Notifica atti presso il domicilio fiscale dell’imprenditore individuale

La Corte Suprema di cassazione in tema di notificazione degli avvisi di accertamento e degli altri atti che per legge devono essere notificati a un’impresa individuale. Si ribadisce che l’obbligo tributario fa capo alla persona fisica dell’imprenditore
Nel caso di impresa individuale, non può essere riconosciuta alcuna soggettività, o autonoma imputabilità, diversa da quella del suo imprenditore, atteso che essa si identifica con il suo titolare sia sotto l’aspetto sostanziale sia sotto quello processuale.
L’obbligazione tributaria, quindi, fa capo alla persona fisica dell’imprenditore, destinatario della pretesa fiscale.
Ne discende che la notificazione a mezzo posta di tutti gli eventuali avvisi di accertamento e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente, va compiuta nel domicilio fiscale della persona fisica dell’imprenditore. Questo, salvo il caso di consegna in mani proprie.

E’ quanto ricordato dalla Suprema Corte di Cassazione, sezione tributaria civile, nel testo della sentenza n. 20650 depositata il 20 luglio 2021.


Valido l’atto notificato all’indirizzo indicato nella denuncia dei redditi anche se diverso dalla residenza anagrafica

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, se il contribuente indica nella dichiarazione dei redditi un indirizzo diverso dalla residenza anagrafica, deve ritenersi corretta la notificazione dell’avviso di accertamento effettuata presso il recapito indicato dal contribuente all’amministrazione in sede di dichiarazione, anche se diverso da quello risultante dai pubblici registri anagrafici.
Così ha deciso la Corte Suprema di Cassazione con la sentenza n. 20017 del 14 luglio 2021.
Il caso attiene alla presunta illegittimità della notifica di un avviso di accertamento nei confronti di una contribuente, da cui era scaturita una cartella di pagamento. Nel ricorso proposto avverso l’atto de qua la contribuente ha denunciato l’irritualità della notifica dell’avviso di accertamento, effettuata presso il domicilio indicato nella dichiarazione dei redditi Mod. 730.
Il ricorso è stato respinto sia in primo che in secondo grado. In particolare, i giudici della CTR hanno dichiarato che nel caso di specie è applicabile l’art. 58, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, sicché per gli uffici finanziari la dichiarazione contenuta nel Mod. 730 era vincolante ai fini dell’individuazione del domicilio fiscale del contribuente cui fare riferimento per la notifica degli atti impositivi.
La contribuente ha così proposto ricorso avverso la decisione d’appello, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 58 e 60 del D.P.R. 600/1973.
Nella sentenza in commento i giudici della sezione tributaria di legittimità hanno respinto le doglianze della contribuente, sulla premessa che la disciplina della notifica degli atti tributari è particolarmente rilevante perché ha la funzione di portare a conoscenza del destinatario il contenuto di un determinato atto contenente la pretesa erariale.
La procedura di notifica va necessariamente coordinata con i principi generali dettati nella legge n. 212 del 2000, a tenore del quale l’amministrazione finanziaria deve, in linea generale, assicurare l’effettiva conoscenza, da parte del contribuente, degli atti a lui destinati, e ciò nel rispetto dei canoni di collaborazione, cooperazione e buona fede a cui devono essere improntati i rapporti tra l’Amministrazione finanziaria ed il contribuente.
Lo Statuto dei diritti del contribuente intende in questo modo affermare il principio generale per cui, per tutti gli atti dell’amministrazione destinati al contribuente, deve essere garantito un grado di conoscibilità il più elevato possibile.
Ciò premesso l’art. 60, primo comma, lett. c), del d.P.R. n. 600 del 1973 stabilisce che, “salvo il caso di consegna dell’atto o dell’avviso in mani proprie, la notificazione deve essere fatta nel domicilio fiscale del destinatario” e l’art. 58, primo comma, dello stesso d.P.R. n. 600 del 1973, a sua volta, dopo avere stabilito che agli effetti dell’applicazione delle imposte sui redditi ogni soggetto si intende domiciliato in un comune dello Stato, prevede, al secondo comma, che le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato “hanno il domicilio fiscale nel comune nella cui anagrafe sono iscritte”, mentre quelle non residenti “hanno il domicilio fiscale nel comune in cui si è prodotto il reddito o, se il reddito è prodotto in più comuni, nel comune in cui si è prodotto il reddito più elevato”.
Nell’ipotesi in cui ci sia difformità tra residenza anagrafica e la residenza indicata nella dichiarazione dei redditi, la Corte di Cassazione ha chiarito la validità della notifica effettuata presso il domicilio indicato nella dichiarazione dei redditi, e ciò anche quando il perfezionamento della notifica sia avvenuto tramite il meccanismo della compiuta giacenza dell’atto, nonostante tale indicazione sia difforme rispetto alle risultanze anagrafiche.
Pertanto, in linea con i principi a cui si ispira la legge n. 212 del 2000, che, all’art. 10, sancisce che i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria “sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”, deve ritenersi corretta una notificazione effettuata presso un recapito coincidente con quello palesato dal contribuente all’amministrazione finanziaria, anche se diverso da quello risultante dai pubblici registri anagrafici.
In senso conforme si cita la sent. n. 20939/2019 in cui il Collegio ha affermato che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la notificazione dell’avviso effettuata presso la residenza anagrafica invece che presso il diverso indirizzo indicato dal contribuente nella dichiarazione dei redditi, situato sempre nel medesimo comune di domicilio fiscale, non è valida, atteso che tale indicazione equivale ad elezione di domicilio, ai sensi del combinato disposto degli artt. 58 e 60 del D.P.R. n. 600 del 1973”. (in tal senso cfr. Cass. nn. 23024 e 15258 del 2015, e n. 14280/2018).
In questo caso, la contribuente aveva indicato nella dichiarazione dei redditi Mod. 730 presentata per l’anno in contestazione un domicilio fiscale, presso il quale l’Agenzia delle entrate ha effettuato la notifica dell’avviso di accertamento.
Pertanto, il domicilio indicato in dichiarazione costituiva l’unico recapito conosciuto dall’Amministrazione per procedere alla notifica dell’atto impositivo, cosicché tale indicazione, in difetto di diversa comunicazione, da parte della contribuente, effettuata con le modalità prescritte dal richiamato art. 60, primo comma, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, non può che equivalere ad elezione di domicilio all’indirizzo indicato in dichiarazione.
Per tale ragione la Suprema Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dalla contribuente confermando la legittimità della notifica dell’atto impositivo.


Istanza inviata a Pec errata

Il difensore non può dolersi della nullità causata dall’omesso contraddittorio ai sensi dell’art. 182 c.p.p., avendola lui stesso provocata 

La sentenza è stata pronunciata su ricorso avverso l’ordinanza con cui il Tribunale del riesame de L’Aquila confermava la misura custodiale applicata dal Gip al ricorrente, arrestato in flagranza per i reati di rapina impropria e intercettazione, impedimento o interruzione di comunicazioni informatiche o telematiche.

In particolare, la difesa contestava la nullità dell’ordinanza emessa dal Gip in difetto di contraddittorio, per essere stata l’udienza di convalida celebrata in assenza del difensore, il quale aveva richiesto di parteciparvi in video conferenza inoltrando il proprio indirizzo PEC a quello indicato nel decreto di fissazione e contattando più volte, senza esito, la cancelleria per rilevare che il recapito PEC fornito risultava non valido.

Come noto l’emergenza da Covid 19 ha determinato l’introduzione di disposizioni normative peculiari per l’esercizio dell’attività giurisdizionale nelle more della stessa. Per quel che interessa ai fini dell’analisi della presente sentenza l’art. 23 della legge 137/2020 ha previsto al comma 5 che “Le udienze penali che non richiedono la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, dalle parti private, dai rispettivi difensori e dagli ausiliari del giudice – e tale è ad esempio l’udienza di convalida dell’arresto e o del fermo di cui al caso in esame – possono essere tenute mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Lo svolgimento dell’udienza avviene con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti. Prima dell’udienza il giudice fa comunicare ai difensori delle parti, al pubblico ministero e agli altri soggetti di cui è prevista la partecipazione giorno, ora e modalità del collegamento (…). Nel caso di specie era accaduto che il difensore di fiducia dell’indagato avesse comunicato ripetutamente a un indirizzo erroneo il proprio recapito per la partecipazione all’udienza e che non fosse riuscito a contattare la cancelleria per rilevare che l’indirizzo di destinazione fosse non valido e che egli intendesse comunque partecipare all’udienza.

I giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno respinto il ricorso per aver rilevato dagli atti una responsabilità dell’avvocato sia in ordine alla comunicazione tardiva del proprio indirizzo PEC sia in ordine alla trasmissione a un recapito PEC, visibilmente erroneo, della cancelleria cui tale comunicazione era rivolta (Cass. pen., sez. II, sentenza n. 24280/2021).

La disamina degli atti processuali, consentita nel caso di specie alla Corte in ragione della censura dedotta, aveva infatti permesso ai giudici di riscontrare che l’indirizzo PEC cui inviare la comunicazione della volontà di partecipare all’udienza era indicato nell’avviso di fissazione con dicitura iniziale “sez1…” mentre quello cui era stata trasmessa PEC dall’avvocato recava nella parte iniziale la diciuta “sezione1…” sicché tale erronea digitazione era da considerare a lui esclusivamente imputabile. Ciò tanto più in quanto la trasmissione della comunicazione era intervenuta 24 ore prima dell’udienza e non 48 ore prima dell’udienza come indicato nell’avviso di fissazione.

Sulla scorta di tali argomentazioni la Corte ha concluso che “la mancata partecipazione del difensore all’udienza di convalida a causa dell’erronea indicazione dell’indirizzo della cancelleria nella missiva con cui chiedeva di partecipare a distanza ricade esclusivamente sulla responsabilità del difensore che, ai sensi dell’art. 182 c.p.p. non può dolersi della nullità cagionata per l’omesso contraddittorio avendola lui stesso provocata”.

Ed invero, come noto, le nullità di cui agli articoli 180 e 181 c.p.p. non possono essere eccepite da chi vi ha dato causa o concorso a darvi causa.

Si ricorda come analogo rigore la giurisprudenza di legittimità abbia usato, a contrario, rispetto alle conseguenze della notificazione del decreto di citazione inoltrato ad un indirizzo di posta elettronica certificata di difensore omonimo a quello nominato di fiducia, sebbene con indirizzo diverso. In particolare, Cassazione penale, Sez. I, sentenza 2 aprile 2021, n. 12780 ha ammonito circa l’onere degli uffici preposti di verificare la correttezza degli indirizzi certificati onde garantire il buon esito delle notificazioni e delle comunicazioni. Ciò, in quanto la trattazione del procedimento in assenza del difensore di fiducia pregiudica l’effettività dell’esercizio del diritto di difesa da parte del legale prescelto dal condannato, traducendosi in una nullità assoluta, ai sensi degli artt. 178, lett. c e 179 c.p.p., degli atti processuali e del provvedimento finale del procedimento, a nulla rilevando l’intervento di un difensore d’ufficio.


Avviso di accertamento: inesistenza della notifica dell’atto impositivo

La notifica che, a seguito di querela di falso, risulti inesistente, non produce alcun effetto giuridico ed è insanabile

La vicenda trae origine dall’impugnazione di un preavviso di iscrizione di fermo amministrativo e del relativo avviso di accertamento relativo ad IRPEF e IRAP.

In particolare il contribuente eccepiva, in via preliminare, che detto avviso di accertamento costituiva il primo atto con il quale era venuto a conoscenza della pretesa dell’Ufficio, non essendogli mai stato notificato in precedenza alcunché.

A sostegno dell’impugnazione deduceva, tra l’altro e unitamente all’illegittimità dell’atto impositivo per la violazione del diritto di difesa e per carenza di potere del funzionario emittente, la decadenza dell’Amministrazione Finanziaria, nonché l’infondatezza anche nel merito dell’atto presupposto, concludendo – quindi – per la richiesta di annullamento del preavviso di fermo e dell’avviso di accertamento impugnati.

Nel procedimento così introdotto, si costituiva l’Agenzia delle Entrate documentando, viceversa, l’avvenuta notifica dell’accertamento mediante consegna a mani proprie del destinatario.

Presone atto, il ricorrente depositava così una copia della querela di falso proposta per accertare la non autenticità della firma in calce alla relata di notifica dell’accertamento impugnato.

Purtuttavia, la Commissione di primo grado disattendeva l’istanza di sospensione del processo tributario e rigettava il ricorso.

Avverso tale sentenza, il contribuente proponeva appello deducendo la violazione dell’art. 39, D.Lgs. n. 546/1992 e l’omessa motivazione del provvedimento, nonché – in ogni caso – l’erroneità della decisione nel merito, così insistendo per l’accoglimento dell’originario ricorso e l’annullamento degli atti impugnati.

Disposta la fissazione dell’udienza di discussione del ricorso e, successivamente, la sospensione del procedimento ex art. 39, D.Lgs. n. 546/1992, l’appellante comunicava l’intervenuta definizione del procedimento per querela di falso e chiedeva la prosecuzione del processo d’appello.

La sentenza d’appello
Invero, medio tempore, il Tribunale Penale aveva dichiarato non autografa la firma del contribuente, così come apposta in calce alla relazione di notificazione dell’avviso di accertamento impugnato.

Di modo che, per l’effetto, la Commissione Tributaria di secondo grado statuì per l’inesistenza della notifica dell’atto impositivo, da considerarsi improduttiva di effetti giuridici, con la conseguente nullità del preavviso di fermo impugnato in ragione proprio dell’inesistenza dell’atto presupposto e della stessa pretesa tributaria dell’Ufficio ex art. 43, DPR n. 600/1973.

Nello specifico, la Commissione Tributaria Regionale della Campania con  sentenza n. 4291/2021 ha infatti affermato come “trattandosi nella specie di inesistenza della notifica dell’atto impositivo, giammai potrebbe ravvisarsi una ipotetica sanatoria del vizio rilevato”; e “anche a voler ammettere l’applicabilità al caso in esame dell’art. 156, c.p.c. in tema di “raggiungimento dello scopo”, la sanatoria non potrebbe che ritenersi intervenuta dal momento della notifica del preavviso di fermo amministrativo (…) e, quindi, (…) allorché era già maturato il termine di decadenza previsto per l’Ufficio”.

Con l’inevitabile conseguenza che “In accoglimento dell’appello la sentenza gravata, inopportunamente emessa dal giudice senza sospendere il processo in attesa dell’esito del procedimento per querela di falso promosso dal contribuente, deve pertanto essere riformata con l’integrale accoglimento del ricorso”.


Raccomandazioni su linee guida per indice domicili digitali di persone fisiche, professionisti ed altri enti di diritto privato

Le “linee guida relative all’indice dei domicili digitali delle persone fisiche, dei professionisti e degli altri enti di diritto privato non tenuti all’iscrizione in albi professionali o nel registro imprese (Inad) hanno ricevuto il via libera nella Conferenza Unificata del 20 maggio.
Con un documento congiunto però la Conferenza delle Regioni, l’ ANCI e l’UPI hanno voluto formulare al Governo alcune raccomandazioni(che si riportano di seguito, unitamente al link all’atto della Conferenza Unficata).
Posizione sullo schema di linee guida relative all’indice dei domicili digitali delle persone fisiche, dei professionisti e degli altri enti di diritto privato non tenuti all’iscrizione in albi professionali o nel registro imprese (Inad)
Parere, ai sensi dell’articolo 71, comma 1, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82
Punto 3) Odg Conferenza Unificata
Con precedenti Linee Guida AGID sono state dettate regole tecniche per i domicili digitali disciplinati dal CAD agli articoli 6 Bis (Indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti) e 6 ter (Indice dei domicili digitali delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi).
L’articolo 9, comma 2, del D.lgs. 13 dicembre 2017 n. 217 ha introdotto l’articolo 6 quater del CAD, istituendo l’Indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche, dei professionisti e degli altri enti di diritto privato non tenuti all’iscrizione in albi, elenchi o registri professionali o nel registro delle imprese – INAD.
Le Linee Guida INAD rappresentano l’ultimo tassello mancante “all’elenco telefonico del terzo millennio”, ovvero ai domicili digitali previsti dal Codice dell’Amministrazione Digitale.
Nella riunione tecnica della Conferenza Unificata del 7 maggio 2021 sono state discusse le osservazioni presentate dal Coordinamento tecnico interregionale Agenda Digitale e dall’ANCI ed è stata successivamente acquisita una nuova versione delle Linee Guida (versione 1.1 del 10/05/2021).
Tutto ciò premesso
La Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, L’ANCI e L’UPI esprimono parere favorevole con le seguenti raccomandazioni:
1. che nell’attività di comunicazione volta a promuovere l’INAD, soprattutto quella rivolta ai privati cittadini, siano chiariti i benefici del nuovo domicilio digitale, al fine di evitare il rischio che si contribuisca a creare nei suoi confronti un’errata percezione. L’INAD andrà ad incidere significativamente sulle modalità di interazione tra pubblica amministrazione e cittadini. Occorre, quindi, che i benefici derivanti dall’adesione allo strumento in termini di riduzione di costi, risparmi di tempo, riduzione dell’impatto ambientale, celerità e certezza dei processi amministrativi, siano adeguatamente comunicati e che si prevengano utilizzi impropri dei dati che i cittadini accettano di rendere pubblici. Il cittadino potrebbe pensare di non iscriversi all’INAD ritenendolo un mero “cestino” dove ricevere comunicazioni non sempre gradite (esempio multe, bollette, tributi, notifiche legali etc.). Occorre, al contrario, comunicare correttamente ed efficacemente i benefici del domicilio digitale in termini di riduzione dei costi (esempio: se ti invio una comunicazione via PEC e non mediante il notificatore risparmi il costo di notifica) e anche in termini di risparmio di tempo e di riduzione dell’impatto ambientale;
2. che nell’interfaccia web dell’INAD si tuteli il bilinguismo ed il multilinguismo;
3. che si preveda, in prospettiva, di affiancare alla procedura standard di registrazione all’INAD anche modalità che tengano conto del divario digitale, sia in termini culturali, sia in termini infrastrutturali di alcuni territori, nel rispetto del principio di non discriminazione, come ad esempio la possibilità di attivare un presidio fisico presso una PA territoriale, che supporti i cittadini e le imprese nelle fasi di registrazione e di gestione del domicilio digitale. Per alcuni strumenti, come l’identità digitale SPID, l’introduzione di una modalità di “intermediazione” della PA, su base volontaria, tra l’utente e il soggetto gestore dell’identità, il cosiddetto ruolo di RAO (Registration Authority Officer), ha favorito, infatti, la diffusione dello strumento, offrendo altresì un servizio aggiuntivo ai cittadini.
Roma, 20 maggio 2021


La Corte di Cassazione sulla notifica di un atto a mezzo P.E.C. senza la firma digitale nella relata

Con la sentenza n. 16746/2021, pubblicata il 14 giugno 2021, la Corte Suprema di Cassazione si è nuovamente pronunciata sulle conseguenze derivanti dalla notifica di un atto a mezzo PEC senza la firma digitale dell’avvocato notificante nella relazione di notifica.

La vicenda riguarda l’impugnazione di una sentenza emessa dalla Corte di Appello che aveva dichiarato inammissibile il gravame per essere stato proposto tardivamente oltre il termine “breve” di trenta giorni, previsto dall’art. 327 c.p.c., decorrenti dalla notifica della sentenza che era stata eseguita a mezzo PEC.
L’appellante aveva eccepito la nullità della predetta notifica, deducendo che sulla “relata”, nonostante la diversa notazione sulla copia stampata, non era stata apposta la firma digitale dell’avvocato notificante e che, in via residuale, doveva applicarsi il termine “lungo” di cui al predetto art. 327 c.p.c.

L’eccezione dell’appellante non veniva accolta dalla Corte territoriale la quale riteneva che la mancanza della firma digitale del difensore nella relata di notificazione non rilevasse ai fini della validità di essa.

Con il ricorso per cassazione, l’originario appellante deduceva la violazione e la falsa applicazione degli artt. 3 bis e 11 della legge 53/1994 e degli artt. 125, 148 e 156 del codice di procedura civile, evidenziando che:

1. il difensore della controparte aveva trasmesso un messaggio di posta elettronica certificata contenente la comunicazione P.E.C. per la notificazione della sentenza del Tribunale a cui erano allegati i file della relata di notifica in formato nativo digitale e della copia informatica per immagine di essa, senza alcuna attestazione di conformità;

2. al file della relata di notifica ed a tutti gli altri file allegati al messaggio di PEC, nonostante la diversa notazione riportata sulla copia analogica per stampa prodotta dalla difesa della controparte, non era stata apposta la firma digitale dell’avvocato notificante;

3. il suddetto file della relata di notifica veniva allegato con estensione pdf semplice e non con estensione “p7m” o “pdf” oppure “pdf” ma con eventuale aggiunta del suffisso “signed” al nome del file tanto da presentarlo come “nomefile-signed-pdf”;

4. la corte di appello aveva errato nel ritenere che la mancanza della firma digitale del difensore nella relata di notificazione non rilevasse ai fini della validità di essa, in quanto tale orientamento si poneva in contrasto con quanto previsto dall’art. 125 c.p.c., secondo il quale tutti gli atti di parte devono essere sottoscritti dal difensore.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 16746/2021 ha dichiarato infondato il motivo del ricorso e lo ha rigettato.

Gli Ermellini hanno osservato che, come già affermato in altri pronunciamenti degli stessi giudici di legittimità:

1. in tema di notificazione a mezzo posta elettronica certificata (PEC), “la mancanza, nella relata, della firma digitale dell’avvocato notificante non è causa d’inesistenza dell’atto, potendo la stessa essere riscontrata attraverso altri elementi di individuazione dell’esecutore della notifica, come la riconducibilità della persona del difensore menzionato nella relata alla persona munita di procura speciale per la proposizione del ricorso, essendosi comunque raggiunti la conoscenza dell’atto e, dunque, lo scopo legale della notifica (Cass. 6518/2017);

2. la notificazione a mezzo PEC è un documento diretto inequivocabilmente dalla casella PEC dell’avvocato del ricorrente a quella del difensore avversario, senza che abbia limitato i diritti difensivi della parte ricevente.

3. il difetto della firma non è causa di inesistenza dell’atto che può essere surrogata attraverso altri elementi capaci di far individuare l’esecutore di esso (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10272 del 2015)”;

4. nella notificazione effettuata a mezzo PEC la mancata firma digitale della relata non lascia alcun dubbio sulla riconducibilità alla persona del difensore, attraverso la sua indicazione e l’accostamento di quel nominativo alla persona munita ritualmente della procura speciale;

5. la sentenza fa riferimento ad una notificazione eseguita direttamente dall’avvocato alla controparte senza organo intermediario. Tuttavia, il richiamo all’irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata, (nella specie, in “estensione.doc”, anziché “formato.pdf”) laddove non ne comporta la nullità se la consegna telematica ha comunque prodotto iI risultato della sua conoscenza e determinato così il raggiungimento dello scopo legale (Cass. Sez. U 7665/2016 ed, in termini, Cass. 3805/2018) ha una valenza tale che si immagina non possa essere sovvertita qualora la notificazione veda l’intervento della figura intermediaria (Ufficiale giudiziario, messo comunale, etc.). D’altro canto, in considerazione della ancora esiguità, in relazione all’uso delle nuove tecnologie”, dei giudizi dei Giudici di merito questo ci deve stimolare a monitorare con attenzione l’evolversi della giurisprudenza sulla questione. 

6. è irrilevante il riferimento al tenore “letterale”, portato dal riferimento all’art. 125 c.p.c. e, dunque, alla inclusione della notifica fra gli atti processuali di parte che necessitano della sottoscrizione del difensore, in quanto, da una parte, il richiamo appare improprio non potendosi considerare tale (e cioè ” atto processuale”) il prodotto dell’esercizio della funzione notificatoria del difensore, e, dall’altra perché l’elencazione della norma richiamata è tassativa, e non può essere estesa ai documenti che fanno parte di un procedimento, con più passaggi, come quello per via telematica per il quale è sufficiente che venga attestata la conformità all’originale dell’atto da notificare.


Notifica a mezzo posta degli avvisi di accertamento. Compiuta giacenza

La recente sentenza n. 16183/2021 della Corte di Cassazione, l’ordinanza della Corte di Cassazione depositata il 9 giugno 2021, ha confermato che, nella notifica diretta a mezzo posta di atti impositivi da parte degli Enti Locali, senza intermediazione dell’Ufficiale giudiziario, in caso di temporanea assenza del destinatario, la notificazione si intende eseguita decorsi dieci giorni dalla data del rilascio dell’avviso di giacenza e di deposito del plico presso l’ufficio postale.


Notifica tramite P.E.C. e allegati illeggibili

Per la Corte di Cassazione, il destinatario che contesta la regolarità della notifica telematica deve segnalare al mittente la presenza di problemi in un’ottica di collaborazione

In materia di notifiche eseguite con mezzi telematici, se il messaggio ricevuto via P.E.C. contiene degli allegati che risultano completamente o parzialmente illeggibili, il destinatario deve informarne il mittente non colpevole, della difficoltà di conoscere la comunicazione, in un’ottica di collaborazione.
Queste le conclusioni della Corte di Cassazione nella sentenza n. 15002/2021, emessa al termine di una vicenda processuale che ha inizio quando una signora, comproprietaria di un immobile agisce sostenendo di essere titolare del diritto di passaggio sui fondi dei convenuti in virtù di scrittura privata unilaterale del suo dante causa o per usucapione.
Poiché tale diritto di passaggio è stato impedito dai convenuti attraverso la costruzione di opere dagli stessi realizzate, parte attrice chiede la rimessione, il risarcimento dei danni morali e materiali e l’accertamento della illiceità dell’installazione di tubi di acqua lurida nel sottosuolo della sua proprietà da parte di due dei convenuti, chiedendone la rimozione e i relativi danni.
I convenuti in via riconvenzionale chiedono la condanna dell’attrice a completare la costruzione del muro di cinta e la determinazione della relativa indennità. Il Tribunale accerta l’avvenuto acquisto della servitù di passaggio sul fondo dei convenuti da parte dell’attrice e rigetta tutte le altre domande attoree e dei convenuti in riconvenzionale.
La Corte d’Appello adita dalla signora però accoglie il suo appello e per questo condanna i convenuti a ripristinare il passaggio, arretrare il muro di confine e rimuovere la condotta di scarico dalla proprietà di parte attrice.
I convenuti ricorrono in Cassazione sollevando quattro motivi di ricorso, ma la Suprema Corte di legittimità adita non si pronuncia sugli stessi perché il ricorso, per le ragioni che si vanno a esporre, è tardivo e quindi inammissibile.
La Corte infatti, per prima cosa, verifica l’ammissibilità del ricorso perché la contro-ricorrente ne ha eccepito la tardività per avvenuta notificazione della sentenza d’appello il 14 ottobre 2015.
Dagli atti è emerso che il file denominato “Corte d’appello di Cagliari sent. n. (…) .pdf” allegato al messaggio PEC conteneva pagine bianche, e che nel file denominato “Relata di notifica (…).pdf” erano visibili solo puntini neri.
La Cassazione, preso atto di quanto sopra, alla luce della documentazione che ha provato l’avvenuta accettazione e ricezione del messaggio di consegna, precisa che l’onere della prova della disfunzione del sistema grava sulla parte che contesta la regolarità della notificazione.
Recente Cassazione ha infatti affermato che: “una volta acquisita al processo – in questo caso attraverso l’asseverazione -, la prova della sussistenza della ricevuta telematica di avvenuta consegna, solo la concreta allegazione, da parte del destinatario, di una qualche disfunzionalità dei sistemi telematici potrebbe giustificare migliori verifiche sul piano informatico, con onere probatorio a carico del medesimo destinatario.”
La Corte ha infatti già affermato che quando gli allegati della p.e.c. risultano illeggibili “spetta al destinatario, in un’ottica collaborativa, rendere edotto il mittente incolpevole delle difficoltà di cognizione del contenuto della comunicazione legate all’utilizzo dello strumento telematico.” Il ricorso poiché tardivo è inammissibile.


Comunicato incontro con le OO.SS. del 24 maggio

Si è tenuto lunedì 24 maggio l’incontro promosso da A.N.N.A. con le segreterie nazionali della Funzione Pubblica di CGIL, CISL e UIL per analizzare la situazione professionale dei Messi Comunali e dei Messi Notificatori e valutare quali prospettive di riqualificazione vi possono essere in vista del prossimo rinnovo contrattuale 2019-2021.
Abbiamo rappresentato ai nostri interlocutori l’esigenza, non più rinviabile, di un adeguamento dell’inquadramento, ritenendo la Cat. C come quella la più adeguata e aderente alle caratteristiche del profilo.
L’evoluzione normativa che ha interessato la materia della notificazione, unitamente ai nuovi processi informatici introdotti nelle procedure, richiedono degli addetti con una professionalità più avanzata, maggiori responsabilità e livelli di formazione in continua evoluzione.
L’evoluzione delle conoscenze giuridiche e tecnico informatiche necessario per svolgere nella quotidianità il lavoro del Messo, non sempre sostenuta come sarebbe doveroso dalle Amministrazioni Comunali, ha portato ad una crescita professionale complessiva degli operatori della notifica, crescita alla quale non ha corrisposto un adeguato riconoscimento giuridico ed economico.
Piena consapevolezza del problema è stata espressa dalla parte sindacale che non ha mancato di rilevare che la piattaforma per il rinnovo contrattuale indica tra gli obiettivi “la valorizzazione delle professioni, la ridefinizione dei sistemi di classificazione con conseguente crescita economica e il superamento di varie situazioni di sotto inquadramento, nonché il definitivo superamento della Cat. A”.
Sono state anche valutate le questioni relative alle indennità già in essere, con particolare riferimento alle “specifiche responsabilità” ex art. 70 quinquies lett. d) del vigente CCNL.
Nel prendere atto che gli Enti Pubblici usano sempre più le procedure notificatorie a mezzo posta o a mezzo PEC abbiamo chiesto alle Organizzazioni Sindacali che quando si confronteranno con la parte datoriale sulle esternalizzazioni dei servizi dei Comuni non si dimentichino di contrastare le esternalizzazioni delle notifiche a mani.
Sempre più gli Enti, in particolare quelli di piccole e medie dimensioni, al pensionamento del Messo Comunale non assumono nuovo personale e non cercano di creare le condizioni per gestire in forma associata/convenzionata la funzione notificatoria ma, in modo semplicistico, esternalizzano le notifiche a mani a privati del luogo o a gestori privati di respiro nazionali creando tutta una serie di problematiche sia ai richiedenti che ai destinatari degli atti in questione: su tale situazione noi abbiamo chiesto che le ditte che si offrono per gestire la funzione notificatoria dei Comuni abbiano obbligatoriamente un minimo di requisiti attraverso un percorso di accreditamento, questo direttamente, per quanto compatibile, nel testo del CCNL o con un altro strumento giuridico, in analogia a quanto avvenuto con il passaggio delle notifiche previste dalla L. n. 890/1982 (le cosiddette Raccomandate AR verdi) dalle POSTE ITALIANE alle ditte private.
Dal confronto è emerso il riconoscimento della legittimità, fondatezza e ponderatezza delle nostre richieste e la necessità di approfondire le compatibilità economiche dell’operazione, i percorsi praticabili e le relative tempistiche.
Nel merito di tali questioni abbiamo palesato la disponibilità della nostra Associazione Professionale ad esaminare gli aspetti di maggiore criticità che dovessero emergere e ad individuare insieme le soluzioni possibili.
A seguito di tale impegno si è concordato un successivo incontro a breve per approfondire ulteriormente i punti sopra analizzati ed eventuali ulteriori problematiche che dovessero emergere anche in relazione al confronto che le Organizzazioni Sindacali prevedono di avere, nel breve, con il Comitato di Settore delle Funzioni Locali.

Leggi: lettera a Ministro Brunetta per inquadramento Messi Comunali e Notificatori


Incontro rinnovo contrattuale comparto funzioni locali

Si svolgerà lunedì 24 p.v. in modalità webinar l’incontro, da noi richiesto, con le segreterie nazionali della Funzione Pubblica- Enti Locali di CGIL, CISL e UIL sui temi del prossimo rinnovo contrattuale, con particolare riguardo all’inquadramento dei messi comunali nell’ambito della classificazione dei dipendenti degli enti locali.
Come più volte esplicitato anche in sedi autorevoli, consideriamo la collocazione dei messi in Cat. B ormai ampiamente superata alla luce dell’evoluzione legislativa e tecnologica che ha trasformato, rendendolo sempre più impegnativo, il ruolo del messo comunale e notificatore.
Intendiamo mettere a disposizione delle organizzazioni sindacali il prezioso contributo di idee ed esperienze dei nostri associati, attivando un utile confronto con i soggetti titolari della contrattazione che si sono mostrati interessati e disponibili a valutare le nostre proposte.
Sarà nostra cura dare tempestiva informazione sugli sviluppi del confronto.

Partecipano:

DE GREGORIO DAVIDE – U.I.L.
GALANTE BRUNO – U.I.L
PURIFICATO ALESSANDRO – C.G.I.L.
SANTOMASSIMO ANTONIO – C.G.I.L.
COSENTINO GIANCARLO – C.I.S.L.
CARUSO GERMANA – C.I.S.L.
Componenti la Giunta Esecutiva di A.N.N.A.

Leggi: Richiesta incontro cgil cisl uil su inquadramento contrattuale messi comunali


DOCUMENTI INFORMATICI – Prorogata la data di entrata in vigore delle linee guida

Prorogato al 1° gennaio 2022 il termine a decorrere dal quale sarà obbligatoria l’adozione delle Linee Guida su formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici.
Lo ha stabilito l’Agenzia per l’Italia digitale (AgID) con la determinazione n. 371 del 18 maggio 2021, posticipando così la scadenza originariamente stabilita al 7 giugno 2021.

A seguito di numerose interlocuzioni e richieste di modifica provenienti da associazioni di categoria e amministrazioni, per quanto attiene in particolare, AgID ha introdotto alcuni importanti cambiamenti nell’ottica della semplificazione, ai fini della gestione e individuazione dei metadati che devono accompagnare i documenti informatici fin dalla loro formazione aggiornando gli Allegati 5 (Metadati) e 6 (Comunicazione tra AOO di Documenti Amministrativi Protocollati) e ha, inoltre, provveduto alla correzione di alcuni refusi nel testo delle Linee guida.


L’iscrizione a ruolo non interrompe la prescrizione

In tema di imposta di registro, il decorso del termine prescrizionale decennale per la riscossione dell’imposta definitivamente accertata non può ritenersi interrotto dalla sola formazione del ruolo da parte dell’Amministrazione finanziaria ma solo dalla notifica della relativa cartella di pagamento.
Il principio è desumibile dalla Sentenza n. 11605 del 4 maggio 2021.
La vicenda giudiziaria trae origine dal ricorso avverso una cartella di pagamento notificata dalla società Equitalia Servizi di riscossione s.p.a. per somme dovute a titolo di imposta di registro, con cui il contribuente ha eccepito la prescrizione della pretesa tributaria.
Il ricorso è stato respinto sia dalla Commissione Tributaria Provinciale che Regionale sul rilievo che il termine prescrizionale decennale era stato interrotto dalla notifica dell’avviso di liquidazione, nel termine triennale prescritto dall’art. 76 del D.P.R. n. 131/1986, con la conseguente reiezione dell’eccezione di decadenza sollevata dalla contribuente.
Per quanto di interesse la Commissione Tributaria Regionale ha affermato anche che il termine prescrizionale era stato interrotto non solo dalla notifica dell’atto impositivo ma anche a seguito dell’iscrizione a ruolo del debito tributario. È proprio su tale punto si è espressa la Corte di Cassazione dopo il ricorso proposto dal contribuente, accogliendo i relativi motivi di doglianza.
A riguardo il Collegio di legittimità ha richiamato il principio per cui, il termine decennale previsto per la riscossione dell’imposta di registro definitivamente accertata di cui all’art. 78 del d.P.R. n. 131/1986, “non può ritenersi interrotto dalla sola formazione del ruolo da parte dell’Amministrazione finanziaria, atteso che, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 2943 cod. civ., la prescrizione dei diritti è interrotta solo da un atto che valga a costituire in mora il debitore e, quindi, avente carattere recettizio, mentre l’iscrizione a ruolo di un tributo resta un atto interno dell’amministrazione”.
In altri termini, in materia di riscossione delle imposte, solo la prova della notificazione della cartella esattoriale è atto idoneo ad interrompere la prescrizione del credito tributario perché atto recettizio, in linea con l’art. 2943 co. 2 c.c. che prevede che la prescrizione è interrotta da ogni atto che valga a costituire in mora il debitore.
Nella fattispecie in commento, la prescrizione – già interrotta dalla notifica dell’avviso di liquidazione – decorre dalla data in cui l’avviso è stato notificato. Il nuovo atto interruttivo da considerare non è certamente l’iscrizione a ruolo, bensì la consegna della cartella all’ufficiale postale per la notifica.
Sulla base di tali motivazioni la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata con rimessione degli atti alla Commissione Tributaria Regionale, in diversa composizione, per il riesame della controversia nonché per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.


Contrasto tra copia notificata ed originale in possesso dell’ufficio

L’avviso di accertamento notificato al contribuente senza alcune pagine, e quindi privo di dati essenziali, risulta nullo, anche se la copia originale in possesso dell’Ufficio è corretta. Lo chiarisce la Corte di Cassazione con la sentenza numero 10860 del 23 aprile 2021


La notifica in caso di irreperibilità temporanea

Qual è il modo per assolvere l’onere della prova circa il perfezionamento di una procedura di notifica di atto impositivo mediante l’impiego diretto del servizio postale in caso di temporanea assenza del destinatario, cosiddetta “irreperibilità relativa”?

E’ sufficiente la prova della spedizione della raccomandata informativa (CAD) o è necessario il deposito dell’avviso di ricevimento di tale raccomandata?

Sono i quesiti che la Quinta sezione civile della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite e a cui queste ultime hanno dato risposta con sentenza n. 10012 del 15 aprile 2021.

Con tale pronuncia, la Suprema corte si è pronunciata in tema di notifica di un atto impositivo ovvero processuale tramite il servizio postale, secondo le previsioni della Legge n. 890/1982, qualora l’atto notificato non venga consegnato al destinatario:

  • per rifiuto a riceverlo;
  • per temporanea assenza del destinatario stesso;
  • per assenza/inidoneità di altre persone a riceverlo.

Notifica postale e irreperibilità relativa del contribuente
In tali ipotesi – hanno sottolineato le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione – la prova del perfezionamento della procedura notificatoria può essere data dal notificante esclusivamente mediante la produzione giudiziale dell’avviso di ricevimento della raccomandata che comunica l’avvenuto deposito dell’atto notificando presso l’ufficio postale, c.d. CAD.

Per gli Ermellini, non è a tal fine sufficiente la prova dell’avvenuta spedizione della raccomandata medesima.

Soluzione della Cassazione: prova notifica solo con produzione giudiziale dell’avviso
Il massimo Collegio di legittimità ha così risolto il contrasto interpretativo esistente sulla questione all’interno della giurisprudenza di legittimità, che vedeva contrapposte due diversi indirizzi.

Un primo orientamento, consolidato soprattutto nel passato, afferma che ai fini della prova del perfezionamento della notifica postale diretta in caso di assenza temporanea del destinatario, è sufficiente che l’Ente impositore notificante produca in giudizio l’avviso di ricevimento della raccomandata contenente l’atto notificando con l’attestazione di spedizione della Cad.

L’altra lettura, affermatasi a partire dalla sentenza n. 5077/2019, ritiene invece che per considerare perfezionata la procedura di notificazione sia necessario verificare in concreto l’avvenuta ricezione della CAD e a tal fine il notificante è processualmente onerato della produzione del relativo avviso di ricevimento.

Ed è a questo secondo indirizzo che le SS.UU. della Corte di Cassazione hanno ritenuto di dover dare seguito.


Anche senza la buca delle lettere la notifica è valida

Nel caso di notifica per irreperibilità del destinatario, non rileva se quest’ultimo non ha una cassetta per la corrispondenza: è sufficiente che l’ufficiale giudiziario depositi copia dell’atto da notificare nella casa comunale e affigga avviso di deposito alla porta dell’abitazione.

Non ci si salva dalla notifica di atti giudiziari o di cartelle esattoriali se non si ha una cassetta delle lettere. Anche in tali casi, infatti, nonostante il rischio di smarrimento della corrispondenza lasciata sulle scale antistanti il portone, la notifica nei confronti del destinatario irreperibile è valida (ovviamente, sempre che l’ufficiale giudiziario abbia effettuato tutti gli adempimenti previsti dalla legge).

L’inesistenza della buca delle lettere è irrilevante ai fini della validità della notifica quando il destinatario non è presente a ritirare, di persona, la posta.

È questa la conclusione cui è pervenuta una sentenza della Corte di Cassazione n. 22883 del 08.10.2013

Del resto, ragionando diversamente, si arriverebbe a una conseguenza del tutto illogica: sarebbe sufficiente togliere la cassetta delle lettere per impedire all’Ufficiale di effettuare una notifica valida.

Pertanto, cosa succede in questi casi?

Il Messo Comunale deposita la copia dell’atto da notificare nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi, affigge avviso del deposito alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario e gli invia una raccomandata con avviso di ricevimento, a prescindere poi dal fatto che non vi sia la predetta cassetta postale ove “buttare” tale lettera.

Vedi anche: Consiglio di Stato sentenza n. 1024/2014