Cass. civ., Sez. II, Ord., (data ud. 19/12/2022) 28/09/2023, n. 27540

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. ROLFI Federico Vincenzo Amedeo – Consigliere –

Dott. POLETTI Dianora – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al R.G.N. 4468/2018 proposto da:

A.A., rappresentata e difesa dall’avvocato FEDERICA MONTESI, giusta procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

B.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE, 44, presso lo studio dell’avvocato AGNESE LATERZA CRISTOFARO, rappresentato e difeso in proprio e dall’avvocato FRANCESCO MARIA D’ACUNTO, giusta procura speciale in atti;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di RAVENNA, depositata il 26/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 19/12/2022 dal Consigliere Dott. DIANORA POLETTI.

Svolgimento del processo
1. Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., l’avv. B.B. chiedeva al Tribunale di Ravenna la condanna di A.A. al pagamento dei corrispettivi professionali conseguenti all’attività di rappresentanza e assistenza legale svolta in suo favore nel procedimento iscritto al r.g. n. 2697/2009 promosso dai coeredi C.C. e D.D. davanti al Tribunale di Napoli, conclusosi con transazione del (Omissis).

A.A. rimaneva contumace.

2. Con ordinanza del 26/11/2016 il Tribunale di Ravenna liquidava al ricorrente, per l’attività professionale svolta in favore di A.A., il compenso di Euro 14.442,00 oltre al 15% per spese generali, Iva e contributi di legge, al lordo dell’acconto già versato di Euro 3.000,00, oltre agli interessi legali della domanda al soddisfo e alle spese del procedimento.

3. Avverso tale ordinanza A.A. ha proposto ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., notificato il 19.1.2018, basato su un unico motivo.

4. L’avv. B.B. ha resistito con controricorso, corredato da memoria depositata in prossimità dell’udienza, insistendo nella dichiarazione di inammissibilità del ricorso per tardività dello stesso.

Motivi della decisione
1.- Con l’unico motivo del ricorso A.A. deduce la nullità della notificazione del ricorso introduttivo ex art. 702 bis c.p.c. del procedimento iscritto al R.G. n. 761/2016 presso il Tribunale di Ravenna e la nullità della notificazione dell’ordinanza in forma esecutiva ai fini dell’idoneità a far decorrere il termine breve per la proposizione del mezzo di gravame, per violazione e falsa applicazione degli artt. 138, 139, 140 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per essere stata la stessa eseguita presso la sua residenza anagrafica in assenza del requisito della temporanea/precaria assenza della resistente, senza aver tenuto conto della residenza effettiva e/o del domicilio effettivo.

Sostiene la ricorrente che in data (Omissis) (data del mancato ritiro entro il decimo giorno del ricorso introduttivo iscritto al RGN 761/2016 del Tribunale di Ravenna) la stessa non aveva la residenza effettiva in (Omissis), bensì a (Omissis), nonchè era in carica – svolgendo attività di magistrato – presso la Corte di Appello di Milano, per cui la notifica eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c., a (Omissis) nella residenza anagrafica doveva essere dichiarata nulla. Di conseguenza, la nullità dell’intero procedimento e dell’ordinanza impugnata.

Analogamente, sostiene, è nulla la notificazione dell’ordinanza impugnata in forma esecutiva, formulata ai fini della decorrenza del termine per la proposizione del ricorso straordinario per Cassazione.

Aggiunge la ricorrente di essere venuta a conoscenza del procedimento di cui è causa solo nel mese di (Omissis), in occasione dell’inizio delle trattenute sulla sua retribuzione a seguito del pignoramento presso terzi avviato dall’avv. B.B..

2.- Il motivo è fondato e merita accoglimento.

In primo luogo, è priva di pregio è l’eccezione del controricorrente che invoca l’avvenuta decorrenza del termine “lungo” semestrale dal deposito dell’ordinanza anche per la proposizione del ricorso straordinario per cassazione, e dunque la tardività dello stesso. Infatti, la disposizione dell’art. 327 c.p.c., comma 1, non si applica, per l’espressa previsione di cui al comma 2 del medesimo articolo, nel caso in cui la parte contumace dimostri la ricorrenza di due presupposti, l’uno soggettivo e l’altro oggettivo, consistenti nel non aver avuto conoscenza del processo per nullità della citazione o della notificazione di essa.

Presupposti, entrambi, che ricorrono nella specie, per le ragioni che seguono.

La costante giurisprudenza di questa Corte, con riguardo alla notifica eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c., presso la residenza anagrafica del destinatario dell’atto, in realtà dimorante stabilmente altrove, ha affermato che la notifica deve ritenersi correttamente eseguita solo qualora non possa addebitarsi al notificante l’inosservanza dell’obbligo di ordinaria diligenza nell’accertamento dell’effettiva residenza del destinatario della stessa (v. Cass. n. 19473/2007, n. 16941/2003, n. 2230/1998, n. 10248/1991). E’ stato precisato che la notificazione eseguita, ai sensi dell’art. 140 c.p.c., non è valida anche se effettuata nel luogo di residenza del destinatario risultante dai registri anagrafici, nell’ipotesi in cui questi si sia trasferito altrove e il notificante ne abbia conosciuto, ovvero con l’ordinaria diligenza avrebbe potuto conoscerne, l’effettiva residenza, dimora o domicilio, dove è tenuto ad effettuare la notifica stessa, in osservanza dell’art. 139 c.p.c. (Cass. n. 30952/2017; 11369/2006; n. 16941/2003; v. anche Cass. n. 3590/2015; n. 30952/2017).

L’orientamento tiene conto dell’efficacia meramente presuntiva delle risultanze anagrafiche: è stato infatti riconosciuto che “la circostanza secondo la quale nell’indirizzo risultante dai registri anagrafici si trovi la residenza effettiva del destinatario costituisce mera presunzione superabile con qualsiasi mezzo di prova, in quanto non coperta dalla fidefacenza della relata” (Cass. n. 4274/2019).

Inoltre, la prova della mancata conoscenza del processo a causa della nullità della notifica della citazione può essere fornita, a sua volta, mediante l’impiego di presunzioni (giurisprudenza anch’essa costante di questa Corte: cfr. ex multis nn. 26427/17 e 19225/07).

Nel caso di specie, tanto la nullità della notifica della citazione quanto la prova della mancata conoscenza del processo a causa di ciò, si traggono dal fatto che l’effettiva residenza, dimora o domicilio della A.A. in luogo diverso dalla residenza anagrafica era ed è agevolmente ritraibile dall’attività di magistrato svolta dalla medesima in altra sede, circostanza, questa, di cui l’avv. B.B. era a perfetta conoscenza, come si ricava dalle dichiarazioni contenute nell’atto introduttivo del giudizio, riportate a pag. 7 del ricorso.

Se ne deve trarre, pertanto, sia la nullità della notifica dell’atto introduttivo del giudizio di merito, sia la prova, di tipo presuntivo, che l’odierna ricorrente non abbia appreso del procedimento a causa di tale nullità.

3.- In conseguenza dell’accoglimento del motivo, l’ordinanza impugnata deve essere cassata con rinvio al Tribunale di Ravenna, in altra composizione collegiale, che provvederà a decidere nuovamente la causa nel merito e a regolare anche le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Ravenna, in diversa composizione collegiale, anche per le spese del presente giudizio.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 19 dicembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2023


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 12/09/2023) 21/09/2023, n. 27007

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. BILLI Stefania – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7121/2016 proposto da:

EQUITALIA SUD Spa in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Michela Nocco ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Bianca Maria Casadei in Roma, Via San Giovanni in Laterano n. 226/210;

– ricorrente –

contro

A.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Luigi Maria Giannini il quale dichiara di voler ricevere le notificazioni comunicazioni all’indirizzo di posta elettronica certificata (Omissis).

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1825/11/15 della Commissione tributaria Regionale della Puglia, depositata il 7/9/2015;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/9/2023 dal Consigliere Dott. Stefano Pepe.

Svolgimento del processo
Che:

1. La Commissione tributaria regionale della Puglia (CTR) con la sentenza n. 1825/11/2015, depositata il 7.9.2015, accoglieva l’appello del contribuente sul rilievo che le cartelle di pagamento, poste a fondamento delle intimazioni di pagamento impugnate, erano state notificate mediante servizio postale in violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26 in quanto tale notifica era avvenuta ad opera del Concessionario, soggetto non abilitato. In ragione di ciò, conclude la CTR, la suindicata notifica doveva considerarsi inesistente. I giudici di merito osservavano, poi, che il Concessionario non aveva dato prova dell’avvenuta emissione e notifica (avvenuta in plico chiuso) delle cartelle, non essendo all’uopo sufficiente: il deposito della cartolina di ricevimento della raccomandata, la notificazione delle successive intimazioni di pagamento, le fotocopie degli estratti di ruolo.

2. Avverso tale sentenza Equitalia Sud Spa propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

3. A.A. ha depositato controricorso.

Motivi della decisione
che:

1. Con il primo motivo Equitalia Sud Spa deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26. La ricorrente rileva che l’art. 26 cit., diversamente da quanto affermato dalla CTR, consente al Concessionario di avvalersi direttamente del servizio postale per la notifica degli atti impositivi, rappresentando tale notifica una forma alternativa alle altre previste dalla stessa disposizione.

2. Con il secondo motivo si lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 e dell’art. 115 c.p.c., per avere la CTR, a fronte dell’eccezione della parte di non aver ricevuto le cartelle, ritenuto la produzione documentale offerta quale prova dell’avvenuta notifica delle cartelle, ovvero le copie conformi delle ricevute di ritorno delle raccomandate attestanti la consegna delle stesse, insufficienti a fornire la prova richiesta. Rileva la ricorrente l’erroneità di tale affermazione, tenuto conto anche della produzione in copia conforme degli estratti di ruolo in cui erano riportate le cartelle, di talchè con tale ultima produzione, unitamente a quella suindicata, risultava assolto l’onere probatorio imposto al Concessionario e la legittimità della pretesa azionata nei confronti del contribuente.

La censura in esame teneva, altresì, conto della circostanza che il A.A. aveva lamentato l’omessa notifica delle cartelle non avendo, al contrario, mai contestato il contenuto degli atti notificati.

3. Con il terzo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2719 c.c. e del D.L. n. 669 del 1996, art. 5, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR affermato che le copie delle ricevute di ritorno delle raccomandate con le quali erano state notificate le cartelle di pagamento, non erano idonee a provare l’avvenuta notifica. In particolare, la CTR non aveva tenuto conto del fatto che erano state depositate copie conformi agli originali (delle quali il contribuente non aveva mai negato la veridicità) e non mere fotocopie avendo, poi, del tutto omesso di valutare il potere certificativo del Concessionario ex art. 5 cit..

4. In via preliminare va rilevato che nessun rilievo, ai fini della richiesta interruzione del giudizio, assume l’avvenuto decesso del contribuente comunicato dal procuratore dello stesso. Ed invero, nel giudizio di cassazione, in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento di legittimità, non è applicabile l’istituto dell’interruzione del processo, con la conseguenza che la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume alcun rilievo, nè consente agli eredi di tale parte l’ingresso nel processo (Cass. n. 1757 del 2016 Rv. 638717 – 01).

5. Il primo motivo è manifestamente fondato.

Nella specie è incontroverso che l’agente della riscossione ha provveduto alla notifica diretta a mezzo del servizio postale, D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 26 delle cartelle di pagamento.

Il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, comma 1, nel testo vigente ratione temporis prevedeva che “La cartella è notificata dagli ufficiali della riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale. La notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento; in tal caso, la cartella è notificata in plico chiuso e la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal comma 2 o dal portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda. (omissis). Il concessionario deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento ed ha l’obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell’amministrazione”.

Per effetto di tale disposizione la notifica della cartella esattoriale può avvenire anche mediante invio diretto, da parte del concessionario, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, in quanto la seconda parte dell’art. 26 cit. prevede una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario stesso ed all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva dei soggetti ivi indicati. In tal caso, la notifica si perfeziona con la ricezione del destinatario, alla data risultante dall’avviso di ricevimento, senza necessità di un’apposita relata, visto che è l’ufficiale postale a garantirne, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella, come confermato implicitamente dal citato art. 26, comma penultimo, secondo cui il concessionario è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o con l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione.

Quanto sopra trova conferma nell’indirizzo univoco di questa Corte (ex plurimis Cass. n. 10037 del 2019 Rv. 653680 – 01 e n. 1686 del 2023 Rv. 666661 – 01) secondo cui “La notificazione a mezzo posta della cartella esattoriale da parte del concessionario della riscossione (ora ADER) eseguita mediante raccomandata con avviso di ricevimento, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 si perfeziona, secondo la disciplina del D.M. 9 aprile 2001, artt. 32 e 39 con la consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento ad opera dell’ufficiale postale se non quello di curare che la persona, individuata come legittimata alla ricezione, apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente. Ne consegue che, qualora nell’avviso di ricevimento manchino le generalità della persona cui l’atto è stato consegnato (adempimento non previsto da alcuna norma) e la relativa sottoscrizione non risulti intellegibile, l’avviso di ricevimento, in quanto atto pubblico, è assistito dall’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c.c. avuto riguardo alla relazione tra la persona cui esso è destinato e quella cui è consegnato (oggetto del preliminare accertamento di competenza dell’ufficiale postale)”.

Risulta da quanto sopra del tutto errata l’affermazione della CTR circa l’inesistenza della notifica della cartella fondata sul rilievo che il Concessionario non poteva all’uopo effettuarla mediante il servizio postale.

6. Il secondo e il terzo motivo, da trattarsi congiuntamente stante la loro connessione, sono manifestamente fondati. In tema di notifica della cartella esattoriale ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, la prova del perfezionamento del procedimento di notifica e della relativa data è assolta mediante la produzione della relazione di notificazione o dell’avviso di ricevimento, recanti il numero identificativo della cartella, non essendo necessaria la produzione in giudizio della copia o dell’originale della cartella stessa (ex plurimis e da ultimo Cass. n. 8201 del 2023). Nel caso di specie, la CTR dà conto dell’avvenuta produzione, da parte dell’agente della riscossione, delle copie fotostatiche delle relate di notifica delle cartelle e dei relativi estratti di ruolo, e la conformità delle copie agli originali non risulta essere stata posta in discussione dal contribuente. L’estratto di ruolo, inoltre, è l’equipollente della matrice, in quanto è la fedele riproduzione della parte del ruolo relativa alla o alle pretese creditorie azionate verso il debitore con la cartella esattoriale, che contiene tutti gli elementi essenziali per identificare la persona del debitore, la causa e l’ammontare della pretesa creditoria (cfr. Cass. n. 16121 del 2019, Cass. n. 33563 del 2018, Cass. n. 23902 del 2017).

7. In accoglimento dei motivi, la sentenza deve essere cassata con rinvio al giudice di merito per la valutazione delle ulteriori doglianze sollevate dal contribuente.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per la Puglia in diversa composizione.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 12 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2023


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 12/09/2023) 21/09/2023, n. 27017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. BILLI Stefania – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21545/2019 proposti da:

A.A., nato a (Omissis) (C.F.: (Omissis)), e residente in (Omissis), rappresentato e difeso dall’Avv. Gianfilippo Ceccio – (C.F.: (Omissis) pec: (Omissis) Fax (Omissis)) del Foro di Messina ed elettivamente domiciliato in Roma, alla Via della Mercede n. 11, presso lo studio dell’Avv. Luigi Ragno (C.F.: (Omissis) – pec: (Omissis) – fax (Omissis)), giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Pizzo;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4654/2018 emessa dalla CTR Calabria in data 31/12/2018 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Andrea Penta.

Svolgimento del processo
Che:

1. A.A. proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Vibo Valentia avverso un avviso di accertamento per ICI relativo all’anno 2007.

2. La Commissione Tributaria Provinciale rigettava il ricorso.

3. Sull’appello del contribuente, la Commissione Tributaria Regionale Calabria rigettava il gravame, affermando, quanto al preteso vizio di notifica, che la nullità doveva intendersi sanata per raggiungimento dello scopo avendo il A.A. impugnato l’avviso, e che l’edificabilità di un’area doveva essere desunta esclusivamente dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dalla sua approvazione da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi.

4. Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per cassazione A.A. sulla base di cinque motivi. Il Comune di Pizzo non ha svolto difese.

Motivi della decisione
che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non essersi la CTR pronunciata sulla inesistenza della notifica dell’avviso di accertamento impugnato, in quanto la relata non risultava compilata.

1.1. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.

E’, invero, configurabile la decisione implicita (peraltro, nel caso di specie, la CTR ha espressamente affermato che non si versava in un’ipotesi di inesistenza) di una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o rilevabile d’ufficio) quando queste risultino superate e travolte, benchè non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di un’altra questione, il cui solo esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza; ne consegue che la reiezione implicita di una tesi difensiva o di una eccezione è censurabile mediante ricorso per cassazione non per omessa pronunzia (e, dunque, per la violazione di una norma sul procedimento), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, semprechè la soluzione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e censurabile oltre che utilmente censurata, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività (cfr., di recente, Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 12131 del 08/05/2023).

In ogni caso, anche a voler prescindere dalla confusione di piani operata (atteso che, mentre nella rubrica e nell’incipit dello sviluppo del motivo si deduce che si sarebbe al cospetto di una notifica inesistente – con conseguente inapplicabilità del principio di sanatoria per raggiungimento dello scopo -, successivamente si sostiene che il detto principio non sarebbe applicabile all’avviso di accertamento, trattandosi di un atto avente natura sostanziale), rappresenta un principio ormai consolidato, dal quale non vi è ragione per discostarsene (nè il ricorrente indica ragioni per farlo), quello secondo cui l’invalida notifica dell’avviso di accertamento è sanata per raggiungimento dello scopo ove detto vizio non abbia pregiudicato il diritto di difesa del contribuente, situazione che si realizza nell’ipotesi in cui il medesimo, in sede di ricorso giurisdizionale contro l’atto, ne abbia diffusamente contestato il contenuto (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 654 del 15/01/2014; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 1238 del 22/01/2014; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 5057 del 13/03/2015; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 22476 del 04/11/2015; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 11043 del 09/05/2018).

Invero, la notificazione è una mera condizione di efficacia e non un elemento dell’atto d’imposizione fiscale, sicchè la sua nullità è sanata, a norma dell’art. 156 c.p.c., comma 2, per effetto del raggiungimento dello scopo, desumibile anche dalla tempestiva impugnazione (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 18480 del 21/09/2016).

Avuto riguardo alla dedotta mancata compilazione della relata di notificazione, fermo restando che il ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, ha omesso di trascrivere la detta relata, va ricordato che è inesistente solo la notificazione eseguita in luogo non avente alcun collegamento con il destinatario ovvero nel caso in cui sia stata omessa la consegna dell’atto da notificare, mentre è nulla quando essa, nonostante l’inosservanza di formalità e di disposizioni di legge, sia, comunque, materialmente avvenuta mediante rilascio di copia dell’atto a persona e luogo avente un qualche riferimento con il destinatario della notificazione (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 28285 del 18/12/2013; conf. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 5412 del 03/03/2017).

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la “nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver la CTR considerato l’esistenza di un vincolo idrogeologico che determinava una condizione reale di inedificabilità del suolo.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Invero, il ricorrente ha omesso di trascrivere, almeno nei suoi passaggi maggiormente significativi, l’atto di appello, al fine di porre questo Collegio nelle condizioni di verificare se la specifica questione fosse stata reiterata in quella sede.

Senza tralasciare che la censura costituisce frutto della confusione tra jus edificandi e jus valutandi e rivela, quindi, la sua erroneità per aver fatto discendere indissolubilmente il secondo dal primo. A seguito dell’entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 11-quaterdecies, comma 16, convertito con modificazioni dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, e del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, che hanno fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. b), l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, dev’essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi. La natura edificabile non viene meno, trattandosi di evenienze incidenti sulla sola determinazione del valore venale dell’area, nè per le ridotte dimensioni e/o la particolare conformazione del lotto, che non incidono su tale qualità (salvo che siano espressamente considerate da detti strumenti attributive della stessa), essendo sempre possibile l’accorpamento con fondi vicini della medesima zona, ovvero l’asservimento urbanistico a fondo contiguo avente identica destinazione, nè a seguito di decadenza del vincolo preordinato alla realizzazione dell’opera pubblica, che, ferma restando l’utilizzabilità economica del fondo, in primo luogo a fini agricoli, configura pur sempre, anche se a titolo provvisorio, un limitato indice di edificabilità (Cass. 25676/2008; 11433/2010; n. 24478/2010; 16485/2016; n. 31051/2017; Cass. 12792/2018; Cass. 2107//2017).

In sintesi, un’area fabbricabile in base al piano regolatore comunale è soggetta all’I.C.I., a prescindere dall’esistenza di vincoli fattuali edificatori, incidendo questi ultimi solamente sul valore venale dell’area e, quindi, sulla base imponibile dell’imposta.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non aver la CTR considerato che il vincolo idrogeologico esistente sul terreno incideva sulla sua potenzialità edificatoria e, quindi, sul suo valore venale.

3.1. Il motivo è fondato.

Sebbene, infatti, come si è visto nell’analizzare il secondo motivo, la presenza del vincolo idrogeologico non sottragga le aree su cui insistono al regime fiscale proprio dei suoli edificabili, lo stesso può incidere sulla concreta valutazione del relativo valore venale e, conseguentemente, sulla base imponibile”.

Orbene, premesso che la doglianza è stata (ri)formulata con il secondo motivo di appello, la CTR ha omesso ogni accertamento e ogni motivazione sul punto. In particolare, la sentenza impugnata non riporta nella parte relativa ai presupposti dell’applicabilità del tributo alcun riferimento a detta contestazione, la cui analisi risulta pregiudiziale per l’attribuzione del valore venale del bene.

4. Con il quarto motivo il ricorrente si duole della nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non aver la CTR provveduto in ordine alla sua richiesta di nomina di un c.t.u..

4.1. Il motivo è inammissibile.

La consulenza tecnica d’ufficio è, infatti, mezzo istruttorio (e non una prova vera e propria) sottratto alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario e la motivazione dell’eventuale diniego può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato effettuata dal suddetto giudice (Sez. 3, Sentenza n. 4660 del 02/03/2006; conf. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 15219 del 05/07/2007, Cass., Sez. L, Sentenza n. 9461 del 21/04/2010, Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 326 del 13/01/2020). Anche nel processo tributario, la consulenza tecnica d’ufficio è mezzo istruttorio – e non prova vera e propria – sottratto alla disponibilità delle parti ed affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, nel cui potere discrezionale rientra la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario, potendo motivare l’eventuale diniego anche implicitamente, con argomentazioni desumibili dal contesto generale e dal quadro probatorio unitariamente considerato (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 25253 del 09/10/2019.

D’altra parte, il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevante ai fini di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si configura esclusivamente con riferimento a domande attinenti al merito e non anche in relazione ad istanze istruttorie per le quali l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (Sez. L, Sentenza n. 6715 del 18/03/2013; conf. Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 13716 del 05/07/2016, Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 24830 del 20/10/2017).

5. Con il quinto motivo il ricorrente denunzia la “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 14 e D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè l’omessa pronuncia, per non aver la CTR considerato che non si era in presenza di un’ipotesi di omessa e/o infedele dichiarazione di possesso, sicchè le sanzioni irrogate erano illegittime, e che, a tutto concedere, le stesse avrebbero dovuto essere soggette al cumulo giuridico per effetto del vincolo di continuazione.

5.1. Il motivo è inammissibile.

Invero, non essendovene cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente avrebbe dovuto indicare con precisione in quale fase e con quale atto processuale avesse tempestivamente sollevato la relativa questione. D’altra parte, il contribuente non ha neppure dedotto di averla riproposta in sede di appello.

6. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso merita di essere accolto con riferimento al terzo motivo. Ne consegue la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Commissione tributaria di secondo grado della Calabria.

P.Q.M.
accoglie il terzo motivo del ricorso, rigetta i primi due, dichiara inammissibili i restanti; cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Commissione tributaria di secondo grado della Calabria in differente composizione.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi, il 12 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2023


Cass. civ., Sez. II, Ord., (data ud. 13/06/2023) 31/08/2023, n. 25544

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERTUZZI Mario – Presidente –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere –

Dott. CAPONI Remo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28812/2020 proposto da:

Unione (Omissis), difesa dall’avvocato Alessandra Tuffanelli;

– ricorrente –

contro

A.A., difeso dall’avvocato Nicola Rigobello e domiciliato in Roma presso lo studio dell’avvocato Luigi Fedeli Barbantini;

-controricorrente-

contro la sentenza del Tribunale di Ferrara n. 269/2020 depositata il 21/05/2020.

Ascoltata la relazione del consigliere Remo Caponi nella camera di consiglio del 13/06/2023.

Svolgimento del processo
Nel 2018 A.A. proponeva opposizione dinanzi al Giudice di Pace di Ferrara avverso il verbale di contestazione della violazione dell’art. 142 comma 9 C.d.S., emesso dalla Polizia locale appartenente alla Unione (Omissis), per eccesso di velocità rispetto al limite di 70 Km/h, con sanzione di circa Euro 550 e decurtazione di sei punti sulla patente di guida. Il ricorrente faceva valere l’omesso rispetto della distanza minima di un chilometro tra il segnale di limite di velocità e l’autovelox, di cui all’art. 25 comma 2 l. 120/2010 e capo 7.6 allegato al D.M. n. 282/2017.

Rigettata in primo grado, l’opposizione è stata accolta in secondo grado. Ricorre in cassazione l’Amministrazione con tre motivi. Resiste il privato con controricorso.

Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo si censura che il giudice di appello abbia rilevato d’ufficio la questione relativa all’omesso rispetto della distanza minima di un chilometro tra il segnale di limite di velocità e l’autovelox, requisito ex art. 25 comma 2 l. 120/2010 e capo 7.6 allegato al D.M. n. 282/2017. Si allega che tale questione non è stata dedotta dal ricorrente, che si è limitato a dedurre il difettoso posizionamento dell’auto-velox rispetto al segnale di preavviso della presenza di postazione di rilevazione. Si deduce quindi si deduce violazione degli artt. 112 c.p.c., 204 C.d.S., 7 D.Lgs. n. 150 del 2011.

Censurato è il seguente ragionamento del Tribunale: è da esaminare la questione sollevata dal privato nelle note conclusive, poichè offre all’attenzione un argomento difensivo diverso da quello che insiste sul difettoso posizionamento dell’autovelox rispetto al segnale di preavviso, fatto valere con il terzo motivo di appello. Peraltro, tale questione, relativa al mancato rispetto della distanza minima tra il segnale di limite di velocità e la postazione di rilevazione, è fondata su norme giuridiche ed è pertanto rilevabile d’ufficio.

La censura del ricorrente invoca tra l’altro Cass. 24037/2020, ove si statuisce che nel giudizio di opposizione all’ordinanza ingiunzione, il giudice incontra il divieto ex art. 112 c.p.c. di rilevare d’ufficio vizi diversi da quelli fatti valere con l’atto introduttivo, nel senso che egli non può fondare la decisione su fatti estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo diverso da quello allegato dalla parte.

Il primo motivo non è fondato.

Risulta dagli atti che una delle ragioni dell’impugnazione del verbale è “l’illegittimo posizionamento dell’apparecchiatura per il rilevamento automatico della velocità ad una distanza inferiore a 1 km dal cartello segnalatore della velocità consentita”, che è il motivo sul quale il giudice ha fondato l’accoglimento dell’opposizione.

Ciò assorbe l’altra questione: se il ricorrente non avesse fatto valere il mancato rispetto della distanza minima tra segnale di limite della velocità e autovelox, ci si potrebbe domandare infatti se davvero l’ac-coglimento dell’opposizione sotto tale profilo avrebbe urtato contro l’orientamento della giurisprudenza di legittimità invocato dal ricorrente, una volta che si dia adeguato peso alle circostanze che il difettoso posizionamento della postazione di rilevazione della velocità rispetto a precedenti segnalazioni è comunque entrato a far parte della materia del contendere e che il predetto orientamento giurisprudenziale è maturato in relazione ad effettive deviazioni della pronuncia del giudice rispetto alla materia del contendere. Cfr. in particolare Cass. 13751/2006: il privato fu sanzionato per inosservanza di una normativa Europea; egli fece opposizione lamentando (unicamente) di averla rispettata; il giudice accolse l’opposizione perchè vide che il verbale non recava l’indicazione del luogo in cui era stata accertata la violazione.

Il primo motivo è rigettato.

2. – Con il secondo motivo si censura che il capo 7.6 allegato al D.M. n. 282/2017 di attuazione dell’art. 25 comma 2 l. 120/2010 non sia stato disapplicato ex artt. 3 Cost., 4, 5 l. 2248/1865 All. E. La censura è argomentata come segue: secondo l’art. 25 comma 2 l. 120/2010, “fuori dei centri abitati (gli autovelox) non possono comunque essere utilizzati o installati ad una distanza inferiore ad un chilometro dal segnale che impone il limite di velocità” (il corsivo è del Collegio). Ciò consente all’utente di avere a disposizione uno spazio ragionevole per diminuire la velocità al fine rispettare il limite. Tale ragione giustificatrice delimita l’ambito di applicazione del limite minimo di distanza alle ipotesi in cui vi è un segnale che imponga di abbassare il limite di velocità (per la prima volta) e non di un segnale che ripeta (in modo inalterato) il limite precedente. Tuttavia, il capo 7.6 allegato al D.M. n. 282/2017 dispone: “Nel caso di diverso limite massimo di velocità anche lungo un solo ramo della intersezione, sia maggiore che minore (il corsivo è del Collegio) rispetto a quello ripetuto dopo l’intersezione, la distanza minima di un chilometro si computa dopo quest’ultimo in modo da garantire a tutti gli utenti della strada in approccio alla postazione lo stesso trattamento”. La parte ricorrente considera che tale disposizione regolamentare sia irragionevole ex art. 3 Cost. poichè equipara il caso dell’intersezione di strada ove il limite di velocità è minore (come nel caso di specie in cui si allega che la strada dalla quale è provenuto il privato incontri il limite di velocità di 50 km orari) con il caso di intersezione di strada ove il limite di velocità è maggiore.

Il secondo motivo non è fondato.

L’argomento letterale invocato dall’amministrazione a fondamento della richiesta di disapplicazione di un decreto governativo in danno del cittadino è di insostenibile fragilità e si può rovesciare, argomentando con pari persuasività che il segnale di limite di velocità, poichè prescrive un divieto (di superare quella velocità), segnala in ogni caso un’impo-sizione, indipendentemente dall’esistenza di un precedente limite e dall’entità di tale limite. Si aggiunga che il decreto ministeriale si informa a un’esigenza di uniformità semplificante che difficilmente lo espone a rilievi sul fronte della ragionevolezza ex art. 3 Cost. Infine, ove mai tali rilievi potessero trovare ingresso con effetto di disapplicazione, il privato sarebbe assoggettato a una sanzione amministrativa in forza di un parametro normativo concretizzatosi nell’occasione del giudizio e non già prima della commissione della violazione.

Il secondo motivo è rigettato.

3. – Con il terzo motivo, in via ulteriormente subordinata, si denuncia che il privato non abbia allegato di essersi immesso nella strada provinciale di cui è causa dall’unica strada recante un limite di velocità (50 chilometri orari) inferiore. Si lamenta il mancato rilievo del difetto di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. Il terzo motivo è inammissibile, poichè è diretto a far valere una questione irrilevante rispetto alla pronuncia che ha annullato il verbale di violazione del codice della strada per il posizionamento dell’autove-lox ad una distanza inferiore ad un chilometro dal segnale di limite di velocità.

4. – Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

Inoltre, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista a titolo di contributo unificato per il ricorso a norma dell’art. 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore della parte controricorrente, che liquida in Euro 550, oltre a Euro 100 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi e agli accessori di legge.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista a titolo di contributo unificato per il ricorso, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 13 giugno 2023.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2023


Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., (data ud. 20/06/2023) 20/07/2023, n. 21607

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. ZULIANI Andrea – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. FEDELE Ileana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25305-2022 proposto da:

A.A., rappresentato e difeso dagli avv.ti Vittorio Perria, e Martina Vacca, con domicilio digitale presso l’indirizzo di posta elettronica certificata dei difensori D.L. n. 179 del 2012, ex art. 16 sexies conv. con modif. in L. n. 221 del 2012;

– ricorrente –

contro

Comune di Arzachena, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Stefano Forgiarini, dirigente dell’avvocatura comunale, con domicilio digitale presso l’indirizzo di posta elettronica certificata dell’avvocatura inserito nel pubblico elenco “Reginde”: avvocatura.pec.c.omunearzachena.it;

avverso la sentenza n. 123/2022 della Corte d’appello di Cagliari – Sezione distaccata di Sassari, depositata il 19/08/2022 r.g.n. 41/2022;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/06/2023 dal Consigliere Dott. Ileana Fedele;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Fresa Mario, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

Svolgimento del processo
1. – La Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, ha respinto il reclamo proposto ai sensi della L. 28 giugno 2012, n. 92, da A.A., dipendente del Comune di Arzachena in qualità di Comandante del Servizio di Polizia Locale, in ordine all’impugnazione del licenziamento intimatogli in data 27 febbraio 2018 per falsa attestazione della presenza in servizio D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 55 quater.

2. – Per quanto qui rileva, la Corte territoriale dopo aver analiticamente illustrato le vicende processuali e le valutazioni rese nelle precedenti fasi dal Tribunale di Tempio Pausania, ha ritenuto infondati i motivi di gravame sulla base dei seguenti rilievi.

2.1. – Al lavoratore era contestato “l’allontanamento dal luogo di lavoro per motivi privati senza far risultare tale assenza mediante l’utilizzo del dispositivo marcatempo” nei giorni e nelle ore riportate nella raccomandata del 17 gennaio 2018, comportamento integrante la fattispecie di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, n. 1, lett. a), cui era seguita la sanzione del licenziamento senza preavviso.

2.2. – L’istruttoria svolta aveva confermato le uscite e i rientri del lavoratore dal Municipio del Comune di Arzachena senza attivare l’utilizzo del badge.

2.3. – Il lavoratore, senza negare in fatto le circostanze contestate, le aveva ritenute giustificate per essere stato assolto dal Giudice per l’udienza preliminare perchè il fatto non sussiste; la difesa si fondava sulla natura delle funzioni svolte, in virtù delle quali il lavoratore non era tenuto a utilizzare il badge per documentare la presenza in ufficio, non essendo neppure vincolato all’osservanza di un orario di lavoro oltre quello minimo di trentasei ore previsto contrattualmente, orario minimo che non era controverso che egli avesse sempre rispettato, senza che fosse stato arrecato alcun pregiudizio economico al datore di lavoro, non avendo percepito alcun compenso per lavoro straordinario ovvero riposi compensativi, avendo al contrario svolto attività lavorativa ben oltre detto orario minimo; ove avesse timbrato in uscita sarebbe stato privato della tutela antinfortunistica assicurata dall’INAIL nonchè della qualifica di agente di polizia; il luogo di lavoro non era il Municipio ma, per esigenze di servizio, l’intero territorio comunale; quale responsabile delegato del servizio di protezione civile era tenuto a conoscere tempestivamente le allerte della protezione civile, conoscenza che, in quel periodo, poteva acquisire solo dal personale computer di casa, atteso che quello di ufficio non era accessibile a causa di un sistema di protezione aggirabile solo in presenza del dipendente che lo aveva installato, all’epoca assente per malattia; aveva continuato a lavorare anche dalla propria abitazione mediante l’utilizzo del cellulare, ricetrasmittente e personal computer;

2.4. – Le giustificazioni addotte non erano fondate posto che: il comportamento sanzionato dall’art. 55 quater è quello del pubblico dipendente che fa apparire di essere in servizio (che ben può svolgersi anche in luogo diverso dall’ufficio dove è situato l’apparecchio marcatempo) mentre in realtà è impegnato in attività estranee a quelle d’ufficio oppure è in luoghi diversi da quelli dove avrebbe dovuto recarsi per dovere di ufficio; tra tali luoghi vi è l’abitazione privata, salvo che il lavoratore sia a ciò previamente autorizzato, circostanza non allegata nè documentata nel caso di specie, non essendo stato giustificato perchè, dopo essersi recato presso l’abitazione per accedere al sito della protezione civile, non avesse poi fatto ritorno in ufficio per svolgere le attività necessarie, essendo incontestabile che il lavoratore avesse scelto di rimanere a casa ben oltre il tempo necessario per accedere al sito della protezione civile, circostanza comunque inidonea a giustificare il contestato comportamento per ventisei giorni per un totale di ottanta ore (apparendo comunque inverosimile la dedotta necessità di recarsi presso l’abitazione per accedere al sito della protezione civile, inaccessibile dall’ufficio). Parimenti irrilevanti le circostanze del rispetto dell’orario minimo di lavoro e dell’assenza dell’obbligo di rispettare un orario di lavoro per il tempo successivo, visto che il lavoratore era stato autorizzato a svolgere lavoro straordinario per fruire di giorni compensativi ovvero per la corresponsione di compenso straordinario, nei limiti delle risorse finanziarie, non essendo, di contro, autorizzato ad omettere l’utilizzo del cartellino marcatempo per la quantificazione del lavoro straordinario, il cui uso era dunque necessario per ottenere il relativo trattamento economico ovvero il riposo compensativo (di cui il A.A. aveva concretamente usufruito il (Omissis)), assumendo rilievo non già la concreta percezione di emolumenti ma il compimento di attività preordinate a conseguire tale utilità.

2.5. – Sulla base di tali considerazioni, la Corte ha ritenuto irrilevante il giudicato penale di assoluzione ex art. 425 c.p.p., in quanto tale sentenza era fondata sulle dichiarazioni del lavoratore di non essere tenuto a registrare le entrate e le uscite in ufficio e di non essere tenuto all’osservanza di un orario di lavoro prefissato ex art. 39 del regolamento della polizia locale, non avendo percepito alcun compenso ed avendo svolto attività di responsabile delegato del COC ed attività investigativa accedendo ai posti di indagine. La sentenza di non luogo a procedere pronunciata dal giudice per l’udienza preliminare non era ostativa al giudizio disciplinare, non essendo comunque preclusa una diversa valutazione dei fatti con il solo limite dell’immutabilità dell’accertamento svolto sul piano materiale in sede penale. La contestazione disciplinare aveva ad oggetto la condotta del lavoratore che, uscito dalla sede della polizia senza timbrare, si era recato presso la propria abitazione e non anche le diverse condotte in cui il predetto, uscito senza utilizzare il badge, aveva svolto attività di servizio sul territorio (la contestazione, quindi, atteneva all’essersi recato ripetutamente, per ben ventisei giorni, per un totale di ottanta ore, in meno di tre mesi di indagine, nella propria abitazione senza fare uso del badge).

2.6. – In questo senso, era improprio il richiamo alla normativa antinfortunistica INAIL, perchè tendeva ad estendere tale tutela anche all’abitazione privata in assenza di autorizzazione o indicazione scritta del datore per l’utilizzo di quest’ultima quale luogo di lavoro, mentre la qualifica di ufficiale di polizia, ai sensi dell’art. 57 c.p., prescindeva dall’orario di lavoro, e non poteva reputarsi illegittima se svolta oltre tale orario.

2.7. – Pertanto, erano irrilevanti le prove articolate, perchè non avrebbero corrisposto alla prova di aver sempre svolto attività lavorativa presso l’abitazione, e parimenti irrilevanti, anche se sotto diverso profilo, erano i capi di prova relativi all’attività svolta in luogo diverso dalla propria abitazione. Irrilevante, infine, anche la richiesta di acquisizione dei tabulati e dell’hard disk del personal computer, dovendosi dimostrare tramite tali acquisizioni che il lavoratore aveva svolto attività lavorativa per tutto il periodo in cui si trovava presso l’abitazione.

2.8. – Integrata la fattispecie contestata, di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater (sotto il profilo della falsa attestazione in ordine alle registrazioni in entrata e in uscita, in quanto la condotta si compendia nell’allontanamento dal luogo di lavoro senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza economicamente apprezzabili, idonea ad indurre in errore l’amministrazione di appartenenza circa la presenza sul luogo di lavoro), è risultata altresì proporzionata la sanzione espulsiva in relazione alla gravità dei fatti (reiterazione in breve arco di tempo, sistematicità della condotta), che incide sull’elemento fiduciario del rapporto, anche in considerazione del ruolo istituzionale ricoperto.

2.9. La Corte territoriale ha altresì escluso la natura ingiuriosa del licenziamento, in condivisione delle valutazioni espresse dal primo giudice, considerate le dichiarazioni rese dal Sindaco alla stampa e gli articoli di giornali, da cui non emergeva la prova che la notizia fosse stata divulgata da parte dell’amministrazione, essendosi il Sindaco limitato a rispondere alle domande del giornalista, a conferma di una notizia di cui il medesimo giornalista appariva essere già a conoscenza.

3. – Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il A.A. articolando sette motivi, cui resiste il Comune di Arzachena con controricorso.

4. – Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.

5. Le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, anche in relazione al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 62 e all’art. 13 del regolamento del servizio di polizia locale del comune di Arzachena, prospettando un’indebita confusione tra la nozione di “luogo di lavoro” e quella di “presenza in servizio”.

1.1. – Il motivo è infondato, stante il consolidato indirizzo di questa Corte, da cui non vi sono motivi per discostarsi (Cass. Sez. L, 06/09/2016, n. 17637, Cass. Sez. L, 14/12/2016, n. 25750, Cass. Sez. L, 24/05/2021, n. 14199), secondo cui integra la fattispecie di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater anche l’assenza intermedia dal luogo di lavoro fra le timbrature di entrata ed uscita, circostanza che sussiste nel caso di specie, come accertato sul piano fattuale dal giudice di merito (in senso conforme, più di recente, per una fattispecie di rientro presso l’abitazione nonostante le registrazioni del tesserino attestassero la presenza del lavoratore in ufficio, in base all’accertamento di fatto svolto dal giudice di merito, Cass. Sez. L, 06/03/2023, n. 6660).

1.2. – Quanto alla giustificazione addotta dal A.A., relativa alla possibilità, in ragione delle mansioni svolte, di eseguire la prestazione anche al di fuori dall’ufficio e pure dall’abitazione, ciò non vale di per sè ad escludere che il lavoratore fosse comunque tenuto ad utilizzare il contrassegno marcatempo, dovendo rispettare un orario minimo (irrilevante, che, in concreto svolgesse più ore), trovandosi comunque a dover giustificare perchè, in concreto, avesse scelto di lavorare da casa invece che presso la sede di servizio, ciò che evidenzia l’alterazione indotta dall’apparente presenza in ufficio in virtù delle timbrature effettuate.

1.3. – Risulta, pertanto, integrata la fattispecie oggetto di contestazione, in conformità alla richiamata interpretazione resa sul punto da questa Corte, con conseguente insussistenza della dedotta violazione di legge, risolvendosi ogni ulteriore censura in un’inammissibile sollecitazione ad un differente accertamento dei fatti.

2. – Con il secondo motivo il ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, con particolare riferimento al sollecitato accertamento in ordine allo svolgimento dell’attività lavorativa al di fuori del comando e/o presso il domicilio, essendosi pervenuto al rigetto dell’impugnativa del licenziamento per asserita irrilevanza delle prove dedotte sul punto dal lavoratore.

2.1. – In disparte ogni profilo di inammissibilità della censura, prospettata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 rispetto ad un’ipotesi di cd. “doppia conforme” e senza neppure aver illustrato le differenze fra le sentenze di merito, idonee a consentire in siffatta evenienza la proposizione del ricorso, il motivo è comunque infondato, in quanto la Corte ha ritenuto le prove articolate irrilevanti in virtù della ratio decidendi adottata (mancata autorizzazione allo svolgimento dell’attività lavorativa presso l’abitazione, irrilevante che avesse comunque prestato la propria attività lavorativa dall’abitazione e comunque non per tutto il periodo), rispetto alla quale, in ogni caso, le circostanze oggetto delle richieste istruttorie non rivestono la portata decisiva invece attribuita dal ricorrente, neppure ai fini giudizio di proporzionalità, espresso dalla Corte non solo in ordine alla reiterazione delle condotte ma anche con particolare riferimento alla lesione dell’elemento fiduciario per il rilevante ruolo istituzionale ricoperto dal lavoratore.

3. – Con il terzo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza e/o del procedimento, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, anche in relazione agli art. 111 Cost., art. 132 c.p.c. e L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 59 e 60, per omessa ammissione di prove ammissibili e rilevanti e conseguente rigetto del reclamo per asserite carenze istruttorie.

3.1. – Il motivo è infondato, come già osservato in relazione alla censura precedente, per la ritenuta irrilevanza delle prove articolate al fine di escludere la configurabilità dell’addebito.

4. – Con il quarto motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 653 c.p.p., anche in relazione alla violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, per non essere stata considerata la rilevanza della sentenza penale di proscioglimento perchè il fatto non sussiste e l’accertamento, in quella sede, di fatti positivi che valgono ad escludere la sussistenza dell’addebito, avuto riguardo alla irrevocabilità di fatto della sentenza di non luogo a procedere.

4.1. – Il motivo, che postula la valutazione in ordine alla valenza nel procedimento disciplinare dell’accertamento svolto in sede penale, è infondato.

4.2. – Occorre qui evidenziare che il A.A. è stato prosciolto in sede di udienza preliminare perchè il fatto non sussiste. Viene, dunque, in rilievo la questione dell’applicabilità o meno dell’art. 653 c.p.p., considerato che nella specie la sentenza di proscioglimento è stata emessa dal giudice in sede di udienza preliminare come sentenza di non luogo a procedere. Tale pronuncia non è tecnicamente suscettibile di inquadramento quale “sentenza irrevocabile” cui l’art. 653 c.p.p. (“sentenza penale irrevocabile di assoluzione”) riconosce efficacia di giudicato in sede disciplinare: infatti, basta qui considerare che la sentenza di non luogo a procedere può essere revocata in determinati casi, ai sensi dell’art. 434 c.p.p., ed è assistita, pertanto, da un grado di stabilità “relativa”, non riconducibile al paradigma di “irrevocabilità” che qualifica la fattispecie disciplinata dalla richiamata disposizione, per essere piuttosto caratterizzata da un’efficacia preclusiva rebus sic stantibus (nel senso della non definitività dell’accertamento, che spiega la revocabilità della sentenza, impedendo di farne parametro per un giudizio di revisione, Cass. Sez. pen. 15/12/2005, n. 1538, secondo cui “In materia di revisione, nella nozione di “altra sentenza penale irrevocabile”, di cui all’art. 630 c.p.p., comma 1, lett. a), non rientra la sentenza di non luogo a procedere emessa all’esito dell’udienza preliminare, perchè la non definitività dell’accertamento, che spiega la revocabilità della sentenza, impedisce di farne parametro per un giudizio di revisione”; in senso conforme, fra molte, Cass. Sez. pen. 04/06/2009, n. 26189, e Cass. Sez. pen. 18/06/2014, n. 39191).

4.3. Nè potrebbe la differenza “ontologica” fra la sentenza di non luogo a procedere e quella di proscioglimento irrevocabile essere colmata dalla asserita “ratio” della disposizione, per come dedotto dal ricorrente, atteso che la sentenza di non luogo a procedere rimane caratterizzata da un regime di revocabilità che non consente di equipararla ad una sentenza irrevocabile di assoluzione, profilo che renderebbe irrilevante, sul piano dell’individuazione del tertium comparationis, anche ogni valutazione circa un’eventuale denuncia di incostituzionalità della disposizione.

5. – Con il quinto motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, comma 1, anche in relazione all’art. 2119 c.c. e all’art. 3 del c.c.n.l. applicato, con riferimento alla proporzione fra il comportamento addebitato e la massima sanzione applicata.

5.1. – Il motivo è infondato, perchè la Corte di merito, come già sopra osservato, ha compiuto una espressa e compiuta valutazione sulla gravità fatto, ai fini del giudizio di proporzionalità della sanzione irrogata, con conseguente insussistenza della dedotta violazione di legge, risolvendosi ogni censura sul punto in un’inammissibile richiesta di rivalutazione nel merito.

6. – Con il sesto motivo il ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la motivazione addotta siccome meramente apparente in ordine alla valutazione della proporzionalità della sanzione in relazione agli elementi errati e/o non provati sui quali la Corte territoriale ha espresso il proprio giudizio.

6.1. – Anche questo motivo è infondato, secondo già osservato in relazione alla precedente censura, in quanto la Corte ha espresso il proprio argomentato convincimento sul punto, onde non è ravvisabile la denunciata ipotesi di motivazione apparente, mentre le ulteriori argomentazioni sviluppate in proposito nel ricorso tendono – il che non è consentito in sede di legittimità – ad infirmare l’accertamento fattuale e/o il governo delle prove espressi nella sentenza impugnata.

7. – Con il settimo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza e/o del procedimento, per essere stata addotta una motivazione contraria ai documenti allegati in ordine alla lamentata ingiuriosità del licenziamento.

7.1. – La censura è infondata, in quanto la Corte di merito ha motivato chiaramente le ragioni per le quali ha escluso la responsabilità dell’ente, onde non è ravvisabile l’ipotesi di motivazione apparente, risolvendosi, anche in questo caso, le ulteriori doglianze in un’inammissibile richiesta di rivalutazione nel merito della ricostruzione fattuale posta a fondamento della sentenza impugnata.

8. – In definitiva, il ricorso è complessivamente infondato e va respinto.

9. – Alla soccombenza segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo in ragione della difesa della parte controricorrente assunta dalla avvocatura comunale.

10. – Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 5.000,00 Euro per compensi, oltre agli esborsi liquidati in Euro 200,00.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 giugno 2023.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2023


Cass. civ., Sez. III, Sent., (data ud. 08/05/2023) 07/07/2023, n. 19384

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. TASSONE Stefania – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 8396/2020 R.G. proposto da:

A.A., rappresentato e difeso, in forza di procura in calce al ricorso, dagli avv.ti (Omissis) e (Omissis), elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Fabrizio Gizzi, in Roma, via Oslavia, n. 30;

– ricorrente –

contro

B.B., rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall’avv. Marco Valentini e domiciliato per legge presso la cancelleria della Corte Suprema di cassazione;

– controricorrente –

nonchè nei confronti di:

VERTI ASSICURAZIONI Spa in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dagli avv.ti Alessandra Vecchi e Monica Callegari, domiciliata per legge presso la cancelleria della Corte Suprema di cassazione;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 432/2020 depositata in data 31 gennaio 2020;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 maggio 2023 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Pepe Alessandro, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
1. A.A. convenne in giudizio B.B. e la Direct Line Insurance Spa al fine di sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del sinistro nel quale era rimasto coinvolto in qualità di trasportato in data 17 agosto 2011.

All’esito della costituzione delle parti convenute, il Tribunale di Forlì rigettò la domanda.

2. La sentenza è stata impugnata dal A.A., il quale ha dedotto che, nel periodo successivo al deposito della sentenza, il computer in uso al difensore era stato “infettato da un virus “Trojan”” e, comunque, che la notifica della sentenza di primo grado doveva considerarsi inesistente.

La Corte d’appello di Bologna ha dichiarato l’inammissibilità dell’impugnazione perchè tardivamente proposta.

In particolare, ha rilevato che il difensore di B.B. aveva notificato la sentenza di primo grado alle controparti in data 31 agosto 2018 e che, trascorso il termine di cui all’art. 325 c.p.c. senza che fosse stata proposta impugnazione, il successivo 9 ottobre aveva presentato istanza alla cancelleria del Tribunale chiedendo il rilascio dell’attestazione di passaggio in giudicato della sentenza; il difensore del A.A. aveva depositato opposizione al rilascio della certificazione richiesta, proponendo in seguito istanza di rimessione in termini.

I giudici di appello hanno osservato che non poteva prendersi in considerazione, a giustificazione dell’istanza ex art. 153 c.p.c., l’asserita avaria del computer del difensore del A.A., trattandosi di circostanza che, oltre ad essere meramente assertiva, era del tutto irrilevante, in quanto il file si trovava nel server, cosicchè l’avvocato avrebbe potuto scaricarlo utilizzando altri computer o smartphone. Hanno aggiunto che il professionista, resosi conto del problema, avrebbe dovuto diligentemente provvedere ad attivare altro computer per accedere ai siti istituzionali e che l’assenza di una denuncia del reato di cui era rimasto vittima generava una carenza indiziaria che non poteva essere colmata a mezzo delle dichiarazioni a firma del tecnico informatico. Hanno, pure, ritenuto infondata la doglianza afferente il presunto difetto di autenticità della sentenza impugnata per mancanza di “coccardina” e delle relative stringhe a margine della stessa, considerato che il difensore dell’appellato aveva notificato non una semplice copia, ma un duplicato dell’originale della sentenza. Inconsistente, secondo i giudici di appello, era anche l’eccepita inesistenza della notifica, in quanto inoltrata agli indirizzi di posta elettronica certificata risultanti dai pubblici registri.

Difettando, dunque, i presupposti per la rimessione in termini, la Corte ha ritenuto l’appello tardivamente esperito oltre il termine di cui all’art. 325 c.p.c. 3. Avverso la suddetta decisione propone ricorso per cassazione A.A., sulla base di sette motivi.

B.B. e la Verti Assicurazioni Spa (già Direct Line Insurance s.p.a.) resistono con autonomi controricorsi.

4. Per la trattazione del ricorso è stata fissata l’udienza pubblica del 3 aprile 2023, che ha avuto luogo in camera di consiglio, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis,convertito, con modificazioni, in L. 18 dicembre 2020, n. 176, come successivamente prorogato dal D.L. 10 aprile 2021, n. 44, art. 6, comma 1, lett. a), n. 1), convertito con modificazioni in L. 28 maggio 2021, n. 76, nonchè dal D.L. 23 luglio 2021, n. 105, art. 7, commi 1 e 2, e dal D.L. 29 dicembre 2022, n. 198, art. 8, comma 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 febbraio 2023, n. 14.

Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato conclusioni scritte riportate in epigrafe.

Il ricorrente e le parti controricorrenti hanno depositato memorie illustrative.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente deduce “Manifesta violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3 ed in particolare del G.D.P.R: L. n. 5 del 2018 che impone di non lasciare sul server tutti i dati sensibili”.

Sostiene che la posta elettronica certificata degli avv. (Omissis), suoi difensori in primo grado, non avrebbe potuto essere consultata da altro computer diverso da quello di studio, in quanto, al fine di proteggere i dati sensibili, i professionisti potevano consultare le comunicazioni solo mediante l’accesso al client di posta elettronica installato su un computer di studio, ovvero connettendosi da remoto solo al computer di studio; essendo stati tutti i computer di studio, collegati ad un server centrale, infettati dal virus denominato kryptolocker già nel mese di luglio 2018, nè l’avv. (Omissis), nè l’avv. (Omissis) avevano potuto consultare la posta elettronica, essendo andate perdute tutte le comunicazioni, ivi compresa la notifica della sentenza di primo grado.

2. Con il secondo motivo, denunciando “violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c.”, il ricorrente censura la decisione gravata nella parte in cui i giudici di merito hanno affermato che non poteva prendersi in considerazione l’avaria al computer del difensore ed assume che nella dichiarazione resa dal tecnico informatico si evidenziava che già in data 23 luglio 2018 il computer della segretaria C.C. era stato infettato, tanto che tutti i file ivi contenuti erano divenuti inutilizzabili, e che, nonostante i numerosi tentativi, alla data del 12 ottobre 2018 non era stato ancora possibile sbloccare i file criptati, essendo necessaria la sostituzione dell’hard disk.

3. Con il terzo motivo, rubricato: “Violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione e/o erronea applicazione dell’art. 153 c.p.c. e art. 11 Cost. per la sussistenza dei presupposti di rimessione in termini”, il ricorrente ribadisce che con l’atto di appello aveva ben evidenziato che si era trovato nell’impossibilità di ricevere la notifica della sentenza ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione a causa del virus che aveva colpito il sistema informatico dello studio legale ed aveva allegato anche la dichiarazione del tecnico informatico, D.D., che aveva attestato una aggressione hacker risalente al 23 luglio 2018, evento che sicuramente legittimava la rimessione in termini.

4. Con il quarto motivo, deducendo “nullità ex art. 360 c.p.c., n. 4 della sentenza per mancata ammissione di una c.t.u. percipiente ex artt. 61 e ss. c.p.c.”, il ricorrente lamenta che avrebbe dovuto essere disposta una consulenza tecnica, non avendo il giudice la competenza tecnica per comprendere la natura e gravità del danno arrecato dal virus informatico.

5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce “violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3 per non avere disposto la c.t.u. percipiente”, ribadendo che il consulente tecnico avrebbe potuto controllare i server di studio, i computer dei vari operatori e la tipologia di aggressione informatica che, nell’estate del 2018, aveva danneggiato l’intera rete di dati.

6. Con il sesto motivo, denunciando “error in procedendo et in iudicando e violazione dei principi del giusto ed equo processo ex artt. 6 e 13 della Convenzione di Roma, nonchè dell’art. 47 Carta di Nizza”, il ricorrente lamenta che la mancata ammissione della prova per testi e della c.t.u., ha comportato una lesione al “diritto alla prova”.

7. Con il settimo motivo, rubricato “riproposizione di tutti i motivi (richiamati in epigrafe) d’appello”, il ricorrente reitera tutti i motivi di gravame non esaminati dal giudice d’appello in conseguenza dell’accoglimento dell’eccezione di tardività dell’appello sollevata dalle parti appellate.

8. Il primo motivo che, al di là della erronea indicazione in rubrica, deve intendersi volto a denunciare la violazione del nuovo Codice della Privacy, introdotto dal D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101 è inammissibile per difetto di specificità.

Con l’emanazione del D.Lgs. invocato, in vigore dal 25 maggio 2018, il legislatore italiano ha recepito le disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento e del Consiglio del 27 aprile 2016, conosciuto con l’acronimo G.D.P.R. (General Data Protection Regulation), relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonchè alla libera circolazione di tali dati.

Dal testo del decreto non è dato rinvenire una disposizione che imponga il divieto di conservazione sul server dei dati personali, essendo soltanto previsto all’art. 5 che i dati personali devono essere a) trattati in modo lecito, corretto e trasparente nei confronti dell’interessato; b) raccolti per finalità determinate, esplicite e legittime, e successivamente trattati in modo che non sia incompatibile con tali finalità; c) adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati; d) esatti e, se necessario, aggiornati; devono essere adottate tutte le misure ragionevoli per cancellare o rettificare tempestivamente i dati inesatti rispetto alle finalità per le quali sono trattati; e) conservati in una forma che consenta l’identificazione degli interessati per un arco di tempo non superiore al conseguimento delle finalità per le quali sono trattati; i dati personali possono essere conservati per periodi più lunghi a condizione che siano trattati esclusivamente a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici, conformemente all’art. 89, paragrafo 1, fatta salva l’attuazione di misure tecniche e organizzative adeguate richieste dal presente regolamento a tutela dei diritti e delle libertà dell’interessato; f) trattati in maniera da garantire un’adeguata sicurezza dei dati personali, compresa la protezione, mediante misure tecniche e organizzative adeguate, da trattamenti non autorizzati o illeciti e dalla perdita, dalla distruzione o dal danno accidentali.

Ne discende che la doglianza in esame, per come illustrata, risulta generica, poichè si fonda su un presunto divieto di conservare i messaggi p.e.c. ed i relativi allegati sul server che non trova riscontro nelle diposizioni normative che si assumono violate, le quali impongono soltanto una adeguata protezione dei dati sensibili mediante l’adozione delle misure tecniche più idonee ad evitare accessi a soggetti non autorizzati a trattarli.

Peraltro, di tale questione non vi è cenno nella sentenza impugnata e, pertanto, la parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, aveva l’onere non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo aveva fatto, onde dar modo a questa Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., sez. 6 – 1, 13/06/2018, n. 15430).

Tale onere non è stato assolto dal ricorrente, sebbene dalla sentenza impugnata non è dato evincere che la questione qui svolta fosse stata devoluta al giudice d’appello.

9. Parimenti inammissibile è il secondo motivo.

9.1. A supporto della doglianza il ricorrente assume che la violazione delle disposizioni normative evocate deriverebbe dal fatto che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto che il tecnico informatico, D.D., avesse riscontrato l’impossibilità di recuperare i file divenuti inutilizzabili a causa del virus solo a seguito di una verifica effettuata in data 12 ottobre 2018, sebbene dalla dichiarazione proveniente dal tecnico emergesse, al contrario, che già in data 23 luglio 2018 il computer dello studio professionale fosse stato oggetto di aggressione da parte di un hacker e di conseguenza bloccato.

A prescindere da ogni valutazione sul contenuto della dichiarazione a firma del tecnico informatico, ritrascritta in ricorso a pag. 12, la censura non si confronta con il percorso argomentativo su cui il giudice d’appello ha fondato il proprio convincimento.

Infatti, la Corte d’appello ha chiaramente evidenziato la irrilevanza di quanto riferito dal tecnico, ponendo in rilievo che l’impossibilità addotta dal difensore a giustificazione dell’istanza di rimessione in termini si scontrava con la considerazione che “il file si trovava comunque nel server cosicchè l’avvocato poteva scaricarlo utilizzando altre macchine o smartphone, atteso che il virus attacca, come è noto, la Ram della macchina, ma non la possibilità di contattare la rete informatica generale”. In tal modo, sottolineando che l’avvocato, anche a voler ritenere che effettivamente il suo computer avesse subito una aggressione da parte di hacker, avrebbe comunque avuto la possibilità di ricorrere ad altri strumenti di accesso al fine di avere conoscenza delle notifiche inviategli a mezzo posta elettronica certificata.

9.2. Peraltro, la doglianza in esame è inammissibile, perchè non risponde ai paradigmi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. U, 30/09/2020, n. 20867) per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., essendo, a tal fine, necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio, non potendosi ravvisare la violazione nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c. (Cass. sez. U, 05/08/2016, n. 16598).

D’altra parte (Cass., sez. U, 27/12/2019, n. 34474; Cass. 19/06/2014, n. 13960), la violazione dell’art. 116 c.p.c. è riscontrabile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonchè, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, la censura era consentita ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo previgente ed ora solo in presenza dei gravissimi vizi motivazionali individuati da questa Corte fin da Cass., sez. U, nn. 8053 e 8054 del 2014.

Nel caso di specie, le censure formulate sono palesemente finalizzate a criticare la valutazione delle risultanze istruttorie operata dai giudici di merito.

10. Il terzo motivo è infondato.

Varrà premettere, in linea generale, che le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenze n. 32725/2018 e n. 4135/2019, hanno chiarito che l’istituto della rimessione in termini, previsto dall’art. 153 c.p.c., comma 2, come novellato dalla L. n. 69 del 2009, opera anche con riguardo al termine per proporre impugnazione e richiede la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte, perchè cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà, che presenti i caratteri dell’assolutezza e non della mera difficoltà (in senso conforme, Cass., sez. 1, 03/12/2020, n. 27726).

Al riguardo, costituisce principio consolidato quello secondo cui, in caso di tardiva proposizione dell’impugnazione, la parte non può invocare la rimessione in termini ex art. 153 c.p.c., quando il ritardo sia dovuto a fatto imputabile al difensore, costituendo la negligenza di quest’ultimo un evento esterno al processo, che attiene alla patologia del rapporto con il professionista rilevante solo ai fini dell’azione di responsabilità nei confronti del medesimo, senza che ciò comporti alcuna violazione dell’art. 6 CEDU, poichè l’inammissibilità dell’impugnazione, che consegue all’inosservanza del termine, non integra una sanzione sproporzionata rispetto alla finalità di salvaguardare elementari esigenze di certezza giuridica (Corte EDU, 15 settembre 2016, Trevisanato c. Italia) (Cass., sez. 1, 10/02/2021, n. 3340).

Alla stregua di tali direttive va riconosciuta la correttezza delle conclusioni cui è pervenuta la Corte territoriale, non potendo, ai fini della rimessione in termini, costituire causa di forza maggiore l’impedimento addotto dal difensore dell’odierno ricorrente.

L’allegato malfunzionamento della rete informatica dello studio professionale, addebitata dal ricorrente ad un virus informatico che avrebbe criptato tutti i dati ed impedito l’accesso all’account di posta elettronica, non consentendo di visionare la notifica della sentenza impugnata, come correttamente rilevato dai giudici di merito, anche ove dimostrato, non sarebbe in ogni caso riconducibile ad un fattore estraneo alla parte, che abbia i caratteri dell’assolutezza e che abbia causato in via esclusiva la tardività dell’impugnazione. Infatti, il file contenente la notifica della sentenza di primo grado, proveniente dal difensore della controparte, essendo conservato nel server del gestore di posta elettronica (nella specie, Microsoft Outlook) fino a quando il destinatario esterno non avesse deciso di scaricarlo o di cancellarlo, ben poteva essere consultato dal difensore del ricorrente tramite l’utilizzo di altro computer, non collegato alla rete informatica dello studio professionale.

Sotto altro profilo, si osserva pure che le denunciate disfunzioni avrebbero potuto essere evitate mediante l’installazione di antivirus, in osservanza delle prescrizioni del D.M. n. 44 del 2011, art. 20 (Regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi di cui al D.Lgs. n. 82 del 2005), che – come già osservato da questa Corte – nel disciplinare i requisiti della casella PEC del soggetto abilitato esterno, impone una serie di obblighi – tra cui quello di dotare il terminale informatico di software idoneo a verificare l’assenza di virus informatici nei messaggi in arrivo e in partenza, nonchè di software antispam idoneo a prevenire la trasmissione di messaggi indesiderati, oltre che a conservare, con ogni mezzo idoneo, le ricevute di avvenuta consegna dei messaggi trasmessi dal dominio giustizia (Cass., sez. 3, 23/06/2021, n. 17968; Cass., sez. 2, 08/03/2023, n. 6939; Cass., sez. 3, 15/03/2023, n. 7510).

Risulta, in ogni caso, assorbente il rilievo che la sentenza impugnata, come accertato dal giudice d’appello, era stata notificata non solo all’avv. (Omissis), ma anche all’altro difensore, con mandato disgiunto, avv. (Omissis), la quale non risulta dalla sentenza che abbia mai eccepito di non aver ricevuto o di non aver potuto prendere visione della notifica della sentenza.

11. Il quarto ed il quinto motivo, che possono essere congiuntamente esaminati perchè strettamente connessi, sono inammissibili, in quanto, a prescindere da ogni valutazione in merito alla rilevanza e decisività della c.t.u. percipiente, il ricorrente, in violazione del principio di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non ha neppure specificato in quale fase del giudizio sarebbe stata formulata la richiesta di consulenza tecnica d’ufficio e, comunque, se fosse stata eventualmente reiterata nel giudizio di secondo grado.

12. Inammissibile è pure il sesto motivo per difetto di specificità.

Il ricorrente addebita genericamente alla Corte territoriale di avere violato i principi del giusto ed equo processo, nonchè l’art. 47 della Carta di Nizza, lamentando una lesione al diritto di difesa che sarebbe derivato dalla mancata escussione di testi e dalla mancata ammissione di c.t.u., ma tralascia di specificare sia le richieste istruttorie in concreto formulate, sia la fase del giudizio in cui le stesse sarebbero state avanzate, in tal modo impedendo a questa Corte di poter valutare la doglianza svolta, che risulta del tutto generica.

13. La complessiva infondatezza dei mezzi di ricorso già esaminati non può che comportare l’assorbimento del settimo motivo, con il quale il ricorrente ha riproposto tutti i motivi dedotti in sede di gravame e non esaminati dal giudice d’appello in ragione dell’accoglimento dell’eccezione di tardività dell’appello.

14. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore di B.B., delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.250,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della Verti Assicurazioni Spa delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.250,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 8 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2023


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 02/02/2023) 04/07/2023, n. 18867

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. CANDIA Ugo – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 3674/2020 del ruolo generale, proposto da:

FUTURA LINE INDUSTRY Srl , (codice fiscale (Omissis)), con sede in (Omissis) – in persona del legale rappresentante pro tempore, A.A., rappresentata e difesa, in forza di procura speciale e nomina poste in calce al ricorso, dagli avv.ti Giannicola Galotto (codice fiscale (Omissis)) e Massimo Pagliara (codice fiscale (Omissis)), elettivamente domiciliati in Roma, alla Via Adda n. – 99, presso lo studio dell’avv. Bruno De Ciccio.

– ricorrente –

contro

il COMUNE DI MARCIANISE, (codice fiscale (Omissis)), in persona del Vice Commissario Prefettizio, Dott.ssa B.B., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale e nomina poste in calce al controricorso, dall’avv. Sebastiano de Feudis (codice fiscale (Omissis)), elettivamente domiciliato in Roma, al Corso Trieste, n. 61, presso lo studio dell’avv. Maurizia Venezia.

e l’AGENZIA DELLE ENTRATE-RISCOSSIONE, (codice fiscale (Omissis)), in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato (codice fiscale (Omissis)), domiciliata in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12. – controcorrenti –

per la cassazione della sentenza n. 5520/1/2019 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata in data 18 giugno 2019, non notificata.

UDITA la relazione svolta all’udienza del 2 febbraio 2023 dal Consigliere Ugo Candia.

LETTE le motivate conclusioni scritte dell’Avvocato Generale, Rita Sanlorenzo, depositate il 16 gennaio 2023, la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Con l’impugnata sentenza la Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l’appello proposto dalla suindicata società contro la sentenza n. 2511/8/2018 della Commissione tributaria provinciale di Caserta, la quale aveva respinto il ricorso avanzato da Futura Line Industry Srl contro la cartella di pagamento n. (Omissis), con la quale l’agente della riscossione aveva richiesto il versamento della somma di 108.231,42 Euro a titolo di Tari per l’anno d’imposta 2017.

Il Giudice regionale perveniva a tale decisione, considerando non necessario ripetere annualmente l’accertamento dell’imposta dovuta in assenza – come nella specie – di una dichiarazione da parte del contribuente volta a rappresentare la variazione della situazione imponibile e reputando, nel merito, sussistere le ragioni della pretesa, avendo il Comune di Marcianise provveduto a disporre l’assimilazione dei rifiuti provenienti da attività artigiane a quelli urbani, con conseguente esclusione di ogni ipotesi di esonero dal pagamento dell’imposta, essendo – al più – ipotizzabile una sua riduzione e segnalando, al riguardo ed anche con riferimento al tema della superfice tassabile, che la società non aveva mai presentato alcuna denuncia ai fini che occupano, nè eccepito il mancato svolgimento del servizio da parte del Comune, nè di aver provveduto allo smaltimento in proprio dei rifiuti e tantomeno di aver prodotto rifiuti speciali non assimilati.

2. Con ricorso notificato ai sensi dell’art. 149 c.p.c. in data 15/16/20/25 gennaio 2020 all’Agenzia delle Entrate – Riscossione ed al Comune di Marcianise, Futura Line Industry Srl proponeva ricorso per cassazione avverso detta pronuncia sulla base di tre motivi, successivamente depositando memoria ex art. 378 c.p.c..

3. Il Comune di Marcianise e l’Agenzia delle Entrate – Riscossione hanno resistito con controricorsi rispettivamente notificati in data 1 marzo 2020 e 21 febbraio 2020, concludendo per il rigetto del ricorso, il Comune ribadendo tale conclusione con nota depositata il 24 gennaio 2023.

LE RAGIONI DELLA DECISIONE. 1. Come sopra anticipato, la società ha sviluppato tre motivi di impugnazione, così sintetizzati:

1.1. “Nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, avendo omesso la CTR Campania di pronunciarsi sulla deduzione difensiva della Futura inerente la carenza sulla cartella esattoriale di firma digitale o altra firma elettronica così come previsto dal D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 22, comma 1”;

1.2. “Violazione del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-quater convertito nella L. n. 221 del 2012 applicabile ratione temporis in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la CTR Campania rilevato e dichiarato la nullità della notifica a mezzo pec effettuata ad opera dell’Agenzia Riscossione da indirizzo non risultante dai pubblici elenchi”;

1.3. “Violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la CTR Campania dichiarato la nullità del titolo impositivo poichè priva dell’indicazione del responsabile del procedimento”.

2. I motivi di ricorso non hanno fondamento.

3. Non merita di essere accolta la prima censura con la quale la società ha eccepito la nullità della sentenza, contestando l’omessa pronuncia in ordine all’eccezione di “inesistenza-nullità della notifica telematica del duplicato della cartella esattoriale privo di firma digitale o elettronica qualificata nonchè privo di attestazione di conformità” (v. pagina. 8 del ricorso).

3.1. Va osservato sul punto che l’omessa pronuncia sussiste, in quanto il Giudice regionale, dopo aver dato conto che la contribuente aveva proposto appello lamentando “l’illegittimità della procedura notificatoria della cartella impugnata avvenuta (…) a mezzo PEC attraverso l’invio di in file informatico in formato PDF senza alcuna firma digitale ovvero attestazione di conformità” (v. pagina n. 2 della sentenza impugnata), non ha poi provveduto a pronunciarsi sulla suddetta eccezione.

3.2. Tuttavia, a tale omissione può porsi in tale sede rimedio ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, (cfr., tra le tante, Cass., Sez. T, 24 novembre 2022, n. 34689, che richiama Cass. Sez. U, 2 febbraio 2017, n. 2731, nonchè Cass., Sez. V., 4 dicembre 2019, n. 31605, che richiama “Cass. n. 2313 del 01/02/2010; ex pluribus conf. Cass. n. 16171 del 28/06/2017; Cass. n. 9693 del 19/04/2018”), non occorrendo accertamenti in fatto ed essendo l’eccezione infondata sul versante giuridico.

3.3. Va premesso che l’istante ha dedotto che era stato allegato alla trasmissione telematica il file in formato PDF e, dunque, la copia per immagini di una cartella di pagamento composta in origine su carta, così come non risulta che la ricorrente abbia nel corso del processo disconosciuto espressamente e specificamente la conformità della copia informatica della cartella di pagamento, allegata alla PEC ricevuta, all’originale cartaceo in possesso dell’amministrazione.

3.4. Va allora dato seguito all’orientamento di questa Corte secondo cui:

– “nessuna norma di legge impone che la copia su supporto informatico della cartella di pagamento in origine cartacea, notificata dall’agente della riscossione tramite PEC, venga poi sottoscritta con firma digitale. (…) ai sensi dell’art. 22, comma 3 del CAD – come modificato dal D.Lgs. 13 dicembre 2017, n. 217, art. 66, comma 1, – “Le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico nel rispetto delle Linee guida hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono tratte se la loro conformità all’originale non è espressamente disconosciuta” (cfr. Cass. Sez. V, 27 novembre 2019, n. 30948, ai cui più ampi contenuti si rinvia e, nello stesso senso, Cass. 2020, Sez. T, 27 novembre 2020, n. 27181);

– non “appare necessario l’attestazione di conformità atteso che, ai sensi dell’art. 22 CAD, comma 3, – come modificato dal D.Lgs. 13 dicembre 2017, n. 217, art. 66, comma 1, – “Le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico nel rispetto delle Linee guida hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono tratte se la loro conformità all’originale non è espressamente disconosciuta (v. Cass. 2020, Sez. T, 27 novembre 2020, n. 27181);

– più in generale, la mancanza della sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, qualora non venga in dubbio la riferibilità di questo all’Autorità da cui promana, in quanto l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi in cui sia prevista dalla legge, mentre, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25, la cartella va predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore ma solo la sua intestazione (Cass., 27 febbraio 2009, n. 4757 cui adde, ex plurimis, Cass., 7 settembre 2018, n. 21844; Cass., 29 agosto 2018, n. 21290; Cass., 30 dicembre 2015, n. 26053; Cass., 5 dicembre 2014, n. 25773; Cass., 27 luglio 2012, n. 13461 e, da ultimo, Cass., Sez. T, 30 marzo 2023, n. 9009);

– “In tema di riscossione delle imposte sul reddito, l’omessa sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, la cui esistenza non dipende tanto dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che tale elemento sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo, tanto più che, a norma del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 la cartella, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo l’apposito modello approvato con D.M., che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, ma solo la sua intestazione e l’indicazione della causale, tramite apposito numero di codice (Sez. 5, Sentenza n. 25773 del 05/12/2014, Rv. 633901 – 01)” (v. Cass., Sez. V, 4 dicembre 2019, n. 31605);

– “secondo principio consolidato di questa Corte, anche in ambito tributario, in mancanza di una sanzione espressa di nullità, opera la presunzione generale di riferibilità dell’atto all’organo amministrativo titolare del potere nel cui esercizio esso è adottato (per la quale, cfr. Cass. n. 4555 del 2015, n. 25773 del 2014, n. 1425 del 2013, n. 11458 del 2012, n. 13461 del 2012, n. 6616 del 2011, n. 4283 del 2010, n. 4757 del 2009 n. 14894 del 2008), e questo principio vale, per esempio, per la cartella esattoriale (Cass. n. 13461 del 2012)” (così Cass., Sez. T, 25 gennaio 2023, n. 2377).

4. Risulta inammissibile per novità, invece, della relativa domanda, prima ancora che essere infondato, il secondo motivo di ricorso con il quale è stata eccepita l’inesistenza della notifica della cartella di pagamento poichè spedita da indirizzo PEC non censito in pubblici elenchi.

4.1. Si tratta, infatti, di motivo che non risulta essere stato sollevato nelle fasi di merito, il che consente di riconoscere la sua inammissibilità nella presente sede, in ragione, giustappunto, della sua novità.

Va, infatti, dato seguito alla giurisprudenza costante di questa Corte secondo cui “nel processo tributario, caratterizzato dall’introduzione della domanda nella forma della impugnazione dell’atto tributario per vizi formali o sostanziali, l’indagine sul rapporto sostanziale non può che essere limitata ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell’Amministrazione che il contribuente deve specificamente dedurre nel ricorso introduttivo di primo grado, con la conseguenza che, ove il contribuente deduca specifici vizi di invalidità dell’atto impugnato, il Giudice deve attenersi all’esame di essi e non può, “ex officio”, annullare il provvedimento impositivo per vizi diversi da quelli dedotti, anche se risultanti dagli stessi elementi acquisiti al giudizio, in quanto tali ulteriori profili di illegittimità debbono ritenersi estranei al “thema controversum”, come definito dalle scelte del ricorrente: ne consegue che l’oggetto del giudizio, come circoscritto dai motivi di ricorso, può essere modificato solo nei limiti consentiti dalla disciplina processuale e, cioè, con la presentazione di motivi aggiunti, consentita però, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 24 nel solo caso di “deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione” (cfr. Corte Sez. 5, Sentenza n. 19337 del 22/09/2011; id. Sez. 5, Sentenza n. 23326 del 15/10/2013)” (così la non più recente, ma non superata, Cass., Sez. V, 2 luglio 2014, n. 15051).

4.2. Val, tuttavia, la pena di aggiungere che sulla predetta questione di merito sono, di recente, intervenute le Sezioni Unite di questa Corte, le quali hanno sul punto chiarito che “la maggiore rigidità del sistema delle notifiche digitali, imponendo la notifica esattamente agli indirizzi oggetto di elencazione accessibile e registrata, realizza il principio di elettività della domiciliazione per chi ne sia destinatario, cioè soggetto passivo, associando tale esclusività ad ogni onere di tenuta diligente del proprio casellario, laddove nessuna incertezza si pone invece ove sia il mittente a promuovere la notifica da proprio valido indirizzo PEC, come nel caso; infine, e come anticipato, “la costituzione del destinatario della notificazione, che abbia dimostrato di essere in grado di svolgere compiutamente le proprie difese” (Cass. 2961/2021) sottrae rilevanza all’ipotizzata irregolarità, avendo pienamente la notifica raggiunto lo scopo (Cass. s.u. 23620/2018) senza alcuna incertezza in ordine alla sua provenienza e all’oggetto dell’impugnazione esperita dalla Procura notificante” (così, Cass., Sez. U., 18 maggio 2022, n. 15979).

5. Risulta, infine, inammissibile la terza doglianza, volta a censurare la sentenza per violazione dell’art. 7, comma 2, della L. 27 luglio 2000, n. 212 sul rilievo secondo il quale nella cartella impugnata mancherebbe l’indicazione del responsabile del procedimento, risultando solo il nominativo di tale C.C. che sarebbe però il solo soggetto responsabile dell’iscrizione a ruolo, la quale integra una fase diversa da quella dell’accertamento.

5.1. Senonchè, il motivo pecca di autosufficienza, per plurime ragioni.

Intanto, perchè non risulta nessuna pronuncia da parte della Commissione sulla predetta eccezione, la quale non viene riportata nemmeno nei motivi di appello.

Difatti, la difesa della contribuente, nel precisare di aver eccepito, in primo grado, la nullità dell’atto impugnato anche per la “mancata indicazione del responsabile del procedimento, dato riportato solo in relazione all’iscrizione, fase successiva e diversa dall’accertamento” (v. pagina n. 5 del ricorso), si è poi limitata a riportare i motivi di appello, richiamando specificamente le varie ragioni di gravame proposte, assumendo poi “nel merito” di aver lamentato alla lettera “d) l’omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. della C.T.P. di Caserta sulle eccezioni formali e sostanziali proposte” (v. pagina n. 6 del ricorso).

Detta formula risulta talmente generica e laconica da non consentire di cogliere, tramite la lettura del ricorso, se il motivo di appello avesse effettivamente riguardato anche la mancata indicazione del responsabile del procedimento della fase di accertamento, tema questo che non risulta, dal resoconto che ne è stato fatto nel ricorso in esame, essere stato poi trattato nemmeno nelle memorie illustrative depositate in secondo grado.

Sotto tale profilo, quindi, va allora dato seguito alla pacifica giurisprudenza pacifica di questa Corte, secondo la quale “qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito nè rilevabili d’ufficio (tra le tante: Cass., Sez. 2, 9 agosto 2018, n. 20694; Cass., Sez. 2, 18 settembre 2020, n. 19560; Cass., Sez. 5, 9 dicembre 2020, n. 28036; Cass., Sez. 6-5, 23 marzo 2021, n. 8125; Cass., Sez. 5, 5 maggio 2021, n. 11708; Cass., Sez. 6-5, 18 ottobre 2021, n. 28714; Cass., Sez. 5, 29 ottobre 2021, n. 30863; Cass., Sez. 5, 24 novembre 2021, n. 36393; Cass., Sez. 2, 21 dicembre 2021, n. 40984; Cass., Sez. 5, 15 marzo 2022, n. 8362; Cass., Sez. 5, 6 dicembre 2022, n. 35885)” (così Cass., Sez. T, 21 febbraio 2023, n., 5429).

5.2. La censura poi pecca di autosufficienza anche perchè, nell’assumere che “l’unico riferimento soggettivo esposto in cartella è il responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo è C.C.”, ha nondimeno omesso di riprodurre nel ricorso il contenuto parte qua della cartella (sulla cui necessità v. anche Cass., Sez. III, 4 giugno 2021, n. 15705), onere questo che, se assolto, avrebbe consentito anche alla ricorrente di avvedersi che era stato indicato anche il responsabile dell’emissione della cartella di pagamento, indicandolo in tale D.D..

5.3. Non può, infine, farsi a meno di osservare che il motivo presenta elementi di equivocità nella parte in cui lamenta, da un lato, la mancata indicazione nella cartella di pagamento del responsabile dell’accertamento, dopo aver contestato nel giudizio di merito e prospettato nel ricorso in esame come ipotesi di revocazione della sentenza della Commissione regionale proprio la circostanza della “mancanza dell’avviso di accertamento quale atto presupposto necessario e prodromico all’emissione della cartella impugnata” (v. pagina n. 8 del ricorso).

Allo stesso modo, è restato non chiarito il richiamo al mancato rispetto di una disposizione, quale il D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 36, comma 4-ter, che prevede la doppia indicazione del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e di quello di emissione e di notificazione della stessa cartella, rispetto alla contestazione in oggetto, che ha riguardato, invece, il responsabile dell’accertamento, figura questa di incerta individuazione quando come asserito – sia mancata una fase di accertamento e quando sia stato indicato – come pure riconosciuto dalla ricorrente – il responsabile dell’iscrizione a ruolo.

6. Alla stregua delle complessive riflessioni svolte il ricorso va rigettato.

7. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo, disponendosene, altresì, la distrazione a favore del difensore antistatario del Comune di Marcianise il quale ha dichiarato di aver anticipato gli esborsi e di non aver riscosso i compensi.

8. Infine, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello eventualmente previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore dei controricorrenti, liquidandole per ciascuno di loro nella misura di 200,00 Euro e per esborsi e 5.800,00 Euro per compensi, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge, con attribuzione in favore del difensore antistatario del Comune di Marcianise, avv. Sebastiano de Feudis, per dichiarato anticipo.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello eventualmente previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2023


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 30/05/2023) 03/07/2023, n. 18684

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

Dott. CORTESI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 27663/2020, proposto da:

CGR COSTRUZIONI GENERALI RISTRUTTURAZIONI Srl , in persona del legale rapp.te p.t. A.A., rappresentata e difesa, per procura in calce al ricorso, dall’Avv. AGNESE CONDARELLI ed elettivamente domiciliata presso di lei in Roma, VIA DOMENICO CIRILLO N. 15;

– ricorrente –

contro

ADER – AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE, in persona del presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI N. 12. – controricorrente-

avverso la sentenza n. 310/03/2020 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DEL LAZIO, depositata il 21/01/2020;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Paola Filippi, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Francesco Cortesi nella pubblica udienza del 30 maggio 2023, ex D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito, con modificazioni, nella l. 18 dicembre 2020, n. 176, richiamato dal D.L. 29 dicembre 2022, n. 198, art. 8, comma 8.

Svolgimento del processo
1. In data 28 ottobre 2016, ADER- Agenzia delle Entrate Riscossioni notificò a C.G.R. Costruzioni Generali e Ristrutturazioni Srl l’intimazione di pagamento n. (Omissis), relativa alle cartelle di pagamento n. (Omissis) e (Omissis).

La società impugnò le due cartelle innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, per mezzo dell’intimazione di pagamento.

Nel contraddittorio con il concessionario per la riscossione, la C.T.P. accolse il ricorso, sul presupposto del difetto di notificazione delle cartelle, e compensò integralmente le spese.

2. La sentenza fu appellata dalla società contribuente, per la parte relativa alle spese, e dal concessionario per la riscossione, che dedusse la validità della notificazione della seconda cartella sopra indicata, prestando acquiescenza per il difetto rilevato in relazione all’altra.

La Commissione tributaria regionale del Lazio, riuniti i gravami, accolse quello proposto dall’Ufficio.

I giudici d’appello rilevarono, in particolare, che la cartella in questione era stata notificata a mezzo di posta elettronica certificata, come da attestazione di avvenuta ricezione prodotta dall’amministrazione finanziaria, richiamando al riguardo l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di questa Corte (desumibile, in particolare, dall’ordinanza n. 11136/2009) e il D.P.R. n. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, che consente espressamente la notifica a mezzo p.e.c. ai soggetti indicati nell’indice nazionale INI-Pec, contenente tutti gli indirizzi dei professionisti e delle imprese presenti sul territorio nazionale.

3. La società contribuente ha impugnato la sentenza d’appello con ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, illustrato da successiva memoria. L’amministrazione ha resistito con controricorso.

All’udienza del 26 gennaio 2022, celebratasi innanzi alla sezione sesta, la causa è stata rinviata per la discussione sul rilievo del difetto di evidenza decisoria. Quindi, all’adunanza camerale del 28 ottobre 2022, il Collegio ha deliberato la trattazione in pubblica udienza avuto riguardo alla peculiare rilevanza della questione trattata.

Motivi della decisione
1. Con l’unico mezzo di impugnazione, la società ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 26 finanche del D.P.R. n. 600-73, art. 60, VI e VII comma, da leggersi coerentemente con il D.P.R. n. 68 del 2005, artt. 14, I e II comma, 16, II comma, secondo le modalità scandite dal D.Lgs. n. 82 del 2005, artt. 2, II comma, 3-bis, 6, 6-ter, 6-quater e 48, n. 1 e 2, (CAD- testo vigente), al pari del D.L. 179 del 2012, artt. 16-ter e della l. 53-94, 3-bis”.

Assume, in particolare, che i giudici d’appello avrebbero errato nel ritenere valida la notificazione eseguita a mezzo p.e.c., in quanto effettuata da un mittente “del tutto sconosciuto e non presente nel “pubblico elenco” e, quindi, in modo insanabilmente difforme rispetto allo schema legale tipico stabilito dalla specifica normativa in materia”. La cartella, infatti, era stata notificata dall’indirizzo “notifica.laziocert.equitaliasud.it”, quando l’unico indirizzo presente all’epoca nel pubblico elenco riconducibile al concessionario era “(Omissis)”.

La provenienza dell’atto notificato da un indirizzo non presente nel registro INI-Pec, secondo la ricorrente, non consentiva di verificare l’autenticità dell’atto medesimo.

Inoltre, la stessa circostanza appariva significativa del fatto che l’amministrazione notificatrice si era totalmente discostata dallo schema tipico previsto al riguardo dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 2, nella parte in cui disciplina la notificazione della cartella con le modalità di cui al D.P.R. n. 11 febbraio 2005, n. 68.

Detta ultima disposizione, in effetti, prescrive che la notificazione a mezzo p.e.c. sia eseguita “all’indirizzo del destinatario risultante dall’indice nazionale dei registri di posta elettronica certificata (INI-PEC)”; ma una tale disposizione, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata, dovrebbe intendersi prescrittiva della stessa necessità anche nei confronti del mittente, avendo riguardo, in particolare: (a) al D.P.R. n. 68 del 2005, art. 4, comma 7, che prescrive che il mittente e il destinatario che intendano fruire del servizio di posta elettronica certificata devono avvalersi di uno dei gestori di cui agli artt. 14 e 15 del medesimo decreto, e all’art. 14, commi e 2, che specifica come tali gestori siano “inclusi in un apposito elenco pubblico disciplinato dal presente articolo”; (b) all’art. 16, comma 2, dello stesso D.P.R. n., a mente del quale l’utilizzo di caselle p.e.c. rilasciate a privati da parte di pubbliche amministrazioni di cui all’art. 14, comma 2, costituisce invio valido limitatamente ai rapporti intrattenuti fra amministrazioni o fra queste e privati cui la casella p.e.c. è stata rilasciata; (c) al D.Lgs. n. 82 del 2005, artt. 6-bis e 6-ter, che prevedono l’istituzione del registro INI-Pec e del “pubblico elenco di fiducia denominato “Indice dei domicili digitali della pubblica amministrazione e dei gestori di pubblici servizi”, nel quale sono indicati i domicili digitali da utilizzare per le comunicazioni e lo scambio di informazioni”; (d) al D.L. n. 179 del 2012, art. 16-ter, che fa riferimento a tali pubblici elenchi per la validità della notificazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale a decorrere dal 15 dicembre 2013.

2. Il motivo è infondato.

2.1. In relazione alle modalità di notificazione a mezzo di posta elettronica delle cartelle esattoriali, la giurisprudenza elaborata da questa Corte prende le mosse dalla previsione di cui alla l. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 3 bis, che consente tale forma di notificazione degli “atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali” e contiene previsioni specifiche concernenti il mittente e il destinatario dell’atto.

Il comma 1 della disposizione in parola, in particolare, stabilisce che “la notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi”.

Come questa Corte ha poi recentemente osservato (cfr. Cass. n. 2460/2021), sulla scorta delle indicazioni provenienti dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 23620/2018, l’entrata in vigore dal D.Lgs. n. 217 del 2017, art. 66, comma 5, ha previsto che, a decorrere dal 15.12.2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale, si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dal D.Lgs. n. 82 del 2005, artt. 6-bis, 6-quater e 62, nonchè dall’art. 16, comma 12, dello stesso decreto, dal D.L. n. 185 del 2008, art. 16, comma 6, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 2 del 2009, nonchè il Re.G.Ind.E, registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della Giustizia.

2.3. Tale essendo il tessuto normativo di riferimento, la ricorrente deduce quale fatto idoneo a determinare l’inesistenza della notifica della cartella esattoriale la circostanza che l’indirizzo p.e.c. donde la stessa provenne non risultava inserito nel registro INI-Pec Al riguardo, osserva anzitutto il Collegio che l’obbligo di utilizzo di un indirizzo presente nel registro INI-Pec appare testualmente riferito solo al destinatario della notifica e non al notificante, in relazione al quale è previsto unicamente l’utilizzo “di un indirizzo di posta elettronica certificata (…) risultante da pubblici elenchi”.

Pertanto, la norma speciale prevista per le notifiche in ambito tributario degli atti dell’Agente della riscossione differisce dalla previsione generale di cui al citato art. 3-bis della L. n. 53 del 1994 solo con riferimento al soggetto che riceve la notificazione.

2.4. Siffatta diversità di trattamento normativo, come sottolineato anche dal Procuratore generale, non configura alcuna di Spa rità di trattamento.

Le prescrizioni che ineriscono all’indirizzo del mittente non vanno, infatti, assoggettate alle stesse regole previste per il destinatario dell’atto, con riguardo al quale va fatta applicazione della disciplina propria dell’elezione di domicilio, cui dev’essere equiparato l’indirizzo di p.e.c. inserito, diversamente da quanto accade per il mittente.

2.5. D’altra parte, e con indicazione che si attaglia al caso di specie, questa Corte ha recentemente affermato che laddove l’agente della riscossione abbia effettuato la notifica per mezzo di un indirizzo p.e.c. non risultante nei pubblici registri (RegInde, INI Pec e Ipa) non si verifica alcuna nullità della notifica.

Viene infatti in rilievo, in questo caso, il rispetto dei canoni di leale collaborazione e buona fede che informano il rapporto fra Amministrazione e contribuente; di conseguenza, poichè l’estraneità dell’indirizzo del mittente dal registro INI-Pec non inficia ex se la presunzione di riferibilità della notifica al soggetto da cui essa risulta provenire, testualmente ricavabile dall’indirizzo del mittente, occorre che la parte contribuente evidenzi quali pregiudizi sostanziali al diritto di difesa siano dipesi dalla ricezione della notifica della cartella di pagamento da un indirizzo diverso da quello telematico presente in tale registro, del quale però, come nella specie, sia evidente ictu oculi la provenienza (Cass. n. 982/2023).

Di tale concreto pregiudizio la ricorrente non ha dato sufficiente indicazione nella specie; consegue, anche sotto tale profilo, l’infondatezza della censura.

3. Il ricorso dev’essere pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

Sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla l. n. 228 del 2012, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 1.800,00, oltre spese prenotate a debito; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 30 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2023


Cass. civ., Sez. V, Ordinanza, 30/06/2023, n. 18614

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo M. – Consigliere –

Dott. DI PISA Fabio – rel. Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2725/2014 R.G. proposto da:

EQUITALIA SUD Spa , elettivamente domiciliato in ROMA VIA CICERONE 28, presso lo studio dell’avvocato CASADEI BIANCA MARIA (CSDBCM66M56H501X) rappresentato e difeso dall’avvocato RAGNI VINCENZO (RGNVCN66S16A662S);

-ricorrente-

contro

(Omissis) Srl ;

-intimato-

avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. BARI n. 30/2013 depositata il 13/06/2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 03/05/2023 dal Consigliere FABIO DI PISA.

Svolgimento del processo
1. la Commissione Tributaria Regionale della Puglia, con la sentenza n. 30/07/2013 depositata in data 13/06/2013 e non notificata, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto da Equitalia Sud Spa nonchè in parziale accoglimento dell’appello incidentale avanzato dalla società (Omissis) Srl riformava parzialmente la sentenza di primo grado determinando il debito tributario oggetto di iscrizione ipotecaria nella minore somma di Euro 6.800,32;

1.1 ad avviso dei giudici di merito andavano esclusi gli importi di cui alle cartelle di pagamento prodromiche all’iscrizione ipotecaria nn. (Omissis), (Omissis), (Omissis), (Omissis) e (Omissis) che risultavano notificate irritualmente in violazione del disposto di cui all’art. 145 c.p.c., nel testo ratione temporis vigente;

2. Equitalia Sud Spa propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo;

3. la (Omissis) Srl è rimasta intimata;

4. la ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. a seguito della relazione del consigliere relatore, ex art. 380-bis c.p.c., il quale ha rilevato l’infondatezza della censura;

Motivi della decisione
1. Equitalia Sud Spa , con un unico motivo, deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 145 c.p.c. nel testo ratione temporis vigente;

1.1. ad avviso di parte ricorrente i giudici di appello avevano applicato un principio di diritto erroneo non considerando che le notifiche in questione, eseguite direttamente presso la residenza dell’allora legale rappresentante della società, ante riforma del 2006, dovevano essere ritenute valide alla luce di principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità;

2. il ricorso è fondato;

2.1. la questione sollevata è stata oggetto di una interpretazione non univoca da parte della giurisprudenza di legittimità che, in più occasioni, ha affermato che gli atti tributari devono essere notificati al contribuente persona giuridica presso la sede della stessa (nel regime anteriore alle modifiche introdotte con la L. 28 dicembre 2005, n. 263), secondo la disciplina dell’art. 145, comma 1, c.p.c. e, solo qualora tale modalità risulti impossibile, in base al successivo comma 3 del medesimo art. 145, la notifica potrà essere eseguita, ai sensi degli artt. 138, 139 e 141 c.p.c., alla persona fisica che rappresenta l’ente. (vedi Sez. 5, Sentenza n. 8649 del 15/04/2011, Rv. 617529 – 01; in senso conforme, Sez. 2, Sentenza n. 8402 del 20/06/2000, Rv. 537846 – 01 nonchè Sez. 3, Sentenza n. 20104 del 18/09/2006, Rv. 592280 – 01 e Sez. 5, Sentenza n. 15399 del 11/06/2008, Rv. 604055 – 01);

2.2. in altre occasioni la giurisprudenza si è pronunziato nel senso prospettato da parte ricorrente (vedi Cass. 19468/2007 nonchè Cass. 7898/2013);

2.3. ad avviso di questo Collegio occorre tenere conto di quanto successivamente affermato da S.U. n. 22086/2017 in ordine al fatto che la notificazione di un atto ad una società – data la diretta riferibilità ad essa, in virtù del principio di immedesimazione organica, degli atti compiuti da e nei confronti di coloro che la rappresentano e ne realizzano esecutivamente le finalità – è regolarmente effettuata alla persona specificamente preposta alla ricezione per conto dell’ente sociale, anche se reperita in luogo diverso dalla sede ufficiale dello stesso, per la medesima regola sancita per le persone fisiche dall’art. 138 c.p.c., secondo cui la consegna a mani proprie è valida ovunque sia stato trovato il destinatario nell’ambito territoriale della circoscrizione;

2.4. trovando applicazione alla fattispecie in esame, ratione temporis, il testo dell’art. 145, comma 2, c.p.c., anteriore alla modifica apportatavi dalla L. n. 263/05, pur non risultando tentata la notificazione nella sede legale indicata nell’art. 19 c.p.c., deve ritenersi, alla luce del condivisibile principio sopra richiamato, che la notificazione delle cartelle de quibus poteva ritualmente avvenire mediante consegna nelle mani dello stesso legale rappresentante, ovunque reperito (vedi, anche, Cass. nn. 1856/84, 8402/00 e 20104/06);

2.5. nella specie la notificazione delle cartelle in questione è stata effettuata al legale rappresentante della società presso l’abitazione dello stesso sicchè è da ritenere ritualmente avvenuta, contrariamente a quanto affermato dai giudici di merito;

3. conseguentemente la sentenza impugnata va annullata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, decidendo nel merito va rigettato il ricorso introduttivo proposto in primo grado dalla società contribuente, ferma restando la declaratoria di difetto di giurisdizione relativamente alle cartelle riguardanti crediti non tributari;

3.1. la natura delle questioni trattate, non sempre oggetto di univoca interpretazione giurisprudenziale e la interpretazione chiarificatrice delle S.U. intervenuta nelle more del giudizio, giustificano l’integrale compensazione di tutte le spese dei vari gradi di giudizio.

P.Q.M.
La Corte ferma la declaratoria di difetto di giurisdizione relativamente alle cartelle relative a crediti non tributari, accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso proposto in primo grado dalla (Omissis) Srl ; dichiara compensate le spese dell’intero giudizio.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 3 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2023


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 17/05/2023) 23/06/2023, n. 18076

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAOLITTO Liberato – Presidente –

Dott. BILLI Stefania – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 604/2022 proposto da:

Agenzia delle Entrate, (C.F.: (Omissis)), in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, (C.F.: (Omissis)), e presso la stessa domiciliata in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI NAPOLI, in persona del Sindaco p.t., (C.F.: (Omissis); P.IVA: (Omissis)), rappresentato e difeso, congiuntamente e disgiuntamente, dagli Avv.ti Annalisa Cuomo, (C.F.: CMUNLS65S45F839J), e Antonio Andreottola, (C.F.: NDRNTN72E221163X), ed elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Appennini n. 46, presso lo studio Legale Leone, (C.F.: (Omissis); lucaleone.ordineavvocatiroma.org; fax 0817954703);

– interventore autonomo –

contro

A.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4669/19/2021 emessa dalla CTR Campania in data 03/06/2021 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Andrea Penta.

Svolgimento del processo
Che:

1. A.A. proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli avverso un avviso di rettifica Imu per l’anno 2017 sulla base di una rendita catastale di Euro 1.247,24, in luogo di quella di Euro 894,76 da lui proposta con variazione Docfa.

2. La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso.

3. Sull’appello del Comune e dell’Agenzia delle Entrate, la Commissione Tributaria Regionale Campania rigettava il gravame, ritenendo che la notifica della variazione catastale fosse invalida (non avendo l’Ufficio assolto l’onere di provare, attraverso la CAD, che il destinatario avesse avuto conoscenza della seconda raccomandata che l’aveva avvisato della giacenza presso l’ufficio postale del plico contenente la prodromica variazione di classamento da parte dell’Agenzia) e, per l’effetto, non potesse essere presa dal Comune a fondamento del calcolo dell’imposta.

4. Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di un unico motivo. A.A. si è costituito al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione. Il Comune di Napoli ha spiegato un intervento ad adiuvandum rispetto alla posizione dell’Agenzia.

In prossimità dell’adunanza camerale A.A. ha depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione
Che:

1. Preliminarmente, avuto riguardo alla costituzione del contribuente (il quale, peraltro, non ha provveduto a notificare a mezzo pec la propria memoria di costituzione depositata solo in data 3.3.2022), va evidenziato che, nell’ambito del procedimento camerale di cui all’art. 380-bis.1 c.p.c. (introdotto del D.L. n. 168 del 2016, art. 1 bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 196 del 2016), alla parte contro cui è diretto il ricorso, che abbia depositato un atto non qualificabile come controricorso in quanto privo dei requisiti essenziali previsti dagli artt. 370 e 366 c.p.c., nel periodo che va dalla scadenza del termine per il deposito del controricorso alla data fissata per l’adunanza camerale è preclusa qualsiasi attività processuale, sia essa diretta alla costituzione in giudizio o alla produzione di documenti e memorie ai sensi degli artt. 372 e 380-bis.1 c.p.c. (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 17030 del 16/06/2021; conf. Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 34791 del 17/11/2021).

In applicazione di tale principio, va dichiarata inammissibile la memoria depositata dal contribuente che si era costituito ai soli fini di partecipare all'(eventuale) udienza di discussione.

1.1. Del pari in via preliminare, con riferimento all’intervento adesivo spiegato dal Comune di Napoli, rilevasi che l’interventore adesivo non ha un’autonoma legittimazione ad impugnare (salvo che l’impugnazione sia limitata alle questioni specificamente attinenti la qualificazione dell’intervento o la condanna alle spese imposte a suo carico), sicchè la sua impugnazione è inammissibile (Cass., Sez. L, Sentenza n. 16930 del 08/07/2013), laddove la parte adiuvata non abbia esercitato il proprio diritto di proporre impugnazione ovvero abbia fatto acquiescenza alla decisione ad essa sfavorevole (Cass., Sez. U., Sentenza n. 5992 del 17/04/2012; conf. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 2818 del 06/02/2018).

Il ricorso per cassazione proposto in via autonoma e principale dall’interveniente adesivo dipendente va esaminato come ricorso incidentale adesivo rispetto a quello della parte adiuvata, da intendersi quale ricorso principale, posto che il predetto interveniente – cui è preclusa l’impugnazione in via autonoma della sentenza sfavorevole alla parte adiuvata, salvo che per la statuizione di condanna alle spese giudiziali pronunziata nei suoi confronti – conserva in tal modo la sua posizione processuale secondaria e subordinata, potendo aderire all’impugnazione della parte adiuvata (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17644 del 10/08/2007; conf. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 23235 del 14/10/2013).

Ragion per cui l’intervento del Comune seguirà le sorti del ricorso “principale” proposto dall’Agenzia delle Entrate.

2. Con l’unico motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione di “norme di diritto”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver la CTR considerato che la nullità o l’inesistenza della notifica di un atto impositivo non rileva ove l’atto abbia raggiunto il suo scopo, come nel caso in cui sia stato impugnato dal destinatario prima della scadenza del termine fissato dalla legge per l’esercizio del potere impositivo.

2.1. Preliminarmente, va dichiarato il difetto di legittimazione attiva in capo all’Agenzia delle Entrate a proporre impugnazione con riferimento all’avviso di accertamento in rettifica del 14.11.2008, laddove l’appello risulta essere stato proposto sia dall’Agenzia che dal Comune di Napoli.

Invero, l’Agenzia delle Entrate non ha la legittimazione, processuale e sostanziale, ad impugnare una sentenza che ha statuito l’annullamento dell’avviso di accertamento ICI (in titolarità al Comune di Napoli), sia pur risolvendo la questione pregiudiziale (cui, però, non si correla l’impugnazione dell’atto di accertamento catastale) sulla notifica dell’avviso di accertamento catastale.

Non essendo la stessa titolare del rapporto impositivo inciso dalla sentenza della CTR, dunque, non è legittimata al ricorso per cassazione, laddove l’unico soggetto che avrebbe potuto proporlo era il Comune di Napoli, il quale, invece, si è limitato a spiegare un intervento adesivo dipendente.

2.2. Al contempo, non ricorrono i presupposti per annullare la sentenza impugnata a causa della mancata integrazione del litisconsorzio necessario.

In tema di contenzioso tributario, l’impugnazione dell’atto di classamento di un fondo di cui siano proprietari più soggetti dà luogo ad un litisconsorzio necessario tra tutti i comproprietari, non potendosi ammettere che tale accertamento – vincolante ai fini dell’esercizio del potere impositivo da parte del Comune in materia di imposta comunale sugli immobili (ICI) – possa condurre a valutazioni diverse in ordine alla natura dell’immobile medesimo. In applicazione di tale principio, Sez. 5, Sentenza n. 15489 del 30/06/2010 ha annullato i giudizi di primo e secondo grado di impugnazione di atti di classamento di un immobile, promossi da uno dei comproprietari del bene, non avendo il giudice di merito disposto l’integrazione del contraddittorio (conf. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 24101 del 28/12/2012, Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 3068 del 11/02/2014 e, soprattutto, Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 1272 del 21/01/2020).

Tuttavia, nel caso di specie, il A.A., per quanto abbia denunciato la mancata notifica del prodromico avviso di accertamento in rettifica della rendita catastale del 3.4.2017, ha impugnato il successivo avviso di rettifica del 20.7.2018.

2.3. In ogni caso, per mera completezza espositiva, il ricorso si sarebbe rivelato infondato.

In tema di notificazione a mezzo posta, la prova del perfezionamento del procedimento notificatorio nel caso di irreperibilità relativa del destinatario deve avvenire – in base ad un’interpretazione costituzionalmente orientata della L. n. 890 del 1982, art. 8 – con la verifica dell’avviso di ricevimento della raccomandata contenente la comunicazione di avvenuto deposito (cd. C.A.D.). Il controllo su tale avviso deve riguardare, in caso di ulteriore assenza del destinatario in occasione del recapito della relativa raccomandata, non seguita dal ritiro del piego entro il termine di giacenza, l’attestazione dell’agente postale in ordine all’avvenuta immissione dell’avviso di deposito nella cassetta postale od alla sua affissione alla porta dell’abitazione, formalità le quali, ove attuate entro il predetto termine di giacenza, consentono il perfezionarsi della notifica allo spirare del decimo giorno dalla spedizione della raccomandata stessa, spettando al destinatario contestare, adducendo le relative ragioni di fatto e proponendo quando necessario querela di falso, che, nonostante quanto risultante dalla C.A.D., in concreto non si siano realizzati i presupposti di conoscibilità richiesti dalla legge oppure egli si sia trovato, senza sua colpa, nell’impossibilità di prendere cognizione del piego (Sez. L, Ordinanza n. 23921 del 29/10/2020).

Pertanto, la prova del perfezionamento del procedimento notificatorio nel caso di irreperibilità relativa del destinatario deve avvenire – in base ad un’interpretazione costituzionalmente orientata della L. n. 890 del 1982, art. 8 – attraverso l’esibizione in giudizio dell’avviso di ricevimento della raccomandata contenente la comunicazione di avvenuto deposito (cd. C.A.D.), in quanto solo l’esame di detto avviso consente di verificare che il destinatario abbia avuto effettiva conoscenza del deposito dell’atto presso l’ufficio postale e che ne sia stato pertanto tutelato il diritto di difesa (Sez. 5, Ordinanza n. 5077 del 21/02/2019; conf. Sez. L, Ordinanza n. 16601 del 20/06/2019, Sez. 5, Ordinanza n. 36562 del 25/11/2021, Sez. 3, Ordinanza interlocutoria n. 34346 del 15/11/2021). Non è, quindi, a tal fine sufficiente la prova dell’avvenuta spedizione della suddetta raccomandata informativa (Sez. U, Sentenza n. 10012 del 15/04/2021).

L’Agenzia invoca, peraltro, il principio secondo cui la notificazione dell’atto amministrativo d’imposizione tributaria costituisce una condizione integrativa dell’efficacia della decisione assunta dall’Ufficio finanziario, ma non è un requisito di giuridica esistenza e perfezionamento dell’atto. Ne consegue che l’inesistenza della notificazione non determina in via automatica l’inesistenza dell’atto, quando ne risulti inequivocamente la piena conoscenza da parte del contribuente (in particolare, attraverso la sua impugnativa) entro il termine di decadenza concesso all’Ufficio per adottare e notificare il provvedimento amministrativo tributario, nel qual caso grava sull’Ufficio stesso l’onere di provare la piena conoscenza dell’atto da parte del contribuente e la sua acquisizione entro il predetto termine di decadenza (Sez. 5, Sentenza n. 4760 del 27/02/2009; conf. Sez. 5, Sentenza n. 13852 del 09/06/2010).

Tuttavia, nel caso di specie non è in discussione se il contribuente fosse o meno a conoscenza del successivo avviso di rettifica notificatogli il 14.11.2018 (che poi ha impugnato), ma se gli fosse stato notificato regolarmente il prodromico avviso di accertamento della variazione di classamento del 3.4.2017.

Quindi, per sanare la nullità, il contribuente avrebbe dovuto impugnare (entro il termine di decadenza concesso all’Ufficio per adottare il provvedimento tributario) la rettifica del classamento (e non, come ha fatto, il successivo avviso di accertamento in rettifica).

3. In conclusione, il ricorso è inammissibile.

Nessuna pronuncia va adottata in ordine alle spese del presente giudizio, non avendo il contribuente svolto difese.

Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (Cass. Sez. 6 – Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016).

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2023


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 13/04/2023) 15/06/2023, n. 17251

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –
Dott. LENOCI Valentino – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. CRIVELLI Alberto – Consigliere –
Dott. ANGARANO Rosanna – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19529/2018 R.G. proposto da:
A.A. Srl , elettivamente domiciliata in Roma, Viale XXI Aprile, 21, presso lo studio dell’Avvocato Marco Cianfarini, che la rappresenta e difende unitamente all’Avv. Francesca Cesaroni;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
e AGENZIA ENTRATE RISCOSSIONE;
– intimata –
avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LAZIO, n. 7802/17, depositata il 19/12/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13 aprile 2023 dal consigliere
Dott. Rosanna Angarano.
Svolgimento del processo
che:
1. A.A. S rl ricorre, con cinque motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, che resiste con controricorso, e nei confronti di Agenzia delle Entrate Riscossione, che non ha svolto attività difensiva, avverso la sentenza indicata in epigrafe. Con quest’ultima la C.t.r. ha rigettato l’appello della contribuente avverso la sentenza che, a propria volta, aveva rigettato il ricorso spiegato avverso l’intimazione dipagamento, la cartella esattoriale e il preavviso di fermo amministrativo emessi in ragione di tre avvisi di accertamento per maggiori imposte – iva, irpeg ed irap – accertate per gli anni (Omissis).
2. Con un primo ricorso la contribuente impugnava l’intimazione di pagamento (Omissis) e la sottesa cartella esattoriale (Omissis), relativa a tre avvisi di accertamento con i quali l’Ufficio aveva rilevato, ai fini Irpeg, Irap ed Iva che per gli anni (Omissis) erano stati dedotti costi per fatture emesse da una terza società, la Temo Costruzioni Srl , per operazioni ritenute inesistenti. Con un secondo ricorso la contribuente impugnava il preavviso di fermo n. (Omissis) notificato il 21 novembre 2014 in ragione di alcune cartelle tra le quali anche quella oggetto del precedente ricorso.
2. La C.t.p., riuniti i ricorsi, li rigettava con sentenza confermata in appello.
Motivi della decisione
che:
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 140 e 145 c.p.c. Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto valida la notifica della cartella esattoriale. In particolare, assume che la C.t.r. ha errato nel non considerare che la notifica ai sensi dell’art. 140 c.p.c. – utilizzata nella fattispecie – poteva essere effettuata solo in caso di notifica infruttuosa al legale rappresentante e non alla società presso la sua sede, come verificatosi nel caso concreto.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 140 c.p.c. e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26.
Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto valida la notifica della cartella esattoriale ai sensi dell’art. 140 c.p.c. senza esaminare le prospettazioni della contribuente in ordine alla querela di falso sporta avverso l’avviso di ricevimento.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per non aver rilevato che l’avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2003 era stato annullato con sentenza passata in giudicato.
4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per non aver esaminato l’illegittimitàdella notifica degli avvisi di accertamento ((Omissis) per l’anno (Omissis) e (Omissis) per l’anno (Omissis)).
5. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per carenza della motivazione nella parte in cui ha ritenuto provata l’insussistenza delle operazioni commerciali oggetto del recupero a tassazione senza esaminare le censure sollevate.
6. Il primo motivo è fondato, restando assorbito il secondo.
6.1. L’art. 145 c.p.c., comma 1, come modificato dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. c) prevede che la notifica alle persone giuridiche si esegue nella loro sede mediante consegna ai soggetti ivi espressamente indicati, ossia al rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa ovvero al portiere dello stabile ove ha sede la società. In alternativa, se nell’atto risultano le indicazioni necessarie, la notifica può essere eseguita anche alla persona fisica che rappresenta l’ente, secondo le modalità di cui agli artt. 138, 139 e 141 c.p.c.
Il comma 3 precisa che se la notificazione non può essere eseguita ai sensi del comma 1 la notificazione alla persona fisica che rappresenta l’ente può eseguirsi ai sensi degli artt. 140 e 143 c.p.c. 6.2. Ciò posto, risulta in fatto che la notifica della cartella esattoriale è stata tentata in data 27 agosto 2009 presso la sede della società, in (Omissis). Il messo notificatore attestava, tuttavia, il rifiuto delle persone ivi rinvenute e non identificate. Precisava, infatti, che queste ultime non avevano voluto declinare le proprie generalità nè ricevere l’atto; quindi, annotava il rifiuto della cartella e dava atto di aver provveduto al deposito dell’atto presso la Casa Comunale, affiggendo il relativo avviso, e di aver dato comunicazione del deposito e dell’affissione con raccomandata con avviso di ricevimento. Dall’avviso di ricevimento, versato in atti, risulta, poi, che la raccomandata, veniva indirizzata anch’essa alla società presso la sua sede e veniva ricevuta dal portiere.
6.3. In primo luogo deve rilevarsi che la notifica presso la sede sociale non è andata a buon fine in quanto il messo notificatore, oltre ad annotare il rifiuto, ha precisato che non era stato possibile identificare le persone ivi presenti.
La Corte, sul punto ha precisato che, a norma dell’art. 138 c.p.c., comma 2, il rifiuto di ricevere la copia dell’atto è legalmente equiparabile alla notificazione effettuata in mani proprie soltanto ove sia certa l’identificazione dell’autore del rifiuto con il destinatario dell’atto (Cass. 19/04/2018, n. 9779 , Cass. 03/11/2014, n. 23388). Si è aggiunto che non è consentita un’analoga equiparazione nel caso in cui il rifiuto sia stato opposto da un soggetto del tutto estraneo, oppure ove l’accipiens sia un suo congiunto o addetto alla casa e, a maggior ragione, un vicino o il portiere (Cass. 22/05/2013, n. 12545). Inoltre, qualora la notifica della cartella di pagamento avvenga presso la sede legale della società, e non nel luogo di residenza del legale rappresentante della stessa, l’atto deve essere consegnato solo ai soggetti indicati dall’art. 145 c.p.c., comma 1, ossia al rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa, (Cass. 06/04/2018, n.
8472).
La mancata identificazione del rappresentante legale della società – ed invero, in ragione di quanto espressamente attestato nella relata, di tutti soggetti presenti nella sede della società che hanno rifiutato l’atto – impedisce, pertanto, di equiparare il rifiuto all’avvenuta notifica ex art. 138 c.p.c., comma 2.
6.4. Non essendo stato possibile procedere ai sensi dell’art. 145 c.p.c., comma 1, prima parte, la notifica avrebbe dovuto seguire le modalità di cui all’art. 145 c.p.c., u.c. nella versione, applicabile ratione temporis, risultante dalle modifiche apportate dalla L. n. 263 del 2005, art. 2, comma 1, lett. c) n. 1) e 3) ovvero esclusivamente nei confronti del rappresentante legale.
Sul punto la Corte ha chiarito che la norma novellata, applicabile alla fattispecie per cui è causa, prevede espressamente, con riguardo alla persona giuridica e all’ente non personificato, la notificazione ex art. 140 c.p.c., ma tale forma – operante solo nel caso in cui sia impedita la notificazione
presso la sede della società, o presso il legale rappresentante, ai sensi degli artt. 138, 139 e 141 c.p.c. – non può attuarsi nei confronti dell’ente in quanto tale. Il vano esperimento delle modalità previste dall’art. 145 c.p.c., comma 1 per la notificazione degli atti processuali alle persone giuridiche consente l’utilizzazione delle forme previste dagli artt. 140 e 143 c.p.c., purchè la notifica sia fatta alla persona fisica che rappresenta l’ente e non già all’ente in forma impersonale (Cass. 30/01/2017, n. 2232 , Cass. 07/06/2012, n. 9237; Cass. 13/09/2011, n. 18762).
6.5. La C.t.r. non si è attenuta a questi principi.
Infatti, ha ritenuto valida la notifica affermando che è sufficiente che ” il consegnatario” si trovi presso la sede della persona giuridica non occasionalmente e che la persona rivenuta presso la sede è da presumere che sia addetta alla ricezione degli atti. Così motivando, ha equiparato la fattispecie in esame – caratterizzata dal rifiuto di ricevere l’atto da parte di soggetti non identificati, ancorchè presenti nella sede – a quella in cui l’atto sia stato consegnato a persona rinvenuta nella sede che abbia, pertanto, ricevuto il plico.
Inoltre, non ha tenuto conto che successivamente si è provveduto secondo le modalità di cui all’art. 140 c.p.c. – deposito della copia dell’atto nella casa comunale, affissione dell’avviso e spedizione della c.d. raccomandata informativa – ma non nei confronti del rappresentante legale della società, bensì della società stessa, con spedizione della raccomandata informativa alla società presso la sua sede.
7. Il terzo motivo è infondato.
7.1. La ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto legittima la cartella di pagamento anche per gli importi oggetto dell’avviso di accertamento (Omissis) per l’anno di imposta (Omissis), sebbene in entrambi i gradi di merito fosse stato eccepito che quest’ultimo era stato annullato con sentenza passata in giudicato.
7.2. Deve rilevarsi, tuttavia, che la sentenza di cui all’allegato 5, indicata dalla ricorrente con il motivo in esame, non è stata prodotta in copia attestane il passaggio in giudicato.
La Corte sul punto ha ripetutamente affermato che, affinchè il giudicato esterno possa fare stato nel processo è necessaria la certezza della sua formazione, che deve essere provata, pur in assenza di contestazioni, attraverso la produzione della sentenza munita del relativo attestato di cancelleria (Cass. 02/03/2022, n. 6868, Cass. 23/08/2018, n. 20974).
Inoltre, l’Agenzia delle Entrate, che pure in controricorso, ha confermato la definitività della sentenza, ha anche precisato, con allegazione che non risulta contestata, di aver provveduto allo sgravio totale del carico di cui alla stessa con provvedimento del 19 dicembre 2013.
8. Il quarto motivo è inammissibile.
8.1. La ricorrente, facendo valere error in procedendo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, censura testualmente “nullità della sentenza in ordine all’omesso esame dell’illegittimità della notifica degli avvisi di accertamento ((Omissis) per l’anno (Omissis) e (Omissis) per l’anno (Omissis))”. Nel corpo del motivo si duole del fatto che sia la C.t.p. che la C.t.r., in odine all’invalidità della notifica degli avvisi di
accertamento, “nulla hanno motivato”.
Infine, dopo aver esposto le ragioni per le quali dette notifiche devono considerarsi invalide, nell’ultimo capoverso del motivo, ha concluso affermando che “entrambe le commissioni tributarie nulla hanno esaminato o deciso”.
8.2. La Corte, con giurisprudenza costante, ha affermato che è contraddittoria la denuncia, in un unico motivo, dei due distinti vizi di omessa pronuncia e di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. Il primo, infatti, implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce in una violazione dell’art. 112 c.p.c. che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4 mentre il secondo presuppone l’esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, seppure se ne lamenti la soluzione in modo giuridicamente non corretto ovvero senza adeguata giustificazione, e va denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
8.3. Anche a voler valutare la censura, in conformità all’epigrafe, come denuncia di omessa pronuncia su uno dei motivi di appello, se ne ravvisa ugualmente l’inammissibilità.
La C.t.r. nel secondo paragrafo, destinato alla individuazione dei motivi di appello, ha dato atto che il primo motivo aveva ad oggetto l’irregolarità della notifiche ex art. 140 c.p.c. a favore di una società mentre il secondo ed il terzo motivo avevano ad oggetto l’omessa motivazione in ordine alle notifiche degli avvisi di accertamento riguardanti gli anni (Omissis) e (Omissis). Nel quinto paragrafo, destinato i motivi della decisione, la sentenza affermato testualmente quanto segue: “procedendo per argomenti, che in realtà ripercorrono i motivi di appello, non può sfuggire che tutte le notifiche vanno considerate regolari”.
La C.t.r., pertanto, dopo aver puntualmente individuato i motivi di appello, si è pronunciata con riferimento a tutte le notifiche fatte oggetto di censura – ivi incluse le notifiche degli avvisi di accertamento – affermandone la validità. Resta escluso, pertanto, il denunciato vizio di omessa pronuncia.
9. Il quinto motivo è anch’esso inammissibile.
9.1. Con il motivo in esame la ricorrente censura la sentenza impugnata, assumendo vizio di motivazione, nella parte in cui la C.t.r. si è pronunciata sul merito della pretesa tributaria.
9.2. Per giurisprudenza costante della Corte, la cartella esattoriale avente titolo in un precedente avviso di accertamento notificato a suo tempo e non impugnato, può essere contestata innanzi agli organi del contenzioso tributario ed essere da essi invalidata solo per vizi propri, non già per vizi
suscettibili di rendere nullo o annullabile l’avviso di accertamento presupposto (Cass. 31/10/2017, n. 25995).
All’inammissibilità del precedente motivo di ricorso relativo alla notifica degli avvisi di accertamento consegue la definitività della pronuncia della C.t.r. che ne ha accertato la validità. Da ciò consegue l’inammissibilità del motivo volto a censurare nel merito la pretesa impositiva.
10. In conclusione, il ricorso va accolto limitatamente al primo motivo, assorbito il secondo, rigettato il terzo, inammissibili il quarto ed il quinto. Di conseguenza la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia di secondo grado del Lazio in diversa composizione, la quale provvederà al riesame, fornendo congrua motivazione, e al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, rigettato il terzo, inammissibili il quarto ed il quinto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, la quale provvederà anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 13 aprile 2023.
Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2023


Cass. civ., Sez. III, Ord., (data ud. 04/04/2023) 08/06/2023, n. 16189

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. Spa ZIANI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15215 del 2021, R.G. proposto da:

A.A.; rappresentata e difesa dall’Avvocato Riccardo Lana (riccardo.lana(AT)legalmail.it), in virtù di procura su foglio separato allegato al ricorso;

– ricorrente –

nei confronti di B.B.; rappresentato e difeso dall’Avvocato Sara Veri (avvsaraveri(at)bergamo.pecavvocati.it), in virtù di procura in calce al controricorso;

-controricorrente-

per la cassazione della sentenza in unico grado n. 1570-2020 del TRIBUNALE di BERGAMO, depositata il 10 novembre 2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 4 aprile 2023 dal Consigliere relatore, Paolo Spa ziani.

Svolgimento del processo
Con sentenza 10 novembre 2020, n. 1570, il Tribunale di Bergamo, nella dichiarata contumacia di A.A., ha accolto l’opposizione (espressamente qualificata come opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.), proposta nei suoi confronti dal coniuge separato, B.B., e ha dichiarato la nullità del precetto, fondato sul decreto di omologa della separazione personale, con cui la prima aveva intimato al secondo il pagamento dell’importo di Euro 11.569,10, quale somma asseritamente dovuta in ragione del protratto inadempimento dell’obbligo di mantenimento della figlia.

Ha proposto ricorso per cassazione A.A. sulla base di un unico motivo.

Ha risposto con controricorso B.B..

La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Il pubblico ministero non ha presentato conclusioni scritte.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione
1.1. Con l’unico motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza per estensione di quella concernente la notificazione a mezzo PEC della citazione introduttiva del giudizio di opposizione.

La ricorrente ha sostenuto che, ai sensi del combinato disposto della L. n. 53 del 1994, artt. 3-bis, comma 3, 9, commi 1 e 1-bis, 11, e 19-bis, comma 5, delle “specifiche tecniche” date con Provvedimento 16 aprile 2014 del Responsabile per i Sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della giustizia, la notificazione effettuata a mezzo PEC deve essere provata mediante il deposito telematico dell’atto processuale notificato, delle ricevute di accettazione e consegna in formato “.eml” o “.msg” e dell’inserimento dei dati identificativi delle suddette ricevute nel file “DatiAtto.xml”.

Nel caso di specie, tali prescrizioni non sarebbero state rispettate, in quanto l’opponente, effettuata la notificazione della citazione in opposizione a mezzo PEC, avrebbe indebitamente proceduto ad estrarre copia analogica del messaggio di posta elettronica certificata e degli atti allegati, e, dopo averli scansionati, avrebbe proceduto al loro deposito telematico.

L’inosservanza dei richiamati adempimenti avrebbe comportato la nullità della notificazione, rilevabile anche d’ufficio, in conformità al disposto della citata L. n. 53 del 1994, art. 11.

1.2. Nel resistere alla doglianza, il controricorrente ha dedotto che, a seguito della notifica della citazione a mezzo PEC, la “certificazione di notifica” era stata generata dal PCT, ove risultava inserito un unico file, costituito dall’atto notificato, dalla procura, dalla relata digitale e dall’attestazione della data di notifica effettuata il giorno 11 dicembre 2017, alle ore 13.39, all’indirizzo PEC del difensore domiciliatario di controparte, nonchè dalle ricevute PEC di accettazione e consegna, comprovanti l’avvenuta notificazione e il giorno e l’ora della stessa.

Il deposito telematico non sarebbe dunque avvenuto mediante estrazione di copia su supporto analogico e successiva scansione, bensì mediante deposito nel PCT di documenti originali informatici, sia pure in formato PDF. Il mancato inserimento dei dati identificativi delle ricevute di accettazione e consegna nel file “DatiAtto.xml” avrebbe determinato la mera irregolarità dell’atto, sanabile con il raggiungimento dello scopo (viene citata la pronuncia di questa Corte n. 8815 del 2020).

Inoltre, la circostanza che le suddette ricevute non fossero in formato “.eml” o “.msg” non avrebbe inciso sul perfezionamento del procedimento notificatorio, avvenuto nel momento di generazione delle suddette ricevute a prescindere dal formato informatico assunto al momento del successivo deposito in PCT (viene citata la sentenza n. 12488 del 2020 di questa Corte).

1.3. In sede di memoria illustrativa, la ricorrente – sulla premessa che il deposito delle ricevute in formato “.eml” o “.msg” sarebbe necessario per mantenere i certificati e l’autenticità dei messaggi, mentre, invece, il deposito dei files previamente salvati in formato PDF determinerebbe la perdita delle proprietà dei messaggi originali, come le firme e i metadati -, con riguardo alla dedotta sanatoria dell’irregolarità per raggiungimento dello scopo, ha replicato che, nel caso di specie, non era stata lamentata la mera irregolarità ma l’inesistenza della notificazione; inoltre, ha evidenziato che all’omissione del notificante non era seguita la costituzione in giudizio della destinataria dell’atto, che era rimasta contumace, per modo che non vi sarebbe stata comunque una sanatoria del vizio.

Con riguardo alla deduzione circa la non incidenza dell’irregolarità sul perfezionamento del procedimento notificatorio, la ricorrente ha ribadito che, nella vicenda in esame, mancherebbero proprio i files sorgenti in formato “.eml” delle ricevute di accettazione e consegna, sicchè nessuna prova sarebbe stata data del buon fine della notifica.

2. Il ricorso è fondato.

2.1. Ai sensi della L. n. 53 del 1994, artt. 3-bis, comma 3, e 9 (ed avuto riguardo anche all’art. 19-bis del Provvedimento del Responsabile S.I.A. del 16 aprile 2014), la prova della notifica a mezzo PEC deve essere offerta esclusivamente con modalità telematica, ovverosia mediante deposito in PCT dell’atto notificato, delle ricevute di accettazione e consegna in formato “.eml” o “.msg” e dell’inserimento dei dati identificativi delle suddette ricevute nel file “DatiAtto.xml”.

Solo qualora non si possa procedere al deposito con modalità telematiche dell’atto notificato a mezzo PEC, l’avvocato estrae copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte, ai sensi del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, art. 23, comma 1, (L. n. 53 del 1994, cit., art. 9, comma 1-bis).

Se, una volta effettuata la notifica dell’atto a mezzo di posta elettronica certificata, la parte non sia in grado di fornirne la prova ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, comma 1-bis, la violazione delle forme digitali non determina l’inesistenza della notifica dell’atto medesimo, bensì la sua nullità, vizio che può essere sanato per convalidazione oggettiva (art. 156, comma 3, c.p.c.), ove l’atto abbia raggiunto comunque lo scopo cui è destinato.

La configurazione del vizio in termini di nullità, anzichè di inesistenza, è conforme al disposto di cui alla L. n. 53 del 1994, art. 11, che prevede appunto la sanzione della nullità, comunque rilevabile d’ufficio, per le notificazioni previste dalla medesima legge in mancanza dei requisiti soggettivi ed oggettivi ivi stabiliti, nonchè in caso di inosservanza dei precedenti articoli della stessa legge, oltre che nell’ipotesi di incertezza sulla persona cui è stata consegnata la copia dell’atto o sulla data della notifica.

Tale configurazione, inoltre, trova rispondenza nell’orientamento di questa Corte, secondo cui la violazione delle forme digitali non integra una causa di inesistenza della notifica, unico vizio che non ammette la sanatoria per il raggiungimento dello scopo (Cass. 15/07/2021, n. 20214; in precedenza, v. Cass. Sez. U. 18/04/2016, n. 7665; Cass. 31/08/2017, n. 20625; Cass. Sez. U. 28/09/2018, n. 23620; Cass. 05/03/2019, n. 6417; Cass. 12/05/2020, n. 8815; in generale, sulla definitiva sistemazione del concetto di inesistenza della notifica, v. Cass. Sez. U. 20/07/2016, n. 14916).

2.2. Nell’ipotesi in cui – come nella fattispecie in esame – la notifica telematica concerna l’atto introduttivo del giudizio, il raggiungimento dello scopo legale dell’atto di notificazione, con conseguente sanatoria del vizio per convalidazione oggettiva, non postula necessariamente la costituzione in giudizio del destinatario, il quale potrebbe volontariamente scegliere di non costituirsi, pur avendo ricevuto una notificazione rituale.

Tuttavia, ove si consideri che, a differenza della comunicazione (la quale ha la funzione di portare la semplice notizia dell’atto processuale), la notificazione è deputata alla consegna dell’atto nella sua interezza al destinatario, il raggiungimento dello scopo legale dell’atto processuale, nella predetta ipotesi, postula pur sempre che esso, oltre ad essere giunto a conoscenza del destinatario – nel senso che questi ne abbia avuto notizia – sia stato portato nella sua disponibilità appunto nella sua interezza.

La prova che l’atto sia stato portato nella disponibilità del notificando – ove non risulti da altre specifiche circostanze verificatesi nel caso concreto (come, ad es., nell’ipotesi in cui il suo difensore, nell’ambito di uno scambio di corrispondenza difensiva con il difensore del notificante, provveda a ritrasmettergli la copia ricevuta dell’atto notificato: Cass. 15/07/2021, n. 20214, cit.) – viene data istituzionalmente solo mediante il deposito telematico delle ricevute di accettazione e consegna in formato “.eml” e “.msg” e mediante l’inserimento dei relativi dati identificativi nel file “Dati.Atto.xml”, l’accesso al quale consente di verificare la presenza dell’atto nella disponibilità del destinatario.

Viceversa, il solo deposito dell’atto notificato a mezzo PEC e delle ricevute di accettazione e consegna in formato PDF non consente analoga prova.

2.3. Nel caso di specie, in cui è incontroverso che i files informatici non sono stati depositati in formato “.eml” e “.msg”, la ricorrente ha dedotto di essere venuta a conoscenza della sentenza impugnata solo dopo avere ricevuto la lettera raccomandata contenente l’intimazione a pagare le spese del giudizio.

In mancanza di qualsiasi affidabile elemento da cui evincere che la parte destinataria avesse avuto la tempestiva consegna dell’atto di citazione in opposizione, in funzione della possibilità di costituirsi in giudizio ed esercitare appieno il proprio diritto di difesa, deve allora escludersi la sanatoria del vizio di nullità della notificazione della citazione per violazione delle forme digitali di deposito dell’atto notificato a mezzo PEC. In definitiva, alla fattispecie va applicato il seguente principio di diritto:

“In tema di notificazione a mezzo posta elettronica certificata, la violazione delle forme digitali previste dalla L. n. 53 del 1994, artt. 3-bis, comma 3, e 9, nonchè dall’art. 19-bis delle “specifiche tecniche” date con provvedimento 16 aprile 2014 del Responsabile per i Sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della giustizia – che impongono il deposito in PCT dell’atto notificato, delle ricevute di accettazione e consegna in formato “.eml” o “.msg” e dell’inserimento dei dati identificativi delle suddette ricevute nel file “datiAtto.xml” -, previste in funzione non solo della prova ma anche della validità dell’atto processuale (arg. ex art. 11 della stessa L. n. 53 del 1994), determina, salvo che sia impossibile procedere al deposito con modalità telematiche dell’atto notificato a norma dell’art. 3-bis legge cit. (nel qual caso l’avvocato fornisce prova della notificazione estraendo copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, art. 23, comma 1: L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1-bis e 1-ter), la nullità della notificazione: atteso, per un verso, che soltanto il rispetto delle predette forme (le quali permettono, attraverso l’apertura del file, di verificare la presenza dell’atto notificato nella disponibilità informatica del destinatario) consente di ritenere provato il raggiungimento dello scopo legale dell’atto processuale di notificazione che, a differenza della comunicazione, non ha la funzione di portare la semplice notizia di un altro atto processuale, ma la diversa funzione di realizzarne la tempestiva consegna, nella sua interezza, al destinatario per consentirgli di esercitare appieno il diritto di difesa e al contraddittorio; e considerato, per altro verso, che tale dimostrazione non è invece consentita ove il deposito dell’atto notificato a mezzo PEC e delle ricevute di accettazione e consegna avvenga in diverso formato (ad es. in formato PDF), salvo che, in tale ipotesi, la prova della tempestiva consegna sia desumibile ed in concreto desunta aliunde, sulla base delle circostanze emerse nella fattispecie concreta, nel qual caso la nullità è sanata per convalidazione oggettiva, ai sensi dell’art. 156, comma 3, c.p.c.”.

3. Nel caso di specie, il rilievo della (non sanata) nullità della notificazione telematica dell’atto di citazione in opposizione, propagatasi ai successivi atti processuali sino alla sentenza impugnata, impone, ai sensi degli artt. 383, comma 3, e 354 c.p.c., di rimettere le parti al primo giudice, previa cassazione della sentenza stessa, perchè il giudizio sia rinnovato a contraddittorio integro e correttamente instaurato.

Il giudice della rimessione provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte dichiara la nullità del giudizio di merito di unico grado, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Bergamo, in persona di diverso magistrato, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 4 aprile 2023.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2023


Cass. civ., Sez. II, Ord., (data ud. 05/04/2023) 10/05/2023, n. 12613

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. POLETTI Dianora – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

A.A., rappresentato e difeso per procura alle liti in calce al ricorso dall’Avvocato Marco Naccarato, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Corigliano Rossano, viale Michelangelo n. 55. – Ricorrente –

contro

Comune di Rocca Imperiale, in persona del sindaco, rappresentato e difeso per procura alle liti in calce al controricorso dall’Avvocato Antonio Chiaromonte, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Rocca Imperiale, viale Europa n. 22. – Controricorrente –

e Area Riscossioni Srl ;

– Intimata –

avverso la sentenza n. 392/2022 del Tribunale di Castrovillari, pubblicata il 25.3.2022.

Udita la relazione della causa svolta dal consigliere Mario Bertuzzi alla camera di consiglio del 5.4.2023.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con atto notificato il 25.5.2022 A.A. ricorre per la cassazione della sentenza n. 392/2022 del Tribunale di Castrovillari, pubblicata il 25.3.2022, che aveva confermato la decisione di primo grado di rigetto della sua opposizione avverso l’ingiunzione di pagamento di sanzioni amministrative per violazione del codice della strada, dichiarando valida la notifica del verbale di contestazione eseguita presso il luogo di dimora dell’opponente, pur diverso dalla sua residenza anagrafica. In particolare, il Tribunale motivava tale conclusione sui rilievi che il verbale era stato ricevuto da persona che si era qualificato convivente, che l’ingiunzione di pagamento era stata ricevuta presso tale indirizzo personalmente dall’opponente e che ivi era stato notificato anche un preavviso di fermo.

Il comune di Rocca Imperiale ha notificato controricorso, mentre la società Area Riscossioni non ha svolto attività difensiva.

La causa è stata avviata in decisione in camera di consiglio.

Parte ricorrente ha depositato memoria.

Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal comune controricorrente sul presupposto che esso sia stato notificato oltre il termine di sessanta giorni dalla data della sentenza impugnata, atteso che, non risultando che tale provvedimento sia stato notificato, l’impugnazione soggiace al termine lungo stabilito dall’art. 327 c.p.c..

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonchè dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto che, ai fini della determinazione del luogo di residenza o di dimora del destinatario della notificazione, rilevi esclusivamente la dimora abituale, rivestendo le risultanze anagrafiche mero valore presuntivo e potendo le stesse essere superate.

Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonchè dell’art. 24 Cost. e art. 2697 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5 per avere il giudice omesso di valutare il certificato storico di residenza e la querela di falso del 12 novembre 2020, nonchè il certificato storico dello stato di famiglia del 7 aprile 2020.

I due motivi, che possono trattarsi congiuntamente, sono entrambi inammissibili.

Il Tribunale ha motivato il proprio convincimento in ordine alla validità della notifica del verbale di accertamento della violazione, oggetto di contestazione da parte dell’opponente, rilevando che essa era stata eseguita presso la sua dimora o domicilio, essendo stata ricevuta da persona qualificatasi con lui convivente e risultando anche le notifiche degli atti successivi ricevute al predetto indirizzo, tra cui quella dell’ingiunzione di pagamento della sanzione di cui si tratta, ricevuta personalmente dallo stesso opponente. Ha quindi ritenuto che non fosse causa di nullità della notifica che essa non fosse stata eseguita presso la residenza anagrafica del destinatario, essendo comunque stata ricevuta presso il suo luogo di dimora.

Tanto precisato, il principio di diritto applicato dalla Corte distrettuale in tema di luogo di notifica del verbale di contestazione delle violazioni del codice della strada appare conforme all’art. 201 C.d.S., comma 3, che richiama, a tal fine, le modalità previste dal codice di procedura civile, secondo cui se la notificazione non è fatta a mani proprie, va fatta presso il luogo di residenza, dimora o domicilio del destinatario, nonchè al costante orientamento di questa Corte, secondo cui, ai fini della corretta determinazione del luogo di residenza o di dimora del destinatario, assume rilevanza esclusiva il luogo ove questi dimori di fatto in via abituale, con la conseguenza che le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo di residenza, e possono essere superate da una prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento, e quindi anche mediante presunzioni (Cass. n. 9049 del 2020; Cass. n. 19387 del 2017; Cass. n. 11550 del 2013).

Il medesimo indirizzo giurisprudenziale inoltre sottolinea che il relativo apprezzamento di tali elementi, integrando un apprezzamento di fatto delle risultanze probatorie, costituisce valutazione demandata all’esclusiva competenza del giudice di merito. Anche sotto tale profilo, pertanto, le censure sollevate sono inammissibili, in quanto l’accertamento del giudice di merito in ordine alla effettiva dimora del destinatario dell’atto non è sindacabile in sede di giudizio di legittimità.

La censura di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio è infine inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., secondo cui il ricorso per cassazione non è proponibile per il motivo indicato dall’art. 360 c.p.c., n. 5 nel caso in cui, come nella specie, il giudice di secondo grado abbia deciso le questioni di fatto conformemente alla decisione appellata (c.d. doppia conforme).

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore della controricorrente comune di Rocca Imperiale, che liquida in Euro 950,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 aprile 2023.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2023


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 21/12/2022) 21/04/2023, n. 10805

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. HMELJAK Tania – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. SALEMME Andrea Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4425/2020 R.G. proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA OVIDIO N. 32, presso lo studio dell’avvocato CHIARANTANO BRUNO, (CHRBRN77R21L719W) rappresentato e difeso dall’avvocato RIJLI SALVATORE, (RJLSVT62C25H224Y);

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE-RISCOSSIONE;

– intimata –

avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della CALABRIA-SEZ.DIST. REGGIO CALABRIA n. 2162/2019 depositata il 17/06/2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/12/2022 dal Consigliere ANDREA ANTONIO SALEMME.

Svolgimento del processo
CHE:

1. In data 23 dicembre 2012, A.A. riceveva notificazione di intimazione di pagamento n. (Omissis) per la complessiva somma di Euro 185.822,71 quanto all’anno di imposta (Omissis) in riferimento ai ruoli (Omissis) e (Omissis). L’intimazione era fondata sulla cartella di pagamento n. (Omissis).

2. Proponeva impugnazione il contribuente eccependo la nullità dell’intimazione per mancata notifica della cartella.

3. La CTP di Reggio Calabria, con la sentenza n. 1147/03/2014, rigettava il ricorso.

4. Proponeva appello il contribuente e la CTR della Calabria, con la sentenza impugnata, accoglieva in parte il gravame, relativamente al calcolo degli interessi.

In particolare, la CTR così motivava:

“La notifica della cartella appare del tutto rituale. Dalla fotocopia prodotta e non contestata dal contribuente si deduce infatti che la copia è stata ritirata dalla moglie del contribuente che si è soltanto rifiutata di sottoscrivere la relata. Di conseguenza la notifica appare corretta e conforme alla normativa vigente.” 5. Propone ricorso per cassazione il contribuente con un unico motivo. L’Agenzia delle entrate-Riscossione resta intimata.

Motivi della decisione
CHE:

1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione DEL D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60 e degli artt. 138, 139 e 140 c.p.c. 1.1. Le considerazioni della CTR sono smentite dalle evidenze documentali, poichè è indubitabile che la consegna del plico non è mai avvenuta. La circostanza assunta a fondamento della decisione, ossia la consegna dell’atto presupposto alla moglie del contribuente, nonostante il rifiuto della medesima di sottoscrivere l’atto, risulta incontestabilmente esclusa dalla relata di notificazione depositata dall’agente della riscossione: come emerge da detta relata (riprodotta per autosufficienza a pagina 5 del ricorso), “il messo notificatore non attesta di aver consegnato alla moglie del contribuente la cartella stessa, circostanza(,) questa(,) emergente dalla mancata apposizione del contrassegno alla casella: ‘Consegnandola in assenza del contribuentè”. Risulta quindi smentita la regolarità della notificazione, atteso che, in costanza di rifiuto opposto da persona diversa dal destinatario, il messo avrebbe dovuto procedere ai sensi dell’art. 140 c.p.c. L’osservanza della procedura ai sensi di quest’ultimo articolo era in ogni caso dovuta, essendo normativamente prescritto che solo il rifiuto del destinatario possa assumere rilevanza ai fini della regolarità della notificazione.

2. Il motivo è fondato e merita accoglimento.

2.1. Dalla relazione di notificazione della cartella di pagamento, costituente il presupposto dell’intimazione oggetto di impugnazione, notificazione, come detto, riprodotta nel corpo del ricorso, emerge che:

– non è contrassegnato il riquadro relativo alla casella che recita: “Consegnandola in assenza del contribuente”;

– la “moglie convivente” del contribuente “si rifiuta di firmare”.

2.2. In ragione di quanto precede, ed in particolare della dicitura: “Si rifiuta di firmare”, la suddetta “moglie convivente” ha espressamente ricusato di ricevere la notifica, senza peraltro che, a differenza di quanto ritenuto dalla CTR, il tenore letterale della relata consenta di affermare che la medesima abbia comunque ricevuto il piego.

2.3. Pertanto, a fronte dell’art. 139 c.p.c., comma 2, secondo cui, “se il destinatario non viene trovato in uno d(ei) luoghi (ove deve essere ricercato), l’ufficiale giudiziario consegna copia dell’atto a una persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda, purchè non minore di quattordici anni o non palesemente incapace”, nella specie, trova applicazione l’art. 140 c.p.c., secondo cui, “se non è possibile eseguire la consegna per irreperibilità o per incapacità o rifiuto delle persone indicate nell’articolo precedente, l’ufficiale giudiziario deposita la copia nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi, affigge avviso del deposito in busta chiusa e sigillata alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario, e gliene dà notizia per raccomandata con avviso di ricevimento”.

Invero, come detto, ricorre l’ipotesi del “rifiuto”.

3. La sentenza impugnata va pertanto annullata e cassata senza rinvio.

3.1. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, questa Suprema Corte è abilitata a decidere definitivamente la causa, accogliendo il ricorso introduttivo del giudizio, in ragione dell’omessa rituale notificazione della cartella di pagamento al contribuente.

3.2. L’esito del giudizio comporta, in punto di spese, che, compensate quelle dei gradi di merito, l’Agenzia delle entrate-Riscossione sia condannata a rifondere al contribuente quelle del grado di legittimità, liquidate, secondo tariffa, come in dispositivo.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso.

Per l’effetto, annulla e cassa senza rinvio la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del giudizio.

Compensa integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio di merito.

Condanna l’Agenzia delle entrate-Riscossione a rifondere alla contribuente le spese del presente grado di giudizio, che liquida in Euro 5.600, oltre esborsi per Euro 200, spese forfetarie in misura del 15% ed accessori, se ed in quanto dovuti.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2023


Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., (data ud. 25/11/2020) 11/02/2021, n. 3557

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7271/2018 proposto da:

G.A., in persona del curatore pro tempore, domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCO CAMPO;

– ricorrente –

contro

LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI TRAPANI già PROVINCIA REGIONALE DI TRAPANI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE MELLINI 44, presso lo studio dell’avvocato NICOLA ADRAGNA, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA STELLA PORRETTO;

– controricorrente –

e contro

ASSESSORATO REGIONALE DELLA FAMIGLIA, DELLE POLITICHE SOCIALI E DEL LAVORO, SERVIZIO UFFICIO PROVINCIALE DEL LAVORO DI TRAPANI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 782/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 20/11/2017 R.G.N. 1032/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/11/2020 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato FRANCO CAMPO;

udito l’Avvocato NICOLA ADRAGNA per delega verbale Avvocato MARIA STELLA PORRETTO.

Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Trapani aveva dichiarato il diritto di G.A. ad essere assunto a tempo indeterminato, a decorrere dal 10.2.2009, come soggetto appartenente alle categorie protette ex L. n. 68 del 1999, e condannò la Provincia di Trapani (poi, Libero Consorzio Comunale di Trapani) al risarcimento del danno, liquidandolo in misura pari alla differenza tra quanto il G. aveva percepito dal 10.2.2009 e quanto il medesimo avrebbe percepito ove l’obbligo di assunzione fosse stato assolto.

2. Adita dal Libero Consorzio Comunale di Trapani, la Corte di Appello di Palermo, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda proposta dal G..

3. Avverso questa sentenza G.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria, al quale ha resistito con controricorso il Libero Consorzio Comunale Di Trapani.

4. L’Assessorato Regionale della Famiglia, delle Politiche Sociali e del Lavoro e il Servizio Ufficio Provinciale del Lavoro di Trapani non risultano costituiti in giudizio.

Motivi della decisione
Sintesi dei motivi.

5. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 68 del 1999, art. 3 e art. 4, comma 4, per avere la Corte territoriale affermato che il transito del lavoratore già dipendente del datore di lavoro pubblico, nella quota di riserva non comporta una novazione del rapporto che rimane immutato nè la trasformazione del rapporto di lavoro da rapporto a tempo determinato e part-time in rapporto a tempo indeterminato a tempo pieno.

6. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 68 del 1999, art. 7.

7. Sostiene l’erroneità della statuizione della Corte territoriale nella parte in cui ha affermato che, in base alla L. n. 68 del 1999, art. 7, che rinvia al D.Lgs. n. 29 del 1993, oggi D.Lgs. n. 165 del 2001, la P.A. deve procedere alleòassunzioni delle categorie protette mediante chiamata numerica degli iscritti nelle apposte liste e che a tale regola non farebbe eccezione l’ipotesi disciplinata dalla L. n. 68 del 1999, art. 4, comma 4, secondo l’indicazione di questa Corte Cass. n. 14153/2012.

8. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 4 quater e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 3 bis. Deduce che dalla documentazione acquisita agli atti del giudizio di primo grado era stato dimostrato che nel 2007 la Provincia Regionale di Trapani non rispettava la quota di assunzioni obbligatorie prevista dalla L. n. 68 del 1999, art. 3 e che l’Ufficio Provinciale del Lavoro la aveva diffidata a procedere al reclutamento della L. n. 68 del 1999, ex art. 3, conformemente alle previsioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, prescrizione alla quale la Provincia non aveva ottemperato.

9. In via preliminare deve essere esaminata la questione (affrontata funditus da entrambe le parti nel ricorso, nel controricorso e nella memoria depositata dal ricorrente), della quale si impone il rilievo d’ufficio, riguardante la ammissibilità del ricorso proposto il 20 febbraio 2018 a fronte della notifica della sentenza impugnata avvenuta il 30 novembre 2017 “nei confronti di G.A. il quale agisce con l’assistenza del curatore G.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Franco Campo nel domicilio eletto”.

10. E’ infondata la prospettazione difensiva del ricorrente, che al fine di negare la validità di detta notificazione ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione, asserisce che a seguito dell’introduzione del domicilio digitale, corrispondente all’indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza, previsto dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, conv. con modif. in L. n. 221 del 2012, la notificazione degli atti processuali deve essere effettuata unicamente all’indirizzo p.e.c. sul rilievo che soluzioni alternative sono possibili solo ove la posta certificata non funzioni”.

11. Il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-sexies, convertito dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, rubricato “Domicilio digitale”, introdotto dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 52, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, dispone che Salvo quanto previsto dall’art. 366 c.p.c., quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6-bis, nonchè dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia.

12. Il dato testuale (quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario…) attesta in modo chiaro ed inequivoco che la disposizione innanzi richiamata, nell’ambito della giurisdizione civile, fatto salvo quanto disposto dall’art. 366 c.p.c., per il giudizio di cassazione, ha depotenziato la domiciliazione ex lege presso la Cancelleria dell’ufficio giudiziario imponendo alle parti la notificazione dei propri atti presso l’indirizzo PEC risultante dagli elenchi INI PEC di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6-bis (Codice dell’amministrazione digitale), ovvero presso il ReGindE, di cui al D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, gestito dal Ministero della Giustizia, salvo nei casi di impossibilità di procedere alla notifica a mezzo PEC, per causa da addebitarsi al destinatario della notificazione.

13. Ad un tempo l’art. 16 sexies, ha ridimensionato il campo di applicazione del R.D. n. 37 del 1934, art. 82, ormai limitato nella sua applicazione al caso in cui la notificazione a mezzo p.e.c non è possibile per causa imputabile al destinatario della stessa.

14. La prescrizione prescinde, dunque, dalla stessa indicazione dell’indirizzo di posta elettronica ad opera del difensore, e trova applicazione direttamente in forza dell’indicazione normativa degli elenchi/registri dai quali è possibile attingere l’indirizzo PEC del difensore; ciò in ragione dell’obbligo gravante su quest’ultimo di comunicarlo al proprio ordine e in capo al Consiglio dell’Ordine di inserirlo sia nel registro INIPEC, che nel ReGindE. 15. In altri termini, la domiciliazione ex lege presso la cancelleria è oggi prevista solamente nelle ipotesi in cui le comunicazioni o le notificazioni della cancelleria o delle parti private non possano farsi presso il domicilio telematico per causa imputabile al destinatario (Cass. n. 14140 del 2019, n. 14914 del 2018, Cass. 17048/2017).

16. Deve, però, escludersi che il regime normativo concernente l’identificazione del c.d. domicilio digitale abbia soppresso la prerogativa processuale della parte di individuare, in via elettiva, uno specifico luogo fisico come valido riferimento, eventualmente in associazione al domicilio digitale, per la notificazione degli atti del processo alla stessa destinati (Cass. 1982/2020, Cass. 2942/2019, Cass. 22892/2015).

17. Quest’ affermazione non contrasta con i principi affermati nella decisione di questa Corte n. 10355 del 2020 relativa a fattispecie, diversa da quella in esame, nella quale veniva in rilievo la notificazione della sentenza di appello effettuata presso il domiciliatario nonostante l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore costituito.

18. Prevista per agevolare le comunicazioni di cancelleria e le notificazioni delle parti, l’indicazione della PEC non rende, infatti, inapplicabile l’intero insieme delle norme e dei principi sulla domiciliazione nel giudizio, soprattutto allorchè sia la stessa parte o il suo difensore a designare l’elemento topografico dell’elezione di domicilio in maniera compatibile con le regole del processo.

19. Deve, pertanto, affermarsi che ai fini della decorrenza del termine breve per proporre ricorso per cassazione, anche dopo l’introduzione del “domicilio digitale” (D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, conv. con modif. in L. n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, conv., con modif., in L. n. 114 del 2014), resta valida la notificazione effettuata presso il domicilio fisico ove il destinatario abbia scelto, eventualmente in associazione a quello digitale, di eleggervi il domicilio.

20. Nella fattispecie in esame è indiscusso che vi era stata esplicitata elezione del domicilio fisico (topograficamente coincidente con l’indirizzo dello studio del difensore dell’odierno ricorrente costituito in giudizio) e che non vi fu alcuna scelta di ricevere le notificazioni e/o le comunicazioni presso l’indirizzo p.e.c..

21. Dall’esame degli atti del giudizio emerge, inoltre, che la sentenza impugnata era stata notificata in data 30.11.2017 “nei confronti di G.A. il quale agisce con l’assistenza del curatore G.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Franco Campo nel domicilio eletto” ed era stata ricevuta da quest’ultimo, raggiungendo lo scopo di provocare e attivare l’attività di impugnazione, scopo proprio della notificazione della sentenza (Cass. Sez. Un. 20866 del 2020; Cass. 2396 del 2020, Cass. 16663 del 2018, Cass. n. 2220 del 2016, Cass. 7365 del 2010, Cass. 11093 del 1998).

22. La notifica effettuata a G.A. presso il difensore costituito, al di là della formula letterale che è stata oggetto di specifica contestazione da parte del ricorrente, è idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione.

23. La notificazione della sentenza munita della formula esecutiva alla parte presso il procuratore costituito, è, infatti, equivalente alla notificazione al procuratore stesso, prescritta dagli artt. 285 e 170 c.p.c., ed è pertanto idonea a far decorrere il termine di sessanta giorni per proporre ricorso per cassazione previsto dall’art. 325 c.p.c., comma 2 (Cass. 2974/20020, Cass. 11216/2008).

24. Come già evidenziato, è indiscusso tra le parti, e la circostanza emerge dall’esame degli atti, che il ricorso per cassazione è stato notificato al Libero Consorzio del Comune di Trapani il 20 febbraio 2018, ben oltre, quindi il termine di sessanta giorni previsto dall’art. 325 c.p.c., u.c., decorrente, ai sensi dell’art. 326 c.p.c., comma 1, dalla data della notificazione della sentenza impugnata (come detto 30 novembre 2017).

25. Va, in conclusione dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

26. La complessità della questione concernente la validità della notifica della sentenza impugnata giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

27. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.
La Corte;

Dichiara il ricorso inammissibile.

Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2021