Il passaggio dalla PEC alla REM: l’evoluzione nella comunicazione digitale

La Posta Elettronica Certificata (PEC) ha rappresentato una rivoluzione nella comunicazione digitale in Italia, offrendo un’alternativa sicura e legalmente riconosciuta alle tradizionali raccomandate cartacee. Tuttavia, l’evoluzione tecnologica e la necessità di uniformarsi agli standard europei hanno portato all’introduzione della Registered Electronic Mail (REM). Questo articolo esplora il percorso che ha portato dal sistema PEC alla nuova REM, evidenziando i cambiamenti, i benefici che questa transizione comporta e il ruolo fondamentale dell’AGID nell’adozione degli standard ETSI.

La PEC è stata introdotta in Italia con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 68 dell’11 febbraio 2005. Questo sistema ha permesso a cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni di inviare e ricevere comunicazioni con valore legale, garantendo sicurezza e tracciabilità. La PEC ha semplificato i processi burocratici, ridotto i costi di spedizione e migliorato l’efficienza delle comunicazioni ufficiali.

I limiti della PEC

Nonostante i numerosi vantaggi, la PEC presenta alcuni limiti:

  • compatibilità internazionale: la PEC è un sistema prevalentemente italiano, con limitata interoperabilità con altri sistemi di posta certificata utilizzati in Europa.
  • evoluzione normativa: la normativa europea ha introdotto nuovi standard per i servizi fiduciari elettronici, rendendo necessario un aggiornamento del sistema PEC per allinearsi a tali requisiti.

L’Evoluzione Normativa e il Regolamento eIDAS

Il Regolamento (UE) n. 910/2014 sull’identità digitale, noto come eIDAS (electronic IDentification Authentication and Signature), ha rappresentato un punto di svolta per l’interoperabilità dei servizi fiduciari elettronici in Europa. Questo regolamento ha stabilito un quadro normativo comune per l’identificazione elettronica e i servizi fiduciari, facilitando le transazioni digitali transfrontaliere.

L’eIDAS si propone di creare un mercato unico digitale europeo, dove i servizi elettronici siano riconosciuti e utilizzati in tutti gli Stati membri. Ciò include l’adozione di sistemi di posta elettronica certificata interoperabili, come la REM sviluppata al fine di superare i limiti della PEC, offrendo un sistema di comunicazione certificata interoperabile a livello europeo.

Principali Vantaggi della REM

  1. Interoperabilità europea: la REM consente la comunicazione certificata tra utenti di diversi paesi europei, garantendo la validità legale delle comunicazioni in tutti gli Stati membri. Questo è particolarmente vantaggioso per le aziende che operano a livello internazionale, facilitando gli scambi commerciali e le comunicazioni ufficiali.
  2. Identificazione del Titolare: la REM prevede un sistema di identificazione sicura del titolare dell’account e ciò aumenta il livello di fiducia e sicurezza nelle comunicazioni.
  3. Sicurezza avanzata: la REM adotta standard di sicurezza più elevati, conformi alle normative europee, offrendo maggiore protezione contro il rischio di frodi e manipolazioni. I messaggi inviati tramite REM sono criptati e firmati digitalmente, garantendo l’integrità e l’autenticità delle comunicazioni.
  4. Semplicità e accessibilità: la REM rende più semplice l’accesso ai servizi di posta certificata per cittadini e imprese europee, facilitando le interazioni transfrontaliere. Gli utenti possono inviare e ricevere comunicazioni certificate senza doversi preoccupare delle differenze normative tra i vari paesi.

Il Ruolo dell’AGID nell’adozione degli standard ETSI

L’Agenzia per l’Italia Digitale (AGID) ha svolto un ruolo cruciale nel coordinare l’adozione e l’implementazione della REM in Italia; AGID è responsabile di garantire che i servizi digitali pubblici e privati siano conformi agli standard europei, inclusi quelli definiti dall’European Telecommunications Standards Institute (ETSI), l’Istituto europeo per le norme di telecomunicazioni, organismo internazionale, indipendente e senza fini di lucro ufficialmente responsabile della definizione e dell’emissione di standard nel campo delle telecomunicazioni in Europa.

Gli Standard ETSI

Gli standard ETSI sono fondamentali per assicurare l’interoperabilità, la sicurezza e la qualità dei servizi di comunicazione elettronica in Europa. Per la REM, gli standard ETSI definiscono le specifiche tecniche e le best practices per la gestione e la sicurezza delle comunicazioni elettroniche certificate.

Criteri di Adozione degli Standard ETSI:

  1. Conformità normativa: assicurare che tutti i fornitori di servizi REM in Italia rispettino le normative europee e gli standard tecnici ETSI, garantendo così un livello uniforme di sicurezza e affidabilità.
  2. Interoperabilità: facilitare l’interoperabilità tra i diversi sistemi di posta certificata in Europa, permettendo alle comunicazioni di fluire senza problemi tra i vari paesi membri.
  3. Sicurezza e affidabilità: implementare misure avanzate di sicurezza per proteggere le comunicazioni elettroniche certificate da frodi e accessi non autorizzati.

Il Processo di transizione dalla PEC alla REM

La transizione dalla PEC alla REM ha richiesto un adattamento tecnologico e normativo; infatti, per adottare pienamente la REM, l’Italia ha dovuto aggiornare la propria legislazione per recepire il Regolamento eIDAS apportando modifiche al Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) e altre normative correlate. Un passo importante in questa direzione è stato il D.L. n. 135 del 14 dicembre 2018 (disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione) il quale, all’art. 8 comma 5 ha stabilito che:

“All’articolo 65 del decreto legislativo 13 dicembre 2017, n. 217, il comma 7 è sostituito dal seguente: «7. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentiti l’Agenzia per l’Italia digitale e il Garante per la protezione dei dati personali, sono adottate le misure necessarie a garantire la conformità dei servizi di posta elettronica certificata di cui agli articoli 29 e 48 del decreto legislativo del 7 marzo 2005, n. 82, al regolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014, in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno e che abroga la direttiva 1999/93/CE.”.

A far data dall’entrata in vigore del suindicato DPCM (ad oggi non emanato), l’articolo 48 del decreto legislativo n. 82 del 2005 sarà abrogato:

Art. 48

(Posta elettronica certificata)

  1. La trasmissione telematica di comunicazioni che necessitano di una ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna avviene mediante la posta elettronica certificata ai sensi del
  2. decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, o mediante altre soluzioni tecnologiche individuate con le Linee guida.
  3. La trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata ai sensi del comma 1, equivale, salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta.
  4. La data e l’ora di trasmissione e di ricezione di un documento informatico trasmesso ai sensi del comma 1 sono opponibili ai terzi se conformi alle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, ed alle relative regole tecniche, ovvero conformi alle Linee guida.

Sviluppo Tecnologico

I fornitori di servizi PEC hanno aggiornato le loro infrastrutture per supportare i nuovi standard REM, con l’adozione di nuove tecnologie di crittografia e autenticazione, nonché l’implementazione di sistemi interoperabili con quelli degli altri paesi europei.

Casi d’uso e benefici pratici della REM

Imprese internazionali

Le aziende che operano su scala internazionale possono trarre enormi benefici dalla REM. Ad esempio, un’azienda italiana che invia documenti legali o contratti a partner commerciali in altri paesi dell’UE può utilizzare la REM per garantire che tali comunicazioni siano riconosciute e valide in entrambi i paesi. Questo riduce i costi e i tempi associati alla gestione delle pratiche burocratiche internazionali.

Pubbliche Amministrazioni

Le pubbliche amministrazioni possono utilizzare la REM per migliorare l’efficienza e la sicurezza delle loro comunicazioni. Ad esempio, un ente pubblico italiano può inviare notifiche, avvisi o certificati a cittadini residenti in altri paesi dell’UE, assicurando che questi documenti siano legalmente validi e riconosciuti in tutta l’Unione Europea.

Cittadini

I cittadini possono beneficiare della REM per le loro comunicazioni ufficiali, come inviare richieste o ricevere risposte dalle amministrazioni pubbliche di altri paesi dell’UE. Ad esempio, uno studente italiano che studia in Francia può utilizzare la REM per inviare documenti ufficiali alla sua università italiana, garantendo che tali comunicazioni siano sicure e legalmente riconosciute.

Il passaggio dalla PEC alla REM rappresenta un significativo passo avanti nella digitalizzazione delle comunicazioni a valore legale in Italia; grazie alla REM, l’Italia potrà beneficiare di un sistema di posta certificata interoperabile a livello europeo, migliorando l’efficienza, la sicurezza e la semplicità delle comunicazioni digitali. È auspicabile che tale cambiamento non solo rafforzerà la fiducia nelle comunicazioni elettroniche, ma faciliterà anche l’integrazione del mercato unico digitale europeo, offrendo nuove opportunità per cittadini e imprese.

La REM, con la sua capacità di garantire la validità legale delle comunicazioni in tutta l’Unione Europea, rappresenta una svolta nella gestione delle comunicazioni digitali ufficiali e la sua adozione è un passo essenziale per l’Italia e per l’Europa nel loro complesso, verso un futuro più connesso e digitalmente avanzato.


Se la società è estinta è valido l’atto che viene notificato ai soci

La notifica può avvenire collettivamente e impersonalmente nell’ultimo domicilio dell’organizzazione o singolarmente a taluno di essi.

In tema di riscossione, l’atto impositivo intestato a società di persone o di capitali estinta è valido ed efficace, anche se notificato agli ex soci collettivamente ed impersonalmente nell’ultimo domicilio della società (analogamente a quanto previsto dall’art. 65, comma 4, del D.P.R. n. 600 del 1973 in caso di morte del debitore) o singolarmente a taluno di essi, non essendo necessaria l’emissione di specifici atti intestati e diretti ai medesimi, giacché l’estinzione determina un peculiare fenomeno, di tipo successorio, in virtù del quale i soci subentrano nelle medesime obbligazioni inadempiute della società, rispondendone illimitatamente o nei limiti di quanto riscosso in sede di liquidazione, a seconda che, “pendente societate”, fossero illimitatamente o limitatamente responsabili per i debiti sociali.

Così la Corte Suprema di Cassazione Civile, Sez. V sentenza n. 17404 del 24 giugno 2024 (udienza del 16 maggio 2024).


Atto consegnato al portiere dello stabile senza avviso al destinatario è affetto da nullità

La Corte Suprema di Cassazione chiarisce in quale ipotesi la consegna del plico al portiere dello stabile in cui risiede il destinatario debba considerarsi affetta da nullità.

L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti della società Delta s.r.l., esercente l’attività di gestione e acquisizione di alberghi, un avviso di accertamento, che la società impugnava.

La CTP respingeva il ricorso; la società impugnava la decisione di primo grado e la CTR di Firenze, accoglieva l’appello annullando l’atto di accertamento impugnato.

Avverso la sentenza di appello ricorre per Cassazione l’Agenzia delle Entrate.

La Corte Suprema di Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, con sentenza n. 16300 del 12 giugno 2024, osserva che:

  1. l’Avvocatura dello Stato si è avvalsa per la notifica del servizio postale ai sensi della legge 21/01/1994 n. 53: la notifica effettuata presso la sede della società non è andata a buon fine, risultando la società irreperibile al numero civico e non risultando il nominativo.
  2. la notifica è stata tentata a mezzo del servizio postale al domicilio eletto nel procedimento di appello presso lo studio del difensore, individuato in due diversi indirizzi; per entrambe le raccomandate le cartoline di ritorno risultano essere state sottoscritte dal portiere dello stabile ove si presume che l’avvocato Tizio, difensore della società nelle fasi di merito, avesse uno studio professionale e quindi il proprio domicilio.
  3. non risulta, tuttavia, che al detto difensore sia stato inviato rituale avviso dell’avvenuta consegna del ricorso o comunque del plico al portiere dello stabile, come previsto dall’art. 7, comma 3, della legge n. 890 del 20/11/1982, richiamata dalla legge n. 53 del 1994.
  4. è principio consolidato che nel caso di notificazione degli atti processuali a mezzo del servizio postale, ai sensi del comma 6 dell’art. 7 della legge n. 890 del 20/11/1982, introdotto dall’art. 36, comma 2 quater, del d.l. n. 248 del 31/12/2007, convertito in legge n. 31 del 28/02/2008 la notificazione è nulla se il piego viene consegnato al portiere dello stabile in assenza del destinatario e l’agente postale non ne dà notizia al destinatario stesso mediante lettera raccomandata.

Nel caso in esame – osserva La Corte Suprema di Cassazione – la difesa Erariale non ha chiesto di sanare la nullità del procedimento notificatorio e non risulta si sia attivata ai fini della ripresa dello stesso, dopo avere constatato la non ritualità della notificazione.


La notifica dell’avviso di accertamento interrompe la continuazione

La contestazione della violazione fissa il punto di arresto ai fini del beneficio, a prescindere dalla sua definitività e inoppugnabilità o dalla sua mancata impugnazione
In ambito tributario l’istituto della continuazione presuppone l’oggettivo perpetrarsi dell’illecito in periodi d’imposta diversi e mira ad evitare che la reiterazione porti ad una sanzione complessiva eccessivamente gravosa per il contribuente.
Il beneficio, tuttavia, si arresta in caso di cd. interruzione, che si realizza, ai sensi dell’art. 12, comma 6, del D.Lgs. n. 472/1997, per effetto della contestazione della violazione, senza che rilevi la sua definitività e inoppugnabilità o la sua mancata impugnazione.
Questo, in sintesi, il principio ribadito dalla V sezione della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 15799 del 6 giugno 2024.
Una società di persone si vedeva notificare plurimi avvisi di accertamento per reiterata, omessa dichiarazione del reddito prodotto con riferimento agli anni di imposta 2005-2010. Con correlati atti impositivi veniva accertato il reddito di partecipazione imputabile ai soci.
I molteplici atti venivano impugnati separatamente.
Riuniti i ricorsi, la CTP di Trieste li accoglieva, ridimensionando in parte la pretesa fiscale; applicava inoltre l’istituto del cumulo giuridico all’insieme degli atti accertativi, al fine di quantificare le sanzioni.
L’Erario proponeva appello che veniva però rigettato.
L’Agenzia delle Entrate ricorreva per cassazione, contestando l’applicazione del cumulo giuridico al complesso delle violazioni contestate, posto che si era verificato un evento interruttivo (la notifica degli atti impositivi relativi all’anno 2005) tale da escluderne l’operatività.
Per la Corte Suprema di Cassazione il ricorso è fondato.
La Corte Suprema di Cassazione ricorda che in tema di sanzioni tributarie l’istituto della continuazione presuppone l’oggettivo perpetrarsi dell’illecito in periodi d’imposta diversi e mira ad evitare che la sua reiterazione comporti una sanzione complessiva eccessivamente onerosa per il contribuente.
Il beneficio, ricorda la Corte, si arresta però in caso di cd. interruzione, che si realizza, ai sensi dell’art. 12, comma 6, del D.Lgs. n. 472/1997, per effetto della contestazione della violazione, senza che rilevi la sua definitività e inoppugnabilità o la sua mancata impugnazione.
Ciò che si pone a monte dell’atto, se della stessa indole, deve quindi essere unito ai fini della determinazione della sanzione, mentre ciò che è a valle resta escluso dal cumulo giuridico, salvo riconoscersi un’autonoma e rinnovata applicazione dell’istituto in caso di plurime violazioni anche da questo lato (Cass. n. 16017/2021).
Nel caso di specie la CTR aveva ritenuto applicabile la continuazione anche riguardo alla contestazione di violazione della stessa indole nei confronti dell’ente e dei due soci per tutte le annualità dal 2005 al 2010. Ciò, malgrado la sanzione irrogata per l’anno 2005 dovesse cumularsi con quelle per gli anni successivi fino al 2008, ma non anche a quelle del 2009 e del 2010, rispetto alle quali si era verificato l’evento interruttivo rappresentato dalla notifica degli atti impositivi inerenti all’annualità 2005.
Per tali motivi il ricorso dell’Erario è stato accolto e la sentenza cassata con rinvio.


Non è nulla la notifica per assenza di valida sottoscrizione

Non è nullo, per assenza di valida sottoscrizione, l’avviso di accertamento nativo digitale ma notificato in versione cartacea, firmato digitalmente dal funzionario incaricato e dichiarato conforme all’originale informatico. La notifica, inoltre, può correttamente avvenire sia con Pec, sia a mezzo del servizio postale. A fornire questi principi è la Corte Suprema di Cassazione con la sentenza 16846/2024.

Un contribuente lamentava la nullità dell’avviso di accertamento per assenza di valida sottoscrizione. Rilevava che l’atto cartaceo notificato era una copia della versione digitale ed era stato notificato non via Pec ma attraverso il servizio postale.

Sia i giudici di primo grado, sia quelli di appello ritenevano l’atto nullo per difetto di sottoscrizione, anche perché era stato notificato, con firma digitale, a mezzo del servizio postale anziché tramite pec.

Per la Ctr, in particolare, solo la combinazione della sottoscrizione con firma digitale con l’invio a mezzo pec avrebbe consentito al contribuente un immediato controllo dell’autenticità del provvedimento notificato, oltre che l’accesso a tutte le informazioni ed atti correlati.

Nel ricorso per Cassazione, l’Agenzia lamentava, tra i vari motivi, che l’atto era stato sottoscritto digitalmente dal direttore dell’Ufficio con attestazione di conformità all’originale informatico resa dal funzionario in calce al provvedimento ed era corretta la notifica per il tramite del servizio postale.

La Corte Suprema di Cassazione ha accolto il ricorso. Innanzitutto, i giudici hanno confermato che il divieto di sottoscrizione digitale, vigente per un certo periodo, rispetto agli atti relativi all’esercizio delle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale non poteva estendersi agli atti impositivi. Questi, infatti, non rientrano nell’ambito del controllo.

Inoltre, le copie analogiche di documento informatico, anche sottoscritto con firma elettronica, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte, a condizione che la loro conformità all’originale sia attestata da un pubblico ufficiale autorizzato. Circostanza che nel caso era incontestata.

Infine, non sussiste alcun necessario collegamento tra documento informatico e notifica a mezzo Pec: nulla impedisce che una copia analogica di un documento informatico conforme all’originale venga notificata secondo le regole ordinarie a mezzo posta.

Nella vicenda, peraltro. l’atto era comunque giunto al destinatario che, infatti, l’aveva tempestivamente impugnato, trovando così applicazione anche il principio secondo cui, ove l’atto, malgrado l’irritualità della notifica, sia venuto a conoscenza del destinatario, la nullità non può essere dichiarata per il raggiungimento dello scopo.


Il portalettere non ha l’obbligo di identificare il soggetto che riceve l’atto

Nel caso di notifica a mezzo del servizio postale, il portalettere non ha l’obbligo di procedere alla identificazione del soggetto al quale consegna l’atto. Egli ha soltanto l’obbligo di attestare che, nel luogo e nella data indicati nell’avviso di ricevimento, in sua presenza un soggetto qualificatosi destinatario dell’atto ha apposto una firma.

Così si è espressa la Corte Suprema di Cassazione con la sentenza n. 14279/2024.

Un contribuente proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale avverso una cartella di pagamento che le era stata notificata dall’agente della riscossione sulla scorta di un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva accertato nei suoi confronti un reddito da plusvalenze di natura finanziaria non dichiarato ed un reddito superiore rispetto a quello dichiarato.

L’avviso di accertamento era stato notificato a mezzo del servizio postale. Il contribuente disconosceva la firma apposta sul relativo avviso di ricevimento.

La Commissione Tributaria Provinciale dava torto al contribuente rigettando il ricorso e condannandolo al pagamento delle spese processuali.

Di diverso avviso la Commissione Tributaria Regionale adita dal contribuente la quale , dopo aver disposto una consulenza tecnica d’ufficio, accoglieva l’appello da quest’ultimo promosso ed annullava la cartella di pagamento impugnata e compensava le spese del doppio grado di giudizio.

Pertanto, l’Agenzia delle Entrate investiva della questione la Corte Suprema di Cassazione deducendo l’erroneità della decisione dei giudici tributari di secondo grado evidenziando che:

  • la consulenza tecnica d’ufficio disposta in grado di appello, al fine di accertare l’apocrifia della sottoscrizione da parte del contribuente dell’avviso di ricevimento relativo all’atto di accertamento presupposto della cartella impugnata, era sostanzialmente superflua, tenuto conto che, ai fini della validità della notificazione non è sufficiente il semplice disconoscimento della firma, non avendo il contribuente contestato le altre risultanze della relata di notifica. Pertanto, la notifica si doveva considerare perfezionata nel momento in cui l’atto era entrato nella sfera di conoscibilità del destinatario;
  • spettava al contribuente fornire la prova che la sottoscrizione dell’avviso di ricevimento era avvenuta da parte di un soggetto non titolato, a lui del tutto estraneo e con conseguente impossibilità di avere conoscenza dell’atto;

Inoltre, deduceva che:

  1. ai fini del perfezionamento della notifica, l’agente postale non ha il compito di procedere all’identificazione del consegnatario dell’atto, e quindi all’accertamento della veridicità della dichiarazione che il consegnatario dell’atto gli rilasci (dichiarazione di essere, per l’appunto, il destinatario dell’atto). Pertanto, una volta che l’agente postale abbia raccolto la dichiarazione, seguita poi dalla firma della ricevuta, e così consegnato l’atto nelle mani di colui che ha assunto di essere il destinatario dello stesso, la sequenza notificatoria è da considerarsi legittima;
  2. l’avviso di ricevimento fa fede fino a querela di falso della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha redatto;
  3. il ricorrente in primo grado aveva richiesto la querela di falso per accertare la falsità della sottoscrizione dell’avviso di ricevimento in questione, e che tale querela era stata dichiarata inammissibile con sentenza del Tribunale. Di conseguenza, la Commissione Tributaria Regionale non avrebbe potuto ammettere in grado di appello un nuovo esperimento istruttorio (la C.T.U. in caso di istanza di verificazione) in presenza dell’unico incombente richiesto in primo grado, e cioè la querela di falso.

I motivi del ricorso promosso dall’Agenzia delle Entrate sono stati ritenuti fondati dalla Corte Suprema di Cassazione la quale, nel decidere nel merito, ha rigettato il ricorso originariamente proposto dal contribuente avverso la cartella di pagamento, osservando che:

  • nel caso di notifica a mezzo del servizio postale, “ove l’atto sia consegnato all’indirizzo del destinatario a persona che abbia sottoscritto l’avviso di ricevimento, con grafia illeggibile, nello spazio relativo alla firma del destinatario o di persona delegata, e non risulti che il piego sia stato consegnato dall’agente postale a persona diversa dal destinatario tra quelle indicate dal comma 3 dell’art. 7 della legge n. 890 del 1982, la consegna deve ritenersi validamente effettuata a mani proprie del destinatario, fino a querela di falso, essendo irrilevante la circostanza che nell’avviso non sia stata sbarrata la relativa casella e non sia altrimenti indicata la qualità del consegnatario, non essendo integrata alcuna delle ipotesi di nullità di cui all’art. 160 cod. proc. civ.” (Cass., sez. U., 27 aprile 2010, n. 9962; v. anche Cass. 30 marzo 2016, n. 6126);
  • gli avvisi di ricevimento si palesano suscettibili di provare, fino a querela di falso, la consegna degli atti ove ricorrano le seguenti condizioni: i) gli atti risultino consegnati all’indirizzo del destinatario; ii) la persona indicata come consegnataria dell’atto abbia apposto la propria firma (ancorché illeggibile) nello spazio dell’avviso di ricevimento relativo alla firma del destinatario o di persona delegata;
  • al fine di considerare validamente eseguita e perfezionata la notifica, la sequenza notificatoria che assume rilevanza, è unicamente quella prevista dai commi 1 e 2 dell’art. 7, della legge n. 890/1982. Pertanto, una volta che l’agente abbia raccolto la dichiarazione, seguita poi dalla firma della ricevuta, e così consegnato l’atto nelle mani di colui che ha assunto di essere il destinatario dello stesso, la sequenza notificatoria è legittima, rispondendo al modello legale, e dunque l’atto è da intendersi notificato al destinatario;

Nel caso di specie, ha concluso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di contestare le risultanze dell’avviso di ricevimento, sarebbe dovuta intervenire una pronuncia di falsità a seguito di querela di falso, querela che è stata dichiarata inammissibile dal Tribunale la cui decisione è passata in giudicato per non essere stata impugnata dal contribuente che aveva interesse a fare accertare la falsità del predetto avviso di ricevimento con conseguente perfezionamento del procedimento notificatorio.


E’ valido l’atto notificato al vecchio indirizzo prima dei 60 giorni dal trasferimento

Quando un contribuente trasferisce la propria residenza anagrafica da un Comune ad un altro, ai fini delle imposte sui redditi, la variazione ha effetto dal 60° giorno successivo a quello in cui si è verificata.

Di conseguenza, deve ritenersi valida la notifica di un avviso di accertamento al precedente domicilio, effettuato prima del decorso dei 60 giorni dal trasferimento, perché avvenuta nel termine di inopponibilità all’erario del mutamento del domicilio fiscale.

Il termine indicato dalla norma vale a consentire all’Amministrazione finanziaria di beneficiare, incondizionatamente, di un perimetro temporale adeguato ai fini dell’effettuazione della notifica di un atto al vecchio indirizzo del soggetto che ne è destinatario e che pure ha comunicato all’anagrafe di essersi trasferito.

Questo il principio espresso dalla Corte Suprema di Cassazione con la sentenza n. 14435/2024.

Nella controversia in commento la CTP ha accolto il ricorso presentato da un contribuente avverso una cartella di pagamento emessa per effetto della revoca dell’agevolazione “prima casa”, in quanto gli avvisi di accertamento presupposti erano stati notificati oltre il termine di 30 giorni dalla variazione del domicilio fiscale al precedente indirizzo del contribuente, essendo applicabile l’articolo 60, comma 3, del DPR n. 600 del 1973 che dispone che le:

  • “variazioni e le modificazioni dell’indirizzo hanno effetto, ai fini delle notificazioni, dal trentesimo giorno successivo a quello dell’avvenuta variazione anagrafica.”

La CTR ha confermato la sentenza di prime cure respingendo l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, che aveva sostenuto la validità della notifica dell’atto prodromico effettuata al precedente domicilio fiscale, essendo opponibile all’Ufficio la variazione dell’indirizzo anagrafico e del domicilio fiscale solamente decorso il termine di 60 giorni di cui l’art. 58 del DPR n. 600/1973 che, al comma 5, che prevede che:

  • “Le cause di variazione del domicilio fiscale hanno effetto dal sessantesimo giorno successivo a quello in cui si sono verificate.”

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione contro la decisione di secondo grado lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 58 e 60 del DPR n. 600/1973, in quanto, al caso di specie, deve trovare applicazione il citato articolo 58, secondo cui le variazioni del domicilio fiscale hanno effetto dal 60° giorno successivo a quello in cui si sono verificate, e non l’articolo 60 dello stesso DPR, richiamato dal giudice di appello nel testo ratione temporis vigente, che si applica alle variazioni di indirizzo nello stesso Comune le quali non implicano alcuna variazione del domicilio fiscale.

La Corte Suprema di Cassazione, nel ritenere fondata la tesi dell’Amministrazione finanziaria, ha ricordato che la notifica degli avvisi di accertamento deve essere eseguita, ai sensi del DPR n. 600/1973, art. 60, comma 1, lett. c), nel Comune del domicilio fiscale del contribuente.

Quando si ha variazione del domicilio fiscale?

Nel caso di persona fisica, il domicilio fiscale coincide con il luogo della sua residenza anagrafica.

Entrando nel merito della questione, l’art. 58, ultimo comma, del DPR n. 600/1973, prevede che:

  • “le cause di variazione del domicilio fiscale hanno effetto dal sessantesimo giorno successivo a quello in cui si sono verificate.”

Si ha variazione del domicilio fiscale, ai sensi del comma 2 del suddetto art. 58, quando il contribuente trasferisce la propria residenza anagrafica in un altro Comune. Nel caso di specie, il contribuente ha mutato la propria residenza anagrafica il 2 gennaio 2013, mentre l’avviso di accertamento gli è stato notificato il 6 febbraio 2013.

La notifica, dunque, è valida perché avvenuta nel termine di inopponibilità all’erario del mutamento del domicilio fiscale, in quanto i 60 giorni indicati dalla norma valgono a consentire all’Amministrazione di beneficiare, incondizionatamente, di un perimetro temporale adeguato ai fini dell’effettuazione della notifica di un atto al vecchio indirizzo del soggetto che ne è destinatario e che pure ha comunicato all’anagrafe di essersi trasferito.

Non appare pertinente il richiamo all’art. 60, comma 3, del DPR n. 600/1973 (nel testo applicabile ratione temporis) in quanto tale norma, come noto, prevede che “le variazioni e le modificazioni dell’indirizzo non risultanti dalla dichiarazione annuale hanno effetto, ai fini delle notificazioni, dal trentesimo giorno successivo a quello dell’avvenuta variazione anagrafica” e la norma non può essere invocata per sostenere che l’inefficacia della notifica dell’avviso di accertamento.

L’art. 60, comma 3, del DPR 600 del 1973 disciplina le variazioni dell’“indirizzo”, non quelle del “domicilio fiscale”.

La Corte Suprema di Cassazione ha ribadito a riguardo che i due concetti non coincidono: il domicilio fiscale è un luogo predeterminato dalla legge secondo criteri obiettivi (art. 58 DPR n. 600/1973).

L’“indirizzo”, invece, è il luogo fisico presso il quale il contribuente può essere reperito, ma sempre nell’ambito del domicilio fiscale stabilito dalla legge (art. 60 DPR n. 600/1973).

Sulla base di tali argomentazioni la Corte Suprema di Cassazione ha accolto il ricorso, cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ha rigettato l’originario ricorso del contribuente, con condanna al pagamento delle spese di giudizio.


Tributi locali: il dies a quo si conteggia l’anno di omissione del tributo

Nel caso in cui il contribuente presenti la dichiarazione IMU e non versi l’imposta dovuta, la Corte Suprema di Cassazione chiarisce che è l’anno successivo a quello oggetto di accertamento il primo dei cinque anni previsti per la notifica.

In tema di IMU, nel caso in cui il contribuente presenti la dichiarazione e ometta il versamento dell’imposta, il primo dei cinque anni previsti per la notifica dell’avviso di accertamento è quello successivo a quello oggetto di accertamento e nel corso del quale il maggior tributo avrebbe dovuto essere pagato.

Questo il principio contenuto nella Sentenza n. 14519 del 2024 emessa dalla Corte Suprema di Cassazione.

L’impugnazione davanti ai giudici di legittimità è conseguente al ricorso proposto da una società avverso la sentenza della CTR, di rigetto del ricorso proposto avverso un avviso di accertamento IMU emesso dal Comune.

In particolare la CTR ha respinto l’appello del contribuente ritenendo tempestivamente emesso e notificato l’avviso di accertamento impugnato, ai sensi dell’art. 1, comma 161, della L. 296/2006 che fissa il termine nel quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione (o il versamento) sono stati o avrebbero dovuti essere effettuati, evidenziando che, nel caso di specie, il termine quinquennale risultava rispettato avendo il Comune spedito l’atto in contestazione prima del termine ultimo di decadenza.

La società ha lamentato violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della L. 296/2006 e dell’art. 60 comma 6 D.P.R. 600/1973 per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente rigettato l’eccezione di prescrizione sollevata dalla Società ricorrente sulla base di norme giuridiche e principi interpretativi relativi all’istituto della decadenza, in violazione delle disposizioni sulla prescrizione e di quelle relative all’imposta in contestazione.

La Corte Suprema di Cassazione ha ritenuto fondato il motivo di ricorso proposto dalla società e ha cassato la sentenza impugnata. Decidendo nel merito hanno accolto il ricorso introduttivo della contribuente, compensando tra le parti le spese processuali dei gradi di merito.

La fonte normativa di riferimento è l’art. 1, comma 161, della Legge 27 dicembre 2006 n. 296 che prevede: “gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonché all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati”.

La citata norma fissa la regola comune per cui tutti gli avvisi di accertamento devono essere notificati al contribuente in un unico termine, previsto a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati. Per delimitare dal punto di vista temporale l’esercizio del potere impositivo è necessario distinguere due diversi dies a quo dai quali iniziare il computo del termine di decadenza previsto per i tributi locali.

Nel caso in cui il contribuente presenti una dichiarazione ed ometta il versamento, per individuare il dies a quo deve farsi riferimento al termine entro il quale il tributo avrebbe dovuto essere pagato, ed a tal proposito, per quanto riguarda l’IMU, si rileva che il tributo doveva essere versato per l’annualità oggetto di controllo (2013) in due rate, la prima entro il 17 giugno e la seconda entro il 16 dicembre.

Nel caso in cui il contribuente abbia invece omesso la presentazione della dichiarazione, per individuare il dies a quo deve, invece, farsi riferimento al termine entro il quale egli avrebbe dovuto presentarla.

Pertanto, nel caso di dichiarazione presentata ed omesso versamento, il primo dei cinque anni previsti dall’art. 1, comma 161, della Legge 27 dicembre 2006 n. 296, è quello successivo a quello oggetto di accertamento e nel corso del quale il maggior tributo avrebbe dovuto essere pagato; nel secondo caso, in cui la dichiarazione non è stata presentata, il Comune ha un termine più ampio per effettuare l’accertamento del tributo.

Nel caso in esame, nel quale la dichiarazione era stata presentata, il primo dei cinque anni previsti dalla norma era, come si è detto, quello successivo all’anno oggetto di accertamento e nel corso del quale il maggior tributo avrebbe dovuto essere pagato, e dunque per l’anno 2013, il primo anno dei cinque previsti per la decadenza dal potere impositivo è il 2014, con la conseguenza che il termine per la notifica dell’avviso di accertamento da parte dell’Ente impositore scadeva il 31 dicembre 2018.

Essendo stata effettuata la notifica in data 10 gennaio 2019 risulta violato il termine decadenziale previsto dalla norma con conseguente accoglimento del ricorso originariamente proposto dalla società.


Notificazione di un atto a mezzo posta certificata

L’obbligo di utilizzo di un indirizzo presente nei pubblici registri può essere riferito solo al destinatario della notifica e non al notificante, in relazione al quale è previsto unicamente l’utilizzo di un indirizzo di pec risultante da pubblici elenchi. Pertanto, la norma speciale prevista per le notifiche in ambito tributario degli atti dell’agente della riscossione differisce dalla previsione generale di cui all’art. 3-bis L. 53/1994 solo con riferimento al soggetto che riceve notificazione (Cass. n. 18684/2023). La Corte Suprema di Cassazione ha recentemente affermato che laddove l’agente della riscossione abbia effettuato la notifica per mezzo di un indirizzo pec non risultante nei pubblici registri (RegInde, Ini-Pec e Ipa) non si verifica alcuna nullità della notifica. Si tiene conto del rispetto dei canoni di leale collaborazione e buona fede che informano il rapporto fra amministrazione contribuente, di conseguenza, poiché l’estraneità dell’indirizzo del mittente dal pubblico registro non inficia ex se la presunzione di riferibilità della notifica al soggetto da cui essa risulta provenire, testualmente ricavabile dall’indirizzo del mittente, occorre che la parte contribuente evidenzi i pregiudizi sostanziali al diritto di difesa dipesi dalla ricezione della notifica della cartella di pagamento da un indirizzo diverso da quello presente in pubblico registro, nel quale però, è evidente Ictu oculi la provenienza (Cass. n. 982/2023; Cass. n. 18867/2023; Cass. n. 15979/2022).

Sentenza del 27/03/2024 n. 203 – Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo Sezione/Collegio 2

  1. L’Agenzia delle entrate-Riscossione notificava a D. T. 2 cartelle di pagamento, la n. xxx e la n. xxx, oltre all’intimazione di pagamento n. xxx ed all’atto di pignoramento dei crediti verso terzi n. xxx/2019, del 13 gennaio 2020. Il contribuente in data 1° aprile 2021 chiedeva all’Agenzia delle entrate Riscossione l’eventuale pendenza di iscrizioni e suoi confronti e gli venivano comunicati l’estratto di ruolo n. xxx del 26 agosto 2015 e l’estratto di ruolo n. xxx del 14 settembre 2016, portati dalle 2 cartelle sopra menzionate.
  2. Il contribuente presentava ricorso dinanzi alla Corte di giustizia tributaria di primo grado dell’Aquila deducendo che in data 8 aprile 2021, a seguito di formale istanza di accesso agli atti, aveva ricevuto la documentazione di cui all’oggetto del ricorso e che la documentazione ottenuta era riconducibile a 2 cartelle: n. xxx di euro 37.338,38, apparentemente notificata il 12 dicembre 2018 e la n. xxx per euro 31.079,79, apparentemente notificata il 12 dicembre 2018, oltre alla intimazione di pagamento n. xxx per euro 360,86 apparentemente notificata il 24 gennaio 2018. Il T. deduceva di non avere mai ricevuto la notifica di alcuna delle originarie cartelle di pagamento sopra menzionate e chiedeva esplicitamente il disconoscimento sia dell’esatto contenuto che delle pretese esposte, chiedendo esplicitamente l’esibizione degli esemplari in originale cartaceo. In realtà, l’ufficio aveva precisato che la cartella di pagamento xxx era stata notificata il 12 febbraio 2018 tramite PEC dal all’indirizzo noreply.abruzzo.ipol@agenziariscossione, la n. xxx era stata notificata il 12 febbraio 2018 tramite PEC dal indirizzo noreply.abruzzo.ipol@pec.agenziariscossione.gav.it , e intimazione di pagamento n. xxx era stata notificata in data 9 luglio 2019 da un diverso indirizzo cioè notifica.acc.abruzzo@prc.agenziariscossione , mentre l’atto di pignoramento dei crediti verso terzi n. xxx/2019 era stato notificato il 18 dicembre 2019 dato indirizzo abr.area.territoriale.pe.ch@pec.agnziariscossione.gov.it. Tali notifiche erano, dunque, avvenute con l’utilizzo di un indirizzo pec diverso da quello contenuto nei pubblici registri, sicché ciò rendeva inesistente e priva di ogni effetto giuridico la notifica. Erano stati utilizzati, infatti, ben 3 indirizzi di posta elettronica certificata “inspiegabilmente l’uno diverso dall’altro”. L’unico indirizzo di posta elettronica certificata dall’Agenzia delle entrate-riscossioni, ufficiale e istituzionale, era quello registrato in IPA, cioè protocollo@pec.agenziariscossione.gov.it. Pertanto, il contribuente disconosceva espressamente tutta la documentazione che non sarebbe stata mai ricevuta dallo stesso. Chiedeva che fosse messa a disposizione la copia integrale originale o quella sostitutiva.
  3. La Corte di giustizia tributaria di primo grado dell’Aquila rigettava il ricorso evidenziando che, in realtà, le notificazioni a mezzo pec erano state effettuate da indirizzi diversi, ma tutti riconducibili all’Agenzia delle entrate-Riscossione, tanto che gli indirizzi di posta elettronica utilizzabili recavano tutti l’intestazione “agenziariscossione” consentendo dunque la riconducibilità al mittente ed al destinatario, nonché l’identificazione del documento trasmesso. Le copie degli attestati di consegna alla casella di posta elettronica del destinatario, depositata in atti, provavano la regolare notifica avvenuta a mezzo pec. Non vi era alcuna inesistenza o nullità della notifica, in quanto la normativa ammetteva la possibilità di avere più indirizzi di posta elettronica. Il contribuente, poi, aveva dichiarato di disconoscere le cartelle, perché in mancanza degli originali vi era incertezza nel contenuto, tuttavia, le cartelle erano state tutte regolarmente notificate via pec, per cui il disconoscimento poteva essere ammesso solo in caso di espressa dichiarazione ed evidenziando le differenze riscontrate tra le copie e gli atti decapitati. Quanto alle imposte, il contribuente si era reso cessionario del ramo d’azienda, sicché era solitamente responsabile per le imposte relativi alle annualità 2012 e 2013, in quanto la cessione era avvenuta nel 2014. Vi era stata anche l’escussione, tramite procedura esecutiva, del cedente, senza trovare piena soddisfazione.
  4. Avverso tale sentenza il contribuente proponeva appello.
  5. Resisteva con controdeduzioni l’Agenzia delle entrate-Riscossione.
  6. La Corte di giustizia tributaria di 2º grado dell’Aquila tratteneva la causa in decisione all’udienza del 20 marzo 2024, provvedendo successivamente al deposito della motivazione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Anzitutto, va rigettata l’eccezione di nullità della procura (reputata generale e non speciale) dell’Agenzia delle entrate-Riscossione sollevata dalla difesa del T. Infatti, trattasi di procura speciale rilasciata dal Presidente dell’Agenzia delle entrate, dott. A. M., in favore dei dirigenti e dei quadri direttivi dipendenti dell’Agenzia, con allegata la dichiarazione del Direttore responsabile delle risorse umane in data 27 dicembre 2018, per cui «il Signor D. Z. E. […] è attualmente dipendente dell’Agenzia delle entrate-Riscossione con inquadramento nella categoria dei Quadri Direttivi». Tale procura speciale è stata inserita nella “busta telematica” del fascicolo telematico, sicché viene a fare “corpo” con l’atto di costituzione dell’Agenzia delle entrate-Riscossione, pure depositato nella “busta” telematica, che si riferisce proprio alla controversia con D. T. Del resto, anche dal dato topografico, emerge che nella comparsa di costituzione dell’Agenzia delle entrate-Riscossione, la procura speciale è richiamata proprio con riferimento alla controversia con D. T., con l’espressa indicazione del numero di Registro generale (RG), ossia 383/2023. Insomma, vi è la piena riferibilità della procura speciale alla causa in oggetto.

  1. Con un unico complesso motivo proponeva appello il contribuente, contestando singoli stralci della decisione del giudice di prime cure. In particolare, si soffermava sulla circostanza, affermata in sentenza, che il ricorrente non aveva specificato “il perché e il per come ha fatto richiesta di accesso agli atti e senza specificare a quali atti” (pagina 4).
  2. Contestava, poi, la parte della decisione in cui il tribunale aveva affermato che la notifica era stata effettuata tramite indirizzi di posta elettronica certificata diversi da quello ufficiale, ciò non comportava l’inesistenza o nullità della notifica dato che la normativa ammetteva la possibilità di avere più indirizzi di posta elettronica. Per l’appellante non si comprendeva come il primo giudice si fosse convinto della originalità e dell’autenticità dell’indirizzo di posta elettronica riconducibile all’Agenzia delle entrate riscossione sulla base di poche ed ininfluenti caratteristiche evidenziate motivazione (pagina 7 e 8 dell’atto d’appello)
  3. In altra parte del gravame l’appellante afferma che la Corte di giustizia avrebbe erroneamente affermato che “non sono state effettuate le consultazione di verifica”. Al contrario, il contribuente aveva verificato che gli indirizzi utilizzati dall’Agenzia delle entrate-Riscossione non erano ricompresi tra quelli inseriti nei pubblici registri INIPEC-IPA.
  4. Ancora, a pagina 11 dell’appello, evidenzia che erroneamente la Corte di giustizia di primo grado avrebbe affermato che “l’irritualità della notificazione di un atto a mezzo posta elettronica certificata non comporta la nullità se la consegna telematica […] ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale “. In realtà, nella specie, la consegna telematica non aveva in alcun modo prodotto il risultato della conoscenza dell’atto.
  5. A pagina 13 dell’appello si contesta anche l’affermazione della Corte di giustizia di primo grado, la quale aveva ritenuto che “il ricorrente dichiara di disconoscere le cartelle, perché in mancanza degli originali vi è incertezza nel contenuto. Anche questa eccezione deve ritenersi infondata, in quanto le cartelle, come abbiamo visto sono state regolarmente notificate, per cui il disconoscimento può essere ammesso solo in caso di espressa dichiarazione, ed evidenziando le differenze riscontrate tra le copie degli atti decapitati”. In realtà il contribuente aveva ripetutamente lamentato di non aver ricevuto né tempestivamente né ritualmente documentazione.
  6. L’appellante si spinge poi ad esplicitare un “prima riflessione” ed una “2ª riflessione”, evidenziando che il concessionario, ai sensi dell’art. 26, comma 5, del d.p.r. n. 602 del 1973, ha l’obbligo di conservare la copia della cartella di pagamento. Inoltre, anche se l’Agenzia delle entrate-Riscossione ha ritenuto che non fosse più possibile consegnare materialmente gli originali delle cartelle di pagamento in quanto erano stati utilizzati per le notifiche, si tratterebbe di una affermazione erronea in quanto occorre verificare le caratteristiche tecniche.
  7. Quanto al merito, gli importi non erano dovuti, in quanto il ruolo originario era riconducibile al nominativo di altro soggetto. Tra l’altro l’Agenzia delle entrate Riscossione non aveva inteso effettuare la chiamata in causa della Agenzia delle entrate. I debiti non in arrivano al ramo di azienda ceduto.
  8. Il motivo, complessivamente articolato, deve essere rigettato.

8.1. Infatti, è pacifico che l’Agenzia delle entrate-Riscossione ha notificato ritualmente a D. T. le due cartelle di pagamento, la n. xxx e la n. xxx, oltre all’intimazione di pagamento n. xxx ed all’atto di pignoramento dei crediti verso terzi n. xxx del 2019, del 13 gennaio 2020. Sono stati prodotti in atti tutti i documenti attestanti l’avvenuta notifica. L’ufficio ha precisato che la cartella di pagamento xxx era stata notificata il 12 febbraio 2018 tramite PEC dal all’indirizzo, la n. xxx era stata notificata il 12 febbraio 2018 tramite PEC dall’indirizzo noreply.abruzzo.ipol@pec.agenziariscossione.gav.it, e l’intimazione di pagamento n. xxx era stata notificata in data 9 luglio 2019 da un diverso indirizzo cioè notifica.acc.abruzzo@prc.agenziariscossione, mentre l’atto di pignoramento dei crediti verso terzi n. xxx/2019 era stato notificato il 18 dicembre 2019 dato indirizzo abr.area.territoriale.pe.ch@pec.agnziariscossione.gov.it

  1. Per la Corte Suprema di Cassazione l’obbligo di utilizzo di un indirizzo presente nel registro INI-PEC appare testualmente riferito solo al destinatario della notifica e non al notificante, in relazione al quale previsto unicamente l’utilizzo “di un indirizzo di posta elettronica certificata […] risultante da pubblici elenchi”. Pertanto, la norma speciale prevista per le notifiche in ambito tributario degli atti dell’agente della riscossione differisce dalla previsione generale di cui al citato art. 3-bis della legge n. 53 del 1994 solo con riferimento al soggetto che riceve notificazione (Cass., sez. 5, 3 luglio 2023, n. 18684). Le prescrizioni che ineriscono all’indirizzo del mittente non vanno, infatti, assoggettate alle stesse regole previste per il destinatario dell’atto, con riguardo al quale va fatta applicazione della disciplina propria delle elezioni domicilio, cui deve essere equiparato l’indirizzo di PEC inserito, diversamente da quanto accade per il mittente. Del resto, la Corte Suprema di Cassazione ha recentemente affermato che laddove l’agente della riscossione abbia effettuato la notifica per mezzo di un indirizzo pec non risultante nei pubblici registri (RegInde, Ini-Pec e Ipa) non si verifica alcuna nullità della notifica. Viene infatti rilievo, in questo caso, il rispetto dei canoni di leale collaborazione e buona fede che informano il rapporto fra amministrazione contribuente; di conseguenza, poiché l’estraneità dell’indirizzo del mittente dal registro Ini-Pec non inficia ex se la presunzione di riferibilità della notifica al soggetto da cui essa risulta provenire, testualmente ricavabile dall’indirizzo del mittente, occorre che la parte contribuente evidenzia i quali pregiudizi sostanziali al diritto di difesa sono dipesi dalla ricezione della notifica della cartella di pagamento da un indirizzo diverso da quello telematico presente in tale registro, nel quale però, come nella specie, si è evidente Ictu oculi la provenienza (Cass. n. 982 del 2023; Cass., sez. 5, 4 luglio 2023, n. 18867; Cass. sez. un., n. 18 maggio 2022, n. 15979). Pertanto, avendo ritualmente ricevuto il contribuente la notifica, non solo delle 2 cartelle di pagamento, ma anche della successiva intimazione di pagamento e persino l’atto di pignoramento presso terzi, tutti atti che non sono stati oggetto di tempestiva impugnazione, non poteva certo poi il contribuente impugnare gli estratti di ruolo in via diretta.
  2. Solo a titolo di chiarimento, si precisa che, in tema di riscossione coattiva delle entrate pubbliche (anche extratributarie) mediante ruolo, l’art. 12, comma 4 bis, del d.P.R. n. 602 del 1973 (introdotto dall’art. 3 bis del d.l. n. 146 del 2021, come convertito dalla l. n. 215 del 2021 ) trova applicazione nei processi pendenti, poiché specifica, concretizzandolo, l’interesse alla tutela immediata rispetto al ruolo e alla cartella non notificata o invalidamente notificata; sono manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale della predetta norma, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 104, 113 e 117 Cost., quest’ultimo con riguardo all’art. 6 della CEDU e all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 della Convenzione (Cass., Sez. U., 6 settembre 2023, n. 26283 ). Successivamente, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 190 del 2023, ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 4-bis, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 , che consentendo di impugnare direttamente la cartella che si assume invalidamente notificata (di cui si sia venuti a conoscenza tramite la consultazione dell’estratto di ruolo), solo per alcune fattispecie attinenti a rapporti con la pubblica amministrazione, il legislatore, pur nell’intenzione di limitare una grave proliferazione di ricorsi spesso strumentali, ha però inciso sull’ampiezza della tutela giurisdizionale.
  3. Ovviamente, tutti i vizi relativi agli atti presupposti, regolarmente notificati, non possono essere più dedotti in relazione agli atti successivi, possono essere impugnati solo per vizi propri.
  4. Tra l’altro, il disconoscimento dei documenti risulta meramente apparente, non indicando il contribuente quali siano le effettive difformità tra originale e copia dell’atto.
  5. L’art. 26, comma 5, del d.p.r. n. 602 del 1973, stabilisce, poi, che “il concessionario deve conservare per 5 anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento ed ha l’obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell’amministrazione “. La cartella di pagamento, infatti, viene notificata, ai sensi degli articoli 60 del d.p.r. n. 600 del 1009 la 73 e 26 del d.p.r. n. 602 del 1973, in un unico esemplare, che viene consegnato al debitore. L’unico originale esistente, dunque, è stato notificato al contribuente.

13.1. Senza contare che le cartelle di pagamento oggetto del ricorso sono stati oggetto di istanza di rateazione trasmessa dal contribuente il 6 febbraio 2020. Il piano rateale è stato oggetto di pagamenti effettuati, titolo parziale, per entrambe le cartelle impugnate, nelle date del 26/5/2020, 29/6/2020, 30/7/2020, 14/9/2020,30/10/2020 e 11/12/2020.

  1. Quanto al merito, peraltro, trattandosi di cessione d’azienda, vi è la responsabilità solidale dei debiti tributari sia del cedente (G. G. di R. N. s.a.s.) sia del cessionario (T. D.). L’Agenzia delle entrate-Riscossione a peraltro anche provveduto alla previa escussione del cedente.
  2. Le spese del giudizio d’appello vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico dell’appellante e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M. rigetta l’appello. Condanna l’appellante a rimborsare in favore dell’appellata Agenzia delle entrate-Riscossione le spese del giudizio di appello che si liquidano in complessivi euro 3.500,00, oltre accessori di legge.

Così deciso in L’Aquila, nella camera di consiglio del 20 marzo 2024


È valida la notifica della cartella all’erede del contribuente

L’art. 65 d.P.R. n. 600/1973 pone un’agevolazione a favore dell’ente impositore come conseguenza dell’omessa comunicazione del domicilio fiscale di ciascuno degli eredi
È valida la notifica della cartella esattoriale effettuata direttamente all’erede e non all’ultimo domicilio del de cuius.

Un contribuente ha impugnato un’intimazione di pagamento, relativa ad una cartella esattoriale facente capo al de cuius notificata, personalmente al ricorrente e non, invece, all’ultimo domicilio del de cuius.
La Commissione tributaria territoriale aveva dato ragione all’Agenzia delle Entrate, dichiarando inammissibile il ricorso, ritenendo corretta la notificazione della cartella di pagamento sottesa, in quanto effettuata al contribuente.
Successivamente, la Commissione Tributaria Regionale ha ribaltato la decisione espressa, accogliendo l’appello del ricorrente.
In particolare, il giudice di appello ha ritenuto che l’Ufficio abbia avuto conoscenza del decesso per effetto del deposito della dichiarazione di successione, per cui la notificazione si sarebbe dovuta effettuare collettivamente e impersonalmente agli eredi. Avverso tale sentenza, l’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione.
Ad avviso della Corte Suprema di Cassazione, nel caso di decesso di un contribuente, anche se gli eredi non hanno comunicato il proprio domicilio fiscale, ai sensi dell’art. 65 del d.P.R. n. 600 del 1973, è comunque valida la notifica dell’atto impositivo effettuata direttamente ad uno di essi, essendo la notificazione impersonale e collettiva agli eredi una mera facoltà dell’Ufficio, la cui mancanza non determina la nullità della notifica eseguita direttamente nei confronti di un erede.
Invero, la notificazione di una cartella contenente il debito iscritto a ruolo a carico del de cuius effettuata direttamente nei confronti di chi ha comunicato all’Amministrazione finanziaria di essere erede, non risulta meno irrispettosa del diritto di difesa rispetto alla notificazione della cartella eseguita presso l’ultimo domicilio del de cuius impersonalmente nei confronti degli eredi.
La Corte Suprema di Cassazione non ha perciò condiviso il precedente orientamento della giurisprudenza di legittimità che, a pena di nullità insanabile, prescriveva che la notifica degli atti impositivi o della riscossione, ove l’evento fosse stato noto all’Ufficio, dovesse essere effettuata, in assenza della comunicazione dall’art. 65 d.P.R. n. 600/1973, presso l’ultimo domicilio del de cuius collettivamente ed impersonalmente, oppure personalmente presso il domicilio degli eredi qualora gli stessi avessero effettuato tale incombente.
Pertanto la Corte Suprema di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate con sentenza 13 maggio 2024, n. 12964, e cassato la sentenza con rinvio alla Corte territoriale anche per la regolazione delle spese processuali.


Zoni Claudio ci ha lasciato


Sanabile la notifica alla badante

L’inesistenza si configura solo se vi è la totale mancanza materiale dell’atto e se viene realizzata un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a qualificare un atto come notificazione
L’assenza di collegamento tra luogo della notifica e persona del destinatario non è idonea a determinare l’inesistenza giuridica dell’iter notificatorio, configurandosi piuttosto un vizio di nullità che non può, peraltro, assumere rilevanza se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato, come nel caso in cui lo stesso venga impugnato, circostanza che determina la sanatoria con effetto da ora in poi di qualsiasi eventuale vizio della relativa notificazione.
Così si è espressa la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Milano, nella sentenza n. 3235/17/2023, del 22 settembre 2023, che ha escluso il vizio di inesistenza di una notifica eseguita a mani della badante di una contribuente, anziché all’amministratore di sostegno dell’interessata.
Una contribuente, secondo quanto riportato nella premessa della pronuncia in esame, impugnava l’avviso di liquidazione e di irrogazione di sanzioni, per un ammontare di oltre cinque milioni di euro, emesso dall’ufficio a titolo di imposta di registro, relativa a una sentenza della Corte d’appello di Milano.
Nel ricorso, l’istante dichiarava di eccepire vizi attinenti al merito della pretesa impositiva e di contestare altresì la ritualità della notificazione dell’atto.
Sotto questo secondo profilo, la stessa asseriva che la notifica dell’avviso impugnato, eseguita presso la sua residenza, mediante consegna alla propria badante, avrebbe dovuto considerarsi giuridicamente inesistente, senza possibilità di invocare la sanatoria del vizio a seguito dell’avvenuta impugnazione.
Ciò in quanto, precisava l’interessata, a sua tutela era stato nominato un amministratore di sostegno e pertanto, per potersi considerare valida, la notifica avrebbe dovuto essere eseguita nei confronti di questi, quale soggetto preposto alla cura della sua persona e del suo patrimonio.
La Corte tributaria di primo grado di Milano ha disatteso il ricorso, confermando la validità dell’atto impugnato e condannando la ricorrente a oltre diciottomila euro di oneri processuali.
La Corte tributaria di primo grado di Milano ha ritenuto di non accogliere l’eccezione di inesistenza della notifica, richiamando sul punto la distinzione tra detto vizio e quello di nullità, come sancita dalle sezioni unite della Corte di cassazione nelle sentenze “gemelle” nn. 14916 e 14917 del 2016.
In tali pronunce, ricorda l’odierno arresto, il supremo giudice ha statuito che il luogo in cui la notificazione viene eseguita non è un elemento costitutivo essenziale dell’atto e di conseguenza “i vizi relativi alla individuazione di detto luogo, anche qualora esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, non causano l’inesistenza della notifica, ma ricadono sempre nell’ambito della nullità sanabile con efficacia ex tunc per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata, anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità, oppure in conseguenza della rinnovazione della notificazione effettuata spontaneamente dalla parte stessa o su ordine del giudice…”.
L’inesistenza della notifica, continua la sentenza, si configura “solo se vi è la totale mancanza materiale dell’atto e se viene realizzata un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a qualificare un atto come notificazione”, elementi costitutivi da individuarsi, per un verso, nell’attività di trasmissione, “che deve essere eseguita da un soggetto al quale la legge conferisce la possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato”; per l’altro, nella fase della consegna, intesa come “raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento in virtù dei quali la stessa debba comunque considerarsi eseguita”.
Anche l’assenza di collegamento tra luogo della notifica e persona del destinatario, prosegue la pronuncia in commento, si colloca al di fuori del perimetro dell’inesistenza, derivandone al limite un’ipotesi di nullità che, per consolidata regola, non può mai essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato, finalità che può dirsi raggiunta quando l’atto stesso venga impugnato, comportamento che sana con effetto ex tunc qualsiasi eventuale vizio della relativa notificazione.
In virtù del richiamo operato dall’articolo 60 del Dpr n. 600/1973 alle “norme stabilite dagli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile…”, la notificazione ai contribuenti, degli avvisi e degli altri atti tributari, si effettua secondo le regole del codice di rito civile, salve alcune specifiche regole peculiari della materia fiscale.
In particolare, con riguardo al luogo in cui la notifica va eseguita, il citato articolo 60 prevede al primo comma, lettera c), che, salvo il caso di consegna dell’atto o dell’avviso in mani proprie, la notificazione deve essere fatta nel “domicilio fiscale” del destinatario.
La consegna in mani proprie, disciplinata dall’articolo 138 cpc, costituisce la modalità “perfetta” di notificazione (perché realizza la conoscenza effettiva) e si sostanzia nella consegna di copia dell’atto nelle mani proprie del diretto interessato, presso la sua abitazione e, solo se ciò non è possibile, ovunque esso venga reperito (notifica “in luogo libero”), nell’ambito della circoscrizione di competenza dell’agente notificatore.
Laddove tale modalità di notifica non sia possibile, occorre ricercare il destinatario presso il suo domicilio fiscale, da individuarsi secondo le regole fissate dall’articolo 58 del Dpr n. 600/1973.
In base a tale norma, tra l’altro, le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato “hanno il domicilio fiscale nel comune nella cui anagrafe sono iscritte”, ragion per cui la notifica nei loro confronti va eseguita nell’ambito del territorio di riferimento.
Per quanto riguarda il luogo specifico della notifica, soccorre l’articolo 139 cpc, il quale, dopo aver previsto che l’interessato deve essere ricercato “nella casa di abitazione o dove ha l’ufficio o esercita l’industria o il commercio”, stabilisce che laddove questi non venga rinvenuto in uno dei predetti luoghi, l’agente notificatore “consegna copia dell’atto a una persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda, purché non minore di quattordici anni o non palesemente incapace”.
Analogamente, per l’ipotesi di notificazione a mezzo del servizio postale, l’articolo 7 della legge n. 890/1982 stabilisce che, quando la consegna non può essere fatta personalmente al destinatario, il piego è consegnato, nel luogo indicato sulla busta che contiene l’atto da notificare, “a persona di famiglia che conviva anche temporaneamente con lui ovvero addetta alla casa ovvero al servizio del destinatario, purché il consegnatario non sia persona manifestamente affetta da malattia mentale o abbia età inferiore a quattordici anni”.
Per consolidata giurisprudenza, laddove la persona, rinvenuta presso il recapito del destinatario, si qualifichi “addetta alla casa” ovvero “al servizio del destinatario” e accetti di ricevere l’atto per conto di questi, la qualità affermata si presume iuris tantum dalle dichiarazioni recepite dall’agente notificatore nella relata di notifica e la notificazione si considera validamente effettuata, incombendo sul destinatario, che voglia contestarla, l’onere di provare l’inesistenza di un rapporto con il consegnatario comportante una delle qualità innanzi indicate e l’occasionalità della presenza del consegnatario, escludendosi peraltro che possa invalidare la notifica la sola prova di una diversa residenza anagrafica del consegnatario (Cassazione, nn. 13088/2022 e 37398, 20275, 19831, 11228 del 2021).
Peraltro, anche laddove, come nel caso in esame, nell’iter procedimentale si sia verificata qualche deviazione dallo schema previsto dalla legge, ma l’atto risulti comunque consegnato, deve escludersi la configurabilità della categoria generale di un vizio della notificazione qualificabile come “inesistenza giuridica”, a fianco del vizio qualificabile come “nullità”, “in quanto il vizio della notificazione che venga eseguita e dunque si perfezioni secondo una qualunque delle forme previste dalla legge, anche “virtuali” (quindi: non solo con la consegna dell’atto, ma anche con il deposito dello stesso nelle forme per legge equiparate alla consegna), sia pure invalidamente, è sempre quello, evidentemente omnicomprensivo, della “nullità”, a prescindere dall’esistenza di un collegamento con il destinatario del luogo e/o della persona dove e/o alla quale avvenga la consegna dell’atto” (Cassazione, n. 28425/2023).
E in presenza di un vizio di nullità opera la consolidata regola secondo la quale, atteso che la natura sostanziale dell’atto tributario non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, detta nullità deve ritenersi sanata, per raggiungimento dello scopo dell’atto (ex articolo 156, terzo comma c.p.c.), qualora l’interessato proponga tempestivo ricorso avverso l’atto la cui notifica si assuma viziata (Cassazione, nn. 28215/2023 e 27017/2023).


Il Messo Comunale non indaga su chi apre la porta

Irrilevante l’affermazione della contribuente destinataria dell’atto, secondo cui l’avviso di liquidazione è stato ritirato dal suo ex, non più domiciliato sotto lo stesso tetto
La mancata indicazione nella relata di notifica del luogo in cui è avvenuta la consegna dell’atto, ove emendabile in base alle risultanze dell’atto stesso, costituisce una mera irregolarità, inidonea a riverberarsi sulla correttezza dell’iter notificatorio.
Questo, in breve, il principio espresso dalla Corte Suprema di Cassazione con la sentenza n. 7211 del 13 aprile 2016, in cui è stato anche chiarito che la qualità di coniuge, dichiarata dal consegnatario dell’atto, si presume salva la prova contraria che non può consistere nella semplice affermazione di una non dimostrata separazione personale.
Un contribuente impugnava con successo, dinanzi alla C.t.p. di Viterbo, una cartella di pagamento emessa per il recupero dell’imposta di registro su un atto giudiziario.
La decisione veniva confermato dalla C.t.r. di Roma, che ribadiva l’invalidità della notificazione del prodromico avviso di liquidazione, in quanto eseguita in luogo non indicato nella relata come domicilio dell’interessata, a mani di soggetto che si era qualificato marito della medesima senza contestualmente dichiarare lo stato di convivenza con la destinataria.
Il giudice d’appello riteneva di escludere la validità della notifica anche sulla base dell’asserita separazione personale dedotta in giudizio dalla contribuente, senza peraltro il sostegno di circostanze di fatto ed elementi di prova.
Ricorrendo in sede di legittimità, l’Agenzia delle Entrate censurava la pronuncia di seconde cure, sostenendo che lo stato di convivenza, non necessario ai sensi dell’articolo 139 c.p.c., doveva presumersi in ragione di quanto dichiarato dal consegnatario dell’atto e risultante dalla relata di notifica, cosicché spettava alla controparte dimostrarne l’insussistenza attraverso puntuali elementi probatori, nella specie mancanti.
La Corte Suprema di Cassazione ha ritenuto fondate le doglianze di parte pubblica, cassando la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione del medesimo collegio regionale.
Con riferimento alla questione della mancata indicazione nella relata del luogo di consegna dell’atto, la Corte Suprema di Cassazione ha ribadito il consolidato principio secondo il quale, poiché la relazione di notifica si riferisce di norma all’atto notificato, così come strutturato, “in assenza di indicazioni difformi deve presumersi che la notificazione sia stata effettuata nel luogo in esso indicato”: di conseguenza, prosegue la pronuncia, l’omessa indicazione del luogo nel documento che certifica l’esecuzione della notificazione, ove emendabile con il riferimento alle risultanze dell’atto, costituisce mera irregolarità formale che non si riverbera sulla correttezza della notifica.
Quanto alla mancata dichiarazione di convivenza del familiare consegnatario, la sentenza ricorda che l’ufficiale notificatore “non è tenuto a svolgere indagini o ricerche particolari in ordine all’effettività dello stato di convivenza; e nemmeno, nel caso di consegna a persona di famiglia, ad espressamente indicare tale stato nella relata di notificazione”, trattandosi di indicazione non richiesta dalla norma (articolo 139 c.p.c.) di riferimento.
Nei casi di notifica di un atto al domicilio del destinatario, la presenza del consegnatario presso l’abitazione dell’interessato giustifica, infatti, una presunzione legale, superabile con la prova contraria, circa la sussistenza tra i due soggetti di una relazione tale da far ritenere la successiva trasmissione dal primo al secondo del plico notificato.
Nel caso di specie, osserva la Corte Suprema di Cassazione, nessun rilievo poteva assumere la semplice dichiarazione di intervenuta separazione tra il marito (consegnatario dell’atto) e la moglie (destinataria del medesimo), affermazione da cui il giudice regionale aveva fatto discendere la conseguenza che la notificazione non poteva essere avvenuta nella casa coniugale.
Una volta assodato che la consegna dell’atto era avvenuta presso l’abitazione del destinatario, conclude la sentenza, nemmeno lo stato di separazione personale dei coniugi sarebbe potuto risultare di per sé determinante nell’invalidare la notificazione, “nemmeno nell’ipotesi… in cui fosse risultata la diversa residenza anagrafica del coniuge consegnatario”.
In base all’articolo 148 c.p.c., l’ufficiale notificatore certifica l’eseguita notificazione mediante relazione da lui datata e sottoscritta, apposta in calce all’originale e alla copia dell’atto, che indica, tra l’altro, “la persona alla quale è consegnata la copia e le sue qualità, nonché il luogo della consegna…”. Quest’ultimo, per costante giurisprudenza, assume un rilievo essenziale ai fini della validità della notifica che, laddove “sia stata effettuata in un luogo o con riguardo ad una persona che non presentino alcun riferimento con il destinatario dell’atto, risultando a costui del tutto estranei…”, viene considerata giuridicamente inesistente (Cassazione, pronunce 19299/2015, 8154/2015, 12301/2014 e 25079/2014).
La pronuncia della Corte Suprema di Cassazione conferma una regola di grande importanza laddove, riconoscendo l’operatività di una presunzione di conformità tra il luogo di avvenuta consegna e quello indicato nell’atto come indirizzo del destinatario, afferma la generale irrilevanza della mancata specificazione in relata del luogo di effettuazione della notifica.
Per quanto riguarda, invece, i soggetti che possono ricevere la notificazione in nome e per conto del destinatario all’indirizzo di questi, l’articolo 139 c.p.c. (applicabile agli atti tributari in virtù del rinvio operato dall’articolo 60 del Dpr 600/1973) stabilisce che sono legittimi consegnatari, in primis, le persone di famiglia o gli addetti alla casa, all’ufficio o all’azienda dell’interessato.
In proposito, è consolidato l’orientamento di legittimità secondo il quale sono “persone di famiglia” non soltanto i parenti ma anche gli affini del destinatario, soggetti rispetto ai quali, purché reperiti presso l’abitazione, non è richiesto il requisito della convivenza con il destinatario dell’atto, perché l’esistenza del vincolo (di parentela o affinità) è idoneo e sufficiente a giustificare la presunzione che la “persona di famiglia” consegnerà l’atto al destinatario (Cassazione, sentenze 26931/2014, 25307/2014 e 15973/2014).
Da ricordare infine che, nel caso di notifica ex articolo 139 c.p.c., la qualità di “persona di famiglia” del consegnatario dell’atto si presume iuris tantum dalle dichiarazioni rese all’ufficiale notificatore e recepite nella relata di notifica, mentre incombe sul destinatario, che contesti la validità della notificazione, l’onere di fornire la prova contraria dimostrando o l’inesistenza di un rapporto con il consegnatario comportante la qualità dichiarata ovvero l’occasionalità della presenza dello stesso consegnatario (Cassazione, sentenze 18270/2015, 9939/2015, 7688/2015 e 19065/2014).


Residenza temporanea in carcere: valida la notifica alla moglie

L’atto è correttamente recapitato se la persona che lo prende in consegna non si trova occasionalmente presso l’indirizzo del destinatario e accetta il plico senza alcuna riserva

Quando la notifica postale risulta eseguita nel luogo indicato sulla busta che contiene l’atto da notificare, si presume che in quel luogo si trovino la residenza effettiva o la dimora o il domicilio del destinatario, e la notificazione si intende valida. L’interessato, che intende contestare in giudizio tale circostanza al fine di far dichiarare la nullità della notificazione stessa, ha l’onere di fornirne idonea prova contraria, la quale, però, non può essere costituita dalla produzione di risultanze anagrafiche che indichino una residenza difforme rispetto al luogo in cui è stata effettuata la notificazione.

Questo il principio di diritto rinvenibile nella sentenza della Corte di Cassazione n. 34824 del 13 dicembre 2023, in fattispecie ove la consegna dell’atto era avvenuta nelle mani della moglie del destinatario in quel momento detenuto in carcere.

Un contribuente impugnava dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Palermo la cartella di pagamento, avente a oggetto iscrizione a ruolo per imposta di registro, oltre interessi e sanzioni, in conseguenza di avviso di rettifica e liquidazione emesso nell’anno 2006.

La pronuncia di prime cure, che aveva respinto il ricorso, veniva appellata dinanzi al collegio regionale della Sicilia, il quale, con sentenza n. 1799/12/2018 del 24 aprile 2018, confermava il verdetto sfavorevole alla parte privata.

Quest’ultima proponeva ricorso per cassazione ove, per quanto di più specifico interesse in questa sede, eccepiva che la sentenza del giudice di prossimità aveva erroneamente ritenuto valida la notifica dell’avviso di liquidazione effettuata a mani di familiare convivente del destinatario (legale rappresentante della società ricorrente), pur in mancanza di prova circa la riconducibilità del luogo di consegna al domicilio fiscale della parte e nonostante, alla data della notifica, l’interessato fosse detenuto in carcere.

La Corte Suprema di Cassazione ha disatteso le illustrate censure, osservando che, in ragione della circostanza che la consegna dell’atto era stata eseguita dal postino presso l’abitazione del legale rappresentante della società, nelle mani della moglie dichiaratasi capace e convivente, “ai sensi dell’art. 7 della legge 20.11.1982, n. 890, deve presumersi che l’atto sia giunto a conoscenza dello stesso, restando irrilevante (anche) ogni indagine sulla riconducibilità del luogo di detta consegna fra quelli indicati dall’art. 139 c.p.c., in quanto il problema della identificazione del luogo ove è stata eseguita la notificazione rimane assorbito dalla dichiarazione di convivenza resa dal consegnatario dell’atto, con la conseguente irrilevanza esclusiva della prova della non convivenza, che il destinatario ha l’onere di fornire”.

In altri termini, prosegue la Corte Suprema di Cassazione, quando la notifica postale risulti eseguita nel luogo indicato sulla busta che contiene l’atto da notificare, “è da presumere che in quel luogo si trovino la residenza effettiva o la dimora o il domicilio del destinatario, laddove, qualora quest’ultimo intenda contestare in giudizio tale circostanza al fine di far dichiarare la nullità della notificazione stessa, ha l’onere di fornirne idonea prova contraria, la quale, però, non può essere costituita dalla produzione di risultanze anagrafiche che indichino una residenza difforme rispetto al luogo in cui è stata effettuata la notificazione”.

Anche la doglianza circa la detenzione in carcere del destinatario alla data della notifica è stata ritenuta non accoglibile e, quindi, inidonea a viziare la notifica, osservandosi in proposito che “la residenza non si perde per effetto di un allontanamento più o meno protratto nel tempo salvo che la persona non abbia fissato altrove una nuova dimora abituale e quindi una nuova residenza”, risultando dunque conforme a diritto la notifica a persona detenuta effettuata, nelle mani di persona di famiglia, nel luogo di residenza (sul punto, l’odierno arresto richiama il proprio precedente di cui a Cass., n. 9279/1998).

Secondo quanto previsto nell’articolo 7, comma 2, della legge n. 890/1982, se la consegna non può essere fatta personalmente al destinatario, “il piego è consegnato, nel luogo indicato sulla busta che contiene l’atto da notificare, a persona di famiglia che conviva anche temporaneamente con lui ovvero addetta alla casa ovvero al servizio del destinatario, purché il consegnatario non sia persona manifestamente affetta da malattia mentale o abbia età inferiore a quattordici anni. In mancanza delle persone indicate al periodo precedente, il piego può essere consegnato al portiere dello stabile ovvero a persona che, vincolata da rapporto di lavoro continuativo, è comunque tenuta alla distribuzione della posta al destinatario”.

Per identica fattispecie, l’articolo 139 c.p.c. prevede una disciplina speculare stabilendo che, se il destinatario non viene trovato presso il suo recapito (casa di abitazione o luogo in cui il medesimo “ha l’ufficio o esercita l’industria o il commercio”), l’agente notificatore “consegna copia dell’atto a una persona di famiglia o addetta alla casa, allo ufficio o all’azienda, purché non minore di quattordici anni o non palesemente incapace”, o, in mancanza di queste, “al portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda, e, quando anche il portiere manca, a un vicino di casa che accetti di riceverla”.

Rispetto a tali previsioni, la Corte Suprema di Cassazione ha specificato che per la validità della notifica è sufficiente che la presenza del consegnatario presso l’indirizzo dell’interessato non sia meramente occasionale o temporanea (la “non occasionalità” si presume dalla accettazione senza riserve dell’atto e dalle dichiarazioni recepite nella relata di notifica – Cassazione, pronunce n. 11228/2021 e n. 22687/2019); occorre, altresì, l’esistenza di un vincolo (di parentela, affinità o coniugio) tale da giustificare la presunzione che la “persona di famiglia” consegnerà l’atto al destinatario (Cassazione, n. 13088/2022 e nn. 27661, 20275, 19831 e 11228 del 2021).

Analogamente, con riguardo al concetto di persona “di famiglia”, la Cassazione ha osservato che il rapporto di convivenza, almeno provvisorio, può essere presunto, gravando sul destinatario l’onere della prova contraria, sulla base del fatto che il familiare si sia trovato nell’abitazione del destinatario e abbia preso in consegna l’atto da notificare. La nullità della notifica non può, quindi, derivare dalla mancata indicazione sull’avviso di ricevimento della qualità di convivente del consegnatario o dal fatto che la convivenza non sia attestata nello stato di famiglia (Cassazione, nn. 37259, 28295, 24880 del 2021 e n. 20057/2020).

In queste ipotesi, il destinatario che voglia contestare la validità della notifica deve provare l’inesistenza di un rapporto con il consegnatario comportante una delle qualità innanzi indicate e l’occasionalità della presenza dello stesso consegnatario, con la precisazione che, per invalidare la notificazione, non è sufficiente la sola prova di una diversa residenza anagrafica del consegnatario (Cassazione, n. 13088/2022 e nn. 37398, 20275, 19831 e 11228 del 2021).

In definitiva, la pronuncia della Corte Suprema di Cassazione ribadisce una regula iuris consolidata anche con riguardo a una fattispecie decisamente singolare, perché caratterizzata dalla circostanza che il destinatario dell’atto era persona che, al momento della notificazione, era detenuta in carcere.


Termini di notifica certi e univoci

La “scissione temporale” degli effetti non implica lo slittamento del perfezionamento della procedura per il destinatario rispetto ai limiti stabiliti dal legislatore tributario.

In caso di notificazione a mezzo del servizio postale, laddove l’atto non possa essere materialmente recapitato, per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità, assenza di altri legittimi consegnatari, la notifica si ha comunque per eseguita trascorsi dieci giorni dalla data di spedizione della raccomandata con cui si dà notizia all’interessato della giacenza dell’atto.

Questa la regola esplicitata dalla sentenza n. 26088 del 30 dicembre 2015, in cui la Corte Suprema di Cassazione ha escluso che, in dette ipotesi, la notifica possa ritenersi perfezionata nel momento, successivo ai dieci giorni di legge, in cui avvenga l’effettivo ritiro dell’atto presso l’ufficio postale.

La Commissione tributaria regionale della Lombardia respingeva l’appello proposto da un contribuente avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, che aveva dichiarato inammissibili per tardività cinque ricorsi contro avvisi di accertamento Ici notificati da un Comune.

Il Collegio di seconde cure confermava l’inammissibilità rilevata in primo grado, osservando che gli accertamenti erano stati notificati “per compiuta giacenza” il 7 gennaio 2007, mentre il ricorso era stato proposto soltanto il successivo 8 giugno, ben oltre il termine decadenziale di “sessanta giorni dalla data di notificazione dell’atto” fissato dall’articolo 21, comma 1, del Dlgs 546/1992.

Nel ricorso per cassazione, l’interessato, invocando l’applicazione del principio di “scissione degli effetti della notifica” – in virtù del quale occorre tener conto del diverso momento perfezionativo della notificazione per il notificante e per il destinatario – ribadiva che, nella specie, l’originaria impugnazione doveva considerarsi tempestiva poiché l’atto era stato ritirato presso l’ufficio postale di giacenza il 12 aprile 2007, giorno dal quale, asseritamente, andava dunque computato il termine per presentare il gravame.

La Corte Suprema di Cassazione ha affermato la manifesta infondatezza della doglianza, procedendo a una puntuale ricostruzione delle regole che disciplinano il perfezionamento della notificazione degli atti (compresi quelli tributari) quando per la notifica ci si avvalga del mezzo postale ai sensi della legge 890/1982.

In proposito, spiega la Corte Suprema di Cassazione, occorre tener conto di quanto stabilito dall’articolo 8 di detta legge per le ipotesi in cui l’agente postale non possa materialmente recapitare il piego presso l’indirizzo del destinatario, per temporanea assenza di questi o per mancanza, inidoneità, assenza delle altre persone che la legge abilita alla ricezione per conto dell’interessato.

Per queste situazioni, la norma prevede che, lo stesso giorno del mancato recapito, il piego venga depositato presso l’ufficio postale preposto alla consegna e che, contestualmente, venga data notizia al destinatario del tentativo di notifica e del deposito in parola, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento.

In base al secondo comma del medesimo articolo 8, la comunicazione di avvenuto deposito (Cad) contiene, tra l’altro, l’indicazione della data di deposito e dell’indirizzo dell’ufficio postale presso cui l’atto è in giacenza, nonché l’espresso invito al destinatario a provvedere al ritiro entro sei mesi, con l’avvertimento che “la notificazione si ha comunque per eseguita trascorsi dieci giorni dalla data del deposito” e che, decorso inutilmente anche il predetto termine di sei mesi, l’atto sarà restituito al mittente. Il successivo quarto comma precisa ancora che la notifica si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla spedizione della Cad, oppure “dalla data di ritiro del piego, se anteriore”.

La scissione temporale degli effetti della notifica, spiega la pronuncia, seppure operante, non è tale da spostare il momento perfezionativo per il destinatario oltre il decimo giorno successivo alla spedizione della raccomandata che informa l’interessato dell’avvenuto deposito.

Nel caso di specie, dunque, correttamente entrambi i collegi di merito avevano ritenuto inammissibile per tardività il ricorso introduttivo, in quanto proposto ben oltre il sessantesimo giorno dal perfezionamento della notifica, computato secondo quanto spiegato.

La notificazione di qualsiasi atto – compresi quindi anche gli atti tributari – si sostanzia in un procedimento, le cui forme sono predeterminate dalla legge, finalizzato a determinare la conoscenza “legale” dell’atto in capo al destinatario.

Ci si riferisce alla conoscenza “legale” perché, ai fini della validità della notifica, è sufficiente che l’atto sia entrato nella sfera di conoscibilità del destinatario, dopo che siano state osservate tutte le formalità di legge, a prescindere dalla effettiva ricezione e quindi dalla conoscenza “effettiva” del contenuto dell’atto da parte del destinatario (Cassazione, sentenza 26501/2014 e, a sezioni, unite, 23675/2014, ove si precisa che “l’effettiva conoscenza dell’atto da parte del destinatario, pur costituendo lo scopo della notificazione, rimane estranea alla sua struttura”).

Questa regola è uno strumento di garanzia a favore del notificante, la cui attività non può essere paralizzata dall’eventuale atteggiamento oppositivo del destinatario, che potrebbe sottrarsi indebitamente agli effetti della notificazione.

Oltre a ciò, per assicurare la certezza dei rapporti giuridici, la legge si preoccupa anche di stabilire in quale momento ciascuna forma di notificazione si intende perfezionata, sia per il notificante che per il destinatario.

Così, in virtù del principio di “anticipazione degli effetti della notifica”, qualunque notificazione si intende perfezionata per il richiedente, sempre che lo stesso accada anche nei confronti del destinatario, quando sono compiute le formalità direttamente imposte dalla legge al notificante, ossia al momento della consegna dell’atto all’agente notificatore (ufficiale giudiziario e, ove consentito dalla legge, messo comunale, ufficio postale, eccetera) che, nel relativo procedimento, funge da tramite necessario tra il notificante e il destinatario dell’atto (da ultimo, Cassazione, sentenze 21281/2015, 18643/2015 e 15650/2015).

Per quanto riguarda poi la posizione del destinatario il legislatore appresta degli strumenti che consentono di individuare in modo oggettivo e univoco il momento in cui la notifica si intende perfezionata nei suoi confronti e dal quale iniziano a decorrere i termini perentori per porre in essere eventuali attività (ad esempio, l’impugnativa giurisdizionale) a tutela dei propri interessi, in assenza delle quali gli effetti dell’atto si consolidano.

Un’ipotesi tipica di quest’ultima situazione è quella di cui la Corte Suprema di Cassazione si è occupata nel caso.

Quando, in sede di notifica postale dell’atto, il materiale recapito è impedito da circostanze contingenti (temporanea assenza del destinatario; assenza, incapacità, rifiuto da parte di altri possibili consegnatari), il procedimento si perfeziona comunque e la notifica produce i suoi effetti tipici nei confronti del destinatario anche quando questi non si premuri di ritirare l’atto che lo riguarda.

In particolare, in queste ipotesi, a seguito del deposito dell’atto presso l’ufficio postale e della spedizione all’interessato di una raccomandata che lo avvisa di detto deposito, la notifica è perfezionata per “compiuta giacenza” decorsi dieci giorni dalla spedizione dell’avviso del deposito.

Ai fini del perfezionamento nei confronti del diretto interessato, non ha quindi effetto alcuno la circostanza che l’atto venga ritirato decorso detto lasso temporale.

La regola in questione è finalizzata a evitare che il destinatario, artatamente, possa ritardare a proprio vantaggio l’inizio della decorrenza di eventuali termini che lo riguardano: trattasi di un punto fermo da tenere ben presente quando si debbono valutare la correttezza e gli effetti di una notificazione.