La Commissione Tributaria Provinciale di Perugia, con sentenza n. 379/19 (testo in calce), depositata in data 26 agosto 2019, ha sancito che è “nulla la notifica della cartella esattoriale” dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione, laddove provenga “da un indirizzo PEC diverso da quello contenuto nei pubblici registri”.
I fatti del processo
Il contenzioso tributario in commento nasceva dall’impugnazione, da parte del contribuente, di un atto di pignoramento presso terzi (art. 72-ter, D.P.R. n. 602/1973[1]), nonché di un atto di intervento all’interno della stessa procedura esecutiva, a mente dei quali veniva sottoposto ad esecuzione forzata la somma di €. 240.000,00, a titolo di debiti tributari, relativa alla presunta notifica di cartelle esattoriali imputate alla società debitrice.
Sul punto, il ricorrente, nel proprio atto introduttivo, lamentava – tra i vari spunti difensivi volti ad annullare la pretesa erariale – anche l’omessa notificazione delle cartelle esattoriali richiamate negli atti esecutivi ricevuti e chiedeva al Collegio l’annullamento del debito erariale[2].
Il punto centrale della difesa del contribuente
Il ricorrente, dunque, al fine di annullare integralmente il debito erariale – nelle more del giudizio – rilevava che la notifica delle cartelle esattoriali era insanabilmente viziata (nella forma giuridica della nullità), in quanto l’Ente della Riscossione, in qualità di soggetto notificante, non aveva utilizzato la PEC attribuita all’Agenzia delle Entrate – Riscossione, presente nell’elenco ufficiale “IPA” (Indice delle Pubbliche Amministrazioni[3]), ossia protocollo@pec.agenziariscossione.gov.it, bensì un irrituale ed ignoto indirizzo[4].
Sul punto, in tema di notifica a mezzo PEC, l’art. 26, D.P.R. n. 602/73, l’art. 16-ter del D.L. 179/2012, convertito in Legge n. 221/2012 recita testualmente: “a decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 4 e 16, comma 12, del presente decreto”, ovvero “IPA”, “Reginde”, “Inipec”.
Orbene: la verifica, effettuata dal ricorrente, in relazione all’indirizzo di Posta Certificata dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione, evidenziava che all’esattore notificante era stato assegnato un indirizzo PEC differente, rispetto a quello utilizzato nelle notifiche in contestazione.
Sulla scorta di tali notizie, emergeva la considerazione che l’indirizzo PEC in commento, ossia protocollo@pec.agenziariscossione.gov.it era l’unico valido e pertanto utilizzabile legittimamente dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione per scopi notificatori con validità legale delle cartelle esattoriali tributarie.
Per cui, dall’analisi dei documenti versati in atti dall’esattore nel corso del giudizio, di contro, si evinceva che le cartelle di pagamento (impugnate contestualmente agli atti di pignoramento) erano state trasmesse da un indirizzo PEC diverso da quello contenuto nel mentovato pubblico registro, il tutto in palese violazione della richiamata normativa[5].
Alla luce di quanto sopra esposto, il ricorrente insisteva affinché la Commissione Tributaria Provinciale di Perugia accertasse l’illegittimità del procedimento di notifica delle cartelle di pagamento impugnate.
L’indirizzo PEC del notificante non proviene dagli Elenchi Pubblici: la notifica è viziata ed insanabile (Cass., ord. n. 17346/2019)
In materia di notifica di atti civili, la Suprema Corte, con la recente ordinanza n. 17346/2019, aveva osservato che la notifica effettuata con modalità telematiche è da considerarsi viziata, se il notificante utilizza il proprio “indirizzo di posta elettronica certificata” non risultante da pubblichi elenchi, a mente dell’art. 3-bis, Legge n. 53/1994.
Nel contenzioso in parola la parte processuale (ricorrente) “aveva fatto la notificazione utilizzando un indirizzo non risultante dai predetti elenchi”.
Sul punto il contribuente, richiamando “una serie di pronunce e orientamenti […] finalizzati a chiarire la questione”, insisteva affinché venisse accertata la validità della notifica; in breve, secondo la tesi difensiva della parte privata, l’elemento dirimente era che la notifica pec “giunga a compimento”, giacché “il meccanismo telematico” possa garantire la “certezza della procedura di recapito”.
I giudici della S.C. (Consigliere Relatore, Dott. Francesco Terrusi), dichiarando inammissibile il ricorso, hanno censurato la condotta notificatoria del ricorrente, il quale non ha “specificato come sia stata in concreto eseguita la notificazione […] in ordine all’effettuazione ad un indirizzo non risultante dai predetti elenchi”.
A ben vedere, secondo la difesa del contribuente, tale principio “civilistico” meritava legittimo ingresso anche all’interno delle notifiche tributarie, poiché la casella PEC di destinazione di un atto (civile o tributario) è fondamentale al pari di quella del mittente, il quale è onerato da utilizzare un proprio indirizzo PEC presente nei pubblici registri, pena la nullità della stessa notifica[6].
La decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Perugia
Ritornando alla disamina della sentenza tributaria in commento, i giudici perugini hanno dunque accolto il ricorso del contribuente, accertando l’illegittimità del debito erariale imputato al cittadino, giacché la casella PEC, adoperata dall’Ente della Riscossione in sede di notifica delle cartelle esattoriali, è collegata ad “un soggetto che non si conosce, e cioè da un indirizzo PEC diverso da quello contenuto nei pubblici registri”.
In effetti, proseguono i giudici di prime cure, “l’art. 26, D.P.R. n. 602/1973, l’art. 16-ter del D.L. 179/2012, recita testualmente: ‘a decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti […] si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 4 e 16, comma 12, del presente decreto”, ovvero “IPA”, “Reginde”, “Inipec”.
Nel caso in esame, l’Ente della Riscossione non aveva utilizzato l’indirizzo ufficiale presente in IPA (Indice delle Pubbliche Amministrazioni), ossia protocollo@pec.agenziariscossione.gov.it, bensì notifica.acc.umbria@pec.agenziariscossione.gov.it.
In conclusione, dai documenti versati in atti dall’esattore è pertanto emerso il fatto storico inconfutabile che le cartelle di pagamento erano state trasmesse da un indirizzo PEC differente da quello contenuto nel pubblico registro (IPA) per la notifica dei provvedimenti esattivi di natura tributaria; tale scenario risultava in contrasto con la richiamata normativa, pertanto le contestate notifiche erano da ritenersi prive di effetti giuridici, di conseguenza gli atti impugnati erano da ritenersi nulli.
Più di recente, tale orientamento è stato confermato anche dalla Commissione Tributaria Provinciale di Roma con la sentenza n. 2799/2020, che si è espressa con i seguenti termini: “L’eccezione sollevata dalla ricorrente, contrariamente all’assunto dell’Ufficio è fondata perché, come risulta dalla copia della notifica prodotta dalla parte, essa notifica è stata spedita da un indirizzo Pec non riconducibile all’Agenzia delle Entrate Riscossione presente nell’elenco ufficiale “IPA” (Indice delle Pubbliche Amministrazioni”), ossia protocollo@pec.agenziariscossione.gov.it, bensì un irrituale ed ignoto indirizzo ((…)).
La notifica della cartella esattoriale è insanabilmente nulla (nella forma giuridica della nullità), in quanto l’Ente della Riscossione, in qualità di soggetto notificante, non aveva utilizzato la PEC attribuita all’Agenzia delle Entrate – Riscossione.
[1] A maggior chiarezza della sentenza in commento, è opportuno precisare che i richiamati atti impugnati dalla società contribuente (l’atto di pignoramento e l’atto di intervento, unitamente ai prodromici provvedimenti), si fondano sulla mancata ed invalida previa notificazione dei titoli esecutivi.
La Suprema Corte a Sezioni Unite, come noto, ha risolto la questione concernente il riparto di giurisdizione in merito all’opposizione agli atti esecutivi, ove questi abbiano ad oggetto l’irregolarità formale della notificazione del presupposto titolo esecutivo, pronunciando il seguente principio di diritto:” in materia di esecuzione forzata tributaria, sussiste la giurisdizione del giudice tributario nel caso di opposizione agli atti esecutivi riguardante l’atto di pignoramento, che si assume viziato per l’omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento (o degli atti presupposti dal pignoramento) , ove venga impugnata anche la prodromica cartella di pagamento per vizio di notifica” (Cass. SS. UU. n. 13913/17);
[2] In materia della conoscenza effettiva di un atto amministrativo “inoltrato” al contribuente, la sentenza n. 19704/15 della Corte di Cassazione, SS. UU. ha affermato il principio del cittadino ad esercitare il proprio diritto di accesso alla tutela giurisdizionale avverso tutti quegli atti che siano stati invalidamente ed irritualmente notificati, posta la natura recettizia degli atti amministrativi, essendo del tutto irrilevante l’eventuale istanza di rateazione presentata dal contribuente e/o successivo pagamento parziale del debito a ruolo, come da insegnamento giurisprudenziale di legittimità sul punto (Cass. n. 3347/17, Cass. n. 7820/17, Cass. n. 18/18);
[3] https://www.indicepa.gov.it/documentale/index.php;
[4] Nel caso giudiziario in commento, il contribuente constatava, alla luce della produzione documentale versata in atti da parte dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione, che quest’ultima (in sede di notifica via PEC delle citate cartelle esattoriali) aveva utilizzato l’indirizzo telematico notifica.acc.umbria@pec.agenziariscossione.gov.it (non presente nell’elenco ufficiale “IPA”); da tale circostanza di fatto, il ricorrente aveva eccepito il vizio di notifica delle cartelle esattoriali impugnate contestualmente agli atti del pignoramento;
[5] Peraltro, sulla questione affrontata dai giudici perugini, il ricorrente – all’interno delle memorie illustrative – segnalava la sentenza n. 401/19 pronunciata dalla C.T.P. di Taranto, a mezzo della quale i Giudici tarantini avevano affermato che: “[…] è doveroso segnalare che la Legge in tema di notifica a mezzo PEC, dispone:
[…] b) l’indirizzo PEC del mittente e del destinatario della notifica tramite PEC dovranno essere presenti nei pubblici elenchi, come richiesto dall’art. 16 ter cit. […]
E cioè: INDICE PA, REGINDE, INI PEC.
La verifica, effettuata direttamente da questa Commissione, dell’indirizzo PEC certificato della Soget evidenzia che […] ad esso sono assegnati i seguenti indirizzi di posta elettronica certificata:
– da REGINDE: cancellerie.sogetspa@pec.it
– da INI PEC: amministrazione.sogetspa@pec.it
– da INDICE IPA: direzione.sogetspa@pec.it
l suindicati indirizzi sono pertanto gli unici validi per la Soget per scopi notificatori con validità legale.
Dai documenti versati in atti si evince che la ingiunzione è stata inviata in semplice file.pdf e da indirizzo PEC (info@sogetspa.it) diverso da quelli contenuti negli anzidetti pubblici registi, il tutto in palese violazione della innanzi richiamata normativa; in conseguenza il procedimento di notifica è inesistente o irrimediabilmente nullo e con esso anche l’ingiunzione che si assume così notificata”;
[6] Su tale questione, il contribuente – all’interno dei propri atti difensivi – eccepiva che laddove il soggetto notificante adoperi un indirizzo PEC “ignoto”, la contestata attività di notifica debba essere qualificata – in primo luogo – come giuridicamente inesistente, dunque non sanabile con l’impugnazione “diretta” della cartella esattoriale; in realtà i giudici perugini hanno inserito l’invocato vizio nella categoria delle nullità. Tale considerazione impone al difensore del contribuente un’attenta scelta circa lo strumento processuale da coltivare per la tutela dei diritti dell’interessato. In effetti, sulla scorta dell’art. 156, comma 3, c.p.c., il quale prevede che “la nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”, laddove venga impugnata direttamente la cartella esattoriale, la cui notifica è caratterizzata dal vizio in oggetto, l’impugnazione del citato provvedimento neutralizzerà irrimediabilmente l’eccezione sollevata. Per tale ragione, è indubbiamente più valido attendere l’atto successivo (intimazione di pagamento, preventiva iscrizione ipotecaria, pignoramento, etc.), al fine di contestare la notifica PEC proveniente da un indirizzo diverso da quello inserito nei pubblici registri.
Leggi: CTP PERUGIA, SENTENZA N. 379-2019