescritto.

Le considerazioni che precedono conducono al rigetto dell’appello e alla conseguente conferma della sentenza gravata.

Le spese del grado di lite seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da A.M., con ricorso in data 25 febbraio 2022, avverso la sentenza del Tribunale di Lamezia Terme, giudice del lavoro, n. 439/2021, resa in data 13 settembre 2021, così provvede:

1. rigetta l’appello;

2. condanna M.A. alla rifusione delle spese del grado di lite, che liquida, per ciascun appellato, in complessivi Euro 7120,00,00, oltre accessori come per legge dovuti;

3. dà atto che sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato dovuto dall’appellante, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1 comma 17 L. n. 228 del 2012, salva verifica del requisito soggettivo di esenzione.

Conclusione
Così deciso in Catanzaro, nella camera di consiglio della Corte di appello, Sezione lavoro, 2 febbraio 2023.

Depositata in Cancelleria il 9 marzo 2023.


Il Garante per la protezione dei dati personali; provvedimento n. 419 del 15.12.2022

Leggi: garante-privacy-provvedimento-419-2022 pdf


Parere sullo schema di d.P.C.M., da adottare ai sensi dell’art.26, comma 15, del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, in materia di Piattaforma per la notificazione degli atti della pubblica amministrazione – 14 ottobre 2021

Parere sullo schema di d.P.C.M., da adottare ai sensi dell’art.26, comma 15, del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, in materia di Piattaforma per la notificazione degli atti della pubblica amministrazione

Leggi: Garante Parere in materia di Piattaforma per la notificazione 2021


Giudice di Pace Roma – Sentenza 12374-2021

Sentenza 12374-2021 Giudice di Pace Roma


Tribunale di Modena, Sez. Lav., 23 luglio 2021, n. 2467

N. 529/2021 R.G.

TRIBUNALE DI MODENA
SEZIONE LAVORO

Il Collegio dell’intestato Tribunale, composto dai seguenti Magistrati:
dott.ssa Emilia SALVATORE Presidente
dott. Vincenzo CONTE Giudice Relatore
dott. Andrea MARANGONI Giudice
nel procedimento di reclamo N. 529/2021 R.G.
promosso da

A.DD., nata a OMISSIS;
R.E.M. nata a OMISSIS; entrambe rappresentate e difese dagli Avv.ti Monica Seri e Mauro Sandri;
RECLAMANTI
contro
G. SOCIETÀ COOPERATIVA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in OMISSIS, rappresentata e difesa dall’Avv. Prof. Enrico Gragnoli e dall’Avv. Luca Zaccarelli;
RECLAMATA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

premesso che:
– il procedimento è stato trattato nelle forme “cartolari” ex art. 221, comma 8, L. n. 77/2020;
– le parti hanno depositato note scritte nel termine concesso; rilevato che:
– con ricorso ex art. 700 c.p.c. del 24.03.2021, A.DD. e R.E.M. chiedevano dichiararsi la nullità/invalidità/illegittimità del provvedimento di sospensione cautelativa dal servizio e dalla retribuzione – adottato dalla datrice di lavoro in data 27.01.2021 – e, per l’effetto, condannarsi G. Soc. Coop. a riammetterle nel proprio posto di lavoro con le stesse mansioni e la stessa qualifica e a corrispondere le retribuzioni dovute dal giorno della sospensione all’effettiva ripresa dell’attività lavorativa;
– le ricorrenti deducevano: 1) di essere dipendenti e socie della cooperativa, con mansioni di fisioterapiste di livello D2, in servizio presso la Casa di Residenza per Anziani “Gu.” di Modena; 2) che la convenuta consegnava la documentazione relativa alla vaccinazione anti Sars-Cov-2 (modulo consenso informato, nota informativa allegata e modulo di valutazione anamnestica); 3) che in data 30.12.2020 restituivano il modulo di consenso “sottoscrivendo il diniego”; 4) di avere partecipato a riunioni informative organizzate dalla datrice di lavoro in data 31.12.2020 e in data 04.01.2021; 5) che nel corso delle riunioni veniva trasmesso un intervento registrato del medico competente, dott.ssa Giorgia M.; 6) di avere richiesto ulteriori informazioni sui rischi/benefici della vaccinazione e di non aver ricevuto alcun riscontro dalla datrice di lavoro; 7) che nell’esercizio dell’attività lavorativa utilizzavano i D.P.I. forniti dalla cooperativa; 8) che in data 27.01.2021 il responsabile delle Risorse Umane consegnava il provvedimento di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione sino ad effettuazione completa della vaccinazione anti Covid-19;

rilevato che:
– la cooperativa G. eccepiva l’inammissibilità delle domande risarcitorie e l’infondatezza in fatto e in diritto del ricorso;

rilevato che:
– il ricorso cautelare veniva rigettato con ordinanza del 19.05.2021;
– il giudice di prime cure affermava la sussistenza di un dovere solidaristico a carico del prestatore di lavoro, implicante “precisi doveri di cura e sicurezza per la tutela dell’integrità psico-fisica propria e di tutti i soggetti terzi con cui entra in contatto”; lo stesso giudice, inoltre, evidenziava che la mancata vaccinazione del personale sanitario rendeva impossibile la fruizione della prestazione lavorativa da parte del datore di lavoro, quale soggetto civilmente responsabile, ai sensi degli artt. 2043 e 2087 cod. civ., per i danni patiti dal personale dipendente e dai terzi;
– l’ordinanza reclamata escludeva l’applicazione della disciplina introdotta con il D.L. n. 44/2021;

rilevato che:
– A.DD. e R.E.M. proponevano tempestivo reclamo, ribadendo le precedenti doglianze e lamentando la contraddittorietà dell’ordinanza in punto alla questione dell’applicazione del D.L. n. 44/2021 (ora L. n. 76/2021); esse, infine, dichiaravano di rinunciare alla domanda di risarcimento danni.

1. Sul periculum in mora
considerato che:
– è incontroverso in atti che: a) le ricorrenti sono dipendenti della Cooperativa G. e lavorano presso la Casa di Residenza per Anziani “Gu.” di Modena con mansioni di fisioterapista; b) le due lavoratrici non si sono sottoposte al trattamento sanitario della vaccinazione contro il virus Sars-Cov-2; c) con provvedimento del 27.01.2021 la cooperativa G. ha disposto la sospensione cautelativa dal lavoro e dalla retribuzione delle ricorrenti (cfr. doc.ti 1,2, ricorrenti); d) la datrice di lavoro non dispone di posti liberi e strutture aziendali ove collocare le lavoratrici non vaccinate, né la stessa è in grado di affidare mansioni che non prevedano contatti con l’utenza; e) le reclamanti non hanno documentato infermità o condizioni cliniche ostative all’inoculazione del vaccino;

considerato che:
– in tema di tutela cautelare atipica, il provvedimento d’urgenza richiesto dal lavoratore ex art. 700 c.p.c. presuppone che ricorrano congiuntamente i requisiti del cd. fumus boni iuris, ossia l’evidente fondatezza della pretesa e del periculum in mora, costituito dal fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, e dunque non ristorabile per equivalente. Il provvedimento dev’essere rifiutato allorquando manchi anche uno solo dei predetti requisiti;
– il pregiudizio irreparabile, richiesto dall’art. 700 c.p.c., deve essere inteso non solo nel senso di irreversibilità del danno alla situazione soggettiva di cui si invoca la cautela ma anche come insuscettibilità di ottenere tutela piena ed effettiva della situazione medesima all’esito del giudizio di merito. Tale requisito non può ricorrere con riferimento ai diritti derivanti dai rapporti obbligatori, essendo questi per loro natura suscettibili in ogni caso di riparazione economica. L’esistenza del periculum in mora “deve essere accertata caso per caso in relazione all’effettiva situazione socio economica del “lavoratore”, talché il ricorrente è tenuto ad allegare e provare circostanze (in ordine alla sua situazione familiare, alla necessità di affrontare spese indilazionabili, alla compromissione del suo equilibrio psico fisico) dalle quali emerga che la perdita del posto di lavoro o la mancata assunzione – e quindi la conseguente perdita (o mancata acquisizione) della retribuzione – possa configurarsi come fonte di pregiudizio irreparabile, così da permettere alla controparte l’esercizio di un’effettiva difesa ed al giudice di operare una verifica finalizzata alla tutela di un pregiudizio concretamente e non teoricamente irrimediabile, non potendo il “periculum in mora” reputarsi esistente “in re ipsa” neppure nel fatto stesso della disoccupazione” (Tribunale S. Maria Capua V., sez. lav., 13/05/2010);
– la mera perdita della retribuzione non concretizza di per sé il pregiudizio imminente ed irreparabile di cui all’art. 700 c.p.c., trattandosi di danno sempre risarcibile ex post. Siffatto presupposto si realizza, per contro, allorquando la perdita della fonte di reddito incida su diritti essenziali del lavoratore, tali da richiedere un immediato soddisfacimento, quali il diritto ad un’esistenza libera e dignitosa, il diritto alla salute ovvero altri diritti insuscettibili di risarcimento per equivalente, come, ad esempio, il diritto alla formazione, all’elevazione professionale o all’immagine. Ne discende che il lavoratore che agisce in via d’urgenza deve allegare le circostanze di fatto in relazione alle quali il provvedimento datoriale produce – in concreto – effetti lesivi di carattere irreparabile che non possono reputarsi insiti nella mera circostanza della perdita della retribuzione.

rilevato che:
– parte ricorrente afferma che “nel caso che ci occupa è pienamente integrata la lesione del diritto al lavoro quale effetto della sospensione illegittima e contra legem a cui si lega il venir meno della retribuzione che ha privato le reclamanti di una fonte importante di sostentamento per la loro famiglia. […] Dalla data della sospensione (27/01/2021) ad oggi, le reclamanti sono state private di quattro mesi di retribuzione: 4 mesi che hanno inciso e incideranno negativamente anche nella loro sfera patrimoniale. Privare la loro famiglia di una fondamentale fonte di reddito è motivo di pregiudizio sia imminente sia irreparabile. Il periculum in mora, nel caso di perdita della retribuzione va considerato in re ipsa”;

ritenuto che:
– l’allegazione attorea è lacunosa. La documentazione versata in atti non consente di ricostruire la situazione patrimoniale e reddituale del nucleo familiare delle due lavoratrici. Esse hanno dichiarato che le rispettive famiglie sono state private “di una fondamentale fonte di reddito” ma non vi è prova in atti della retribuzione mensile percepita dai congiunti. Non sono state prodotte le attestazioni ISEE e le dichiarazioni dei redditi dei componenti della famiglia, né documentazione equipollente (es. buste paga) comprovante il reddito complessivo del nucleo famigliare o la disponibilità di risorse economiche idonee a garantire una vita dignitosa. E’ quindi impossibile verificare se il provvedimento datoriale abbia creato una situazione di indigenza economica, impedendo alle ricorrenti di far fronte ai bisogni della vita quotidiana, propri e dei componenti del nucleo familiare.
Non vi è neppure la prova della lesione irreversibile di un diritto di natura non patrimoniale. Il pregiudizio deve essere connotato dalla irreperabilità e non può ritenersi in re ipsa per il solo fatto dell’interruzione temporanea della prestazione lavorativa. E’ necessario che la sospensione dal lavoro determina una compromissione irreversibile di posizioni soggettive di carattere assoluto, con ripercussioni negative nella sfera personale e psico-fisica del lavoratore. Difetta l’allegazione dei danni alla sfera professionale, in termini di mancata progressione di carriera o di dequalificazione professionale, correlati alla temporanea inibizione all’espletamento delle mansioni di fisioterapista.
La carenza del periculum in mora conduce al rigetto del ricorso, venendo meno uno dei requisiti della tutela invocata.

2. Sul fumus boni iuris
ritenuto che:
– si appalesa insussistente anche il requisito del fumus boni iuris. Il Collegio condivide la ricostruzione sistematica proposta dal giudice di prime cure, rispondente ad un ragionevole ed equo contemperamento dei contrapposti interessi, tutti di rilevanza costituzionale.
Nell’ordinanza reclamata si evidenzia chiaramente come la determinazione datoriale non abbia in alcun modo conculcato il diritto delle ricorrenti di rifiutare la somministrazione del vaccino anti Sars Covid-2. Il diritto alla libertà di autodeterminazione, che trova copertura costituzionale negli artt. 2 e 32, deve essere bilanciato con altri diritti di rilevanza costituzionale. L’inserimento del lavoratore nel contesto sociale – id est microcosmo lavorativo – impone un bilanciamento con il diritto alla salute dei pazienti della struttura sanitaria (soggetti fragili, con pregresse e invalidanti patologie) e degli altri dipendenti, nonché con il principio di libera iniziativa economica ex art. 41 Cost. La Corte Costituzionale ha confermato la natura ambivalente della tutela costituzionale della salute, da una lato quale diritto all’autodeterminazione del singolo e dall’altro quale interesse della collettività: “l’art. 32 Cost. postula il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l’interesse della collettività (da ultimo sentenza n. 268 del 2017) […] Dunque, i valori costituzionali coinvolti nella problematica delle vaccinazioni sono molteplici e implicano, oltre alla libertà di autodeterminazione individuale nelle scelte inerenti alle cure sanitarie e la tutela della salute individuale e collettiva (tutelate dall’art. 32 Cost.)” (Sent. n. 5/2018, analogamente Sent. n. 267/2017); analogamente Sent. n. 258/1994: “Tali considerazioni meritano attenta riflessione ma non possono essere correttamente apprezzate se non in necessario bilanciamento con la considerazione anche del parallelo profilo che concerne la salvaguardia del valore (compresente come detto nel precetto costituzionale evocato) della salute collettiva, alla cui tutela – oltre che, (non va dimenticato) a tutela della salute dell’individuo stesso – sono finalizzate le prescrizioni di legge relative alle vaccinazioni obbligatorie.”
A fronte del principio di solidarietà collettiva, gravante sulla generalità dei consociati (compresi i lavoratori), deve ritenersi legittima la scelta datoriale che, nel contemperare i suddetti principi, disponga la temporanea sospensione dal lavoro e dalla retribuzione del dipendente, in luogo dell’interruzione del rapporto di lavoro (tutelato dall’art. 4 Cost.), onde preservare l’incolumità degli utenti della struttura sanitaria e del personale dipendente (compresa la salute del lavoratore attinto dal provvedimento di sospensione). Trattasi di misura connotata da una evidente finalità precauzionale, in quanto diretta a prevenire la diffusione del contagio all’interno della RSA. Il datore di lavoro si pone come garante della salute e della sicurezza dei dipendenti e dei terzi che per diverse ragioni si trovano all’interno dei locali aziendali. L’art. 2087 cod. civ., quale diretta estrinsecazione dell’art. 32 Cost., impone al datore di lavoro di adottare tutte quelle misure di prevenzione e protezione che, secondo la migliore scienza ed esperienza, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica del prestatore di lavoro. Allo stato, la vaccinazione contro il Covid-19 costituisce la misura più idonea ad evitare, in modo statisticamente apprezzabile, il rischio di trasmissione della malattia e dell’infezione all’interno dell’azienda.
La direttiva UE n. 2020/739 del 03.06.2020 (recepita con l’art. 4, D.L. n. 125/2020, conv. dalla L. n. 159/2020) ha incluso il Covid-19 tra gli agenti biologici da cui è obbligatoria la protezione anche nell’ambiente di lavoro, estendendo le misure di prevenzione previste dalla direttiva 2000/54/CE, recepita dal D. Leg. n. 81/2008. La disciplina emergenziale ha qualificato come infortunio il contagio da Covid nei luoghi di lavoro (art. 42, comma 2, D.L. n. 18/2020), prevedendo una presunzione semplice di origine professionale per gli operatori sanitari, in ragione del rischio biologico specifico e del costante contatto con l’utenza (cfr. Circolare INAIL 13/2020). Anche il Piano vaccinale conferma che gli ospiti delle residenze sanitarie assistenziali “sono ad alto rischio di malattia grave a causa dell’età avanzata, la presenza di molteplici coomorbilità”, soggetti “considerati ad elevata priorità per la vaccinazione”, insieme agli operatori sanitari e sociosanitari.
La mancata vaccinazione, pur non assumendo rilievo disciplinare, comporta conseguenze in ordine alla valutazione oggettiva dell’idoneità alle mansioni. In ragione della tipologia delle mansioni espletate (cura e assistenza a persone anziane e con molteplici patologie) e della specificità del contesto lavorativo e dell’utenza della RSA, è possibile sostenere che l’assolvimento dell’obbligo vaccinale inerisca alle mansioni del personale sanitario. Il rifiuto della somministrazione, non giustificato da cause di esenzione e da specifiche condizioni cliniche, costituisce impedimento di carattere oggettivo all’espletamento della prestazione lavorativa. Tale opzione esegetica è avallata dallo jus superveniens, poiché l’art. 4, comma 1 del D.L. n. 44/2021 (conv. L n. 76/2021) stabilisce che “La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati”. La novella legislativa (obbligo legale di vaccinazione e sospensione dalla retribuzione in caso impossibilità di repechage) corrobora, sul piano meramente interpretativo, la ricostruzione sistematica testé esposta. La disciplina del citato D.L. non è applicabile al caso di specie, perché successiva all’adozione del provvedimento di sospensione qui contestato. La legge n. 76/2021 non è retroattiva, sicché la fattispecie in esame resta assoggettata al principio tempus regit actum. Vanno quindi respinte tutte le doglianze relative alla mancata adozione – e violazione – della procedura amministrativa prevista dal citato art. 4, affidata ad una apposita autorità pubblica (Azienda sanitaria locale). Né si ravvisano violazioni della privacy, atteso che le ricorrenti hanno restituito alla cooperativa il modulo del consenso informato, “sottoscrivendo il diniego” alla vaccinazione, come dalle stesse riconosciuto a pagina 3 del ricorso ex art. 700 c.p.c. (punto n. 6).
L’efficacia del vaccino anti-Covid è attestata dalla normativa primaria (art. 1, comma 457, L. n. 178/2020) e dal Piano strategico nazionale adottato con Decreto del ministro della Salute del 02.01.2021. La profilassi vaccinale, infatti, viene considerata dal legislatore e dalle autorità sanitarie efficace e fondamentale misura di contenimento del contagio. E’ fatto notorio che la vaccinazione per cui è causa costituisce strumento idoneo ad evitare l’evoluzione della malattia. Nel rapporto del Gruppo di lavoro dell’ISS si legge: “Gli studi clinici condotti finora hanno permesso di dimostrare l’efficacia dei vaccini nella prevenzione delle forme clinicamente manifeste di COVID-19, anche se la protezione, come per molti altri vaccini, non è del 100%. Inoltre, non è ancora noto quanto i vaccini proteggano le persone vaccinate anche dall’acquisizione dell’infezione. È possibile, infatti, che la vaccinazione non protegga altrettanto bene nei confronti della malattia asintomatica (infezione) e che, quindi, i soggetti vaccinati possano ancora acquisire SARS-CoV-2, non presentare sintomi e trasmettere l’infezione ad altri soggetti. Ciononostante, è noto che la capacità di trasmissione da parte di soggetti asintomatici è inferiore rispetto a quella di soggetti con sintomi, in particolare se di tipo respiratorio” (cfr. pag. 11; doc. 12 ricorrente).
Le autorità regolatorie hanno autorizzato la somministrazione vaccinale per larghe fasce di popolazione, circostanza che esclude l’asserita natura sperimentale del vaccino anti-Covid. Allo stato non vi sono evidenze scientifiche che comprovino l’inadeguatezza dei vaccini attualmente in uso e il rischio di danni irreversibili a lungo termine. Le reazioni avverse più frequenti (dolore in sede di iniezione, stanchezza, cefalea, mialgia e brividi) sono generalmente di lieve o moderata intensità e si risolvono entro pochi giorni dalla vaccinazione (cfr. doc. 11 ricorrente; caratteristiche vaccino Pfizer Biontech).
Per tutte le ragioni esposte deve essere rigettato il ricorso di A.DD. e R.E.M. .

3. Sulle spese di lite
La novità delle questioni affrontate e le incertezze interpretative giustificano la compensazione integrale delle spese di lite, ai sensi dell’art. 92 c.p.c.

P.Q.M.

1) RIGETTA il reclamo;
2) DICHIARA integralmente compensate le spese di lite.

Modena, 23 luglio 2021
Il Giudice Estensore Il Presidente
Dott. Vincenzo Conte Dott.ssa Emilia Salvatore


Tribunale Napoli Sez. spec. in materia di imprese, Sent., 01-04-2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Tribunale di Napoli

Sezione specializzata in materia di impresa

Il GIUDICE DESIGNATO

dott. ssa Maria Tuccillo

Udite le parti ed esaminati gli atti del

RICORSO EX ART. 671 C.P.C.

presentato da

– FALL. (…), in persona del curatore dott (…), rappresentato e difeso dall’avv.(…) giusta procura a margine del ricorso, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Napoli al Centro Direzionale isola e 73

RICORRENTE

nei confronti di

M.B., P.R e M.R., rappresentati e difesi, giusta procura agli atti, dall’avv.(…), presso il cui studio è elettivamente domiciliati in N. alla via F. n. 135/ B

RESISTENTI

e

-M. M. e M. S.

RESISTENTI NON COSTITUITI

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
La curatela istante con ricorso depositato ai sensi dell’art. 671 c.p.c. deduceva quanto segue:

– Con atto per notar (…) in data (…) fu costituita la C. I. srl, con sede in F., via (…) e Amministratore della società fu nominato (…) e successivamente, dal 2013 sino all’intervenuto fallimento, B.M. prima amministratore e poi liquidatore della società ;.

– in data 13.07.2018 con sentenza pronunciata dal Tribunale di Napoli a seguito del ricorso presentato da Equitalia servizi di riscossione sp.a, veniva dichiarato il fallimento di tale societa’,( la cui denominazione nelle more era mutata in M. I. srl )

– alla data di dichiarazione di fallimento presso il Registro delle Imprese, la società fallita risultava cessata e depositato il bilancio finale di liquidazione;

– Compiute le operazioni di inventario, con l’assistenza del cancelliere in data 18/07/2018, il curatore riscontrava l’assenza di uffici presso la sede sociale e convocava B. M., per la consegna della documentazione sociale e l’interrogatorio di rito.

– a seguito delle indagini svolte dal curatore è emerso che, in base ai bilanci depositati presso il registro imprese, la società fallita conseguiva, negli anni 2015/2016, leggere perdite fiscali se raffrontate al volume di affari della società;

– L’importo del debito fiscale preteso dall’Agenzia delle Entrate ammonta a 350.000,00 Euro circa oltre sanzioni e spese di recupero per un totale di 500.000,00 Euro circa;

– Dall’esame dei dati sopra riportati e dalla documentazione consegnata dal liquidatore e/o acquisita dalla curatela, e’emerso con chiarezza che B. M., proprietario al 95% della società, in considerazione dei dati contabili su esposti ed in previsione del certo fallimento che sarebbe poi intervenuto , abbia deciso di dividere (distrarre) in varie società le attività patrimoniali della M.I. srl;

– il patrimonio della fallita, infatti, che consisteva in macchinari, attrezzature, immobili ed avviamento commerciale é stato di fatto diviso in tre nuove e differenti società possedute per intero dai familiari (i due figli e la moglie) del sig. B.M.

– parte del patrimonio riguardante la proprietà degli immobili é stata ceduta in data 07/03/2016, con atto per notar (…) del (…) alla società immobiliare “M.G. IMM…. SRL”, che risulta di proprietà dei familiari dell’ amministratore/liquidatore della fallita , rispettivamente, moglie e figli di B.M.: R.P., R.M., e M.M.;

– La parte di patrimonio aziendale riguardante l’avviamento commerciale, é stata ceduta alla società “M. s.r.l.”, società di proprietà degli stessi familiari di B. M.;

– La parte di patrimonio aziendale costituito dai macchinari ed attrezzature é stato ceduto alla società E.E.SRL, i cui soci erano sempre gli stessi familiari;

– dall’esame di tali documenti sono pure emersi numerosi giroconti di pagamento dal conto corrente bancario intestato alla società, senza alcuna apparente motivazione ed in particolare: Euro 50.000,00 in data 23/02/2017 sul c/c acceso dalla società presso la B.P.F., in favore del sig. B.M.; Euro 185 .00000 tra il 24/02/2017 ed il 24/03/2018 sul c/c acceso dalla società presso la U., in favore del sig. B.M.; Euro 280.954,00 tra il 02/01/2017 ed il 21/04/2017 sul c/c acceso dalla società presso la U. in favore della M. s.r.l.

Ciò posto, la curatela sotto il profilo del fumus deduceva l’esistenza di un credito risarcitorio, ex art. 146 Lf. che quantificava in Euro complessi 8.500.000,00 oltre interessi e rivalutazione nei confronti dei resistenti.

In particolare, il deficit patrimoniale alla data di dichiarazione di fallimento era pari ad Euro 2.218.925,70 e a tale voce vanno aggiunti secondo il ricorrente :

– II valore del compendio immobiliare ceduto alla M. srl, pari ad Euro 1.000.000,00 almeno;

– il valore dei macchinari ceduti alla “M. s.r.l.” ovvero aha E.E. srl, pari ad Euro 427.437,28 (pari all’importo della voce Impianti e macchinari indicati nel bilancio al 31/12/2016 della cui sorte l’amministratore non ha saputo dare contezza);

– il valore della voce “Altri beni materiali” indicati nel bilancio al 31/12/2016 per Euro 96.138,33 della cui sorte l’amministratore non ha saputo dare contezza;

– il valore della voce “Immobilizzazioni finanziarie” indicati nei bilancio al 31/12/2016 per Euro 437.457,13 della cui sorte l’amministratore non ha saputo dare contezza;

– il valore della voce “Crediti verso clienti” indicati nel bilancio al 31/12/2016 per Euro 455.337.25 della cui sorte l’amministratore non ha saputo dare contezza;

– il valore della voce “Rimanenze di esercizio” indicate nel bilancio al 31/12/2016 per Euro 752.245.25 della cui sorte l’amministratore non ha saputo dare contezza;

– il valore della voce “Credito verso erario” indicato nel bilancio al 31/12/2016 per Euro 2.309.766,28 della cui sorte l’amministratore non ha saputo dare contezza;

– il valore della voce “Disponibilità liquide indicate nel bilancio al 31/12/2016 per Euro 61.522,63 della cui sorte l’amministratore non ha saputo dare contezza;

– il valore dell’avviamento commerciale aziendale, ceduto alla societtà “M. s.r.l.”,

– La somma di Euro 235.000,00 pari agli indebiti e non giustificati prelievi effettuati dai conti societari in suo favore dal sig. B.M.;

– La somma di Euro 240.000,00 pari agli indebiti e non giustificati prelievi effettuati dai conti societari in favore della M. s.r.l.”, dal sig. B. M.

Quanto al periculum in mora la curatela deduceva che a parte le partecipazioni societarie la possidenza immobiliare dei convenuti é davvero minima, evidenziando altresì sotto il profilo soggettivo la propensione di B. M. (e dei suoi familiari) a sottrarre i beni aziendali e quelli propri ai creditori.

Tanto premesso, domandava l’accoglimento della domanda cautelare.

Il Tribunale non concedeva la misura richiesta inaudita altera parte e , a seguito della notifica del decreto di fissazione dell’udienza di comparizione delle partì e del ricorso, si costituivano i resistenti M.B., P.R. e M.R., i quali in via preliminare eccepivano l ‘improcedibilità del ricorso stante la non integrità del contraddittorio discendente dalla nullità della notifica del ricorso nei confronti dei resistenti M. M. e M.S., perché effettuate in un luogo diverso dalla residenza degli stessi, come risulta dai certificati di residenza depositati in giudizio.

Nel merito i resistenti contestavano la domanda, deducendo che:

– il patrimonio immobiliare della società fallità del valore di 700.000,00 era stato acquistato da M.G.Immm. mediante accollo di un mutuo il cui saldo residuo alla data di acquisto era di Euro 603,000 e per la restante parte di Euro 97.0000, da pagarsi mediante 54 rate mensili di Euro 1609.000, compensata mediante fatture emesse per canoni di affitto per circa un anno o poco più;

-Quanto al patrimonio aziendale ceduto alla E.E. srl risultano una serie di bonifici fatti a favore della società fallita;

– in merito ai giroconti di pagamento in favore di MBR trattasi di pagamenti di fatture per fornitura di merci.

Infine, i resistenti contestavano il quantum debeatur con riferimento al valore dei macchinari indicato nel ricorso che risulta di gran lunga superiore rispetto a quello indicato in bilancio ; al valore della della voce delle immobilizzazioni finanziarie indicato di Euro 437.457,13 che è superiore rispetto a quella indicato in bilancio di Euro 354.583,00; al valore dei crediti v/ clienti v/ erario di Euro 2.309.766,28 che è superiore alla voce totale dei crediti indicati in bilancio di Euro 948 038,00; al valore delle rimanenze di esercizio nel ricorso che è indicato in Euro 752.245,25 mentre nel bilancio è di Euro 16.000,00; al valore delle disponibilità liquide indicate nel ricorso che è di Euro 61522,63 mentre in bilancio e’ di Euro 15.543,00.

Tanto premesso, i resistenti costituiti domandavano in via preliminare dichiararsi improcedibile il ricorso per difetto di contraddittorio nei confronti di M.S. e M.M., ritenuta la presenza degli stessi necessaria al fine di accertare le eventuali responsabilità e in subordinre rigettarsi la domanda per assenza del periculum in mora.

All’ udienza del 30.0.2020, su istanza delle parti la causa era rinviata all’udienza dell’11.2.2020 in cui il Tribunale si riservava per la decisione.

Ciò posto, in merito all’eccezione di improcedibilità del ricorso formulata dai resistenti costituitosi in giudizio, va precisato quanto segue.

In primis, nella fattispecie in esame non si versa in un’ipotesi di litisconsorzio necessario, atteso che l’obbligazione in merito alla quale sono chiamati a rispondere i resistenti è un ‘obbligazione solidale (ex art. 1292 c.c.) . La solidarietà dal lato passivo non comporta, invero, sul piano processuale, l’inscindibilità delle cause e non da’ luogo a litisconsorzio necessario, in quanto il creditore ha titolo per rivalersi per l’intero nei confronti di ogni debitore, salvo il diritto di regresso di colui che ha adempiuto nei confronti degli altri. Nel caso di obbligazioni solidali, dunque, è sempre possibile la scissione del rapporto processuale e pertanto non è necessaria l’integrazione del contraddittorio, laddove il giudizio sia promosso nei confronti di uno dei coobbligati, essendo ciascuno di essi tenuto ad adempiere per intero ( v. ex multis Cass n. 17221/2014; Cass. n. 13607/2011)).

Inoltre, la notifica del ricorso e del pedissequo decreto di fissazione dell’udienza di comparizione effettuata nei confronti dei resistenti M.S. e M. M. è da ritenersi nulla, atteso che, seppur effettuata nelle mani di soggetti legittimati a riceverla ( rispettivamente madre e suocera convivente ), come risulta dalla relata di notifica, è da ritenersi invalida, perché eseguita in un luogo diverso da quello in cui i destinatari risiedono, come si evince dai validi certificati di residenza prodotti in giudizio dai resistenti ( v. copia certificato di residenza di M.S., all.to 4 del fascicolo di parte resistente ; copia certificato di residenza di M.M. all.to 11 del fascicolo di parte resistente ).

Ed invero, ” la notificazione mediante consegna a una delle persone enumerate nell’art. 139 c.p.c. deve essere necessariamente eseguita nei luoghi nella norma stessa indicati, giacché la certezza che la persona legata da rapporti di famiglia o di collaborazione con il destinatario provveda a trasmettergli l’atto ricevuto può ritenersi pienamente raggiunta soltanto se la consegna avvenga in un luogo comune al consegnatario e al destinatario e nel quale, quindi, si presuma che costoro abbiano degli incontri quotidiani. Ne consegue, quindi, la nullità della notificazione per mancanza di detta certezza, qualora dalla relazione dell’ufficiale giudiziario espressamente risulti che l’atto sia stato consegnato a una delle dette persone, ma in un luogo diverso da quelli previsti dalla norma; al contrario, la mancata precisazione nella relata del luogo della consegna stessa non determina la nullità della notificazione, dovendo presumersi, in assenza di annotazioni contenute nella relata, che la notificazione sia stata eseguita in uno dei luoghi prescritti, sicché la omessa annotazione si risolve in una mera irregolarità formale non influente sulla validità della notifica, né sulla efficacia (di atto pubblico) della relata con riguardo al luogo di consegna”( v. Cass. civ. Sez. II Ord., 08/10/2018, n. 24681 ).

Ciò posto, trattandosi nel caso in esame di un procedimento cautelare, la nullità della notifica , non sanata dalla costituzione dei resistenti, e lo spirare del termine perentorio per la notifica del ricorso e decreto di fissazione dell’udienza di comparizione delle parti, ex art. 669 sexies c.p.c., importa l’improcedibilità della domanda ma solo nei confronti di M.M. e S.M., stante la scindibilità delle domande.

Passando all’esame del merito della domanda cautelare, va precisato quanto segue.

Il sequestro conservativo è una misura cautelare di carattere patrimoniale finalizzata a tutelare la fruttuosità dell’eventuale espropriazione forzata, laddove vi sia il pericolo di dispersione da parte del debitore dei beni costituenti la garanzia del credito, ai sensi dell’art. 2740 c.c.

La concessione di tale misura è subordinata alla sussistenza, accertata sulla base di un’indagine meramente sommaria, del fumus boni iuris, vale a dire di una situazione che consenta di ritenere probabile la fondatezza della pretesa creditoria , e del periculum in mora, cioè del fondato timore di perdita della garanzia del credito vantato.

Quanto al primo dei suddetti requisiti, il credito in relazione al quale viene domandato il sequestro, anche se non liquido o esigibile deve ad ogni modo essere attuale, ossia non meramente ipotetico od eventuale.

Il requisito del periculum, inoltre, in sede di sequestro conservativo assume un significato ben diverso rispetto a quello richiesto per la concessione del provvedimento contemplato dall’art. 700 c.p.c., perché diversa è la funzione che la misura cautelare è chiamata ad assolvere.

In questa ipotesi, stante la natura del rimedio, il periculum è da intendersi come pericolo imminente che nelle more del giudizio di merito il diritto fatto valere possa subire un pregiudizio irreparabile.

Diversamente è da ritenersi nel sequestro conservativo.

Tale misura , invero , è prevista a tutela dei creditori, unici soggetti legittimati a richiederla, e mira a conservare la garanzia del credito costituita, ex art. 2740 c.c. dal patrimonio del debitore.

In tal caso, infatti, non è sufficiente, sotto il profilo del periculum, la sussistenza del pericolo di un “pregiudizio irreparibile” al diritto fatto valere , ma è necessario specificamente che il pericolo si sostanzi nel rischio di perdita e/o diminuzione del patrimonio del debitore costituente la garanzia del credito.

Tale requisito , va accertato, dunque, mediante un giudizio prognostico negativo in ordine alla conservazione della garanzia patrimoniale , da effettuarsi secondo una valutazione in concreto, che può fondarsi su elementi soggettivi e/o su elementi oggettivi che possono essere presi in considerazione anche alternativamente ( v. Cass. civ. sent. n. 5579/2005; conf .Cass, civ . sent. n. 2081/2002 e Cass. civ. sent. n 6048/1998 ).

Ed invero , il rischio di perdita e/o diminuzione della garanzia patrimoniale può fondarsi sull’accertamento di condotte processuali e/o extraprocessuali poste in essere dal debitore che rendano verosimile e concreto il rischio di depauperamento del patrimonio.

Ciò significa , che non rilevano , ai fini dell’accertamento del periculum , tutte le condotte detrattive o comunque espressione di una capacità a dissipare poste in essere dal debitore, ma sole quelle che, avuto riguardo al momento in cui sono state poste in essere rispetto al sorgere del credito e alla loro incidenza sul patrimonio della società e/o del debitore , facciano ritenere verosimile e soprattutto attuale il rischio che il sequestro mira ad evitare e cioè che il debitore possa liberarsi del suo patrimonio impedendo ai creditori di soddisfarsi.

Quanto al profilo oggettivo del periculum, questo non va individuato nella mera l’insufficienza del patrimonio del debitore rispetto al credito , ma nell’insufficienza del patrimonio del debitore che sia tale da fondare il rischio concreto di sottrazione o diminuzione della garanzia del credito.

L’incapacità patrimoniale del debitore, invero, , seppur rappresenta la misura per valutare la garanzia del credito ex art. 2740 c.c., acquista rilevanza in sede di sequestro solo allorquando faccia ritenere concreto e verosimile il pericolo di una perdita e diminuzione del patrimonio del debitore in pregiudizio dei creditori.

Diversamente opinando , si addiverrebbe alla errata conclusione secondo cui il debitore dotato di un’insufficiente capacità patrimoniale abbia una maggiore propensione alla dissipazione di quanto non ne abbia il debitore possidente ( v. Trib. Napoli ord. 20.11.2002).

Il periculum, sotto il profilo oggettivo va, dunque, valutato in un accezione “dinamica” e strettamente collegata alla perdita e/o diminuzione della garanzia patrimoniale, del cui rischio in concreto deve essere espressione.

Tanto premesso, nel procedimento de quo , alla luce della documentazione agli atti e sulla base di una cognizione sommaria, che è d’uopo in questa fase , non vi sono allo stato elementi per ritenere sussistente il fumus della pretesa cautelare nei confronti dei resistenti R.P. e R.M., per aver concorso in qualità di amministratori di fatto della società fallita nelle condotte di mala gestio su cui si fonda il credito risarcitorio.

Ed infatti, per poter qualificare un soggetto quale amministratore di fatto di una società, è necessario che le attività gestorie svolte concretamente dal predetto presentino carattere sistematico e non si esauriscano soltanto nel compimento di singoli atti di natura eterogenea ed occasionale (v. Cass. sent. n. 6719/2008; Cass. sent. n. 9795/1999; v Cass. n. 1925/1999,).

Nella fattispecie in esame, l’esistenza di un rapporto di parentela tra l’amministratore poi liquidatore della società fallita, B.M. e R.P. e R.M. (rispettivamente moglie e figlia di B.M.) e altresì la loro partecipazione ( in qualità di soci e talvolta amministratori) nelle società in cui è stato “dirottato” il patrimonio della fallita ed infine l’assenza di B.M. dalla società per alcuni mesi per ragioni di salute, non è sufficiente a dimostrare, in mancanza di altri elementi, come diversamente dedotto dalla difesa di parte ricorrente, un coinvolgimento degli stessi in via di fatto nell’amministrazione della società fallità e dunque nell’attività di mala gestio da cui sarebbe derivato un danno alla società e ai creditori sociali.

Unici soggetti, sulla base delle allegazioni di parte ricorrente, che potrebbero in astratto essere chiamati a rispondere per i danni derivanti dall’attività distrattiva compiuta sono le società e non di certo i soci e/o i soggetti in proprio che hanno ricoperto la carica di amministratore all’epoca delle cessioni.

A diverse conclusioni, è dato addivenire con riferimento alla posizione di M.B.

Ed invero, posto che questi dal 2013 ha ricoperto la carica di amministratore e successivamente quella di liquidatore della società fallita, deve ritenersi sussistente il fumus della cautela richiesta, tenuto conto delle contestazioni formulate dalla difesa di M.B., che attengono solo al quantum debeatur relativamente ad alcune voci del danno contestato.

In particolare, in merito alla cessione del compendio immobiliare alla M. srl ( all’epoca amministrata da M.R. figlia del resistente M.B.) avvenuta in data 7.03.2016 ( v. copia atto di cessione all.to1 del fascciolo di parte resistente ), alcuna prova è stata fornita dall’amministratore B.M. circa l’estinzione del debito relativo al residuo del prezzo da pagare, pari ad Euro 96.543,33 , attraverso la compensazione con ” fatture emesse per canoni di affitto degli immobili e delle aree pertinenziali da parte della fallita per circa un anno e mezzo o poco piu’” , atteso che non risulta provato il rapporto di locazione invocato ne’ prodotte le fatture compravanti l’avvenuto pagamento dei canoni.

Lo stesso dicasi per i macchinari ceduti alla M. SRL ovvero ALLA E.E. SRL pari ad Euro 424437,28 , per gli “altri beni materiali” per il valore di Euro 96.138,33; per le ” immobilizzazioni finanziarie” per Euro 437,457,13; per i “Crediti verso clienti” per Euro 455.337,25 ; per le “Rimanenze di esercizio” per Euro 752.245,25; per le “Disponibilità liquide” per Euro 61.522,63 , tutti importi indicati nel bilancio al 31.12.2016, della cui sorte l’amministratore non ha saputo dare contezza nè ha specificamente contestato se non solo in parte ed esclusivamente sotto il profilo del quantum debeatur.

Agli importi inanzi indicati quali voci di danno fondante il creditorio deve aggiungersi, altresì, la somma di Euro 235.000,00 costituente prelievo che, allo stato non sembra trovare alcuna giustificazione, effettuato dai conti societari da B.M. in suo favore.

Infine, non sembra potersi riconoscere il danno lamentato per limporto di Euro 240.000,00 corrispondente a prelievi effettuati dai conti societari in favore della M.. s.r.l.”, stante le fatture depositate dal resistente , non contestate dalla curatela, che sembrano comprovare il pagamento di forniture effettuate da M. srl. in favore della società fallita.

La domanda proposta nei confronti di B.M., infine, è da ritenersi provata anche sotto il profilo del periculum in mora.

Ed invero, la ridotta capacità patrimoniale del resistente, le condotte distrattive poste in essere dallo stesso durante l’amministrazione della società , sintomatiche di una propensione alla dissipazione del proprio patrimonio per sottrarlo ai creditori , come dimostrato anche dall’atto di donazione compiuto sempre in favore della moglie e dei figli ( rispettivamente P.R., M.M. e , M.R.) in data 18.marzo 2016 ( v.doc. alito n. 22 del fascicolo di parte ricorrente ) portano a ritenere sussitente il rischio di perdita e/o diminuzione della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c.nelle more del giudizio di merito.

Per tutte le considerazioni innanzi formulate, il Tribunale , dunque, tenuto conto delle contestazioni formulate dal resistente in merito al quantum debeatur della pretesa risarcitoria, accoglie la domanda cautelare proposta nei confronti di B.M. e per l’effetto autorizza il sequestro conservativo nella misura di Euro 6.000.000,00.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo tenuto conto del valore del giudizi e dell’attività espletata nei rapporti tra il il ricorrente e i resistenti costituitisi in giudizio.

Nulla va invece liquidato per le spese nei rapporti tra il ricorrente e i resistenti M.M. e S.M., stante la mancata costituzione degli stessi.

P.Q.M.
Il Tribunale sul ricorso depositato nell’interesse di Fall. M.I.srl in liquidazione volto ad ottenere l’autorizzazione il sequestro conservativo in danno di B.M. , R.P.M.M., R.M., S. M. così decide:

– dichiara improcedibile il ricorso nei confronti di M.S. e M. M.;

– rigetta il ricorso nei confronti di P.R. e R.M.;

– accoglie la domanda nei confronti di B.M. e per l’effetto autorizza il sequestro conservativo su tutti i crediti, beni mobili e immobili del resistente fino a concorrenza di Euro 6.000.000,00;

– condanna il resistente B.M. al pagamento direttamente a favore dello Stato ai sensi dell’articolo 133 del D.P.R. n. 115 del 2002, delle spese del presente giudizio, che si liquidano (già ridotte della metà ai sensi dell’articolo 130 del D.P.R. n. 115 del 2002) in Euro 5.350,00 per compensi, oltre 15% spese forfettarie ed accessori di legge, oltre l’importo delle spese prenotate a debito.

– condanna il fallimento al pagamento delle spese di lite nei confronti di R.P. e R.M. che liquida in Euro10.700,00 per compensi oltre iva e cpa se dovuti e rimborso spese ex art. 2 D.M. n. 55 del 2014; ;

– nulla si liquida per le spese per i resistenti M.M. e S.M.

Così deciso in Napoli, il 1 aprile 2020.

Depositata in Cancelleria il 1 aprile 2020.


Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del comparto FUNZIONI LOCALI-2016-2018

aran_logo6Leggi: CCNL Funzioni Locali 21 maggio 2018_Definitivo


Tribunale di Padova, sent. n. 1765 del 01.07.2011

TRIBUNALE DI PADOVA

R.G. 1765-11

Il Giudice,
sciogliendo la riserva,
rilevato, che l’opposizione tardiva è ammissibile allorquando venga dedotta dall’opponente la mancata conoscenza del decreto ingiuntivo per irregolarità della notificazione;
considerato che la notifica del decreto ingiuntivo opposto è stata effettuata dal Messo del Giudice di Pace ai sensi dell’art. 143 presso il Comune di Padova, luogo dell’ultima residenza dei legale rappresentante della debitrice xxxxxxxxxx sig. xxxxxxxxxxxx dopo l’esito negativo della notifica in Padova via xxxxxxxxxxx, residenza risultante dalle risultanze anagrafiche;
rilevato che la relata di notifica tentata in Padova via xxxxxxxxx, è priva di data, e che la mancanza della data nella relata di notifica comporta nullità insanabile allorquando dalla notificazione decorre, come nel caso dì specie, un termine perentorio entro il quale il destinatario deve esercitare i suoi diritti (Cass. 5636/1986), nullità non sanata dalla produzione del procuratore dell’opposto nell’odierno giudizio della certificazione redatta in data successiva attestante che la notifica è stata tentata in data 15.12.2009;
considerato, altresì, che in tema di notifica a società, il passaggio dalla notifica presso la sede della società ovvero, ove ciò non sia possibile, presso il domicilio del suo amministratore alla notifica prevista dall’art. 143 cod. proc. Civ. presuppone che la società ed il suo amministratore non siano reperibili rispettivamente  presso la sede risultante dal registro delle imprese e presso il domicilio anagrafico, ma ciò richiede che l’Ufficiale Giudiziario abbia svolto ricerche e chiesto informazioni in modo adeguato, ed è necessario che, come previsto dall’art. 148 cod. proc. Civ., di detta attività si dia atto specificatamente nella relazione di notifica (v. Cass. Sez. I, Sentenza n. 6761 del 06.04.2004, con la quale la Suprema Corte ha confermato la sentenza d’appello, che aveva dichiarato la nullità della notifica eseguita a norma dell’art. 143 cod. proc. Civ. in un caso nel quale nella relazione di notificazione l’ufficiale giudiziario si era limitato a riferire che “da informazioni e ricerche assunte in loco” il destinatario non risultava conosciuto al civico indicato, tale generico tenore della relazione non consentendo di avere contezza dell’attività in concreto svolta ne’ di verificare che fossero state svolte le indagini e raccolte le informazioni che la situazione consentiva, ed ha altresì escluso che la relazione negativa potesse ritenersi giustificata dalla mancata indicazione della denominazione sociale e del nome dell’amministratore sui citofoni o sulla cassetta postale del luogo ove la società aveva sede e l’amministratore il proprio domicilio anagrafico);
considerato che alla semplice annotazione “sconosciuto all’indirizzo” non è dato conoscere le ricerche eseguite dall’Ufficiale Giudiziario, che devono essere sempre indicate nella relata, come previsto anche dall’art. 148 in caso di notifica ex art. 143 cod. proc. civ.;
considerato che la copiosa documentazione depositata dal patrocinio opponente risulta che il legale rappresentante della xxxxxxx nel periodo antecedente e successivo alla notifica in questione ha ricevuto corrispondenza, bollette ed altre notifiche presso l’indirizzo di Padova, via xxxxxxxxxxx , dove gli è stata notificata anche l’istanza di fallimento depositato dall’odierna opposta;
rilevato che la nullità della notifica rende ammissibile l’opposizione tardiva, e non rilevante la decisione sulla querela di falso presentata dall’opponente in relazione alla notifica negativa presso l’indirizzo di Padova, via xxxxxxx;
rilevato che l’opponente ha disconosciuto la sottoscrizione del doc. 2 della fase monitoria (conferimento incarico all’Agenzia Immobiliare Soluzioni Immobiliari) e che la restante documentazione agli atti è insufficiente a giustificare la provvisoria esecuzione, anche sotto il profilo del quantum;
rilevato che l’art. 650 cod. proc. civ. prevede il potere del Giudice dell’opposizione tardiva di sospendere l’esecuzione del decreto ingiuntivo, richiamando l’art 649 cod. proc. civ.

P.Q.M.

Visto l’art. 650 cod. proc. civ.
Ritenuta ammissibile l’opposizione tardiva per nullità della notificazione, sospende l’esecutorietà del decreto opposto,
Fissa per la prosecuzione l’udienza del 7.10.2011 ad ore 10,45.
Si comunichi.

Il Giudice
Dr.ssa Innocenza Vono

Padova 1.07.2011

Depositato in Cancelleria il 01.07.2011


Direttiva Europea n. 136/2009

Direttiva Europea n. 136-2009


Giudice di Pace – Roma – Sent. n. 110406/11 – omessa notifica del verbale di multa

Sentenza GdP Roma – omessa notifica del verbale di multa del 05.01.2012 depositata presso la Cancelleria in data 09.01.2012


Giudice di Pace Lecce Sentenza 18 gennaio 2010, n. 8190

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL GIUDICE DI PACE DI LECCE

Aw. Cosimo Rochira ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al numero del ruolo generale indicato a margine, avente l’oggetto pure a margine indicato, discussa e passata in decisione
all’udienza del 4.12.2009, promossa da: ……, rappresentato e difeso dall’avv. Alfredo Matranga e M. Marinosci
CONTRO
COMUNE DI LECCE, domiciliato per legge presso il suo ufficio,
rappresentato e difeso dai Funzionari della P.M.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 22.12.2008, ……. proponeva opposizione avverso il verbale di contestazione n. P 12659 del 1.9.08 con il quale gli veniva ingiunto di pagare la somma di Euro 121,00 quale sanzione amministrativa comminatagli, per la violazione del art.7 e 15$ com. 9 e 13 del C.d.S. in quanto sostava in zona a traffico limitato.
Rilevava il ricorrente l’illegittimità della contestazione e del relativo verbale. Concludeva chiedendo, l’annullamento del suddetto verbale di contestazione. Il Giudice di Pace fissava l’udienza di comparizione.
Alla suddetta udienza si costituiva in Giudizio il Comune resistente il quale impugnava e contestava il ricorso chiedendone il rigetto, compariva inoltre il ricorrente, a mezzo del suo procuratore, il quale insisteva per l’accoglimento del ricorso, quindi, la causa, all’udienza del 4.12.2009,
precisate le conclusioni, dopo ampia discussione; veniva decisa dando lettura in udienza del dispositivo.
Motivi della decisione
Il ricorso risulta fondato e va pertanto accolto.
In via preliminare si rileva che all’udienza del 17.6.09 ii resistente si impegnava a depositare la documentazione attestante la presenza di adeguata segnaletica regolamentare, ma nelle successive udienze si dava atto del mancato deposito.
Dalla documentazione esibita in atti emerge che i verbali di contestazione notificati all’opponente, dall’Ufficio di Bologna CMP, sono tutti diversi dal verbale redatto dall’ausiliario del traffico, e non sono autenticati.
Al riguardo, si osserva che la normativa del vigente Codice della Strada (D.Lgs. n. 285/1992) e del relativo regolamento (D.P.R. n. 495/1992) stabilisce all’art. 385, comma 3°, che il verbale redatto dall’organo accertatore rimane agli atti dell’Ufficio o Comando, mentre ai soggetti ai quali devono essere notificati gli estremi viene inviato uno degli originali o copia autenticata a cure del responsabile dello stesso Ufficio o Comando; invece, nel caso di verbali redatti con sistemi meccanizzati o di elaborazione dati, essi sono notificati con il modulo prestampato recante l’intestazione dell’Ufficio o Comando predetti.
Il sistema di contestazione, dunque, 8 diverso, in quanta contempla l’invio di uno degli originali del verbale redatto dall’organo accertatore, oppure di copia autenticata, dalla quale deve, dunque, risultare (ancorché come meramente riprodotta nella copia medesima) la sottoscrizione dell’agente accertatore, giusta Ia previsione di cui al comma 4° dell’art. 385 D.P.R. n. 495/1992, che — a sua volta — fa espresso riferimento al precedente art. 383, il cui comma 4° testualmente statuisce: Il verbale deve in genere essere conforme al modello allegato, e fa parte integrante del presente regolamento,: se redatto con sistemi meccanizzati o di elaborazione dati, deve riportare le stesse indicazioni contenute nel modello”, compresa, naturalmente, la sottoscrizione dell’agente accertatore, come si ricava agevolmente dal fac-simile di modello allegato al regolamento d’esecuzione del Codice della Strada.
Né tale disciplina può ritenersi odiernamente modificata da quanto stabilito dall’ultimo periodo dell’art. 3, comma 2; L. 39/1993 (Se per la validità di tali operazioni e degli atti emessi sia prevista l’apposizione di firma autografa, la stessa è sostituita dall’indicazione a stampa, sul documento prodotto dal sistema automatizzato, del nominativo del soggetto responsabile), stante l’entrata in vigore dell’art.15 L: 59/1997 e dei regolamenti attuativi in esso previsti, secondo i quali la firma a stampa, in sostituzione di quella autografa, può essere apposta solo per gli atti che non richiedano alcuna previa valutazione e non anche per gli atti che debbano essere motivati in relazione alle particolarità del caso concreto,
come nei verbali di accertamento e contestazione di violazioni al Codice della Strada (Cass. Civ., Sez. I, 28/12/2000, n. 16204 — conformi: Cass. Civ., Sez. I, 03/03/1998, n. 2341; Cass. Civ., Sez. I, 07/05/1999, n. 4567).
E’ ormai concetto consolidato della giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ., Sez. IIi, 15/04/1999, n. 3741; Cass. Civ., Sez. I, 26/06/1992, ti 8031; Cass. Civ., Sez. I, 29/12/1989, n. 5826) che, dinanzi alle contestazioni dell’opponente, è onere dell’ente opposto fornire prova della legittimità del suo operato e della fondatezza della sua pretesa.
Rilevata la fondatezza ed il carattere assorbente del primo motivo di ricorso,appena trattato, si appalesa inutile l’esame dei successivi motivi, che vengono assorbiti dal primo.
Il ricorso è dunque fondato e va accolto, le spese e competenze di giudizio, per giustificati motivi dovuti alla particolarità della fattispecie, vanno compensate tra le parti.
Il Giudice di Pace di Lecce:
Definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da ……. avverso il verbale n.. P 12659 del 1.9.08, così provvede:
Accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato;
spese compensate.
Così deciso in Lecce, oggi 4.12.2009.


Tribunale di Roma, sezione XIII, sentenza n. 431 del 12.01.2010

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Rilevato che:

non sussiste litisconsorzio necessario nei confronti dell’ente esattore, essendo esso del tutto estraneo al rapporto sostanziale in contestazione (Cfr. Cass. 1278/05, 11746/04);

fondato risulta il primo motivo di appello con cui si deduce che erroneamente il giudice di primo grado ha ritenuto valida la notifica dei verbali effettuata ex art. 139, 2 e 3 comma, c.p.c.;

ed invero, l’Ufficiale Giudiziario, prima di effettuare la notifica al portiere, avrebbe dovuto dare atto, oltre che dell’assenza del destinatario, delle vane ricerche delle altre persone preferenzialmente abilitate a ricevere l’atto rientranti nelle categorie contemplate dal 2 comma dell’art. 139 succitato;

nella relata di notifica, invece, si legge soltanto la dicitura “in assenza … di tutti gli altri soggetti indicati nella relata di notifica momentaneamente assenti”, affermazione questa che è del tutto generica non attestando essa chiaramente l’effettiva e reale ricerca del destinatario prima, nonché degli altri soggetti contemplati dal secondo comma dell’art. 139 c.p.c.;

tale omissione comporta la nullità della notifica dei verbali di accertamento posti a fondamenti della cartella (cfr. SS. UU. ord. n. 8214 del 2005, 1258/07);

inoltre, nella notificazione eseguita ex art. 139, 3 comma, c.p.c., l’omessa spedizione della raccomandata prescritta dal 4 comma della medesima disposizione non costituisce una mera irregolarità, ma un vizio dell’attività dell’ufficiale giudiziario che determina, fatti salvi gli effetti della consegna dell’atto dal notificante all’ufficiale giudiziario medesimo, la nullità della notificazione nei riguardi del destinatario (cfr. Cass. 17915/08);

ne consegue la nullità della cartella di pagamento impugnata e la condanna dell’amministrazione appellata alla restituzione della somma da essa riscossa a seguito del pagamento della medesima;

alla soccombenza segue la condanna del Comune di Roma al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio, spese che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale, in persona del giudice dr. Sergio Pannunzio, definitivamente pronunciando sull’appello avverso la sentenza del Giudice di Pace di Roma n. 7449 del 2008, così provvede:

a) – annulla la cartella esattoriale n. (omissis) emessa nei confronti di Ni.Pa.;

b) – condanna il Comune di Roma, in persona del Sindaco pro tempore, al pagamento delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio che liquida in Euro 320,00 per diritti ed Euro 270,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CAP come per legge.

Così deciso in Roma il 12 gennaio 2010.

Depositata in Cancelleria il 12 gennaio 2010.


GIUDICE DI PACE DEL MANDAMENTO DI CASERTA Sentenza del 13/01/2009

UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI CASERTA
PRIMA SEZIONE
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice di Pace di Caserta, Avv. G. Bello, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al N.ro 9779/08 R.G., avente ad oggetto: opposizione a verbale della Polizia Municipale, ai sensi della L. 689/81:
TRA
Meviox, nato …, elettivamente domiciliato in … , presso lo studio dell’Avv. … che lo rappresenta e difende per mandato a margine del ricorso; (opponente)
E
Comune di Xxxx , in persona del Sindaco p. t.; (opposto)
.
CONCLUSIONI: come da verbale di causa.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 23.9.2008, veniva proposta opposizione avversa il verbale n. …./2008 del 5.6.2008, reso dalla Polizia Municipale di Xxxx, notificato in data 16.9.2008, con il quale si contestava la violazione dell’art. 142, comma 8, C.d.S. per aver il conducente del veicolo Honda, tg. …, superato il limite di velocità di 70 km/h, in Xxxx, alla SP 336 km. 23+830, Direzione Caserta, in data 5.6.2008, al-le ore 18,52, poiché circolava alla velocità di 96 km/h che, detratta la tolleranza del 5%, aveva superato il detto limite di 21 km/h. La violazione comportava la decurtazione di 5 punti sulla patente di guida. La rilevazione era avvenuta con apparecchio Traffiphot III SR, omolog. 4130 del 24.12.2004. Matr. Post. 593-206/61409 Matr. Mis. 593-
100/60926. Cert. Tar. N. 2282-2008 SIT del 15.5.2008.

Deduceva, tra l’altro, l’opponente che era omessa la detrazione della percentuale forfetaria del 5% nel calcolo della velocità. Il dispositivo di misurazione della velocità non era stato adeguatamente segnala-to, con segnale luminoso. Era stato violato l’art. 81 del regolamento al C.d.S. poiché la segnaletica non rispetta le distanze laterali dal bordo della strada. Il segnale era coperto, nella prospettiva di marcia dell’utente, da alberi e cartellonistica stradale. Secondo il comma 6, dell’art. 142, C.d.S., sono considerate fonti di prova le risultanze di apparecchiature debitamente omologate. La norma va interpretata nel senso che il rilevatore della velocità deve essere in grado di misurare sia la velocità istantanea che quel-la media il che è possibile solo con l’apparecchiatura “Tutor”. Era necessaria la prescritta autorizzazione del Prefetto per l’installazione dell’apparecchio Traffiphot. La violazione non era stata immediatamente contestata. Chiedeva, pertanto, previa sospensione dell’efficacia esecutiva, annullare il verbale di accertamento impugnato.
Il Giudice, con decreto notificato alle parti, fissava l’udienza di comparizione delle parti stesse.
Si costitutiva il Comune di Xxxx che resisteva alla proposta opposizione e ne chiedeva il rigetto perché infondata.
All’esito della detta udienza, il Giudice decideva la causa dando lettura del dispositivo, ai sensi dell’art. 23 della legge n. 689/81 e della sentenza n. 534/90 della Corte Costituzionale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’opposizione è fondata e va accolta.
Invero, indipendentemente da taluni motivi di opposizione, palesemente inconsistenti e pretestuosi, l’art. 12, c. 3, lett. c), C.d.S., sancisce che l’attribuzione ai corpi di Polizia Municipale resta circoscritta nell’ambito del territorio di competenza. Anche l’art. 5, commi 1 e 2, della legge 7.3.1986 n. 65, stabilisce che la Polizia Municipale è titolare di funzioni di polizia stradale nell’ambito territoriale dell’Ente (Comune) di appartenenza.

Nel caso di specie, invece, l’accertamento è stato effettuato sulla S.P. 336 (Strada Provinciale di proprietà dell’Amministrazione Provinciale di Caserta), dalla Polizia Municipale di Xxxx il cui Comune (a cui fa capo la detta Polizia Municipale) non è proprietario, né gestore.
Peraltro, è ampiamente noto che la giurisprudenza di merito ha ripetutamente affermato che: “I corpi di Polizia Municipale non possono effettuare accertamenti di violazioni delle norme del C.d.S. su tracciati che non siano di proprietà degli Enti Locali di cui essi siano organi e ciò anche nel caso in cui i tracciati in questione attraversino i territori degli Enti interessati”.
Sicché, l’accertamento compiuto dalla Polizia Municipale di Xxxx deve ritenersi illegittimo in quanto eseguito su un tratto stradale di proprietà di altro Ente (la Provincia) e, soprattutto, in quanto relativo ad una struttura rilevatrice (Traffiphot III SR) ad impianto fisso per la quale nessuna autorità amministrativa, almeno per quanto risulta dal verbale impugnato, ha mai concesso l’autorizzazione all’installazione.
Sul piano generale, poi, è significativa la nota prot. n. 6729/12B.2/GAB del 17.12.2008, resa dal Prefetto di Caserta ed inviata ai Sindaci ed ai Commissari di tutti i Comuni della Provincia, con la quale, tra l’altro, il Prefetto afferma testualmente: “Non è ammissibile che i predetti strumenti di rilevazione automatica assumano invece diverse funzioni, in difformità dallo spirito e dalla lettera della normativa, divenendo, in pratica, soltanto una fonte atipica di incremento per le entrate comunali e finendo per non assolvere allo scopo per il quale sono stati previsti”.
Anche la Provincia di Caserta (proprietaria della strada in cui è avvenuta la rilevazione di che trattasi), Settore Viabilità, ha inviato a vari Comuni e tra questi il Comune di Xxxx, la nota prot. n. 0188822 del 2.12.1008, che recita testualmente: “Con riferimento alle autorizzazioni rilasciate da questo Settore Viabilità per gli impianti autovelox (rectius: traffiphot) installati lungo le strade di competenza, si prescrive che le stesse vengano adeguate a quanto disposto dalla normativa vigente (D.L. 3.8.2007 n. 117). In particolare si prescrive la segnalazione attraverso l’impiego di dispositivi luminosi. Per quanto sopra, nell’attesa di detto adeguamento, gli stessi devono essere disattivati”.

Per quanto a conoscenza, il Comune di Xxxx, sulla S.P. 336, ha installato due postazioni Traffiphot, ad una distanza tra loro di circa 500 mt., senza però che siano stati conseguiti miglioramenti significativi per la sicurezza stradale, salvo le maggiori entrate nelle casse comunali, come opportunamente segnalato dal Prefetto di Caserta.
Consegue che la proposta opposizione va accolta con l’annullamento del verbale impugnato.
La natura della controversia giustifica la compensazione delle spese di lite.
P. Q. M.
Il Giudice di Pace di Caserta, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, così provvede:
1) Accoglie la proposta opposizione e, per l’effetto, annulla il verbale n. …../2008 del 5.6.2008, reso dalla Polizia Municipale di Xxxx;
2) Dichiara le spese di lite interamente compensate tra le parti.
Così deciso in Caserta, all’udienza del 13 Gennaio 2009
Il Giudice Coordinatore
Avv. Generoso Bello