REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente
Dott. GEMELLI Torquato – Presidente Aggiunto
Dott. PRESTIPINO Giovanni – Presidente Aggiunto
Dott. MENSITIERI Alfredo – Consigliere
Dott. MERONE Antonio – Consigliere
Dott. FIORETTI Francesco M. – Consigliere
Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere
Dott. NAPPI Aniello – Consigliere
Dott. SPIRITO Angelo – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
FALLIMENTO MG MONTAGGI GENERALI, in persona del Curatore pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLLINA 36, presso lo studio dell’avvocato JACONO GAETANO, rappresentato e difeso dall’avvocato MOSCATO ANGELO, per procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
COZZOLINO NICOLA e COZZOLINO REMIGIO S.N.C.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 151/2005 del TRIBUNALE di GELA, depositata il 03/05/2005;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/03/2009 dal Consigliere Dott. ANGELO SPIRITO;
lette le conclusioni scritte dal Sostituto Procuratore Generale Dott. Antonio MARTONE, il quale chiede che le Sezioni unite della Corte, in camera di consiglio, enuncino il principio secondo cui in caso di ricorso ordinario in cassazione – o di istanza di regolamento di competenza – l’obbligo, previsto a pena di improcedibilità dell’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, del deposito da parte del ricorrente della copia autentica della decisione impugnata con la relazione di notifica se questa è avvenuta – o del biglietto di cancelleria di comunicazione del deposito nel caso del regolamento – può essere adempiuto soltanto con il deposito contestuale al ricorso o comunque entro il termine a tal fine previsto dal precedente comma 1; con le conseguenze di legge.
Svolgimento del processo
Il Fallimento M.G. Montaggi generali s.r.l. ha ottenuto, nei confronti della s.n.c. Cozzolino Nicola e Remigio, decreto ingiuntivo per somma di danaro costituente corrispettivo parziale della costruzione di un’imbarcazione da pesca, al quale s’è opposta l’ingiunta, eccependo, tra l’altro, l’incompetenza territoriale del giudice adito. L’eccezione è stata accolta dal Tribunale di Gela.
Il Fallimento propone istanza di regolamento di competenza notificata il (OMISSIS). La società Cozzolino non si difende nel procedimento. il procuratore Generale ha chiesto, ex art. 375 c.p.c., che il regolamento di competenza sia dichiarato inammissibile, perchè proposto oltre trenta giorni dopo il deposito della sentenza, senza che risulti dimostrato che la comunicazione della sentenza impugnata sia avvenuta il 17 maggio 2005. La ricorrente ha depositato memoria e documenti.
La terza sezione civile della Corte, rilevato sul punto un contrasto di giurisprudenza, con ordinanza del 19 febbraio 2008 ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite, rilevando che la ricorrente ha documentato che la comunicazione della sentenza di incompetenza ebbe luogo il 17 maggio 2005, data utile per la proposizione del ricorso; l’elenco dei documenti è stato depositato il 20 novembre 2007; la produzione è stata notificata a controparte, ex art. 372 c.p.c., in data 14 novembre 2007 (come risulta dalla relata depositata il 26 novembre 2007 presso la cancelleria della sezione); chi propone ricorso per regolamento di competenza ha l’onere di depositare, nella cancelleria della Corte di Cassazione, a pena di improcedibilità, il ricorso e i documenti nel termine di giorni venti dall’ultima notificazione alle parti contro le quali è proposto (onere desumibile dal combinato disposto degli artt. 47 e 369 c.p.c.); l’art. 369 c.p.c., n. 2, stabilisce che insieme col ricorso deve essere depositata la copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta; in forza dell’art. 372 c.p.c., comma 2, il deposito dei documenti relativi all’ammissibilità può avvenire indipendentemente da quello del ricorso e del controricorso, ma deve essere notificato, mediante elenco, alle altre parti.
Ciò premesso l’ordinanza di rimessione pone il problema se il ritardato deposito del biglietto di cancelleria attestante la data di ricevimento della comunicazione della sentenza di incompetenza possa aver luogo, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., unitamente alla memoria depositata dal ricorrente, previa notifica alla controparte della produzione effettuata. La causa è stata assegnata alle sezioni unite come questione di massima di particolare importanza.
Motivi della decisione
1. – LA QUESTIONE DI MASSIMA DI PARTICOLARE IMPORTANZA. 1 – Premessa.
La terza sezione civile ha reso tre ordinanze interlocutorie che affrontano il tema dell’improcedibilità del ricorso per cassazione stabilita dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2.
Più in particolare, due delle ordinanze interlocutorie (la n. 7950 del 27 marzo 2008 e la n. 9302 del 9 aprile 2008) riguardano il caso in cui il ricorrente dichiara nel ricorso che la sentenza impugnata gli è stata notificata in una certa data, ma si limita a depositare la copia autentica della sentenza senza la relazione di notificazione. Nè la copia della sentenza notificata è depositata (con apposito elenco notificato alla controparte) nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso, fissato dall’art. 369 c.p.c., comma 1 per il deposito del ricorso stesso nella cancelleria della Corte. La terza ordinanza (n. 4229 del 19 febbraio 2008) pone, poi, lo stesso problema con riferimento al ricorso contenente l’istanza di regolamento di competenza ex art. 47 c.p.c., per il caso in cui la parte dichiara nel ricorso stesso che la sentenza le è stata comunicata in una certa data, ma omette di depositare, insieme con l’atto d’impugnazione (o, comunque, separatamente, ma nel suddetto termine di venti giorni), il biglietto di cancelleria dal quale risulti che effettivamente la comunicazione è avvenuta in quella data, non consentendo, così, alla Corte di delibare la tempestività del ricorso. In quest’ultimo caso, però, l’ordinanza pone il problema sotto il profilo del contrasto giurisprudenziale, rilevando che al maggioritario orientamento rigoristico si contrappongono sporadici precedenti che hanno ammesso degli equipollenti (sananti) rispetto al deposito della copia autentica della sentenza notificata, quale il reperimento della stessa nel fascicolo d’ufficio o della controparte, oppure la formazione del contraddittorio sul punto. Conviene subito dire che la problematica va trattata congiuntamente (come, peraltro, congiuntamente la trattano le ordinanze di rimessione), sia che si tratti di ricorso ordinario ex art. 360 c.p.c., sia che si tratti di ricorso per regolamento di competenza ex art. 47 c.p.c.. Il disegno codicistico, nella sua struttura fondamentale, appare identico per entrambe (come, peraltro, esplicitamente affermato nel progetto Grandi), nel senso che l’istanza di regolamento di competenza risulta modellata secondo la forma ed i modi del ricorso per cassazione, con la sola riduzione dei termini di proposizione da sessanta a trenta giorni, ma pur sempre con l’imposizione al ricorrente di depositare, nel termine di venti giorni dalla notificazione, “il ricorso con i documenti necessari”. Richiamo, quest’ultimo, che inevitabilmente realizza il collegamento con l’art. 369 c.p.c. ed, in particolare, con l’onere per il ricorrente di depositare (tra l’altro) il biglietto di cancelleria dal quale risulti la data di avvenuta comunicazione del provvedimento impugnato. Il discorso successivo sarà, dunque, articolato in modo comune per entrambi i modelli processuali trattati.
2. – Lo stato della giurisprudenza in ordine agli adempimenti di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2.
E’ indiscusso che la previsione dell’onere di deposito, a pena di improcedibilità, entro il termine di cui al primo comma dell’art. 369 c.p.c., della copia della decisione impugnata con la relazione di notificazione (ove questa sia avvenuta) è funzionale al riscontro, da parte della Corte di cassazione, della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione; il quale, intervenuta la notificazione della sentenza, può essere fatto valere soltanto con l’osservanza del termine breve, salvaguardandosi, perciò, anche la tutela dell’esigenza pubblicistica del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale. Tuttavia, fin dai primi impatti applicativi di tale norma si sono sviluppati essenzialmente tre filoni giurisprudenziali correlati all’interpretazione della norma ed all’individuazione dei possibili meccanismi di riparazione dell’omissione del deposito dei documenti di cui al suo comma 2:
1) secondo un risalente, rigoroso indirizzo, il mancato deposito (nel richiamato termine) della copia autentica della decisione impugnata (in uno alla corrispondente relata di notificazione) comportava, in ogni caso, l’improcedibilità del ricorso, la quale andava dichiarata d’ufficio, senza che all’omissione potesse ovviarsi con il successivo deposito di detta copia nelle forme di cui all’art. 372 c.p.c. e senza che, ai fini dell’esclusione dell’improcedibilità, potesse attribuirsi rilievo al deposito di tale copia effettuato da parte del controricorrente o all’esistenza, agli atti, di copia non autentica della decisione stessa (cfr. Cass. 3 luglio 1971, n. 2076; Cass. 26 febbraio 1980, n. 1333; Cass. 11 settembre 1980, n. 5246; Cass. 20 dicembre 1982, n. 7023; Cass. 12 gennaio 1983, n. 209; v. , altresì, con specifico riferimento all’istanza di regolamento di competenza, Cass. 7 marzo 1968, n. 747; Cass. 6 aprile 1971, n. 997; Cass. 28 gennaio 1972, n. 216; Cass. 19 settembre 1972, n. 2764; Cass. 24 novembre 1972, n. 3448; Cass. 18 maggio 1973, n. 1439; Cass. 22 maggio 1973, n. 1504; Cass. 7 giugno 1974, n. 1704; Cass. 31 luglio 1977, n. 3262; Cass. 20 gennaio 1984, n. 499; Cass. 7 aprile 1987, n. 3372);
2) ad avviso di un altro più liberale orientamento era stato statuito che l’obbligo del deposito, da parte del ricorrente, di copia autentica della sentenza impugnata (con la relata di notifica) si sarebbe dovuto considerare soddisfatto o quando tale deposito fosse avvenuto contestualmente a quello del ricorso per cassazione, o quando, pur in difetto di tale contestualità, fosse comunque stato effettuato con le modalità fissate dall’art. 372 c.p.c., comma 2, c.p.c. (cfr. Cass. 8 gennaio 1980, n. 125; Cass. 11 maggio 1981, n. 3121; Cass. 18 gennaio 1982, n. 343; Cass. 23 giugno 1986, n. 4172;
Cass. 4 luglio 1986, n. 4388; Cass. 21 ottobre 1995, n. 10959);
3) secondo un ulteriore indirizzo, schieratosi in una posizione intermedia tra i primi due orientamenti indicati, si sarebbe dovuto ritenere che l’onere del deposito della copia autentica della decisione impugnata (in uno alla relazione di notificazione), sanzionato a pena di improcedibilità del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 369 c.p.c., era validamente assolto anche se non intervenuto in modo contestuale rispetto al deposito del ricorso stesso, purchè avvenuto nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso mediante le modalità previste dal cit. art. 372 c.p.c., comma 2 (Cass. 11 dicembre 1986, n. 7380; Cass. 19 dicembre 1996, n. 11361).
A dirimere le oscillazioni diffusesi sulla precisata questione intervennero le Sezioni unite, con la sentenza n. 11932 del 25 novembre 1998, la quale stabilì che la disposizione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2 non impedisce che il deposito della copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione sia effettuato separatamente rispetto al deposito del ricorso (ex art. 372 c.p.c., che consente il deposito autonomo di documenti riguardanti l’ammissibilità del ricorso e che può applicarsi estensivamente anche ai documenti concernenti la procedibilità del ricorso stesso), purchè nel termine perentorio di venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso. La stessa disposizione non consente, però, secondo l’ultimo precedente in commento, di evitare la sanzione dell’improcedibilità mediante equipollenti, quali il deposito da parte del controricorrente di copia della sentenza stessa o l’esistenza della medesima nel fascicolo d’ufficio.
In particolare, la pronunzia delle sezioni unite spiegò che l’indirizzo che ammette quegli equipollenti al deposito non è condivisibile, perchè si pone in inconciliabile contrasto con il dettato dell’art. 369 c.p.c., il quale sancisce l’improcedibilità del ricorso, senza alcuna eccezione, nel caso in cui la copia autentica della sentenza impugnata non sia depositata. Degli altri due indirizzi il più rigoroso è stato ritenuto inaccettabile, giacchè l’obbligo di legge deve ritenersi soddisfatto, sia se il deposito avvenga col ricorso, sia se si verifichi successivamente, purchè nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso stesso alle parti contro le quali esso è proposto (art. 369 c.p.c., comma 1). Lo scopo che si prefigge la norma è, infatti, quello di consentire la verifica della tempestività dell’atto d’impugnazione e la fondatezza dei suoi motivi; la sanzione d’improcedibilità colpisce, perciò, l’inosservanza del termine perentorio e non anche la mancanza di contestualità del ricorso e della decisione impugnata. La norma dell’art. 372 c.p.c., la quale consente il deposito autonomo di documenti riguardanti l’ammissibilità del ricorso, deve ritenersi estensibile ai documenti concernenti la procedibilità del ricorso, considerato che l’art. 375 c.p.c., che prevede la pronuncia d’inammissibilità del ricorso in camera di consiglio, include logicamente anche la declaratoria d’improcedibilità. La giurisprudenza sviluppatasi successivamente sul tema si è uniformata, in modo nettamente prevalente, all’indirizzo tracciato dalla menzionata pronuncia delle Sezioni unite (in tal senso si sono orientate, soprattutto, Cass. 28 ottobre 2000, n. 14240; Cass. 30 marzo 2004, n. 6350; Cass. 22 luglio 2004, n. 13679; Cass. 1 ottobre 2004, n. 19654; Cass. 1 marzo 2005, n. 4248; Cass. 10 marzo 2005, n. 5263; Cass. 4 agosto 2005, n. 16375;
Cass. 18 gennaio 2006, n. 888; Cass. 12 febbraio 2007, n. 3008 e Cass. 12 giugno 2007, n. 13705).
In particolare, nel ribadire il principio, Cass. n. 19654 del 2004 ha escluso la rilevanza dell’eventuale non contestazione dell’osservanza del termine breve da parte del controricorrente, ovvero del deposito da parte sua di una copia con la relata, o, ancora, della presenza di tale copia nel fascicolo d’ufficio, da cui emerga in ipotesi la tempestività dell’impugnazione.
Lo stesso quanto a Cass. n. 888 del 2006, la quale spiega che non è ammesso il recupero di una condizione di procedibilità mancante al momento della scadenza del termine per il deposito del ricorso, la cui ammissibilità condurrebbe a far dipendere la procedibilità del ricorso dal tempo in cui lo stesso è deciso, introducendo nel sistema elementi di alea ed imprevedibilità che sarebbero gravemente pregiudizievoli del principio della certezza del diritto, finendo con il far dipendere il giudizio sull’osservanza delle forme e dei termini, e l’esito stesso del giudizio, da circostanze casuali ed imponderabili. Il termine dell’art. 369 c.p.c., in quanto perentorio, è inoltre improrogabile, e governato dalla regola generale di cui all’art. 153 c.p.c., con la conseguenza che la sanzione dell’improcedibilità non può essere evitata invocando il caso di forza maggiore o fatti imprevedibili non imputabili al ricorrente, essendo la decadenza impedita esclusivamente dall’esercizio del diritto. La conformità della norma in questione ai principi fondamentali dettati dalla Costituzione in relazione alla salvaguardia del diritto di difesa è stata recentemente riaffermata con l’ordinanza n. 22108 del 16 ottobre 2006, in virtù della quale risulta, per l’appunto, ribadito che è manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, nella parte in cui stabilisce che il ricorso per cassazione è improcedibile quando il ricorrente non abbia depositato copia autentica del provvedimento impugnato, sollevata in riferimento all’art. 24 Cost., comma 2, e art. 111 Cost., in quanto la norma mira a garantire, non irragionevolmente, le esigenze di certezza della conformità della copia del provvedimento all’originale, stabilendo un adempimento che non è particolarmente complesso, e non si pone in contrasto con le regole che devono improntare il giusto processo e neppure ostacola apprezzabilmente l’esercizio del diritto di difesa.
Pur in presenza di questo quadro giurisprudenziale, sostanzialmente omogeneo nell’aderire all’indirizzo espresso dalla Sezioni unite con la sentenza n. 11932 del 1998, non sono mancate, nel corso successivo dell’elaborazione giurisprudenziale, delle sporadiche pronunce – evidenziate anche nell’ordinanza di rimessione n. 4229 del 2008 – con le quali è stato ripreso l’orientamento in base al quale può ritenersi legittima la producibilità dei documenti previsti dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, anche oltre il termine previsto dal primo comma della stessa norma, con l’espletamento delle modalità stabilite dall’art. 372 c.p.c., comma 2.
In proposito, con riguardo, ad esempio, all’istanza per regolamento di competenza, l’ordinanza n. 18019 del 17 dicembre 2002 (terza sezione) ha affermato il principio in base al quale “ove il ricorrente non abbia, depositato la copia autentica della ordinanza impugnata con il regolamento di competenza, la relativa istanza non può essere dichiarata, per ciò solo, improcedibile allorchè il fascicolo d’ufficio, tempestivamente richiesto dalla parte al cancelliere dell’ufficio a quo ai sensi dell’art. 47 c.p.c., comma 3, e pervenuto nella cancelleria della Corte di cassazione, contenga l’originale dell’ordinanza impugnata”.
Successivamente, con la più recente sentenza (della sez. tributaria) n. 2452 del 5 febbraio 2007, è stato ritenuto, in riferimento al ricorso in sede di legittimità in generale, che “nel giudizio di cassazione, l’onere, imposto dall’art. 372 c.p.c., comma 2, di notificare alle altre parti l’elenco dei documenti relativi all’ammissibilità del ricorso, che siano stati prodotti successivamente al deposito dello stesso, è inteso a garantire il contraddittorio sulla produzione di parte, e deve pertanto ritenersi adempiuto qualora risulti che tale contraddittorio è stato comunque assicurato: è conseguentemente ammissibile la produzione all’udienza di discussione della documentazione comprovante l’avvenuta notifica della sentenza di secondo grado, e quindi la decorrenza del termine breve per l’impugnazione, qualora tale produzione sia avvenuta alla presenza del difensore della controparte, intervenuto alla medesima udienza”.
Nella relativa motivazione, con riguardo all’aspetto concernente la ritualità della sopravvenuta produzione della sentenza impugnata all’udienza di discussione, si osserva che l’art. 372 c.p.c. prevede che il deposito della documentazione relativa all’ammissibilità del ricorso possa avvenire indipendentemente dal deposito del ricorso e del controricorso e perciò anche successivamente ad essi. E’ vero che in tal caso la norma citata prevede che la documentazione così prodotta venga notificata mediante elenco alle controparti, ma trattasi evidentemente di previsione intesa a garantire il contraddittorio sulla produzione di parte e perciò da ritenersi osservata ogni volta che sul punto il contraddittorio risulti essere stato comunque garantito. Nella specie il contraddittorio risultava garantito, posto che la produzione era avvenuta in udienza, alla presenza del difensore di controparte, che nulla aveva eccepito in proposito.
Da ultimo, con sentenza n. 7027 del 14 marzo 2008, la Sezione lavoro, pronunciandosi in generale sulla questione in esame, ha operato una distinzione tra gli effetti della mancata produzione della sola sentenza impugnata e quelli conseguenti all’omessa tempestiva allegazione congiunta della relata di notificazione, stabilendo che la sanzione dell’improcedibilità del ricorso per cassazione prevista dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, trova applicazione soltanto in riferimento alla prescrizione principale concernente l’onere di produzione di copia autentica della sentenza impugnata e non già rispetto alla ulteriore prescrizione di dettaglio riguardante la produzione della copia con la relazione di notificazione. Secondo la sentenza in commento, ad escludere l’applicazione della sanzione di improcedibilità rispetto alla ipotesi da ultimo menzionata militano plurime ragioni di ordine sistematico e segnatamente: a) la sanzione non sarebbe comunque idonea a garantire il perseguimento dello scopo di consentire la verifica d’ufficio della mancata formazione della cosa giudicata, essendo a tal fine funzionale soltanto l’esplicazione del contraddittorio; b) essa verrebbe irrogata, di regola, proprio quando la verifica del rispetto del termine breve di impugnazione sarebbe consentita dalla produzione della sentenza con la relata di notificazione ad iniziativa del controricorrente; d) ove il ricorrente indichi soltanto, senza documentarla, la data di notificazione della sentenza, non sarebbe ragionevole attribuire rilievo a tale dichiarazione soltanto per la parte pregiudizievole al ricorrente medesimo; c) nel caso di notificazione a mezzo del servizio postale, la sanzione risulterebbe priva di giustificazione giacché, da un lato, la relazione di notificazione non evidenzia affatto la data di perfezionamento della medesima e, dall’altro, la parte destinataria dell’atto non è in possesso, in genere, di un’esauriente ed inequivoca prova documentale di tale data, la cui produzione non è comunque prevista da alcuna norma.
3. – Le ordinanze interlocutorie della terza sezione civile. Tornando alle ordinanze interlocutorie della terza sezione civile, esse si fanno carico di riassumere il percorso giurisprudenziale seguito in quest’ultimo decennio dalla materia in trattazione, evidenziano contrasti o mere distonie emerse nel dibattito, per proporre (soprattutto le due riguardanti il ricorso per cassazione in generale) uno sforzo evolutivo che, in estrema sintesi, dia della improcedibilità una lettura che non faccia del dettato dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, un’altra forma d’inammissibilità e la consideri, invece, una prescrizione ordinata a consentire la prova dell’inammissibilità, sì da trovare integrazione nella norma dell’art. 372 c.p.c., alla stessa stregua di quanto è stato di recente affermato dalle Sezioni unite in ordine alla prova del completamento del procedimento di notificazione (Cass. sez. un. 14 gennaio 2008, n. 627).
Più in particolare, le ordinanze osservano che la funzione della norma è quella di consentire alla Corte, nel momento in cui si tratta di decidere sul ricorso, di stabilire se il ricorrente abbia rispettato, oltre al termine di decadenza di cui all’art. 327 c.p.c., anche il termine di cui all’art. 325 c.p.c., che decorre dalla data in cui la sentenza è notificata e se dunque il ricorso, quando è stato proposto, poteva esserlo o la sentenza era già passata in giudicato. La disposizione detterebbe cioè una norma sul procedimento, che ha una natura strumentale, quella di consentire di verificare se il dovere della Corte di pronunciarsi sul fondo del ricorso è stato reso operante, perché è stata osservata una della serie delle altre norme che dettano le condizioni di ammissibilità originaria del ricorso, in particolare quella sui termini della impugnazione (tant’è che la sanzione che la norma descrive come “improcedibilità” non va applicata, nonostante la avvenuta notificazione della sentenza e la mancata produzione della copia notificata, quante volte il ricorso è proposto nello spazio di sessanta giorni dalla data di pubblicazione della sentenza).
L’improcedibilità sanzionata dalla disposizione processuale in questione potrebbe essere, dunque, intesa – secondo le ordinanze in commento – in due modi: a) la si potrebbe dire una variante verbale dell’inammissibilità (ossia, il legislatore avrebbe inteso imporre la stessa sanzione per la mancata osservanza sia delle condizioni di ammissibilità del ricorso, che vanno osservate nel momento in cui è esso è proposto, sia delle forme imposte a fini di prova di quelle condizioni e la diversa nomenclatura sarebbe in sostanza dovuta ad una preoccupazione di tipo descrittivo, perché il secondo ordine di regole riguarda non il momento in cui il ricorso è proposto, ma il momento in cui va depositato); b) le si potrebbe attribuire, invece, un diverso valore, quello per cui nel momento in cui si tratta di decidere sul fondo del ricorso, la Corte non può procedere oltre nel suo esame, se non sia posta in condizione di verificare se un ricorso, in ipotesi ammissibile, lo sia effettivamente.
L’inosservanza del termine entro il quale va data prova delle condizioni di ammissibilità del ricorso descritte nella norma (ed in particolare di quella che si considera) diverrebbe, allora, rilevante nella fase di decisione del ricorso e la funzione strumentale della norma (di consentire la verifica del rispetto di date condizioni di ammissibilità) permetterebbe di dare rilievo a modalità alternative di accertamento.
Aggiungono le ordinanze che, per come la disposizione è formulata, la norma non impone al ricorrente di dichiarare, nel ricorso, a pena di inammissibilità, se la sentenza gli è stata notificata, ma solo, ed a pena di improcedibilità, di depositare la sentenza con la relazione di notificazione, se questa sia avvenuta. Di qui il possibile verificarsi di una serie di situazioni definite paradossali: a) la parte non dice che la sentenza le è stata notificata, sebbene lo sia stata, e non la produce; l’altra parte non solleva questione circa l’ammissibilità, perché il termine per l’impugnazione è stato rispettato, nè pone la questione dell’improcedibilità per mancato deposito della copia della sentenza notificata;
il rilievo di ufficio dell’improcedibilità e l’applicazione della sanzione sarebbero in questo caso impedite dall’atteggiamento processuale della parte che ne potrebbe profittare; b) la parte non dice che la sentenza le è stata notificata e non la produce; l’altra parte, che lo allega, ha l’onere di dimostrare che la sentenza è stata notificata; la sentenza notificata è prodotta e ne risulta che il termine per l’impugnazione è stato rispettato: se risultasse il contrario il ricorso sarebbe da dichiarare inammissibile; se si attribuisce in questo caso rilievo al fatto in sè che il ricorrente non ha depositato la copia nel termine stabilito dall’art. 369 c.p.c., comma 1, si perverrebbe al risultato paradossale che si deve considerare la Corte impedita dall’esame del fondo del ricorso, nel momento stesso in cui è messa in grado di riscontrare che è ammissibile; c) la parte, che non vi è tenuta, dichiara che la sentenza le è stata notificata in una certa data, perchè la sentenza le è stata notificata, e intende far constare che il termine per la impugnazione è stato rispettato; l’altra parte, perchè non è in condizioni di provare il contrario non lo contesta;
l’applicazione della sanzione di improcedibilità è resa qui possibile dal fatto che il ricorrente confessa che la sentenza gli è stata notificata e perciò dal fatto che è possibile alla Corte rilevare di ufficio che la prescrizione imposta dall’art. 369 c.p.c. non è stata osservata; singolare situazione processuale, in cui le parti concordano sul fatto che la sentenza è stata notificata in data rispetto alla quale il successivo ricorso è tempestivo, che riceve un trattamento diverso da quello in cui lo stesso consenso si forma sul fatto che non sia stata notificata o il ricorso sia tempestivo rispetto alla data in cui lo è stata e le parti sono talmente d’accordo sul punto che ne tacciono. Come sarebbe paradossale che (in modo non diverso da quanto accade nel caso b) la Corte debba risultare impedita dall’esaminare il fondo del ricorso nel momento stesso in cui la parte dimostra la ammissibilità del ricorso, producendo la copia notificata, in risposta al preannunzio della sanzione di improcedibilità, che avrà dovuto esserle fatto con la relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., applicabile al caso della dichiarazione di improcedibilità, non diversamente che al caso della, dichiarazione di inammissibilità (ambedue da comprendersi nella previsione di cui all’art. 375 c.p.c., n. 2, nel testo riformulato, come prima in base all’art. 138 disp. att.).
4. – La dottrina.
In dottrina, a fronte di autori che esaltano il carattere perentorio del termine fissato dall’art. 369 c.p.c. e la conseguente impossibilità di convalidare ogni atto intervenuto dopo la sua scadenza ed altri che escludono qualsiasi interferenza tra gli artt. 372 e 369 c.p.c. (così da negare pure la possibilità del deposito della sentenza impugnata separatamente dal ricorso e nel termine dell’art. 369 c.p.c., comma 1), altri, più recentemente, hanno aderito ad una ricostruzione meno rigida, individuando degli spazi di operatività di una possibile sanatoria dell’omissione riconducibile al mancato deposito tempestivo della copia autentica della decisione impugnata corredata della relata di notificazione, per come prescritto dal cit. art. 369 c.p.c.. E’ proprio questa dottrina che, nel fornire supporto alle ordinanze interlocutorie in commento, sostiene l’applicabilità alla specifica disciplina del ricorso per cassazione del generalissimo principio di strumentalità delle forme, con tutti i suoi corollari, ivi inclusa la generale sanabilità delle inosservanze di forme per raggiungimento dello scopo (consentire la verifica della tempestività del ricorso e la fondatezza dei suoi motivi). Ecco, dunque, che non sarebbe possibile individuare alcuna ragione sostanziale, riconducibile alle funzioni della Corte (o del p.m.), che imponga di anticipare tassativamente al momento del deposito del ricorso, o comunque nel termine per il deposito del ricorso stesso, la copia autentica della sentenza impugnata (con la relata di notifica, se avvenuta); per l’altro, che se tale copia autentica è stata depositata dal controricorrente o è inserita nel fascicolo d’ufficio, la Corte sarebbe perfettamente in grado, al momento della decisione (e il pubblico ministero al momento in cui deve esprimere le proprie conclusioni), di valutare la tempestività dell’impugnazione e la fondatezza dei motivi di ricorso, proprio come avrebbe fatto in ipotesi di deposito tempestivo da parte del ricorrente. Insomma, il deposito da parte del controricorrente e/o la presenza della sentenza nel fascicolo d’ufficio opererebbero come causa di sanatoria dell’improcedibilità per raggiungimento dello scopo dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, relativamente alle funzioni della Corte e del pubblico ministero.
5. – La soluzione della questione.
Dalla disamina che s’è svolta in precedenza appare evidente che intorno alla questione dibattuta si scontrano due grandi linee di pensiero: una che riconosce nel processo e nelle sue forme una funzione eminentemente pubblicistica, tesa a dettare regole che ne consentano l’ordinato svolgimento e che, come tali, non ammettono equipollenti e non sono disponibili dalle parti; un’altra, sostanzialistica, che guarda allo scopo della regola, alla strumentalità delle forme e, dunque, alla possibilità di sanarne gli effetti sanzionatori nel caso in cui quello scopo sia stato comunque raggiunto, oppure la relativa violazione non risulti contestata dalla parte che ne abbia interesse.
Non v’è dubbio che l’improcedibilità è una sanzione, certamente grave, stabilita dalla legge processuale nel caso in cui il contendente non assolva ad un onere che gli è imposto perché il processo prosegua. La parte è investita del potere di far procedere la propria azione, purché lo faccia secondo determinate modalità ed in determinati termini. Scaduti questi, il potere cessa e scatta la sanzione. Sul punto è imprescindibile il collegamento con l’art. 387 c.p.c., il quale sancisce che il ricorso dichiarato inammissibile o improcedibile non può essere riproposto “anche se non è scaduto il termine fissato dalla legge”. Neppure v’è dubbio che la lettera della disposizione normativa della quale s’è finora discusso non offre spazi interpretativi. L’art. 369 c.p.c. sanziona con l’improcedibilità il tardivo deposito del ricorso, così come sanziona “sempre a pena d’improcedibilità” (la frase è significativa della continuazione di un unico discorso) il mancato deposito di una serie di atti, tra i quali il decreto di concessione del gratuito patrocinio, la copia autentica del provvedimento impugnato con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta, la procura, se questa è conferita con atto separato rispetto al ricorso, gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fonda. Con un deciso stacco, non è, invece, richiesto a pena di improcedibilità il deposito dell’istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio alla cancelleria della Corte.
Il discorso sull’improcedibilità del ricorso per cassazione non può dunque prescindere dall’intero contesto in cui essa è sancita, dovendo riguardare tutte le ipotesi previste dalla disposizione normativa e non solo quella del n. 2, comma 2. Una prima riflessione proviene dalla risposta che fornì la Corte costituzionale (sent. n. 471 del 1992) quando questa stessa S.C. le rimise il giudizio di costituzionalità dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 3 dubitando della ragionevolezza della prescrizione di un termine perentorio per il deposito della procura speciale e stimando la correlata sanzione d’improcedibilità sproporzionata rispetto ad un onere che, sebbene legato da un rapporto di necessaria funzionalità rispetto al processo, costituiva pur sempre una formalità non finalizzata al perseguimento di un interesse connesso con la tutela di valori essenziali o comunque equivalenti a quello sacrificato. In quell’occasione il giudice delle leggi dichiarò inammissibile la questione di costituzionalità, sul rilievo che il giudice remittente, chiedendo di superare la perentorietà del termine previsto dall’art. 369 c.p.c., finiva in sostanza per domandare una pronunzia di tipo additivo, comportante la possibilità di applicare sanatorie al mancato o tardivo deposito della procura speciale, così introducendo nel processo innovazioni di carattere politico che solo al legislatore è consentito apportare.
Ed, infatti, il legislatore, ove riconosca la sussistenza in concreto di uno specifico interesse pubblico che ne giustifichi l’adozione, può legittimamente imporre all’esercizio di facoltà e di poteri processuali limitazioni temporali immutabili ed irreversibili, per il fatto che i termini perentori, cui sono connaturati i caratteri dell’improrogabilità e dell’insanabilità, tendono a garantire, oltre alla fondamentale esigenza di giustizia relativa alla celerità o alla speditezza dei processi, un’effettiva parità dei diritti delle parti in causa mediante il contemperamento dell’esercizio dei rispettivi diritti di difesa. Tendono a garantire, soprattutto, la certezza del giudicato.
Sembra al collegio che medesimo discorso debba farsi riguardo all’ipotesi dell’art. 369 c.p., comma 2, n. 2 (della cui legittimità costituzionale, come s’è già visto in precedenza, questa Corte non ha in passato dubitato).
Un discorso che, per altro verso, non può prescindere dalla specialissima caratteristica del giudizio di cassazione, dal suo rilievo costituzionale, dalla sua assoluta differenza rispetto ai giudizi di merito, dalla speciale procura della quale deve essere munito il difensore, dagli speciali motivi di impugnazione nei quali deve articolarsi il ricorso introduttivo, dalle speciali pronunzie attraverso cui la Corte si esprime. Non può omettersi di considerare che il fine del giudizio di cassazione è la nomofilachia (come esplicitamente rimarcato dalle recenti riforme legislative), che il caso concreto sottoposto al giudizio di legittimità non è altro che un’occasione perché la Corte enunci il principio di diritto ed eserciti così il suo potere regolatore. Come pure non deve essere trascurato il carattere altamente tecnico del dibattito instaurato con il ricorso, tant’è che il recente legislatore ha introdotto l’onere per il ricorrente di formulare quesiti di diritto a pena d’inammissibilità.
In quest’ottica, appare affatto ragionevole che il legislatore abbia imposto delle regole rigide a chi intende innescare un siffatto tipo di processo, che – si badi – dopo la fase introduttiva, retta dalle poche regole sulla procedibilità, si svolge tutto in maniera officiosa.
Tra queste regole v’è, appunto, quella che assegna al ricorrente l’onere di depositare in termine la sentenza impugnata con la relazione di notificazione, se questa v’è stata. Non è in discussione che la disposizione abbia lo scopo di consentire alla Corte di verificare la tempestività del ricorso e, dunque, un requisito d’ammissibilità. Sicuramente, se il ricorso o l’istanza di regolamento di competenza fossero proposti nel termine rispettivo di sessanta o di trenta giorni dal deposito del provvedimento impugnato neppure si porrebbe il problema del deposito del provvedimento stesso notificato o del biglietto di cancelleria da cui evincersi la relativa comunicazione. Così come neppure si pone il problema nel caso in cui il ricorrente non dichiari affatto che la sentenza gli è stata notificata e non la produca (in tal modo intendendo avvalersi del termine lungo per impugnare) e la controparte nulla eccepisca in merito.
Tuttavia, la circostanza che lo scopo della disposizione possa essere raggiunto anche in altri modi (attraverso gli equipollenti dei quali s’è ampiamente detto in precedenza) o che esso possa essere soddisfatto dalla mancata contestazione della controparte non può portare all’estrema conseguenza di disattivare la precisa ed in equivoca regola del rito.
Non c’è regola che non abbia un suo scopo e se non l’avesse sarebbe incostituzionale in quanto irragionevole, discriminatoria, impeditiva del giusto processo e della giustizia sostanziale. Qui il problema non è lo scopo (indiscusso), il problema sono i tempi. Ossia, v’è da chiedersi perché il legislatore abbia ristretto nei venti giorni un onere di deposito di atti che servono per verificare l’ammissibilità del ricorso; ammissibilità che potrebbe essere verificata anche dopo quel termine, prima della discussione, all’esito della discussione, al momento della decisione.
La risposta la si è già data in precedenza: perché quello di cassazione è un giudizio diverso e speciale rispetto a quello di primo e secondo grado, denotato da celerità, da semplicità, da quasi totale officiosità.
D’altronde, una volta scardinata la regola dell’improcedibilità, bisognerebbe ipotizzare l’uso senza tempo dello strumento dell’art. 372 c.p.c., oppure rimettere il gioco nelle mani del contraddittore.
Ma non solo, si potrebbe giungere ad estendere il dettato dell’art. 182 c.p.c. ed immaginare che il deposito degli atti possa essere effettuato dietro invito del giudice anche dopo l’inizio della discussione, se non addirittura al termine dell’udienza, attraverso l’emissione di un’ordinanza interlocutoria che rimetta la parte in termine per il deposito.
Tutto questo, l’estensione di forme di sanatoria all’art. 369 c.p.c. rimesse all’autonomia delle parti o all’intervento collaborativo del giudice, è immaginabile ed è possibile. Si possono eliminare tutte le cause d’improcedibilità o distinguere tra quelle sanzionate con termine perentorio e quelle sanabili, si può pensare al provvedimento di sanatoria in camera di consiglio o in udienza, si può fissare un termine finale per l’esercizio del potere giudiziale di regolarizzazione. Però, tutto questo può farlo solo il legislatore, perché – come ebbe a dire la già citata sentenza costituzionale – significa modificare l’attuale ruolo del giudice di legittimità ed, inoltre, scegliere discrezionalmente tra un’estrema molteplicità di modalità d’attuazione.
Se ci si pone in quest’ottica, appare chiaro che l’improcedibilità non è una “variante verbale dell’inammissibilità” (come ipotizzano due delle ordinanze interlocutorie in commento), non è una sorta di tagliola tesa dal legislatore al ricorrente, ma è la sanzione per la mancata osservanza di una regola imposta ai fini della prova delle condizioni di ammissibilità. Prova che il legislatore vuole che sia sin dall’inizio fornita dal ricorrente, in maniera da porre subito la Corte nella possibilità di delibare, anche mediante l’apposito procedimento camerale predisposto, l’ammissibilità del ricorso.
Se ci si pone in quest’ottica, i risultati ai quali si può pervenire attraverso l’applicazione del dettato normativo non sono affatto paradossali (ossia delle conclusioni che, per la contrarietà con le previsioni, appaiono sorprendenti ed incredibili) ma l’ovvia conseguenza sanzionatoria di un comportamento contrario ad una regola d’accesso (peraltro neppure estremamente gravosa) che il legislatore ha ritenuto appropriata al tipo di processo. E che il processo per cassazione richieda dei meccanismi selettivi d’accesso che ne favoriscano il rapido esito è una preoccupazione che tuttora affligge il legislatore, il quale di recente è intervenuto (ed in questi giorni si sta nuovamente adoperando) per introdurre nuovi sistemi filtranti. Neppure questa lettura della norma potrebbe dirsi contraria ai principi del giusto processo, costituzionalizzati dall’art. ili Cost. (come adombra una delle ordinanze di rimessione), posto che il giusto processo è quello “regolato dalla legge” e che, se per un verso deve tendere il più possibile al conseguimento di una giustizia sostanziale, per altro verso deve svolgersi in termini ragionevoli, per rispettare i quali è indispensabile porre preclusioni ed oneri a carico delle parti. Il principio di ragionevole durata del processo è stato definito “asse portante” (Cass. sez. un. n. 24883 del 2008, sulla nuova lettura dell’art. 37 c.p.c.) nella lettura delle norme processuali, che, per quanto rivolto al legislatore, ben può fungere da parametro interpretativo e costituzionale rispetto a quelle disposizioni del rito le quali – rispetto al fine primario del processo che consiste nella realizzazione del “diritto delle parti ad ottenere una risposta, affermativa o negativa, in ordine al bene della vita, oggetto della loro contesa” (v. Corte Cost. n. 77 del 2007 cit.) – prevedano rallentamenti o tempi lunghi, inutili passaggi di atti da un organo all’altro, formalità superflue non giustificate da garanzie difensive, nè da esigenze repressive o di altro genere. E non v’è dubbio che procrastinare fino al momento della discussione (o anche dopo) la produzione di atti utili all’indagine sull’ammissibilità, che la parte, invece, avrebbe potuto sin dall’inizio mettere a disposizione del giudice, senza sforzi particolarmente gravosi, comporta un inutile e dannoso rallentamento della procedura, senza per nulla, dall’altro verso, comprimere garanzie difensive o impedire il conseguimento di una risposta in ordine alla contesa.
Allora, ammettere equipollenti al tempestivo deposito contraddirebbe la previsione dell’onere di deposito a pena di improcedibilità, quale adempimento che deve essere eseguito entro il termine per il deposito del ricorso, in funzione dell’ordinato e celere svolgimento del giudizio di cassazione ed, inoltre, metterebbe la sorte del giudizio di cassazione nelle mani del controricorrente, dalla cui decisione di produzione della suddetta copia con la relata dipenderebbe la procedibilità. Nè, in riferimento ai suddetti equipollenti, potrebbe giustificarsi l’esclusione della sanzione di improcedibilità sulla base del principio del raggiungimento dello scopo della previsione dell’indicata produzione, cioè considerandosi che diviene possibile la valutazione della tempestività dell’impugnazione. A tale applicazione di uno dei principi regolatori della disciplina generale delle nullità formali osta, infatti, la circostanza che l’adempimento dell’onere del deposito della copia con la relata di notifica è assoggettato, come si è detto, al termine di deposito del ricorso e, pertanto, lo scopo della previsione di tale onere (da identificarsi nella messa a disposizione della Corte di cassazione della copia della sentenza con la relata entro quel termine) non potrebbe apparire raggiunto per effetto del deposito avvenuto con il controricorso dell’intimato della copia con detta relata o della sua presenza nel fascicolo d’ufficio, collocandosi detti eventi dopo la scadenza di quel termine.
Un’ultima annotazione riguarda l’invito, fatto da due delle ordinanze di rimessione in commento, ad applicare alla fattispecie in trattazione gli stessi principi affermati dalla recente Cass. sez. un. 14 gennaio 2008, n. 627, in tema di produzione dell’avviso di ricevimento del piego raccomandato contenente la copia del ricorso per cassazione spedita per la notificazione a mezzo del servizio postale, ai sensi dell’art. 149 c.p.c., o della raccomandata con la quale l’ufficiale giudiziario da notizia al destinatario dell’avvenuto compimento delle formalità di cui all’art. 140 c.p.c. La sentenza ha ritenuto che questa produzione è richiesta dalla legge esclusivamente in funzione della prova dell’avvenuto perfezionamento del procedimento notificatorio e, dunque, dell’avvenuta instaurazione del contraddittorio e ne ha fatto derivare che l’avviso non allegato al ricorso e non depositato successivamente può essere prodotto fino all’udienza di discussione di cui all’art. 379 c.p.c., ma prima che abbia inizio la relazione prevista dal primo comma della citata disposizione, ovvero fino all’adunanza della Corte in camera di consiglio di cui all’art. 380 bis c.p.c., anche se non notificato mediante elenco alle altre parti ai sensi dell’art. 372 c.p.c., comma 2.
Il collegio ritiene che il richiamo a questa diversa vicenda non sia conferente. Infatti, in caso di notifica a mezzo posta, il deposito dell’avviso di ricevimento del piego raccomandato rappresenta l’unica prova dell’effettivo compimento del procedimento notificatorio del ricorso e, dunque, dell’avvenuta instaurazione del contraddittorio.
Come tale serve a dimostrare l’ammissibilità del ricorso e l’art. 372 c.p.c. stabilisce che “il deposito dei documenti relativi all’ammissibilità può avvenire indipendentemente da quello del ricorso”, laddove, invece, l’art. 369 c.p.c. assegna al ricorrente (a pena d’improcedibilità) l’onere di depositare (tra l’altro) la copia della sentenza notificata “insieme col ricorso”. Ecco perchè, nel primo caso, le sezioni unite hanno ritenuto che la produzione possa avvenire fino all’udienza di discussione e che l’omessa notifica dell’elenco di cui all’art. 372 c.p.c., comma 2, integri una violazione di carattere meramente formale, cui non consegue la inutilizzabilità del documento.
Si tratta, dunque, di due vicende affatto differenti che non possono soggiacere allo stesso trattamento.
In conclusione e riepilogando quanto finora detto, le sezioni unite intendono confermare la decisione alla quale pervennero già con la sentenza n. 11932 del 1998, che offre la soluzione più equilibrata per regolare la vicenda; e, dunque, il riscontro dell’osservanza, da parte della Corte di cassazione, si atteggia, evidentemente, in maniera diversa, secondo che la parte ricorrente alleghi espressamente (enunciando la circostanza nel ricorso) oppure implicitamente (producendo copia autentica della sentenza impugnata, recante la relata di notificazione idonea ai fini del decorso del termine per l’impugnazione) che la sentenza, contro cui ricorre, sia stata notificata; oppure non formuli alcuna allegazione.
Nel primo caso, (fermo che non pone problemi l’allegazione implicita, atteso che essa soddisfa senz’altro il precetto legislativo), l’allegazione espressa del ricorrente determina a suo carico l’onere (in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, citato n. 2 ed in ottemperanza alla regola di giudizio sull’onere della prova, applicata alla dimostrazione dei presupposti e delle condizioni di regolarità del processo) di depositare la copia autentica della sentenza con la relata di notificazione, unitamente al ricorso (o anche – a norma dell’art. 372 c.p.c., comma 2, applicabile estensivamente ai documenti concernenti la procedibilità del ricorso – separatamente, ma comunque entro il termine di cui al primo comma dell’art. 369 c.p.c.). Ove tale produzione non avvenga, la sanzione della improcedibilità non è eludibile, non solo per effetto della mancata contestazione da parte dell’intimato che abbia resistito al ricorso, ma anche attraverso equipollenti, come il deposito di una copia con la relata di notifica da parte del controricorrente o come la circostanza che nel fascicolo d’ufficio trasmesso dal giudice a quo risulti inserita una copia con detta relata.
Nell’ipotesi di mancata allegazione da parte del ricorrente del fatto dell’avvenuta la notificazione della sentenza impugnata e di produzione soltanto della copia autentica della sentenza stessa, la Corte di cassazione deve, invece, ritenere che il ricorrente abbia esercitato il diritto di impugnazione entro il termine lungo ed il suo potere di riscontro della tempestività di detto esercizio si accentrerà su tale verifica.
Qualora, tuttavia, o per eccezione dell’unica o di alcuna delle parti controricorrenti (che rilevino che, invece, era avvenuta la notificazione e producano la copia della sentenza con la relata della stessa) o, anche in difetto di tale eccezione, sulla base dell’esame delle produzioni delle parti (cioè sia del ricorrente, sia di parti controricorrenti) o anche dello stesso fascicolo d’ufficio, la Corte riscontri che la sentenza impugnata era stata notificata ai fini del decorso del termine di impugnazione, indipendentemente dal riscontro della tempestività o meno dell’esercizio del diritto di impugnazione rispetto al termine breve decorrente da quella notificazione, essa deve rilevare che la parte ricorrente non ha ottemperato all’onere di deposito della copia notificata della sentenza e dichiarare la improcedibilità del ricorso (rilievo che precede quello dell’eventuale inammissibilità dell’impugnazione, eccepita o meno che sia, per l’intempestività del ricorso in relazione al termine breve dalla notificazione decorso). Per questi ultimi concetti, cfr. soprattutto la già citata Cass. n. 19654 del 2004.
Tutte le ragioni sopra esposte possono essere opportunamente adeguate al ricorso per regolamento di competenza, per quanto già affermato in precedenza sub I.1.. Sicché, posto che l’art. 47 c.p.c., nel sancire che, nel termine perentorio di venti giorni dalla notificazione del ricorso, la parte che propone l’istanza di regolamento “deve depositare nella cancelleria il ricorso con i documenti necessari”, fa inequivoco riferimento all’art. 369 c.p.c., bisogna ritenere che, a pena d’improcedibilità, la stessa parte, al fine di consentire alla Corte di verificare la tempestività dell’impugnazione, debba depositare il biglietto di cancelleria insieme con il ricorso, oppure con le modalità indicate dall’art. 372 c.p.c., comma 2, ma pur sempre nel termine di venti giorni stabilito dall’art. 369 c.p.c., comma 1.
In sintesi, possono essere enucleati i seguenti principi:
– Nell’ipotesi in cui il ricorrente per cassazione non alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, la Corte di cassazione deve ritenere che il ricorrente abbia esercitato il diritto di impugnazione entro il cd. termine lungo e procedere all’accertamento della sua osservanza. Tuttavia, qualora o per eccezione del controricorrente o per le emergenze del diretto esame delle produzioni delle parti o del fascicolo d’ufficio emerga che la sentenza impugnata era stata notificata ai fini del decorso del termine di impugnazione, la Corte, indipendentemente dal riscontro della tempestività o meno del rispetto del termine breve, deve rilevare che la parte ricorrente non ha ottemperato all’onere del deposito della copia notificata della sentenza impugnata entro il termine di cui al primo comma dell’art. 369 c.p.c. e dichiarare improcedibile il ricorso, atteso che il riscontro della improcedibilità del ricorso per cassazione precede quello dell’eventuale sua inammissibilità;
– La previsione – di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, – dell’onere di deposito a pena di improcedibilità, entro il termine di cui al primo comma della stessa norma, della copia della decisione impugnata con la relazione di notificazione, ove questa sia avvenuta, è funzionale al riscontro, da parte della Corte di Cassazione – a tutela dell’esigenza pubblicistica (e, quindi, non disponibile dalle parti) del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale – della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, è esercitatile soltanto con l’osservanza del cosiddetto termine breve. Nell’ipotesi in cui il ricorrente, espressamente od implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di notificazione, il ricorso per cassazione dev’essere dichiarato improcedibile, restando possibile evitare la declaratoria di improcedibilità soltanto attraverso la produzione separata di una copia con la relata avvenuta nel rispetto dell’art. 372 c.p.c., comma 2 applicabile estensivamente, purchè entro il termine, di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1, e dovendosi, invece, escludere ogni rilievo dell’eventuale non contestazione dell’osservanza del termine breve da parte del controricorrente ovvero del deposito da parte sua di una copia con la relata o della presenza di tale copia nel fascicolo d’ufficio, da cui emerga in ipotesi la tempestività dell’impugnazione.
In tema di ricorso per regolamento di competenza, l’obbligo del deposito, da parte del ricorrente, unitamente alla copia autentica della sentenza impugnata, del biglietto di cancelleria da cui desumere la tempestività della proposizione dell’istanza di regolamento (obbligo fissato, a pena di improcedibilità, dal combinato disposto dell’art. 47 c.p.c. e dell’art. 369 c.p.c., comma 2) può essere soddisfatto o mediante il deposito del predetto documento contestualmente a quello del ricorso per cassazione (come previsto, per l’appunto, dall’art. 369 c.p.c. citato, comma 2) oppure attraverso le modalità previste dall’art. 372 c.p.c., comma 2 (deposito e notifica mediante elenco alle altre parti), purché nel termine stabilito dall’art. 369 c.p.c., comma 1.
Il ricorso per regolamento di competenza nella specie proposto deve essere, dunque, dichiarato improcedibile, siccome il biglietto di cancelleria non è stato depositato né insieme con il ricorso, né, separatamente, nel termine di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1.
La mancata difesa della parte intimata esime la Corte dal provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte dichiara improcedibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 17 marzo 2009.
Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2009