REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAROTTA Caterina – Presidente
Dott. ZULIANI Andrea – Consigliere Rel.
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere
Dott. CASCIARO Salvatore – Consigliere
Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29045/2021 R.G. proposto da
A.A., elettivamente domiciliato in Roma, via Germanico n. 109, presso lo studio dell’avv. D’Amico, rappresentato e difeso dagli avv. Francesco Vincenzo Papadia ed Emanuele Procopio
– ricorrente –
contro
Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria
– intimata –
avverso la sentenza n. 256/2021 della Corte d’Appello di Reggio Calabria, depositata il 27.5.2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6.6.2024 dal Consigliere Andrea Zuliani.
Il ricorrente, infermiere presso l’Ospedale di Locri, ottenne decreto ingiuntivo nei confronti dell’Azienda Sanitaria
Svolgimento del processo
Il ricorrente, infermiere presso l’Ospedale di Locri, ottenne decreto ingiuntivo nei confronti dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria (di seguito, ASP), chiedendo il pagamento delle prestazioni aggiuntive rese nel servizio “dialisi estiva”, destinato anche a persone in ferie nella regione, pagate dall’ente negli anni antecedenti e successivi, ma non per l’anno 2013.
La Corte d’Appello di Reggio Calabria, riformando la pronuncia del Tribunale di Locri che aveva respinto l’opposizione al decreto ingiuntivo, ha disatteso la domanda, revocando il decreto ingiuntivo e ritenendo che la vicenda non fosse regolata dal CCNL richiamato dal ricorrente, in quanto riguardante il personale dirigente, ma dal d.l. n. 402 del 2001, poi recepito dal CCNL 2008/2009, le cui norme prevedono la necessità di autorizzazione regionale, il ricorrere di certe condizioni soggettive e la contrattazione della tariffa, tutte circostanze la cui sussistenza non era stata allegata, senza contare che, contestualmente, gli impegni lavorativi e di spesa erano stati ridotti per rispettare i vincoli di bilancio.
Contro la sentenza della Corte d’Appello il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi, mentre l’ASP è rimasta intimata.
Nel termine di legge anteriore alla data fissata per la camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 – bis.1 c.p.c. il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Motivi della decisione
1. Deve preliminarmente dirsi che la notifica del ricorso per cassazione è regolare.
La sentenza di appello dà atto che la ASP era difesa in quella sede dall’avv. Rosa Lombardo. Il ricorso per cassazione risulta notificato il 17.11.2021 presso la casella Pec del predetto legale e ricorrono dunque i presupposti di cui all’art. 330 c.p.c., sub specie di notifica presso il procuratore costituito.
Pertanto, tenuto conto che la sentenza è stata pubblicata il 27.5.2021 e non risulta la sua notificazione, la proposizione del ricorso per cassazione è tempestiva.
2. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché degli artt. 1375 e 2697 c.c. e degli artt. 36 e 111 della Costituzione, anche in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., e con esso si fa leva sul fatto che le prestazioni fossero state in concreto eseguite, su incarico della Azienda.
Dalla sentenza di appello si evince che la domanda ha riguardato la remunerazione di attività svolta dal ricorrente oltre il debito orario per l’assicurazione di prestazioni di dialisi “estiva” in favore anche di pazienti di altre regioni soggiornanti in Calabria. La Corte d’Appello, rettificando il richiamo svolto dal ricorrente alla contrattazione dirigenziale, ha riportato la pretesa a quella propria delle c.d. prestazioni aggiuntive, quali regolate fino al 31.12.2003, dall’art. 1, comma 2, d.l. n. 402 del 2001, conv. con mod. in legge n. 1 del 2002 (con effetti poi prorogati dapprima al 31.12.2006 dall’art. 6 – quinquies d.l. n. 314 del 2004, conv. con mod. in legge n. 26 del 2005 e quindi al 31.5.2007 dall’art. 1, comma 2, d.l. n. 300 del 2006, conv. con mod. in legge n. 17 del 2007 e quindi, ulteriormente, fino all’intervenire della contrattazione collettiva per effetto dell’art. 4 della legge n. 120 del 2007) e poi regolate, attraverso il richiamo alla medesima disciplina, dall’art. 13 del CCNL 10.4.2008 (normativo 2006 – 2009 ed economico 2006 – 2007) e dall’art. 12 CCNL 31.7.2009 (economico 2008 – 2009).
La Corte di merito ha in proposito ritenuto che, essendo mancate allegazione e prova dei fatti costitutivi, tra cui l’autorizzazione regionale e le condizioni soggettive dei lavoratori (prestazione di servizio a tempo pieno da almeno sei mesi; assenza di esenzioni da mansioni; etc.) e mancando una disciplina contrattuale definitoria dei compensi, la fattispecie non risultasse integrata e la domanda andasse quindi disattesa.
3. Il ragionamento della Corte territoriale è in sé corretto, sebbene non sufficiente, per quanto si andrà a dire, a sorreggere la reiezione della domanda.
4. L’ipotesi delle prestazioni “aggiuntive” è in effetti speciale, in quanto caratterizzata da elementi di fattispecie che vanno al di là della mera prestazione del lavoro su incarico datoriale, essendo necessario un previo controllo sulle risorse e di coerenza rispetto agli obiettivi sanitari, cui si riferisce evidentemente la “previa” autorizzazione regionale – esterna al datore di lavoro – richiesta dall’art. 1, comma 2, del d.l. n. 402 del 2001 citato, implicitamente confermata dalla normativa di proroga di cui si è detto ed altresì poi confermata dal rinvio alla disciplina pregressa operata dalla contrattazione collettiva, parimenti citata, che regola ratione temporis quanto oggetto di causa.
Giustamente la Corte territoriale aggiunge a tali requisiti quello della fissazione tariffaria specifica di tali prestazioni, da svolgere previa consultazione sindacale.
Tali elementi sono risultati carenti ed anzi si può dire che pacificamente essi non ricorrevano, sicché, una volta operata la qualificazione in tal senso della domanda, va da sé che la stessa dovesse essere disattesa.
In tal senso questa Suprema Corte già si è espressa, seppure rispetto alle prestazioni “aggiuntive” dei dirigenti medici ai sensi degli artt. 14, comma 6, del CCNL 2005 e 5, comma 2, del CCNL 2000 di Area (Cass. n. 9413/2023).
5. Tuttavia, l’apprezzamento dell’oggetto del contendere svolto dalla Corte territoriale è parziale e fondatamente il primo motivo di ricorso fa leva sul fatto che la ASP, quale datore di lavoro, richiese e recepì dal lavoratore le prestazioni svolte oltre il debito orario, da cui derivò anche per l’ente la percezione di “ricavi”, secondo quanto risulterebbe emergere dai documenti incorporati al ricorso per cassazione.
Lo svolgimento di lavoro oltre il debito orario non intercetta infatti, sotto il profilo della remunerazione, soltanto la fattispecie delle prestazioni c.d. “aggiuntive”, ma anche quella del lavoro straordinario, in ipotesi nella variante di cui all’art. 2126 c.c. ed è a tali ipotesi che l’insistenza del ricorrente sulla concreta esecuzione di prestazioni cui egli era stato “comandato” inevitabilmente riporta in esercizio il potere – dovere di individuare, una volta denunciata la violazione di legge, la disciplina normativa regolativa della fattispecie dedotta in causa.
Il tema diviene dunque quello della remunerazione di tali prestazioni sulla base della disciplina dello straordinario.
6. È indubbio che la contrattazione collettiva prevede (art. 34, comma 2, del CCNL 1998/2001; art. 31, comma 2, del CCNL 2016/2018; ora, art. 47, comma 2, del CCNL 2019/2021) che lo straordinario sia autorizzato dal dirigente.
Questa Suprema Corte ha tuttavia declinato il principio, cui va data continuità, secondo cui in tema di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto, che presuppone la previa autorizzazione dell’amministrazione, spetta al lavoratore anche laddove la richiesta autorizzazione risulti illegittima e/o contraria a disposizioni del contratto collettivo, atteso che l’art. 2108 c.c., applicabile anche al pubblico impiego contrattualizzato, interpretato alla luce degli artt. 2 e 40 del D.Lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 97 Cost., prevede il diritto al compenso per lavoro straordinario se debitamente autorizzato e che, dunque, rispetto ai vincoli previsti dalla disciplina collettiva, la presenza dell’autorizzazione datoriale è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c. (Cass. n. 23506/2022).
Assetto, questo, su cui è allineata la definizione di cause sostanzialmente identiche alla presente, con l’affermazione dell’ulteriore principio per cui, in tema di pubblico impiego privatizzato, il riconoscimento del diritto a prestazioni c.d. “aggiuntive” – ai sensi dell’art. 1 del d.l. n. 402 del 2001, conv. con mod. dalla l. n. 1 del 2002, richiamato ratione temporis dalla contrattazione collettiva del comparto sanità – è subordinato al ricorrere dei presupposti dell’autorizzazione regionale, della presenza in capo ai lavoratori di requisiti cc. dd. soggettivi e della determinazione tariffaria; tuttavia, pur in mancanza dei menzionati presupposti, l’attività lavorativa oltre il debito orario comporta il diritto al compenso per lavoro straordinario nella misura prevista dalla contrattazione collettiva, purché sussista il consenso datoriale che, comunque espresso, è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c., in relazione all’art. 2108 c.c., a nulla rilevando il superamento dei limiti e delle regole riguardanti la spesa pubblica, il quale determina, però, la responsabilità dei funzionari verso la pubblica amministrazione (Cass. n. 18063/2023; analogamente, sempre sul servizio di dialisi estiva della ASP di Reggio Calabria, v. Cass. nn. 17641/2023 e 11946/2024).
Nel dare continuità a tali principi si ribadisce quindi che per autorizzazione, nell’ambito del lavoro straordinario, si intende il fatto che le prestazioni non siano svolte insciente vel prohibente domino, ma con il consenso del medesimo e che il consenso alle prestazioni può anche essere implicito. Tale consenso, come si è scritto sopra, una volta esistente, integra gli estremi che rendono necessario il pagamento e ciò anche ove la richiesta autorizzazione risulti illegittima e/o contraria a disposizioni del contratto collettivo.
I principi suesposti hanno del resto trovato continuità in fattispecie del tutto contigue, come quella della remunerazione a titolo di straordinario delle prestazioni rese a titolo di compenso incentivante, ove manchi la realizzazione dei presupposti propri di esso, ma vi sia superamento del debito orario (Cass. n. 25696/2023) o quella delle prestazioni rese a favore di terzi con il consenso della P.A. di appartenenza, sempre oltre il debito orario (Cass. n. 27842/2023).
6.1. Il collegio ritiene di ulteriormente precisare quanto segue.
Sul piano delle fonti, nel pubblico impiego contrattualizzato, ai sensi dell’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 165 del 2001, l’attribuzione dei trattamenti economici è in effetti riservata alla contrattazione collettiva, sicché non è sufficiente a tale scopo un atto deliberativo della P.A., ma occorre, a pena di nullità, la conformità di tale atto alla contrattazione collettiva (Cass. nn. 11645/2021; 17226/2020).
Nei casi come quello di specie quanto accade è però che, sebbene l’autorizzazione prevista dal CCNL risponda ad ulteriori ragioni (programmatiche, di spesa, etc.) o risalga a fattispecie diversa da quella dello straordinario (ad es. attività da remunerare con compensi incentivanti di cui non si realizzino i presupposti), rispetto alla remunerazione del lavoratore ciò che conta è lo svolgimento del lavoro su incarico anche solo implicito del datore e non contro la volontà di questi, sicché non rileva il fatto che siano osservate forme, né che l’autorizzazione si manifesti per qualunque ragione come invalida o potenzialmente tale, oppure come inidonea (v. il caso dei compensi incentivanti) al suo scopo originario.
A ben vedere, quello che si realizza in tal modo non è un reale contrasto tra la norma del codice civile (art. 2126 c.c., qui in relazione all’art. 2108 c.c.) e le regole che disciplinano l’autorizzazione nella contrattazione collettiva e quindi di un contrasto tra le previsioni di legge e quest’ultima. Al di là del regime del rapporto tra le fonti, mutevole nelle diverse versioni normative del pubblico impiego privatizzato succedutesi nel tempo, attraverso l’applicazione dell’art. 2126 c.c. viene regolata una fattispecie ulteriore e comune, in tutto il diritto del lavoro, alle prestazioni subordinate svolte coerentemente con la volontà datoriale, ma in condizioni non conformi al regime di validità proprio di esse, le quali vanno ciononostante remunerate, ovviamente secondo il quantum previsto, per tali prestazioni e per quanto riguarda il pubblico impiego privatizzato, dalla contrattazione collettiva.
D’altra parte, la fattispecie di cui all’art. 2126 c.c. è indubbiamente espressiva, nell’evoluzione dell’ordinamento, del precetto di cui all’art. 36 Cost. e non a caso, recentemente, Corte Costituzionale 27 gennaio 2023, n. 8, nel vagliare la legittimità dell’art. 2033 c.c., rispetto alla ripetizione di pagamenti indebiti nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, ha evidenziato come l’art. 2126 c.c., in ragione della protezione da esso assicurata alla “causa dell’attribuzione, costituita da una attività lavorativa che è stata, di fatto, concretamente prestata, pur se si dimostra giuridicamente non dovuta”, giustifica “sia la pretesa a conseguire il corrispettivo sia, qualora questo sia stato già erogato, l’irripetibilità del medesimo”, ponendosi, sotto quest’ultimo profilo, come uno dei parametri di equilibrio dell’ordinamento a fronte di pretese recuperatorie sproporzionate rispetto alle situazioni coinvolte, ma inevitabilmente giustificando e corroborando la centralità della norma anche ove vista sotto il profilo della prestazioni retributive che essa impone siano adempiute, pur in assenza di validità, anche solo in parte, del rapporto di lavoro e delle prestazioni rese.
6.2. Ciò vale anche sotto il profilo delle regole di spesa.
È vero che, secondo questa Suprema Corte, le remunerazioni delle prestazioni nel pubblico impiego possono essere riconosciute solo se in linea con le previsioni ed allocazioni di spesa e che l’accordo incoerente con esse è invalido (Cass. n. 5679/2022) e rende pertanto ripetibili eventuali pagamenti eseguiti sulla sua base (Cass. n. 14672/2022).
Tuttavia, una volta autorizzata e svolta la prestazione, non è sul lavoratore, in forza dell’asse sostanziale della disciplina di cui all’art. 36 Cost. e 2126 c.c., che possono gravare le conseguenze della divergenza rispetto agli impegni di spesa.
Tale divergenza può certamente impedire di riconoscere aumenti di corrispettivo non coperti da una regolare conduzione della contrattazione o di riconoscere speciali emolumenti di cui siano carenti i necessari presupposti quali previsti dalla contrattazione collettiva, ma non può essere di ostacolo al pagamento di una prestazione ulteriore a quella ordinaria che sia resa non insciente vel prohibente domino o comunque in modo incoerente con la volontà del datore. Ciò è già stato del resto affermato rispetto ad alcune fattispecie giunte alla disamina di questa Suprema Corte (v. Cass. n. 28938/ 2019, in tema di compenso per i turni di pronta reperibilità svolti in eccedenza ai limiti della contrattazione collettiva) e va qui ribadito anche rispetto alla presente ipotesi.
Semmai il tema si sposta sul piano della responsabilità, verso la Pubblica Amministrazione, dei preposti che non avrebbero in ipotesi dovuto consentire quelle lavorazioni; ma non può ammettersi che il sistema giuridico, contro il disposto di norme centrali di esso, sia alla fine declinato in pregiudizio del prestatore di lavoro subordinato che abbia svolto l’attività sua propria ed alla cui tutela sono di presidio i principi costituzionali già richiamati.
6.3. Restano al di fuori dal diritto alla retribuzione – a meno di prestazioni svolte contro norme a tutela del prestatore di lavoro – le nullità afferenti alla prestazione o alla sua richiesta che si riconnettano ad illiceità dell’oggetto o della causa.
Tale ipotesi è tuttavia palesemente estranea al caso di specie, in cui quella chiesta è la partecipazione infermieristica ad attività di dialisi estiva per pazienti di altre regioni e soggiornanti in Calabria e dunque una tipica prestazione sanitaria, propria dell’oggetto del rapporto di impiego e linearmente interna alla causa di un rapporto di lavoro subordinato.
7. Il primo motivo di ricorso va dunque accolto e ciò comporta l’assorbimento del secondo, con cui il ricorrente adduce la violazione dell’art. 111, comma 6, della Costituzione e degli artt. 132, comma 1, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.), sostenendo che la motivazione della sentenza impugnata contenesse, nel denegare l’esistenza di un’autorizzazione, affermazioni inconciliabili e contraddittorie che avrebbero imposto di riconoscere dovuta la retribuzione almeno per le ore entro cui una certa delibera del Commissario straordinario ASP avrebbe ridotto l’impegno lavorativo e di spesa.
8. La cassazione della sentenza d’appello determina il rinvio alla medesima Corte territoriale, la quale verificherà l’esistenza del credito retributivo sulla base di quanto sopra precisato e quindi in ragione del superamento del debito orario e con riferimento, sotto il profilo della quantificazione, alle misure unitarie orarie proprie del lavoro straordinario secondo la contrattazione collettiva del tempo, senza attribuire rilievo ai limiti orari di ricorso allo straordinario eventualmente previsti dalla medesima contrattazione, né ad altri vizi degli incarichi con cui è stato disposto l’impiego del lavoratore nel servizio di dialisi estiva.
9. Può anche esprimersi, in continuità con i precedenti, il seguente principio: “in tema di pubblico impiego privatizzato, il disposto dell’art. 2126 c.c. non si pone in contrasto con le previsioni della contrattazione collettiva che prevedano autorizzazioni o con le regole normative sui vincoli di spesa, ma è integrativo di esse nel senso che, quando una prestazione, come quella di lavoro straordinario, sia stata svolta in modo coerente con la volontà del datore di lavoro o comunque di chi abbia il potere di conformare la stessa, essa va remunerata a prescindere dalla validità della richiesta o dal rispetto delle regole sulla spesa pubblica, prevalendo la necessità di attribuire il corrispettivo al dipendente, in linea con il disposto dell’art. 36 Cost.”.
4. Si dà atto che, stante l’esito del ricorso, non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del D.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Reggio Calabria in diversa composizione.
Conclusione
Così deciso in Roma il 6 giugno 2024.
Depositata in Cancelleria il 28 giugno 2024.