REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente
Dott. SENESE Salvatore – Presidente di sezione
Dott. ELEFANTE Antonio – Presidente di sezione
Dott. VIDIRI Guido – Consigliere
Dott. ODDO Massimo – Consigliere
Dott. SETTIMJ Giovanni – Consigliere
Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere
Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere
Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 14639-2008 proposto da:
COMPAGNIA ELETTRICA ITALIANA S.R.L. (già LIRI ENERGIA S.R.L.) ((OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA E. Q. VISCONTI 99, presso lo studio degli avvocati CONTE ERNESTO, CONTE MICHELE, CONTE GIOVANNI BATTISTA, che la rappresentano e difendono, per procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI SORA ((OMISSIS)), in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI 142, presso lo studio dell’avvocato VENCHI ANNA MARIA, rappresentato e difeso dall’avvocato MAZZENGA DONATO, per procura in calce al controricorso;
CONSORZIO DI BONIFICA N. (OMISSIS) CONCA DI SORA ((OMISSIS)), in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO GRAMSCI 9, presso lo studio degli avvocati GUZZO ARCANGELO, MARTINO CLAUDIO, che lo rappresentano e difendono, per procura a margine del controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 90/2007 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il 05/06/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/06/2009 dal Consigliere Dott. SAVERIO TOFFOLI;
uditi gli avvocati Ernesto CONTE, Arcangelo GUZZO;
udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI Domenico, che ha concluso per l’inammissibilità dei primi due motivi, accoglimento del terzo e quarto.
Svolgimento del processo
La Compagnia Elettrica Italiana s.r.l., società incorporante la s.r.l. Liri Energia, titolare di concessioni di derivazione d’acque per l’esercizio di tre centrali idroelettriche (denominate (OMISSIS)), propone ricorso alle Sezioni unite della Corte di Cassazione avverso la sentenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche (TSAP), con cui è stato definito l’appello proposto dalla Soc. Liri Energia avverso la sentenza del Tribunale regionale delle acque pubbliche (TRAP) di Roma, depositata il 10.1.2005, che aveva rigettato la domanda proposta dalla medesima società per ottenere la dichiarazione della illegittimità dalle sottensioni di acqua effettuate dai convenuti Consorzio di Bonifica della Conca di Sora e Comune di Sora dalle sorgenti e dal corso del fiume (OMISSIS), affluente del (OMISSIS), e per il risarcimento del danno o l’attribuzione di un indennizzo in caso di legittimità delle derivazioni.
L’appello è stato dichiarato inammissibile nei confronti del Consorzio di Bonifica ed infondato nei confronti del Comune di Sora.
Infatti il TSAP, premesso che si era in presenza di cause scindibili, ha ritenuto che l’atto di appello era stato notificato, in data 1.3.2006, al Consorzio di Bonifica n. (OMISSIS) Conca di Sora oltre un anno e quarantasei giorni dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado e quindi (pur tenuta presente la sospensione feriale dei termini) oltre il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., applicabile anche al procedimento speciale.
Nel merito il TSAP ha rilevato che il Comune di Sora, nel complesso sorgentizio del fiume (OMISSIS), attingeva acqua da quattro pozzi, di cui due realizzati nel (OMISSIS), con capacità complessiva di 30 litri al secondo, e gli altri due, costruiti nel (OMISSIS), con capacità complessiva di 50 litri al secondo.
Il primo di detti attingimenti doveva ritenersi legittimo. Il TRAP di Roma aveva correttamente presunto la legittimità del prelievo di 30 litri/secondo dai due pozzi costruiti a fine ‘800, per antico uso, ritenuto anteriore al 1884 in riferimento a quanto previsto dal R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 2, T.U. acque. Infatti la costruzione di pozzi nel 1892 dimostrava la presenza già a tale data un uso di acque dall’ente locale, e questa circostanza poteva far presumere utilizzazioni anteriori con diritto acquisito all’attingimento, solo da riconoscersi con atto dichiarativo e non costitutivo (concessione). Osservava anche che in senso favorevole alla presunzione di legittimità di tale utilizzazione dei pozzi poteva richiamarsi il R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, art. 248 prevedente, all’art. 248, che “ogni comune deve essere fornito per uso potabile di acqua pura e di buona qualità”; la L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 2, comma 1, – norma abrogata dall’art. 175, lett. u), del codice dell’ambiente (D.Lgs. 30 aprile 2006, n. 152) – che successivamente aveva previsto la priorità dell’uso dell’acqua per il consumo umano, con un principio confermato dall’art. 96, comma 3, del richiamato codice dell’ambiente, che consente l’assentimento di uso delle risorse idriche diverso da quello potabile solo in presenza di adeguate disponibilità delle predette risorse per uso umano.
Sottolineava anche che il favore legislativo per la provvista di risorse di acqua potabile a favore degli enti locali (e ora degli enti acquedottistici) è particolarmente richiamabile quando si è in presenza come nella specie, di prelievi che rientrano nei piani acquedottistici regionali, legalmente approvati dalla stessa autorità che provvede alle concessioni.
Quanto all’attingimento dagli altri due, più recenti pozzi, di cui il giudice di primo grado aveva accertato la non legittimità, il TSAP non ha ritenuto fondate le critiche alla ritenuta mancanza di prova del danno riferibile alla centrale (OMISSIS), la sola che attingeva dal (OMISSIS). Ha ricordato al riguardo che il c.t.u. aveva stimato una perdita complessiva annua di produzione elettrica imputabile a tutte le sottensioni in questione in 112.215 KWh e che di essa solo circa il 62% poteva ritenersi imputabile agli attingimenti effettivamente illeciti, per complessivi 1.585.935 KWh per i dodici anni dal (OMISSIS) oggetto della domanda. Tale quantitativo – ha osservato il TSAP, così come quello annuale, risultava assolutamente esiguo rispetto alle potenzialità produttive delle centrali, e, tenendo anche presente che il concreto esercizio di queste ultime era caratterizzato dal mancato sfruttamento di gran parte delle loro potenzialità rilevate dall’U.T.I.F, (da due terzi alla metà, cioè da circa 42 a 22 milioni di KWh) – mancato sfruttamento riconducibile chiaramente a scelte programmatiche di politica industriale – risultava impossibile stabilire se alla effettiva perdita produttiva concorrevano casualmente anche gli attingimenti illeciti dai pozzi in questione. Ha rilevato anche che la mancata registrazione, e quindi la mancata prova, delle portate effettivamente derivate dagli impianti produttivi, e delle quantità di energia prodotte, non consentiva la verifica dell’incidenza della derivazione operata dal Comune.
Ai quattro motivi di ricorso, di cui i primi due relativi alla posizione del Consorzio di Bonifica n. (OMISSIS) Conca di Sora e gli altri due alla posizione del Comune di Sora, questi due enti resistono con separati controricorsi, memorie da parte della ricorrente e del consorzio di bonifica.
Motivi della decisione
1. I primi due motivi si riferiscono alla pronuncia nei confronti del Consorzio di bonifica.
1.1. Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 327 e 330 c.p.c. e del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82. La ricorrente deduce che la notifica dell’atto di appello al Consorzio di bonifica era stata eseguita, entro il termine lungo, presso il domicilio eletto nel processo di primo grado, come risultante dalla relativa comparsa di costituzione del 16.10.1997 nonché dall’intestazione della sentenza di primo grado; che tale domicilio al momento della notificazione era risultato trasferito altrove, di modo che la notifica non si era perfezionata; che si trattava di un caso di mutamento del domicilio eletto presso un luogo diverso dal domicilio del difensore (in quanto il difensore avv. Loreto Antonucci era domiciliato in Roma presso lo studio dell’avv. Bruno Bonanni) e che pertanto tale mutamento avrebbe dovuto essere comunicato alle altre parti del processo. Tenuto anche presente che ai sensi del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 154 “sono sempre valide ad ogni effetto le notificazioni degli atti (…) fatte al procuratore o avvocato legalmente costituito”, si sostiene che la notifica avvenuta nel luogo dove si era trasferito lo studio Bonanni (rinvenuto dopo le opportune ricerche), doveva considerarsi efficace, anche se effettuata dopo il decorso del termine lungo di impugnazione, in applicazione del principio secondo cui in simili circostanze la notifica effettuata presso domicilio indicato impedisce la decadenza (anche se non andata a buon fine).
1.2. Il secondo motivo, deducendo il vizio di omessa motivazione, lamenta il mancato esame delle circostanze specifiche già dedotte nel giudizio di appello in merito alla tempestività della notificazione dell’impugnazione al Consorzio di bonifica.
2. Il ricorso è fondato nei confronti del Consorzio di Bonifica n. (OMISSIS) di Sora.
Al riguardo rileva il solo primo motivo poiché in sostanza si fanno valere violazioni di norme sul procedimento e la Cassazione in tal caso ha cognizione diretta anche riguardo all’accertamento del fatto, con la conseguenza che non sono di per sè rilevanti eventuali vizi di motivazione della sentenza impugnata.
3. Dagli atti si evince che in primo grado, davanti al Tribunale regionale delle acque pubbliche con sede presso la Corte d’appello di Roma, il Consorzio di bonifica era rappresentato e difeso dall’avv. Loreto Antonucci, il quale, avendo come è pacifico, il suo domicilio professionale in Sora, aveva eletto domicilio in Roma, unitamente alla parte rappresentata, in via dei Gracchi n. 278, presso lo studio dell’avv. Bruno Bonanni, cioè in sostanza presso quest’ultimo (che nella specie l’elezione di domicilio riguardasse anche il difensore della parte e non solo la parte personalmente risulta implicitamente dal tenore dell’intestazione della comparsa di costituzione, firmata naturalmente dall’avv. Antonucci, prevedente – in conformità a quanto previsto anche nella procura in calce al ricorso avversario – l’elezione di domicilio della parte presso il suo stesso difensore in Roma in via dei Gracchi n. 278 c/o lo studio dell’avv. Bruno Bonanni).
La notifica del ricorso in appello davanti al TSAP venne chiesta il 22.2.2006 e il giorno seguente l’ufficiale giudiziario diede atto della mancata notifica a causa del trasferimento altrove dell’avv. Bonanni. Chiesta il giorno 1.3.2006 la notifica presso il nuovo domicilio dell’avv. Bonanni, nello stesso giorno essa fu eseguita.
Tenuta presente la data di deposito della sentenza impugnata (10.1.2005), il termine lungo andava a scadere il 24.2.2006, sicché l’impugnazione sarebbe tempestiva dando rilievo alla data del 22.2.2006 di originaria richiesta della notificazione, mentre sarebbe tardiva se si desse rilievo alla data di richiesta di notificazione al nuovo indirizzo.
4.1. Negli ultimi anni, come è noto, con riferimento alle notificazioni degli atti processuali e al rispetto dei termini perentori entro cui in numerosi casi le medesime devono essere eseguite, si è dato luogo, nella giurisprudenza di questa Corte, ad interpretazioni dirette a salvaguardare la posizione delle parti che senza loro responsabilità non abbiano conseguito un tempestivo perfezionamento della notificazione. Dopo che, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 477/2002 (che si era posta in linea con i principi precedentemente enunciati a proposito delle notificazioni a soggetti residenti all’estero) e del pronto adeguamento della giurisprudenza di questa Corte ai principi ispiratori della giurisprudenza costituzionale (dalla medesima ulteriormente ribaditi con varie pronunce), si era affermato il principio che sia nelle notificazioni a mezzo posta che nelle notificazioni ordinarie l’effetto della notificazione si compie per il notificante, cui sia richiesto il rispetto di determinati termini, fin dalla data della richiesta della notificazione, anche se subordinatamente al successivo perfezionamento della notificazione nei confronti del destinatario, Cass. Sez. Un. n. 10216/2006, in riferimento a un caso in cui la notificazione di un’opposizione a decreto ingiuntivo non si era perfezionata per ragioni non coinvolgenti la responsabilità dell’istante (l’ufficiale giudiziario aveva omesso la notifica dando peso all’errata informazione resa da un terzo circa il trasferimento del destinatario), osservarono che gli stessi principi alla base di tale scissione dei momenti di compimento della notificazione giustificavano una interpretazione costituzionalmente orientata anche nell’ipotesi di incolpevole mancato esito della procedura notificatoria. Si doveva quindi ritenere – ammessa in tal caso una rinnovazione del procedimento notificatorio effettuata con rispetto di un termine che nella specie doveva essere desunto dalla disciplina dell’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo.
Si sono ricollegate a tale precedente delle Sezioni unite Cass. n. 24702/2006, 6360/2007 e 6547/2008, le quali in relazione appunto ad ipotesi in cui la notificazione non si era perfezionata per ragioni non implicanti la responsabilità del notificante, hanno ritenuto, in linea con la giurisprudenza sulla scissione dei tempi di perfezionamento della notificazione e nel quadro dei principi desumibili dagli artt. 3 e 24 Cost. e della esigenza di un contemperamento degli interessi delle parti coinvolte, che anche in simili evenienze la notificazione debba ritenersi perfezionata per il notificante alla data della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, qualora la parte, una volta conosciuto il motivo dell’esito negativo della notificazione per causa indipendente dalla sua volontà, abbia operato ai fini di una ripresa in un tempo ragionevole del procedimento notificatorio. Le prime due citate sentenze hanno anche rilevato che l’ipotesi della notificazione dell’atto di impugnazione non era suscettibile di essere ricondotta alle previsioni normative di rimessione in termini o a disposizioni specifiche come l’art. 650 c.p.c.. Si può anche richiamare Cass. n. 7018/2004 che, in relazione a ipotesi analoga relativa alla notificazione del controricorso, aveva già in precedenza ritenuto idonea una notificazione rinnovata, senza tuttavia prevedere l’esigenza di un particolare vincolo di tempestività per la ripresa della procedura notificatoria.
4.2. Da ultimo Cass. Sez. un. n. 3818/2009, nel quadro della adesione agli orientamenti interpretativi secondo cui, nel caso in cui il procedimento di notificazione di un atto di impugnazione non abbia potuto concludersi non per colpa della parte interessata, deve ammettersi, in ossequio dei principi di uguaglianza e di tutela del diritto di difesa di cui agli artt. 3 e 24 Cost. e della giurisprudenza costituzionale prima richiamata, la riattivabilità del procedimento notificatorio, ha specificamene esaminato la questione relativa alla imputabilità o meno allo stesso istante del mancato perfezionamento della notificazione dell’atto di impugnazione nel caso in cui la parte abbia indicato, per l’esecuzione della notificazione, un indirizzo del procuratore costituito della controparte nel precedente grado di giudizio (o del procuratore domiciliatario), esercente nello stesso circondario a cui sia professionalmente assegnato, diverso da quello effettivo e regolarmente risultante dall’albo professionale. A tale questione le Sezioni unite hanno dato la risposta rigorosa, secondo cui, nel caso di difensore svolgente le sue funzioni nello stesso circondario del tribunale a cui egli sia professionalmente assegnato, è onere della parte interessata ad eseguire la notifica accertare, anche mediante riscontro delle risultanze dell’albo professionale, quale sia l’effettivo domicilio professionale del difensore, con la conseguenza che non può ritenersi giustificata l’indicazione nella richiesta di notificazione di un indirizzo diverso, ancorché eventualmente corrispondente a indicazione fornita dal medesimo difensore nel giudizio non seguita dalla comunicazione nell’ambito del giudizio stesso del successivo mutamento.
4.3. Ma questa specifica valutazione interpretativa non rileva nella specie, dato che la stessa sentenza delle Sezioni unite ora in considerazione ha evidenziato come nel diverso caso di procuratore svolgente le sue funzioni processuali in un circondario diverso da quello di assegnazione, sono le norme professionali (del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 83) a prevedere l’obbligo del medesimo di eleggere un domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria presso cui il giudizio è in corso e quindi anche di comunicarne i mutamenti (cfr., nell’analogo senso che sussiste l’onere della comunicazione del cambio di indirizzo nell’ipotesi di domicilio “eletto autonomamente”, Cass. n. 19477/2007 e 17086/2008). Nella specie indubbiamente il mutamento vi è stato ed è incontestato che al riguardo nessuna comunicazione era stata fornita. Né può ipotizzarsi che sussistesse un onere di informazione da parte della attuale ricorrente in considerazione della circostanza che il domiciliatario del difensore era a sua volta un avvocato. Infatti, a parte anche il fatto che non è stato dedotto che si trattasse di un avvocato legalmente esercente in Roma, in ogni caso, almeno nei confronti delle controparti, non poteva spiegare alcuna rilevanza una circostanza del genere, in quanto l’elezione di domicilio nel luogo sede dell’ufficio giudiziario può essere compiuta presso qualsiasi soggetto, di cui non assume rilievo l’eventuale qualità professionale.
Nella specie deve quindi considerarsi non imputabile a responsabilità del notificante, ma della controparte, l’iniziale mancato perfezionamento della notificazione.
4.4. Conseguentemente, in adesione agli orientamenti giurisprudenziali in materia e alle relative motivazioni, precedentemente richiamati, nella specie deve ritenersi giustificata una ripresa, o rinnovazione, del procedimento notificatorio, in occasione del quale ci si ricolleghi alla iniziale data di instaurazione del medesimo ai fini del rispetto del termine di decadenza per la proposizione dell’impugnazione.
4.5. E’ opportuno però esaminare se può considerarsi rituale il fatto che la stessa parte notificante di sua iniziativa abbia promosso la ripresa del procedimento notificatorio, chiedendo all’ufficiale giudiziario la notifica al nuovo indirizzo. Infatti la già esaminata sentenza delle Sezioni unite n. 3818/2009 ha ritenuto invece – sia pure in quello che potrebbe essere qualificato come un mero obiter dictum, poichè la decisione è basata sul rilievo che nella specie l’iniziale insuccesso della notificazione era imputabile alla mancata previa individuazione del domicilio professionale del difensore della controparte – che, essendo la riattivazione della notificazione subordinata al perfezionamento dell’impugnazione per il notificante, la stessa debba essere promossa mediante istanza del giudice ad quem di fissazione di un termine perentorio per il completamento della notifica, da depositare, unitamente alla relativa documentazione, nel termine stabilito per la costituzione della parte nel caso di regolare instaurazione del contraddittorio. Nel caso poi, in cui risulterebbe la violazione dei termini di comparizione a favore della controparte, dovrebbe chiedersi un termine perentorio, a norma dell’art. 164 c.p.c., per la rinnovazione dell’impugnazione.
4.6. Al riguardo si ritiene che debba darsi continuità all’orientamento interpretativo di cui a Cass. Sez. Un. n. 10216/2006 e alle sentenze delle sezioni semplici n. 24702/2006, 6360/2007 e 6547/2008, secondo cui, in caso di interruzione del procedimento notificatorio per ragioni non imputabili all’istante, quest’ultimo ha la facoltà di chiederne la riattivazione al fine di giovarsi, ove concorrano determinati requisiti di tempestività, della data della iniziale richiesta di notificazione, nel quadro della scissione dei momenti di realizzazione della notificazione per il notificante e il destinatario, ai fini del rispetto di termini perentori da parte del primo.
Questa soluzione, innanzitutto, è congrua con la stessa natura dello strumento giuridico a cui si fa riferimento per giustificare la retrodatazione relativa degli effetti della notificazione. In altri termini, se si fa riferimento alla scissione (a taluni fini) degli effetti della notificazione nei confronti dell’istante e del destinatario, valorizzando, rispettivamente, la data iniziale e quella di perfezionamento del procedimento, è logico che debbano essere salvaguardate – almeno per quanto possibile – la continuità e la speditezza del procedimento stesso, ed è chiaro che, invece, tale esigenza sarebbe contraddetta dalla necessità del ricorso al giudice.
Il fatto, poi, che nel corso del procedimento di notificazione insorgano difficoltà, esigenze di ulteriori indagini circa i luoghi in cui il destinatario ha la residenza, il domicilio o la dimora, ecc, è un’evenienza ricorrente e direttamente o indirettamente prevista dalle disposizioni di legge, e lo stesso ufficiale giudiziario può, e dovrebbe, assumere iniziative al riguardo come rilevato dalla giurisprudenza (cfr., per esempio, Cass. n. 12183/2004, 11332/2005, 17453/2006, 2909/2008). In questo quadro appartiene alla fisiologia del procedimento notificatorio anche lo scambio di utili informazioni tra parte istante e ufficiale giudiziario ed è congruo ritenere la sostanziale unità del procedimento quando, dopo che una prima fase del procedimento non abbia avuto positiva conclusione per l’accertata mancata corrispondenza della situazione di fatto a quella indicata dall’istante, quest’ultimo fornisca ulteriori indicazioni ai fini del perfezionamento della notificazione. Naturalmente, anche in relazione a questa prospettazione rimane salva la valutazione circa la imputabilità o meno al richiedente della inesattezza delle iniziali indicazioni, in quanto la giurisprudenza sulla dissociazione dei tempi della notificazione per il richiedente e il destinatario è basata sull’assunto che a detrimento del primo non debbano andare aspetti del procedimento che non siano sotto il suo controllo.
L’interpretazione nel senso che è possibile l’assunzione diretta da parte dell’interessato dell’iniziativa finalizzata al positivo compimento della notificazione corrisponde anche all’esigenza di rispettare la direttiva costituzionale sul giusto processo, secondo cui la legge ne assicura la ragionevole durata (art. 111 Cost., comma 2), essendo evidente che la necessità di una previa costituzione in giudizio per la richiesta di un provvedimento giudiziale sulla rinnovazione della notificazione comporta un rilevante allungamento dei tempi del giudizio, oltre che un appesantimento delle procedure.
Giova anche ricordare che la giurisprudenza di questa Corte ammette l’iniziativa diretta e preventiva della parte per la rinnovazione di notificazioni affette da profili di nullità, che valga ad anticipare un’iniziativa in tal senso del giudice, pur in questo caso espressamente prevista dall’art. 291 c.p.c. (cfr., ex plurimis, Cass. n. 11623/2003 e 27450/2005).
Inoltre il riferimento ai termini previsti per la costituzione in giudizio della parte, ipotizzato allo scopo di fornire un’indicazione certa riguardo alla tempestività dell’iniziativa che fa seguito all’iniziale insuccesso della notificazione, appare non funzionale anche sotto altri aspetti. Deve rilevarsi infatti che l’esigenza di rispettare un termine perentorio per la notificazione si presenta in giudizio non solo per le impugnazioni, ma anche in svariate situazioni in cui non è applicabile un termine per la costituzione o un altro termine che possa svolgere una funzione analoga. Inoltre, anche rimanendo nel campo delle impugnazioni, nel rito del lavoro la costituzione dell’appellante, mediante il deposito del ricorso, precede la notificazione di quest’ultimo.
Può infine rilevarsi sul punto che, a ben vedere, il preventivo ricorso al giudice non è utile neanche al fine di avere una previa valutazione certa circa la sussistenza delle condizioni per la ripresa del procedimento di notificazione, in quanto si tratterebbe solo di una valutazione preliminare effettuata non in sede decisoria e per di più in assenza del contraddittorio con la controparte interessata.
4.7. Ritenuta ammissibile la diretta iniziativa della parte interessata, quanto alle modalità temporali della stessa l’unico criterio possibile di carattere generale è quello indicato da alcune sentenze precedentemente richiamate (Cass. n. 24702/2006, 6360/2007 e 6547/2008), secondo cui l’iniziativa per la ripresa del procedimento L notificatorio deve intervenire entro un tempo ragionevole, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per venire a conoscenza dell’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie. E tale criterio, considerata la specificità del tipo di difficoltà procedurale incontrata e dello strumento a disposizione per il suo superamento, deve ritenersi applicabile, ove possibile, in relazione ad ogni tipo di termine perentorio entro cui debba avvenire una notificazione.
Ne consegue anche che, nel quadro dell’introduzione di una norma sulla rimessione in termini di carattere generale, e quindi applicabile anche ai termini di impugnazione (art. 153 c.p.c., comma 2, inserito dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46), non potrà ritenersi dipendente da causa non imputabile una decadenza che avrebbe potuto essere ovviata mediante il completamento della procedura di notificazione ad iniziativa della parte.
Potrà rimanere salva, invece, la facoltà di richiedere l’intervento del giudice nei casi in cui non sia possibile una semplice (e ragionevolmente tempestiva) ripresa del medesimo procedimento notificatorio ad iniziativa della parte, per particolari circostanze, eventualmente anche collegate all’iter procedimentale entro cui si inserisca la notificazione prevista a pena di decadenza (si pensi, per esempio, alla necessità, menzionata da Cass. Sez. un. n. 3818/2009, cit. di ottenere una nuova fissazione dell’udienza ai fini del rispetto dei termini di comparizione). Rimangono inoltre al di fuori del tema ora trattato gli imprevisti procedurali che coinvolgano non già la conclusione del procedimento notificatorio nei confronti di soggetto già individuato, ma la esatta identificazione della controparte, dando luogo quindi, semmai, ad ipotesi di nullità della citazione (cfr. Cass. Sez. un. n. 19343/2008).
4.8. In conclusione può enunciarsi il seguente principio di diritto:
“Nel caso in cui la notificazione di un atto processuale da compiere entro un termine perentorio non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, quest’ultimo, ove se ne presenti la possibilità, ha la facoltà e l’onere di richiedere la ripresa del procedimento notificatorio, e la conseguente notificazione, ai fini del rispetto del termine, avrà effetto fin dalla data della iniziale attivazione del procedimento, semprechè la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un tempo ragionevolmente contenuto, tenuti anche presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per venire a conoscenza dell’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie.” 4.9. Nel caso in esame si è già visto come l’iniziale insuccesso della notificazione non può ritenersi imputabile alla società attualmente ricorrente e, senza dubbio, deve ritenersi congruo il molto breve lasso di tempo impiegato al fine di utilmente indirizzare la notificazione. Il fatto che la controparte si sia costituita in giudizio, d’altra parte, rende irrilevante l’ipotesi che la nuova notifica avrebbe potuto essere effettuata anche presso la cancelleria del giudice a quo.
5. successivi motivi si riferiscono al Comune di Sora.
6.1. Il terzo motivo denuncia violazione del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 2 e 3 e contraddittoria ed insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo. La società ricorrente, con riferimento al rigetto della domanda nei confronti del Comune di Sora relativamente ai due pozzi con portata di 30 litri/secondo, censura la sentenza sul presupposto che, pur avendo il riconoscimento delle utenze di acqua pubbliche natura dichiarativa, è necessario comunque, ai fini di ritenere la legittimità della derivazione ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 2 un provvedimento di accertamento dell’antico uso (o della pregressa concessione), che nella specie mancava anche perché il Comune era decaduto dal richiederlo, a norma dell’art. 3, R.D. cit.. Né al fine di presumere l’uso legittimo è sufficiente l’evoluzione legislativa richiamata in sentenza sull’impiego potabile delle acque pubbliche. Aggiunge la ricorrente che la motivazione appare contraddittoria, laddove fa derivare dal fatto che i pozzi furono costruiti nel 1892 l’inizio della utilizzazione a prima del 1884, ed erronea, perché a ( norma del R.D. n. 1775 del 1933, art. 2, comma 1, lett. B) l’antico uso che legittima l’attingimento deve essere iniziato trenta anni prima della L. 10 agosto 1884, n. 2644.
La ricorrente formula il seguente quesito: “Viola il R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 2 e 3 l’attribuire la titolarità di un diritto di utenza di acqua pubblica ad un soggetto che sia privo del provvedimento amministrativo di riconoscimento dell’antico uso delle acque pubbliche previsto dall’art. 3 del detto Testo Unico?”. 6.2. Il motivo non merita accoglimento. Al riguardo è opportuno premettere che, ai fini dell’identificazione delle censure in linea di diritto con lo stesso proposte, occorre fare riferimento al conclusivo quesito di diritto, che ha la funzione di consentire la puntuale identificazione della questione di diritto che la parte intende proporre con il ricorso per cassazione, ferma restando la funzione della parte espositiva di illustrare la rilevanza e la fondatezza delle questione (nel senso che l’ammissibilità del motivo è condizionata alla formulazione di un quesito, compiuta e autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisca necessariamente il segno della decisione, cfr., ex plurimis, Cass., sez. un., n. 18759 del 2008 e n. 3519 del 2008).
La giurisprudenza di questa Corte ha rilevato che il riconoscimento amministrativo di un’antica utenza ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, (T.U. acque) ha valore solo dichiarativo e che quindi la sua mancanza non esclude la posizione di vantaggio del singolo utente nei confronti di un altro soggetto (Cass. n. 123/1962). Ha precisato anche che l’esistenza dell’antico uso, a prescindere dal suo successivo riconoscimento, delimita all’origine i diritti derivanti dalle concessioni assentite nel corso del suo esercizio (Cass. Sez. un. n. 486/1974). Nella specie, in applicazione di tali principi, deve ritenersi che correttamente il TSAP, pur in mancanza del riconoscimento nella sede amministrativa dell’antico uso a norma del R.D. n. 1775 del 1933, art. 3 abbia ritenuto, nei rapporti tra Comune di Sora e il soggetto titolare di una successiva concessione, che gli attingimenti conformi all’antico uso non ledessero i diritti del concessionario, necessariamente limitati dal precedente titolo.
Quanto alle ulteriori deduzioni contenute nella esposizione del motivo, deve rilevarsi che l’ipotesi della decadenza del Comune di Sora dalla posizione di vantaggio inerente all’antico uso non è sorretta nè da un riscontro nel quesito di diritto nè da un preciso riferimento alle circostanze di fatto al riguardo rilevanti.
Relativamente, poi alla deduzione di vizi di motivazione, deve rilevarsi che difetta il requisito della “chiara indicazione” previsto dall’art. 366 bis c.p.c., mancando quel momento di sintesi che anche in proposito comunemente è richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte (e comunque una puntuale indicazione dei termini della ipotizzata contraddittorietà della motivazione, al di fuori di una diversa valutazione degli elementi di fatto). Né possono assumere rilievo prospettazioni di contrarietà della motivazione a principi di diritto, in mancanza di un’idonea formulazione delle relative censure anche in sede di conclusivo quesito di diritto.
7.1. Il quarto motivo denuncia omessa, o insufficiente, o contradditoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
Nel censurare la ritenuta carenza di prova di nesso causale tra le sottensioni ritenute illecite e perdite di produzione di energie elettrica da parte della attuale ricorrente, si sostiene l’insufficienza del riferimento al fatto che dalle denunce di produzione presentate all’Ufficio tecnico erariale (UTIF) risultava che gli impianti avevano sfruttato solo una parte modesta della loro potenzialità produttiva. Doveva tenersi presente, infatti, che le centrali idroelettriche ad acqua fluente, come quelle di cui si tratta, non sono in grado di modulare la produzione di energia, ma sono costruite in modo tale da sfruttare tutta l’acqua che in ogni momento sia presente nel fiume, fino al punto nel quale, superata la potenzialità massima degli impianti, l’acqua deve per forza sfiorare per evitare il superamento della portata massima del corso d’acqua concessa all’utente. Ne consegue che non sono ipotizzabili scelte programmatiche di politica industriale atte ad interrompere il nesso di causalità tra il fatto illecito e il danno.
Si lamenta anche che sia ritenuta la mancanza di prova della produzione effettiva delle centrali, mentre tale prova è stata fornita mediante la produzione delle dichiarazioni rese all’UTIF in epoca non sospetta, dichiarazioni dalla stessa sentenza ritenute utili a provare la scarsa produttività delle centrali rispetto alla loro produttività astratta.
7.2. Anche questo motivo non è fondato.
Le critiche alla motivazione della sentenza impugnata, infatti, sono inficiate dal fatto che è meramente assertiva la tesi secondo cui le centrali in questione, ai fini della produzione di energia elettrica, avrebbero sempre sfruttato, nella misura massima possibile consentita dalla loro configurazione, i flussi d’acqua disponibili, con la conseguenza che ogni sottensione avrebbe avuto una corrispondente incidenza sulla produttività delle stesse centrali. Al riguardo deve in particolare rilevarsi, da un lato, che non risulta plausibile la ragione tecnica al riguardo prospettata e, dall’altro, che il giudice a quo ha, tra l’altro, osservato che il c.t.u. non aveva potuto reperire dati certi sulle portate dei fiumi (OMISSIS) e sugli altri elementi necessari per individuare la misura dell’energia producibile. La ricorrente, d’altra parte, non ha censurato validamente sotto altri profili (per esempio con il riferimento ad elementi di prova circa gli sbocchi industriali o commerciali della sua produzione) la correttezza dell’assunto che l’entità concreta della produzione può nella specie essere dipesa, nella radicale carenza di riscontri probatori, non dalle risorse idriche disponibili ma da scelte imprenditoriali dell’azienda.
8. In conclusione, il ricorso deve essere accolto nei confronti del Consorzio di Bonifica n. (OMISSIS) di Sora e rigettato nei confronti del Comune di Sora. Pertanto la sentenza deve essere cassata con riguardo solo alla prima di dette parti, con rinvio della causa al TSAP in diversa composizione per l’esame nel merito dell’appello proposto nei confronti di detto Consorzio di bonifica. Al giudice di rinvio si demanda anche la regolazione delle spese di questo grado tra la ricorrente e il Consorzio. Tra la ricorrente e il Comune di Sora le spese vengono compensate in considerazione della particolarità e complessità delle questioni.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso nei confronti del Comune di Sora, con compensazione delle spese. Accoglie il ricorso nei confronti del Consorzio di Bonifica n. (OMISSIS) di Sora, cassa conseguentemente la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nelle Sezioni unite civili, il 9 giugno 2009.
Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2009