REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –
Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –
Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –
Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere –
Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al numero 13276 del ruolo generale dell’anno 2019, proposto da:
A.A. (C.F.: (Omissis)) rappresentato e difeso, giusta procura allegata al ricorso, dall’avvocato Antonio Feroleto (C.F.: (Omissis));
– ricorrente –
nei confronti di B.B. (C.F.: (Omissis));
C.C. (C.F.: (Omissis));
rappresentati e difesi, giusta procura allegata al controricorso, dall’avvocato Alessandro Manno (C.F.: (Omissis));
-controricorrenti-
per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma n. 1271/2019, pubblicata in data 20 febbraio 2019;
udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza del 13 settembre 2023 dal consigliere Augusto Tatangelo;
uditi:
il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Dott. Giovanni Battista Nardecchia, che ha concluso per il rigetto del ricorso, come da requisitoria scritta in atti;
l’avvocato Antonio Feroleto, per il ricorrente; l’avvocato Alessandro Manno, per i controricorrenti.
Svolgimento del processo
B.B. e C.C. hanno agito in giudizio nei confronti di A.A. per ottenere la dichiarazione di inadempimento di quest’ultimo ad un contratto preliminare di vendita immobiliare (stipulato con il loro dante causa D.D.), l’accertamento della legittimità del recesso da detto contratto, nonchè la condanna del A.A. al pagamento del doppio della caparra confirmatoria versata, per Euro 160.000,00.
Le domande sono state accolte dal Tribunale di Tivoli, con sentenza n. 1990/2014 in data 19 settembre 2014.
La Corte d’appello di Roma ha dichiarato inammissibile l’appello del A.A. avverso tale sentenza, proposto nel settembre del 2018, ritenendolo tardivo.
Ricorre il A.A., sulla base di quattro motivi.
Resistono con controricorso gli B.B..
E’ stata inizialmente disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c..
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..
La Corte, all’esito dell’adunanza camerale del 3 maggio 2023, ha disposto la trattazione in pubblica udienza, in vista della quale parte ricorrente ha depositato ulteriore memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1. Si premette che l’oggetto del presente giudizio è l’accertamento della legittimità del recesso da un contratto preliminare di vendita immobiliare (contratto dichiarato risolto per inadempimento del promittente venditore, con condanna al pagamento del doppio della caparra, all’sito del giudizio di merito): non si tratta dunque di un ricorso in materia di esecuzione forzata che, sebbene in astratto rientrante nella competenza tabellare di altra Sezione della Corte, viene comunque trattato da questa Sezione in quanto espressamente assegnato alla stessa sulla base di provvedimenti dirigenziali interni non più contestabili.
2. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 143, 156, 157, 160, 325, 326 e 327 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4) c.p.c.”. Con il secondo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 143, 156, 157, 160, 325, 326 e 327 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4) c.p.c.”.
I primi due motivi del ricorso hanno ad oggetto la statuizione della sentenza impugnata in cui si rileva la tardività del gravame del ricorrente avverso la sentenza di primo grado, in quanto proposto oltre il termine di trenta giorni dalla notificazione della predetta sentenza, in violazione del termine breve di cui agli artt. 325 e 326 c.p.c..
Essi sono fondati.
La sentenza di primo grado risulta pubblicata in data 19 settembre 2014 e notificata al ricorrente A.A. (unitamente all’atto di precetto), ai sensi dell’art. 143 c.p.c., in data 16 dicembre 2014; successivamente, in data 27 gennaio 2015 risulta notificato al A.A., sempre ai sensi dell’art. 143 c.p.c., un atto di pignoramento immobiliare.
Il A.A. sostiene di avere avuto conoscenza del processo di cognizione, della sentenza che lo aveva definito e del processo esecutivo solo in data 20 febbraio 2018, a seguito di una istanza di accesso agli atti dello stesso processo esecutivo: risulta infatti che egli abbia anche proposto una opposizione esecutiva il 12 marzo 2018, opposizione che, peraltro, non è oggetto del presente ricorso e della quale non viene in realtà neanche specificato l’esito.
L’atto di appello avverso la sentenza di merito di primo grado è stato notificato in data 3/6 settembre 2018, entro sei mesi, quindi, dalla dedotta conoscenza della sentenza stessa, maggiorati della sospensione feriale dei termini processuali, che nella fattispecie è certamente applicabile, in quanto, come chiarito nel precedente paragrafo, non si tratta di controversia in materia di esecuzione forzata.
La corte d’appello ha affermato che “non si rinviene nell’atto di appello una precisa eccezione di nullità della notificazione della sentenza appellata, concentrandosi l’attenzione dell’appellante sulla notificazione dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado”: sarebbe quindi decorso, dal momento di detta notificazione (che risulterebbe eseguita, come già visto, il 16 dicembre 2014, ai sensi dell’art. 143 c.p.c., unitamente al precetto), il termine breve per l’appello.
Il ricorrente censura tale statuizione deducendo, in primo luogo, che il principio di diritto applicato dalla corte d’appello (la quale richiama a sostegno della propria statuizione il remoto precedente di cui a Cass., Sez. 2, Sentenza n. 1766 del 17/06/1974, Rv. 369948 01), secondo cui non sarebbe rilevabile di ufficio la nullità della notificazione della sentenza impugnata oltre il termine breve, sarebbe stato superato da più recenti pronunzie di questa stessa Corte nelle quali si afferma, invece, che è sempre rilevabile di ufficio l’eventuale nullità della notificazione della sentenza, vizio il quale impedisce la decorrenza del termine breve.
Sostiene, altresì, che la nullità della notificazione della sentenza era stata in realtà dedotta, unitamente a quella della nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di cognizione e degli atti in base ai quali era stata minacciata e poi attuata l’esecuzione forzata, in quanto con l’appello era stato esplicitamente allegato che tali atti erano stati tutti notificati ai sensi dell’art. 143 c.p.c., ma in mancanza dei relativi presupposti, quindi in modo non valido.
Entrambi i profili delle censure in esame risultano fondati.
Il A.A. ha proposto l’appello nel 2018, dopo tre anni dalla pretesa notifica della sentenza di primo grado (avvenuta unitamente all’atto di precetto, ai sensi dell’art. 143 c.p.c., nel dicembre 2014): con il suo gravame ha sostenuto di avere avuto conoscenza del processo di cognizione e della sentenza che lo aveva definito solo nel corso del processo esecutivo, in quanto tutte le notificazioni degli atti precedenti (atto di citazione, sentenza di merito di primo grado con allegato precetto, nonchè atto di pignoramento) erano nulle, anzi, a suo dire addirittura giuridicamente inesistenti.
La nullità della notificazione della sentenza di primo grado deve pertanto ritenersi esplicitamente allegata dall’appellante.
Per quanto poi riguarda l’eventuale decorrenza del termine breve, egli non aveva altro onere che dimostrare la indicata nullità (che ne impedisce l’operatività) e sulla quale, invece, la corte d’appello non si è pronunciata affatto.
D’altra parte, effettivamente, secondo il più recente indirizzo di questa stessa Corte, cui intende darsi continuità, il giudice di appello, prima di dichiarare la tardività del gravame per violazione del termine breve di impugnazione, deve normalmente verificare, anche di ufficio, la regolarità della notificazione della sentenza impugnata (salvo il caso in cui la nullità riguardi la persona alla quale debba essere consegnato l’atto, o se vi sia incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta la consegna o sulla data, ipotesi non ricorrenti nella specie), in mancanza della quale il suddetto termine breve non decorre (cfr. Cass., Sez. L, Sentenza n. 3091 del 19/05/1982, Rv. 421023 – 01: “il giudice dell’appello ha il dovere di accertare di ufficio la regolarità del procedimento e, quindi, anche l’ammissibilità del gravame proposto entro l’anno dalla pubblicazione della sentenza ma dopo trenta giorni dalla sua notificazione con riferimento alla persona – parte o difensore – cui era stata diretta, mentre la parte destinataria della notificazione, nel proporre appello oltre il termine breve, ha l’onere di dedurre la nullità – non, quindi, la inidoneità ai fini in questione – della notificazione medesima, sicchè il giudice non può rilevarla d’ufficio soltanto ove la nullità riguardi la persona alla quale deve essere consegnata la copia, o se vi sia incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta o sulla data, a norma dell’art. 160 c.p.c. “).
In definitiva, deve concludersi che il A.A. aveva proposto l’appello tardivo sostenendo espressamente di non avere avuto conoscenza del processo e della sentenza di primo grado (e neanche del precetto e del pignoramento), quale conseguenza della nullità delle relative notificazioni, effettuate a suo dire illegittimamente ai sensi dell’art. 143 c.p.c., cioè mediante deposito presso la casa comunale sulla base dell’assunto che egli avesse dimora, domicilio e residenza sconosciuti, mentre così, a suo avviso, non era.
Di conseguenza, la corte d’appello ha errato nel sostenere che l’appellante non avesse specificamente dedotto l’invalidità della notificazione della sentenza impugnata.
Essa avrebbe dovuto, invece, esaminare e valutare nel merito il dedotto vizio della notificazione della sentenza (nonchè, ancor prima, quello dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di cognizione, come meglio si chiarirà anche in prosieguo).
3. Con il terzo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 116, 143, 327 c. 2 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4) c.p.c.”.
Con il quarto motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2729, 2697 c.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3) c.p.c.”.
Il terzo e il quarto motivo del ricorso hanno ad oggetto la statuizione della decisione impugnata in cui si afferma che l’appello sarebbe inammissibile, in quanto proposto oltre il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., senza che l’appellante abbia allegato o provato la non conoscenza del processo a causa della nullità dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado.
Secondo la corte d’appello, non sarebbe stata fornita la suddetta dimostrazione, perchè l’appellante si sarebbe limitato a dedurre che solo il 20 febbraio 2018 era venuto a conoscenza del processo esecutivo, promosso con atto di pignoramento del 27 gennaio 2015, nonchè della stessa esistenza del titolo esecutivo rappresentato dalla sentenza di cui si controverte nel presente giudizio e dell’atto di precetto, affermando testualmente, con riguardo a tali ultimi atti, “anch’essi asseritamente e unitamente notificati ai sensi dell’art. 143 c.p.c. in data 16 dicembre 2014. A.A. non ha mai avuto conoscenza della notificazione di nessun atto presupposto alla procedura esecutiva sopra indicata”.
Da questa sintetica (se non ermetica) motivazione, in realtà, non emerge se la corte d’appello abbia inteso imputare al A.A. un difetto di allegazione della sua mancata conoscenza del processo o abbia invece inteso semplicemente affermare che, ferma l’allegazione, sarebbe insufficiente la relativa prova.
In ordine alla valutazione di tale prova, peraltro, non vi è alcuna ulteriore considerazione nella sentenza che consenta di comprendere su che basi sia stata effettuata la verifica delle eventuali emergenze istruttorie, anche presuntive, fornite dall’appellante in ordine alla mancata conoscenza del processo di cognizione per il dedotto vizio della notificazione del relativo atto introduttivo.
3.1 Il ricorrente sostiene che non era suo onere dimostrare la mancata conoscenza del processo in conseguenza del vizio della notificazione del relativo atto di citazione, avendo egli dedotto l’inesistenza giuridica della notificazione di detto atto introduttivo e non la sua mera nullità, e ciò in conformità al tradizionale (e tralaticio, come meglio si vedrà in seguito) orientamento di questa Corte secondo il quale “per stabilire se sia ammissibile una impugnazione tardivamente proposta, sul presupposto che l’impugnante non abbia avuto conoscenza del processo a causa di un vizio della notificazione dell’atto introduttivo, occorre distinguere due ipotesi: se la notificazione è inesistente, la mancata conoscenza della pendenza della lite da parte del destinatario si presume “iuris tantum”, ed è onere dell’altra parte dimostrare che l’impugnante ha avuto comunque contezza del processo; se invece la notificazione è nulla, si presume “iuris tantum” la conoscenza della pendenza del processo da parte dell’impugnante, e dovrà essere quest’ultimo a provare che la nullità gli ha impedito la materiale conoscenza dell’atto” (cfr., per tutte: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 18243 del 03/07/2008, Rv. 605008 – 01).
3.2 In proposito, va peraltro precisato che è ormai definitivamente insostenibile l’assunto per cui, nel caso della notificazione eseguita ai sensi dell’art. 143 c.p.c. in mancanza dei necessari presupposti (dimora, residenza e domicilio del destinatario della notificazione sconosciuti nonostante le necessarie specifiche ricerche all’uopo effettuate), si sia di fronte ad una ipotesi di inesistenza giuridica della notificazione e non di mera nullità della stessa: le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. U, Sentenza n. 14916 del 20/07/2016, Rv. 640603 – 01) hanno infatti definitivamente chiarito che “l’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità; tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, “ex lege”, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa”.
D’altra parte, in caso di notificazione ai sensi dell’art. 143 c.p.c. effettuata in mancanza dei relativi presupposti e, in particolare, senza l’effettuazione delle ricerche della nuova residenza di fatto, già in passato si era attribuita al vizio la qualificazione di nullità, sebbene tale qualificazione fosse discussa (e discutibile), in base ai pregressi indirizzi (cfr. ad es. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 16527 del 05/08/2016, Rv. 641326 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 17307 del 31/08/2015, Rv. 636431 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 2909 del 07/02/2008, Rv. 601331 – 01).
In ogni caso, attualmente, dopo l’arresto delle Sezioni Unite di questa Corte sopra richiamato, l’assunto in diritto che si tratti di una notificazione giuridicamente inesistente e non meramente nulla è certamente da ritenersi infondato.
3.3 Al di là della corretta qualificazione del vizio afferente le notificazioni contestate, tuttavia, va comunque tenuto presente che il ricorrente ha certamente e specificamente dedotto, già con il suo atto di appello, di non avere mai ricevuto la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, in quanto la stessa sarebbe stata effettuata con il mero deposito dell’atto presso la casa comunale, ai sensi dell’art. 143 c.p.c., senza alcun altro avviso a lui diretto, sebbene in mancanza dei necessari presupposti, cioè senza che (a suo dire) fossero effettivamente sconosciuti la sua residenza, il suo domicilio e la sua dimora.
Va, quindi, stabilito se una siffatta allegazione possa ritenersi di per sè sufficiente a dar conto della mancata conoscenza del processo, fondando quanto meno una mera presunzione, comunque suscettibile di prova contraria, ai fini della fattispecie di cui all’art. 327, comma 2, c.p.c..
In proposito, si deve tener conto dello sviluppo diacronico degli indirizzi di questa Corte sull’inquadramento e la qualificazione dei vizi delle notificazioni.
3.3.1 In primo luogo, si rileva che, come già chiarito, il A.A., nel proporre l’appello (dopo tre anni dalla pubblicazione della sentenza di primo grado), in occasione della sopravvenuta conoscenza del processo di esecuzione fondato sulla stessa, aveva certamente e specificamente dedotto di non aver mai ricevuto alcuna notificazione degli atti del processo di cognizione e della sentenza che lo aveva definito in primo grado, perchè tali atti erano stati tutti notificati mediante mero deposito presso la casa comunale, sebbene la sua residenza (almeno a suo dire) non fosse affatto sconosciuta: la corte di appello non ha però affrontato in alcun modo la questione della validità o meno di queste notificazioni, omettendo di chiarire se le stesse si fossero in realtà validamente perfezionate o meno.
3.3.2 Esaminando i precedenti di questa Corte in tema di impugnazione tardiva del contumace involontario, emerge che l’effettivo principio di diritto applicato nelle decisioni pubblicate risulta espresso, soprattutto nella sintesi verbale delle relative massime, con una semplificazione che, oggi, in base all’evoluzione successiva della giurisprudenza di questa Corte in tema di vizi delle notificazioni, può ritenersi inattuale, se non addirittura fuorviante.
Occorre premettere che, almeno fino al 2008, era ancora esistente un indirizzo di legittimità secondo il quale “il comma 1 dell’art. 327 c.p.c……. non trova applicazione quando il contumace dimostri di non avere avuto conoscenza del processo, per nullità della citazione o della notificazione di essa e per nullità degli atti di cui all’art. 292 c.p.c., sicchè il contumace è onerato tanto della prova della nullità della citazione o della relativa notificazione, quanto di quella della non conoscenza del processo a causa di dette nullità; tuttavia la prova relativa a quest’ultima circostanza non è necessaria allorchè vi sia nullità della notificazione della citazione, essendo detto vizio, salvo prova contraria, tale da impedire alla parte di acquisire la notizia dell’esistenza stessa del giudizio, con la conseguenza che in tal caso, dal momento che è la rituale notificazione dell’atto introduttivo a determinare la conoscenza legale del giudizio, la nullità di tale notificazione dà luogo alla presunzione di non conoscenza del processo, incombendo, quindi, a chi eccepisce la tardività l’onere di provare che la controparte abbia avuto detta conoscenza di fatto nonostante quella nullità” (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17014 del 26/08/2004, Rv. 576267 01; Sez. L, Sentenza n. 9989 del 16/04/2008, Rv. 602853 01).
A partire dal 2008 (in particolare, a partire dall’arresto di cui a Cass., Sez. 3, Sentenza n. 18243 del 03/07/2008, Rv. 605008 – 01), si è però consolidato un diverso e più rigoroso indirizzo, che viene formulato e argomentato nei seguenti termini nella motivazione dell’arresto appena richiamato (che pare opportuno trascrivere integralmente, in parte qua, per chiarezza):
“In una recente decisione della Corte – la sentenza 16 aprile 2008 n. 9989 – è stato affermato che il convenuto non deve dare altra prova di non avere avuto conoscenza del processo, perchè ne è prova sufficiente la circostanza che la notificazione dell’atto introduttivo della lite sia avvenuta con modalità che ne provocano la nullità, sicchè spetta a chi ha assunto l’iniziativa della notificazione dare dimostrazione del contrario.
Questo orientamento appare però contrario alla prevalente giurisprudenza della Corte. La Corte segue tale indirizzo nei soli casi in cui la notificazione è stata eseguita con modalità che ne determinano l’inesistenza, quando cioè la notificazione è eseguita in luogo o con consegna a persona, che non hanno alcun collegamento col destinatario della notifica, sicchè v’è una presunzione che la parte non abbia potuto avere conoscenza dell’atto a lei indirizzato (in tema di distinzione tra notificazione nulla e notificazione inesistente, da ultimo: Sez. Un. 29 aprile 2008 n. 10817; sullo stesso tema, in rapporto alla prova della conoscenza del processo in sede di applicazione dell’art. 327 c.p.c., comma 2: Cass. 22 maggio 2006 n. 11991; e, in rapporto alla 14570). Quanto ai casi in cui la notificazione è nulla, perchè è stata eseguita con modalità difformi da quelle prescritte, ma in luogo o con consegna a persona che hanno con la parte un collegamento che fa presumere che la stessa parte possa avere in concreto conosciuto l’atto, perchè è questo che di solito avviene, l’onere di dimostrare il contrario è invece accollato al convenuto, del resto in conformità del dettato letterale della norma (Sez. Un. 12 maggio 2005 n. 9938; Cass. 8 giugno 2007 n. 13506; 14 settembre 2007 n. 19225). Il collegio condivide gli argomenti che sono a base di questo indirizzo, appunto per la ragione che vale a distinguere la notificazione nulla da quella inesistente”.
In effetti, l’indirizzo che si è consolidato (e che trova conferma in svariati altre successive decisioni: cfr. ad es. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 1308 del 19/01/2018, Rv. 646916 – 01; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 19574 del 30/09/2015, Rv. 637215 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 2817 del 05/02/2009, Rv. 606613 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 36181 del 12/12/2022, Rv. 666540 – 01) opera, al di là dell’inquadramento qualificatorio dei vizi delle notificazioni, una distinzione tra due fattispecie concrete: 1) la “notificazione eseguita con modalità difformi da quelle prescritte, ma in luogo o con consegna a persona, che hanno con la parte un collegamento che fa presumere che la stessa parte possa avere in concreto conosciuto l’atto, perchè è questo che di solito avviene”, nel qual caso l’onere di allegare e dimostrare il contrario è accollato al convenuto, che si afferma contumace involontario; 2) la “notificazione eseguita in luogo o con consegna a persona che non hanno alcun collegamento col destinatario della notifica”, nel qual caso si afferma esservi una presunzione che la parte non abbia potuto avere conoscenza dell’atto a lei indirizzato e, di conseguenza, spetta all’attore notificante l’onere di dimostrare l’eventuale avvenuta conoscenza di fatto del processo da parte del preteso contumace involontario, nonostante l’assenza di una valida notificazione dell’atto introduttivo dello stesso.
Il principio risulta dunque chiaro, nella sua effettiva sostanza, e può ritenersi condivisibile.
In altri termini, in base a tale indirizzo, se la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio avviene, sia pure invalidamente, con consegna dell’atto a persona e/o in luogo che hanno comunque un collegamento con il destinatario, si può quanto meno presumere che il destinatario possa comunque avere avuto conoscenza di fatto del processo e, quindi, questi dovrà puntualmente allegare e dimostrare che tale conoscenza non vi fu, ai sensi dell’art. 327, comma 2, c.p.c..
Se, invece, la notificazione avviene senza la consegna dell’atto a una persona o in un luogo che abbia un qualche collegamento con il destinatario, è logico presumere, quale conseguenza normale, che questi non ne possa in alcun modo avere avuto conoscenza e, così, egli non avrà l’onere di ulteriormente e più specificamente allegare e dimostrare tale mancata conoscenza in caso di impugnazione tardiva; più precisamente, l’allega-zione della mancata conoscenza dell’atto da notificare è da considerarsi implicita nella stessa allegazione delle specifiche circostanze di fatto che stanno alla base della dedotta radicale invalidità della notificazione, avvenuta senza consegna dell’atto o con consegna in luogo o a persona privi di collegamenti con il destinatario.
La “semplificazione” dell’espressione sintetica di tali principi di diritto – che si riscontra soprattutto nelle massime, ma anche in qualche motivazione dei precedenti richiamati – sta nell’ulteriore affermazione, per cui alla prima delle due ipotesi sopra descritte corrisponderebbe, sul piano tecnico, il vizio di mera “nullità” della notificazione, mentre alla seconda corrisponderebbe il vizio qualificabile come radicale “inesistenza giuridica” della stessa: di conseguenza si è per anni affermato, del tutto tralaticiamente e sulla base di una semplificazione da ritenersi oggi eccessiva, che solo in caso di inesistenza giuridica della notificazione dell’atto introduttivo non è necessario per il preteso contumace involontario allegare e provare specificamente la mancata conoscenza del processo derivata dalla invalidità di detta notificazione.
Tale “semplificazione” del principio di diritto può probabilmente comprendersi, in verità, in base al prevalente orientamento interpretativo anteriore al 2016, secondo il quale la notificazione eseguita con consegna dell’atto a persona o in luogo senza alcun collegamento con il destinatario era da ritenere sempre affetta dal vizio di “giuridica inesistenza” e non da quello di “mera nullità”; ma in realtà si tratta di una “semplificazione” imprecisa sul piano giuridico, perchè minata alla base dalla non correttezza proprio di tale ultima distinzione nell’ambito delle categorie dei vizi delle notificazioni, come poi definitivamente chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la già richiamata Cass., SSUU n. 14916/2016.
E’ opportuno sottolineare che, dai precedenti di questa Corte che si sono occupati della fattispecie in esame, non emerge un effettivo contrasto nell’applicazione concreta del principio di diritto (che resta quello sopra esposto, cioè quello che fa leva sull’esistenza di un collegamento o meno tra destinatario e luogo/persona di consegna dell’atto da notificare), ma solo, al più, una mera disarmonia nell’espressione verbale sintetica del principio stesso. Lo dimostra il fatto che, anche prima del 2016, proprio nel caso di notificazione dell’atto introduttivo del giudizio eseguita mediante mero deposito dell’atto presso la casa comunale, senza alcun avviso al destinatario, come avviene nell’ipotesi di cui all’art. 143 c.p.c., in mancanza dei presupposti di legge, è stato affermato che non vi era alcuna necessità di ulteriore specifica allegazione e di prova della mancata conoscenza del processo da parte del contumace involontario, dovendo la stessa logicamente presumersi.
In un precedente specifico che ha affrontato la questione della nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio effettuata col “rito degli irreperibili” (ai sensi del D.P.R. n. 603 del 1972, art. 60, che prevede modalità del tutto analoghe a quelle di cui all’art. 143 c.p.c., esaurendosi in sostanza nel deposito dell’atto presso la casa comunale, senza alcun avviso diretto al destinatario) in mancanza dei necessari presupposti, in relazione all’onere della prova della mancata conoscenza del processo da parte del contumace involontario, ai sensi dell’art. 327, comma 2, c.p.c., si è in effetti affermato che la mancata conoscenza del processo si deve presumere, perchè la notificazione è avvenuta “senza consegna ad alcuno ed in luogo privo di collegamento con il destinatario” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 2817 del 05/02/2009, Rv. 606613 – 01), e ciò – pare opportuno sottolineare – non in contrasto, ma sulla espressa premessa della esplicita e integrale adesione all’indirizzo tradizionale sull’onere probatorio che si atteggia in ragione della distinzione tra nullità e inesistenza della notificazione.
In motivazione, nella decisione appena richiamata si afferma molto chiaramente quanto segue (anche in questo caso pare opportuno trascrivere integralmente i passaggi motivazionali rilevanti):
“…… per stabilire se sia ammissibile una impugnazione tardivamente proposta, sul presupposto che l’impugnante non abbia avuto conoscenza del processo a causa di un vizio della notificazione dell’atto introduttivo, occorre distinguere due ipotesi: se la notificazione è inesistente (cioè è stata eseguita in luogo o con consegna a persona che non hanno alcun collegamento col destinatario), la mancata conoscenza della pendenza della lite da parte del destinatario si presume iuris tantum, ed è onere dell’altra parte dimostrare che l’impugnante ha avuto comunque contezza del processo; se invece la notificazione è nulla (perchè è stata eseguita con modalità difformi da quelle prescritte, ma in luogo o con consegna a persona che hanno con la parte un collegamento che fa presumere che la parte stessa possa avere in concreto conosciuto l’atto), si presume iuris tantum la conoscenza della pendenza del processo da parte dell’impugnante, e dovrà essere quest’ul-timo a provare che la nullità gli ha impedito la materiale conoscenza dell’atto (così, da ult., Cass. n. 18243 del 2008; cfr., già, Cass., Sez. un., n. 9938 del 2005 e, in tema di decorrenza del termine di cui all’art. 325 c.p.c., n. 14570 del 2007, nonchè, in materia di contenzioso tributario, Cass. n. 11991 del 2006); che, ciò posto, nella fattispecie, come risulta dall’esame diretto degli atti, il messo comunale, una volta rilevata la “momentanea irreperibilità” del destinatario, ha provveduto a depositare copia dell’atto presso la casa comunale e ad affiggere l’avviso di tale deposito per otto giorni nell’albo pretorio: trattasi di modalità di notificazione tale da far presumere, in ossequio al principio di diritto sopra richiamato, la mancata conoscenza della pendenza del processo da parte del destinatario, in quanto eseguita senza consegna ad alcuno ed in luogo privo di collegamento con il destinatario medesimo (nè può rilevare, in contrario, che una siffatta modalità è prevista peraltro, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non nella ipotesi di momentanea irreperibilità del destinatario per la notificazione degli avvisi tributari, dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. e – norma, infatti, richiamata nella relata -, essendo sufficiente rilevare che trattasi di disciplina attinente ad atti di natura sostanziale e non processuale e, quindi, a materia alla quale non sono, in linea di principio, applicabili le più rigorose garanzie specificamente connesse al regime degli atti processuali: v. Cass. n. 7773 del 2006);
che, in conclusione, il ricorso deve ritenersi ammissibile, pur se tardivamente proposto;
che il ricorso stesso, con il quale si denuncia la “nullità inesistenza” della notificazione dell’atto di appello, con conseguente inammissibilità del medesimo, è, poi, manifestamente fondato per le medesime ragioni già esposte, in quanto la notificazione, come s’è detto, è stata eseguita con modalità difformi da quelle prescritte dalla legge (processuale), senza consegna ad alcuno e in luogo (casa comunale) privo di collegamento col destinatario (ed ovviamente senza invio di alcuna raccomandata con funzione informativa ex art. 140 c.p.c.)”.
3.3.3 Fatte queste premesse, ai fini della decisione del presente ricorso pare assorbente il rilievo per cui, oggi, si può certamente prescindere dall’analisi delle implicazioni di carattere “qualificatorio” degli orientamenti ormai superati in tema di vizi delle notificazioni, in quanto:
a) le disarmonie qualificatorie sui vizi delle notificazioni non hanno dato luogo ad un vero e proprio contrasto “effettivo” nell’applicazione dei principi di diritto relativi all’ipotesi di cui all’art. 327, comma 2, c.p.c., in particolare nella individuazione delle ipotesi in cui la specifica allegazione delle caratteristiche del vizio della notificazione dell’atto introduttivo del processo era da considerare sufficiente ai fini della presunzione “iuris tantum” della mancata conoscenza del processo stesso; segnatamente, non è ravvisabile un contrasto sulla sussistenza di tale presunzione in caso di notificazione eseguita mediante deposito dell’atto presso la casa comunale senza avviso al destinatario, in mancanza del presupposto della mancata conoscenza della residenza o del domicilio del destinatario; in tali ipotesi si è, infatti, concordemente sempre ritenuto che operasse la presunzione di mancata conoscenza del processo, anche indipendentemente dalla corretta qualificazione del vizio;
b) in ogni caso, tali disarmonie non possono più ritenersi attuali, dopo che, come sancito da Cass., SSUU n. 14916/2016, deve escludersi la stessa configurabilità della categoria generale di un vizio della notificazione qualificabile come “inesistenza giuridica”, a fianco del vizio qualificabile come “nullità”, in quanto il vizio della notificazione che venga eseguita e dunque si perfezioni secondo una qualunque delle forme previste dalla legge, anche “virtuali” (quindi: non solo con la consegna dell’atto, ma anche con il deposito dello stesso nelle forme per legge equiparate alla consegna), sia pure invalidamente, è sempre quello, evidentemente omnicomprensivo, della “nullità”, a prescindere dall’esistenza di un collegamento con il destinatario del luogo e/o della persona dove e/o alla quale avvenga la consegna dell’atto, mentre nel caso in cui (non solo) non vi sia nessuna consegna dell’atto ma non vi sia neanche alcun deposito equipollente nelle forme di legge, la notificazione non è viziata, ma semplicemente non ha avuto affatto luogo (trattandosi sostanzialmente una ipotesi di omessa notifica, non di notifica viziata). Dunque, non può che concludersi che, dopo Cass., SSUU n. 14916/2016, non possono più avere seguito, in generale, i precedenti indirizzi che distinguevano, per determinati effetti giuridici, tra il vizio di “nullità” e il vizio di “inesistenza giuridica” della notificazione; in particolare, con riguardo all’indirizzo relativo agli oneri di allegazione e prova della mancata conoscenza del processo ai fini dell’impugnazione tardiva di cui all’art., 327, comma 2, c.p.c., certamente non può più farsi riferimento alla “semplificazione” che attribuiva rilievo proprio a tale distinzione tra le due diverse forme di invalidità della notificazione (inesistenza e nullità), trattandosi di distinzione della quale è stata ormai sancita l’inconfigurabilità sul piano teorico e, che, comunque (anche a volerla “traslare” sull’attuale distinzione tra notifica nulla e omessa notifica), avrebbe un significato del tutto diverso da quello che aveva in passato, implicando oggi una diversa qualificazione dei medesimi vizi.
L’area dell’attuale vizio di “nullità della notificazione” rispetto a quella dell’omessa notifica (secondo l’attuale indirizzo sancito dalle SSUU nel 2016), infatti, non corrisponde affatto alla precedente area della “nullità” rispetto a quella della “inesistenza giuridica” della notificazione, secondo i vecchi indirizzi ormai superati.
Di conseguenza, non si possono continuare ad applicare indirizzi interpretativi anteriori all’arresto di cui alle Sezioni Unite di questa Corte del 2016 che richiamavano tale distinzione, come nel caso qui in esame dell’art. 327, comma 2, c.p.c..
Ne deriva, ancora, che la tralaticia affermazione per cui, in caso di impugnazione tardiva del contumace involontario ai sensi dell’art. 327, comma 2, c.p.c., bisogna distinguere tra “inesistenza giuridica” e mera “nullità” della notificazione dell’atto introduttivo del processo e solo nella prima ipotesi vi è una presunzione di fatto di mancata conoscenza del processo stesso, tale da imporre alla controparte (cioè all’attore vittorioso) di dimostrare che detta conoscenza di fatto in realtà vi fu, non è oggi più predicabile in tali medesimi termini e va certamente (quanto meno) aggiornata in base ai nuovi principi espressi da Cass. SSUU n. 14916/2016.
3.3.4 A tale ultimo fine, se si analizza e si individua l’effettivo principio di diritto che è stato costantemente affermato nei precedenti in tema di impugnazione tardiva del contumace involontario ai sensi dell’art. 327, comma 2, c.p.c., al di là delle formule giuridico-linguistiche con cui esso era espresso, soprattutto nelle massime tralaticie, la soluzione attualmente applicabile emerge con chiarezza.
Come ampiamente esposto, il principio di diritto effettivamente e costantemente applicato in tutti i precedenti sull’art. 327, comma 2, c.p.c., ai fini della sussistenza di una presunzione di fatto (peraltro sempre superabile con prova contraria) distingue, infatti, tra notificazione dell’atto introduttivo eseguita in luogo o a persona con un collegamento con il destinatario (che fa presumere quanto meno la normale possibilità di una conoscenza di fatto del processo) e notificazione eseguita in luogo o a persona privi di tale collegamento (in cui tale presunzione è da escludere).
L’ipotesi del deposito dell’atto presso la casa comunale senza alcun avviso al destinatario, non vi è dubbio che sia stato sempre fatto rientrare, e che rientri effettivamente, in questa seconda fattispecie, non essendovi consegna dell’atto a chicchessia e non essendovi alcun collegamento tra la casa comunale e il destinatario, che possa lasciare immaginare almeno la possibilità che tale notificazione venga a determinare una conoscenza di fatto della pendenza del processo.
In conclusione, proprio al fine di dare continuità ai principi di diritto fino ad oggi seguiti da questa Corte in tema di impugnazione del contumace involontario, semplicemente adeguandoli alla nuova sistematica qualificatoria dei vizi delle notificazioni imposta da Cass., SSUU n. 14916/2016, deve ritenersi che, non potendosi più seguire la distinzione, ormai definitivamente esclusa dalle Sezioni Unite, tra vizio di nullità e vizio di inesistenza giuridica della notificazione, si debba nondimeno attribuire la giusta rilevanza, a tutela dell’effettività del diritto di difesa, alle concrete peculiarità dell’invalidità ricorrenti nella fattispecie e, in tal modo modulandone la rilevanza ai fini della loro allegazione e prova, affermare il seguente principio di diritto (da intendersi non già quale principio realmente innovativo, ma in piena continuità con i precedenti, sebbene “aggiornato” alla corretta qualificazione dei vizi delle notificazioni sancita dalle Sezioni Unite):
“ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione tardiva del cd. contumace involontario, ai sensi dell’art. 327, comma 2, c.p.c., grava su quest’ultimo l’onere di allegare e dimostrare non solo la causa della eventuale nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, ma anche di non aver avuto conoscenza del processo in conseguenza di quel vizio; peraltro, nell’ipotesi in cui la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio sia stata invalidamente eseguita in luogo o con consegna a persona che non hanno alcun collegamento col destinatario della notifica, la relativa allegazione deve considerarsi implicita nella specifica allegazione dello stesso vizio della notificazione e, in tal caso, non può affermarsi alcuna presunzione “iuris tantum” di conoscenza del processo da parte dell’impugnante, onde grava sulla controparte l’onere di dimostrare che tale conoscenza vi sia eventualmente stata ugualmente”.
In applicazione di tale principio, poichè in caso di notificazione (che si alleghi essere stata) eseguita ai sensi dell’art. 143 c.p.c. con il mero deposito dell’atto presso la casa comunale pur in mancanza del presupposto di legge dell’effettiva oggettiva mancata conoscenza della residenza, della dimora e del domicilio del destinatario della notificazione, questa avviene certamente senza alcuna consegna a persona o in luogo avente un collegamento col destinatario, di conseguenza (e in continuità con quanto già sancito dalla richiamata Cass. n. 2817/2009), laddove il preteso contumace involontario alleghi specificamente un siffatto vizio della notificazione (e benchè si tratti senza alcun dubbio di vizio oggi da qualificarsi in termini di nullità), egli sta allegando altresì, quanto meno implicitamente, una situazione di fatto che implica di per sè e fa presumere, sia pure solo iuris tantum, la mancata conoscenza del processo e, dunque, spetterà alla controparte di dimostrare eventualmente il contrario; ciò a meno che ovviamente non si accerti che la notificazione “virtuale” ai sensi dell’art. 143 c.p.c. sia valida, nel qual caso è ovviamente escluso in radice ogni vizio che possa giustificare una impugnazione tardiva.
3.3.5 Per quanto riguarda la fattispecie in esame, sulla base di quanto sin qui esposto, deve osservarsi che, nonostante la inesatta qualificazione giuridica del vizio della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio (in termini di inesistenza giuridica anzichè di nullità) operata dal ricorrente, l’allegazione da parte sua della circostanza di fatto che la notificazione di tale atto era stata eseguita, sebbene la propria residenza fosse a suo dire conosciuta (o, quanto meno, conoscibile con l’ordinaria diligenza), con il mero deposito di esso presso la casa comunale, cioè senza consegna dell’atto a persona o in luogo che presentavano un qualunque collegamento con la sua sfera personale, costituisce una sufficiente allegazione (quanto meno implicita) in fatto idonea a determinare, in diritto, una presunzione semplice di fatto di mancata conoscenza del processo.
Di fronte a tale implicita allegazione, i giudici del merito avrebbero dovuto verificare, in primo luogo, l’effettiva validità della notificazione dell’atto introduttivo del processo eseguita ai sensi dell’art. 143 c.p.c. (in quanto la eventuale validità di tale notifica sarebbe assorbente ai fini di escludere l’ammissibilità dell’impugnazione tardiva ai sensi dell’art. 327, comma 2, c.p.c.) e, benchè solo in esito al positivo riscontro della sua invalidità, la sussistenza di una prova (il cui onere è a carico dell’appellato) della eventuale conoscenza di fatto del processo da parte del convenuto, nonostante detta invalidità.
Per non essersi determinato a tanto il giudice dell’appello, ne consegue l’accoglimento del ricorso e la cassazione della decisione impugnata, affinchè in sede di rinvio sia valutata in concreto la validità o meno della notificazione, effettuata ai sensi dell’art. 143 c.p.c., dell’atto introduttivo del giudizio di merito e della sentenza impugnata, anche ai fini dell’ammissibilità del gravame tardivo, sulla base dei principi di diritto più sopra enunciati.
4. Il ricorso è accolto, per quanto di ragione, nei limiti di cui in motivazione.
La sentenza impugnata è cassata in relazione alle censure accolte, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte:
– accoglie il ricorso per quanto di ragione e cassa in relazione alle censure accolte la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 13 settembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2023