REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Angelo GRIECO Presidente
Dott. Giovanni LOSAVIO Consigliere
Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI Rel. Consigliere
Dott. Giovanni VERUCCI Consigliere
Dott. Salvatore DI PALMA Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SORU RENATO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA GORIZIA 14, presso l’avvocato A. SINAGRA, rappresentato e difeso dall’avvocato CARLITRIA BELLU, giusta delega a margine del ricorso;
Ricorrente
contro
CAPPELLANIA ANTONIO BOY, ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEGLI SCIPIONI 132, presso l’avvocato PIETRO MORGANTI, che lo rappresenta e difende unicamente all’avvocato ARTEMIO MASSIDDA, giusta procura in calce al controricorso;
Controricorrente
avverso la sentenza n. 3/96 della Corte d’Appello di CAGLIARI, sezione specializzata per le controversie agrarie, depositata il 22/11/96;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29/05/98 dal Consigliere Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI;
udito per il resistente l’avvocato Morganti che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Aurelio GOLIA che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 19 – 26 febbraio 1996, la sezione specializzata per le controversie agrarie del Tribunale di Cagliari, pronunciando sul ricorso proposto dalla Cappellania Antonio Boy, ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, nei confronti di Renato Soru, condannava il convenuto, quale detentore senza titolo, al rilascio di un fondo agricolo sito in agro del Comune di Assemini, località Terra Margiani, nonché al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede.
Proposto appello dal Soru, con sentenza del 29 ottobre – 22 novembre 1996, la Corte di Appello di Cagliari dichiarava inammissibile l’impugnazione, sul rilievo che la pronuncia impugnata era stata notificata all’appellante una prima volta in forma semplice il 2 aprile 1996 a mani di Gianni Soru, “nipote convivente e capace”, ed una seconda volta in forma esecutiva il 4 giugno 1996 a mani del fratello Luigi, “incaricato, tale qualificatosi, che ne cura la consegna”, mentre l’atto di appello era stato depositato l’11 luglio 1996, ossia dopo la scadenza del termine previsto dallo art. 434 c.p.c. per le cause di lavoro, applicabile anche alle controversie agrarie.
Osservava, in particolare, la Corte di merito che l’assunto del ricorrente – secondo il quale dette notifiche dovevano ritenersi inesistenti o, quanto meno, nulle, per essere egli all’epoca assente dalla sua abitazione perché detenuto nella casa circondariale di Cagliari – era da disattendere, atteso che il codice di procedura civile non detta norme particolari per la notificazione a persone detenute, onde restano applicabili le disposizioni generali, ed in particolare l’art. 139 c.p.c. Ritenuto, peraltro, che la persona detenuta conserva la residenza anagrafica presso la propria abitazione, il Soru doveva essere ricercato in quel luogo, anche sulla base del rilievo che la parte notificante non aveva alcuna possibilità di accedere alla “banca dati” del Centro elettronico per i servizi dell’amministrazione penitenziaria per verificare se lo stesso fosse detenuto, ed in caso positivo presso quale istituto penitenziario.
Correttamente, pertanto, la notifica era stata effettuata presso la residenza effettiva ed anagrafica, dove erano stati reperiti i parenti del Soru, i quali si erano dichiarati conviventi ed avevano accettato l’atto.
Osservava, infine, che in ogni caso la notificazione aveva raggiunto il suo scopo, avendo il Soru dimostrato di aver effettivamente avuto conoscenza della sentenza, producendone copia nel procedimento di opposizione all’esecuzione da lui promosso.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il Soru deducendo due motivi. Resiste con controricorso la Cappellania Antonio Boy.
Motivi della decisione
Va, innanzi tutto, disattesa l’eccezione della resistente di nullità della notifica del ricorso, in quanto effettuata presso il domiciliatario della stessa nel giudizio di appello anziché al domicilio indicato nell’atto di notificazione della sentenza impugnata, atteso che con la costituzione in giudizio in questa sede l’atto ha, comunque, raggiunto il suo scopo.
Con il primo motivo di ricorso, denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 139 c.p.c., si deduce che la Corte di Appello non ha considerato che lo stato di detenzione del Soru era perfettamente noto all’altra parte, tanto che essa aveva notificato il ricorso introduttivo del giudizio presso il carcere nel quale il medesimo era detenuto, e che egli, tradotto in stato di detenzione dinanzi al Tribunale per rendere l’interrogatorio libero, aveva indicato le ragioni per le quali detto stato era destinato a protrarsi nel tempo.
Si deduce, altresì, che, dovendosi ritenere come sua dimora abituale conosciuta il carcere del Buoncammino di Cagliari, in detto luogo dovevano essere effettuate le notifiche nei suoi confronti.
Si sostiene ancora che il nipote ed il fratello del Soru, che avevano rispettivamente ricevuto la prima e la seconda notifica della sentenza, non erano conviventi del ricorrente e che la mancanza di tale requisito era desumibile dal grado di parentela dei predetti; si rileva, inoltre, che lo stato di detenzione notoriamente limita i colloqui con il detenuto a determinati soggetti e ne regolamenta la frequenza nel tempo.
Con il secondo motivo, denunciando erronea interpretazione ed applicazione dell’art. 156 c.p.c., si deduce che la sentenza impugnata ha erroneamente affermato che il raggiungimento dello scopo era dimostrato dalla circostanza che, in sede di opposizione all’esecuzione il Soru aveva prodotto la copia della sentenza notificata in forma esecutiva il 4 giugno 1996, atteso che la produzione di detta copia, e non di quella notificata il 2 aprile 1996, valeva a dimostrare la mancata conoscenza di quell’atto al quale la Corte di Appello aveva riferito la decorrenza dei termini per la proposizione del gravame. Si deduce, altresì, che in ogni caso andava rilevata la mancanza di prova della tempestiva conoscenza della notifica da parte del destinatario, a causa del suo stato di detenzione.
Il primo motivo è infondato. Come ha correttamente rilevato la sentenza impugnata, la disciplina dettata dal codice di procedura civile in tema di notificazione di atti non contiene norme specifiche in relazione allo stato di detenzione del destinatario, onde restano applicabili le disposizioni generali, ed in particolare l’art. 138 c.p.c., concernente la notificazione a mani proprie – certamente possibile anche ove il destinatario si trovi in stato di detenzione -, nonché l’art. 139 c.p.c., il quale dispone che la notificazione va effettuata nel comune di residenza del destinatario, ricercandolo nella casa di abitazione o dove ha l’ufficio o esercita l’industria o il commercio, ovvero, se non è noto il comune di residenza, nel comune di dimora, o, se anche questa è ignota, nel comune di domicilio, ed indica i possibili consegnatari dell’atto, individuati sulla base di vincoli di parentela o di convivenza o di lavoro subordinato o di comunanza di rapporti, tali da offrire la massima garanzia in ordine alla effettiva consegna dell’atto al destinatario.
Né può fondatamente sostenersi che, nella specie, la notifica doveva essere effettuata presso il carcere nel quale il Soru era detenuto, quale luogo di dimora: ed invero, anche ammesso che il luogo di detenzione possa identificarsi con la dimora, va rilevato che l’art. 139 c.p.c. pone obbligatoriamente un criterio di successione preferenziale in ordine ai luoghi sopra richiamati, nei quali la notificazione deve avvenire (v. sul punto Cass., n. 1991, n. 13849; 1987, n. 9325; 1986, n. 1511; 1985, n. 1621). È noto, pertanto, che la residenza non si perde per effetto di un allontanamento più o meno protratto nel tempo, salvo che la persona non abbia fissato altrove una nuova abituale dimora, e quindi una nuova residenza.
È, altresì, pacifico in giurisprudenza che, intendendosi l’espressione “persona di famiglia” in senso ampio, così da ricomprendervi anche i familiari la cui presenza non abbia carattere del tutto occasionale, deve ritenersi valida la notificazione eseguita mediante consegna di copia dell’atto nella casa di abitazione del destinatario a familiare, pur se non convivente, che la accetti senza riserve, salva la dimostrazione, da parte di chi assume di non aver ricevuto l’atto, della mera occasionalità di quella presenza (v. Cass., n. 1995, n. 615; 1992, n. 3936; 1991, n. 4991).
Sulla base dei richiamati principi di diritto appare evidente l’infondatezza dei profili di censura formulati nel motivo di ricorso in esame, essendo stata correttamente notificata la sentenza del Tribunale nel comune di residenza e presso la casa di abitazione del Soru – a nulla rilevando l’asserita conoscenza da parte del notificante dello stato di detenzione del medesimo – e non avendo d’altro canto il predetto in alcun modo provato che i congiunti cui essa era stata consegnata (il nipote nella prima occasione, il fratello nella seconda) si trovavano del tutto occasionalmente e momentaneamente presso la sua abitazione.
Le richiamate argomentazioni soccorrono anche ai fini del rigetto del secondo motivo di ricorso, atteso che la ritualità della notifica effettuata vale di per sé ad escludere l’esistenza di un vizio suscettibile di sanatoria.
Ricorrono giusti motivi per compensare le spese di questo giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il 29 maggio 1998.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 17 SETTEMBRE 1998.