Cass. civ. Sez. V, (ud. 09-07-2008) 03-10-2008, n. 24622

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente

Dott. CICALA Mario – Consigliere

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere

Dott. DI BLASI Antonino – rel. Consigliere

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE ed AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, nei cui Uffici, in Roma, Via dei Portoghesi, 12 sono elettivamente domiciliati;

– ricorrenti –

contro

C.C.A. – COOPERATIVA CUSTODI AUTOMOBILI S.C.A.R.L., con sede in (OMISSIS), in Liquidazione Coatta Amministrativa, in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 04 della Commissione Tributaria Regionale di Genova – Sezione n. 17, in data 25/01/2005, depositata il 24/02/2005;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 09 luglio 2008 dal Relatore Cons. Dott. Antonino Di Blasi;

Vista la richiesta scritta del Sostituto Procuratore Generale, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo
La società contribuente, impugnava in sede giurisdizionale la cartella esattoriale, portante carico tributario, derivante da avviso di rettifica IVA, – relativo all’anno 1994 -, in precedenza notificato e non impugnato.

L’adita Commissione Tributaria Provinciale di Genova, accoglieva il ricorso, con decisione che veniva confermata in appello dalla CTR. In particolare, quest’ultima, riteneva di dover confermare l’operato dei Giudici di primo grado, – che avevano annullato la cartella esattoriale -, anzitutto, in accoglimento della preliminare eccezione, secondo cui il presupposto avviso di accertamento non era stato regolarmente notificato a mani delle persone, abilitate alla ricezione ex art. 145 c.p.c., di poi, anche per le ragioni di merito, esplicitate nell’appellata decisione.

Con ricorso notificato l’11-15 aprile 2006, il Ministero e l’Agenzia hanno chiesto la cassazione dell’impugnata decisione.

L’intimata, non ha svolto difese in questa sede.

Con istanza 30.01.2007, il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto l’accoglimento del ricorso, per manifesta fondatezza, ex art. 375 c.p.c..

Motivi della decisione
La Corte;

Visto il ricorso, come sopra proposto e notificato, con cui l’impugnata decisione viene censurata per violazione e falsa applicazione dell’art. 145 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, e per omessa o insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia, nonchè per motivazione apparente ed illogica, violazione dell’art. 100 c.p.c., D.P.R. n. 602 del 1973, art. 30, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, ed omessa motivazione su punto decisivo della controversia;

Vista la richiesta del Sostituto Procuratore Generale;

Considerato che l’impugnazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze è a ritenersi inammissibile, in quanto non è stato parte nel giudizio di appello – cui ha partecipato solo l’Agenzia delle Entrate di (OMISSIS) – ed il ricorso risulta notificato l’11-15 aprile 2006, quindi, dopo la data dell’1 gennaio 2001, a decorrere dalla quale l’Agenzia delle Entrate è subentrata all’Amministrazione delle Finanze nei rapporti giuridici già facenti capo a quest’ultima;

Ritenuto che i Giudici di appello hanno confermato la decisione di primo grado, con argomentazione non coerente con il consolidato orientamento giurisprudenziale e sulla base di generiche espressioni di condivisione della decisione di primo grado;

Considerato, infatti, sotto il primo profilo, che l’affermazione della CTR – secondo la quale la notifica della cartella era a ritenersi nulla, per essere stata effettuata a mani di un socio e non già di alcuno dei soggetti contemplati nell’art. 145 c.p.c., si pone in contrasto con il principio secondo cui “La disposizione dell’art. 46 c.c., secondo cui, qualora la sede legale della persona giuridica sia diversa da quella effettiva, i terzi possono considerare come sede della persona giuridica anche quest’ultima, vale anche in tema di notificazione, con conseguente applicabilità dell’art. 145 c.p.c.; ne consegue che, ai fini della regolarità della notificazione di atti a persona giuridica presso la sede legale o quella effettiva, è sufficiente che il consegnatario sia legato alla persona giuridica stessa da un particolare rapporto che, non dovendo necessariamente essere di prestazione lavorativa, può risultare anche dall’incarico, eventualmente provvisorio o precario, di ricevere la corrispondenza – sicché, qualora dalla relazione dell’Ufficiale Giudiziario o postale risulti in alcuna delle predette sedi la presenza di una persona che si trovava nei locali della sede stessa, è da presumere che tale persona fosse addetta alla ricezione degli atti diretti alla persona giuridica, anche se da questa non dipendente, laddove la società, per vincere la presunzione in parola, ha l’onere di provare che la stessa persona, oltre a non essere alle sue dipendenze, non era addetta neppure alla ricezione di atti, per non averne mai ricevuto incarico alcuno” (Cass. n. 12754/2005, n. 11804/2002);

Considerato, altresì, per l’altro aspetto, che la mera espressione di condivisione della decisione di primo grado nel merito, non assolve all’obbligo motivazionale, non risultando indicati i concreti elementi utilizzati, al fine di riconoscere la legittimità e fondatezza delle doglianze della contribuente;

Considerato, in proposito, che costituisce principio consolidato e condiviso, sia quello secondo cui “la motivazione di una sentenza per relationem ad altra sentenza, è legittima quando il giudice, riportando il contenuto della decisione evocata, non si limiti a richiamarla genericamente ma la faccia propria con autonoma e critica valutazione” (Cass. n. 1539/2003; n. 6233/2003; n. 2196/2003; n. 11677/2002), sia pure quell’altro secondo cui è configurabile l’omessa motivazione, “quando il giudice di merito omette di indicare nella sentenza gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza una approfondita disamina logico- giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento (Cass. n. 890/2006, n. 1756/2006, n. 2067/1998);

Considerato, in buona sostanza, che le espressioni adoperate dalla C.T.R. non solo appaiono inadeguate sotto il profilo giuridico e della coerenza logico formale, rivelando un sintomo d’ingiustizia nella soluzione della questione di fatto, ma pure rivelano decisive pretermissioni di elementi, che ove esaminate e valutate, avrebbero, ragionevolmente, potuto indurre ad un diverso decisum;

Considerato, conclusivamente, che il ricorso va, per tali ragioni, accolto, con assorbimento di ogni altro profilo di doglianza, e, per l’effetto cassata l’impugnata sentenza, la causa va rinviata ad altra sezione della C.T.R. della Liguria, la quale, procederà al riesame e, attenendosi ai richiamati principi, pronuncerà, anche sulle spese del presente giudizio di legittimità, motivando congruamente.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze; accoglie l’impugnazione dell’Agenzia delle Entrate, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio, ad altra sezione della C.T.R. della Liguria.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2008.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2008


Cass. pen. Sez. VI, (ud. 17-06-2008) 01-10-2008, n. 37354

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGINIO Adolfo – Presidente

Dott. OLIVA Bruno – Consigliere

Dott. SERPICO Francesco – Consigliere

Dott. MILO Nicola – rel. Consigliere

Dott. COLLA Giorgio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) E.A., nato (OMISSIS);

2) F.M., nato (OMISSIS);

3) D.R., nato (OMISSIS);

4) FI.Ma., nato (OMISSIS);

avverso la sentenza 25/10/2007 della Corte d’Appello di Torino;

Visti gli atti, la sentenza denunziata e i ricorsi;

Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dr. Nicola Milo;

udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DELEHAYE E., che ha concluso per il rigetto dei ricorsi di E. e F. e l’annullamento senza rinvio per D. e Fi. per non avere commesso il fatto;

udito il difensore di p.c. avv. R. Borasio, che ha concluso per il rigetto o l’inammissibilità dei ricorsi;

uditi i difensori dei ricorrenti avv. MUSSA C. (per E. e F.), avv. C. Rossa e avv. M. Pellerino (per D. e Fi.), che hanno concluso per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con riferimento al solo aspetto che è oggetto della sollecitata verifica di legittimità, va rilevato, in punto di fatto, che, a seguito di gravame del P.M., la Corte d’Appello di Torino, con sentenza 25/10/2007, in riforma – tra l’altro – della decisione assolutoria con formula di merito (fatto non costituisce reato) emessa – il 7/4/2006 – dal locale Tribunale, dichiarava non doversi procedere nei confronti di E.A., F.M., D.R. e Fi.Ma. in ordine al reato di abuso d’ufficio rubricato originariamente sotto il capo a), perchè estinto per prescrizione.

L’addebito mosso agli imputati è di avere, l’ E. quale sindaco di (OMISSIS), il F. quale segretario generale, il D. e il Fi. quali componenti della Giunta comunale, adottato, tra il 1995 e il 1999, una serie di atti, in palese violazione di legge, finalizzati a danneggiare la dirigente del detto Comune, Dr.ssa B.M., invisa ai detti amministratori, la quale venne esonerata dalle funzioni esercitate (vice segretario, collaborazione esterna con l’Associazione dei Comuni) e assegnata – il 5/10/1999 -all’Ufficio Studi, istituito con decreto sindacale del successivo 3 novembre, a cui faceva seguito la Delib. Giunta 1 dicembre 1999, Ufficio rimasto assolutamente inoperativo, tanto che, nel 2001, a seguito del commissariamento del Comune, la B. venne destinata a sovrintendere anche la ripartizione commercio.

Il Giudice distrettuale, all’esito di un’approfondita analisi dei vari atti amministrativi adottati e sulla base delle testimonianze acquisite agli atti, evidenziava che “l’affrettata scelta di assegnare la B. all’Ufficio Studi non ancora costituito, quindi l’istituzione ex novo di detta struttura organizzativa in via d’urgenza, da parte del sindaco e poi da parte della Giunta… nascondeva di fatto la volontà di allontanare anche fisicamente dal palazzo comunale la funzionaria, senza con ciò mirare al raggiungimento… di un fine di pubblico interesse, essendo stato conseguito con tale scelta l’esatto contrario in termini di pubblica utilità”.

Hanno proposto ricorso per cassazione, tramite i rispettivi difensori, gli imputati. Il D. e il Fi. hanno denunciato la violazione della legge processuale, con riferimento all’art. 521 c.p.p., comma 2 e art. 522 c.p.p., avendo la sentenza ricostruito la vicenda relativa all’istituzione dell’Ufficio Studi in maniera difforme da quella oggetto di contestazione. Tutti, poi, hanno dedotto la violazione della legge penale e di altre norme di cui si deve tenere conto nell’applicazione della stessa, sostenendo, con argomentazioni varie e articolate, che nella loro condotta sarebbe difettato il requisito della “violazione di legge o di regolamento” e, quindi, uno degli elementi strutturali del reato contestato, e hanno lamentato, inoltre, la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

I ricorsi non sono fondati.

La doglianza di natura processuale del D. e del Fi. è priva di pregio.

Osserva, invero, la Corte che per aversi mutamento del fatto, con conseguente violazione del principio di correlazione di cui all’art. 521 c.p.p., occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti di difesa. Conseguentemente l’indagine volta ad accertare la violazione del principio richiamato non va esaurita nel pedissequo e mero confronto letterale tra contestazione e sentenza, ma deve tenersi conto della concreta possibilità avuta dall’imputato, attraverso l’iter del processo, di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione, circostanza quest’ultima verificatasi nella specie nel corso della lunga e approfondita istruttoria dibattimentale, con l’effetto che la denunciata violazione della regola processuale deve ritenersi del tutto insussistente.

Quanto al merito della vicenda, deve rilevarsi che la sentenza impugnata fa buon governo della legge penale e della normativa di riferimento, chiarendo che gli imputati, nel rispettivo ruolo ricoperto, posero in essere, nel disporre l’assegnazione della dr.ssa B. all’istituendo Ufficio Studi e la successiva istituzione dello stesso presso il Comune di Carmagnola, una serie di violazioni di legge, con l’unico intento, concretamente conseguito, di emarginare la detta funzionaria che, per il suo spirito di indipendenza da qualsiasi pressione politica, non era gradita all’Organo esecutivo del Comune e al segretario generale F., che affiancava ed ispirava l’azione del primo. Non manca la sentenza, inoltre, di motivare sotto il profilo fattuale, in maniera adeguata e logica, la conclusione alla quale perviene in relazione al ritenuto abuso d’ufficio posto in essere dagli imputati, illecito – però – dichiarato estinto per prescrizione. I corrispondenti motivi di ricorso non tolgono valenza agli argomenti in fatto e diritto su cui riposa la sentenza di merito.

Quanto alla deduzione difensiva, fatta anche nel corso dell’odierna discussione orale, del D. e del Fi. circa la loro asserita buona fede e l’errore scusabile sulla legge extrapenale, essendosi essi limitati a prendere parte all’atto deliberativo della Giunta, ritenendolo perfettamente regolare, e circa il connesso vizio di motivazione su tali specifici punti della sentenza di merito, va osservato che, stante la causa estintiva del reato, non è rilevabile in questa sede il denunciato vizio della sentenza impugnata, perché, pur a volerlo ritenere meritevole di una qualche considerazione, ciò comporterebbe l’inevitabile rinvio della causa all’esame del giudice di merito, il che è incompatibile con l’obbligo dell’immediata declaratoria di proscioglimento, ex art. 129 c.p.p., comma 1, per intervenuta estinzione del reato.

Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento in solido delle spese processuali. Non essendo stata mai pronunciata, nei precedenti gradi di merito, la condanna degli imputati per il reato loro ascritto, non possono porsi a loro carico, almeno allo stato, le spese sostenute dalla costituita parte civile, spese che dovranno essere liquidate, in base al relativo esito, nell’eventuale giudizio civile che potrà instaurarsi tra le parti contrapposte.

P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2008.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2008


Cass. pen. Sez. feriale, (ud. 26-08-2008) 01-09-2008, n. 34503

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE FERIALE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE ROBERTO Giovanni – Presidente

Dott. ESPOSITO Antonio – Consigliere

Dott. KOVERECH Oscar – Consigliere

Dott. MACCHIA Alberto – Consigliere

Dott. GAZZARA Santi – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) R.P. N. IL (OMISSIS);

2) S.J. N. IL (OMISSIS);

avverso SENTENZA del 17/01/2008 CORTE APPELLO di PALERMO;

visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. MACCHIA ALBERTO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FEBBRARO Giuseppe, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
OSSERVA

Con sentenza del 17 gennaio 2008, la Corte di appello di Palermo, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Termini Imerese, Sezione distaccata di Cefalù, il 5 maggio 2007 nei confronti di R.P. e S.J., ha escluso la circostanza aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 7, confermando la pena di mesi sei di reclusione ed Euro 300,00, di multa inflitta nei confronti del predetti quali imputati del delitto di furto di capi di abbigliamento commesso con destrezza.

Propone ricorso per cassazione il difensore deducendo vari motivi di ricorso. Nel primo, riproponendo questione già sollevata e disattesa nel gravame di merito, rileva che, contrariamente all’assunto della Corte territoriale doveva essere ritenuta valida la dichiarazione di domicilio effettuata dagli imputati presso il consolato tedesco contestando la fondatezza della tesi secondo la quale la elezione di domicilio avvenga in Italia. Pertanto, le notificazioni dovevano essere effettuate presso il domicilio dichiarato dagli imputati, e cioè presso il consolato tedesco. Si contesta, poi, la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 4, e si lamenta, infine, che i giudici dell’appello, pur eliminando l’aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 7, abbiano mantenuto inalterato il trattamento sanzionatorio, senza svolgere sul punto adeguata motivazione.

Il ricorso è manifestamente infondato. A proposito del primo motivo, va infatti qui ribadito che deve essere ritenuta invalida ed inidonea agli scopi di legge l’elezione di domicilio presso una ambasciata od un consolato straniero, non essendo consentito procedere a notificazione in detti luoghi, caratterizzati da extraterritorialità (Cass., Sez. 3, 27 giugno 2007, Musaraj; Cass., Sez. 2, 13 gennaio 1986, Chasar). Le restanti censure si rivelano, da un lato, del tutto generiche, dall’altro inconsistenti, avuto riguardo alla più che esauriente motivazione che i giudici del merito hanno svolto per asseverare la sussistenza della aggravante della destrezza – alla luce della più che consolidata giurisprudenza consolidatasi sul punto – ed in merito alla determinazione di mantenere inalterato il trattamento sanzionatorio stabilito nella sentenza di primo grado;

trattamento che i giudici a quibus hanno, con motivazione incensurabile nella presente sede, reputato adeguato alla vicenda ed ai parametri di legge, stante il mantenuto giudizio di equivalenza che ha “sterilizzato”, agli effetti della pena, il risalto della residua circostanza aggravante.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro 1.000,00 ciascuno, alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 26 agosto 2008.

Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2008


Cass. civ. Sez. II, (ud. 29-04-2008) 29-08-2008, n. 21816

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.I., elettivamente domiciliata in ROMA VIA CARLO MIRABELLO 14, presso lo studio dell’avvocato MARINO GIANCARLO, che la difende, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ROMA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3126/05 del Giudice di pace di ROMA del 18.1.05, depositata il 24/01/05;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio il 29/04/08 dal Consigliere Dott. MIGLIUCCI Emilio;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott. UCCELLA Fulvio, che ha concluso per la manifesta fondatezza del ricorso, con ogni ulteriore provvedimento come per legge.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
V.I. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del Giudice di Pace di Roma dep. il 24 gennaio 2005 che aveva rigettato l’opposizione dalla medesima proposta avverso il verbale di contravvenzione elevato per violazione dell’art. dell’art. 146 C.d.S..

Il Giudice di Pace riteneva provato in base al verbale di contravvenzione, che l’opponente aveva proseguito la marcia nonostante che la lanterna semaforica proiettasse al momento del suo passaggio luce rossa.

Non ha svolto attività difensiva l’intimato.

Attivatasi procedura ex art. 375 cod. proc. civ., il Procuratore Generale ha inviato richiesta scritta di accoglimento del ricorso per manifesta fondatezza.

Deve, infatti, accogliersi l’unico motivo con cui la ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 cod. proc. civ., n. 3) nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 cod. proc. civ., n. 5),avendo la sentenza basato il proprio convincimento sull’efficacia fino querela di falso del verbale di contravvenzione, la cui veridicità poteva essere inficiata da un eventuale errore nella percezione della realtà.

Occorre considerare che con riferimento al verbale di accertamento di una violazione del codice della strada, l’efficacia di piena prova fino a querela di falso, che ad esso deve riconoscersi – ex art. 2700 cod. civ., in dipendenza della sua natura di atto pubblico – oltre che quanto alla provenienza dell’atto ed alle dichiarazioni rese dalle parti, anche relativamente “agli altri fatti che il pubblico ufficiale che lo redige attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti”, non sussiste nè con riguardo ai giudizi valutativi che esprima il pubblico ufficiale, nè con riguardo alla menzione di quelle circostanze relative a fatti i quali, in ragione delle loro modalità di accadimento repentino, non si siano potuti verificare e controllare secondo un metro sufficientemente obbiettivo, ed abbiano pertanto potuto dare luogo ad una percezione sensoriale implicante margini di apprezzamento, come nell’ipotesi in cui quanto attestato dal pubblico ufficiale concerna non la percezione di una realtà statica (come la descrizione dello stato dei luoghi, senza oggetti in movimento), bensì – come appunto nella specie – l’indicazione di un corpo o di un oggetto in movimento, con riguardo allo spazio che cade sotto la percezione visiva del verbalizzante (Cass. 457/2006;

1408/2005, 3522/1999).

Il giudicante,erroneamente attribuendo efficacia di prova munita di fede privilegiata al verbale di contravvenzione ex art. 2700 cod. civ., ha ritenuto provati i fatti senza compiere i necessari accertamenti, non ammettendo la prova testimoniale articolata dall’opponente.

Il ricorso va accolto;

La sentenza va cassata,con rinvio,anche per le spese della presente fase, al Giudice di Pace di Roma in persona di altro magistrato.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese della presente fase, al Giudice di Pace di Roma in persona di altro magistrato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 aprile 2008.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2008


Cass. civ. Sez. II, (ud. 05-06-2008) 28-08-2008, n. 21778

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere

Dott. TROMBETTA Francesca – Consigliere

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA VIA MONSERRATO 34, presso lo studio dell’avvocato ARACHI TOMMASO, che lo difende unitamente all’avvocato UGO VESCIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

TELECOM ITALIA SPA, in persona del procuratore Speciale Dott.ssa S.B., elettivamente domiciliata in ROMA VIA D. CHELINI 5, presso lo studio dell’avvocato NUCCI FRANCESCO, che la difende unitamente all’avvocato LORENZO CASONI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 1206 bis/03 del Tribunale di FIRENZE, Sez. Stralcio depositata il 18/04/03 (R.G. 94/99);

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/06/08 dal Consigliere Dott. Emilio MIGLIUCCI;

udito l’Avvocato NUCCI Francesco, difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

Svolgimento del processo
Con sentenza n. 11685/1997 la Corte di Cassazione annullava con rinvio l’ordinanza pronunciata dal Tribunale di Firenze ai sensi della L. n. 794 del 1942, art. 30, relativamente al credito per prestazioni professionali azionato con decreto ingiuntivo dall’avv. P.G. nei confronti della Telecom Italia s.p.a. che aveva proposto opposizione;

riassunto dalla Telecom Italia s.p.a il giudizio di rinvio, che era celebrato in contumacia del P., questi con provvedimento emesso dal Tribunale di Firenze l’11 aprile 2003, veniva condannato restituire le somme percepite in più rispetto al credito di cui era stato riconosciuto titolare.

Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il P. sulla base di un unico motivo.

Resiste con controricorso Telecom Italia s.p.a. che ha depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione
Va innanzitutto disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla resistente secondo cui, essendosi il giudizio di rinvio svoltosi secondo il rito ordinario, il provvedimento aveva natura di sentenza, natura che era confermata dal tipo di numerazione dell’atto: pertanto era suscettibile del rimedio impugnatorio dell’appello.

Al riguardo occorre considerare che il provvedimento impugnato è stato emesso all’esito del giudizio di rinvio dalla Cassazione che aveva annullato l’ordinanza emessa ai sensi della L. n. 742 del 1942, art. 30; orbene, il giudizio di rinvio costituisce prosecuzione del giudizio conclusosi con il provvedimento impugnato ed è regolato delle medesime norme che disciplinano quest’ultimo: l’eventuale inosservanza di tale disciplina o del rito prescritto può assumere rilievo eventualmente per dedurre i vizi del provvedimento ma non può incidere sulla sua natura.

Nella specie,in cui il giudice di rinvio ha pronunciato l’ordinanza all’esito del procedimento ex L. n. 742 del 1942, è del tutto irrilevante la numerazione dell’atto come sentenza.

Con l’unico motivo il ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 139 cod. proc. civ., denuncia la nullità del procedimento (art. 360 cod. proc. civ., n. 4) per inesistenza della notificazione dell’atto di riassunzione del giudizio di rinvio che gli era stato notificato – secondo quanto da lui casualmente appreso -in (OMISSIS) corso (OMISSIS) con consegna al Dr. A.A. presso studio, in luogo diverso da quello in cui il medesimo ha la residenza ((OMISSIS) via (OMISSIS)) e da quello da lui eletto nel corso del procedimento; d’altra parte non era indicata la relazione fra il ricorrente e colui che ebbe a ricevere l’atto notificato ex art. 139 cod. proc. civ..

Il motivo è fondato.

Occorre rilevare che l’atto di riassunzione del giudizio di rinvio,nel quale l’attuale ricorrente non ebbe a costituirsi, è risultato notificato al P. in (OMISSIS) corso (OMISSIS) che, secondo l’originale depositato dalla resistente, venne consegnato al Dott. A.A. addetto allo studio che ne cura la consegna: al riguardosa considerato che nel caso di discordanza tra i dati emergenti dalla copia dell’atto restituita a colui che ha richiesto la notificazione e quelli emergenti dalla copia dell’atto consegnato al destinatario, per stabilire se si sia verificata una decadenza a carico del primo deve aversi riguardo all’originale a lui restituito, mentre per stabilire se si sia verificata una decadenza a carico del secondo, deve aversi riguardo alla copia a lui consegnata (Cass. 20783/2006).

Nella specie, dovendo verificarsi se sia incorsa in decadenza la Telecom nel procedere alla riassunzione del giudizio di rinvio, occorre fra riferimento all’atto restituito ed in possesso del soggetto notificante.

1. Ciò premesso, va innanzitutto disatteso il rilievo formulato dalla resistente secondo cui, atteso che tutti i contatti fra le parti si erano svolti esclusivamente presso quello che era lo studio del legale del ricorrente ubicato in (OMISSIS) corso (OMISSIS), nell’ambito del rapporto contrattuale intercorso fra la parti il professionista doveva ritenersi a tutti gli effetti ivi domiciliato.

L’art. 141 cod. proc. civ., che regola la notificazione presso il domiciliatario, va coordinato con l’art. 47 cod. civ., secondo cui il domicilio eletto rappresenta una deroga al domicilio legale, atteso che la norma prevede che la dichiarazione di elezione di domicilio deve riguardare determinati atti o affari ed essere espressa per iscritto in modo in equivoco (Cass. 13987/2003).

Pertanto, non può ritenersi che la notificazione sia stata effettuata a quello che la resistente ha erroneamente considerato il domicilio eletto con riferimento al rapporto contrattale intercorso fra le parti, atteso che sarebbe stata al riguardo necessaria una specifica dichiarazione del P. secondo le forme di cui sopra si è detto.

2. In realtà, dalla documentazione in atti (corrispondenza intercorsa fra le parti; estratto albo ordine avvocati Pistoia), che può essere direttamente esaminata dalla Corte in considerazione della natura processuale del vizio denunciato – è emerso che il ricorrente aveva in (OMISSIS) corso (OMISSIS) il proprio studio legale.

Orbene,indipendentemente dalle modalità e dalla qualità della persona che ebbe a ricevere l’atto, la notificazione effettuata direttamente allo studio del professionista, cioè in uno del luoghi indicati in ordine successivo dall’art. 139 cod. proc. civ., anziché alla residenza (non coincidente con il primo), è da ritenere affetta da nullità ma non è certo inesistente, atteso che: a) è inesistente la notificazione fatta a soggetto o in luogo totalmente estraneo al destinatario, mentre è nulla e suscettibile di sanatoria quella effettuata in luogo o a persona che, pur diversi da quelli indicati dalla norma processuale, abbiano un qualche riferimento con il destinatario dell’atto (Cass. 17587/2007; 17555/2007); b) poiché l’ordine dei luoghi indicati dall’art. 139 cod. proc. civ., commi 1 e 6, per la notifica – se non possibile in mani proprie, ai sensi dell’art. 138 cod. proc. civ. – è in successione preferenziale, soltanto se la residenza e il domicilio del destinatario sono nello stesso luogo la notifica può effettuarsi alternativamente nell’una o nell’altro; se invece i rispettivi luoghi sono diversi, la notifica nel domicilio è nulla, se la residenza non è ignota (Cass. 1753/2005); c) costituisce onere del notificante compiere le ricerche anagrafiche necessarie per accertare la residenza effettiva del destinatario dell’atto da notificare.

Nella specie, il vizio della notificazione era, pertanto sanabile con la rinnovazione dell’atto che, non essendosi costituito il P., doveva essere disposta dal giudice ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ., la nullità della notificazione dell’atto di riassunzione ha comportato la conseguente nullità del giudizio di rinvio e del provvedimento impugnato che va cassato con rinvio, anche per le spese della presente fase, al Tribunale di Firenze in persona di altro magistrato.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso cassa l’ordinanza impugnata e rinvia, anche per le spese della presente fase, al Tribunale di Firenze in persona di altro magistrato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 giugno 2008.

Depositato in Cancelleria il 28 agosto 2008


Cass. civ. Sez. lavoro, (ud. 15-05-2008) 07-08-2008, n. 21380

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SENESE Salvatore – Presidente

Dott. CELENTANO Attilio – Consigliere

Dott. ROSELLI Federico – rel. Consigliere

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.C., elettivamente domiciliato in ROMA VIA PALESTRO 56, presso lo studio dell’avvocato MARCHESE FAUSTA, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.R.A.S. – CENTRO ROMANO ASSISTENZA SANITARIA S.R.L., già C.R.A.S. –

Centro Romano Assistenza Sanitaria S.n.c. – in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZALE CLODIO 12, presso lo studio dell’avvocato AGOSTA GIUSEPPE, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3671/04 della Corte d’Appello di ROMA, depositata il 25/09/04 R.G.N. 8018/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/05/08 dal Consigliere Dott. Federico ROSELLI;

udito l’Avvocato DE CIANTIS per delega AGOSTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SALVI Giovanni che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Con sentenza del 25 settembre 2004 la Corte d’appello di Roma, informa della decisione emessa dal Tribunale, rigettava la domanda proposta da M.C. contro la s.r.l. Centro romano assistenza Sanitaria (Cras) onde ottenere l’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato, il pagamento di differenze retributive e la dichiarazione di illegittimità del licenziamento con la conseguente condanna risarcitoria.

La Corte osservava essere risultato dall’istruzione probatoria come il M. lavorasse quale autista di ambulanza secondo turni settimanali diurni o notturni, con compenso variabile in relazione alle ore di lavoro svolte. Indice dell’assenza di subordinazione era la libertà di non presentarsi al lavoro ossia l’assenza di un obbligo di giustificare le essenze.

Contro questa sentenza ricorre per cassazione il M. mentre la s.r.l. Cras resiste con controricorso.

Il ricorrente ha presentato memoria.

Motivi della decisione
Col terzo motivo, logicamente precedente, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2094 cod. civ., per non avere la Corte d’appello considerato la totale assenza del rischio economico a carico del lavoratore, guidatore di ambulanze appartenenti alla datrice di lavoro ed inserito nella organizzazione produttiva della medesima ed inoltre nel avere escluso l’obbligo di giustificare le assenze, senza alcuna concreta verifica.

Il motivo è fondato.

Nella sentenza impugnata la Corte d’appello ha escluso la subordinazione del rapporto di lavoro in questione svalutando l’inserimento del lavoratore in turni di servizio, ed al contrario valorizzando l’astratta mancanza dell’obbligo di giustificai e le assenze nonchè la variabilità del compenso in relazione alle ore di lavoro effettive.

Così tacendo la Corte ha dato risalto ad elementi non decisivi, trascurando per contro ogni accertamento di elementi determinanti.

E’ infatti costante e risalente giurisprudenza della Corte che l’autonomia del rapporto di lavoro, anche nella forma attenuata della cosiddetta parasubordinazione, vada esclusa quando il prestatore di lavoro non disponga di un’organizzazione imprenditoriale sia pure in termini minimi e non sopporti pertanto alcun rischio economico. In altre parole la continuità e coordinazione dell’attività lavorativa con quella del committente, propria della para subordinazione (art. 409 cod. proc. civ.), non può risolversi nella mera esecuzione di lavoro, priva di un minimo di auto organizzazione e di rischio (Cass. 15 dicembre 1979 n. 6543, 13 gennaio 1981 n. 303, 26 maggio 1983 n. 3650, 18 dicembre 1996 n. 11339, 27 marzo 2000 n. 3674).

Nel caso di specie questo elemento è stato trascurato dal collegio di merito, che, dovendo qualificare il rapporto di lavoro di un autista al servizio di un’impresa, ha omesso di verificare la proprietà dell’autovettura o delle autovetture adoperate nonché il soggetto onerato delle spese il gestione (carburante, pezzi di ricambio, lubrificanti).

Il collegio ha altresì omesso di accertare se l’autista prendesse contatto diretto coi clienti e intascasse i compensi pagati da loro.

Il detto, necessario accertamento avrebbe consentito di valutare meglio elementi di per sè non decisivi, quale l’inserimento di turni di servizio, compatibile bensì con la parasubordinazione ma connaturato con la subordinazione.

Quanto all’assenza dell’obbligo di giustificare le assenze oppure del potere disciplinare altrui, assai spesso invocati dalla parte interessata a negare la subordinazione, essi possono assumere valore indiziario solo se verificati in concreto, ossia quando la parte interessata provi assenze e non esecuzione della prestazione lavorativa concretamente rimaste prive di effetti (Cass. 2 giugno 1999 n. 5411, 9 ottobre 2000, n. 13452).

Non indicativa, infine, è la variabilità del compenso, che tuttavia di solito indica la subordinazione se corrisposto a scadenze fisse.

L’obliterazione di tutti questi criteri induce alla cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla stessa Corte d’appello di Roma che, in diversa composizione, giudicherà uniformandosi al seguente principio di diritto:

“Per escludere la subordinazione del rapporto di lavoro prestato con continuità e coordinamento con altro soggetto è necessario che il giudice di merito accerti il rischio economico a carico del lavoratore e così ad esempio che resti a suo carico l’acquisto o l’uso dei materiali necessari a lavorare o che il rapporto con i terzi utenti venga da lui instaurato e gestito. Quanto all’assenza dell’obbligo di giustificare assenze, quale indice della mancanza di subordinazione, è necessario l’accertamento negativo in concreto delle conseguenze disciplinari”.

Gli altri motivi di ricorso rimangono assorbiti.

Il giudice di merito provvederà anche sulle spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa con rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2008.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2008


Cass. civ. Sez. II, (ud. 29-04-2008) 30-06-2008, n. 17915

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere

Dott. BERTUZZI Mario – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.M., elettivamente domiciliato in ROMA VIA FEDRO 52, presso il proprio studio, rappresentato e difeso da se stesso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ROMA, in persona del Sindaco pro tempore On.le V. W., elettivamente domiciliato in ROMA VIA TEMPIO DI GIOVE 21, presso l’Avvocatura Comunale, rappresentato e difeso dall’avvocato CECCARANI BRUNO, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 39712/05 del Giudice di pace di ROMA, depositata il 29/09/05;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio il 29/04/08 dal Consigliere Dott. Mario BERTUZZI;

lette le conclusioni scritte dal Sostituto Procuratore Generale Dott. Rosario Giovanni RUSSO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso in epigrafe indicato per manifesta fondatezza, dei motivi posti a suo fondamento.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con atto notificato il 27.6.2006, L.M. ricorre, sulla base di un unico motivo, per la cassazione della sentenza del giudice di pace di Roma del 29.9.2005, che aveva respinto l’opposizione da lui proposta avverso la cartella esattoriale che gli intimava il pagamento una somma a titolo di sanzione amministrativa per alcune violazioni del codice della strada, rigettando il motivo di opposizione che lamentava la nullità della notifica dei verbali di contestazione, avvenuta ai sensi dell’art. 139 cod. proc. civ..

L’intimato Comune di Roma si è costituito con controricorso.

Attivata procedura ex art. 375 cod. proc. civ., gli atti sono stati trasmessi al Procuratore Generale, che ha concluso per la trattazione del ricorso in camera di consiglio e per il suo accoglimento per manifesta fondatezza.

Con l’unico motivo, il ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 139 cod. proc. civ. e art. 201 C.d.S. e vizio di motivazione, censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto regolari le notifiche dei verbali di accertamento delle infrazioni avvenute a mani del portiere dello stabile ai sensi dell’art. 139 cod. civ. senza verificare, in risposta alle deduzioni dell’opponente, se i relativi verbali dessero arto del mancato rinvenimento del destinatario nella sua casa di abitazione e della successiva infruttuosa ricerca di persone di famiglia o addette alla casa e se fosse stata poi data comunicazione al destinatario dell’avvenuta notificazione a mezzo di invio di lettera raccomandata.

Il motivo è manifestamente fondato.

Come questa Corte ha già avuto modo d’evidenziare, in caso di notifica nelle mani del portiere, l’ufficiale giudiziario deve dare atto, oltre che dell’inutile tentativo di consegna a mani proprie per l’assenza del destinatario, delle vane ricerche delle altre persone preferenzialmente abilitate a ricevere l’atto, onde, nel riferire al riguardo, sebbene non debba necessariamente fare uso di formule sacramentali, deve, nondimeno, attestare chiaramente l’assenza del destinatario e dei soggetti rientranti nelle categorie contemplate dall’art. 139 cod. proc. civ., comma 2 la successione preferenziale dei quali è tassativamente prevista, con l’effetto che è nulla la notificazione nelle mani dei portiere quando, come nel caso di specie, la relazione dell’ufficiale giudiziario non contenga l’attestazione del mancato rinvenimento delle persone indicate nella norma citata (Cass. S.U., 30.5.2005, n. 11332).

La notificazione avvenuta a mani del portiere dello stabile ai sensi dell’art. 139 cod. proc. civ., comma 3 è altresì nulla quando sia mancato l’avviso al destinatario dell’avvenuta notificazione a mezzo di lettera raccomandata (Cass. 24.7.92 n. 8920; Cass. 7.6.78 n. 2847).

In proposito va precisato che nella notificazione effettuata non a mani proprie del destinatario ex art. 139 cod. proc. civ. si deve distinguere, al fine di stabilire l’essenzialità dell’avviso d’avvenuta notifica al destinatario a mezzo di lettera raccomandata, l’ipotesi di cui al comma 2, per la quale tale formalità non è necessaria, da quella di cui al comma 3, per la quale è, invece, necessaria in quanto espressamente prescritta dal successivo quarto comma, in ragione del minore affidamento prestato dal legislatore alla consegna dell’atto notificando a mani del portiere o del vicino di casa in luoghi diversi dall’ambiente proprio della sfera di stretto dominio del destinatario, tanto da indurlo a disporre, oltre alla sottoscrizione dell’originale da parte dei consegnatari, anche la spedizione, appunto, della raccomandata al destinatario.

Nell’ipotesi prevista dall’art. 139 cod. proc. civ., comma 3 l’omessa spedizione della raccomandata stabilita dal comma 4 costituisce, pertanto, non una mera irregolarità, ma un vizio dell’attività dell’ufficiale giudiziario che, salvi gli effetti della consegna dell’atto dal notificante all’ufficiale giudiziario medesimo, comporta la nullità della notificazione nei riguardi del notificato, il quale legittimamente può dedurne in giudizio gli effetti a sè favorevoli.

Il ricorso va pertanto accolto, non avendo il giudice a quo, pur sollecitato dalle ragioni dell’opposizione, compiuto una verifica completa delle condizioni previste dalla legge, a pena di nullità, per il procedimento di notificazione dei verbali di contestazione nella specie seguito; la sentenza è quindi cassata, con rinvio ad altro giudice di pace di Roma, che si atterrà, nel decidere, alle prescrizioni di diritto sopra enunciate e provvedere anche alla liquidazione delle; spese di giudizio.

P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese, ad altro giudice di pace di Roma.

Così deciso in Roma, il 19 aprile 2008.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2008


Cass. pen. Sez. V, (ud. 08-05-2008) 11-06-2008, n. 23623

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NARDI Domenico – Presidente

Dott. CARROZZA Arturo – Consigliere

Dott. FERRUA Giuliana – Consigliere

Dott. OLDI Paolo – Consigliere

Dott. SCALERA Vito – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.V., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza emessa il 29.11.07 dalla Corte di appello di Napoli;

Visti gli atti, la sentenza denunciata ed il ricorso;

Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Giuliana Ferrua;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Delehaye Enrico, che ha concluso per la declaratoria di inammissibiltà del ricorso.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con sentenza 22.9.05 il Tribunale di Nola dichiarava A. V. responsabile, quale impiegato presso il Comune di Acerra:

a) di tentata truffa ex art. 56 c.p., art. 640 c.p., comma 2, n. 1, per avere posto in essere atti idonei e diretti in modo non equivoco ad indurre in errore il citato ente locale mediante artifici e raggiri, ossia facendo apparire la sua presenza in ufficio in determinati giorni ovvero il suo stato di malattia, mentre in realtà svolgeva attività presso un esercizio commerciale, per procurarsi l’ingiusto profitto consistente in indebita retribuzione di giornate lavorative, ai danni del Comune; B) di falso ex artt. 476 e 479 c.p., per avere falsamente attestato, mediante sistema di rilevazione delle presenze e tramite certificato medico, la sua presenza presso l’ufficio comunale o la propria malattia; con la continuazione e le generiche prevalenti lo condannava a pena ritenuta di giustizia.

Tale decisione veniva confermata dalla Corte di appello di Napoli con sentenza 29.11.07 avverso la quale ha a proposto ricorso per Cassazione l’imputato, deducendo vizio di motivazione in punto responsabilità con riguardo ad entrambi i reati.

La Corte osserva.

Le violazioni sub B non sussistono.

Invero i cartellini segnatempo e i fogli di presenza non costituiscono atto pubblico (Cass. S.U. 11.4.06 n. 15983 Rv. 233423);

per quanto concerne il certificato è indiscusso che in effetti l’imputato soffrisse di asma bronchiale e d’altro canto non risulta che in detto documento fosse attestata come effettuata una visita:

stante la genericità dello stesso deve escludersi la ricorrenza del falso.

Per il resto le censure sono infondate.

Invero, nel provvedimento impugnato v’è richiamo a plurimi dati, rappresentati da deposizioni e servizi di appostamento, alla luce dei quali emerge che il prevenuto svolgeva attività presso il Bar Commercio, sia al banco sia alla cassa, mentre egli aveva fatto credere di essere in ufficio ovvero impedito per malattia.

In conclusione s’impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per i reati sub B perché i fatto non sussiste; con riguardo ai fatti sub A il ricorso va rigettato e d, conseguenza s’impone l’annullamento della decisione con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio, non potendo a tanto provvedere questa Corte in quanto il reato più grave e stato eliminato.

P.Q.M.
LA CORTE Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati sub B (falsi) perchè il fatto non sussiste; annulla la medesima sentenza con rinvio per rideterminazione del trattamento sanzionatorio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.

Così deciso in Roma, il 7 maggio 2008.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2008


Cass. civ. Sez. II, (ud. 11-04-2008) 03-06-2008, n. 14668

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VELLA Antonio – Presidente

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – rel. Consigliere

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

UFFICIO TERRITORIALE GOVERNO TRAPANI, in persona del Prefetto pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

C.F.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 488/03 del Giudice di pace di TRAPANI, depositata il 08/09/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/04/08 dal Consigliere Dott. Lucio MAZZIOTTI DI CELSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo
L’Ufficio Territoriale del Governo di Trapani ha impugnato per cassazione la sentenza 8/9/2003 con la quale il giudice di pace di Trapani, in accoglimento dell’opposizione proposta da C.F., annullava i verbali di contravvenzione redatti da agenti della Polizia di Stato per violazione degli artt. 158, 154 e 172 C.d.S.. Il giudice di pace osservava: che due agenti della Polizia di Stato, a bordo di un’autovettura civile, avevano affiancato l’autovettura condotta dalla C. alla quale avevano poi contestato alcune violazioni di norme dettate dal C.d.S.; che le dette violazioni erano state però contestate oralmente in quanto gli agenti erano sprovvisti dell’apposito modulario; che il descritto operato degli agenti era affetto da nullità radicale ed insanabile; che non era consentito limitare, in pregiudizio della opponente, la possibilità di difendersi soltanto con una querela di falso.

L’intimata C.F. non ha svolto attività difensiva in sede di legittimità.

Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso l’Ufficio Territoriale del Governo di Trapani denuncia violazione degli artt. 200 e 201 C.d.S., nonchè del D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, artt. 384 e 385, deducendo che esiste una distinzione tra i tre momenti dell’operazione dell’accertamento della violazione, ossia contestazione, verbalizzazione e consegna del verbale. La contestazione avviene di regola in forma orale il che si è verificato nel caso di specie per cui la C. ha avuto la possibilità di esprimere le proprie osservazioni nel momento di detta contestazione. La redazione materiale del verbale e la sua consegna alla C. sono state posticipate per una impossibilità oggettiva, ossia la mancanza del modulario da parte degli agenti al momento della contestazione: ciò non ha comportato alcuna violazione di legge. Nel verbale gli agenti hanno specificato il motivo della mancata redazione dello stesso al momento dell’accertamento. Tale precisazione non era neanche necessaria posto che l’art. 200 C.d.S., esige di regola la contestazione immediata e non l’immediatezza della verbalizzazione la cui redazione può essere impossibile anche nell’ipotesi in cui gli agenti non abbiano momentaneamente il modulario.

Il motivo è fondato.

Occorre premettere che, come rilevato dal ricorrente, la questione relativa alla mancata redazione del verbale di contravvenzione – e della mancata consegna immediata di detto verbale subito dopo la relativa contestazione al trasgressore – è stata già affrontata da questa Corte la quale al riguardo ha affermato che: a) l’operazione di accertamento delle violazione al C.d.S., si, sviluppa nei tre momenti della contestazione, della verbalizzazione e della consegna della copia del verbale; b) la contestazione deve essere immediata con la conseguenza che ogni qualvolta tale contestazione sia possibile, essa non può essere omessa, a pena d’illegittimità dei successivi atti del medesimo procedimento; c) tuttavia l’art. 201 C.d.S., contempla l’eventualità che l’immediata contestazione dell’infrazione non risulti in concreto possibile e stabilisce che, in tale ipotesi, il verbale debba essere notificato al trasgressore con l’indicazione della circostanza impeditiva; d) la “verbalizzazione” è operazione distinta e successiva, rispetto alla già “avvenuta” contestazione; e) a norma del terzo comma dell’art. 200 C.d.S., copia del verbale deve essere consegnata al trasgressore; f) la contestazione deve ritenersi immediatamente avvenuta, anche se la consegna del verbale (per validi motivi) non segua nello stesso contesto di tempo, allorquando il contravventore sia stato fermato ed il pubblico ufficiale gli abbia indicato la violazione commessa e lo abbia posto in grado di formulare le proprie osservazioni (nei sensi suddetti, sentenza 21/11/2002 n. 16420).

Nel caso in esame non risulta contestato che la C. è stata fermata dagli agenti della Polizia di Stato i quali le hanno di persona ed immediatamente contestato le violazioni accertate consentendole di formulare osservazione e di illustrare argomenti a propria discolpa. Nessuna violazione o limitazione al diritto di difesa della C. è derivata dalla mancata immediata redazione del verbale della già avvenuta contestazione, verbale che è stato poi notificato all’interessata con l’espressa precisazione che gli agenti accertatori non avevano potuto redigere apposito verbale al momento della contestazione delle infrazioni “per mancanza di formulario a seguito”.

Si tratta di una motivazione valida e logicamente plausibile tenuto conto che – come riportato nella stessa sentenza impugnata – gli agenti accertatori facevano parte della Polizia di Stato e si trovavano a bordo di un’autovettura civile “per motivi di controllo del territorio” e, quindi, per svolgere compiti ulteriori rispetto a quelli della regolazione del traffico, della prevenzione e dell’accertamento delle violazioni in tema di circolazione stradale.

D’altra parte non risulta che la C. nei motivi di opposizione abbia specificato quale delle garanzie previste dalla legge per la difesa delle ragioni del trasgressore sarebbero state sacrificata o compressa in virtù della contestazione verbale delle infrazioni.

Deve quindi ritenersi che – al contrario di quanto affermato dal giudice di pace – alla ricorrente le infrazioni in questione siano state personalmente ed immediatamente contestate in modo corretto dagli agenti accertatori con l’indicazione delle norme violate e con la possibilità per la C. di formulare contestualmente osservazioni e di sollevare eccezioni ed obiezioni in ordine all’operato degli agenti.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2700 c.c., e artt. 221 e 313 c.p.c., deducendo che il giudice di pace ha errato nel ritenere che le risultanze del verbale di contestazione – relative ad accertamenti di fatto senza valutazioni e apprezzamenti discrezionali – potessero essere smentite da una mera dichiarazione di parte. I verbali in questione fanno invece fede fino a querela di falso per quanto riguarda la vericità delle affermazioni ivi contenute.

Il motivo è fondato nei sensi e nei limiti di seguito precisati.

Al riguardo va rilevato che costituisce principio ormai pacifico che nel giudizio di opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione irrogativa della sanzione amministrativa, il verbale di accertamento dell’infrazione fa piena prova, fino a querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale rogante come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento o da lui compiuti, nonchè alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale e alle dichiarazioni delle parti; non è, invece, necessario, in applicazione della disciplina di cui agli artt. 2699 e 2700 c.c., l’esperimento del rimedio predetto ove si intenda contestare la verità sostanziale di quanto dichiarato dalle parti medesime, o i giudizi valutativi espressi dal pubblico ufficiale, ovvero quelle circostanze dallo stesso menzionate relativamente ai fatti avvenuti in sua presenza, che possono risolversi in apprezzamenti personali perchè mediati attraverso l’occasionale percezione sensoriale di accadimenti che si svolgono così repentinamente da non potersi verificare e controllare secondo un metro obiettivo.

Il ricorso deve quindi essere accolto con la conseguente cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio della causa al giudice di pace di Trapani (in persona di altro magistrato) il quale provvedere ad un nuovo esame tenendo conto dei rilievi sopra esposti e dei principi di diritto sopra enunciati nonchè ad occuparsi degli altri rilievi mossi dalla C. ai verbali di contestazione in questione e la cui valutazione è stata implicitamente ritenuta assorbita dall’accoglimento della preliminare censura relativa alla asserita nullità del verbale impugnato per contestazione orale. Al giudice del rinvio si rimette anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia al giudice di pace di Trapani (in persona di altro magistrato) anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2008.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2008


Cass. civ. Sez. II, (ud. 29-02-2008) 27-05-2008, n. 13766

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – rel. Presidente

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.V.E., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della Società Vita s.p.a., elettivamente domiciliato in Roma Via della mercede 52, presso lo studio dell’avv. MENGHINI Mario, che lo rappresenta e difende unitamente all’avv. VITI Paolo, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PREFETTURA DI ALESSANDRIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1234/05 del giudice di pace di Alessandria, depositata il 24/10/05;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio il 29/02/08, del Presidente e Relatore Dott. SETTIMJ Giovanni;

Udito l’Avvocato MENGHINI Mario, difensore del ricorrente che si riporta al ricorso;

lette le conclusioni scritte dal Sost. Proc. Gen. Dott. LECCISI Giampaolo, che ha concluso;

Visto l’art. 375 c.p.c., per il rigetto del ricorso del ricorso per essere manifestamente infondato, con la conseguente di legge;

udito il P.M., in persona del Dott. UCCELLA Fulvio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
M.V.E. impugna per cassazione la sentenza 24.10.05 con la quale il G.d.P. di Alessandria ne ha respinto l’opposizione proposta avverso il verbale di contestazione n. 351821219 redatto nei suoi confronti dai Carabinieri di Spinetta Marengo per violazione dell’art. 173 C.d.S., comma 2, accertata il 14.4.05.

Parte intimata non svolge attività difensiva.

Attivatasi procedura ex art. 375 c.p.c., il Procuratore Generale invia requisitoria scritta nella quale, concordando con il parere espresso nella nota di trasmissione, conclude con richiesta di rigetto del ricorso.

Al riguardo le considerazioni svolte dal Procuratore Generale e la conclusione cui è pervenuto sono senza dubbio da condividere.

Si duole il ricorrente – denunziando violazione dell’art. 173 C.d.S., comma 2, – che il giudice a quo non abbia ritenuto valide le difese svolte, con le quali aveva evidenziato che non stava usando il telefono cellulare per conversare ma per prelevarne dati dalla rubrica, ed operato un’indebita interpretazione estensiva della norma, diretta, invece, a sanzionare il solo uso del telefono cellulare a fini di conversazione.

Il motivo è manifestamente infondato.

La ratio della norma – che costituisce una delle specificazioni alle quali rinvia dell’art. 140 C.d.S., comma 2, dopo aver posto, al comma 1, il principio generale per cui “Gli utenti della strada devono comportarsi in modo da non costituire pericolo od intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale” così stabilendo a priori l’illegittimità d’una condotta di guida genericamente pericolosa riconducibile a ciascuna delle prescrizioni di seguito singolarmente dettate – è, infatti, intesa, come dimostra una coordinata lettura del suo testo integrale per cui “è consentito l’uso di apparecchi viva voce o dotati di auricolare … che non richiedono per il loro funzionamento l’uso delle mani”, a prevenire comportamenti tali da determinare, in generale, la distrazione dalla guida ed, in particolare, l’impegno delle mani del guidatore in operazioni diverse da quelle strettamente inerenti alla guida stessa.

Pertanto, l’uso del cellulare per la ricerca d’un numero telefonico nella relativa rubrica o per qualsiasi altra operazione dall’apparecchio stesso consentita, risulta, in relazione alla finalità perseguita dalla norma, censurabile sotto entrambi gli evidenziati profili, in quanto determina non solo una distrazione in genere, implicando lo spostamento dell’attenzione dalla guida all’utilizzazione dell’apparecchio e lo sviamento della vista dalla strada all’apparecchio stesso, ma anche l’impegno d’una delle mani sull’apparecchio con temporanea indisponibilità e, comunque, consequenziale ritardo nell’azionamento, ove necessario, dei sistemi di guida, ritardo non concepibile ove si consideri che le esigenze della conduzione del veicolo possono richiedere tempi psicotecnici di reazione immediati.

Il giudice a quo non ha dunque, operato un’indebita interpretazione estensiva, bensì si è attenuto ad una lettura non solo logica ma anche letterale della norma.

L’esaminato motivo non meritando accoglimento, il ricorso va, dunque, respinto.

Parte intimata non avendo svolto attività difensiva, il ricorrente evita le conseguenze della soccombenza.

P.Q.M.
La Corte:

Respinge il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 febbraio 2008.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2008


Cass. pen. Sez. Unite, (ud. 27-03-2008) 15-05-2008, n. 19602

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE PENALI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GEMELLI Torquato – Presidente

Dott. LATTANZI Giorgio – Consigliere

Dott. GRASSI Aldo – Consigliere

Dott. MARZANO Francesco – Consigliere

Dott. CARMENINI Secondo L. – Consigliere

Dott. MILO Nicola – Consigliere

Dott. IACOPINO Silvana – Consigliere

Dott. CANZIO Giovanni – Consigliere

Dott. ROTELLA Mario – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.B., nata a (OMISSIS);

avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro, emessa in data 13.12.2006;

udita la relazione del Consigliere Dott. CARMENINI;

udite le conclusioni del p.g., avv. gen. CIANI Gianfranco, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Con sentenza in data 13 dicembre 2006, la Corte di appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza del tribunale monocratico di Rossano del 2 novembre 2005, ha confermato il giudizio di responsabilità penale a carico di M.B. in ordine ai reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) (capo A della rubrica) e artt. 71 e 72, medesimo D.P.R. (capo C), per avere realizzato un fabbricato a due piani fuori terra in cemento armato, edificato su un terrapieno sorretto da un muro di contenimento anch’esso in cemento armato, senza la prescritta concessione edilizia, senza il progetto esecutivo e la direzione di un tecnico qualificato, senza la previa prescritta denuncia all’Ufficio dell’ex Genio civile. Di conseguenza la Corte ha condannato l’imputata alla pena come in atti, confermando l’ordine di demolizione delle opere abusive, ha concesso i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna e ha dichiarato estinti per prescrizione gli ulteriori reati di cui al capo B (violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 93, 94 e 95).

La M. ha impugnato detta sentenza con ricorso per cassazione, articolando quattro motivi. Col primo motivo lamenta la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità. In particolare si duole dell’erronea applicazione dell’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, sul rilievo che la notificazione all’imputata dell’avviso di fissazione del giudizio di appello per l’udienza del 13.11.2006 è stata effettuata al difensore di fiducia, nonostante l’esistenza agli atti di un domicilio dichiarato; precisa che trattandosi di prima notificazione nella fase di appello, la stessa avrebbe dovuto essere effettuata ai sensi dell’art. 157 c.p.p., comma 1. Secondo la ricorrente la modalità di notificazione adottata nella specie configurerebbe un’ipotesi di nullità assoluta ed insanabile, ai sensi dell’art. 179 c.p.p., in relazione all’art. 178 c.p.p., lett. e), che travolgerebbe ogni atto conseguente, compresa la sentenza impugnata. Col secondo motivo deduce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione all’art. 40 c.p., nonchè contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sul punto. La M. assume di essere estranea ai fatti, essendo soltanto il marito il proprietario del terreno su cui insiste il manufatto e il committente dell’opera abusivamente realizzata;

sostiene che la Corte di appello di Catanzaro ha violato il principio della responsabilità penale personale, e, con una motivazione palesemente illogica, ha ritenuto la sua colpevolezza sul presupposto che “la qualità di committenti oltre che di proprietari dell’opera abusiva discende dalla qualità di conviventi” e che “la stessa (l’imputata) era presente al momento dell’intervento dei militari operanti ed ha sottoscritto il verbale di constatazione dell’illecito edilizio”.

Col terzo e quarto motivo, infine, eccepisce la prescrizione anche dei residui reati e lamenta un trattamento sanzionatorio eccessivamente gravoso.

La Terza Sezione penale, rilevata l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla “legittimità della notificazione all’imputato del decreto di fissazione dell’udienza per il giudizio di appello” mediante consegna “al difensore di fiducia, ex art. 157 c.p.p., comma 8 bis, nonostante l’esistenza agli atti del domicilio dichiarato”, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 618 cod. proc. pen..

Il Primo Presidente, con decreto del 5 febbraio 2008, ha fissato, per la trattazione del ricorso, l’odierna udienza pubblica del 27 marzo 2008.

Motivi della decisione
La questione giuridica controversa può essere così sintetizzata:

“Se la notificazione presso il difensore di fiducia, ex art. 157 c.p.p., comma 8 bis, possa essere effettuata anche nel caso in cui l’imputato abbia dichiarato o eletto domicilio per le notificazioni”.

Le soluzioni date dalla giurisprudenza di questa Corte hanno evidenziato un contrapposto orientamento, sviluppatosi soprattutto tra la Quinta Sezione penale, da un lato, e la Terza e la Sesta Sezione, dall’altro.

In breve, la Quinta Sezione ha affermato, con le sentenze Landra (25.01 – 27.02.2007, n. 8108 rv 236522) e Rizzato (24.10 – 06.12.2005, n. 44608 rv 232612), che il domicilio “legale” non può prevalere su quello dichiarato, considerato che l’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, è riferibile, nell’organizzazione della norma in cui si inserisce, alle ipotesi considerate dai commi precedenti; che “la disposizione di cui all’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, (relativa alle notifiche all’imputato mediante consegna al difensore di fiducia) si applica solo alle notificazioni successive a quella eseguita ai sensi dell’art. 157 c.p.p., comma 8, mentre non si applica nell’ipotesi in cui l’imputato abbia precedentemente eletto (dichiarato) domicilio nel luogo di abituale dimora, ex art. 161 cod. proc. pen.”; che la nullità tempestivamente eccepita comporta la nullità del giudizio di appello e della sentenza impugnata”.

Al contrario, la Terza sezione (sentenza Ardito, 20.09 – 08.11.2007, n. 41063 rv 237639) e la Sesta Sezione (sentenze Casilli, 09.03 – 01.06.2006, n. 19267 rv 234499; Borrelli, 02.04 – 31.05.2007, n. 21341 rv 236874, ed altre) rilevano che la forma di notificazione prevista dall’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, “deve ritenersi prevalente su ogni altra”, sicchè, in presenza di nomina fiduciaria, è irrilevante, ai fini della successiva notificazione del decreto di citazione in appello, il domicilio dichiarato dall’imputato;

evidenziano che l’art. 157 cod. proc. pen., comma 8 bis è stato introdotto dalla L. 22 aprile 2005, n. 60, che ha convertito con modificazioni il D.L. 21 febbraio 2005, n. 17, all’enunciato fine di garantire la ragionevole durata del processo in ottemperanza all’art. 111 Cost. e, quindi, di accelerare i tempi di notifica degli atti;

sottolineano che presupposto di operatività della norma è esclusivamente la previa rituale effettuazione di una prima notifica all’imputato “a piede libero”, riferendosi a tale prima notifica l’incipit dell’art. 157 cod. proc. pen. “salvo quanto previsto dagli artt. 161 e 162 cod. proc. pen.”, in considerazione proprio della ratio della nuova disposizione, volta a consentire un tendenziale e generalizzato risparmio di tempi attraverso l’automatica notificazione degli atti ulteriori al difensore di fiducia (che diviene domiciliatario per legge del proprio assistito); sostengono che l’indagato/imputato può, in qualsiasi momento, escludere la domiciliazione ex lege con dichiarazione o diversa elezione di domicilio esplicitamente ed espressamente formulata in tal senso; che il difensore di fiducia non soltanto ha la possibilità di proporre deduzioni per la valutazione, da parte del giudice ex art. 420 bis cod. proc. pen., del rilievo probabilistico del buon esito della citazione dell’imputato, ma può anche interrompere l’automatismo delineato dal comma 8 bis in esame, dal momento che la stessa norma prevede che egli “può dichiarare immediatamente all’autorità che procede di non accettare la notificazione”.

Le opposte soluzioni ermeneutiche risentono della non univoca soluzione normativa data ai rilievi mossi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo al sistema previgente dei processi in contumacia, mediante la L. 22 aprile 2005, n. 60 di conversione del D.L. 21 febbraio 2005, n. 17, nel cui corpo è inserita la normativa in esame.

Due sono i principi ai quali la disciplina in parola ha inteso ispirarsi: 1) il diritto dell’imputato alla conoscenza dell’accusa;

2) la garanzia della ragionevole durata del processo.

Il secondo dei filoni giurisprudenziali sopra esposti mostra di privilegiare la celerità del processo e si inserisce tendenzialmente nelle linee maggiormente evolutive del rapporto imputato-difensore, privilegiando la figura del difensore di fiducia, nella quale individua l’elemento portante ed innovativo della L. n. 60 del 2005, ed assegnando alla notifica all’imputato, mediante consegna al difensore di fiducia, un ruolo del tutto fisiologico, quale forma ordinaria di notificazione.

L’auspicabile semplificazione del sistema delle notificazioni, non completato con chiarezza dal legislatore, non può, tuttavia, essere effettuato in via meramente ermeneutica. Le stesse sentenze fautrici di questo orientamento sono portate ad assegnare alla parte adempimenti non espressamente previsti, ma ricavabili solo forzatamente dal sistema (l’indagato/imputato può, in qualsiasi momento, escludere la domiciliazione ex lege con dichiarazione o diversa elezione di domicilio esplicitamente ed espressamente formulata in tal senso; il difensore di fiducia ha la possibilità di proporre deduzioni per la valutazione, da parte del giudice ex art. 420 bis cod. proc. pen., del rilievo probabilistico del buon esito della citazione dell’imputato). Questa soluzione, per altro, comporterebbe un forte ridimensionamento di taluni punti della vigente regolamentazione dell’elezione di domicilio (artt. 161 e 162 cod. proc. pen.), nel senso che la dichiarazione o l’elezione di domicilio ivi previste riguarderebbero esclusivamente l’imputato difeso d’ufficio, in quanto per l’imputato difeso di fiducia non sarebbe possibile alcuna dichiarazione di domicilio, nè un’elezione diversa da quella presso il suo difensore.

La lettura sistematica, allo stato consentita dal complesso delle norme coinvolte – senza che per altro si possa fare carico alla sede ermeneutica della maggiore o minore incisività del raggio di azione della norma positiva -, deve condurre verso l’opzione prescelta dal primo orientamento, con le precisazioni applicative nei sensi di seguito esplicate.

Gli artt. 157 e 161 e ss. cod. proc. pen. descrivono, per quanto attiene alle notificazioni all’imputato non detenuto, un percorso duplice, rafforzato dall’inizio testuale del primo di detti articoli (“salvo quanto previsto dagli artt. 161 e 162 c.p.p.”).

In buona sostanza il legislatore ha inteso assicurare la piena conoscenza dell’accusa da parte dell’imputato rappresentandosi due situazioni: la prima si verifica quando manca un previo contatto con le autorità indicate dall’art. 161 cod. proc. pen. ed in tal caso occorre una prima notificazione direttamente all’interessato in una delle forme previste dall’art. 157; la seconda si verifica quando l’imputato può essere avvertito dal giudice, dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria ed il tal caso emergerà, in genere, una dichiarazione o elezione di domicilio e si seguiranno le forme indicate dall’art. 161 e ss. c.p.p.. In questa visione la disposizione contenuta nell’art. 157 c.p.p., comma 8 bis non può non essere letta nell’ambito dell’articolo che la contiene.

Il sistema appare, dunque, articolato secondo due tipologie di notificazioni.

Quando si deve effettuare la prima notificazione all’imputato, che non abbia eletto o dichiarato domicilio, si deve procedere in uno dei modi consecutivi previsti dai primi otto commi, art. 157 c.p.p..

Una volta effettuata regolarmente la prima notificazione, se l’imputato provvede a nominare il difensore di fiducia, tutte le successive notificazioni si effettuano mediante consegna al difensore; questi può “immediatamente”, quindi antecedentemente alla prima notificazione presso di lui, dichiarare all’autorità che procede di non accettare la notificazione, altrimenti il processo nei suoi vari gradi seguirà con la notificazione al difensore di fiducia.

In caso di mancata nomina del difensore di fiducia, si procederà a norma dell’art. 161 cod. proc. pen., commi 2 e 4.

Se, invece, vi sono state elezione o dichiarazione di domicilio, si seguiranno direttamente le forme dettate dall’art. 161 e ss. cod. proc. pen..

Va sottolineato che, in base alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la conoscenza dell’accusa, preordinata allo svolgimento di un’efficace attività difensiva, deve realizzarsi attraverso una “notificazione ufficiale proveniente dall’autorità competente” (Brozicek c. Italia, 19 dicembre 1989); ma non si richiede necessariamente una forma particolare. La stessa Corte delinea un’attività collaborativa da parte dell’imputato, una volta regolarmente avvisato (Kimmel c. Italia, 2 settembre 2004; Booker c. Italia, 14 settembre 2006; Zaratin c. Italia, 23 novembre 2006). Il disinteresse dell’imputato informato equivale ad una rinuncia a presenziare alle udienze con la conseguenza che non è configurabile nessuna violazione della Convenzione.

Ancora, in tema di semplificazione dell’iter del processo attraverso un sistema di notificazioni non incerto, vanno ribaditi i seguenti principi giurisprudenziali: a) l’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, “riguarda l’intero processo e non già ogni grado di giudizio, sicchè non occorre individuare per ciascuna fase processuale una prima notificazione rispetto alla quale possa, poi, trovare attuazione la nuova disciplina” (in tal senso la Terza Sezione nell’ordinanza di rimessione, nonchè Cass. Sez. 5^, 25.05. – 21.11.2006, n. 38136, ric. Bertone e altro, rv 235976 e Sez. 4^, 11.10 – 21.11.2005, n. 41649, Mandrini, rv 232409); b) la nullità assoluta e insanabile prevista dall’art. 179 cod. proc. pen. ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato, mente essa non ricorre nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, alla quale consegue l’applicabilità della sanatoria di cui all’art. 184 cod. proc. pen.. Per altro, l’imputato che intenda eccepire la nullità assoluta della citazione o della sua notificazione, non risultante dagli atti, non può limitarsi a denunciare l’inosservanza della relativa norma processuale, ma deve rappresentare al giudice di non avere avuto cognizione dell’atto e indicare gli specifici elementi che consentano l’esercizio dei poteri officiosi di accertamento da parte del giudice stesso (Cass. Sez. U. sent. 00119 del 2005, Palumbo).

Si possono ora trarre le debite conclusioni sulla questione giuridica controversa.

Al quesito: “Se la notificazione presso il difensore di fiducia, ex art. 157 c.p.p., comma 8 bis, possa essere effettuata anche nel caso in cui l’imputato abbia dichiarato o eletto domicilio per le notificazioni”, deve essere data risposta negativa.

Consegue come lineare corollario che: 1) l’operatività dell’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, è subordinata all’assenza di una dichiarazione o elezione di domicilio. Tutte le successive notificazioni, qualora l’imputato abbia nominato un difensore di fiducia e non abbia dichiarato o eletto domicilio, devono essere eseguite mediante consegna al difensore, ferma restando l’assenza di una preclusione all’esercizio della facoltà dell’imputato stesso di dichiarare o eleggere domicilio per le notificazioni anche dopo la nomina di un difensore di fiducia, esercizio che ha l’effetto di paralizzare la regola contenuta nel citato comma 8 bis; 2) detta regola, inoltre, riguarda l’intero processo, sicchè non occorre individuare per ciascuna fase processuale una prima notificazione rispetto alla quale possa, poi, trovare attuazione la nuova disciplina; 3) l’eventuale nullità derivante dalla notificazione effettuata ai sensi dell’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, per casi diversi da quelli previsti non configura una nullità assoluta ed insanabile per omessa vocatio in jus, bensì una nullità di ordine generale e a regime intermedio per inosservanza delle norme sulla notificazione, che deve ritenersi sanata quando risulti provato che l’errore non abbia impedito all’imputato di conoscere l’esistenza dell’atto e di esercitare il diritto di difesa; essa rimane comunque senza effetto se non è dedotta tempestivamente, essendo soggetta alla sanatoria speciale di cui all’art. 184 c.p.p., comma 1, alle sanatorie generali di cui all’art. 183 c.p.p. e alle regole di deducibilità di cui all’art. 182 cod. proc. pen., oltre che ai termini di rilevabilità di cui all’art. 180 c.p.p..

Prendendo in esame la specifica situazione oggetto del primo motivo di ricorso, secondo le emergenze del processo, è agevole rilevare che il 2 dicembre 2003 la M., come risulta dal verbale redatto dalla polizia giudiziaria, dichiarava domicilio presso la sua abitazione in (OMISSIS), ai sensi dell’art. 161 cod. proc. pen., e nominava difensore di fiducia l’avv. Leonardo Trento del foro di Rossano; riceveva a mani proprie, nel domicilio dichiarato, tutti gli atti del procedimento di primo grado (l’avviso di conclusione delle indagini preliminari e il decreto di citazione diretta a giudizio); il 2 novembre 2005 il Tribunale pronunciava sentenza di condanna, avverso la quale l’imputata proponeva appello personalmente con atto sottoscritto anche dal difensore di fiducia.

Il decreto di citazione per il giudizio di appello veniva notificato, ex art. 157 c.p.p., comma 8 bis, mediante consegna al difensore di fiducia, avv. Leonardo Trento; l’imputata non compariva all’udienza fissata e la Corte ne dichiarava la contumacia; l’estratto contumaciale della sentenza di secondo grado le veniva notificato il 19 gennaio 2007, di nuovo ai sensi dell’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, presso il difensore di fiducia, avv. Leonardo Trento, il quale non si era avvalso della facoltà di non accettare gli atti notificatigli;

il 28 febbraio 2007 l’imputata proponeva personalmente ricorso per cassazione, con atto sottoscritto anche dal nuovo difensore Serafino Trento, nominato in calce al ricorso con contestuale revoca dell’avv. Leonardo Trento (v’è da notare che, a parte l’omonimia patronimica, entrambi i suddetti avvocati fanno parte non solo del medesimo Foro di Rossano, ma anche del medesimo studio – v. il timbro dello studio legale in cui figurano entrambi – e l’avv. Serafino Trento aveva anche sostituito l’avv. Leonardo Trento all’udienza del 15 dicembre 2004 nel corso del giudizio di primo grado).

Come si vede, la ricorrente non solo non deduce la mancata o comunque menomata conoscenza conseguente all’adozione del modello di notificazione previsto dall’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, ma dimostra di essere sempre stata a piena conoscenza di tutti gli sviluppi del processo, avendo anche proposto personalmente le impugnazioni, sia in grado di appello che in sede di legittimità; nè il difensore, presso cui sono state effettuate le notificazioni, ha eccepito alcunchè nel giudizio di appello: ne consegue che la notificazione, certamente non inesistente, ma viziata, in quanto diversa dal modello di notificazione prescritto, non ha provocato nessuna lesione del diritto alla conoscenza e all’intervento dell’imputata e, per altro, la relativa eccezione è comunque tardiva, poichè ben poteva e doveva essere dedotta nel giudizio di appello.

Il primo motivo di ricorso deve essere, quindi, disatteso.

A conclusioni analoghe deve pervenirsi in relazione al secondo motivo di doglianza, con il quale la ricorrente deduce l’erronea affermazione della sua colpevolezza in ordine ai reati ascrittile, in violazione del principio della responsabilità penale personale, assumendo di essere estranea ai fatti, al più attribuibili al marito, proprietario del terreno su cui insiste il manufatto e committente dell’opera abusivamente realizzata.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, invero, in tema di reati edilizi, la responsabilità relativa al manufatto sul quale l’abuso è stato effettuato può dedursi da indizi precisi e concordanti, quali la qualità di coniuge del committente, il regime patrimoniale dei coniugi, lo svolgimento di attività di vigilanza dell’esecuzione dei lavori, la richiesta di provvedimenti abilitativi in sanatoria, la presenza in loco. all’atto dell’accertamento. Pertanto, una volta ritenuto in fatto il diretto interesse ai lavori e la qualità della M. di committente dell’opera abusiva, secondo un accertamento corretto ed insindacabile in sede di legittimità, la Corte territoriale ha conseguentemente ritenuto la colpevolezza dell’imputata, pervenendo a conclusioni esenti da vizi logico- giuridici (v., ex plurimis, Cass. Sez. 3, sent. n. 32856 del 2005 rv 232200, Farzone; n. 26121 del 2005, Rosato, rv 231954).

Neppure si è verificata l’invocata prescrizione dei residui reati per i quali la Corte catanzarese ha affermato la responsabilità penale della M..

I fatti sono stati contestati come ancora in corso il 20.11.2003; il periodo prescrizionale massimo, secondo la normativa applicabile alla specie, matura in quattro anni e sei mesi; a questo arco di tempo va, poi, aggiunto il periodo di sospensione di un mese a causa del rinvio dell’udienza in sede di appello dal 13.11 al 13.12.2006, dietro richiesta del difensore dell’imputata: l’evento estintivo dei reati si verificherebbe, quindi, soltanto il 20.6.2008. Si aggiunga che la sentenza di appello ha fissato, senza rilievi di parte, al 2.12.2003 (e non al 20.11) la fine dei lavori.

Quanto al trattamento sanzionatorio, infine, la Corte territoriale, nel confermare i criteri adottati dal primo giudice, ha provveduto ad eliminare la pena inflitta per la contravvenzione dichiarata prescritta ed ha ridotto l’aumento per la continuazione, ritenuto eccessivo, pervenendo così ad una pena del tutto adeguata ai profili oggettivi e soggettivi dei reati commessi, secondo i criteri fissati dall’art. 133 c.p..

Consegue alle suesposte considerazioni il rigetto del ricorso.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2008.

Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2008


Cass. civ. Sez. V, (ud. 12-02-2008) 21-04-2008, n. 10267

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA 24840/2003

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente

Dott. MAGNO Giuseppe V. A. – Consigliere

Dott. RUGGIERO Francesco – rel. Consigliere

Dott. SCUFFI Massimo – Consigliere

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso principale, iscritto sotto R.G. n. 21491/03 proposto da:

Società CENTRO RISCOSSIONE TRIBUTI – CERIT – S.p.A., in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale notarile, dagli Avv.ti ERMETES Augusto e Paolo Ermetes, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Roma, Viale dell’Università n. 11;

– ricorrente controricorrente e ricorrente incidentale condizionato –

contro

B.F., rappresentata e difesa dagli Avv.ti SIRCA Bernardino e Spinelli Giordano Tommaso, presso lo studio di quest’ultimo elettivamente domiciliata in Roma, Via Bissolati n. 76, giusta procura speciale in calce;

nonchè sul controricorso e ricorso incidentale condizionato, iscritto sotto R.G. n. 22856/03, proposto da:

– controricorrente ricorrente incidentale –

nonchè sul controricorso e ricorso incidentale adesivo, iscritto sotto R.G. n. 24840/03, proposto da:

Amministrazione dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, e Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentate e difese dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici sono domiciliate in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente e ricorrente incidentale adesivo –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Toscana-Firenze, n. 21/11/02, depositata il 19/6/02;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/2/08 dal Relatore Cons. Dott. Francesco Ruggiero;

Udito l’Avv. Ermetes, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso principale ed il rigetto del ricorso incidentale;

Udito l’Avv. Carlo Albini, per delega dell’Avv. Tommaso Spinelli Giordano, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso incidentale condizionato;

Udito l’Avv. Gen. dello Stato Paolo Gentili, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso incidentale adesivo;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE NUNZIO Wladimiro, che ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso principale e dichiararsi l’inammissibilità del ricorso incidentale.

Svolgimento del processo
Oggetto della controversia è l’impugnativa da parte della signora B.F., quale socia della s.n.c. Burini Trasporti, di due avvisi di mora (n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS)), per IVA del 1991 ed interessi, conseguenti ad altri avvisi di irrogazione sanzioni, elevati dall’Ufficio IVA di Firenze, ed alle relative cartelle di pagamento, a suo tempo notificate a detta società.

Controdeducevano in primo grado avverso il ricorso della contribuente l’Ufficio IVA di Firenze, la Cassa di Risparmio di Firenze, quale concessionaria del Servizio di Riscossione, e la S.p.A. San Paolo Riscossioni, quale delegata per la riscossione per la Provincia di Prato.

La decisione della Commissione Tributaria Provincia,le di Firenze (sentenza n. 125/16/2000), sfavorevole alla contribuente, veniva da quest’ultima appellata.

La Commissione Tributaria Regionale, con la sentenza in epigrafe indicata, accoglieva il gravame e, in riforma della decisione di primo grado, annullava gli avvisi di mora impugnati. Così motivava:

l’avviso di irrogazione sanzioni deve essere notificato alla società, quale debitore principale, entro i termini di decadenza;

anche nelle ipotesi di esecuzione forzata ai danni del socio solidale è necessaria la notifica del titolo esecutivo, costituito dalla cartella di pagamento, anche se non dell’avviso di irrogazione sanzioni; alla stregua delle esecuzioni ordinarie, il creditore può escutere il debitore solidale, previa escussione del debitore principale, ma previa notifica allo stesso del titolo esecutivo;

l’avviso di mora non era valido, non risultando che era stato preceduto dalla notifica alla contribuente della cartella di pagamento; dalla nullità dell’avviso di mora impugnato conseguiva la sua inutilizzabilità ai fini esecutivi; tutte le altre questioni sollevate dalla contribuente restavano assorbite.

Per la cassazione di questa decisione proponeva ricorso, articolando un solo complesso motivo, la società CERIT, quale concessionaria del Servizio di Riscossione dei Tributi per la Provincia di Firenze per il periodo 1-1-2002/31-12-2004.

L’Amministrazione Finanziaria proponeva controricorso e ricorso incidentale adesivo in termini, formulando un solo complesso motivo.

La contribuente B. proponeva controricorso e ricorso incidentale condizionato, in cui riproponeva eccezioni già mosse e ritenute assorbite.

Infine, detta società ricorrente proponeva controricorso a ricorso incidentale condizionato.

Motivi della decisione
1 – La ricorrente società CERIT con l’unico complesso motivo articolava due profili di censura: la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 45 e 46 (disciplina della riscossione delle imposte nel testo anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 46 del 1999), rilevando l’erroneità della motivazione della sentenza impugnata ove era stata affermata l’inutilizzabilità della notifica dei soli avvisi di mora ai fini esecutivi nei confronti dell’obbligato solidale; la violazione dell’art. 2291 c.c., comma 1, evidenziando che, in forza della responsabilità solidale ed illimitata, il socio è sottoposto all’esazione del debito di imposta, qualora il creditore non abbia potuto soddisfarsi sul patrimonio sociale.

2 – La controricorrente Amministrazione Finanziaria, in sede di ricorso incidentale adesivo, formulava i medesimi profili di censura dedotti dalla ricorrente società CERIT con l’unico complesso motivo, sottolineando che per poter procedere ad espropriazione forzata, per le imposte non pagate dalla società, nei confronti del coobbligato solidale è necessario notificare l’avviso di mora, senza richiedere o presupporre la notifica dell’avviso di accertamento e della cartella di pagamento.

3 – La contribuente B., oltre al controricorso, proponeva ricorso incidentale condizionato, in cui lamentava il mancato esame da parte dei giudici regionali di ulteriori eccezioni specificamente sollevate, ma ritenute assorbite, ed in particolare: la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57 e art. 2964 c.c.; la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 3, 4, 5 e art. 25, comma 2, e D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13. 4 – Infine, la stessa CERIT ricorrente interponeva controricorso a ricorso incidentale condizionato proposto dalla B., replicando specificamente in ordine ai seguenti punti: la violazione falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57 e art. 2964 c.c.; la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 3, 4, 5 e art. 25, comma 2, e D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 18. 5 – Preliminarmente, i ricorsi devono essere riuniti, essendo stati proposti avverso la medesima sentenza.

6 – Sono fondati e vanno accolti il ricorso principale della società CERIT e il ricorso incidentale adesivo dell’Amministrazione Finanziaria.

Per la soluzione dei temi fondamentali che la controversia pone deve darsi applicazione – in piena e convinta condivisione – ai consolidati principi di diritto enunciati da questa Corte.

In particolare, quanto al regime della responsabilità del socio di società in nome collettivo, deve riaffermarsi che la notificazione di un avviso di mora ai soci di una società in nome collettivo – e, più in generale, delle società di persone illimitatamente e solidalmente responsabili – del maggior debito d’imposta della società conferisce all’avviso di mora di svolgere, oltre alla funzione, primaria – e necessaria, di atto equivalente al precetto nell’esecuzione forzata, anche la funzione secondaria di atto equivalente a quelli di imposizione tributaria, quando, in difetto di notificazione dell’accertamento, sia il primo atto di esecuzione del potere impositivo, per cui gli atti presupposti, se non impugnati congiuntamente all’avviso di mora, diventano inoppugnabili (Cass. 16/6/1995, n. 6846; 17/6/1995, n. 6857; 29/10/1997, n. 10638;

5/2/2001, n. 1592; 4/5/2001, n. 6260; 1/3/2002, n. 2984; 3/4/2003, n. 5179; 25/6/2003, n. 10093; 8/5/2006, n. 10533; 9/5/2007, n. 10584).

In sintesi, la responsabilità solidale ed illimitata del socio, prevista dall’art. 2291 c.c., comma 1, per i debiti della società in nome collettivo opera, in assenza di espressa previsione derogativa, anche per i rapporti tributari, con riguardo alle operazioni dai medesimi derivanti.

Pertanto, il socio, ancorchè privo della qualità di obbligato per detta imposta e come tale estraneo agli atti impositivi rivolti alla formazione del titolo, resta sottoposto, dopo l’iscrizione a ruolo a carico della società, all’esazione del debito stesso, alla condizione posta dall’art. 2304 c.c., e cioè quando il creditore non abbia potuto soddisfarsi sul patrimonio sociale.

Condizione quest’ultima che, concludentemente, può evincersi dalla sequenza degli atti impositivi adottati dall’Amministrazione: nel caso che ci occupa, stante l’infruttuosa notifica delle cartelle di pagamento alla società in nome collettivo Burini Trasporti, si rendeva necessario intraprendere l’azione esecutiva nei confronti della socia solidalmente ed illimitatamente responsabile.

In definitiva, va affermato il seguente principio di diritto: escusso inutilmente il patrimonio di una società in nome collettivo, legittimamente l’Amministrazione Finanziaria può chiamare a rispondere il socio solidalmente ed illimitatamente responsabile, senza che vi sia la necessità di notificare nè l’avviso di accertamento, rimasto inoppugnato da parte della società, nè la cartella di pagamento, rimasta inadempiuta da parte della società medesima, essendo sufficiente la notificazione dell’atto di riscossione costituito dall’avviso di mora, avverso il quale il socio può ricorrere, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, comma 3, parte terza, secondo la cui testuale previsione “La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo”. 7 – Il ricorso incidentale della controricorrente B. deve essere ritenuto inammissibile. Infatti, la decisione della Commissione Tributaria Regionale era favorevole alla contribuente, avendo accolto il gravame della stessa, con la riforma della sentenza di primo grado e l’annullamento degli avvisi di mora: richiesta quest’ultima costituente il petitum del ricorso introduttivo, sicchè le altre questioni risultavano (correttamente) assorbite.

Ne consegue l’inammissibilità per difetto interesse, salvo il successivo esame delle questioni (già) assorbite.

8 – In conclusione, il ricorso incidentale della B. va dichiarato inammissibile.

In accoglimento del ricorso principale della società CERIT e del ricorso incidentale dell’Amministrazione Finanziaria, la gravata decisione dei giudici regionali deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione del giudice a quo, che si atterrà agli enunciati principi di diritto, provvedendo anche in ordine alla spese della presente fase di legittimità.

P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi. Accoglie il ricorso principale ed il ricorso incidentale dell’Amministrazione Finanziaria. Dichiara inammissibile il ricorso incidentale della contribuente. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Toscana.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Suprema Corte di Cassazione, il 12 febbraio 2008.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2008


Cass. civ. Sez. Unite, (ud. 04-03-2008) 04-04-2008, n. 8740

La problematica oggetto di discussione è quella attinente al demansionamento o meno di un dipendente comunale qualora venga raggiunto da un provvedimento amministrativo che assegni quest’ultimo da un ufficio ad un altro.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo – rel. Primo Presidente

Dott. CORONA Rafaele – Presidente di sezione

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – consigliere

Dott. VITRONE Ugo – Consigliere

Dott. VIDIRI Guido – Consigliere

Dott. SETTIMJ Giovanni – Consigliere

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO 14, presso lo studio dell’avvocato VALLEBONA ANTONIO, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CAPISTRELLO;

– intimato –

e sul 2^ ricorso n 23834/06 proposto da:

COMUNE DI CAPISTRELLO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PRATI FISCALI 284, presso lo studio dell’avvocato MARGIOTTA GAETANO, rappresentato e difeso dall’avvocato SIMONE RENATO, giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

D.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO 14, presso lo studio dell’avvocato VALLEBONA ANTONIO, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso principale;

– controricorrente al ricorso incidentale – avverso la sentenza n. 181/06 della Corte d’Appello di L’AQUILA, depositata il 02/03/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/03/08 dal Presidente Dott. CARBONE Vincenzo;

uditi gli avvocati VALLEBONA Antonio, SIMONE Renato;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI Domenico, che ha concluso per il rigetto del ricorso incidentale;

rinvio per il resto ad una Sezione semplice.

Svolgimento del processo
D.A. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Avezzano il Comune di Capistrello, suo datore di lavoro, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni conseguenti a demansionamento e mobbing. Il Tribunale, con sentenza del 18 gennaio 2005, respingeva il ricorso.

Su appello del lavoratore la Corte d’appello di L’Aquila, sezione lavoro, con sentenza del 16 febbraio 2006 – il cui dispositivo veniva corretto con successivo decreto – respingeva l’appello, compensando le spese dei due gradi di giudizio.

Osservava il Giudice di secondo grado che il lavoratore aveva lamentato di essere stato privato delle sue mansioni di capo dell’Ufficio tecnico comunale, configurando la vicenda in termini di demansionamento affiancato da mobbing nei suoi confronti. A seguito della riforma del pubblico impiego, però, doveva ritenersi in facoltà dell’ente pubblico modificare l’assegnazione dei propri dipendenti nei posti in organico; nel caso specifico, il Comune di Capistrello aveva mantenuto il posto di tecnico ricoperto dal D., istituendo nel contempo un posto di tecnico laureato al vertice del medesimo settore, con la conseguenza che il ricorrente era venuto a trovarsi in posizione subordinata. Tale modifica, però, non era da reputarsi illegittima, perchè l’appellante aveva conservato “mansioni congrue rispetto al suo inquadramento”, senza che risultasse alcuna prova di un motivo illecito nell’istituzione del nuovo posto di vertice. Quanto all’asserito mobbing, la Corte abruzzese affermava che era totalmente mancata ogni prova sul punto.

Avverso la citata sentenza propone ricorso per cassazione il D., affidato a due motivi. Resiste il Comune di Capistrello con apposito controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato; entrambe le parti hanno presentato memorie.

Motivi della decisione
Col primo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 52, in relazione all’art. 360 c.p.c, n. 3, per avere erroneamente affermato che nel lavoro pubblico privatizzato sarebbe ammissibile ed insindacabile una variazione di mansioni anche lesiva della specifica professionalità del lavoratore, purchè si tratti di mansioni appartenenti al medesimo livello di inquadramento. Osserva al riguardo il ricorrente che – secondo il disposto del citato art. 52, il lavoratore deve essere assegnato alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle considerate equivalenti nell’ambito della classificazione prevista dai contratti collettivi; non tutte le mansioni comprese in un certo livello di inquadramento sono “equivalenti”, ma solo quelle per le quali sia stata compiuta un’apposita valutazione. La sentenza impugnata, quindi, dovrebbe essere cassata per l’errore di diritto in cui è incorsa, non essendosi posta il problema di accertare in concreto l’equivalenza tra le mansioni effettivamente svolte dal lavoratore e quelle per le quali il medesimo era stato assunto.

Col secondo motivo di ricorso il D. censura la sentenza per l’omessa (o comunque insufficiente) motivazione consistente nell’aver affermato, senza alcuna motivazione, che l’appellante aveva conservato mansioni congrue rispetto al suo inquadramento, ossia senza tener conto del fatto che sul punto c’era disaccordo tra la tesi del medesimo ricorrente e quella del Comune convenuto.

Il Comune di Capistrello, invece, dopo aver contestato tutte le affermazioni contenute nel ricorso, censura in via incidentale la sentenza di secondo grado, per la sola ipotesi in cui vengano ritenuti fondati i motivi del ricorso principale. Osserva la parte che la variazione dell’organico disposta dal Comune – dalla quale aveva tratto origine il presunto demansionamento del D. e l’intera vicenda processuale – era stata da quest’ultimo impugnata davanti al Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo che, con sentenza in forma semplificata, passata in giudicato, aveva respinto il ricorso. Per pacifica giurisprudenza, il Giudice ordinario non può disapplicare atti amministrativi la cui legittimità sia stata accertata in via definitiva dal giudice amministrativo; nel caso specifico, la Corte d’appello avrebbe errato nella parte in cui ha omesso di rilevare che, per poter valutare il merito della domanda, essa avrebbe dovuto superare il vincolo del giudicato amministrativo, cosa evidentemente non consentita.

Preliminarmente occorre procedere alla riunione dei due ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

I motivi del ricorso principale sono entrambi infondati.

La sentenza qui censurata, infatti, con una motivazione succinta ma tuttavia sufficiente, ha accertato che nel caso in esame il Comune di Capistrello aveva effettuato una modifica dell’organico comunale in virtù della quale l’odierno ricorrente – prima capo del settore tecnico – si è trovato ad essere in posizione non più di vertice in conseguenza della creazione ex novo di un posto di tecnico laureato.

A seguito di tale modifica – pacificamente riconosciuta legittima dal TAR per l’Abruzzo, con sentenza definitiva il D. ha comunque mantenuto mansioni congrue rispetto al suo inquadramento, nessun rilievo potendo essere riconosciuto al fatto che egli sia venuto a trovarsi in posizione subordinata rispetto a quella di un neoassunto con qualifica superiore. Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, a differenza dell’art. 2103 c.c., infatti, impone nei confronti del prestatore di lavoro pubblico il mantenimento delle mansioni per le quali è stato assunto o di quelle “considerate equivalenti nell’ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi”, senza dare rilievo a quelle in concreto svolte.

Ne consegue che – anche omettendo di tener presente il vincolo costituito, nei confronti del Giudice ordinario, dal giudicato amministrativo circa la legittimità del mutamento dell’organico del Comune – l’impugnata sentenza ha dato conto in modo sufficiente delle ragioni per le quali il ricorrente non ha subito, in effetti, alcun demansionamento.

Allo stesso modo, la Corte d’appello ha accertato che il ricorrente non ha fornito alcuna prova in ordine al contestato mobbing, con una verifica congruamente motivata e, come tale, insindacabile in sede di legittimità.

L’infondatezza del ricorso principale comporta l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

Attesa la natura della controversia, la Corte ritiene di compensare integralmente le spese del presente giudizio.

P.Q.M.
La Corte di cassazione, Sezioni Unite, riunisce i ricorsi, rigetta quello principale, dichiara assorbito quello incidentale e compensa integralmente le spese di lite tra le parti.

Così deciso in Roma, il 4 marzo 2008.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2008


Cass. civ. Sez. V, (ud. 18-12-2007) 10-03-2008, n. 6325

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente

Dott. RUGGIERO Francesco – Consigliere

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere

Dott. MARINUCCI Giuseppe – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

e da AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

C.A.O. CENTER ART ORIENT SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 253/01 della Commissione Tributaria Regionale di MILANO, depositata il 02/07/01;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio il 18/12/07 dal Consigliere Dott. Massimo SCUFFI;

lette le conclusioni scritte dal Sostituto Procuratore Generale Dott. Federico Sorrentino, con le quali si chiede l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
– rilevato che la Commissione tributaria regionale di Milano – confermando la decisione di prime cure di accoglimento del ricorso della srl C.A.O. Center Art Orientai avverso la cartella di pagamento IRPEG – ILOR 1991 – ha ribadito la nullità del ruolo per invalidità derivata dall’avviso di accertamento presupposto stante la mancata ultimazione dell’operazione notificatoria in difetto di prova dell’invio della prescritta raccomandata con ricevuta di ritorno a contribuente irreperibile – visto il ricordo dell’Amministrazione finanziaria che ha chiesto la cassazione della sentenza per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 le formalità dell’art. 140 c.p.c. dovendo cedere a fronte di quella normativa speciale esigente il mero deposito dell’atto nell’albo pretorio;

– ritenuto – in via generale – che la notificazione dell’avviso di accertamento al contribuente D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 60, comma 1, lett. e) il quale deroga, in materia, all’art. 140 c.p.c. è ritualmente eseguita, quando nel Comune nel quale deve eseguirsi non vi è abitazione, ufficio o azienda del contribuente, mediante affissione dell’avviso del deposito prescritto dal citato art. 140 nell’albo comunale, senza necessità di spedizione della raccomandata e senza che l’ufficio sia tenuto ad espletare ricerche, in particolare anagrafiche, essendo un tale obbligo configurarle soltanto nel caso di intervenuto spostamento di residenza nell’ambito dello stesso.

– considerato – nello specifico – che, in caso di impossibilità di eseguire la notificazione presso la sede di una società commerciale, l’applicazione del criterio sussidiario della notificazione al legale rappresentante, previsto dall’art. 145 c.p.c., comma 3, non può sottrarsi alla suddetta regola generale ed è, pertanto, condizionata al fatto che tale persona fisica risieda nel Comune di domicilio fiscale dell’ente (Cass. 3558/02);

atteso che la sentenza impugnata non sembra porsi in linea con siffatti principi per cui – in accoglimento del ricorso dell’Amministrazione – va cassata con rinvio ad altra sezione della CTR della Lombardia per i conseguenti riscontri e determinazioni anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.
La Suprema Corte Accoglie il ricorso,cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa- anche per le spese ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia.

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2007.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2008


Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile – Sentenza del 19 febbraio 2008, n. 4061

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente

Dott. MAIORANO Francesco Antonio – Consigliere

Dott. VIDIRI Guido – Consigliere

Dott. DE MATTEIS Aldo – rel. Consigliere

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.B., elettivamente domiciliato in ROMA VIA CARLO POMA 2, presso lo studio dell’avvocato ASSENNATO Giuseppe Sante, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALBARELLO GIORGIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA IV NOVEMBRE 144, presso gli avvocati LA PECCERELLA Luigi, RASPANTI RITA, che lo rappresentano e difendono giusta PROCURA IN ATTI DEL 13/10/2005, REP. N. 69201, Notaio Tuccari di Roma;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 18/05 della Sezione distaccata di Corte d’Appello di BOLZANO, depositata il 28/04/05, r.g.n. 73/04;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 13/12/07 dal Consigliere Dott. Aldo DE MATTEIS;

udito l’Avvocato ALBARELLO;

udito l’Avvocato RASPANTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

La questione di diritto oggetto del presente giudizio è se le comunicazioni di cancelleria ex 136 c.p.c., possano essere validamente effettuate attraverso e-mail con risposta di conferma, documentate dalla relativa stampa cartacea.

La causa è iniziata con ricorso del Sig. I.B. del 13 novembre 2002 avanti al giudice del lavoro per ottenere la condanna dell’Inail alla corresponsione di rendita per inabilità per infortunio sul lavoro subito il 29 giugno 2000. Dopo la costituzione dell’Inail, essendo stata l’udienza di assunzione delle prove orali rinviata per impedimento del giudice, il cancelliere ha comunicato la data della nuova udienza “per gli stessi incombenti” a mezzo di due e- mail, destinate all’indirizzo di posta elettronica dei difensori delle parti, con conferma della ricezione, secondo la procedura convenuta tra la Corte d’Appello di Trento ed il locale Consiglio dell’Ordine degli avvocati, all’indirizzo e-mail comunicato dallo stesso avvocato al Consiglio dell’Ordine e da questo alla Corte d’Appello. Non avendo la parte ricorrente intimato i propri testi, la causa veniva istruita con il solo teste di parte resistente e decisa con il rigetto della domanda.

L’appello dell’ I. è stato respinto dalla Corte d’Appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, con sentenza 27/28 aprile 2005 n. 18, che ha altresì condannato l’appellante soccombente alle spese del grado.

Il giudice di appello ha preliminarmente individuato il fatto, qualificandolo pacifico: la comunicazione di cancelleria risulta pervenuta allo studio professionale del difensore di parte ricorrente in modalità elettronica e, con la stessa modalità, è stata data risposta di ricezione, di che risulta conservata in atti la documentazione cartacea.

A tale fatto ha applicato i seguenti criteri decisori:

1. il principio di libertà delle forme con le quali la comunicazione disciplinata dall’art. 136 c.p.c., può essere effettuata;

2. il raggiungimento dello scopo della comunicazione, dimostrato sia dal messaggio di conferma, dato non in automatico, ma con il comando volontario “rispondi”, sia dalla presenza del difensore all’udienza di assunzione delle prove;

3. la disciplina legislativa specifica sulle comunicazioni di cancelleria con il mezzo elettronico.

Analizzate le singole fonti normative (L. n. 59 del 1997, art. 15, comma 2, del D.Lgs. n. 39 del 1993, art. 6, D.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123, artt. 2 e 6), il giudice di appello ha distinto tra requisiti del documento informatico per i quali è richiesta la sottoscrizione con firma digitale, e comunicazione con biglietto di cancelleria, che non è un documento informatico ma una semplice modalità di trasmissione telematica, per la quale va seguita la disciplina appositamente prevista dal cit. D.P.R. n. 123 del 2001, art. 6, con distinzione già recepita dal D.P.R. n. 513 del 1997, art. 12. Ha infine rilevato che nella fattispecie in esame vi è addirittura un passaggio in più che garantisce la realizzazione dello scopo legale della procedura, e cioè una risposta non in automatico ma intenzionalmente generata dal computer destinatario a mezzo del tasto “rispondi” del programma di ricezione e scarico della corrispondenza elettronica.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’ I., con unico articolato motivo, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c., e note d’udienza.

L’Istituto intimato si è costituito con controricorso, resistendo.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123, artt. 6 e 8; D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, art. 25; D.P.R. 7 aprile 2003, n. 137;

D.Lgs. 23 febbraio 2002, n. 10, ripropone l’argomento, già esaminato e respinto dalla sentenza impugnata, secondo cui anche la comunicazione di cancelleria ai sensi dell’art. 136 c.p.c., richiede la firma digitale.

Il motivo non è fondato.

La sentenza impugnata risulta corretta nel suo doppio percorso argomentativo, quello che trova fondamento nella disciplina codicistica, e quello basato sull’esegesi della legislazione speciale.

1. L’art. 136 c.p.c., nel testo vigente al tempo dei fatti di causa, disponeva: “1. Il cancelliere, con biglietto di cancelleria in carta non bollata, fa le comunicazioni che sono prescritte dalla legge o dal giudice al pubblico ministero, alle parti….; 2. Il biglietto è consegnato dal cancelliere al destinatario, che ne rilascia ricevuta, o notificato dall’ufficiale giudiziario”. L’art. 45 disp. att. c.p.c., precisa poi che il biglietto si compone di due parti uguali, una delle quali deve essere consegnata al destinatario e l’altra deve essere conservata nel fascicolo d’ufficio. In questa parte che viene inserita nel fascicolo d’ufficio deve essere estesa la relazione di notificazione dell’ufficiale giudiziario o scritta la ricevuta del destinatario.

Questa Corte ha già esaminato la questione di diritto se la comunicazione del provvedimento ad opera della cancelleria debba avere luogo nelle forme specificate dall’art. 136 c.p.c. e art. 45 disp. att. c.p.c., o possa viceversa avere rilievo anche la conoscenza del provvedimento acquisita per altra via. Ha statuito, con orientamento antico e costante, fatto proprio dalle Sezioni Unite, che si possono ammettere forme equipollenti a quelle stabilite dall’ordinamento (volte a garantire in via generale la conoscenza di un atto al fine dell’osservanza dei termini di decadenza relativi), ogni qual volta ci sia un’attività del cancelliere, sia assicurata la completa conoscenza della comunicazione da parte del destinatario, nonché la certezza della data (Cass. sez. un., 10 giugno 1998, n. 5761, in motivazione; per l’enunciazione dello stesso principio in apicibus Cass. 21 novembre 2006 n. 24742; Cass. 15 febbraio 2006 n. 3286). La declinazione in concreto di tali elementi essenziali risente della diversità delle fattispecie. La giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto validi equipollenti: il “visto per presa visione” apposto dal procuratore o da suo incaricato sull’originale del biglietto di cancelleria predisposto per la comunicazione o sul provvedimento del giudice (Cass. 16 giugno 2004 n. 11319; Cass. 29 aprile 2002 n. 6221; Cass. 29 ottobre 1998 n. 10791; Cass. 12 settembre 1992 n. 10422); l’inserimento, ad opera del cancelliere, nel verbale d’udienza, del decreto di liquidazione del compenso al consulente tecnico, e la verbalizzazione dell’impegno della parte a corrispondere la somma liquidata (Cass. 26 giugno 2006 n. 14737); la dichiarazione resa nella cancelleria di aver preso visione dell’atto e di rinunciare alla relativa comunicazione (Cass. 20 ottobre 2005 n. 20279).

In tutte le fattispecie esaminate rileva un elemento volontaristico, e cioè l’accettazione da parte del procuratore nella forma equipollente, accettazione che tiene luogo nella sottoscrizione prevista dall’art. 45 disp. att. c.p.c..

In altre fattispecie viene posto in rilievo il raggiungimento dello scopo della comunicazione, come in quella esaminata da Cass. 12 febbraio 2000 n. 2068, che ha ritenuto valido equipollente il rilascio al creditore, su sua richiesta, di copia autentica del decreto con il quale il giudice delegato aveva fissato l’udienza per la comparizione delle parti e stabilito il termine per la notifica del provvedimento al curatore, in quanto tutto ciò comporta la effettiva presa di conoscenza, da parte del creditore stesso, del decreto “de quo”, ancorché non comunicato dal cancelliere a norma dell’art. 136 cod. proc. civ., qualora risulti che l’atto abbia raggiunto il suo scopo per avere il creditore immediatamente utilizzato il detto decreto chiedendone la notificazione al curatore del fallimento.

Posto il principio volontaristico che precede, la comunicazione da parte dell’avvocato del proprio indirizzo e-mail all’Ordine, per la successiva comunicazione alla Corte d’Appello, secondo la procedura prevista dall’accordo tra la Corte d’Appello di Trento ed il Consiglio dell’Ordine di appartenenza, costituisce: a) adesione del professionista alla convenzione, b) consenso acchè la comunicazione di cancelleria gli sia effettuata con tale modalità; c) garanzia che all’indirizzo dato il messaggio di cancelleria sarà letto dall’avvocato stesso o da altra persona addetta allo studio (sulla nozione di destinatario ai fini dell’art. 136 c.p.c., e sulla sufficienza che la comunicazione pervenga a collaboratore del destinatario addetto allo studio: Cass. 25 settembre 2000 n. 12666, Cass. 14 aprile 1996 n. 332).

La risposta, non in automatico, di aver ricevuto la comunicazione garantisce la certezza richiesta dall’art. 136 c.p.c..

La procedura di comunicazione seguita risulta pertanto corretta sulla semplice base codicistica, e, con ogni evidenza, volta a realizzare l’obiettivo di cui all’art. 111 Cost., comma 2, inserito dalla Legge Costituzionale 23 novembre 1992 n. 2. 2. La procedura prevista da tale convenzione risulta corretta anche alla luce della legislazione speciale sul tema.

Come correttamente ricordato dalla sentenza impugnata, già la L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 15, comma 2 (Delega al governo per la riforma della pubblica amministrazione), disponeva che “gli atti, dati e documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai privati con strumenti informatici o telematici, i contratti stipulati nelle medesime forme, nonché la loro archiviazione trasmissione con strumenti informatici, sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge”, rimandando poi per la determinazione de “i criteri e le modalità di applicazione del presente comma” a specifici regolamenti; e il D.Lgs. 12 febbraio 1993, n. 39, art. 6, menziona l’amministrazione della giustizia tra i soggetti pubblici destinati ad utilizzare i sistemi informativi automatizzati, sia pure con la riserva di particolari modalità di applicazione.

Il Regolamento recante disciplina sull’uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti è stato emanato con D.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123, ed è il testo fondamentale che interessa la questione oggetto della presente causa.

Tre sono le norme principali che sorreggono la tesi della sentenza impugnata sulla distinzione tra documenti informatici a firma digitale e comunicazioni telematiche di cancelleria: l’art. 2:

“l’attività di trasmissione, comunicazione o notificazione, dei documenti informatici è effettuata per via telematica attraverso il sistema informatico civile, fatto salvo quanto stabilito dall’art. 6;

l’art. 4, comma 3: “Ove dal presente regolamento non è espressamente prevista la sottoscrizione del documento informatico con la firma digitale, questa è sostituita dall’indicazione del nominativo del soggetto procedente prodotta sul documento dal sistema automatizzato, a norma del D.Lgs. 12 febbraio 1993, n. 39, art. 3, comma 2; l’art. 6: “Le comunicazioni con biglietto di cancelleria, nonché la notificazione degli atti, quest’ultima come documento informatico sottoscritto con firma digitale, possono essere eseguite per via telematica, oltre che attraverso il sistema informatico civile, anche all’indirizzo elettronico dichiarato ai sensi dell’art. 7”.

E’ evidente la contrapposizione, contenuta nell’art. 6, tra notificazione degli atti effettuata con firma digitale attraverso il sistema informatico civile, e comunicazioni con biglietto di cancelleria eseguita all’indirizzo elettronico dichiarato ai sensi dell’art. 7, secondo il quale ai fini delle comunicazioni e delle notificazione ai sensi dell’art. 6, l’indirizzo elettronico del difensore è unicamente quello comunicato dal medesimo al Consiglio dell’Ordine.

Altre norme del D.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123, concorrono alla medesima conclusione: l’art. 3, commi 2 e 3, per i quali al sistema informatico civile possono accedere attivamente soltanto i difensori delle parti e gli ufficiali giudiziari, e non altri soggetti; le varie norme che, in attuazione dell’art. 4, comma 3 cit., precisano quali atti devono essere formati come documenti informatici sottoscritti con firma digitale (art. 6 per le notificazioni, art. 10 per la procura alle liti, art. 11 per l’iscrizione al ruolo, art. 15 per il deposito della relazione del C.T.U., art. 17 per la trasmissione della sentenza).

Infine la L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, n. 1, lett. b, modificando leggermente la formula dall’art. 136 c.p.c., comma 2 (“Il biglietto è consegnato dal cancelliere al destinatario, che ne rilascia ricevuta, o è rimesso all’ufficiale giudiziario per la notifica”), evidenzia la distinzione di ruoli e di modalità di comunicazione tra il cancelliere e l’ufficiale giudiziario. Ed il terzo comma dell’art. 136, introdotto dalla Legge citata (“Le comunicazioni possono essere eseguite a mezzo telefax o a mezzo posta elettronica nel rispetto della normativa anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici teletrasmessi”), nel ribadire la distinzione tra documenti informatici e teletrasmessi, rinvia alla normativa regolamentare sopra citata.

Il carattere sostitutivo della procedura telematica rispetto a quella cartacea prevista dall’art. 136 c.p.c. e art. 145 disp. att. c.p.c.;

la possibilità, ridotta ma effettiva, di malfunzionamento del sistema di trasmissione; la gravità delle conseguenze decadenziali, impongono di ritenere che sia necessaria la risposta manuale di ricevuta con il tasto “rispondi”, e non sufficiente la risposta in automatico “letto” (per identica soluzione, limitatamente alla risposta “ok” del servizio di trasmissione via fax vedi Cass. 25 marzo 2003 n. 4319 e 3286/2006 cit.). Nè argomenti in contrario sembra possano trarsi dallo jus superveniens costituito dal nuovo testo dell’art. 136 c.p.c., comma 3, perché questo rinvia alla normativa regolamentare sopra citata, la quale non disciplina il punto specifico in esame. Né alla materia processuale, specificamente disciplinata dal D.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123, è applicabile il D.P.R. 10 novembre 1997, n. 513, art. 12 (Regolamento recante criteri e modalità per la formazione, l’archiviazione e la trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici, a norma della L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 15, comma 2), per il quale il documento informatico trasmesso per via telematica si intende inviato e pervenuto al destinatario se trasmesso all’indirizzo elettronico da questi dichiarato.

Poiché nel caso di specie il destinatario della comunicazione ha dato la risposta per ricevuta non in automatico, la comunicazione risulta validamente effettuata.

Si deve conclusivamente enunciare il seguente principio di diritto, in relazione alla fattispecie di causa: “E’ valida la comunicazione di cancelleria ex art. 136 c.p.c., effettuata per e-mail all’indirizzo elettronico comunicato dal difensore al proprio Consiglio dell’Ordine e da questi alla Corte d’Appello competente, a norma del D.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123, artt. 2, 4, 6, del quale il destinatario ha dato risposta per ricevuta non in automatico, documentata dalla relativa stampa cartacea”.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 253, 257 e 421 c.p.c.; omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione. Censura la sentenza impugnata per non aver ammesso le domande all’unico teste e non avere delibato le richieste della difesa del ricorrente; e per non aver ammesso la consulenza medica sugli esiti dell’infortunio.

Il motivo è assorbito dal rigetto del primo motivo; peraltro esso è inammissibile, per difetto di autosufficienza, perché non specifica le circostanze su cui il teste avrebbe dovuto testimoniare, al fine di consentire a questa Corte di apprezzarne la rilevanza.

Con il terzo motivo il ricorrente si duole della condanna alle spese del grado di appello, deducendo errata applicazione del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11; rileva che la corte territoriale non ha tenuto conto dei seguenti documenti, ritualmente prodotti: 1. della dichiarazione reddituale prodotta in primo grado;

2. dell’ulteriore dichiarazione reddituale prodotta ed allegata alle note difensive conclusionale del 7 aprile 2005 (documento 5), entrambe attestanti che il ricorrente poteva beneficiare della non soccombenza per le spese processuali. Anche questo motivo è inammissibile, perché non specifica il reddito dichiarato, che avrebbe consentito l’esenzione dalle spese processuali ai sensi del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, convertito in L. 24 novembre 2003, n. 326.

Le spese processuali del presente giudizio vengono compensate.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; compensa le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 13 novembre 2007.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2008