REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –
Dott. BIELLI Stefano – Consigliere –
Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –
Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 4882/2009 proposto da:
ROSSI MARCELLO SAS IN LIQUIDAZIONE in persona del Liquidatore, elettivamente domiciliato, in ROMA VIA DELLE QUATTRO FONTANE 15, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI CONTESTABILE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE TINELLI giusta delega a margine;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE CENTRALE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA, EQUITALIA GERIT SPA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 131/2007 della COMM.TRIB.REG. di ROMA, depositata il 16/01/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/10/2014 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;
udito per il ricorrente l’Avvocato DE LORENZI su delega dell’Avvocato TINELLI che ha chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato GALLUZZO che ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con sentenza 10.1.2008 n. 131 la Commissione tributaria della regione Lazio in accoglimento dell’appello proposto dall’Ufficio di Viterbo della Agenzia delle Entrate ha dichiarato legittima la cartella di pagamento, notificata in data 27.3.2004 a Rossi Marcello s.a.s. dal Concessionario per il servizio di riscossione ed emessa in seguito a controllo automatizzato – ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis – della dichiarazione fiscale relativa all’anno 1998 (Modello Unico 1999) ed avente ad oggetto le somme dovute dalla società contribuente a titolo IRAP ed IVA, come esposte in dichiarazione ma il cui versamento risultava omesso.
I Giudici territoriali rigettavano la eccezione pregiudiziale formulata dalla società in ordine alla inammissibilità dell’appello proposto dall’Ufficio, ritenendo irrilevante che la notifica fosse stata eseguita in luogo diverso ((OMISSIS)) da quello in cui, circa due anni prima, avevano trasferito il proprio studio ((OMISSIS)) i difensori abilitati alla assistenza tecnica presso i quali la parte contribuente aveva eletto domicilio ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17. Ritenevano infatti i Giudici che essendo stato ricevuto l’atto di appello in data 24.8.2006 da soggetto dichiaratosi “impiegato addetto alla corrispondenza”, la notifica si era perfezionata e sarebbe stato onere della parte eccipiente fornire la prova della insussistenza della qualità dichiarata dal consegnatario. Inoltre il luogo della notifica era stato individuato correttamente, con riferimento al domicilio eletto dalla società in primo grado, avendo omesso la contribuente di comunicare alle parti costituite la successiva variazione di domicilio, come prescritto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 1.
Nel merito la CTR riteneva fondati i motivi di gravame dell’Ufficio appellante, andando esente la cartella dal vizio di nullità per omessa previa comunicazione al contribuente dell’esito del controllo automatizzato, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, non essendo emerse nella specie “incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione” ed inoltre non essendo incorso l’Ufficio in decadenza dall’esercizio del potere di controllo, trovando applicazione alle “controversie pendenti il termine del 31.12.2004 fissato dalla norma transitoria di cui alla L. 31 luglio 2005, n. 156, art. 1, comma 5 bis, di conversione del D.L. 17 giugno 2005, n. 106, avente efficacia retroattiva.
Avverso tale sentenza la società ha proposto rituale ricorso per cassazione, deducendo sette motivi, con atti notificati alla Agenzia delle Entrate, alla Banca Monte Paschi Siena s.p.a. già Concessionaria per la riscossione dei tributi e ad Equitalia Gerit s.p.a. subentrata quale Agente per la riscossione della provincia di Roma.
Ha resistito la Agenzia delle Entrate con controricorso.
Non hanno svolto difese gli altri intimati.
La società ha depositato memoria illustrativa.
Motivi della decisione
1. Con il primo ed il secondo motivo la società deduce il vizio di nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non aver dichiarato la CTR la inammissibilità dell’atto di appello, in quanto proposto oltre il termine di cui all’art. 327 c.p.c., ritenendo invece validamente perfezionata la notifica della impugnazione in violazione dell’art. 139 c.p.c., commi 1, 2 e 3.
Sostiene la società che la notifica dell’atto di appello nel luogo indicato nella elezione di domicilio effettuata in primo grado doveva ritenersi inesistente, essendo venuto meno, a seguito del trasferimento dello studio professionale, avvenuto per entrambi i legali difensori della società avv. Tinelli ed avv. Contestabile in data 12.11.2004 (come attestato dalle certificazioni rilasciate dal Consiglio dell’Ordine forense di appartenenza), qualsiasi collegamento tra detto luogo ed i domiciliatari, e non potendo prevalere, ai fini della validità della notifica, il criterio della qualifica soggettiva del ricevente l’atto (quale “impiegato addetto alla corrispondenza”: cfr. sentenza CTR motiv. pag. 3) sul diverso criterio della previa corretta individuazione del luogo della notifica, come si evinceva dal tenore dell’art. 139 c.p.c. (primo motivo).
Ad analoga conclusione, secondo la ricorrente, doveva pervenirsi anche nel caso in cui il vizio di invalidità fosse da ricondursi nella categoria della nullità e non della inesistenza, in quanto la costituzione in grado di appello della società era intervenuta dopo lo spirare del termine c.d. “lungo” di impugnazione, sicchè la costituzione in giudizio non poteva produrre effetti sananti, essendo già passata in giudicato la sentenza (secondo motivo).
2. Con il terzo e quarto motivo la società deduce la nullità della sentenza di appello nella parte in cui ha rigettato la eccezione di inammissibilità dell’appello proposto dall’Ufficio, sul presupposto della corretta notifica dell’atto di appello presso l’originario domicilio, in quanto la contribuente aveva omesso di comunicare, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 1, la variazione del domicilio eletto.
La società sostiene che tale obbligo di comunicazione sussiste soltanto in caso di domicilio “volontariamente eletto” e non anche in caso di “mera indicazione” del domiciliatario: in quest’ultima ipotesi, secondo costante giurisprudenza di questa Corte, l’aspetto personale prevale su quello reale sicchè, qualora il domiciliatario trasferisca il proprio studio, il soggetto che richiede la notifica è tenuto previamente a verificare, tramite informazioni acquisite dall’albo professionale, quale sia l’attuale indirizzo dello studio professionale, tanto più che tale variazione risultava nota alla Amministrazione finanziaria dagli atti di altro giudizio tributario pendente tra le stesse parti (terzo motivo). In ogni caso la mancata comunicazione della variazione dello studio del domiciliatario non autorizzava ad eseguire la notifica in luogo avulso da qualsiasi collegamento con il destinatario dell’atto, sicchè l’Ufficio, qualora non fosse stato in grado di conoscere il nuovo indirizzo, avrebbe allora dovuto notificare l’appello presso la Segreteria della CTR ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 3 (quarto motivo).
3. I motivi primo, secondo, terzo e quarto, con i quali si sollevano questioni interpretative delle norme che disciplinano il procedimento notificatorio, possono essere esaminati congiuntamente.
3.1 La soluzione della questione di diritto sottoposta all’esame della Corte si prospetta evidentemente opposta, secondo che agli indicati vizi della notifica (consegna dell’atto in luogo diverso da quello in cui era stato trasferito lo studio professionale del domiciliatario) si attribuisca un effetto invalidante – suscettibile di sanatoria per raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c. -, oppure, all’errore di consegna dell’atto, debba invece riconoscersi un effetto radicalmente inemendabile, tale da rendere del tutto inesistente l’atto di notifica, tenuto conto che la “ratio legis” sottesa alla assoluta improduttività di effetti giuridici determinati dalla “inesistenza” dell’atto notificatorio, si fonda sulla regola di esperienza (id quod plerumque accidit) secondo cui la “totale difformità” del procedimento in concreto seguito, rispetto allo schema legale, induce a ritenere che l’atto notificando non sia pervenuto a conoscenza del destinatario.
3.2 Da tale corretta premessa non può, tuttavia, farsi discendere, come vorrebbe la società ricorrente, sia per il caso di “inesistenza” che per il caso di “vizio di nullità” della notifica dell’atto introduttivo del giudizio (nella specie della notifica dell’atto di appello), la equipollenza degli effetti (passaggio in giudicato della sentenza impugnata) laddove vi sia stata “tardiva” costituzione in giudizio (mediante deposito della memoria contenente le controdeduzioni oltre il termine di decadenza previsto per la impugnazione principale: artt. 325 e 327 c.p.c.; D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 21 e 51) del destinatario dell’atto invalidamente notificato. Mentre infatti la notifica “nulla” corrisponde ad una violazione delle modalità di applicazione della disciplina normativa che regola il procedimento notificatorio, sicchè quest’ultimo è riconoscibile negli atti compiuti dall’ufficiale notificatore (es.
nella ipotesi in cui non sia stato seguito l’ordine tassativo delle persone abilitate a ricevere l’atto: Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 11332 del 30/05/2005; id. Sez. 5, Sentenza n. 22151 del 27/09/2013) e la costituzione del convenuto consente di ritenere raggiunto il risultato di conoscenza legale cui il procedimento è preordinato, come se fin “ab origine” il vizio attinente l’attività notificatoria non si fosse verificato, viceversa tale efficacia sanante, con effetto ex tunc, del vizio del procedimento non può riconoscersi in caso di “inesistenza” della notifica, rimanendo irrilevante a tale proposito che l’atto sia comunque effettivamente pervenuto a conoscenza del destinatario: appare evidente, infatti, come non possa logicamente concepirsi una sanatoria, con effetto “ex tunc”, di un atto che nella realtà giuridica non è mai venuto ad esistenza (la difformità dell’atto dal modello legale è, in questo caso, tale da impedire di riconoscere negli atti compiuti un’attività riconducibile allo stesso procedimento notificatorio disciplinato dalla legge: si verifica tale ipotesi quando la illegittimità non attiene alle modalità di condotta “interne” alla sequenza procedimentale, descritta dalla legge, ma si risolve invece nel compimento di una attività del tutto avulsa dalla fattispecie normativa astratta come nel caso in cui l’atto, venga consegnato ad un “soggetto diverso” da una delle persone indicate nell’art. 139 c.p.c.). Ne segue che, in difetto della stessa “esistenza” di un atto notificatorio sia pure invalido, la successiva eventuale instaurazione del contraddittorio, mediante costituzione in giudizio del destinatario, non potrà che operare con effetto “ex nunc”, atteso che la costituzione in giudizio, in questo caso, non può considerarsi effetto conseguenziale del procedimento notificatorio (inesistente), ma interviene quale atto di accettazione del contraddittorio, autonomamente ed originariamente riferibile alla volontà del convenuto, ed in quanto tale privo di qualsiasi collegamento causale con la (inesistente) “vocatio in jus”, con l’ulteriore corollario che l’atto di impugnazione non portato a conoscenza del destinatario (statnte la inesistenza della notifica) potrà ritenersi tempestivamente proposto soltanto nel caso in cui la costituzione in giudizio del convenuto/resistente avvenga prima della scadenza del termine di decadenza previsto per la proposizione della impugnazione.
3.3 Tanto premesso occorre richiamare i consolidati principi di diritto, enunciati da questa Corte, secondo cui sussiste radicale inesistenza della notifica soltanto quando la stessa venga effettuata con consegna di copia dell’atto “in luogo o a persona privi di qualsiasi rapporto con il suo destinatario”, mentre, nel caso in cui essa sia stata eseguita in un luogo (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 1.6.2007 n. 12908 – notifica eseguita presso lo studio del procuratore non domiciliatario, anzichè presso il domicilio eletto – ) od a persona (cfr. Corte Cass. 1^ sez. 29.7.2011 n. 16759 – notifica eseguita a procuratore diverso da quello domiciliatario, ma con studio in comune -) non privi di “astratto collegamento” con il destinatario, ricorre mera nullità della notifica, sanata con effetto “ex tunc”, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3, a seguito del raggiungimento dello scopo dell’atto, che si verifica tanto nel caso in cui il resistente si sia ritualmente costituito in giudizio (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 4.4.2008 n. 8777 – essendo irrilevante ai fini della sanatoria che la costituzione in giudizio sia avvenuta ai solo fine di eccepire la nullità -), quanto nel caso di rinnovazione della notifica invalida cui la parte istante provveda spontaneamente o in esecuzione dell’ordine impartito dal giudice (cfr. Corte Cass. 1^ sez. 15.1.2007 n. 621; id. 2^ sez. 2.12.2009 n. 25350).
3.4 La statuizione della CTR che ha ritenuto valida la notifica dell’atto di appello, impugnata dalla società ricorrente, si articola su due distinte “rationes decidendi”:
a) la notifica dell’atto di appello, se pure eseguita presso il luogo del precedente studio professionale dei difensori, è stata ricevuta da persona qualificatasi come “impiegato addetto alla corrispondenza del suddetto studio legale”: sussiste quindi un collegamento tra il luogo di ricezione ed i difensori destinatari dell’atto che legittima la presunzione legale di avvenuta conoscenza e che può essere contrastata soltanto mediante la prova che la persona rinvenuta in loco non rivestisse la qualità dichiarata b) correttamente l’Amministrazione finanziaria, aveva notificato l’atto di appello presso il domicilio indicato in primo grado, non avendo adempiuto i difensori a comunicare la variazione del domicilio eletto, come prescritto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 1.
3.5 La decisione della CTR deve ritenersi conforme a diritto, alla stregua delle seguenti precisazioni correttive della motivazione.
3.6 Occorre, in premessa, dare atto del consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte (riferito al “procuratore ad litem” nel giudizio regolato dal codice di procedura civile), secondo cui la elezione di domicilio, della parte, presso il difensore costituito, non deve intendersi riferita al “luogo” ma alla “persona” (così argomentando a contrario dall’art. 141 c.p.c.), prevalendo l’”elemento personale” su quello “reale-spaziale”, essendo effettuata la elezione di domicilio “presso la persona del difensore” in qualunque luogo essa si trovi, con la conseguenza che la indicazione dello studio non assolve alla funzione di elemento costitutivo della elezione di domicilio, ma solo alla esigenza pratica di individuare il luogo in cui il domiciliatario è reperibile: venendosi, dunque, a distinguere tra elezione “volontaria” di domicilio “presso una persona od un ufficio” ex art. 141 c.p.c., in cui prevale l’elemento topografico, ed indicazione di domicilio presso il “procuratore costituito”, fondata sugli artt. 84 e 170 c.p.c., interpretati alla luce dell’art. 330 c.p.c., in cui prevale l’elemento personale.
3.7 Da ciò la giurisprudenza trae come corollario:
1- che il procuratore-domiciliatario, trasferendo il proprio studio, non modifica la originaria elezione di domicilio;
2- pertanto non è tenuto a comunicarla all’Ufficio e neppure alle altre parti costituite in quanto:
2a) solo la parte che ha “autonomamente” eletto domicilio ex art. 141 c.p.c. è tenuta a comunicare le variazioni, e non anche invece il procuratore-domiciliatario;
2b) non determinandosi “variazione di elezione di domicilio”, la ricerca della individuazione del luogo ove è l’attuale studio professionale del procuratore costituito, ricade sulla parte che effettua la notifica, in quanto onere non eccessivamente disagevole, potendo essere accertato il nuovo indirizzo tramite informazioni acquisite dall’Albo professionale.
3.8 La distinzione tra le due tipologie della elezione volontaria di domicilio e della indicazione di domicilio presso il difensore, effettuate ai fini processuali, rinviene il proprio discrimine nel potere rappresentativo conferito dalla parte al proprio difensore – presso il quale elegge domicilio – mediante il rilascio della “procura ad litem”, e trova il proprio referente normativo nell’art. 82 c.p.c., comma 3, art. 83 c.p.c., comma 1, art. 84 c.p.c., comma 1, art. 170 c.p.c., comma 1, e art. 330 c.p.c., comma 1, seconda parte.
3.9 Quanto al giudizio tributario, l’apparente ostacolo della non immediata trasponibilità dei principi di diritto indicati (enunciati dalla giurisprudenza in relazione al processo civile), non essendo in tale processo richiesto obbligatoriamente il “ministero del difensore” ma soltanto l’”assistenza in giudizio” di un difensore abilitato (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, comma 1), e dunque non essendo dato rinvenire – in ogni caso – un conferimento di potere rappresentativo mediante un atto di procura, deve essere superato relegando la speciale disciplina del luogo delle comunicazioni e della notifica dettata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 1, (secondo cui le notifiche debbono essere eseguite nel domicilio eletto o in mancanza nella residenza o sede dichiarata dalla parte all’atto della costituzione) ai soli atti “endoprocessuali”, in tal modo venendo a trovare applicazione agli atti di impugnazione delle sentenze tributarie – mediante la norma di rinvio di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 49 – le disposizioni del codice di procedura (art. 170 c.p.c., comma 1, e art. 330 c.p.c., comma 1) che consentono la notifica degli atti anche al “procuratore costituito”, cui viene a tutti gli effetti equiparato il “difensore abilitato alla assistenza tecnica” nel processo tributario, anche se sprovvisto di “procura ad litem” (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 29290 del 15/12/2008 secondo cui “L’art. 330 c.p.c., nella parte in cui dispone l’eseguibilità della notifica dell’impugnazione “presso il procuratore costituito”, è applicabile al processo tributario in quanto la specifica previsione normativa in tema di notificazioni contenuta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 1, secondo la quale la notifica deve eseguirsi (salvo quella a mani proprie) nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all’atto della costituzione in giudizio, costituisce eccezione all’art. 170 c.p.c., (relativo alle sole notificazioni endoprocessuali) e non all’art. 330 c.p.c., invece applicabile in virtù del richiamo contenuto nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, e art. 49, alle norme processuali codicistiche, non costituendo ostacolo, all’introduzione della notifica dell’impugnazione “presso il procuratore costituito”, la non obbligatorietà, nel processo tributario, della rappresentanza processuale da parte del procuratore “ad litem”, in quanto tale rappresentanza, non essendo vietata, è facoltativa”; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 460 del 13/01/2014).
3.10 Pertanto anche nel processo tributario è dato distinguere una elezione di domicilio “autonoma” (ove prevale l’elemento topografico) compiuta volontariamente dal contribuente, che rimane pertanto onerato della comunicazione di eventuali successive variazioni del domicilio eletto (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 1), dalla “mera indicazione” come domiciliatario del difensore incaricato della assistenza tecnica (ove prevale invece l’elemento personale), in relazione alla quale non assumono rilevanza eventuali successivi trasferimenti dello studio professionale del domiciliatario: da un lato, non essendo tenuto il “domiciliatario” a comunicare le variazioni dell’indirizzo dello studio professionale (in assenza di specifica prescrizione normativa); dall’altro, essendo invece onerata la parte che deve effettuare la notifica della previa verifica (mediante le opportune ricerche presso gli albi elenchi o ruoli professionali: D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12) del luogo in cui può essere utilmente eseguita la consegna dell’atto al domiciliatario (anche tale onere non è espressamente previsto, ma deve ritenersi tuttavia immanente alle norme che disciplinano il procedimento notificatorio e va ricondotto alle attività preliminari di ricerca nelle quali si sostanzia la ordinaria diligenza richiesta al notificante, tenuto conto altresì che tale attività preliminare non si traduce in un onere particolarmente gravoso e non comporta eccessive difficoltà).
3.11 Deve, pertanto, essere corretta la motivazione della sentenza impugnata, quanto alla seconda “ratio decidendi”, atteso che nella fattispecie in esame – da quanto è dato evincere dagli atti – il contribuente aveva incaricato della propria difesa tecnica due avvocati, che collaboravano nello stesso studio legale, eleggendo il domicilio, ai fini della notifica degli atti del processo, presso il loro studio professionale (recte indicando i difensori quali “domiciliatari”), con la conseguenza che, trovando applicazione – in difetto di notifica della sentenza di appello – la disposizione dell’art. 330 c.p.c., comma 1, seconda parte, che autorizza la notifica della impugnazione anche al “procuratore costituito” – cui deve essere equiparato il difensore domiciliatario incaricato della assistenza tecnica nel processo tributario -, alcun obbligo incombeva sui predetti difensori di comunicare la variazione dell’indirizzo del loro studio professionale, essendo invece tenuta la Amministrazione finanziaria ad esperire le relative ricerche prima di eseguire la notifica dell’atto di appello.
3.12 La errata motivazione della CTR non inficia, tuttavia, la conformità a diritto della decisione di rigetto della eccezione di inammissibilità dell’atto di impugnazione della sentenza di primo grado, atteso che l’atto di appello – come risulta dall’accertamento in fatto compiuto dalla CTR e non contestato dalla società contribuente – è stato consegnato a persona qualificatasi (nella relata di notifica dell’Ufficiale giudiziario) come “impiegato addetto alla corrispondenza” dello studio legale dei difensori della società.
3.13 In proposito deve ritenersi consolidata la giurisprudenza di questa Corte che ritiene applicabili, anche in caso di “indicazione del domiciliatario”, le norme processuali concernenti la ricerca del destinatario e la consegna dell’atto, in sua temporanea assenza, a persone abilitate alla ricezione, in quanto legate al domiciliatario da rapporti di lavoro subordinato o di collaborazione, con la conseguenza che è da ritenersi validamente perfezionata, non soltanto la notifica eseguita con consegna dell’atto a persona dichiaratasi “addetta all’ufficio” rinvenuta dall’Ufficiale giudiziario nel luogo indicato dal contribuente al momento della “indicazione del domicilio presso il procuratore costituito” (cfr.
Corte Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 24502 del 30/10/2013), ma anche a persona che, in considerazione della qualifica dichiarata, possa comunque relazionarsi al procuratore domiciliatario, anche se rinvenuta dall’Ufficiale notificatore “in luogo diverso” da quello originariamente indicato come domicilio (cfr. Corte Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 17391 del 24/07/2009; id. Sez. 3, Sentenza n. 19763 del 13/11/2012; id. 7 febbraio 2013, n. 2907 – per la notifica dell’atto di appello -). Ed infatti la prevalenza che deve essere attribuita nel caso di procuratore domiciliatario all’”elemento personale”, rispetto a quello “topografico” dell’indirizzo dello studio professionale (che è appunto suscettibile di variazioni senza onere di comunicazione alle altre parti del processo), consente di valorizzare il momento della consegna dell’atto a persone che, per la qualità rivestita e dichiarata, appaiono tenute ad introdurre l’atto notificato nella sfera di conoscibilità legale del “procuratore domiciliatario”, anche se rintracciate in luogo diverso – se pure non del tutto privo di astratto collegamento con i domiciliatari – da quello dello studio professionale in cui i difensori – domiciliatari risultano essersi attualmente trasferiti. In tal caso la notifica dell’atto di impugnazione, con consegna della copia a “persona addetta allo studio” fuori dei locali dello studio o comunque in luogo diverso -quale nella specie l’originario indirizzo dello studio professionale indicato al momento della “elezione di domicilio presso il procuratore costituito” – non può ritenersi validamente perfezionata, ma tale vizio riverbera come mera “nullità sanabile” e non si traduce nella “inesistenza del procedimento notifìcatorio” (cfr. Corte Cass. Sez., 5, Sentenza n. 2907 del 07/02/2013 – per la notifica dell’atto di appello – secondo cui la notificazione dell’atto di appello avverso la decisione della commissione tributaria provinciale effettuata al difensore al domicilio inizialmente indicato per il giudizio, con la consegna a persona dichiaratasi abilitata a riceverlo “quale collaboratore”, priva di rilevanza la circostanza che il difensore destinatario abbia nel frattempo comunicato la variazione dello studio, attestando la relata di notifica la conservazione di una relazione tale da autorizzare la presunzione che il difensore medesimo sia stato informato del contenuto dell’atto notificato; id. Sez. 5, Sentenza n. 28285 del 18/12/2013 – che applica il medesimo principio alla notifica del ricorso per cassazione -).
Orbene, incontestata la circostanza della consegna dell’atto di appello a persona qualificatasi come “collaboratore ed addetto allo studio professionale”, la notifica della impugnazione da parte dell’Amministrazione finanziaria in luogo diverso da quello in cui era stato attualmente trasferito lo studio professionale, non determina la inesistenza ma soltanto la nullità del procedimento notificatorio, dovendo pertanto ritenersi sanati, con effetto ex tunc, i vizi della notifica dell’atto di appello proposto dall’Ufficio avanti la CTR, per raggiungimento dello scopo dell’atto, a seguito della costituzione in giudizio della società appellata, non essendo da questa stata fornita alcuna prova che la persona che aveva ricevuto l’atto non rivestisse la qualità indicata, nè che la consegna dell’atto nel luogo indicato aveva impedito la materiale conoscenza della impugnazione.
3.14 Infondati il primo ed il secondo motivo, divengono inammissibili per carenza di interesse i motivi terzo e quarto (concernenti il rigetto della eccezione di inammissibilità per omessa comunicazione D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 17, della variazione dell’indirizzo dello studio) in quanto dall’accoglimento degli stessi la parte ricorrente non potrebbe comunque conseguire la cassazione della pronuncia impugnata.
4. Venendo a trattare i motivi concernenti il merito della pretesa tributaria, ritiene il Collegio infondato il quinto motivo di ricorso con cui si impugna la sentenza di appello per violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, che prescrive, a pena di nullità dell’atto impositivo, l’obbligo dell’Amministrazione accertatrice “prima di procedere alle iscrizioni a ruolo” a seguito di controlli automatizzati delle dichiarazioni fiscali, di “invitare il contribuente…..a fornire i chiarimenti necessari od i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla richiesta” (la norma generale dello Statuto del contribuente è stata successivamente riprodotta nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, comma 3, e nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 3, come modificati dal D.L. n. 203 del 2005, art. 2, conv. in L. n. 248 del 2005: tali disposizioni, tuttavia, non prevedono alcuna autonoma comminatoria della sanzione di nullità in caso di inosservanza della previa informazione al contribuente, dovendo quindi ricondursi la sanzione della nullità dell’atto impositivo esclusivamente alla ipotesi specificamente contemplata dalla L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, che condiziona l’obbligo di invitare il contribuente a fornire chiarimenti prima di effettuare la iscrizione a ruolo “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”. La sanzione di nullità, espressamente comminata dalla L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, era bene presente al Legislatore quando ha modificato, nel 2005, gli D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, inserendo gli obblighi di comunicazione al contribuente in seguito ai controlli automatizzati: la mancata espressa previsione della nullità della cartella in caso di inosservanza di tali obblighi induce quindi a ritenere che il Legislatore abbia inteso limitare la grave sanzione di invalidità dell’atto impositivo esclusivamente alla ipotesi di “rilevante incertezza” sui dati esposti nella dichiarazione considerata dalla norma dello Statuto del contribuente).
4.1 La norma in questione è stata, infatti, costantemente interpretata da questa Corte alla stregua del costante orientamento di questa Corte secondo, cui in tema di riscossione delle imposte, l’avviso bonario con cui, ai sensi della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 5, prima di procedere all’iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione di un tributo risultante da una dichiarazione ovvero nel caso in cui emerga la spettanza di un minor rimborso d’imposta rispetto a quello richiesto, si invita il contribuente a fornire chiarimenti o a produrre documenti mancanti, deve essere inviato dall’Amministrazione finanziaria, a pena di nullità, nei soli casi in cui “sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione” (come testualmente prevede la norma asseritamente violata) e non anche se non risulti dall’atto impositivo l’esistenza di incerte e rilevanti questioni interpretative, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti alla disposizione appena indicata (in sede cioè di rettifica di errori materiali o di mera constatazione della difformità tra imposta dovuta, esposta in dichiarazione, e somme effettivamente versate all’Erario), la quale implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo; del resto, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione, non avrebbe posto la condizione di cui al citato inciso (cfr. Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 26316 del 29/12/2010;
id. Sez. 5, Sentenza n. 795 del 14/01/2011; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 7536 del 31/03/2011; id. Sez. 5, Sentenza n. 8342 del 25/05/2012).
4.2 La parte ricorrente non ha neppure allegato quale fosse, nel caso concreto, l’”elemento di incertezza” – irrisolta – presente nei dati esposti in dichiarazione, sul quale era stata fondata la emissione della cartella di pagamento avente ad oggetto la somma incontestata e non ancora versata dalla contribuente, nè ha ricollegato la incertezza ad incomprensione di lettura dei dati esposti nella dichiarazione (ipotesi ravvisatale nel caso in cui non sia chiara graficamente la posta di un onere deducibile o di una spesa detraibile). Nè, peraltro, è stato addotto dalla parte ricorrente, che sussisteva l’obbligo di instaurazione anticipata del contraddittorio, in quanto l’Ufficio, svolgendo il controllo automatizzato, ha inteso piuttosto contestare le qualificazioni giuridiche delle singole voci esposte in dichiarazione, fornendo una diversa valutazione che viene ad incidere, modificando il dato esposto in dichiarazione, sul titolo dei componenti positivi e negativi di reddito (è la ipotesi della “rettifica c.d. cartolare” che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, impone alla Amministrazione di inserire nella cartella di pagamento tutti gli elementi essenziali dell’atto impositivo, trattandosi del primo atto con il quale vengono portate a conoscenza del contribuente le ragioni della pretesa) in tal modo portando ad emersione “una imposta od una maggiore imposta” (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 3;
D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, comma 3) non risultante dalla dichiarazione e quindi non riferibile direttamente al contribuente (art. 36 bis, comma 4; art. 54 bis, comma 4: “i dati contabili risultanti dalla liquidazione…..si considerano a tutti gli effetti come dichiarati dal contribuente….”).
Pertanto, in difetto del presupposto della incertezza risultante dalla dichiarazione o dell’accertamento di una imposta diversa da quella liquidata nella dichiarazione sottoposta a controllo, alcun invito preventivo a chiarimenti doveva essere trasmesso al contribuente dalla Amministrazione finanziaria.
5. Infondata è anche la censura (sesto motivo) concernente la violazione del D.Lgs. n. 18 dicembre 1997, n. 462, art. 2, comma 2, che disponeva, nel testo applicabile al tempo della notifica della cartella: “1. Le somme che, a seguito dei controlli automatici effettuati ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, e D.P.R. 29 settembre 1972, n. 633, art. 54 bis, risultano dovute a titolo d’imposta, ritenute, contributi e premi o di minori crediti già utilizzati, nonchè di interessi e di sanzioni per ritardato o omesso versamento, sono iscritte direttamente nei ruoli a titolo definitivo, entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione.
1-bis. Se i termini per il versamento delle somme di cui al comma 1, sono fissati oltre il 31 dicembre dell’anno in cui è presentata la dichiarazione, l’iscrizione a ruolo a titolo definitivo è eseguita entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui èprevisto il versamento dell’unica o ultima rata.
2. L’iscrizione a ruolo non è eseguita, in tutto o in parte, se il contribuente o il sostituto d’imposta provvede a pagare le somme dovute con le modalità indicate nel D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 19, concernente le modalità di versamento mediante delega, entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione, prevista dai commi 3, dei predetti art. 36 bis, e art. 54 bis, ovvero della comunicazione definitiva contenente la rideterminazione in sede di autotutela delle somme dovute, a seguito dei chiarimenti forniti dal contribuente o dal sostituto d’imposta. In tal caso, l’ammontare delle sanzioni amministrative dovute è ridotto ad un terzo”.
5.1 Premesso che la parte ricorrente omette del tutto di precisare le ragioni per le quali la norma speciale in questione verrebbe ad esautorare il presupposto al quale sia la norma dello Statuto del contribuente (incertezza rilevante su aspetti della dichiarazione) che le norme tributarie sui “controlli automatizzati”, in materia di II.DD. e di IVA (emersione di un risultato diverso da quello indicato nella dichiarazione, o di una imposta o maggiore imposta non indicata in dichiarazione), condizionano l’obbligo di previa informativa, è appena il caso di evidenziare che, anche a volere individuare nella disposizione del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2, un autonomo obbligo di previa informativa del contribuente del constatato inadempimento parziale o totale del versamento della imposta liquidata nella dichiarazione (che si aggiunge agli obblighi di comunicazione previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 3, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, comma 3), la violazione di un tale obbligo di comunicazione preventiva non determinerebbe in alcun modo la invalidità della cartella di pagamento in quanto:
a) la cartella notificata in base ad iscrizione a ruolo eseguita “anticipatamente” rispetto al termine dilatorio previsto dal D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2, non incorre in vizio di nullità, trattandosi di sanzione non espressamente comminata dalla legge (Corte Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18140 del 22/10/2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 3366 del 12/02/2013);
b) non è ravvisabile un pregiudizio indiretto – conseguente al mancato invio della previa comunicazione al contribuente – incidente sulla possibilità di fruire del beneficio della riduzione della sanzione pecuniaria irrogata per tardivo od omesso versamento della imposte dovute: è stato, infatti, precisato da questa Corte che, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’omessa comunicazione dell’invito al pagamento prima dell’iscrizione a ruolo, con la riduzione e per gli effetti previsti dal D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2, non determina la nullità di tale iscrizione e degli atti successivi, ma una mera irregolarità, inidonea ad incidere sull’efficacia dell’atto, sia perchè non si tratta di condizione di validità, stante la mancata espressa sanzione della nullità, avendo il previo invito al pagamento l’unica funzione di dare al contribuente la possibilità di attenuare le conseguenze sanzionatorie dell’omissione di versamento, sia perchè l’interessato può comunque pagare, per estinguere la pretesa fiscale, con riduzione della sanzione, una volta ricevuta la notifica della cartella (cfr. Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3366 del 12/02/2013, in termini. Con riferimento alla analoga previsione della comunicazione dell’invito al versamento delle somme dovute, contemplato dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 6, invito cui l’ufficio risulta tenuto “ex lege” al fine di consentire al contribuente il versamento di quanto addebitatogli entro trenta giorni dal ricevimento dell’avviso, con applicazione della soprattassa, oggi sanzione amministrativa ex D.Lgs. n. 471 del 1997, pari al sessanta per cento della somma non versata, cfr. Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 907 del 25/01/2002 ed id. Sez. 5, Sentenza n. 13948 del 24/06/2011 che rilevano come l’unica funzione dell’avviso predetto è quella di consentire al contribuente di attenuare le conseguenze sanzionatorie della realizzata omissione, fermo restandone l’obbligo di corresponsione integrale del tributo e degli interessi sul medesimo, “medio tempore” maturati. Vedi anche Corte Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18140 del 22/10/2012 – in materia di imposte sui redditi, che esclude la nullità della cartella emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, in difetto di previa comunicazione trasmessa al contribuente).
5.2 Anche il sesto motivo è, pertanto, infondato.
6. Con il settimo motivo si censura la sentenza per errata applicazione del D.L. 17 giugno 2005, n. 106, art. 1, commi 5 bis e 5 ter, convertito con modificazioni nella L. 31 luglio 2005, n. 156, nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 1, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, sostenendo la società che la CTR avrebbe illegittimamente applicato con efficacia retroattiva le disposizioni del D.L. n. 106 del 2005, che differivano il termine di decadenza per la notifica delle cartelle emesse a seguito di esercizio dei controlli automatizzati, in quanto, viceversa, avrebbe dovuto disconoscere alla norma efficacia retroattiva e dichiarare decaduta l’Amministrazione finanziaria.
6.1 I fatti sono di seguito esposti.
La dichiarazione fiscale concerne l’anno d’imposta 1998 ed è stata presentata nel 1999.
In esito a controllo automatizzato la PA ha notificato la cartella di pagamento in data 27.3.2004.
6.2 Sostiene la società ricorrente che la CTR sarebbe incorsa in errore non applicando la disposizione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, (“il concessionario notifica la cartella di pagamento, entro l’ultimo giorno del quarto mese successivo a quello di consegna del ruolo”) nel testo anteriore a quello vigente alla data della notifica della cartella di pagamento (2 aprile 2003) ed introdotto a seguito del D.Lgs. n. 193 del 2001, art. 1, comma 1, lett. b), – applicabile ai ruoli esecutivi a decorrere dal 9.6.2001 – che non stabiliva alcun termine per la notifica della cartella, rimanendo questa, in quanto esercizio del diritto di credito, assoggettata al solo termine ordinario di prescrizione.
6.3 Occorre premettere che:
– il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, prevedeva originariamente che l’iscrizione a ruolo e la successiva consegna dei ruoli all’intendenza di finanza dovevano avvenire entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione;
– il D.Lgs. n. 46 del 1999, con l’art. 6 – che aveva sostituito il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17 – prescriveva, inoltre, che le somme dovute a seguito di liquidazione ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, dovevano essere iscritte in ruoli resi esecutivi entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione;
– il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, disponeva che la notifica della cartella doveva avvenire entro l’ultimo giorno del quarto mese successivo a quello di consegna del ruolo: tale termine era poi venuto meno a seguito di abrogazione disposta dal D.Lgs. 27 aprile 2001, n. 193, art. 1, comma 1, lett. b), (la L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 417, lett. c), ha poi nuovamente stabilito un termine di decadenza prevedendo che la cartella doveva essere notificata “entro l’ultimo giorno del dodicesimo mese successivo a quello di consegna del ruolo, ovvero entro l’ultimo giorno del sesto mese successivo alla consegna se la cartella è relativa ad un ruolo straordinario”).
6.4 Venuto meno, a far data dal 9.6.2001 (data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 193 del 2001), il termine di decadenza previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, per la notifica della cartella di pagamento, ed in considerazione della disposizione, espressamente definita di interpretazione autentica, contenuta nella L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 28, che aveva dichiarato “non perentorio” il termine annuale per la rettifica in controllo automatizzato delle dichiarazioni fissato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, le SS.UU. di questa Corte erano intervenute a colmare la completa mancanza di termini perentori per l’esercizio della potestà impositiva, determinatasi a seguito del combinato disposto normativo sopra indicato, statuendo con sentenza 12.11.2004 n. 21498 che, “non essendo concepibile che il cittadino resti soggetto “sine die” al potere dell’Amministrazione, il termine di decadenza entro cui va circoscritta l’azione accertatrice dell’Amministrazione finanziaria va ricollegato, nelle ipotesi di “controllo c.d. formale” (o, più rettamente, cartolare), a cui segua una mera attività di liquidazione, a quello per l’iscrizione a ruolo, fissato nel D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17, comma 1, (nel testo vigente “ratione temporis”), mentre nelle ipotesi di “rettifica cartolare” (o formale), il relativo potere deve, a pena di decadenza, essere esercitato mediante la notifica dell’atto impugnabile (la cartella di pagamento) entro il termine stabilito, in via generale, dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 1, (nel testo applicabile “ratione temporis”).
6.5 Successivamente la questione relativa alla mancanza di un termine di decadenza per la notificazione delle cartelle di pagamento approdava avanti alla Corte costituzionale, che, con sentenza 7.7.2005 n. 280, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 – nel testo modificato dal D.Lgs. n. 193 del 2001 -, nella parte in cui non prevedeva alcun termine a pena di decadenza entro il quale si doveva notificare al contribuente la cartella di pagamento.
Il Legislatore ha, quindi, inteso conformarsi alla pronuncia del Giudice delle Leggi adottando il D.L. 17 giugno 2005, n. 106, convertito con modificazioni nella L. 31 luglio 2005, n. 156, ridisciplinando la intera materia dei termini di decadenza sia per l’attività di accertamento che per la notificazione delle cartelle.
In particolare, all’art. 1, commi 5 bis e 5 ter – con riferimento ai “controlli automatizzati” delle dichiarazioni fiscali – ha stabilito:
1-) dettando la disciplina normativa “a regime” (ed al dichiarato fine di “di conseguire… la necessaria uniformità del sistema di riscossione mediante ruolo delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto”) che, a modifica del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, comma 1, la notifica delle cartelle deve essere eseguita entro “il 31 dicembre: a) del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, per le somme che risultando dovute a seguito dell’attività di liquidazione prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 36 bis” (art. 1, comma 5 ter, lett. a), n. 2);
2-) dettando la disciplina normativa “transitoria” che, a modifica del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 36, comma 2, le cartelle di pagamento, “in deroga al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25, comma 1, lett. a)”, dovevano essere notificate a pena di decadenza “entro il 31 dicembre: a) del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, relativamente alle dichiarazioni presentate negli anni 2002 e 2003; b) del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, relativamente alle dichiarazioni presentate entro il 31 dicembre 2001” (art. 1, comma 5 ter, lett. b, n. 2).
6.6 Tanto premesso, relativamente alla dichiarazione presentata dalla società con il modello unico 1999 concernente l’anno di imposta 1998 occorre rilevare l’orientamento assolutamente prevalente di questa Corte di legittimità secondo cui alla disciplina introdotta, in tema di riscossione delle imposte, dal D.L. n. 106 del 2005, art. 1, convcrtito con modificazioni nella L. n. 156 del 2005 – emanato a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 280 del 2005 di declaratoria d’incostituzionalità del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 -, nella parte in cui, modificando il D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 36, comma 2, ha prescritto che per le somme che risultano dovute a seguito dei controlli automatizzati delle dichiarazioni presentate entro il 31 dicembre 2001, la cartella di pagamento debba essere notificata, a pena di decadenza “entro il 31 dicembre:……b) del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione”, deve riconoscersi inequivoco valore transitorio, con conseguente applicazione della stessa, non solo alle situazioni tributarie anteriori alla sua entrata in vigore, ma anche a quelle ancora non definite con sentenza passata in giudicato (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 21.7.2006 n. 16826; id. 5^ sez. 30.6.2009 n. 15313; id.
5^ Sez. 5, sentenza n. 2212 del 31/1/2011; id. 5^ sez. ord. 30.12.2011 n. 30704; id. Sez. 5^, sentenza n. 15786 del 19/9/2012;
id. Sez. 5^, sentenza n. 16365 del 26.9.2012; id. 5^ sez. 5.10.2012 n. 16990).
6.7 Tale orientamento deve essere condiviso in quanto confermato anche dal Giudice delle Leggi, che ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 5 ter, rilevando come tale disciplina fornisse un equilibrato bilanciamento dell’interesse del contribuente (a non rimanere assoggettato “sine die” al potere impositivo) e dell’interesse del Fisco (ad assicurare i controlli necessari alla riscossione delle entrate), e giudicando ragionevoli i termini indicati in quanto termini di decadenza più ridotti avrebbero comportato, quanto alle dichiarazioni presentate prima della entrata in vigore della L. n. 156 del 2005, “la consumazione, in tutto o in gran parte, del termine decadenziale di notificazione della cartella ancor prima dell’entrata in vigore della suddetta legge che tale termine introduce” (cfr.
Corte cost. sentenza n. 11/2008 ed ord. n. 378/2008).
6.8 Pertanto vertendosi nel caso di specie di notifica della cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, ed D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, della dichiarazione modello unico, relativa all’anno di imposta 1998 e presentata nell’anno 1999, la Amministrazione finanziaria, notificando la cartella in data 27.3.2004, non è incorsa in decadenza, atteso che – per le dichiarazioni presentate entro il 31 dicembre 2001 – il relativo termine di decadenza, in deroga al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, veniva a scadere – ai sensi del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 36, comma 2, come modificato dal D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 5 ter, lett. b, n. 2, conv. in L. n. 156 del 2006 – alla data del 31.12.2004.
7. In conclusione il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna della parte soccombente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte:
– rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 8.500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 6 ottobre 2014.
Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2015