T.A.R. Puglia Lecce, Sez. III, Sent., (data ud. 11/05/2021) 28/05/2021, n. 820

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

Lecce – Sezione Terza

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 386 del 2019, integrato da motivi aggiunti, proposto da M.J., rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppe Cipressa, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Galatone, via Savoia, n. 92;

contro

Accademia di Belle Arti di Lecce, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Lecce, domiciliataria ex lege in Lecce, piazza S. Oronzo;

nei confronti

C.M., rappresentata e difesa dagli avvocati Angela Tinelli e Gaetano Amatulli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:

per l’accertamento

dell’illegittimità del silenzio serbato dall’Accademia di Belle Arti di Lecce sull’istanza presentata a mezzo PEC dalla ricorrente in data 22 dicembre 2018 e sulla ulteriore diffida-sollecito del 18 gennaio 2019, volte ad ottenere l’accesso a tutti gli atti della “Procedura comparativa pubblica per titoli, finalizzata alla stipulazione di contratti didattici Corsi di Arti visive e Discipline dello Spettacolo (Triennio e Biennio) A.A. 2018/2019 – insegnamento: Inglese per la comunicazione artistica” indetta dal medesimo Istituto ;

nonché per l’annullamento,

previa adozione di idonee misure cautelari,

– del Decreto Direttoriale prot. n. (…) del 21 dicembre 2018, pubblicato sul sito istituzionale dell’Accademia di Belle Arti di Lecce (www.accademialecce.it) in pari data, con il quale il Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Lecce ha approvato gli atti della procedura comparativa pubblica per titoli, finalizzata alla stipulazione di contratti didattici Corsi di Arti visive e Discipline dello Spettacolo (Triennio e Biennio) A.A. 2018/2019 – insegnamento: Inglese per la comunicazione artistica ed il relativo elenco di idonei (che ha visto collocarsi al primo posto C.M. ed in seconda posizione la ricorrente M.J.),

– di ogni altro atto ad esso prodromico, contestuale, connesso o successivo, ivi compresa la graduatoria finale;

nonché per la condanna dell’Accademia di Belle Arti di Lecce:

– all’attribuzione, in via cautelare, dell’insegnamento di che trattasi per l’A.A. 2018/2019;

– al risarcimento per equivalente dei danni subiti in conseguenza dei comportamenti tenuti e degli atti adottati dall’Amministrazione.

Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati dalla ricorrente il 19 luglio 2019:

per l’accertamento

dell’illegittimità del silenzio serbato dall’Accademia di Belle Arti di Lecce sull’istanza presentata a mezzo PEC dalla ricorrente in data 22 dicembre 2018 e sulla ulteriore diffida-sollecito del 18 gennaio 2019 volte ad ottenere l’accesso a tutti gli atti della “Procedura comparativa pubblica per titoli, finalizzata alla stipulazione di contratti didattici Corsi di Arti visive e Discipline dello Spettacolo (Triennio e Biennio) A.A. 2018/2019 – insegnamento: Inglese per la comunicazione artistica” indetta dal medesimo Istituto;

nonché per l’annullamento,

previa adozione di idonee misure cautelari,

– del Decreto Direttoriale prot. n. (…) del 21 dicembre 2018, pubblicato sul sito istituzionale dell’Accademia di Belle Arti di Lecce (www.accademialecce.it) in pari data, con il quale il Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Lecce ha approvato gli atti della procedura comparativa pubblica per titoli, finalizzata alla stipulazione di contratti didattici Corsi di Arti visive e Discipline dello Spettacolo (Triennio e Biennio) A.A. 2018/2019 – insegnamento: Inglese per la comunicazione artistica ed il relativo elenco di idonei (che ha visto collocarsi al primo posto C.M. ed in seconda posizione la ricorrente M.J.);

– di ogni altro atto ad esso prodromico, contestuale, connesso o successivo, ivi compresa la graduatoria finale e l’avviso di “inizio corso” pubblicato il 12 aprile 2019 (per il giorno 30 aprile 2019);

nonché per la condanna dell’Accademia di Belle Arti di Lecce:

– all’attribuzione, anche in via cautelare, dell’insegnamento di che trattasi per l’A.A. 2018/2019;

– al risarcimento per equivalente dei danni subiti in conseguenza dei comportamenti tenuti e degli atti adottati dall’Amministrazione.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Accademia di Belle Arti di Lecce e di C.M.;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 84 del D.L. n. 18 del 2020;

Visto l’art. 4 del D.L. n. 28 del 2020;

Visto l’art. 25 del D.L. n. 137 del 2020;

Visto l’art. 1 comma 17 del D.L. n. 183 del 2020;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 maggio 2021 il dott. Giovanni Gallone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Svolgimento del processo
1. Con ricorso notificato il 19 febbraio 2019 e depositato il 21 marzo 2019 la ricorrente, già in precedenza docente a contratto di “Inglese per la comunicazione artistica” presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce e partecipante alla “Procedura comparativa pubblica per titoli finalizzata alla stipulazione di contratti didattici Corsi di Arti visive e Discipline dello Spettacolo (Triennio e Biennio) A.A. 2018/2019 – insegnamento: Inglese per la comunicazione artistica” indetta dal medesimo Istituto, ha domandato l’accertamento e la dichiarazione di illegittimità ex art. 117 c.p.a. (rectius art. 116 c.p.a.) del silenzio illegittimamente serbato dall’Accademia di Belle Arti di Lecce sull’istanza presentata a mezzo PEC dalla ricorrente in data 22 dicembre 2018 e sulla ulteriore diffida-sollecito del 18 gennaio 2019 volte ad ottenere l’accesso a tutti gli atti della prefata procedura comparativa e l’estrazione di copia delle relative schede di valutazione, delle griglie di valutazione compilate dalla Commissione, dei criteri adottati per l’attribuzione dei punteggi e di ogni altro documento riguardante la valutazione e le relative operazioni condotte dalla Commissione in relazione ai titoli prodotti dalla ricorrente e dagli altri partecipanti alla stessa, nonché i relativi verbali. Ha, altresì, contestualmente domandato l’annullamento ex art. 29 c.p.a., previa adozione di idonee misure cautelari, del Decreto Direttoriale prot. n. (…) del 21 dicembre 2018, pubblicato sul sito istituzionale dell’Accademia di Belle Arti di Lecce (www.accademialecce.it) in pari data, con il quale il Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Lecce ha approvato gli atti della procedura comparativa pubblica per titoli, finalizzata alla stipulazione di contratti didattici Corsi di Arti visive e Discipline dello Spettacolo (Triennio e Biennio) A.A. 2018/2019 – insegnamento: Inglese per la comunicazione artistica ed il relativo elenco di idonei (che ha visto collocarsi al primo posto C.M. ed in seconda posizione la ricorrente M.J.), nonché di ogni altro atto ad esso prodromico, contestuale, connesso o successivo, ivi compresa la graduatoria finale.

Ha, poi, chiesto la condanna dell’Accademia delle Belle Arti di Lecce all’attribuzione, anche in via cautelare, dell’insegnamento di che trattasi per l’A.A. 2018/2019 nonché al risarcimento del danno subito in conseguenza dei comportamenti tenuti e degli atti adottati dall’Amministrazione.

1.1 A sostegno delle domande proposte ha dedotto i motivi così rubricati:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 31 del cod. proc. amm.;

2) eccesso di potere dell’amministrazione convenuta, arbitrarietà nell’emanazione dei giudizi. anomalie nella valutazione, illogicità manifesta della procedura valutativa, difetto di motivazione.

3) eccesso di potere per sviamento dell’interesse pubblico al buon andamento della pubblica amministrazione in riferimento all’art. 97 della Costituzione, inosservanza del disposto di cui all’art. 2 bis della L. n. 241 del 1990.

2. Ad esito dell’udienza in Camera di Consiglio del 10 aprile 2019 con ordinanza cautelare n. 215 dell’11 aprile 2019 questa Sezione, ritenendolo necessario ai fini della decisione sull’istanza cautelare, ha ordinato all’Accademia delle Belle Arti di Lecce, in persona del legale rappresentante pro tempore, “l’esibizione di tutti gli atti della procedura comparativa di che trattasi e di una dettagliata relazione di chiarimenti sulla vicenda dedotta in contenzioso”.

3. In data 6 giugno 2019 l’Accademia delle Belle Arti di Lecce ha adempiuto all’ordine istruttorio impartito con l’ordinanza cautelare n. 215 dell’11 aprile 2019, depositando la documentazione di interesse ma senza depositare la richiesta relazione di chiarimenti.

4. All’udienza in Camera di Consiglio dell’11 giugno 2019, il Presidente, in accoglimento della richiesta avanzata dalla difesa di parte ricorrente, ha disposto il rinvio dell’udienza alla Camera di Consiglio del 24 luglio 2019, al fine di consentire la notifica del ricorso alla controinteressata, individuata (inequivocamente) solo a seguito dell’adempimento istruttorio.

5. Con motivi aggiunti notificati in data 15 luglio 2019 anche alla controinteressata C.M. e depositati in data 19 luglio 2019 la ricorrente ha addotto nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte ed ha, altresì domandato l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, degli atti allo stesso successivi al Decreto Direttoriale Prot. n. (…) del 21 dicembre 2018 già impugnato, compreso l’avviso di “inizio corso” pubblicato il 12 aprile 2019 (per il giorno 30 aprile 2019). In particolare, ha dedotto le censure così rubricate:

1) eccesso di potere dell’amministrazione convenuta, arbitrarietà nell’emanazione dei giudizi, anomalie nella valutazione, illogicità manifesta della procedura valutativa;

2) eccesso di potere per sviamento dell’interesse pubblico al buon andamento della pubblica amministrazione in riferimento all’art. 97 della Costituzione;

3) manifesta illogicità ed inadeguatezza della valutazione, eccesso di potere per contraddittorietà ed illogicità manifesta, difetto di motivazione di cui all’art. 3 della L. n. 241 del 1990;

4) genericità dei criteri di valutazione.

6. All’udienza in Camera di Consiglio del 24 luglio 2019, il Presidente, in accoglimento della richiesta avanzata dalla difesa di parte ricorrente, ha disposto il rinvio dell’udienza alla Camera di Consiglio del 3 settembre 2019.

7. In data 1 agosto 2019 si è costituita in giudizio, per resistere al ricorso per motivi aggiunti, la controinteressata C.M.. Il successivo 29 agosto 2019 la stessa ha depositato memorie difensive.

8. All’udienza in Camera di Consiglio del 3 settembre 2019, il Presidente, su richiesta della difesa di parte ricorrente, preso atto dell’intervenuta conclusione del corso di insegnamento di che trattasi, ha disposto a cancellazione della causa dal ruolo delle istanze cautelari.

9. In data 31 marzo 2021 la controinteressata C.M. si è costituita in giudizio a mezzo di nuovi difensori. Il successivo 9 aprile 2021 la stessa ha depositato una memoria difensiva.

10. In data 14 aprile 2021 si è costituita in giudizio a mezzo dell’Avvocatura erariale l’Accademia delle Belle Arti di Lecce.

11. In data 20 aprile 2021 l’Avvocatura dello Stato ha formulato, nell’interesse dell’Accademia delle Belle Arti di Lecce, un’istanza di remissione in termini ex art. 37 c.p.a. rappresentando che “il ricorso originario e i successivi motivi aggiunti ex art. 43 c.p.a. sono stati notificati, su istanza della ricorrente, nei confronti dell’Accademia di Belle Arti di Lecce, direttamente presso la sede della stessa, sita in L., Via G. L. n. 3, e non già presso la sede della Avvocatura Distrettuale dello Stato di Lecce che ne assicura ex lege la Difesa”. L’Avvocatura erariale ha aggiunto che per tale ragione l’Accademia delle Belle Arti di Lecce “non ha mai formalizzato la costituzione in giudizio con il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato” sino a quando, in data 8 aprile 2021, è stato notificato, questa volta ritualmente nei confronti della Accademia presso l’Avvocatura Dello Stato di Lecce, l’atto di costituzione di nuovo difensore e nuova elezione di domicilio della controinteressata C.M.. L’Accademia ha, dunque, formalizzato la propria costituzione a mezzo dell’Avvocatura dello Stato nel presente giudizio solo data in 14 aprile 2021, ricevendo in pari data copia dell’avviso di fissazione della udienza pubblica dell’11 maggio 2021 per la trattazione del merito del ricorso (avviso, invero, già emesso in data 16 ottobre 2020). Alla luce di ciò l’Avvocatura dello Stato, rilevato “che la nullità della notifica del ricorso introduttivo della lite ha impedito la regolare instaurazione del contraddittorio nei confronti della Amministrazione resistente, che ha sanato detta nullità solo a seguito del primo atto formalmente idoneo ed efficace (la costituzione del nuovo difensore della controinteressata) alla costituzione, peraltro parziale, del rapporto processuale nei confronti della Accademia”, ha chiesto la remissione in termini “rispetto alla presentazione di documenti, al deposito di memoria difensiva, nonché di eventuale, successiva replica ai sensi dell’art. 73 c.p.a.”.

12. All’udienza pubblica dell’11 maggio 2021 la causa è stata introitata per la decisione ai sensi degli artt. 1 comma 17 del D.L. n. 183 del 2020 con riferimento agli artt. 84 del D.L. n. 18 del 2020, 4 del D.L. n. 28 del 2020 e 25 del D.L. n. 137 del 2020.

Motivi della decisione
1. In limine deve essere respinta l’istanza di remissione in termini formulata dalla difesa erariale.

E’, infatti, appena il caso di notare che questa Sezione ha già affrontato ex professo e risolto in senso negativo la questione dell’applicabilità all’Accademia di Belle Arti dello speciale regime di notifica di cui all’art. 11 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611 nell’ambito della sentenza, divenuta di irrevocabile, del 10 giugno 2019 n. 958, pronunciata tra le stesse parti nell’ambito del giudizio n. 835/2018 Reg. Ric.. con riguardo ad una vicenda perfettamente sovrapponibile a quella che occupa e relativa alla procedura comparativa pubblica per titoli, finalizzata alla stipulazione di contratti didattici Corsi di Arti visive e Discipline dello Spettacolo (Triennio e Biennio) – insegnamento: Inglese per la comunicazione artistica per l’A.A. 2017-2018.

Si è, in tale sede, infatti, precisato che “alle Accademie delle Belle Arti, dopo la riforma di cui alla L. 21 dicembre 1999, n. 508 (“Riforma delle Accademie di belle arti, dell’Accademia nazionale di danza, dell’Accademia nazionale di arte drammatica, degli Istituti superiori per le industrie artistiche, dei Conservatori di musica e degli Istituti musicali pareggiati”) non può essere riconosciuta la qualità di organi dello Stato, ma quella di enti pubblici autonomi (cfr. art. 2 della citata L. n. 508 del 1999); con la conseguenza che (come già evidenziato nella fase cautelare del giudizio), ai fini della rappresentanza e difesa da parte dell’Avvocatura dello Stato, non opera il patrocinio obbligatorio disciplinato agli artt. 1 – 11 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, bensì il patrocinio facoltativo/autorizzato ex art. 43 del medesimo R.D. n. 1611 del 1933, con la conseguente inapplicabilità delle disposizioni sulla domiciliazione “ex lege” presso l’Avvocatura dello Stato ai fini della notificazione di atti e provvedimenti giudiziali (si vedano, per “eadem ratio”, i principi espressi, con riferimento alle Università degli Studi, da Cassazione Civile, Sezioni Unite, 10 maggio 2006, n. 10700)” (T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. III, 10 giugno 2019 n. 958).

Ne consegue che risulta, anche nella vicenda in esame, corretta la notificazione del ricorso ritualmente effettuata presso la sede reale dell’Accademia delle Belle Arti di Lecce.

2. Va, poi, sempre in via preliminare, delibata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per nullità della notificazione del ricorso introduttivo sollevata dalla difesa della controinteressata C.M.. In particolare, si eccepisce che parte ricorrente avrebbe dovuto notificare personalmente l’atto introduttivo alla controinteressata nelle forme dell’art. 139 c.p.c. e non nella persona della “Sig.ra M.C. … presso l’Accademia delle Belle Arti di Lecce con sede in 73100 L. alla Via G. L. n.3”. Inoltre, non potrebbe ritenersi perfezionata neppure la successiva notifica effettuata nelle forme dell’art. 143 comma 2 c.p.a. osservandosi, in proposito, che sia la ricorrente che il suo difensore sarebbero stati perfettamente consapevoli della circostanza per cui la controinteressata, indicata nel Decreto Direttoriale impugnato come “M.C.” a causa di un mero refuso di battitura, era M.C.. Ciò in quanto quest’ultima era risultata vincitrice della precedente procedura indetta dall’Accademia delle Belle Arti di Lecce per l’A.A. 2017/2018, il cui provvedimento definitorio è stato oggetto di impugnazione da parte dell’odierna ricorrente nell’ambito del giudizio n. 835/2018 Reg. Ric..

2.1 L’eccezione non coglie nel segno.

Il Collegio ritiene che la notifica del ricorso introduttivo si sia ritualmente perfezionata nei confronti della controinteressata C.M. ai sensi e per gli effetti dell’art. 143 comma 2 c.p.a.. Infatti, sussisteva, al momento della proposizione del ricorso introduttivo, un’obiettiva incertezza circa la corretta identità della controinteressata. Detta situazione di incertezza, di certo non imputabile alla parte ricorrente e non superabile in via induttiva, ha giustificato, anche in ragione del mancato perfezionamento della prima notifica operata presso la sede dell’Accademia delle Belle Arti di Lecce, il ricorso alla forma residuale di notificazione di cui all’art. 143 comma 2 c.p.c.

Deve aggiungersi, in ogni caso, che l’intervenuta costituzione in giudizio della controinteressata (la quale ha compiutamente controdedotto) ha sanato con effetto retroattivo ogni eventuale difetto di notifica.

3. Nel merito, il ricorso, come integrato da motivi aggiunti, è, in parte, improcedibile per cessata materia del contendere e, in parte, fondato nei sensi appresso precisati.

4. Anzitutto, occorre rilevare che il ricorso è divenuto in parte qua improcedibile per cessazione della materia del contendere limitatamente alla domanda proposta avverso il silenzio (da riqualificare, in ragione del suo contenuto sostanziale, in actio ad exhibendum ex art. 116 comma 1 c.p.a.) a seguito dell’intervenuta ostensione della documentazione richiesta da parte dell’Accademia resistente in adempimento di ordinanza n. 215 dell’11 aprile 2019 di questa Sezione (emessa nella fase cautelare del giudizio).

Ciò ha, infatti, determinato, all’evidenza, l’integrale soddisfazione della pretesa ostensiva di parte ricorrente ai sensi dell’art. 34 comma 5 c.p.a..

5. Deve, invece, essere accolta la domanda di annullamento del Decreto Direttoriale prot. n. (…)/B3 del 21 dicembre 2018 con il quale il Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Lecce ha approvato gli atti della procedura comparativa pubblica per titoli, finalizzata alla stipulazione di contratti didattici Corsi di Arti visive e Discipline dello Spettacolo (Triennio e Biennio) A.A. 2018/2019 – insegnamento: Inglese per la comunicazione artistica e la relativa graduatoria finale (che ha visto collocarsi al primo posto C.M. ed in seconda posizione la ricorrente M.J.) e degli atti allo stesso successivi, compreso l’avviso di “inizio corso” pubblicato il 12 aprile 2019 (per il giorno 30 aprile 2019).

5.1 Occorre, in proposito, preliminarmente rilevare che, pur essendo, ormai da tempo, terminato l’A.A. 2018/2019 ed i relativi corsi (tra cui quello di “Inglese per la comunicazione artistica”), non risulta comunque venuto meno l’interesse di parte ricorrente ad ottenere la rimozione con decorrenza ex tunc degli effetti giuridici ed economici degli atti impugnati, anche ai fini della corretta riformulazione, ora per allora, della graduatoria concorsuale di che trattasi.

5.2 Tanto premesso, appaiono certamente fondate le censure mosse da parte ricorrente contro gli atti impugnati in seno al secondo motivo di gravame del ricorso introduttivo, così come integrato a mezzo del primo motivo aggiunto.

Con essi si denuncia la violazione dell’art. 5 del Bando di concorso e dell’art. 4 comma 2 del Regolamento dell’Accademia di Belle Arti di Lecce recante la disciplina della procedura per il conferimento degli incarichi esterni e supplenti, entrambi richiamati dalla Commissione Esaminatrice nel corso della riunione del 20 dicembre 2018, che individuerebbero, quale primo criterio di valutazione dei candidati al fine della formazione della graduatoria finale, la “a) qualificazione professionale”. Osserva parte ricorrente che dalla documentazione presentata dalla controinteressata Dott.ssa C. si evincerebbe chiaramente che ella non sarebbe in possesso di alcun titolo specifico che la renda maggiormente idonea all’insegnamento della lingua inglese rispetto alla seconda classificata in quanto mentre ella risulterebbe essere in possesso di laurea triennale in scienze storico artistiche e laurea specialistica in storia dell’arte, la ricorrente Prof.ssa M. risulterebbe essere in possesso di Laurea in Lingue e Letterature Straniere, conseguita con il massimo dei voti, ed oltre a tale titolo (già da solo sufficiente a posizionarsi prima in graduatoria) avrebbe conseguito l’abilitazione all’insegnamento per la Lingua Inglese. La Commissione esaminatrice avrebbe, invece, irragionevolmente ritenuto, con riferimento alla controinteressata, “particolarmente significativa la presenza nel C.V. di una formazione internazionale … nell’ambito della comunicazione artistica in lingua inglese”, senza prendere, a tal fine, in considerazione che l’insegnamento messo a concorso è denominato nell’Avviso pubblico quale “Inglese per la comunicazione artistica”.

È appena il caso di notare che trattasi di doglianza analoga a quella già dedotta, a fronte di identica lex specialis, in seno al primo motivo di gravame del ricorso introduttivo del giudizio n. 835/2018, accolto da questa Sezione con la già citata sentenza, divenuta irrevocabile, n. 958 del 10 giugno 2019.

Ritiene, pertanto, il Collegio di non doversi discostarsi da quanto già osservato in tale sede.

Appare, in particolare, manifestamente erronea, ai fini dell’affidamento dell’insegnamento de quo (“Inglese per la Comunicazione Artistica”), la valutazione dei titoli di studio e professionali e delle esperienze maturate espressa dalla Commissione Esaminatrice con riguardo alle due candidate in questione, considerato che la ricorrente è laureata in “Lingue e Letteratura Inglese”, nonché abilitata all’insegnamento di “Inglese”, nel mentre la controinteressata ha conseguito laurea specialistica in “Storia dell’Arte”. Detto ultimo titolo di studio non riscontra, infatti, a differenza di quello vantato dalla Prof.ssa M., le specificità proprie dell’incarico di insegnamento in questione, che vede, senza dubbio, prevalente, alla luce della sua denominazione formale e del contenuto del Programma Didattico, la componente linguistica su quella storico- artistica.

Deve, quindi, essere disposto l’annullamento del Decreto Direttoriale prot. n. (…) del 21 dicembre 2018 e dei successivi atti ivi compreso l’avviso di “inizio corso” pubblicato il 12 aprile 2019 (per il giorno 30 aprile 2019) con conseguente ordine di attribuzione in favore della ricorrente, ora per allora, dell’insegnamento “Inglese per la comunicazione artistica” nell’ambito dei Corsi di Arti visive e Discipline dello Spettacolo (Triennio e Biennio) A.A. 2018/2019 tenuti dall’Accademia di Belle Arti di Lecce.

6. Rimane, in ultimo, da scrutinare la domanda di risarcimento per equivalente monetario dei danni sofferti dalla ricorrente in conseguenza dell’adozione da parte dell’Amministrazione resistente degli atti impugnati.

La domanda in parola è fondata e merita accoglimento.

Sussistono, infatti, tutti i presupposti di legge per la configurabilità in capo all’Accademia di Belle Arti di Lecce di una responsabilità per fatto illecito da attività provvedimentale illegittima, secondo le coordinate da ultimo ribadite nella decisione n. 7 del 27 aprile 2021 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.

6.1 Anzitutto, sussiste, per le ragioni già esposte al punto 5.2, il presupposto della (patente) illegittimità dei provvedimenti lesivi.

6.2 Parimenti sussistente è l’ulteriore presupposto costituito dall’effettiva spettanza in capo alla ricorrente del bene della vita a cui la stessa aspira (id est, nel caso che occupa, l’affidamento dell’incarico di insegnamento “Inglese per la comunicazione artistica” per l’A.A. 2018-2019 presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce).

Alla stregua del consueto giudizio prognostico in concreto richiesto per l’accertamento della responsabilità civile da lesione di un interesse legittimo di tipo pretensivo, è, infatti, da ritenere che, in assenza delle illegittimità sopra riscontrate, la ricorrente si sarebbe certamente collocata prima nella graduatoria finale, sopravanzando l’odierna controinteressata.

Basti osservare che la ricorrente si è posizionata al secondo posto in graduatoria e che la corretta applicazione del criterio della “qualificazione professionale” (come tratteggiata supra al punto 5.2) avrebbe certamente condotto a ritenere più meritevoli le pregresse esperienze professionali vantate da parte ricorrente, in quanto più aderenti alle specificità proprie dell’incarico di insegnamento in questione.

6.3 Deve, poi, ritenersi che la condotta tenuta dall’Amministrazione resistente sia connotata da colpa.

In proposito, è sufficiente rilevare che l’Accademia delle Belle Arti di Lecce ha, nel caso che occupa, reiterato le medesime illegittimità già denunciate da parte l’anno precedente con il ricorso introduttivo del giudizio n. 835/2018 Reg. Ric., accolto da questa Sezione con la già citata sentenza n. 958 del 10 giugno 2019. Ad apparire particolarmente significativo è che l’Amministrazione resistente ha adottato gli atti causativi del danno (il Decreto Direttoriale prot. n. (…)del 21 dicembre 2018 e l’avviso di “inizio corso” pubblicato il 12 aprile 2019) dopo che questa Sezione aveva già accolto la domanda cautelare proposta dall’odierna ricorrente nell’ambito del giudizio n. 835/2018 Reg. Ric. a mezzo dell’ordinanza cautelare n. 448 del 2018 (confermata, peraltro, dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato in sede di appello ex art. 62 c.p.a. con ordinanza n. 6113 del 2018).

Ciò denota una grave negligenza ed imprudenza nell’esercizio del potere pubblico che vale a fondare un giudizio di sicura rimproverabilità nei confronti dell’Amministrazione resistente.

6.4 Sussiste, in ultimo, il presupposto rappresentato da un danno (patrimoniale o non patrimoniale) alla sfera giuridica di parte ricorrente che sia riconducibile, sul piano causale, all’adozione del provvedimento amministrativo assunto come lesivo.

Parte ricorrente ha, infatti, compiutamente allegato e dimostrato di aver sofferto un pregiudizio di tipo patrimoniale consistente nel lucro cessante derivato dalla mancata corresponsione in suo favore del compenso previsto per l’incarico (pari a complessivi € 5.000,00).

Come emerge dal combinato disposto degli artt. 1 e 6 dell’Avviso pubblico di concorso prot. n. (…) del 6 dicembre 2018, è stato, infatti, previsto che il vincitore della procedura comparativa avrebbe stipulato un contratto di insegnamento della durata totale di n. 100 ore, da retribuire con un importo di € 50,00 l’ora, comprensivo degli oneri a carico del prestatore e del committente.

6.5 Non spetta, invece, alla ricorrente, in ragione dell’intervenuto annullamento degli atti impugnati con conseguente attribuzione in suo favore, ora per allora, dell’insegnamento “Inglese per la comunicazione artistica” nell’ambito dei Corsi di Arti visive e Discipline dello Spettacolo (Triennio e Biennio) A.A. 2018/2019 tenuti dall’Accademia di Belle Arti di Lecce, alcun ristoro in relazione lamentato danno curricolare (che deve ritenersi integralmente riparato).

6.6 Ritiene, in conclusione, il Collegio di dover determinare il quantum risarcibile nella somma complessiva di € 5.000,00 (cinquemila/00), oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla maturazione (da far risalire, in ragione dell’attribuzione ora per allora in favore della ricorrente dell’insegnamento de quo, al 30 aprile 2019, data di avvio del corso per l’A.A. 2018/2019), trattandosi di debito di valuta.

7. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono ex artt. 26 e c.p.a. e 91 c.p.c. la soccombenza e sono da porre integralmente a carico dell’Amministrazione resistente e della controinteressata C.M..

7.1 Si dispone la trasmissione della presente sentenza alla Procura Regionale della Corte dei Conti della Puglia per le determinazioni di competenza.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Terza definitivamente pronunciando sul ricorso, integrato da motivi aggiunti, come in epigrafe proposto:

– dichiara l’improcedibilità per cessazione della materia del contendere della domanda proposta avverso il silenzio serbato dall’Accademia di Belle Arti di Lecce sull’istanza presentata a mezzo PEC dalla ricorrente in data 22 dicembre 2018 e sulla ulteriore diffida-sollecito del 18 gennaio 2019 volte ad ottenere l’accesso a tutti gli atti della procedura comparativa di che trattasi;

– annulla il Decreto Direttoriale prot. n. (…) del 21 dicembre 2018 ed i successivi atti, ivi compreso l’avviso di “inizio corso” pubblicato il 12 aprile 2019 (per il giorno 30 aprile 2019), con conseguente attribuzione in favore della ricorrente, ora per allora, dell’insegnamento “Inglese per la comunicazione artistica” nell’ambito dei Corsi di Arti visive e Discipline dello Spettacolo (Triennio e Biennio) A.A. 2018/2019 tenuti dall’Accademia di Belle Arti di Lecce;

– condanna l’Accademia delle Belle Arti di Lecce, in persona del rappresentante legale pro tempore, al pagamento in favore della ricorrente, a titolo di risarcimento del danno, della somma di € 5.000,00 (cinquemila/00), oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla maturazione;

– condanna l’Accademia delle Belle Arti di Lecce, in persona del rappresentante legale pro tempore, al pagamento in favore della ricorrente, a titolo di spese processuali, della somma di € 1.000,00 (mille/00), oltre gli accessori di legge;

– condanna la controinteressata C.M. al pagamento in favore della ricorrente, a titolo di spese processuali, della somma di € 1.000,00 (mille/00), oltre gli accessori di legge;

– dispone la trasmissione della presente sentenza alla Procura Regionale della Corte dei Conti della Puglia per le determinazioni di competenza.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Conclusione
Così deciso in Lecce nella Camera di Consiglio del giorno 11 maggio 2021 svolta da remoto tramite l’applicativo Microsoft Teams con l’intervento dei magistrati:

Enrico d’Arpe, Presidente

Patrizia Moro, Consigliere

Giovanni Gallone, Referendario, Estensore


TAR Napoli, I Sezione, sentenza 22 ottobre 2018 n. 6129

La sentenza che chiarisce come l’avviso è strumento indispensabile che va ricevuto entro un preciso lasso temporale.

Convocazione del Consiglio comunale recapitata in luogo diverso da quello dovuto

Leggi: Convocazione Consiglio comunale TAR Campania 2018


TAR Friuli Venezia Giulia, sez. I, sentenza 5 – 13 09 2018, n. 287 DPO

Interessante sentenza del Tar Friuli sui requisiti necessari per il ricoprire il ruolo di Dpo, figura prevista dal regolamento europeo sulla privacy (Gdpr) due concorrenti sulla linea di partenza

Leggi: TAR Friuli Venezia Giulia, sez. I, sentenza 5 – 13 09 2018, n. 287 DPO


TAR campano – sentenza n. 1368 del 30 agosto 2017

Quattro avvocati pubblici (dipendenti di una A.S.L. campana) nel 2016 si vedevano consegnare dal datore di lavoro il tesserino magnetico marcatempo, con l’obbligo di timbratura contenuto in apposito provvedimento, pena l’adozione di misure disciplinari; costoro, invocando il particolare status dei legali e le peculiari modalità con le quali veniva svolta la prestazione lavorativa nell’interesse dell’Ente, gravavano allora l’atto dinanzi al TAR. I legali sostenevano, nell’impugnativa, che un uso indiscriminato del sistema di rilevazione delle presenze avrebbe inevitabilmente comportato una implausibile limitazione dei profili di autonomia professionale e di indipendenza indiscutibilmente riconosciuti dal vigente ordinamento (anche) agli avvocati dipendenti delle Amministrazioni pubbliche. Nel procedimento era intervenuta ad adiuvandum, a sostegno dei ricorrenti, anche una organizzazione sindacale. Il TAR campano con sentenza n. 1368 del 30 agosto 2017 (sotto riportata) ha respinto il ricorso.

Dopo aver premesso che della questione, in generale, la giurisprudenza amministrativa aveva già avuto modo di occuparsi (il Consiglio di Stato, con decisione n. 2434 del 7 giugno 2016 ha infatti osservato che le prerogative di autonomia ed indipendenza non sono lese da ordini di servizio riconducibili alla verifica funzionale del rispetto degli obblighi lavorativi di diligenza e correttezza nei confronti del datore di lavoro, che obbligano ovviamente anche l’avvocato iscritto all’elenco speciale), i giudici salernitani hanno rilevato che con gli atti contestati non si realizza affatto una “indebita ingerenza” nell’esercizio intrinseco della prestazione d’opera intellettuale propria della professione forense, e cioè “nella trattazione esclusiva e stabile degli affari legali dell’ente”, ai sensi dell’art. 23 Legge n. 247 del 2012 (cioè la normativa generale sulla professione di avvocato), ma, semplicemente, si sottopone l’attività a forme di controllo estrinseco, doverose e coerenti con la partecipazione dell’ufficio dell’avvocato dell’ente pubblico all’organizzazione amministrativa dell’ente stesso.

Leggi: TAR campano – sentenza n. 1368 del 30 agosto 2017 


T.A.R. Campania Salerno, Sez. II, Sent., (data ud. 15/03/2017) 21/08/2017, n. 1310

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 864 del 2016, proposto da:

Istituto Professionale di Stato Per i Servizi Enogastronomici e dell’Ospitalità Alberghiera “Roberto Virtuoso”, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Luigi Vuolo, con domicilio eletto presso il suo studio in Salerno, largo Plebiscito, 6;

contro

Regione Campania, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Maria Vittoria De Gennaro, con domicilio eletto presso l’Avvocatura Regionale in Napoli, alla vua S. Lucia n. 1

Provincia di Salerno non costituito in giudizio;

Ministero dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca, Ufficio Scolastico Regionale della Campania, Convitto Nazionale Tasso, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliata in Napoli, alla via A.Diaz n.11;

per l’annullamento

della delibera della Giunta Regionale Campania n. 20/2016 recante dimensionamento scolastico piano dell’offerta formativa 2016/2017 nella parte in cui ha approvato l’istituzione di un nuovo indirizzo di studi concernente i servizi enogastronomici e per l’ospitalità albergheria presso il Convitto Nazionale “Torquato Tasso” di Salerno.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Campania e di Ministero dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca – di Ufficio Scolastico Regionale della Campania e di Convitto Nazionale Tasso;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 marzo 2017 la dott.ssa Rita Luce e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con Delib. n. 20 del 26 gennaio 2016 la Regione Campania, nell’ambito del più ampio dimensionamento della rete scolastica e dell’offerta formativa per l’anno scolastico 29016/2017, ha approvato l’attivazione di un nuovo indirizzo di studio concernente i servizi enogastronomici e per l’ospitalità albergheria presso il Convitto Nazionale “Torquato Tasso” di Salerno, recependo la proposta fatta pervenire, in tal senso, dal Commissario ad acta con Delib. n. 2 del 17 novembre 2015.

L’Istituto ricorrente ha impugnato la delibera in parte qua deducendo:

-l’illegittima inclusione del Convitto “Tasso” nel Piano di dimensionamento delle istituzioni Scolastiche in violazione dell’art 7 del D.p.r. n. 233/1998 atteso che le disposizioni in esso contenute non si applicherebbero ai Convitti in quanto soggetti privi di personalità giuridica autonoma;

-la violazione del procedimento previsto dalle Linee Guida Regionali in quanto la proposta del Convitto, di istituzione del nuovo indirizzo, risulterebbe intervenuta dopo la chiusura del procedimento in seno alle competenti Commissioni d’ambito;

-la elusione delle Line Guida Regionali in quanto l’istituzione del nuovo indirizzo presso il Convitto “Tasso” risulterebbe in contrasto con gli obiettivi di razionalizzazione dell’offerta formativa e contenimento della spesa in essa previsti (D.G.R. n. 512 del 27.10.2015 paragrafo n 5), non tenendo in debita considerazione il fatto che altri tredici Istituti specializzati nel settore della Enogastronomia e dell’Ospitalità sono presenti nel territorio della provincia di Salerno.

Il Convitto, infine, non disporrebbe di strutture adeguate per offrire una idonea offerta formativa e laboratoriale.

-il difetto di motivazione e di istruttoria in quanto la Regione si sarebbe limitata a recepire acriticamente e senza alcun supporto motivazionale la determinazione del Commissario ad acta e non avrebbe garantito il rispetto delle garanzie partecipative previste dalla normativa di settore a tutti i soggetti coinvolti nel procedimento.

Si è costituita in giudizio la Regione Campania deducendo l’infondatezza delle avverse censure; la delibera regionale costituirebbe, infatti, espressione di attività discrezionale, non sindacabile se non in presenza di vizi logici e carenza assoluta di motivazione, nella specie non riscontrabili.

La delibera sarebbe, comunque, compiutamente motivata e sorretta da adeguata istruttoria, nonché pienamente rispettosa delle prerogative degli enti locali coinvolti: da un lato, infatti, l’Istituto ricorrente, infatti, contava un numero di iscritti nell’anno scolastico 2015/2016 pari a ben 1207 alunni cosicchè non sarebbe a rischio di sottodimensionamento e, dall’altro, l’Istituto Tasso presentava locali e strutture sufficienti a garantire il corretto funzionamento del nuovo corso di studi.

Si costituiva in giudizio anche il MIUR- Ufficio Scolastico Regionale della Campania eccependo la nullità della procura conferita dal ricorrente all’avv. to Luigi Vuolo per asserito contrasto con l’art. 14 co. VII bis del D.p.r. n. 275/99 che, anche per gli Istituti scolastic, prevede il patrocinio obbligatorio della Avvocatura dello Stato.

Parte ricorrente depositava ulteriori memorie difensive in cui, replicando alle eccezioni ex adverso formulate, insisteva per l’accoglimento del gravame.

All’udienza pubblica del 15 marzo 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.

In via preliminare, quanto alla eccezione di nullità sollevata dal MIUR, per aver l’Istituto ricorrente conferito la procura ad un avvocato del libero foro in violazione delle norme sul c.d patrocinio obbligatorio, valevoli, ex art. 14 co. VII bis del D.p.r. n. 275/99, anche per gli istituti Scolastici il Collegio ritiene che la relativa eccezione deve essere disattesa: non sussistono, infatti, nella specie, le condizioni per ritenere violate le norme sul c.d patrocinio obbligatorio.

È vero, infatti, che ai sensi dell’art.5 del R.D. 30 ottobre 1933, n.1611 nessuna amministrazione dello Stato può richiedere l’assistenza di avvocati del libero foro se non per ragioni eccezionali, inteso il parere dell’Avvocato Generale dello Stato e secondo norme che saranno stabilite dal Consiglio dei Ministri; è parimenti vero che ai sensi dell’art.14, comma 7bis, del D.P.R. n. 275 del 1999, aggiunto dall’art.1 del D.P.R. n. 352 del 2001, contenente il regolamento in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche “l’Avvocatura dello Stato continua ad assumere la rappresentanza e la difesa nei giudizi attivi e passivi avanti le Autorità giudiziarie, i Collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali, di tutte le istituzioni scolastiche cui è stata attribuita l’autonomia e la personalità giuridica a norma dell’art. 21 della legge n.59/1997”.

Tuttavia occorre tener conto del fatto che ai sensi dell’art.43 comma 4^ del regio decreto sopracitato, sub art. 11 L. n. 103 del 1979, per le amministrazioni non statali e per quelle dotate di autonomia e personalità giuridica, il ricorso al patrocinio dell’Avvocatura è escluso nei casi di conflitto di interesse con amministrazioni statali; conflitto che l’Avvocatura deve obbligatoriamente rilevare e segnalare.

Il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, quindi, può essere sostituito da quello di un Avvocato del libero Foro qualora a questi sia necessario rivolgersi perché tra le controparti evocate in giudizio vi sia altra Amministrazione, anch’essa sottoposta obbligatoriamente al patrocinio dell’Avvocatura Erariale, con la quale si verrebbe a creare un conflitto di interessi (sent. TAR. Napoli, sez. IV, 27 aprile 2016, n. 2141), cosicchè “il ricorso ad un avvocato del libero foro in tale ipotesi … appare non solo ammissibile, ma obbligato, in quanto il diritto di difesa, costituzionalmente garantito, non tollera che possano sussistere situazioni nelle quali il patrocinio venga rifiutato e non si possa adire altrimenti il giudice”(cfr. TAR Pescara, sez. I, 14 novembre 2011, n. 641).

Ciò premesso, è evidente che le suddette circostanze si sono verificate nel caso di specie essendo stato evocato in giudizio anche il MIUR in posizione antagonista rispetto a quella prospettata dal ricorrente, sicchè legittimamente, ed opportunamente, il patrocinio è stato conferito ad un avvocato del libero foro.

Quanto al merito delle dedotte censure, il ricorso è infondato.

In primo luogo, il Collegio intende condividere quanto rilevato dalla Regione Campania con nota n. 0254062 del 13.04 2016 versata in atti e ritenere che, se è vero che le istituzioni educative, come i Convitti, sono escluse ai sensi dell’art 7 del D.p.r. n. 233/1998 dalle azioni di dimensionamento scolastico, è pur vero che le stesse possono essere prese in considerazione in relazione a proposte di indirizzi, opzioni aggiuntive e/o sostitutive che rispondano all’esigenza di realizzare una offerta formativa diffusa e articolata.

Nel merito, i motivi di censura proposti avverso la delibera regionale non possono essere condivisi

Sul punto, si osserva brevemente che l’art. 3 del D.P.R. 18 giugno 1998, n. 233, recante Regolamento per il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche e per la determinazione degli organici funzionali degli singoli Istituti, demanda alle Regioni il compito di approvare il c.d Piano di dimensionamento scolastico sulla base dei piani predisposti dalle singole Province; nello stesso tenore, l’art. 138 comma 1 del D.lgs 31 marzo 1998 n.112, nel delineare le funzioni e i compiti attribuiti alle Regioni ed agli enti locali in materia di istruzione e disciplina della rete scolastica, attribuisce alla Regione la programmazione della rete scolastica tenuto conto dei piani provinciali e delle riscorse umane e finanziarie disponibili.

Alla luce di tali disposizioni normative, quindi, deve ritenersi che la Regione costituisca l’ente titolare della potestà pianificatoria in materia di programmazione scolastica e che gli Enti locali territoriali (Provincia e Comune) siano coinvolti in tale attività in via solo preventiva in quanto deputati alla formulazione di proposte non vincolanti per l’ente regionale: le proposte, infatti, sono predisposte dai Comuni, previa consultazione con gli Istituti scolastici interessati, e quindi, una volta delibate dalle Province, definitivamente assunte dalla Regione con delibera di Giunta o decreto del Presidente sulla base dei criteri da essa preventivamente delineati.

La Regione Campania, pertanto, in attuazione delle previsioni di cui agli artt. 138 e 139 del D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 112 e dell’art. 3 del D.P.R. 18 giugni 1998, n. 233 citati, con Delib. n. 512 del 17 ottobre 2015, ha approvato le linee guida per il dimensionamento della rete scolastica e la programmazione dell’offerta formativa per l’anno scolastico 2016/2017, delineando una scansione procedimentale nella quale il coinvolgimento degli enti locali si sostanzia in un potere di sola proposta non vincolante, essendo il solo ente regionale deputato alla approvazione della delibera finale di programmazione.

Per ciò che concerne, invece, la natura degli atti di programmazione scolastica, è noto che essi costituiscono atti generali e dal contenuto altamente discrezionale, come tali non sindacabili in sede di legittimità se non in presenza di vizi procedimentali e/o di carenze logiche e motivazionali (Consiglio di Stato, sez. VI, 16 febbraio 2007 n. 661; T.A.R. Milano, Sez. IV 30 settembre 2008, n. 4587); anche in base al disposto di cui all’art. 3 della L. n. 241 del 1990, quindi, l’obbligo di motivazione delle scelte pianificatore ivi espresse deve ritenersi adeguatamente e sufficientemente soddisfatto mediante l’indicazione dei criteri generali e di massima che presiedono alla loro redazione. (T.A.R. Catanzaro, sez. II, 29 luglio 2011 n.1135). (T.A.R Catanzaro, sez. II, 29 luglio 2011 n.1135; T.A.R Campania, Napoli sez. VIII, 10 aprile 2014, n. 2046; T.A.R Lazio, sez. I ter, 24 luglio 2013, n. 7548; T.A.R. Catanzaro, Calabria, sez. II, 8 maggio 2013, n. 543; T.A.R Lombardia, Brescia, sez. II, 20 novembre 2009, n. 2248), non occorrendo che la P..a, nell’adozione della scelta di Piano, controdeduca singolarmente e puntualmente a ciascuna osservazione e/o opposizione che pervenga in sede procedimentale (Cons. Stato, sez. IV, 10 maggio 2012 n. 2710).

Quanto sin qui sinteticamente esposto, giustifica il rigetto del gravame.

Parte ricorrente, infatti, sollecita, nella specie, un riesame nel merito del provvedimento impugnato che, per come sopra evidenziato, deve intendersi precluso a questo Giudice, costituendo esso espressione di attività discrezionale di competenza regionale, cui non è dato sostituirsi in assenza di vizi logici e/o di motivazione.

Non si può ritenere, inoltre, che la delibera impugnata sia priva di motivazione in quanto, come rilevato, essa costituisce un atto di carattere generale, sufficientemente motivato con l’indicazione dei criteri di massima che avevano presieduto alla sua redazione.

La Regione, inoltre, non ha leso alcuna delle prerogative istituzionali riconosciute agli altri soggetti coinvolti nel procedimento in quanto la facoltà di adottare le scelte definitive in materia di dimensionamento scolastico anche in difformità dal piano provinciale o dalle proposte fatte pervenire dai Comuni, non è che l’espressione di quel potere di coordinamento e di verifica che le sono propri (TAR Campobasso, sez. I, 4 dicembre 2014, n. 664)

Infine, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, la delibera impugnata risulta coerente con le Linee Guida Regionali atteso che, da un lato, l’Istituto ricorrente contava, nell’anno scolastico 2015/2017, un numero di iscritti pari a ben 1207 alunni cosicchè non sarebbe a rischio di sottodimensionamento e, dall’altro, l’Istituto “Tasso” presentava locali e strutture sufficienti a garantire il corretto funzionamento del nuovo corso di studi.

Quanto alla ultima censura secondo cui la delibera impugnata sarebbe intervenuta tardivamente, basti osservare che in assenza di una espressa qualificazione contraria, i termini procedimentali previsti dalla normativa di settore devono ritenersi come meramente ordinatorio e non perentorio.

In conclusione, il ricorso è infondato e va respinto.

Le ragioni che hanno condotto alla presente decisione e la peculiarità della controversia giustificano, ad avviso del Collegio, l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Conclusione
Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 15 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:

Giovanni Grasso, Presidente

Paolo Severini, Consigliere

Rita Luce, Referendario, Estensore


TAR Lazio n. 5714/2015

Il Ministero con una direttiva interna del 24.4.2015 ha ripristinato – quali malattie – le assenze dal servizio per visite mediche, terapie, prestazioni specialistiche ed esami diagnostici, a seguito della sentenza del TAR Lazio n.5714/15 di annullamento della circolare n.2/14 del Dipartimento della Funzione pubblica.

TAR Lazio 05714-2015 No permessi per esami clinici


T.A.R. Toscana sentenza n. 272 del 16 febbraio 2015

TAR-Toscana-sentenza n. 272 del 16 febbraio 2015


T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. II, Sent., (ud. 09-05-2014) 15-05-2014, n. 730

Leggi: T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. II, Sent., (ud. 09-05-2014) 15-05-2014, n. 730


T.A.R. Abruzzo Pescara Sez. I, Sent., (ud. 03-04-2014) 05-05-2014, n. 210

Leggi: T.A.R. Abruzzo Pescara Sez. I, Sent., (ud. 03-04-2014) 05-05-2014, n. 210


T.A.R. Sardegna Cagliari Sez. II, Sent., (ud. 19-03-2014) 02-04-2014, n. 264

Se è vero infatti che l’art. 10-bis della legge 241/1990 … non impone la puntuale e analitica confutazione delle argomentazioni svolte dalla parte privata – essendo sufficiente ai fini della giustificazione del provvedimento adottato la motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno dell’atto stesso – è altrettanto vero che l’assolvimento dell’obbligo di dar conto nella motivazione del provvedimento finale delle ragioni del mancato accoglimento delle osservazioni presentate a seguito della comunicazione del motivi ostativi, non può consistere nell’uso di formule di stile che affermino genericamente la loro non accoglibilità, dovendosi dare espressamente conto delle ragioni che hanno portato a disattendere le controdeduzioni formulate.

Leggi: T.A.R. Sardegna Cagliari Sez. II, Sent., (ud. 19-03-2014) 02-04-2014, n. 264


T.A.R. Lazio n. 23772 del 8.07.2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 1551 del 2008, proposto da:

Di Gregorio Simona, rappresentato e difeso dall’avv. Marcello Fortunato, con domicilio eletto presso Lodovico Visone in Roma, via degli Avignonesi, 5;

contro

Ministero per i Beni e le Attività Culturali, costituito in giudizio presso il TAR Campania a mezzo della Avvocatura distrettuale;

per l’annullamento

previa sospensione dell’efficacia,

– del bando di concorso del Ministero per i Beni e le Attività Culturali per il “passaggio tra le aree ex art. 15 CCNL 1998/2001”, con il quale è stata indetta una procedura di selezione del personale ministeriale appartenente all’area B per il passaggio alla posizione economica C1 per il profilo professionale di Restauratore e Conservatore, nella parte in cui ha previsto tra i requisiti di ammissione “l’essere dipendenti a tempo indeterminato del Ministero”;

– ove occorra, della circolare n. 183 del 24 luglio 2007 del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, nella parte in cui ha previsto la notifica del bando di cui al punto sub a) esclusivamente al personale “a tempo indeterminato”, in tal modo confermando la contestata limitazione;

– ove e per quanto occorra, della circolare n. 248 del 16 ottobre 2007 del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, avente ad oggetto “provvedimenti integrativi ai bandi per il passaggio dall’area B alla posizione economica C1; attuazione accordo Amministrazione/OO.SS. del 10 ottobre 2007”;

– di tutti gli atti presupposti, collegati, connessi e consequenziali;

nonché

– per il risarcimento, ai sensi degli artt. 35 D.Lgs. n. 80/98 e 7 L. n. 1034/1971, così come modificati dall’art. 7 L. n. 205/2000.

nonché, con motivi aggiunti

– del provvedimento, di estremi sconosciuti, con il quale il Ministero per i Beni Culturali ha escluso la ricorrente dalla procedura di selezione indetta con il bando impugnato con ricorso introduttivo;

– della nota della Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Province di Salerno ed Avellino, prot. n. 1152 del 3 ottobre 2008, in uno al relativo elenco allegato nella parte in cui non ha inserito la ricorrente tra i candidati ammessi al corso di formazione;

– ove e per quanto occorra, dell’accordo sottoscritto tra l’Amministrazione e le OO.SS. in data 17 settembre 2008, recante l’indicazione delle modalità e criteri di attuazione dei percorsi formativi per il passaggio dall’area “B” alla posizione economica “C1”;

– ove e per quanto occorra, della circolare n. 223 del 29 settembre 2008, recante la indicazione delle modalità di espletamento dei predetti corsi formativi.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Avvocatura dello Stato presso il TAR Campania;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 aprile 2010 il dott. Alessandro Tomassetti;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 aprile 2010 il dott. Alessandro Tomassetti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

FATTO

Con ricorso notificato in data 14 novembre 2007 e depositato il 26 novembre 2007, l’odierna ricorrente impugna i provvedimenti di cui in epigrafe deducendo i seguenti fatti:

La ricorrente è stata assunta nel 1999 con contratto a tempo determinato presso la Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Province di Salerno, Avellino e Benevento – Ufficio Scavi di Paestum.

Dal 1999 ad oggi, tale contratto è stato rinnovato di anno in anno e, ad oggi, la ricorrente vanta una anzianità di ben 6 anni, in posizione economica B3.

Atteso il reiterato ricorso da parte delle Pubbliche Amministrazioni al suddetto strumento contrattuale, a seguito di un lungo dibattito parlamentare, con la legge finanziaria del 27 dicembre 2006, n. 296, all’art. 1, comma 558, è stata prevista la cd. “stabilizzazione”.

In tale ottica, il Ministero intimato, con nota dell’11 luglio 2007, ha provveduto a comunicare che “in applicazione dell’art. 1, comma 519 della L. 27 dicembre 2006 (finanziaria 2007) richiamata nella dichiarazione congiunta sottoscritta dalla Amministrazione e le OO.SS. in data 21 giugno 2007, il contratto in oggetto ha validità fino alla conclusione delle procedure di immissione in ruolo della S.V.”.

La ricorrente, pertanto, in possesso di tutti i previsti richiesti per la stabilizzazione del proprio rapporto di lavoro, era in attesa del provvedimento ministeriale preordinato alla immissione in ruolo, con la conseguente trasformazione del contratto a tempo indeterminato.

Senonchè il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, nel pubblicare il bando per la procedura selettiva del personale appartenente all’area B per il passaggio alla posizione economica C1, ha indicato tra i requisiti per l’ammissione alla procedura concorsuale, all’art. 2, comma 1, lett. a), “l’essere dipendente a tempo indeterminato del Ministero, anche se in posizione di comando o di fuori ruolo presso le Amministrazioni, nell’area B”.

In tal modo, dunque, inibendo alla ricorrente l’ambita trasformazione del rapporto di lavoro con la conseguente modifica della posizione economica.

La ricorrente, in possesso dei requisiti previsti dalla norma per il passaggio dall’area B alla posizione economica C1, ha prodotto regolare domanda di partecipazione alla suddetta procedura concorsuale.

Nel contempo, tuttavia, impugna il bando nella parte in cui limita il suo diritto di partecipazione.

Deduce la ricorrente la illegittimità dei provvedimenti impugnati per i seguenti motivi:

– violazione di legge (artt. 3, 35, 51 e 97 Cost.; art. 1 L. n. 241/1990 in relazione all’art. 2 del bando del 24 luglio 2007 del Ministro per i Beni e le Attività Culturali); eccesso di potere (difetto assoluto di istruttoria; disparità di trattamento; erroneità; sviamento);

– violazione di legge (artt. 3, 35, 51 e 97 Cost.; art. 1 L. n. 241/1990 in relazione all’art. 2 del bando del 24 luglio 2007 del Ministro per i Beni e le Attività Culturali); eccesso di potere (difetto assoluto di istruttoria; disparità di trattamento; erroneità; sviamento);

– violazione di legge (artt. 3, 35, 51 e 97 Cost.; art. 1 L. n. 241/1990 in relazione all’art. 2 del bando del 24 luglio 2007 del Ministro per i Beni e le Attività Culturali); eccesso di potere (difetto assoluto di istruttoria; disparità di trattamento; erroneità; sviamento).

Si costituiva in giudizio l’Avvocatura dello Stato per l’Amministrazione resistente deducendo l’incompetenza del TAR adito e chiedendo il trasferimento del ricorso al TAR Lazio.

A seguito della adesione della ricorrente, il TAR per la Campania – Salerno, disponeva la trasmissione del ricorso al TAR Lazio.

Con ordinanza n. 5084/2008, il Tribunale respingeva l’istanza cautelare avanzata dal difensore della ricorrente.

Con motivi aggiunti ritualmente notificati e depositati la ricorrente impugnava gli ulteriori atti indicati in epigrafe.

Con ordinanza n. 1531/2009, il il Tribunale respingeva l’istanza cautelare avanzata dal difensore della ricorrente in relazione ai motivi aggiunti.

All’udienza pubblica del 27 aprile 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe la ricorrente lamenta la illegittimità del bando di concorso – e delle circolari attuative – con cui il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha indetto una procedura di selezione del personale ministeriale per il passaggio dall’area B alla posizione economica C1 per il profilo professionale di Restauratore e Conservatore, nella parte in cui ha previsto tra i requisiti di ammissione “l’essere dipendenti a tempo indeterminato del Ministero”.

La ricorrente, infatti, risulta “stabilizzata” soltanto a far data dal 18 gennaio 2008 a seguito della stipula del relativo contratto in applicazione del disposto di cui all’art. 1, comma 519 L. n. 296/2006.

In particolare, con circolare n. 243 dell’11 ottobre 2007, il Direttore del Servizio II del Ministero resistente, in applicazione dei commi 519 e 521 della L. n. 296/2006, ha disposto l’accertamento dei requisiti da parte dei dipendenti destinatari delle procedure di stabilizzazione, con termine al 30 novembre per la presentazione della relativa documentazione. Con successiva circolare n. 295 del 20 dicembre 2007, all’esito della presentazione dei documenti richiesti, l’Amministrazione ha provveduto ad impartire ai Direttori degli Uffici ed Istituti Centrali e periferici interessati le disposizioni volte alla procedura di nomina per la qualifica di “Assistenza alla Vigilanza, Sicurezza, Accoglienza, Comunicazioni e Servizi al Pubblico (ex Assistenti Tecnici Museali)” ed alla conseguente stipula del contratto che è avvenuta – con riferimento alla posizione della ricorrente – in data 3 gennaio 2008.

Deduce la ricorrente – nei primi tre motivi di ricorso principale – la illegittimità del decreto di esclusione in considerazione del fatto che la limitazione della partecipazione al concorso per il passaggio dall’area B all’are C1 ai soli lavoratori a tempo indeterminato determinerebbe una ingiustificata discriminazione non fondata su ragioni logiche ovvero giuridiche.

Gli assunti sono infondati.

Rileva il Collegio come l’art. 2 del bando relativo al passaggio di area funzionale di cui all’odierno ricorso espressamente dispone che “possono produrre domanda di partecipazione alla selezione i dipendenti del Ministero per i beni e le attività culturali che siano in possesso dei seguenti requisiti alla data di scadenza del termine di presentazione della domanda di partecipazione: a) essere dipendenti a tempo indeterminato del Ministero, anche se in posizione di comando o di fuori ruolo presso altre Amministrazioni, nell’area B; b) essere in possesso del diploma di laurea afferente alla professionalità di cui al presente bando e del relativo anno integrativo. I requisiti di cui ai punti a) e b) devono essere posseduti alla data del 30 settembre 2007 e devono sussistere anche alla data dell’inquadramento nella posizione economica conseguita a seguito della procedura di selezione. I candidati privi di uno dei requisiti di cui al presente articolo sono esclusi dalla selezione con provvedimento motivato. Tale esclusione, ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. 487/1994 citato nelle premesse, può avvenire in qualunque momento”.

L’espressa indicazione del bando esclude, quindi, la partecipazione alla procedura di quei soggetti – quali la odierna ricorrente – che al tempo della scadenza per la presentazione della domanda non fossero dipendenti a tempo indeterminato.

Né può ritenersi fondata la interpretazione tesa ad individuare nella volizione della Amministrazione una irragionevole disparità di trattamento tra posizioni di eguale natura.

Non v’è dubbio, infatti, che la posizione del lavoratore a tempo determinato non può essere equiparata a quella del lavoratore a tempo indeterminato in considerazione della diversa natura del rapporto e della differente posizione assunta dagli stessi nell’ambito della organizzazione funzionale del rapporto di servizio alle dipendenze della P.A.

La natura delle procedure selettive di stabilizzazione, del resto, è equipollente ad una vera e propria assunzione – senza espletamento di concorso pubblico – e, dunque, deve essere ricondotta ad una fattispecie di costituzione del rapporto lavorativo tra il singolo lavoratore e l’Amministrazione Pubblica datoriale (sul punto, seppure ai fini della risoluzione di una questione di giurisdizione, si veda T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 02 dicembre 2009 , n. 8253).

Alcuna discriminazione, dunque, ha posto in essere l’Amministrazione nel limitare la partecipazione al concorso in oggetto al solo personale assunto a tempo indeterminato.

Né può sostenersi che il requisito in esame doveva ritenersi sussistente qualora posseduto al momento della presentazione della domanda ovvero al momento dell’avvio della procedura. Appare, infatti, evidente come tale interpretazione stravolga completamente l’assetto delineato dal bando importando, peraltro, effetti distorsivi anche sotto il profilo della spesa pubblica in contrasto con i principi di contenimento e razionalizzazione della spesa per il costo del lavoro pubblico.

Ancora, non può nemmeno imputarsi alla Amministrazione un ritardo nella attuazione dei provvedimenti di stabilizzazione. Sotto tale profilo, infatti, è sufficiente osservare come la norma di cui all’art. 1, comma 519 L. n. 296/2006 non faccia riferimento ad alcun limite temporale di applicazione disponendo, nella sua prima parte, soltanto che “Per l’anno 2007 una quota pari al 20 per cento del fondo di cui al comma 513 è destinata alla stabilizzazione a domanda del personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato da almeno tre anni, anche non continuativi, o che consegua tale requisito in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data del 29 settembre 2006 o che sia stato in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore alla data di entrata in vigore della presente legge, che ne faccia istanza, purché sia stato assunto mediante procedure selettive di natura concorsuale o previste da norme di legge. Alle iniziative di stabilizzazione del personale assunto a tempo determinato mediante procedure diverse si provvede previo espletamento di prove selettive”; né, del resto, la stabilizzazione del precariato costituisce un principio fondamentale dell’ordinamento giuridico in grado di derogare “ex se” alle disposizioni normative in tema di procedure selettive.

D’altra parte occorre anche osservare come i “tempi” della procedura di stabilizzazione risultano necessariamente parametrati alla complessità della riorganizzazione delle risorse umane che ha implicato una previa rideterminazione delle piante organiche distinte per posizioni economiche ed una successiva individuazione dei criteri e delle modalità per la presentazione della documentazione necessaria al completamento della procedura di stabilizzazione.

Allo stesso modo infondati appaiono i motivi aggiunti.

Con il primo motivo, in particolare, la ricorrente deduce la illegittimità dei provvedimenti impugnati per la assenza di alcun provvedimento di esclusione.

L’assunto è infondato.

Rileva il Collegio come l’assenza del formale provvedimento di esclusione della ricorrente dalla procedura selettiva di cui all’odierno ricorso non rileva ai fini della dedotta legittimità dei provvedimenti impugnati anche in considerazione della intervenuta nota n. 11552 del 3 ottobre 2008 con cui la Soprintendenza ai Beni Culturali ha disposto la convocazione dei soli ammessi al concorso con conseguente esclusione implicita di tutti i soggetti partecipanti non indicati nel provvedimento di ammissione.

Quanto, poi, alla seconda censura contenuta nei motivi aggiunti è sufficiente osservare come l’intervenuta trasformazione del rapporto di lavoro della ricorrente a tempo indeterminato (in data 18 gennaio 2008) non può incidere sulla fondatezza del ricorso in considerazione della assenza, al momento della scadenza del concorso, del necessario requisito posto dallo stesso bando (esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato).

Per i motivi esposti, il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

L’infondatezza nel merito del ricorso importa il rigetto della domanda di risarcimento del danno.

Sussistono giusti motivi per dichiarare integralmente compensate le spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione II quater, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 aprile 2010 con l’intervento dei Magistrati:

Lucia Tosti, Presidente

Umberto Realfonzo, Consigliere

Alessandro Tomassetti, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

 Il 08/07/2010

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

IL SEGRETARIO

N. 23772/2010 REG.SEN.

N. 01551/2008 REG.RIC.


T.A.R. Lazio n. 9961 del 10.08.2008

REPUBBLICA ITALIANA

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO PER IL LAZIO

ROMA – 10 novembre 2008 numero 9961

** ** **

SEZIONE PRIMA BIS

nelle persone dei Signori:

ELIA ORCIUOLO Presidente

ELENA STANIZZI Cons.

DONATELLA SCALA Cons. , relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella Pubblica Udienza del 29 ottobre 2008

Visto il ricorso 11057/2003 proposto da: *** rappresentato e difeso da: CAPIROSSI AVV. MASSIMO C., FRUSCIONE AVV. ALESSANDRO e SANTACROCE AVV. BENEDETTO con domicilio eletto in ROMA – VIA GIAMBATTISTA VICO, 22 presso lo studio del primo,

contro

MINISTERO DELLA DIFESA rappresentato e difeso da:

AVVOCATURA DELLO STATO con domicilio eletto in ROMA – VIA DEI PORTOGHESI, 12

-COMMISSIONE SUPERIORE DI AVANZAMENTO ARMA DEI CARABINIERI

-COMANDO GENERALE ARMA DEI CARABINIERI

e nei confronti di ***, ***, ***, ***, *** , ***, ***, non costituitisi in giudizio,

per l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione,

del provvedimento del Ministero della Difesa – Direzione Generale per il personale Militare II Reparto – 4^ Divisione – I Sezione prot. n. DGPM/II/4/1/1196 datato 17/6/03, con il quale il Ministero della Difesa ha dato comunicazione che il ricorrente è stato giudicato idoneo all’avanzamento per l’anno 2003, nella parte in cui si afferma che per “il punto di merito attribuitogli (27,47) è stato collocato al 23° posto della graduatoria di merito risultando escluso dal numero di posti corrispondente a quello delle promozioni stabilite per legge per detto anno”; delle graduatorie di merito espresse dalla Commissione Superiore di Avanzamento dell’Arma dei Carabinieri nel verbale n. 9 del 10.04.2003; di ogni altro atto preordinato, presupposto, connesso e conseguente comunque lesivo dei diritti ed interessi del ricorrente.

Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;

Vista l’ordinanza collegiale n. 5912/2003 del 24.11.2003;

Vista l’ordinanza presidenziale istruttoria n. 61/2004 del 1° marzo 2004;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Avvocatura Generale dello Stato per il MINISTERO della DIFESA;

Visti gli atti tutti della causa;

Designato relatore alla pubblica udienza del 29 ottobre 2008 il Consigliere Donatella Scala;

Udito l’avv. Fruscione per il ricorrente;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO E DIRITTO

L’odierno ricorrente, Ten. Col. dell’Arma dei Carabinieri, è stato preso in esame per l’avanzamento al superiore grado per l’anno 2003, risultando idoneo ma non iscritto in quadro, siccome collocato al 23° posto della finale graduatoria di merito, con punti 27,47.

Con l’atto introduttivo dell’odierno giudizio – dopo avere elencato i titoli detenuti in relazione a ciascuna delle categorie qualitative di cui all’art. 26 della legge n. 1137 del 1955 – ha rinvenuto nel procedimento attuato dalla C. S. A. il vizio dell’eccesso di potere in senso relativo denunciando la inadeguatezza del punto di merito conferitogli relativamente al più benevolo e disparitario trattamento riservato ai colleghi invece promossi al grado superiore.

L’amministrazione della Difesa si è costituita in giudizio, attraverso l’Avvocatura Generale dello Stato; non si sono, invece, costituiti i colleghi intimati.

Con l’ordinanza collegiale n. 5912/2003 del 24.11.2003, l’adito Tribunale ha respinto l’istanza cautelare incidentalmente proposta.

In esecuzione dell’ordinanza presidenziale istruttoria n. 61/2004 del 1° marzo 2004, l’Amministrazione ha depositato la chiesta documentazione in data 4 agosto 2004; la parte ricorrente ha, quindi, depositato in data 6 dicembre 2004 motivi aggiunti, notificati solo ai sei ufficiali iscritti in quadro di avanzamento, (rispettivamente, ***) nei cui soli confronti ha ripreso e sviluppato le doglianze di cui all’atto introduttivo.

All’udienza del 29 ottobre 2008 la causa è stata trattenuta per la relativa decisione.

Tanto precisato in fatto, si deve prendere atto che, seppure il ricorso ed i motivi aggiunti in esame sono stati notificati a tutti gli ufficiali promossi al grado superiore, detta attività non è avvenuta nei confronti di tutti secondo le modalità di cui all’art. 146, c.p.c..

Come noto, la richiamata norma attiene alla notificazione degli atti processuali ai militari in attività di servizio, che, ove non eseguita in mani proprie, osservate le disposizioni di cui al precedente art. 139, e relativa alla notificazione nella residenza, dimora o domicilio, va consegnata al pubblico ministero, che ne cura l’invio al comandante del corpo al quale il militare appartiene.

Risulta dall’esame della documentazione in atti che il ricorso introduttivo è stato notificato in mani proprie dei soli parigrado *** e ***, mentre la notificazione dell’atto per motivi aggiunti risulta rituale nei soli confronti del ***; con riferimento, invece, alle notifiche eseguite nei confronti degli altri militari, non in mani proprie, non risulta sia seguita l’ulteriore fase prevista al riguardo al fine di portare a conoscenza del personale militare gli atti giudiziari che li riguardano, e, pertanto, gli atti di notificazione in esame sono affetti da nullità.

Al riguardo, è stato osservato che “Nel caso in cui la notificazione di un atto di citazione a militare in servizio non è eseguita in mani proprie, osservate le disposizioni di cui agli artt. 139 e segg. Cod. proc. civ., la formalità della consegna di una copia al Pubblico ministero per l’invio al Comandante del corpo al quale il militare appartiene – secondo le modalità stabilite nell’art. 49 disp. att. Cod. proc. civ. – espressamente richieste dal successivo art. 146 Cod. proc. civ. costituisce un adempimento necessario, la cui omissione importa la nullità della notificazione, senza che sia consentita alcuna distinzione fra militari di carriera e militari in servizio di leva o richiamati alle armi ed indipendentemente dalla conoscenza che di tale particolare viene effettuata; tale adempimento è infatti, posto a tutela del destinatario della notificazione, in considerazione degli imprevedibili, improvvisi e più frequenti spostamenti a cui possono essere soggetti gli appartenenti ai corpi militari – indipendentemente dalla circostanza che essi siano o meno militari di carriera – le cui destinazioni debbono talvolta essere mantenute segrete per motivi di sicurezza connessi alla più efficiente realizzazione dei compiti loro affidati.” (c.fr. Corte di Cassazione, Sez. Civ. 2, n. 3316 del 14 maggio 1983)

Dato atto, peraltro, che il contenzioso è stato instaurato correttamente, essendo stati notificati ritualmente gli atti di cui sopra ad almeno uno dei contro interessati, ritiene il Collegio, in via preliminare, ed in sintonia, con l’ormai consolidato orientamento del Consiglio di Stato (cfr, ex plurimis, IV^, n. 7609 del 2006) circa la natura di contraddittori necessari nei giudizi avverso le mancate iscrizioni in quadro di avanzamento degli Ufficiali delle Forze armate di tutti gli ufficiali promossi al grado superiore, di dovere disporre l’integrazione del contraddittorio processuale, attraverso la rinnovazione della notificazione, giusta le modalità come sopra indicate, nei confronti di tutti gli ufficiali iscritti in quadro (e cioè promossi al grado superiore) cui il ricorso stesso, e successivi motivi aggiunti non sia stato ritualmente notificato.

A tale incombente la parte ricorrente dovrà provvedere nel termine perentorio di giorni centoventi decorrente dalla data della notificazione ovvero, se anteriore, della comunicazione in via amministrativa della presente decisione, ulteriormente provvedendo, entro l’ulteriore termine perentorio di giorni trenta dal completamento delle anzidette formalità di notificazione, al deposito della documentazione attestante il rispetto dell’incombente in questione.

Ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito ed in ordine alle spese di lite – una volta espletati gli indicati incombenti, (preordinati al completamento del contraddittorio processuale) – viene fin da ora differita alla pubblica udienza del 18 novembre 2009.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale – Sezione Prima Bis

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Sez. 1^ bis, riservata al definitivo ogni pronuncia in rito, in merito e sulle spese, ordina alla parte ricorrente di provvedere all’integrazione del contraddittorio processuale secondo le modalità e termini indicati in parte motiva.

Fissa l’udienza per la trattazione del ricorso per il 18 novembre 2009

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma il 29 ottobre 2008, in Camera di Consiglio.

Il Presidente

Il Consigliere, est.


T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, (ud. 08-11-2004) 27-12-2004, n. 17353

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO

– Sezione I-quater –

ha pronunciato la seguente

Sentenza

sul ricorso n. 7033 del 2004, proposto da Ericsson Telecomunicazione S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Franco Alesi e Gennaro Contardi ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo, situato in Roma, via Tuscolana n. 1020

contro

il Comune di Patrica (Frosinone), in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Aldo Ceci ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Anna Maria Venchi, situato in Roma, viale Mazzini n. 142

per l’annullamento

della nota 8 aprile 2004, prot. n. 2246, con cui il Responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di Patrica (Frosinone) ha comunicato, fra l’altro, alla Ericsson Tlc S.p.A. che la comunicazione della Ericsson Tlc S.p.A. 2 aprile 2004, prot. n. SWI-04:0357, di ripresa dei lavori si intende sospesa in attesa di chiarimenti, nonché tutti gli atti preparatori, preordinati, presupposti e consequenziali, comunque connessi;

nonché per la condanna

del Comune di Pratica (Frosinone), in persona del Sindaco p.t. e del responsabile del Procedimento, al risarcimento dei danni subiti e subendi;

Visto il ricorso con la relativa documentazione;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza dell’8 novembre 2004 il Ref. Antonella MANGIA; uditi, altresì, i procuratori delle parti come da verbale;

Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:

Svolgimento del processo
In data 11.3.2002 la ricorrente presentava istanza di concessione edilizia per la realizzazione di una stazione radio base sistema (dcs/gsm/umts), ubicata sull’immobile di proprietà del sig. Iacovissi, in Patrica (FR), via Celletta snc..

In data 16 ottobre 2002, rendeva noto che detta istanza “vale come denuncia di inizio attività ai sensi dell’art. 12, comma 2, del decreto legislativo n. 198/2002…… essendo l’impianto con potenza in singola antenna inferiore a 20 Watt e realizzato in tecnologia GSM 900MHz e DCS 1800 MHZ”.

Con nota n. 5731 del 5.9.2003, l’Amministrazione comunicava alla ricorrente di avere notificato al sig. Iacovissi, proprietario dell’immobile, l’ordinanza n. 11/2003 di immediata sospensione dei lavori e di rimessa in pristino dello stato dei luoghi ai sensi degli artt. 4 e 6 della Legge n. 47 del 1985 per avere eseguito abusivamente lavori edili.

Con lettera pervenuta all’Amministrazione il 2.4.2004, la ricorrente comunicava: – di aver sospeso temporaneamente i lavori “al fine di non ostacolare le attività amministrative”; – la ripresa dei lavori, considerato che “i lavori di cui alla ns. Denuncia Inizio Attività del 16.10.2002………nulla hanno a che vedere con le opere contestate nella” comunicazione dell’Amministrazione del 5.9.2003.

Con nota in data 8.4.2004, prot. n. 2246, il Comune di Patrica significava che: – le opere di cui alla comunicazione del 5.9.2003 ricadono sulla particella catastatale n. 358 fl. n. 24; – i manufatti ed i lavori realizzati senza autorizzazione dal sig. Iacovissi ricadono sulla medesima particella. Chiedeva, pertanto, alla ricorrente “in virtù di quali norme urbanistiche le opere da Voi richieste con D.I.A. del 16.10.2002 nulla hanno a che vedere con le opere contestate”. In attesa dei chiarimenti richiesti, sospendeva la “comunicazione” della Ericsson di “ripresa lavori”.

Avverso il provvedimento di cui è stata data in ultimo evidenza la ricorrente solleva i seguenti motivi di impugnativa:

1. Eccesso di potere. Errore nei motivi e nei presupposti. Sviamento di potere. Illogicità manifesta. L’ordinanza n. 11/03, notificata il 4 luglio 2003, ha cessato di avere efficacia 30 (trenta) giorni dopo l’emissione e, comunque, il 3 agosto 2003 (trenta giorni dalla notifica) per cui i lavori potevano ben essere ripresi. Peraltro, i lavori “de quo” erano autorizzati per silenzio assenso, formatosi in data 14 gennaio 2003, sulla D.I.A. del 16 ottobre 2002, ex art. 6 del D.Lgs. n. 198/2002 (novella ribadita anche dall’art. 87 del D.Lgs. n. 259/2003). Entro l’anno dalla formazione del silenzio assenso e precisamente in data 25.6.2003, e’ stata data comunicazione di inizio lavori. Anche i lavori richiamati nell’ordinanza n. 11/03 sono stati autorizzati per il predetto silenzio assenso.

2. Violazione e falsa interpretazione dell’art. 6 del decreto legislativo 4 settembre 1002, n. 198, ora abrogato, dell’art. 136 Cost., della Legge n. 1 del 1948 e dell’art. 87 del decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259 Codice delle Comunicazioni Elettroniche e dell’art. 4 del Decreto Legge 14 novembre 2003, n. 315, convertito in Legge 16 gennaio 2004, n. 5. Sulla D.I.A. del 16 ottobre si e’ formato il silenzio assenso in data 14 gennaio 2003, non essendo stato comunicato il rigetto entro 90 giorni dalla sua presentazione. Al riguardo non può, dunque, spiegare effetti la sentenza di incostituzionalità del D.Lgs. n. 198/2002 perché il rapporto era da ritenersi definitivo.

3. Eccesso di potere. Contraddittorietà tra provvedimenti della stessa Amministrazione. L’atto impugnato e’ in contrasto con il silenzio assenso di cui sopra.

4. Violazione del principio di tutela dell’affidamento dei terzi.

5. Gravi motivi ed irreparabili danni.

Da ultimo, la Ericsson richiede il risarcimento dei danni per equivalente, con condanna al pagamento di una somma pari all’accertando mancato utile di impresa, ovvero anche nelle forme di cui all’art. 35, comma 2, D.Lgs.. n. 80/1998, ovvero comunque ricorrendo al criterio equitativo di cui all’art. 1226 c.c..

Il Comune di Patrica si è costituito resistendo. In particolare, con memorie depositate in data 29 luglio 2004 e 24 agosto 2004, ha chiesto la remissione della controversia alla Sezione Staccata di Latina ed eccepito irricevibilità per tardività dell’impugnativa, atteso che il provvedimento impugnato era già pienamente conosciuto dalla ricorrente sin dal giorno 8.4.2004, essendo stato comunicato tramite telefax presso la sede legale di quest’ultima. Ha eccepito ancora l’inammissibilità del ricorso adducendo la carenza di contenuto provvedimentale dell’atto impugnato, da ritenersi, tra l’altro, confermativo di atti precedentemente assunti. Nel merito, ha contestato la formazione del silenzio assenso perché la D.I.A. prevedeva la trasformazione di immobili abusivamente realizzati e non era corredata delle necessarie autorizzazioni di Legge (tra cui, quella inerente al vincolo idrogeologico, pervenuta solo in data 9.4.2003, ma poi susseguita dall’ordinanza n. 11/03 del 4.7.2003, non impugnata); ha rilevato, ancora l’impossibilita’ di ritenere il rapporto esaurito o definito alla data di pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 303/03 a causa dell’assenza della materiale realizzazione dell’opera nonché l’impossibilita’ di considerare una mera D.I.A. come titolo idoneo a consentire la trasformazione di opere abusive, per le quali il proprietario ha, tra l’altro, chiesto concessione in sanatoria ex D.L. n. 269/03, a dimostrazione della necessita’ del titolo concessorio.

Alla Camera di Consiglio del 25 agosto 2004, il difensore dell’Amministrazione ha rinunciato all’istanza di remissione alla Sezione Staccata di Latina, sollevata ex art. 32 della Legge n. 1034 del 1971.

Il ricorrente ha rinunciato all’istanza di sospensione nella prospettiva della trattazione del ricorso nel merito a breve.

E’ stato, cosi’, disposto il rinvio all’udienza pubblica dell’8.11.2004.

Con memoria depositata in data 28 ottobre 2004, la ricorrente ha ribattuto all’eccezione di tardività affermando che: – la notifica a mezzo fax non ha valore legale, se non espressamente autorizzata dal giudice; – il numero di fax cui è stato inviato il provvedimento non è quello del legale rappresentante p.t. della società ricorrente, bensì quello dell’ufficio legale distaccato; – l’8 aprile 2004 era giovedì santo ed il fax e’ stato spedito dopo le 16,30. Essendo stati concessi come festivi il venerdì santo ed il martedì 13 aprile, il fax è stato di fatto letto il mercoledì 14 aprile 2004, sicché, anche volendo considerare la legale conoscenza come avvenuta in tale data, il ricorso e’ tempestivo. Il ricorrente ha rilevato che l’ordinanza n. 11/2003 aveva efficacia temporalmente limitata e contestato il carattere meramente confermativo del provvedimento impugnato. Nel merito, ha asserito che l’istanza di sanatoria del sig. Iacovissi non è relativa all’area oggetto dell’intervento e che non esiste vincolo paesistico. Da ultimo, ha ribadito la formazione del silenzio assenso in data 14 gennaio 2004.

Con memoria depositata in data 26 ottobre 2004, il Comune di Patrica ha insistito sull’irricevibilità del ricorso e sull’inammissibilità dello stesso, già in precedenza eccepite, rilevando, in aggiunta, che la ricorrente mira non all’annullamento della nota in epigrafe bensì ad un’inammissibile pronuncia di accertamento. Ha, ancora, rilevato l’inammissibilità del ricorso “per carenza di interesse”, perché – anche volendo porsi nell’ottica ricostruttiva della vicenda esposta dalla ricorrente – il presunto assenso tacito sarebbe venuto meno, peraltro già da prima dell’emanazione del provvedimento impugnato, non essendo state le opere realizzate entro 12 mesi a partire dal 14.1.2004. Da ultimo, ha evidenziato che, considerando l’atto impugnato alla stregua di un’ordinanza di sospensione dei lavori, sarebbero esauriti i 45 gg., con ulteriore inammissibilità dell’azione.

Il ricorso e’ stato trattenuto per la decisione alla pubblica udienza dell’8 novembre 2004.

Motivi della decisione
1. Il ricorso è irricevibile in quanto tardivamente proposto.

Il Comune ha depositato in atti il fax di trasmissione del provvedimento in epigrafe, inviato in data 8 aprile 2004, dando, altresì, prova dell’avvenuta ricezione da parte del destinatario per mezzo dell’allegazione dell’apposita nota di conferma.

Appare, pertanto, doveroso rilevare che la ricorrente e’ stata resa edotta dei contenuti della determinazione in contestazione già in tale data e che, dunque, avrebbe dovuto proporre l’impugnazione nel termine perentorio di sessanta giorni a far tempo dalla stessa e cioè entro il 7 giugno 2004, mentre il ricorso è stato consegnato all’ufficiale giudiziario – il quale si e’, poi, avvalso del servizio postale (cfr. Corte Cost., sent. n. 447 del 2002 e sent. n. 28 del 2004) – soltanto in data 12 giugno 2004.

In conformità all”orientamento già espresso in numerose altre pronunce giurisprudenziali (cfr. TAR Piemonte, sent. n. 1190 del 2002; TAR Lazio, Latina, sent. n. 620 del 14 giugno 2001), il Collegio rileva, infatti, che:

– il fax costituisce un sistema basato su linee di trasmissione di dati e su apparecchiature che consentono di documentare sia la partenza del messaggio dall’apparato trasmittente sia – attraverso il c.d. rapporto di trasmissione – la ricezione del messaggio in quello ricevente, sicuramente atto a garantire l’effettività della comunicazione;

– ciò consente di affermare che la comunicazione via fax di un provvedimento rappresenta uno strumento idoneo – in carenza di espresse prescrizioni che dispongano altrimenti – a determinare la piena conoscenza del provvedimento stesso ed a far decorrere termini perentori di Legge;

– in base a tale rilievo, trova indiscussa applicazione il disposto di cui all’art. 21, comma 1, della Legge n. 1034 del 1971, che impone la notifica del ricorso “entro il termine di sessanta giorni da quello in cui l’interessato………..ne abbia comunque avuto conoscenza….”;

– a nulla rileva che l’Amministrazione provveda in un secondo momento alla comunicazione per mezzo posta del medesimo provvedimento e che il ricorso risulti tempestivo rispetto a quest’ultima comunicazione, atteso che la conoscenza via fax pone – in applicazione dei rilievi gia’ formulati – l’interessato nella indubbia condizione di proporre censure.

Nel caso di specie, risultano prodotti dall’Amministrazione elementi idonei a fornire prova della ricezione in data 8 aprile 2004 del documento da parte del destinatario. E’ stata, infatti, allegata la nota di conferma che da’ atto che il rapporto di trasmissione e’ avvenuto regolarmente. Per contro, il destinatario e cioè la ricorrente non e’ stata in grado di fornire la prova contraria, la quale non avrebbe potuto che concentrarsi sulla funzionalità dell’apparecchio ricevente (cfr. C.d.S., sent. n. 2207 del 24 aprile 2002).

In considerazione dei rilievi formulati dalla ricorrente in ordine alla comunicazione in argomento, va ancora posto in risalto che:

l’indicazione di un numero “telefax” sulla carta intestata di una società e’ idoneo a far presumere che detto numero costituisca il telefax della società e non il telefax – ad esempio – di un ufficio distaccato. Appare, pertanto, ragionevole affermare che, attraverso l’indicazione sulla carta intestata di un determinato indirizzo telefax, un soggetto espressamente legittimi i terzi all’invio di fax al numero indicato. Ne consegue che tale soggetto, responsabile dell’insorgenza di un ben definito stato di affidamento, non può poi lamentare che il fax e’ giunto non alla sede legale ma ad un ufficio privo di poteri direzionali al fine di contestare la validità della comunicazione ricevuta. Del resto, non vi e’ chi non veda come la condivisione della posizione della ricorrente – in spregio dell’affidamento ingenerato – porrebbe quest’ultima nella condizione di indubbio vantaggio di contestare le comunicazioni ogni volta che ciò possa ritornarle utile e di ammetterne, invece, la ricezione nell’ipotesi opposta. Da ultimo, il Collegio non può non rilevare che le asserzioni della ricorrente risultano prive del minimo supporto probatorio;

la ricorrente segnala che il fax risulta spedito dopo le 16,30 dell’8 aprile 2004, che l’8 aprile era giovedì santo e che erano stati concessi come festivi per recupero aziendale sia il venerdì santo che il successivo martedì 13 aprile. Per mezzo della richiamata esposizione, la ricorrente afferma che il fax è stato di fatto letto il mercoledì 14 aprile e che, dunque, il termine per impugnare sarebbe scaduto il 14 giugno, atteso che il 13 era festivo. Anche tali affermazioni non sono meritevoli di considerazione. Ritenendo che la ricorrente evidenzi le circostanze sopra riportate al fine di ricondurre la piena conoscenza del provvedimento ad un’epoca successiva alla data in cui e’ avvenuta la comunicazione via fax, va riscontrata la totale irrilevanza – ai fini della conoscenza dei provvedimenti amministrativi – di circostanze di carattere meramente soggettivo, attinenti, tra l’altro, a scelte non preventivabili. E’, infatti, noto che il termine per il ricorso giurisdizionale avverso un provvedimento inizia a decorrere quando si realizza la conoscenza ovvero l’equipollente presunzione legale di conoscenza (cfr, tra le altre, TAR Veneto, sent. n. 2195 del 29 giugno 2004 e sent. n. 5134 del 7 ottobre 2003). Si intende cosi’ affermare che la conoscenza del provvedimento rilevante ai sensi dell’art. 21 della Legge n. 1034 del 1971 – da ancorare ad elementi univoci e sicuri (TAR Lombardia, Milano, SEZIONE II, sent. n. 2664 del 24 giugno 2004) – si verifica ogni volta che il provvedimento e’ portato nella sfera di conoscibilità legale del destinatario perché, in tale modo, il legittimato all’impugnazione e’ posto nella concreta possibilità di rendersi conto del contenuto del provvedimento e, dunque, della sua lesività, con totale ininfluenza – in relazione alla decorrenza del termine di sessanta giorni – di situazioni transitorie attinenti al destinatario dell’atto, non conosciute ne’ conoscibili, come anche di specifiche scelte soggettive del medesimo soggetto, quale, ad esempio, l’espressa volontà di non prendere visione della corrispondenza ricevuta. Come e’ stata riconosciuta la sufficienza – al fine di provare la data certa di conoscenza del provvedimento impugnato – dell’esibizione in giudizio da parte dell’Amministrazione della copia della raccomandata di trasmissione del provvedimento stesso e dell’avviso di ritorno (cfr. C.d.S., sent. n. 2264 del 12 aprile 2001), va riconosciuta la sufficienza – al medesimo fine – dell’esibizione del fax e della nota di conferma o, meglio, del rapporto di trasmissione, idoneo ad attestare che la trasmissione e’ avvenuta regolarmente (cfr. C.d.S., sent. n. 2207/02, già citata). Anche volendo spostare l’attenzione sul computo dei termini, la totale ininfluenza delle circostanze addotte dalla ricorrente permane. Come già affermato in giurisprudenza, nel nostro ordinamento vige la regola secondo cui i termini si calcolano secondo il calendario comune, non computando il giorno iniziale e con proroga di diritto al primo giorno seguente non festivo se il giorno di scadenza è festivo; a tale regola deve essere riconosciuta una generale applicazione e non può, quindi, essere disattesa in virtù di estensioni in via analogica di disposizioni che – prevedendo deroghe – debbono essere definite di carattere eccezionale (C.d.S., sent. n. 5374 del 9 ottobre 2002). Da ultimo, ma sicuramente non meno importante, va segnalato che la ricorrente non produce alcun elemento atto a comprovare le circostanze in esame.

2. Per le ragioni illustrate, il ricorso va dichiarato irricevibile perché presentato fuori termine.

Le spese di giudizio sono liquidate a favore del Comune di Pratica in Euro 2.000,00, salvi oneri fiscali e previdenziali.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sezione I quater dichiara irricevibile il ricorso n. 7033/2004.

Condanna la Ericsson Telecomunicazioni S.p.A. al pagamento delle spese di giudizio, liquidate a favore del Comune di Pratica in Euro 2.000,00, salvi oneri fiscali e previdenziali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di Consiglio dell’8 novembre 2004.

Dr. Pio GUERRIERI – Presidente

Dr.ssa Gabriella DE MICHELE – Consigliere

Dr.ssa Antonella MANGIA- Referendario- Relatore – Estensore


T.A.R. Veneto n. 2644 del 9.05.2003

Ric. n. 260/1996 Sent. n. 2644/03

R E P U B B L I C A  I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, prima sezione, costituito da:

Stefano Baccarini                   – Presidente

Angelo De Zotti                      Consigliere, relatore

Angelo Gabbricci                   – Consigliere

ha pronunziato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 260/1996, proposto dal Comune di Montebelluna, in persona del Sindaco, rappresentato e difeso dall’avv. Gabriele Testa, ed selettivamente domiciliato presso la segreteria del T.A.R. ai sensi dell’art. 35 del R.D. 1054/1924;

contro

la Regione Veneto Comitato Regionale di controllo, Sezione Provinciale di Treviso, in persona del Presidente della Giunta Regionale, pro tempore rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Venezia;

il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Venezia;

e nei confronti

del sig. Andolfato Franco, controinteressato, non costituito in giudizio;

per l’annullamento

dell’ordinanza datata 03/11/1995 del Comitato Regionale di Controllo, Sezione di Treviso, con la quale è stata annullata la deliberazione della Giunta Comunale di Montebelluna avente ad oggetto:”Funzioni di notifica atti-affidamento mediante contratto d’opera. Approvazione disciplinare e norme per l’aggiudicazione” e di ogni altro atto presupposto e connesso, tra cui la richiesta di alcuni consiglieri comunali e del Prefetto di Treviso, di sottoporre a controllo preventivo di legittimità la deliberazione comunale anzidetta.

Visto il ricorso, notificato il 31.12.1995 e depositato presso la segreteria il 25.1.1996, con i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno, depositato il 3.4.19964; con i relativi allegati

viste le memorie prodotte dalle parti;

visti gli atti tutti della causa;

uditi alla pubblica udienza del 3 ottobre 2002 (relatore il Consigliere De Zotti) l’avv. Sartori in sostituzione dell’avv. G. Testa per il Comune di Montebelluna e l’avv.to dello Stato Brunetti per il Ministero intimato;

ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

Fatto

Nell’ambito della progressiva razionalizzazione di alcuni settori funzionali e delle relative strutture, l’Amministrazione comunale di Montebelluna individuava l’opportunità di riorganizzare il servizio di notificazione degli atti a mezzo del messo comunale ed il servizio CED.

Quanto alle funzioni di notificazione, per lo svolgimento delle quali la pianta organica del 1992 prevedeva tre dipendenti (un messo capo di 5°qf. e due messi di 4°qf.), con una prima deliberazione del 03/05/94 n, 304, in accoglimento della richiesta del dipendente sig. V, Gatto, un posto di esecutore amministrativo (4°qf.) – profilo professionale esecutore amministrativo – profilo di messo a tempo pieno veniva trasformato in un posto di esecutore amministrativo (4°qf.) a tempo parziale e contestualmente il dipendente veniva assegnato al servizio CED.

Con la delibera n. 759 del 26/09/95 la Giunta Municipale di Montebelluna, nell’ambito della progressiva razionalizzazione di alcuni settori funzionali e delle relative strutture, decideva di sperimentare l’affidamento a terzi del servizio di notificazione, mediante un contratto d’opera, allo scopo di impiegare i due dipendenti in organico (messo capo e messo) in altri settori di attività particolarmente deficitari di personale e, nel contempo, di ottenere un sensibile risparmio di spesa per effetto della riorganizzazione del servizio; tale operazione era, però, condizionata, in primo luogo all’esito della gara per l’affidamento del contratto d’opera tale da assicurare un sensibile risparmio di spesa ed in secondo luogo, all’adozione di successivi provvedimenti organizzativi in ordine al personale ed al reperimento delle fonti di finanziamento.

La menzionata deliberazione si configurava, quindi, secondo l’amministrazione, come atto finalizzato ad accertare la fattibilità della divisata riorganizzazione del servizio di notificazione.

In data 11/10/95 alcuni consiglieri comunali chiedevano di sottoporre la deliberazione al controllo per alcune presunte illegittimità.

Analoga richiesta veniva formulata dal Prefetto di Treviso che formulava alcune osservazioni in merito alla legittimità del provvedimento.

La delibera veniva quindi inoltrata all’organo regionale di controllo che con ordinanza del 3 novembre 1995 la annullava.

Ritenendo illegittimo tale provvedimento, l’amministrazione comunale lo impugna e ne chiede l’annullamento, con vittoria di spese per i seguenti motivi:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 45  della legge n. 142/1990 e dell’art. 15 della legge n. 203/1991.

Si sostiene che sono state violate le norme che assoggettano al controllo le delibere degli enti locali post legge 142/1990 e precisamente quelle che prevedono che il controllo possa essere richiesto per violazione di legge e non per motivi di merito e che la richiesta deve essere motivata; che le ragioni dell’annullamento non sono, infatti, di legittimità ma di merito; che il potere prefettizio di richiedere il controllo è limitato alla repressione dei fenomeni di infiltrazione mafiosa e non per la generale verifica di legittimità.

2) violazione e falsa applicazione dell’art. 45 e 46 L. 142/1990 e art. 28 l.r. n. 19/1991; eccesso potere sotto svariati profili.

Si sostiene che sono state violate le norme che impongono la motivazione delle ordinanze di controllo; che l’ordinanza è illegittima in quanto censura il merito e che i motivi di annullamento sono erronei poiché lo scopo della delibera era semplicemente quella di verificare la fattibilità dell’operazione, che l’economicità dell’operazione non è stata dimostrata perché essa dipende dalle scelte future dell’amministrazione sull’impiego del personale liberato dai compiti affidati a privati; che non c’è alcun tentativo di eludere i vincoli della pianta organica.

3) violazione e falsa applicazione dell’art. 64 L. 142/1990, dell’art. 28 del R.D. 12/1941, degli artt. 3 e 6 del R.D. 642/1907, dell’art. 60 del D.P.R. 600/1073 e dell’art. 201 del D.Lgs. 285/1992; eccesso di potere per difetto di motivazione , illogicità e falsità di presupposto.

Si sostiene che è falso che il messo notificatore debba essere legato al comune da rapporto di pubblico impiego e che non è possibile la notifica degli atti a mezzo di persona esterna all’amministrazione, che le norme abrogate escludono la nomina prefettizia ma non implicano che gli addetti all’ufficio notifiche debbano essere necessariamente dipendenti comunali, potendo essere soggetti esterni nominati dal Sindaco; che l’art. 28 del R.D. 12/1941 prevede solo che le funzioni di ufficiale giudiziario siano svolte dal messo o da altre persone che presentino le necessarie condizioni di idoneità; che le funzioni di messo di conciliazione possono essere svolte in regime di pubblico impiego o di lavoro autonomo.

A difesa del provvedimento impugnato si è costituita in giudizio, per il Ministero dell’Interno, l’Avvocatura dello Stato, che ha contrastato i motivi di ricorso chiedendone la reiezione con vittoria di spese.

Alla pubblica udienza del 3 ottobre 2002, previa audizione dei patroni delle parti il ricorso è stato introitato per la decisione.

D I R I T T O

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo l’amministrazione comunale di Montebelluna deduce la violazione delle norme della legge n. 142/1990 che disciplinano il controllo delle delibere degli enti locali e in particolare dell’art. 45 che stabilisce che l’assoggettamento a controllo è dovuto quando un terzo dei consiglieri provinciali o un terzo dei consiglieri nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti ovvero un quinto dei consiglieri nei comuni con popolazione sino a 15.000 abitanti ne facciano richiesta scritta e motivata con l’indicazione delle norme violate entro dieci giorni dall’affissione all’albo pretorio; deduce inoltre che anche la richiesta, di analogo contenuto, formulata dal Prefetto di Treviso non aveva fondamento giuridico poiché il potere prefettizio di richiedere il controllo è espressamente circoscritto dall’art. 15 della legge n. 203/1991 alla repressione dei fenomeni di infiltrazione mafiosa e non costituisce manifestazione di una potere generale di verifica della legittimità degli atti delle amministrazioni locali.

Le censure sono inammissibili e comunque infondate.

Sotto il primo profilo va infatti rilevato che la delibera comunale annullata non è stata acquisita autonomamente dal Co.Re.Co., che non ha siffatti poteri, ma è stata trasmessa all’organo di controllo ad iniziativa dell’amministrazione stessa, sia pure a seguito delle richieste formulate in tal senso dai consiglieri comunali e dal prefetto; richieste che l’amministrazione ha positivamente valutato e in ordine alle quali  non ha formulato alcun rilievo (cfr. la nota n. 20253 del 16 ottobre 1993 del Sindaco di Montebelluna).

Non è possibile dunque come essa possa dolersi dell’assenza dei presupposti per l’esercizio della funzione di controllo, quando l’esame di legittimità è avvenuto, come rilevato, su sua esplicita richiesta e per motivi che essa sola ha verificato.

Peraltro, anche volendo prescindere da questo profilo pregiudiziale appare evidente che le richieste di sottoposizione dell’atto al controllo del Co.Re.Co. erano pienamente legittime: lo era sia quella dei consiglieri comunali, che hanno denunciato, in forma scritta e motivata, la sussistenza di vizi di legittimità, sia quella autonoma del Prefetto, poiché l’art. 15 della legge n. 203/91 non circoscrive il potere prefettizio, come si sostiene nel ricorso, alla sola repressione del fenomeno mafioso ma lo riconduce alla più ampia funzione di controllo sul buon andamento dell’attività amministrativa.

Ne consegue che l’atto doveva essere assoggettato al controllo, come in effetti è avvenuto.

Infondato è anche il secondo motivo, con cui l’amministrazione sostiene che sono state violate le norme che impongono la motivazione delle ordinanze di controllo e che l’ordinanza impugnata è illegittima poiché  censura il merito e non la legittimità del provvedimento.

In realtà è sufficiente la lettura della motivazione dell’ordinanza impugnata per rilevare che, ad eccezione del rilievo sulla contestata economicità dell’operazione, che probabilmente attinge in qualche misura il merito, la sostanza dei rilievi è di legittimità, ed in particolare verte sulla violazione della legge 142/1990 e sui vizi di eccesso di potere specificamente riscontrati.

Si tratta quindi di un provvedimento che non esorbita dalla funzione di controllo di legittimità, attribuita al Co.Re.Co..

Residua, da ultimo, il terzo motivo, che è l’unico realmente sostanziale e che verte sulla contestata possibilità, per l’amministrazione comunale, di procedere ad una riorganizzazione funzionale degli uffici nel cui ambito si prevede l’affidamento a privati del servizio di notificazione, mediante un contratto d’opera, allo scopo di impiegare i due dipendenti in organico (messo capo e messo) in altri settori di attività particolarmente deficitari di personale ottenendo un sensibile risparmio di spesa, per un periodo limitato ed a titolo sperimentale.

Tale operazione, come rilevato nel provvedimento tutorio, non appare possibile.

Come si riconosce anche nel parere assai articolato reso all’amministrazione dal suo stesso difensore, non appare infatti possibile che la funzione di notifica degli atti, affidata ai messi comunali possa, in assenza di norma apposita che lo consenta,  essere appaltata o assegnata in concessione a privati, poiché essa è espressione di un potere (certificativo e fidefaciente sino a querela di falso) che inerisce ad una funzione pubblica non delegabile a soggetti privati, il cui esercizio spetta ai dipendenti dell’amministrazione appositamente investiti di tale compito.

E ciò vale, a giudizio del Collegio, anche se l’art. 273 del T.U. 383/1934 è stato abrogato dall’art. 64 della legge n. 142/90, e non è più previsto, per i messi notificatori, il conferimento del relativo incarico con provvedimento prefettizio, in quanto la modifica rientra nel nuovo assetto delle autonomi locali ma non fa venir meno le caratteristiche della funzione, che rimane riservata al titolare del potere cui la norma la assegna e non diviene attività liberamente conferibile a soggetti estranei all’amministrazione comunale.

Né rileva, a giudizio del Collegio, la prospettata assimilazione delle funzioni notificatorie svolte dal messo comunale con quelle del messo di conciliazione, ai fini di un’applicazione estensiva ovvero analogica dell’art.28 R.D. 12/1941.

E’ vero, infatti che la funzione di messo di conciliazione può essere conferita anche a soggetti estranei all’amministrazione comunale, ma ciò inerisce al fatto che  la legge lo prevede espressamente senza che tuttavia muti la natura di munus publicum insita nella funzione stessa, che infatti ove non conferita a dipendenti comunali non si esplica in base a contratto ma con atto di nomina subordinato ad accertamento di idoneità ed alla previa autorizzazione, in ogni tempo revocabile o soggetta a sospensione, del Presidente del Tribunale.

Ciò conferma che non è significativo, ai fini che qui interessano, che  il messo conciliatore svolga i suoi compiti in regime di autonomia piuttosto che in regime di subordinazione, perché ciò dipende dal tipo di rapporto lavorativo che in concreto viene instaurato tra l’amministrazione comunale e l’incaricato delle funzioni (cfr. C.d.S. sez. 5^ 26 marzo 2001 n. 1723; C.d.S. sez. 5^ 20 settembre 2000 n. 4860; T.A.R. Puglia sez. 2^ Bari 1 ottobre 2002 n. 4171) ma piuttosto il fatto la circostanza che il messo di conciliazione ed il messo notificatore comunale rappresentano posizioni funzionali e organiche diverse (cfr. C.d.S. sez. 5^ 20 settembre 2000 n. 4860; C.d.S. sez. 5^ 7 dicembre 1995 n. 1665) che comunque in nessun caso possono essere attribuite a privati con contratto d’opera, ma con strumenti peculiari che sono: l’attribuzione della qualifica e della funzione specifica prevista dalla legge e dai contratti di lavoro per i dipendenti comunali e l’atto di nomina e di attribuzione delle funzioni per i soggetti estranei all’amministrazione.

Ne consegue, che l’applicazione analogica delle norme riferite ai messi conciliatori non consente, come pretende l’amministrazione, la riorganizzazione del servizio dei messi notificatori nella forma progettata con la delibera annullata e cioè con la riduzione o con l’eliminazione delle posizioni di lavoro svolte dai dipendenti in favore del conferimento delle stesse a privati con contratto di collaborazione professionale.

Conclusione, questa, che ovviamente assorbe anche quella del risparmio economico correlato all’operazione, in quanto se le funzioni non sono conferibili a contratto il loro costo non si sottrae ma si aggiunge a quello del personale che si presume surrettiziamente di poter utilizzare in compiti diversi.

Il ricorso va quindi respinto.

Le spese e le competenze di causa possono essere nondimeno compensate tra le parti costituite, per ragioni di equità.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, prima sezione, respinge il ricorso in epigrafe.

Spese e competenze di causa compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia, addì 3 ottobre 2002.

Il Presidente                                                    L’Estensore

Il Segretario

SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il……………..…n.………

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Direttore della Prima Sezione