Comune di Padova: Avviso di mobilità per addetto alla notificazione atti

Scadenza: 13 agosto 2018

Descrizione
 Il Comune di Padova intende formare una graduatoria a cui ricorrere per la copertura di 1 posto vacante a tempo pieno ed indeterminato di esecutore amministrativo/addetto alla notificazione atti – categoria B, mediante ricorso all’istituto della mobilità volontaria ai sensi del vigente art. 30 del D.Lgs. 165/2001.

Requisiti

 Per presentare la domanda di mobilità è necessario:
  • essere in servizio con rapporto di lavoro a tempo indeterminato presso una Pubblica Amministrazione, con inquadramento corrispondente alla categoria B del Comparto Regioni e Autonomie Locali e con profilo professionale di “esecutore amministrativo/addetto alla notificazione” o profilo professionale equivalente, con anzianità di servizio nella medesima categoria e profilo di almeno tre anni alla data di scadenza del presente avviso;

  • l’assolvimento dell’obbligo scolastico e attestato di partecipazione ad un corso di formazione sull’uso del personal computer e sulle applicazioni informatiche più diffuse o, in alternativa, aver frequentato con profitto, per almeno un anno scolastico, corsi di studio statali o riconosciuti in cui tale insegnamento era previsto

  • patente di guida non inferiore alla categoria B

essere in possesso dei seguenti requisiti:

  • di non essere stato sottoposto a procedimenti disciplinari in ordine ai quali sia stata irrogata una sanzione che preveda la sospensione dal servizio superiore a dieci giorni nell’ultimo biennio antecedente alla data di pubblicazione del presente avviso;

  • assenza di condanne penali che impediscano, ai sensi delle vigenti disposizioni in materia, la prosecuzione del rapporto di impiego con la pubblica amministrazione;

  • essere in possesso dell’idoneità fisica all’espletamento delle mansioni prevista dal profilo di appartenenza;
  • essere in possesso del nulla osta preventivo alla mobilità da parte dell’Amministrazione di appartenenza all’eventuale trasferimento presso il Comune di Padova in caso di esito positivo della procedura di mobilità (senza che ciò comporti alcun impegno al riguardo da parte del Comune di Padova), con l’espressa dichiarazione dell’Amministrazione di appartenenza di essere Ente sottoposto a regime di limitazione per assunzione di personale, ai sensi e per gli effetti di quanto disposto dall’art. 1, comma 47, della Legge n. 311/2004.

Presentazione domanda e tempi

 Gli interessati devono presentare, entro il 13 agosto 2018:
  • il modulo di domanda, compilato nelle sue parti e firmato, scaricabile dalla sezione “Documenti” di questa pagina;
  • dettagliato curriculum vitae, debitamente sottoscritto;
  • nulla osta preventivo alla mobilità da parte dell’Amministrazione di appartenenza all’eventuale trasferimento presso il Comune di Padova, con l’espressa dichiarazione dell’Amministrazione di appartenenza di essere Ente sottoposto a regime di limitazione per assunzione di personale, ai sensi e per gli effetti di quanto disposto dall’art. 1, comma 47, della Legge n. 311/2004;

  • fotocopia documento di identità in corso di validità.

La domanda può essere:

  • consegnata a mano presso l’Ufficio Protocollo Generale del Comune di Padova (entro le ore 12.30 del giorno 13/08/2018, orario di chiusura dell’ufficio);
  • raccomandata postale con ricevuta di ritorno;
  • Posta elettronica certificata (pec): il candidato potrà inviare dalla propria pec personale a quella del Comune di Padova (protocollo.generale@pec.comune.padova.it) la domanda firmata in formato pdf con tutti gli allegati, sempre in formato pdf;

  • Posta elettronica certificata (pec): il candidato potrà inviare da una pec generica a quella del Comune di Padova (protocollo.generale@pec.comune.padova.it) la domanda e dettagliato curriculum purché firmati digitalmente con allegata, in formato pdf, copia del documento di identità.

E’ escluso qualsiasi altro mezzo di trasmissione della domanda.

Selezione

 La graduatoria sarà predisposta ai sensi dell’art. 30 del D.Lgs. 165/2001, da apposita Commissione esaminatrice, previo processo comparativo delle caratteristiche di ciascun candidato, sulla base dei seguenti elementi:
  • valutazione dei curricula presentati dagli interessati;
  • colloquio con i candidati i cui curricula risultino maggiormente corrispondenti con la figura professionale ricercata.

La data ed il luogo del colloquio saranno comunicati ai candidati prescelti tramite comunicazione all’indirizzo email o pec indicato nella domanda.

Per ulteriori informazioni è disponibile nella sezione “Documenti”, di questa pagina, il testo completo dell’avviso di mobilità.

Riferimenti

ufficio mobilità – Settore Risorse Umane – Comune di Padova

Luogo palazzo Moroni, via del Municipio, 1 – 35122 Padova
Telefono 049 8205461
Responsabile del procedimento Ing. Paola Lovo
Sostituto del responsabile del procedimento dott.ssa Sonia Furlan

Deposito telematico: fino alle ore 24 dell’ultimo giorno

La possibilità di depositare con modalità telematica atti in scadenza è assicurata fino alle ore 24 dell’ultimo giorno consentito secondo i termini perentori (cioè fino allo spirare dell’ultimo giorno).

Ciò non contrasta con la disposizione, secondo cui, il deposito degli atti e dei documenti in scadenza effettuato oltre le ore 12 dell’ultimo giorno si considera eseguito il giorno successivo: tale effetto, posto a garanzia del diritto di difesa delle controparti, significa solo che per contestare gli atti depositati oltre le ore 12 i termini per controdedurre decorrono dal giorno successivo.

Lo ha chiarito il Consiglio di Stato nella sentenza n. 3309/2018 che ha fornito precisazioni sul punto pronunciandosi sulla presunta tardività della memoria depositata da una delle parti in causa.

Gli appellanti avevano eccepito la tardività di tale deposito ai sensi dell’art. 4, comma 4, delle norme di attuazione del c.p.a. poiché intervenuto telematicamente oltre le ore 12 della stessa giornata, precisamente alle ore 17:57 del 5 febbraio 2018, ultimo giorno per il deposito della memoria prima dell’udienza di merito.

Deposito telematico atti fino alle 24 dell’ultimo giorno

In realtà, spiegano i giudici, la possibilità di depositare gli atti in forma telematica è assicurata fino alle ore 24 dell’ultimo giorno consentito dal citato art. 4, comma 4, e tale soluzione non contrasta con quanto indicato dell’ultimo periodo della stessa disposizione, secondo cui il deposito degli atti e dei documenti in scadenza effettuato oltre le ore 12 dell’ultimo giorno si considera eseguito il giorno successivo.

Questo effetto, posto a garanzia del diritto di difesa delle controparti, significa unicamente che per contestare gli atti depositati oltre le ore 12 i termini per controdedurre decorrono dal giorno successivo.

Deve dunque ritenersi che, ai sensi dell’art. 4, comma 4, delle norme di attuazione al codice del processo amministrativo (così come modificato dall’art. 7 del d.l. 31 agosto 2016, n. 168), la possibilità di depositare con modalità telematica atti in scadenza è assicurata fino alle ore 24 dell’ultimo giorno consentito secondo i termini perentori (cioè fino allo spirare dell’ultimo giorno).

Il deposito telematico si considera quindi perfezionato e tempestivo con riguardo al giorno senza rilevanza preclusiva con riguardo all’ora.


La rinnovazione della notificazione

La rinnovazione della notificazione: la riattivazione del procedimento di notificazione effettuata spontaneamente dalla ricorrente cha ha operato una prima notifica nulla produce gli stessi effetti della rinnovazione della notifica concessa dal giudice entro un termine perentorio

“La notificazione che non abbia raggiunto il proprio scopo ossia che non abbia portato il destinatario a conoscenza dell’atto notificato è una notificazione nulla.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 20 luglio 2016, n. 14916, hanno esaminato tutti i vizi della notificazione, distinguendo tra quelli cui consegue l’inesistenza e quelli cui consegue la nullità e relativamente all’inesatta individuazione del luogo di destinazione hanno statuito: “Il luogo in cui la notificazione del ricorso per cassazione (ma la statuizione vale per tutti gli atti notificati, n.d.s.) viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto. Ne consegue che i vizi relativi alla individuazione di detto luogo, anche qualora esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, come tale sanabile, con efficacia ex tunc, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ.)”.

È confermato, dunque, diversamente da quanto ritenuto dall’appellante, che l’inesatta individuazione del luogo in cui la notificazione deve essere eseguita (che, ai sensi dell’art. 145 Cod. proc. civ., per le persone giuridiche va fatta nella loro sede) comporta la nullità della notificazione, con conseguente applicazione, per il giudizio amministrativo, dell’art. 44, comma 4, Cod. proc. amm. per il quale: “Nei casi in cui sia nulla la notificazione e il destinatario non si costituisca in giudizio, il giudice, se ritiene che l’esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante, fissa al ricorrente un termine perentorio per rinnovarla”.

La disposizione delinea una fase processuale ad attivazione officiosa in caso di notificazione eseguita cui non sia seguita, però, la costituzione del destinatario e impone al giudice di accertare se l’esito negativo, ovvero la nullità, dipenda da causa non imputabile al notificante e, in quel caso, fissare un termine perentorio per la sua rinnovazione.

Nel giudizio di primo grado tale fase non ha avuto luogo avendo il giudice solo differito l’udienza camerale “al fine di consentire all’avvocato del ricorrente di procedere alla rinotifica del ricorso” (così nel verbale dell’udienza del 9 maggio 2017). Nessuna verifica sulle ragioni della nullità della notificazione è stata effettuata dal giudice prima di disporre il differimento dell’udienza, non è stata ordinata la rinnovazione della notifica in un termine perentorio che, dunque, può dirsi spontaneamente avvenuta.

La rinnovazione è stata eseguita dalla ricorrente; il procedimento di notificazione è andato a buon fine; il giudice, tuttavia, in sentenza ha ritenuto tardiva la notifica effettuata al controinteressato e irricevibile il ricorso.

Ritiene il Collegio che la riattivazione del procedimento di notificazione effettuata spontaneamente dalla ricorrente cha ha operato una prima notifica nulla produce gli stessi effetti della rinnovazione della notifica concessa dal giudice entro un termine perentorio: ove conclusa con esito positivo sana la nullità della notificazione con effetti retroattivi (l’equiparazione tra spontanea rinnovazione e rinnovazione per ordine del giudice è comune nelle sentenze che affrontano la questione della sanabilità della nullità della notificazione, cfr. Cons. Stato, sez. V, 5 dicembre 2014, n. 6008; sez. V, 13 settembre 2013, n. 4530; sez. V, 31 dicembre 2007, n. 6908; sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5263; sez. IV, 26 luglio 2004, n. 5311).

Nel caso in cui, però, la seconda notifica sia effettuata a termine decorso, come normalmente avviene, è necessario comunque accertare l’imputabilità alla parte della nullità della prima notificazione.

A distinguere la spontanea rinnovazione e la rinnovazione per ordine del giudice, allora, è il momento in cui avviene siffatta verifica dell’imputabilità: nel primo caso quando la notifica è già (ri)attivata e, di solito, perfezionatasi, nel secondo, prima della concessione del termine per la rinnovazione della notifica.

La ricorrente, dunque, che prima dell’udienza ha avuto conoscenza della nullità della notificazione, ha facoltà di procedere alla riattivazione del procedimento notificatorio, senza attendere la concessione di un termine dal giudice; spetterà, poi, comunque, al giudice valutare l’imputabilità della nullità (della prima notifica) alla parte e, se il giudizio dà esito negativo, dichiarare l’irricevibilità del ricorso per tardività…”

Cons. Stato Sez. V, Sent., (ud. 26-04-2018) 18-06-2018, n. 3732

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero di registro generale 9148 del 2017, proposto da

P.L. s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Federico Liccardo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Lucrezia Riccio in Roma, p.zza dei Martiri Belfiore, 4;

contro

Comune di Vico Equense, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Erik Furno, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Enrico Califano in Roma, piazza dei Consoli, 11;

nei confronti

  1. s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Daniele Marrama, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Roberto Gerosa in Roma, via Virgilio, 18;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) n. 05406/2017, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Vico Equense e di E. s.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 aprile 2018 il Cons. Federico Di Matteo e uditi per le parti gli avvocati Federico Liccardo, Ferola in dichiarata delega dell’avvocato Erik Furno;

Svolgimento del processo

  1. Con determinazione dirigenziale 23 gennaio 2017 n. 144 il Comune di Vico Equense aggiudicava alla P.L. s.r.l. il contratto avente ad oggetto il “servizio di gestione delle aree di sosta a pagamento ubicate sulle strade di proprietà comunale mediante appalto di pubblico servizio”.
  2. L’aggiudicazione era impugnata dalla seconda graduata, T.M. s.r.l., al Tribunale amministrativo regionale per la Campania con unico motivo di ricorso con il quale era contestata l’ammissione alla procedura della P.L. s.r.l. per omessa dichiarazione di due gravi errori professionali rilevanti ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. f) 12 aprile 2006, n. 163.

2.1. Più esattamente, riferiva la ricorrente, gli errori professionali erano imputabili al Consorzio U. che aveva ceduto l’azienda alla U.M. s.p.a., e proprio a quest’ultima, poi denominata T.C.M. s.r.l., dalla quale la P.L. s.r.l. aveva acquisito in locazione l’azienda medesima con contratto datato 30 marzo 2016. Assumeva la ricorrente che gli errori professionali, commessi dalle società indicate negli appalti gestiti per il Comune di Ravello e per quello di Latina, dovevano essere dichiarati nella domanda di partecipazione alla procedura di gara della P.L. s.r.l.

2.3. Con ordinanza cautelare 21 febbraio 2017 il Tribunale amministrativo sospendeva l’aggiudicazione alla P.L. s.r.l..

  1. Con determinazione dirigenziale 10 marzo 2017, n. 314, il Comune di Vico Equense disponeva in via di autotutela la revoca dell’aggiudicazione del contratto a P.L. s.r.l. e aggiudicava definitivamente la gara a T.M. s.r.l., che, dunque, nel giudizio pendente, dichiarava la propria sopravvenuta carenza di interesse per aver ottenuto all’aggiudicazione sperata.
  2. Il provvedimento di revoca era impugnato con autonomo ricorso da P.L. s.r.l. con unico motivo di ricorso con il quale contestava l’esistenza di un onere dichiarativo riferito ad errori commessi non dall’operatore economico concorrente, ma dalla società locatrice dell’azienda o anche dalla precedente proprietaria della stessa.
  3. Il ricorso era notificato il 28 marzo 2017 alla controinteressata T.M. s.r.l. presso la sede legale come risultante dal registro delle imprese a mezzo servizio postale. La notificazione non andava, però, a buon fine per irreperibilità assoluta della società con conseguente restituzione del plico al notificante.

5.1. All’udienza del 9 maggio 2017 il difensore di P.L. s.r.l. domandava il differimento dell’udienza per poter provvedere alla rinotifica del ricorso alla controinteressata; concesso il differimento, la notifica, eseguita a mezzo PEC, andava a buon fine.

5.2. Nel giudizio si costituivano, pertanto, il Comune di Vico Equense e la T.M. s.r.l., la quale, preliminarmente eccepiva l’inammissibilità del ricorso per tardività poiché, a suo dire, la ricorrente avrebbe dovuto chiedere un termine perentorio per effettuare la rinotifica e non solamente il differimento dell’udienza.

5.3. Il Tribunale amministrativo, con sentenza sezione settima, 15 novembre 2017, n. 5406, dichiarava irricevibile il ricorso, che, pure nel merito, riteneva non fondato, con condanna della ricorrente a rifondere al Comune di Vico e alla controinteressata le spese di lite.

  1. Propone appello la P.L. s.r.l.; resistono il Comune di Vico Equense e la E. s.r.l., in proprio e quale cessionaria dell’azienda già di T.M. s.r.l.; il Comune di Vico Equense e la P.L. s.r.l. hanno presentato memorie in vista dell’udienza pubblica. All’udienza del 26 aprile 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

  1. La sentenza impugnata ha dichiarato il ricorso di P.L. s.r.l. irricevibile per tardività e, tuttavia, in motivazione, ha esaminato il motivo proposto dalla ricorrente, ritenuto infondato.

1.1. La ragione dell’irricevibilità è indicata dal giudice nella tardività della notifica del ricorso alla controinteressata perfezionatasi solo il 9 maggio 2017, quando era già maturata la decadenza prevista dall’art. 41, comma 2, Cod. proc. amm. Qualora sia proposta azione di annullamento il ricorso deve essere notificato, a pena di decadenza, alla pubblica amministrazione che ha emesso l’atto impugnato ed almeno ad uno dei controinteressati che sia individuato nell’atto stesso entro il termine previsto dalla legge….

  1. Il primo motivo di appello è rivolto al capo di sentenza sull’irricevibilità che P.L. s.r.l. censura per “Error in iudicando: violazione dell’art. 44 C.P.A. degli artt. 145 e 160 C.P.C. e dell’art. 8 della L. n. 890 del 1982; presupposto erroneo travisamento dei fatti motivazione omessa e contraddittoria”.

2.1. Per l’appellante il giudice di primo grado avrebbe fatto erronea applicazione dell’art. 44, comma 4, Cod. proc. amm., che presuppone la nullità della notificazione, ad un caso in cui la notificazione del ricorso non era affetta da nulla.

2.2. I fatti esposti dall’appellante e non contestati sono i seguenti: la notifica del ricorso era stata avviata il 28 marzo 2017 – e, dunque, entro il termine di legge per la notifica al controinteressato in caso di azione di annullamento – a mezzo servizio postale presso la sede legale della società, in C. alla via D. M. n, 193, indirizzo risultante dalla visura camerale effettuata prima di attivare la notifica; l’ufficiale postale ha accertato l’irreperibilità assoluta del destinatario, ovvero che all’indirizzo indicato dal mittente non corrispondeva la sede legale della società e, per questo motivo, ha restituito il plico al mittente.

2.3. Non ricorre, conclude l’appellante, un caso di nullità della notificazione ma solamente un caso di mancato perfezionamento della stessa; non trova applicazione, pertanto, l’art. 44, comma 4, Cod. proc. amm., con la richiesta al giudice di un termine per la rinnovazione della notifica, da concedere previa verifica della non imputabilità al notificante della nullità, ma la diversa regola, enunciata dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione per la quale è facoltà ed onere del notificante, in caso di notifica non correttamente conclusasi, riattivare quanto prima il procedimento di notificazione effettuando una nuova notifica che, ove regolarmente conclusasi, avrà effetto dal primo atto di notificazione.

  1. Il motivo è fondato e va accolto con le precisazioni che seguono.

3.1. La notificazione che non abbia raggiunto il proprio scopo ossia che non abbia portato il destinatario a conoscenza dell’atto notificato è una notificazione nulla.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 20 luglio 2016, n. 14916, hanno esaminato tutti i vizi della notificazione, distinguendo tra quelli cui consegue l’inesistenza e quelli cui consegue la nullità e relativamente all’inesatta individuazione del luogo di destinazione hanno statuito: “Il luogo in cui la notificazione del ricorso per cassazione (ma la statuizione vale per tutti gli atti notificati, n.d.s.) viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto. Ne consegue che i vizi relativi alla individuazione di detto luogo, anche qualora esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, come tale sanabile, con efficacia ex tunc, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ.)”.

3.2. È confermato, dunque, diversamente da quanto ritenuto dall’appellante, che l’inesatta individuazione del luogo in cui la notificazione deve essere eseguita (che, ai sensi dell’art. 145 Cod. proc. civ., per le persone giuridiche va fatta nella loro sede) comporta la nullità della notificazione, con conseguente applicazione, per il giudizio amministrativo, dell’art. 44, comma 4, Cod. proc. amm. per il quale: “Nei casi in cui sia nulla la notificazione e il destinatario non si costituisca in giudizio, il giudice, se ritiene che l’esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante, fissa al ricorrente un termine perentorio per rinnovarla”.

3.3. La disposizione delinea una fase processuale ad attivazione officiosa in caso di notificazione eseguita cui non sia seguita, però, la costituzione del destinatario e impone al giudice di accertare se l’esito negativo, ovvero la nullità, dipenda da causa non imputabile al notificante e, in quel caso, fissare un termine perentorio per la sua rinnovazione.

3.4. Nel giudizio di primo grado tale fase non ha avuto luogo avendo il giudice solo differito l’udienza camerale “al fine di consentire all’avvocato del ricorrente di procedere alla rinotifica del ricorso” (così nel verbale dell’udienza del 9 maggio 2017). Nessuna verifica sulle ragioni della nullità della notificazione è stata effettuata dal giudice prima di disporre il differimento dell’udienza, non è stata ordinata la rinnovazione della notifica in un termine perentorio che, dunque, può dirsi spontaneamente avvenuta.

La rinnovazione è stata eseguita dalla ricorrente; il procedimento di notificazione è andato a buon fine; il giudice, tuttavia, in sentenza ha ritenuto tardiva la notifica effettuata al controinteressato e irricevibile il ricorso.

3.5. Ritiene il Collegio che la riattivazione del procedimento di notificazione effettuata spontaneamente dalla ricorrente che ha operato una prima notifica nulla produce gli stessi effetti della rinnovazione della notifica concessa dal giudice entro un termine perentorio: ove conclusa con esito positivo sana la nullità della notificazione con effetti retroattivi (l’equiparazione tra spontanea rinnovazione e rinnovazione per ordine del giudice è comune nelle sentenze che affrontano la questione della sanabilità della nullità della notificazione, cfr. Cons. Stato, sez. V, 5 dicembre 2014, n. 6008; sez. V, 13 settembre 2013, n. 4530; sez. V, 31 dicembre 2007, n. 6908; sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5263; sez. IV, 26 luglio 2004, n. 5311).

Nel caso in cui, però, la seconda notifica sia effettuata a termine decorso, come normalmente avviene, è necessario comunque accertare l’imputabilità alla parte della nullità della prima notificazione.

A distinguere la spontanea rinnovazione e la rinnovazione per ordine del giudice, allora, è il momento in cui avviene siffatta verifica dell’imputabilità: nel primo caso quando la notifica è già (ri)attivata e, di solito, perfezionatasi, nel secondo, prima della concessione del termine per la rinnovazione della notifica.

3.6. La ricorrente, dunque, che prima dell’udienza ha avuto conoscenza della nullità della notificazione, ha facoltà di procedere alla riattivazione del procedimento notificatorio, senza attendere la concessione di un termine dal giudice; spetterà, poi, comunque, al giudice valutare l’imputabilità della nullità (della prima notifica alla parte e, se il giudizio dà esito negativo, dichiarare l’irricevibilità del ricorso per tardività.

3.7. La peculiarità dell’odierna vicenda – il fatto cioè che la riattivazione è stata spontanea ma non immediata bensì solo successiva alla prima udienza all’uopo differita – non vale a modificare la conclusione raggiunta: il giudice, alla nuova udienza, avrebbe dovuto comunque valutare le ragioni della nullità della prima notifica e solamente ove imputabili al ricorrente dichiarare irricevibile il ricorso perché tardivamente proposto.

Tale verifica non è stata, invece, effettuata e la sentenza ha ingiustamente sanzionato la ricorrente per non aver richiesto la concessione del termine per la rinnovazione della notifica ; termine che, però, il giudice era tenuto d’ufficio ad assegnare o negare, ma solo dopo aver valutato l’imputabilità della nullità.

  1. In forza dell’effetto devolutivo dell’appello, spetta a questo giudice verificare l’imputabilità della nullità della prima notificazione alla parte ricorrente.

4.1. Precisato che la controinteressata ha riconosciuto la non imputabilità a P.L. s.r.l. della nullità della prima notificazione, è documentato in atti che alla data della prima notificazione (28 marzo 2017) la sede sociale della T.M. s.r.l., quale risultante dal registro delle imprese, era in C. alla via D. M., n. 193 presso cui è stato indirizzato il ricorso. L’esito negativo del procedimento di notificazione non è, dunque, imputabile alla ricorrente.

  1. Resta un ultimo profilo da esaminare. Il Comune di Vico Equense, nella propria memoria, ha rilevato che, anche a voler ritenere ammissibile la nuova notifica spontaneamente eseguita (id est: in mancanza di ordine del giudice), questa sarebbe avvenuta a distanza di tempo dalla prima notifica, e dovrebbe, per questo, essere comunque ritenuta inammissibile (con conseguente conferma della irricevibilità per tardività del ricorso).

5.1. Effettivamente, la giurisprudenza civile, correttamente richiamato dall’appellata, onera la parte notificante di riattivare spontaneamente il procedimento notificatorio non conclusosi positivamente entro un congruo termine.

5.2. Il Collegio ritiene condivisibile il principio; nel caso di specie, però, può dirsi che P.L. s.r.l. abbia riattivato il procedimento notificatorio in un congruo termine: non risulta dagli atti di causa la data in cui il plico è stato restituito al mittente e, tuttavia, è immaginabile che ciò sia avvenuto in circa dieci giorni dalla notificazione e, quindi, intorno al 10 aprile. La nuova notifica, avvenuta via PEC, il 9 maggio è dunque stata effettuata in un termine che può reputarsi congruo.

  1. Alla declaratoria di irricevibilità del ricorso per tardività il giudice di primo grado avrebbe dovuto arrestare la sua pronuncia. Come preannunciato, però, la sentenza impugnata riporta, in motivazione, anche un capo di merito nel quale è giudicato infondato il motivo di ricorso proposto da P.L. s.r.l.

6.1. La Corte di Cassazione ha da tempo chiarito che “qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità, con la quale si sia spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia (e lo stesso vale per le declinatorie di giurisdizione o di competenza), abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito della causa, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnarle, di talchè l’impugnazione, mentre è ammissibile nella parte in cui sia rivolta contro la statuizione pregiudiziale, è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata” (Cass. civ., Sezioni Unite, 30 ottobre 2013, n. 24469 e Cass. civ. Sezioni Unite, 20 febbraio 2007, n. 3840).

6.2. Il principio va adeguato al giudizio di appello dinanzi al Consiglio di Stato, con la precisazione che il motivo di appello proposto avverso la parte di merito di una sentenza che abbia, con statuizione pregiudiziale, dichiarato irricevibile o inammissibile il ricorso proposto, vale come riproposizione del motivo assorbito ai sensi dell’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm.

  1. Il secondo motivo di appello (rubricato: “Error in iudicando: inesistenza dell’onere dichiarativo ed intrasmissibilità di un requisito soggettivo; motivazione errata ed omessa”) censura la sentenza di primo grado per aver confermato la legittimità del provvedimento di esclusione di P.L. s.r.l. dalla procedura di gara per omessa dichiarazione dei gravi errori professionali ex art. 38, comma 1, lett. f), D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 commessi nell’esecuzione di precedenti contratti di appalto da U.M. s.p.a. (nel Comune di Ravello) e Consorzio U.V. la città (nel Comune di Latina), dai quali, attraverso due successivi passaggi, la P.L. s.r.l. aveva ottenuto la disponibilità dell’azienda.

7.1. Sostiene l’appellante che l’aver commesso errori professionali nell’esecuzione di precedenti contratti di appalto costituisce un requisito soggettivo intrasmissibile nei successivi passaggi di titolarità dell’azienda; esso, dunque, rimane in capo all’imprenditore (concetto diverso da azienda, sottolinea la parte) che li ha commessi e non è trasferito ai successivi titolari dell’azienda che, dunque, non sono tenuti a darne atto nelle loro dichiarazioni.

Peraltro, specifica ancora la parte, il trasferimento d’azienda, invero già riconosciuto come a scopo elusivo dal Consiglio di Stato, nella sentenza 7 giugno 2017 n. 2733, quanto alla cessione intervenuta tra Consorzio U. e U.M. s.p.a., di certo non è tale nell’affitto intervenuto tra T.C.M. s.r.l. (nuova denominazione di U.M. s.p.a.) e P.L. s.r.l., non essendo ravvisabile alcuna forma di collegamento tra le due imprese.

  1. Il motivo è infondato e va respinto.

8.1. L’azienda nella disponibilità di P.L. s.r.l. ha subito i seguenti passaggi di mano: è stata ceduta dal Consorzio U. a U.M. s.p.a. con contratto di cessione d’azienda 7 febbraio 2012 e successivamente affittata da U.M. s.p.a., nella nuova denominazione di T.C.M. s.r.l. all’odierna appellante P.L. s.r.l. con contratto del 30 marzo 2016.

8.2. L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 4 maggio 2012 n. 10 ha interpretato l’art. 38, comma 2, D.Lgs. 12 aprile 2006 nel senso che ai “soggetti cessati dalla carica di amministratore e direttore tecnico, n.d.s. nell’anno antecedente alla data di pubblicazione del bando” – dei quali il concorrente è tenuto ad attestare il possesso dei requisiti generali di partecipazione – vanno equiparati anche gli amministratori e i direttori tecnici delle aziende che il concorrente abbia acquisito mediante cessione di azienda nell’anno precedente. L’operatore economico è tenuto, pertanto, ad attestare i requisiti di moralità anche degli amministratori e dei direttori tecnici della società che gestiva l’azienda nell’anno precedente alla pubblicazione del bando.

La giurisprudenza successiva ha equiparato alla cessione d’azienda il contratto di affitto di azienda (cfr. Cons. Stato, sez. V, 11 giugno 2018, n. 3607; sez. V, 21 agosto 2017, n. 4045; sez. V, 3 febbraio 2016, n. 412 in cui si afferma chiaramente: “La fattispecie di “cessione di azienda”, cui si riferiscono le citate pronunce (in particolare, la sentenza del Consiglio di Stato, Ad. Plen. 4 maggio 2012, n. 10), è sicuramente rappresentata dal trasferimento dell’azienda, riferibile ad una vicenda traslativa, ma è estensibile, per identità di ratio, anche all’affitto d’azienda. Infatti, pur se nel Codice degli appalti manca una norma, con effetto preclusivo, che preveda in caso di cessione o affitto d’azienda un obbligo specifico di dichiarazioni in ordine ai requisiti soggettivi degli amministratori e direttori tecnici della cedente (atteso che l’art. 51 del codice si occupa della sola ipotesi di cessione del ramo d’azienda successiva all’aggiudicazione della gara), tuttavia si deve ritenere che il citato art. 38, comma 1, lett. c), comprende anche ipotesi non testuali, ma pur sempre ad essa riconducibili sotto il profilo della sostanziale continuità del soggetto imprenditoriale a cui si riferiscono (così A.P. n. 10 del 2012 per la fattispecie specifica della cessione d’azienda)”) ed ha precisato che l’obbligo di dichiarazione riguarda tutti i requisiti di partecipazione a procedure di affidamento e, dunque, non solo l’assenza di precedenti condanne penali (lett. c) dell’art. 38 cit.), ma anche l’assenza di grave errore professionale nell’esecuzione di precedenti contratti (lett. f) dell’art. 38 cit.) (cfr. Cons. Stato, sez. V, 7 giugno 2017, n. 2733).

8.3. La P.L. s.r.l. era, dunque, tenuta ad attestare il possesso dei requisiti generali di partecipazione degli amministratori e direttori tecnici della società locatrice dell’azienda, la U.M. s.p.a..

8.4. L’estensione dell’obbligo di attestazione dei requisiti di moralità agli amministratori cessati dalla carica (nell’anno antecedente alla pubblicazione del bando: art. 38 cit.) nonché agli amministratori cedenti l’azienda (o la cui azienda sia stata fusa per incorporazione: Adunanza plenaria nn. 10 e 21 del 2012) è per evitare la partecipazione alla procedura di gara di una società già utilizzata per commettere illeciti e “ripulita” mediante il ricambio degli amministratori ovvero attraverso un successivo passaggio di mano.

Ciò in ragione di una presunzione di continuità tra la vecchia e nuova gestione imprenditoriale – tale che le vicende circolatorie sottendono, in realtà, l’unicità dell’imprenditore – che, pure, può essere superata dando la prova della cesura tra l’una e l’altra (cfr. Adunanza plenaria n. 12 del 2010: “Ad ogni modo, proprio nella logica del cennato fenomeno della dissociazione, al cessionario va riconosciuta la possibilità di comprovare che la cessione si è svolta secondo una linea di discontinuità rispetto alla precedente gestione, tale da escludere alcuna influenza dei comportamenti degli amministratori e direttori tecnici della cedente”).

8.5. Questa sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza 7 giugno 2017, n. 2733, ha già dichiarato la continuità aziendale nei rapporti tra il Consorzio U. e U. M. s.r.l. (poi divenuta T.C.M. s.r.l.) in giudizio instaurato dall’odierna controinteressata avverso il provvedimento di aggiudicazione adottato dal Comune di San Giorgio a Cremano, ritenendo mai avvenuta la cesura tra vecchia e nuova gestione.

8.6. La continuità aziendale non può dirsi venuta meno neppure nel passaggio, avvenuto mediante l’affitto dell’azienda, tra la T.C.M. s.r.l. e l’odierna appellante P.L. s.r.l.

L’appellante ha solo dichiarato l’inesistenza di legami tra le due società, senza darne compiutamente prova. La visura camerale della T.C.M. s.r.l., versata in atti dalla controinteressata, dimostra, invece, la coincidenza (sia pur parziale) nella proprietà delle due società, essendo il capitale di T.C.M. s.r.l. detenuto in gran parte da I.G. H. s.r.l. che è socia con il 45% delle quote anche di P.L. s.r.l..

D’altronde, l’appellante non ha fornito la visura camerale attestante la compagine sociale dell’altra società (la A.G. s.r.l.) che detiene la quota maggioritaria del suo capitale sociale.

I documenti in atti, più che indirizzare nel senso dell’estraneità delle società parti del contratto di affitto, conducono, ancora una volta, a ritenere la presenza dell’unicità imprenditoriale, sia pur variamente interpolata mediante diverse strutture societarie.

  1. Con un ultimo motivo di appello P.L. s.r.l. censura la sentenza di primo grado per “Error in iudicando: violazione degli art. 38 e 46 del D.Lgs. n. 163 del 2006”. Ritiene l’appellante (rivolgendo la sua critica alla sentenza di primo grado, ma di fatto contestando il provvedimento di esclusione) che nel caso di specie non potesse farsi applicazione del principio giurisprudenziale per il quale l’omessa dichiarazione dei requisiti è essa stessa causa di esclusione, quale che sia la rilevanza del fatto taciuto. Ciò per essere stati gli errori professionali non dichiarati commessi dai precedenti titolari dell’azienda e non conosciuti se non dopo la stipulazione del contratto di affitto (mediante il ricorso di cui si è già detto dal quale è scaturita la citata sentenza di questo Consiglio di Stato n. 2733 del 2017).
  2. Il motivo è infondato e va respinto.

Sull’ignoranza dei precedenti errori professionali che avevano condotto al provvedimento di risoluzione contrattuale del Comune di Ravello e al documento di non regolare esecuzione rilasciato dal Comune di Latina è dato dubitare per le ragioni esposte in precedenza sull’unicità dell’assetto imprenditoriale delle società contraenti l’affitto d’azienda; ad ogni modo, a parere del Collegio, la vicenda in esame, proprio per tutte le considerazioni finora svolte, non giustifica la deroga all’orientamento consolidato per il quale l’esclusione dalla procedura consegue per il solo fatto dell’omessa dichiarazione dei requisiti di cui all’art. 38, comma 1, D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (ex multis: Cons. Stato, sez. V, 4 dicembre 2017, n. 5707; sez. V, 27 settembre 2017, n. 4527, che, in relazione ai gravi errori professionali ha escluso anche l’utilizzabilità dell’istituto del soccorso istruttorio; sez. V, 10 agosto 2017, n. 3980; sez. V, 25 luglio 2016, n. 3402).

  1. In conclusione, i motivi di ricorso proposti dalla P.L. s.r.l. avverso il provvedimento impugnato devono essere respinti.
  2. L’accoglimento del primo motivo di appello giustifica la compensazione delle spese di lite tra tutte le parti in causa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Campania n. 5406/2017, decidendo nel merito, respinge il ricorso proposto da P.L. s.r.l.

Compensa le spese del giudizio tra tutte le parti in causa.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 aprile 2018 con l’intervento dei magistrati:

Francesco Caringella, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere

Valerio Perotti, Consigliere

Federico Di Matteo, Consigliere, Estensore


Atti giudiziari e raccomandate: i nuovi moduli di Poste Italiane

Con una nota dello scorso 13 giugno 2018 (sotto allegata) il Ministero della Giustizia ha trasmesso agli interessati la comunicazione di Poste italiane S.p.A. riguardante la nuova modulistica predisposta per l’invio degli atti giudiziari e delle raccomandate giudiziarie.

La trasmissione è avvenuta nei confronti del Presidente e del Procuratore generale della Cassazione, dei Presidenti e Procuratori generali delle Corti d’appello, del Presidente del Tribunale superiore delle acque pubbliche, nonché, per conoscenza, al Consiglio Nazionale Forense con preghiera di assicurarne, per quanto di rispettiva competenza, idonea diffusione presso le cancellerie e le segreterie giudiziarie.

Poste Italiane, infatti, ha evidenziato la necessità che, a partire da lunedì 4 giugno 2018, sia utilizzata la nuova modulistica predisposta per l’invio di Atti Giudiziari e Raccomandate Giudiziarie, precisando che, qualora il mittente non utilizzi i nuovi modelli, sarà invitato al riallestimento degli invii.

Nuovi modelli: la richiesta agli indirizzi e-mail di Poste

Poste ha chiarito che i nuovi modelli saranno forniti, ai sensi della Convenzione attualmente vigente con il Ministero della Giustizia, mediante invio della richiesta agli indirizzi e-mail contenuti nell’allegato 1, riportato in calce alla comunicazione.

Nella richiesta dovrà essere indicato come oggetto della comunicazione “Richiesta modulistica AG e RAG“, in funzione del centro di appartenenza.

Per quanto riguarda ogni ulteriore e differente modulo per i servizi postali, viene fornito dalla comunicazione un apposito link alla pagina di modulistica a cui sarà possibile fare riferimento.

Leggi: Comunicazione Ministero Giustizia modulistica AG e RAG 2018

Leggi: Raccomandata giudiziaria-scheda-tecnica 2018


Notifica senza rispettare i criteri di riparto territoriale, nullità o irregolarità?

La Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con sentenza n.17533 del 22 maggio 2018, è giunta a risolvere la questione riguardante gli effetti prodotti dalla notifica eseguita dall’ufficiale giudiziario al di fuori dall’ambito territoriale di pertinenza dell’UNEP al quale è stato assegnato.

La soluzione delle Sezioni Unite è scaturita principalmente a seguito dell’interpretazione del combinato disposto delle norme relative alla nullità, artt. 156, primo e terzo comma, e 159 del codice di procedura civile, nonché dei criteri di riparto territoriale, di cui agli artt. 106 e 107 del decreto 15 dicembre 1959, n. 1229 relativo all’ordinamento degli ufficiali giudiziari e degli aiutanti ufficiali giudiziari.

La questione merita particolare attenzione, posto che, sul punto nel corso del tempo, si è assistito all’evolversi di orientamenti giurisprudenziali differenti.

Gli ufficiali giudiziari (al pari degli aiutanti ufficiali giudiziari e dei coadiutori degli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti) sono assegnati agli Uffici notificazioni, esecuzioni e protesti (UNEP), istituiti presso ciascuna Corte d’appello e presso ogni Tribunale che non sia sede di Corte d’appello (art. 3 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, nel testo vigente e art. 101, comma 1, del d.P.R. n. 1229 del 1959).

In base all’art. 106, primo comma, del sopracitato d.P.R. dicembre 1959, n. 1229: “l’ufficiale giudiziario compie con attribuzione esclusiva gli atti del proprio ministero nell’ambito del mandamento ove ha sede l’ufficio al quale è addetto”; il successivo art. 107 – dopo avere, al primo comma, stabilito che “per la notificazione degli atti in materia civile ed amministrativa da eseguire fuori del Comune ove ha sede l’ufficio, l’ufficiale giudiziario deve avvalersi del servizio postale, a meno che la parte chieda che la notificazione sia eseguita di persona” – al secondo comma prescrive che: “tutti gli ufficiali giudiziari possono eseguire, a mezzo del servizio postale, senza limitazioni territoriali, la notificazione degli atti relativi ad affari di competenza delle autorità giudiziarie della sede alla quale sono addetti”.

Rilevanza della nullità
L’art. 156 del codice di procedura civile sancisce il principio generale di tassatività delle nullità degli atti del processo, stabilendo che esse devono essere previste dalla legge e aggiungendo che tale principio è derogabile (nel senso che la nullità può essere in ogni caso pronunciata) soltanto nell’ipotesi in cui l’atto sia privo dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo, mentre reciprocamente la nullità non può essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato.

Per il successivo art. 160 cod. proc. civ. la notificazione è nulla se non sono osservate le disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata la copia oppure se vi è incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta o sulla data.

Contrasto giurisprudenziale
La Corte di Cassazione in un risalente orientamento configurò la suddetta fattispecie come mera irregolarità della notificazione, sanabile con la comparizione in giudizio del destinatario considerando la competenza dell’ufficiale giudiziario come di tipo amministrativo e non giurisdizionale (Cass. 5 gennaio 1945, n. 2).

Tale orientamento venne criticato da autorevole dottrina che sostenne che tra le nullità della notificazione di cui all’art. 160 del codice procedura civile e l’inesistenza della notificazione avrebbe dovuto essere contemplata l’ipotesi di considerare come una vera e propria nullità, quella attinente ad un presupposto essenziale dell’atto di notificazione e quindi determinante un vizio logicamente precedente rispetto a quelli previsti nell’art. 160 c.p.c., come tale riconducibile alla disciplina dettata dall’art. 156 cod. proc. civ. ma sanabile dalla comparizione in giudizio del destinatario.

Nel corso del tempo nella giurisprudenza di legittimità si è dunque consolidato un indirizzo sostanzialmente conforme a tale dottrina in base al quale la notificazione effettuata da un ufficiale giudiziario extra districtum non si considera affetta da nullità assoluta, ma soltanto da nullità relativa sanabile, con effetto ex tunc, qualora l’atto abbia raggiunto il suo scopo, rappresentato dalla costituzione del destinatario in giudizio, dovendo in caso contrario il giudice disporre la rinnovazione della notifica ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ. (ex multis: Cass. 11 febbraio 1995, n. 1544 e di recente Cass. 19 settembre 2014, n. 19834).

Superamento dell’indirizzo precedente
La Corte di Cassazione, attraverso questa sentenza, ha ritenuto di superare, l’orientamento ormai diffuso che considera affetta da nullità la notifica eseguita da ufficiale giudiziario eccedendo i limiti delle proprie attribuzioni territoriali.

Ciò alla luce, non solo delle argomentazioni svolte dalla giurisprudenza amministrativa, la quale, muovendo dalla premessa per cui gli artt. 106 e 107 del d.P.R, n. 1229 del 1959 non regolano la “competenza” territoriale degli ufficiali giudiziari, bensì la ripartizione delle relative attribuzioni, ha precisato che la violazione delle norme di cui agli artt. 106 e 107 d. P.R. n. 1229 del 1959 non costituisce causa di nullità della notificazione, ma semplice irregolarità della stessa, non rilevante ai fini processuali (Cons. Stato Sez. IV, 13 ottobre 1983, n. 714; Cons. Stato, Sez. IV, 14 dicembre 2004, n. 8072), ma anche a seguito degli sviluppi della giurisprudenza di legittimità più recente, nella quale viene data ampia applicazione ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo (Cass. SU 20 luglio 2016, n. 14916),

Principi a cui si sono ispirate le Sezioni Unite
Tale soluzione è conforme non solo al principio di tassatività delle nullità processuali (art. 156 cod. proc. civ.), ma anche ai principi del giusto processo di cui all’art. 111, secondo comma, Cost. che, in coerenza con l’art. 6 CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, comporta una maggiore rilevanza allo scopo del processo, costituito dalla tendente finalizzazione ad una decisione di merito, che impone di discostarsi da interpretazioni suscettibili di ledere il diritto di difesa della parte o che, comunque, risultino ispirate ad un eccessivo formalismo ( ex multis, Corte EDU: sentenze Běleš e altri c. Repubblica ceca, 12 novembre 2002-§ 62; Trevisanato c. Italia, 15 settembre 2016- § 45).

Dal punto di vista sistematico, questa soluzione, oltre ad avere il pregio di essere uguale a quella applicata dalla prevalente giurisprudenza amministrativa, con conseguente semplificazione del sistema complessivo, è anche in linea con le profonde evoluzioni che si sono avute in materia di notificazione contraddistinte dalla perdita di rilievo del requisito territoriale del notificante.

Ma vi è di più, tale soluzione è anche in linea con il progressivo evolversi della tecnologia, si pensi alla crescente diffusione delle notifiche a mezzo posta e di quelle eseguite in proprio dagli avvocati, ora anche mediante PEC ( Posta Elettronica Certificata).

Lo stesso accade anche in ambito UE sia con riguardo al titolo esecutivo europeo (Cass. 22 maggio 2015, n. 10543) sia per quel che si riferisce al riconoscimento, ai sensi del regolamento 13 novembre 2007, n. 1393/2007/CE, di una competenza generalizzata agli organi mittenti (per l’Italia: gli UNEP costituiti le Corti d’appello o presso i Tribunali che non siano sede di Corti d’appello) in relazione a tutti gli atti da notificare negli Stati membri dell’Unione, senza limiti territoriali.

Principio di diritto pronunciato dalle Sezioni Unite
“In tema di notificazione, la violazione delle norme di cui agli artt. 106 e 107 d.P.R. n. 1229 del 1959 costituisce una semplice irregolarità del comportamento del notificante la quale non produce alcun effetto ai fini processuali e quindi non può essere configurata come causa di nullità della notificazione.
In particolare, la suddetta irregolarità, nascendo dalla violazione di norme di organizzazione del servizio svolto dagli ufficiali giudiziari non incide sull’idoneità della notificazione a rispondere alla propria funzione nell’ambito del processo e può, eventualmente, rilevare soltanto ai fini della responsabilità disciplinare o di altro tipo del singolo ufficiale giudiziario che ha eseguito la notificazione”.


Nuove Tariffe Postali 2018

… dal sito di Poste Italiane

A partire dal 3 luglio 2018, nel rispetto dei limiti e delle prescrizioni disposte dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, varieranno le condizioni economiche di alcuni servizi universali di corrispondenza e pacchi così come di seguito indicato:

  • Le tariffe della Posta 4 (Retail) saranno incrementate in tutti gli scaglioni di peso, ad eccezione delle tariffe del sesto scaglione (350-1000 gr) del formato Medio Standard e del settimo scaglione (1000-2000 gr) Extra Formato che resteranno invariate, mentre le tariffe del terzo scaglione (50-100 gr) del formato Medio Standard e del quinto scaglione (250-350 gr) Extra Formato saranno ridotte. In particolare, la tariffa per gli invii fino a 20 grammi varierà da 0,95 euro a 1,10 euro.
  • Le tariffe della Postamail Internazionale saranno incrementate in tutti gli scaglioni di peso, per tutte le zone tariffarie di destinazione e per tutti i canali di accettazione (fisici ed online). In particolare, la tariffa per gli invii fino a 20 grammi per la Zona 1 varierà da 1,00 euro a 1,15 euro.
  • Le tariffe della Posta Raccomandata (Retail) saranno incrementate in tutti gli scaglioni di peso. In particolare, la tariffa per gli invii fino a 20 grammi varierà da 5,00 euro a 5,40 euro. Analogamente saranno incrementate anche le tariffe delle comunicazioni connesse alle notifiche degli Atti Giudiziari (Comunicazioni ex legge 890/1982 e Raccomandate Giudiziarie).
  • Le tariffe della Posta Raccomandata Internazionale saranno incrementate in tutti gli scaglioni di peso e per tutte le zone tariffarie di destinazione e per tutti i canali di accettazione (fisici ed online). In particolare, la tariffa per gli invii fino a 20 grammi per la Zona 1 varierà da 6,60 euro a 7,10 euro.
  • Le tariffe della Posta Raccomandata Pro saranno incrementate in tutti gli scaglioni di peso. In particolare, la tariffa per gli invii fino a 20 grammi varierà da 3,40 euro a 3,60 euro. Tale incremento sarà applicato, per la componente di recapito, alle tariffe di Posta Raccomandata Online nazionale.
  • Le tariffe della Posta Assicurata saranno incrementate in tutti gli scaglioni di peso e per tutti i valori assicurati previsti. In particolare, la tariffa per gli invii di valore fino a 50,00 euro e di peso fino a 20 grammi varierà da 5,80 euro a 6,20 euro.
  • Le tariffe della Posta Assicurata Internazionale saranno incrementate in tutti gli scaglioni di peso, per tutti i valori assicurati previsti e per tutte le zone tariffarie di destinazione. In particolare, la tariffa per gli invii di valore fino a 50,00 euro e di peso fino a 20 grammi per la Zona 1 varierà da 7,80 euro a 8,30 euro.
  • La struttura degli scaglioni di peso del Pacco Ordinario Nazionale passerà dagli attuali due (0-10 kg; 10-20 Kg) a tre (0-5 kg; 5-10 Kg; 10-20 Kg). Le tariffe saranno rimodulate nella seguente modalità: 0-5 Kg = 9,00 euro;  5-10 Kg = 11,00 euro; 10-20 Kg = 15,00 euro
  • La tariffa del servizio accessorio Avviso di Ricevimento (singolo) nazionale varierà da 0,95 euro a 1,10 euro mentre la tariffa dell’Avviso di Ricevimento per l’Estero varierà da 1,00 euro a 1,15 euro.

Gli altri servizi universali di recapito non subiranno, in questa occasione, variazioni tariffarie.

Parallelamente, per quel che concerne i Servizi Integrati Notifiche, i corrispettivi dovuti per le attività di postalizzazione e notifica verranno adeguati secondo quanto indicato per le comunicazioni connesse alle notifiche.

Precisiamo che le modifiche tariffarie oggetto della presente comunicazione non tengono conto della revisione della legge 890/1982, le cui disposizioni entreranno in vigore con l’emanazione dell’apposito disciplinare da parte del Ministero dello Sviluppo Economico sulle licenze per le notifiche a mezzo posta.

Le informazioni di dettaglio relative alle variazioni introdotte sono disponibili dal 30 maggio 2018 presso gli uffici postali e negli altri centri di accettazione.


Il GDPR – General Data Protection Regulation – Regolamento generale sulla protezione dei dati personali

Il GDPR – General Data Protection Regulation – Regolamento generale sulla protezione dei dati sarà operativo dal 25 maggio 2018 anche in Italia

Il Garante italiano ha differito di sei mesi i controlli, e quindi le sanzioni derivanti dagli stessi, sull’applicazione del GDPR.

Citiamo testualmente:

“Il Garante italiano si pone nella stessa scia del CNIL, l’Autorità garante francese, che ha dichiarato l’istituzione di un grace period durante il quale non sanzionerà le aziende che, a seguito di ispezioni, dovessero risultare inadempienti rispetto ai nuovi obblighi introdotti dal Regolamento europeo 2016/679 (purché i titolari siano in buona fede, dimostrino di avere avviato un processo di adeguamento e uno spirito di collaborazione con l’Autorità); resteranno sanzionabili le condotte che violano regole già consolidate da tempo nella normativa nazionale e confermati dal GDPR. Resta ovviamente inteso che le suddette Autorità non hanno – né avrebbero potuto farlo – prorogato la piena operatività del GDPR, che rimane il 25 maggio 2018.”

ATTENZIONE: questo non significa che non si debba adeguare  a quanto previsto dal GDPR, ma che i possibili controlli non partiranno immediatamente.


La firma CAdES e la firma PAdES sono equivalenti?

La questione è stata sollevata a seguito di eccezione circa la ritualità della notifica di un controricorso, avvenuta con allegazione al messaggio di PEC di tre files con estensione <*.pdf> e non <*.p7m>, e, quindi, da ritenersi privi di firma digitale.

Con ordinanza interlocutoria (Cass., 31/08/2017, n. 20672), la sez. 6-3 ha investito le Sezioni Unite della quaestio juris relativa alla scelta tra l’alternativa PAdES, opzionata da uno dei controricorrenti, o CAdES della modalità strutturale dell’atto del processo in forma di documento informatico e firmato da notificare direttamente dall’avvocato, circa la configurabilità o meno, al riguardo, ed in particolare, quando l’atto da notificare comprende anche la procura speciale indispensabile per la ritualità del ricorso o del controricorso in sede di legittimità, di una prescrizione sulla forma dell’atto indispensabile al raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156, secondo comma, cod. proc. civ., posta a pena di nullità, nonché, nella stessa fattispecie, sull’applicabilità del principio di sanatoria dell’atto nullo in caso di raggiungimento dello scopo.

L’ordinanza di rimessione

Il formato dell’atto del processo quale documento informatico è regolato dal provvedimento ministeriale del 28/12/2015, art. 12. La struttura del documento firmato è PAdES o CAdES e, nel caso del formato CAdES, il file generato si presenta con un’unica estensione <*.p7m>.

Secondo il collegio rimettente sarebbe sempre indispensabile l’estensione <*.p7m> a garanzia unica dell’autenticità del file, cioè dell’apposizione della firma digitale al file in cui il documento informatico originale è stato formato, solo per il caso in cui il documento informatico originale è creato in formato diverso da quello <*.pdf>.

Ciò sarebbe confermato dal rilievo che la notifica insieme all’atto del processo in forma di documento informatico di un allegato è consentita se questo è in formato <*.pdf>, ma, se il secondo è firmato digitalmente, dovrebbe quest’ultimo appunto recare sempre l’estensione <*.p7m>, a garanzia della sua autenticità (art. 12, comma 2 e art. 13, lett. a), provv. 28/12/2015).

Secondo il collegio rimettente, pertanto,

parrebbe dirsi che con l’imposizione dell’elaborazione del file in documento informatico con estensione <*.p7m> il normatore tecnico abbia inteso offrire la massima garanzia possibile, allo stato, di conformità del documento, non creato ab origine in formato informatico ma articolato anche su di una parte o componente istituzionalmente non informatica, quale la procura a firma analogica su supporto tradizionale, al suo originale composito, incorporando appunto i due documenti in modo inscindibile e, per quel che rileva ai fini processuali e soprattutto-se non altro con riferimento alla presente fattispecie – della regolare costituzione nel giudizio di legittimità (per la quale è da sempre stata considerata quale presupposto indispensabile la ritualità della procura speciale), con assicurazione di genuinità ed autenticità di entrambi in quanto costituenti un unicum”.

In tale prospettiva, per il collegio non dovrebbero poter giovare i precedenti delle sezioni unite e delle sezioni semplici, riferiti al documento nativo analogico, notificato in via telematica con estensione <*.doc> anziché <*.pdf>, ovvero ad un atto trasmesso mediante file con estensione <*.p7m> dedotto come illeggibile ma comunque decifrato, ovvero riguardanti il principio generale dell’insussistenza di un diritto all’astratta regolarità del processo,

visto che l’intrinseca esistenza dell’atto e della procura attiene ad elementi talmente coessenziali dell’uno e dell’altro ai fini di una valida instaurazione del rapporto processuale dinanzi al giudice di legittimità da suggerirne come indispensabile la verifica ufficiosa”.

La normativa italiana

Il processo telematico non è stato ancora esteso dal legislatore al giudizio di cassazione, che resta, ad oggi, un processo essenzialmente analogico.

Fanno eccezione solo le comunicazioni e le notificazioni da parte delle cancellerie delle sezioni civili, secondo quanto previsto dal d.m. 19 gennaio 2016, emesso ai sensi del d.I., 18/10/2012, art. 16, comma 10.

Per tale ragione, si rende necessario estrarre copie analogiche (cioè cartacee) degli atti digitali, secondo il combinato disposto degli artt. 3, 3-bis, 6 e 9 legge, 21/01/1994 n.53 e dell’art. 23, comma 1, cod. amm. Digitale, secondo cui l’avvocato, in qualità di pubblico ufficiale, ha il potere di attestare la conformità agli originali digitali delle copie del messaggio di posta elettronica certificata inviato all’avvocato di controparte, delle ricevute di accettazione e di avvenuta consegna, nonché degli atti allegati, compresivi dalla relazione di notificazione.

La normativa europea

Nella sentenza in esame, la Suprema Corte richiama la Decisione di esecuzione (UE) 2015/1506 della Commissione dell’8 settembre 2015, che stabilisce le specifiche relative ai formati delle firme elettroniche avanzate e dei sigilli avanzati che gli organismi del settore pubblico devono riconoscere, di cui all’art. 27, § 5, e all’art. 37, § 5, del Regolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno.

L’art. 1 stabilisce che

Gli Stati membri che richiedono una firma elettronica avanzata o una firma elettronica avanzata basata su un certificato qualificato, […], riconoscono la firma elettronica avanzata XML, CMS o PDF […]”.

L’allegato alla decisione, nel fissare l’elenco delle specifiche tecniche, stabilisce che

Le firme elettroniche avanzate di cui all’articolo 1 della decisione devono rispettare una delle seguenti specifiche tecniche ETSI, […]: Profilo di base XAdES […]. Profilo di base CAdES […]. Profilo di base PAdES […]”.

Il considerando della medesima decisione chiarisce che il Regolamento (UE) n. 910/2014 obbliga gli Stati membri, che richiedono una firma elettronica avanzata, a riconoscere le firme elettroniche avanzate, aventi formati convalidati conformemente a specifici metodi di riferimento, atteso che, in base al considerando,

Le firme elettroniche avanzate e i sigilli elettronici avanzati sono simili dal punto di vista tecnico”, laddove, in base al considerando, “La definizione di formati di riferimento è intesa a facilitare la convalida transfrontaliera delle firme elettroniche e a migliorare l’interoperabilità transfrontaliera delle procedure elettroniche”.

Pertanto, osservano le Sezioni Unite, che, secondo il diritto dell’Unione,

le firme digitali di tipo CAdES, ovverosia CMS (Cryptographic Message Syntax) Advanced Electronic Signatures, oppure di tipo PAdES, ovverosia PDF (Portable Document Format) Advanced Electronic Signature, che qui interessano, sono equivalenti e devono essere riconosciute e convalidate dai Paesi membri, senza eccezione alcuna”.

Invero,

al fine di garantire una disciplina uniforme della firma digitale nell’UE, sono stati adottati degli standards europei mediante il cd. regolamento eIDAS (electronic IDentification, Authentication and trust Services, ovverosia il Reg. UE, n. 910/2014, cit.) e la consequenziale decisione esecutiva (Comm. UE, 2015/1506, cit.), che impongono agli Stati membri di riconoscere le firme digitali apposte secondo determinati standards tra i quali figurano sia quello CAdES sia quello PAdES (Cons. Stato, Sez. 3, 27/11/2017, n. 5504)”.

La nozione di firma digitale e le differenze tra PAdES e CAdES

Secondo l’Agenzia per l’Italia Digitale, la firma digitale è il risultato di una procedura informatica – detta validazione – che garantisce l’autenticità e l’integrità di documenti informatici.

Essa conferisce al documento informatico le peculiari caratteristiche di:

  1. a) autenticità (perché garantisce l’identità digitale del sottoscrittore del documento);
  2. b) integrità (perché assicura che il documento non sia stato modificato dopo la sottoscrizione);
  3. c) non ripudio (perché attribuisce validità legale al documento).

Osservano i Giudici che

la stessa Agenzia precisa che la firma digitale in formato CAdES dà luogo ad un file con estensione finale <*.p7m> e può essere apposta a qualsiasi tipo di file, ma per visualizzare il documento oggetto della sottoscrizione è necessario utilizzare un’applicazione specifica. Invece, la firma digitale in formato PAdES, più nota come «firma PDF», è un file con normale estensione <*.pdf>, leggibile con i comuni readers disponibili per questo formato; inoltre prevede diverse modalità per l’apposizione della firma, a seconda che il documento sia stato predisposto o meno ad accogliere le firme previste ed eventuali ulteriori informazioni, il che rende sì il documento più facilmente fruibile, ma consente di firmare solo documenti di tipo PDF. Dunque, anche l’Agenzia certifica la piena equivalenza, riconosciuta a livello europeo, delle firme digitali nei formati CAdES e PAdES”.

In realtà, precisano le Sezioni Unite,

sin dal 2006 il CNIPA (Centro nazionale per l’informatica nella Pubblica amministrazione), organismo all’epoca competente, e la società titolare del marchio (Adobe Systems) fu sottoscritto un protocollo, che riconobbe il formato PDF valido per la firma digitale, così come definita dal Codice dell’amministrazione digitale e in conformità alla Delib. CNIPA/4/2005”.

La firma nel processo civile

L’art. 12 del decreto dirigenziale del 16 aprile 2014 (contenente le Specifiche tecniche previste dall’art. 34 d.m. 21 febbraio 2011 n. 44), stabilisce, al primo comma, che

L’atto del processo in forma di documento informatico, da depositare telematicamente all’ufficio giudiziario, rispetta i seguenti requisiti:

a) è in formato PDF;

b) è privo di elementi attivi;

c) è ottenuto da una trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti; non è pertanto ammessa la scansione di immagini;

d) è sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata esterna secondo la struttura riportata ai commi seguenti;

e) è corredato da un file in formato XML, che contiene le informazioni strutturate nonché tutte le informazioni della nota di iscrizione a ruolo, e che rispetta gli XSD riportati nell’Allegato 5; esso è denominato DatiAtto.xml ed è sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata”.

Al secondo comma, precisa:

La struttura del documento firmato è PAdES-BES (o PAdES Part 3) o CAdES-BES; il certificato di firma è inserito nella busta crittografica; è fatto divieto di inserire nella busta crittografica le informazioni di revoca riguardanti il certificato del firmatario. La modalità di apposizione della firma digitale o della firma elettronica qualificata è del tipo «firme multiple indipendenti» o «parallele», e prevede che uno o più soggetti firmino, ognuno con la propria chiave privata, lo stesso documento (o contenuto della busta). L’ordine di apposizione delle firme dei firmatari non è significativo e un’alterazione dell’ordinamento delle firme non pregiudica la validità della busta crittografica; nel caso del formato CAdES il file generato si presenta con un’unica estensione p7m. Il meccanismo qui descritto è valido sia per l’apposizione di una firma singola che per l’apposizione di firme multiple”.

Concludono i Giudici

Dunque, secondo la normativa nazionale, la struttura del documento firmato può essere indifferentemente PAdES o CAdES. Il certificato di firma è inserito nella busta crittografica, che è pacificamente presente in entrambi gli standards abilitati (www.agid.gov.it/sites/default/files/linee guida/firme multiple.pdf) a mente dell’art. 1, lett. y) – z), del decreto dirigenziale del 16 aprile 2014. Solo nel caso del formato CAdES l’art. 12 è, ovviamente, tenuto a precisare che il file generato si presenta denominato coll’estensione finale <*.p7m>, detta anche suffisso, ovverosia <nomefile.pdf.p7m>. Nel caso del formato PAdES, invece, l’art. 12 non dà alcuna indicazione, perché tecnicamente il file sottoscritto digitalmente secondo tale standard mantiene il comune aspetto, che è solo apparentemente indistinguibile, poiché la busta crittografica generata con la firma PAdES contiene sempre il documento, le evidenze informatiche e i prescritti certificati. Il che offre tutte le garanzie e verifiche del caso, anche secondo il diritto euro-unitario (http://www.agid.gov.it/agenda-digitale/infrastrutture- architetture/firme-elettroniche/software-verifica)”.

Venendo alle conclusioni, secondo gli ermellini

si deve escludere che le disposizioni tecniche tuttora vigenti (pure a livello di diritto dell’UE) comportino in via esclusiva l’uso della firma digitale in formato CAdES, rispetto alla firma digitale in formato PAdES. Né sono ravvisabili elementi obiettivi, in dottrina e prassi, per poter ritenere che solo la firma in formato CAdES offra garanzie di autenticità, laddove il diritto dell’UE e la normativa interna certificano l’equivalenza delle due firme digitali, egualmente ammesse dall’ordinamento sia pure con le differenti estensioni <*.p7m> e <*.pdf>. Addirittura, nel processo amministrativo telematico, per ragioni legate alla piattaforma interna, è stato adottato il solo standard PAdES (artt. 1, 5, 6, specifiche tecniche p.a.t., d.P.R. 16/02/2016, n. 40), mentre la giurisprudenza amministrativa riconosce la validità degli standards dell’UE tra i quali figurano, come già detto, sia quello CAdES, sia quello PAdES (Cons. Stato, n. 5504/2017, cit.)”.

Leggi: Cass. Sez. Unite 10266-2018 Equiparazione firma CADES e PADES


Mobilità volontaria: Comune di Gorgonzola (MI)

Il Comune di Gorgonzola (Città metropolitana di Milano) ha la necessità di procedere all’assunzione URGENTE (da: prima possibile) di un  collaboratore amministrativo – messo comunale, categoria B3, a tempo pieno e indeterminato.

Si  chiede pertanto di conoscere l’interesse alla mobilità volontaria presso il predetto Ente di personale appartenente a tale categoria professionale, si chiede altresì l’esistenza di eventuali graduatorie concorsuali per assunzioni a tempo indeterminato in corso di validità, per la predetta categoria e profilo professionale, da cui poter  attingere previa sottoscrizione di apposita convenzione.

Per informazioni:

Dott.ssa Rosamarina Facchinetti

Responsabile dei servizi di Amministrazione generale e Gestione delle Risorse Umane

Città di Gorgonzola

Via Italia 62 – 20064 Gorgonzola MI

(Ingresso Piazzetta C. Ripamonti – 20064 Gorgonzola MI)

marina.facchinetti@comune.gorgonzola.mi.it

Tel. 02 95701 260 – Fax. 02 9511 176


Pasqua 2018

Pasqua 2018.pub


Nuovo regolamento privacy (GDPR): cos’è e cosa cambia

Ne sentiamo parlare ormai da diverse settimane sui media, sui social e negli ambienti professionali in modo tamburellante; alcuni si spingono a dipingere scenari foschi per le imprese che devono aggiornarsi ed adeguarsi alle nuove regole.

La prossima entrata in vigore, prevista per il 25 maggio 2018, del Regolamento Europeo della Privacy n. 2016/679, comunemente detto GDPR, pone la necessità di evidenziare le principali differenze tra tale normativa e quella attualmente in vigore in Italia, in modo da avere presente quali devono essere i punti di attenzione per  risultare in linea con la disciplina europea.

Invero, il D. Lgs. n. 196/2003, Codice del trattamento dei dati personali, non viene del tutto abrogato, ma alcune disposizioni in esso contenute devono essere modificate o integrate alla luce delle disposizioni del GDPR, il cui scopo è fornire a tutti gli Stati membri della UE regole comuni in materia di trattamento dei dati personali, in modo da eliminare le disparità di trattamento tra i soggetti dell’Unione.

Fin dalla sua pubblicazione nella gazzetta Ufficiale della UE, nel 2016, il GDPR ha posto questioni interpretative, alcune delle quali ancora da risolvere da parte principalmente del Garante Privacy (non solo italiano, ma di qualunque Stato membro) e di coordinamento con la disciplina nazionale già in vigore. A tal fine, il Garante Privacy ha attivato non solo una serie di tavoli di lavoro con i rappresentanti delle maggiori realtà associative italiane, private e pubbliche, ma sta anche svolgendo un lavoro interpretativo e coordinativo, in modo da fornire agli interessati le indicazioni chiare e necessarie per poter adeguarsi alla nuova normativa.

Tra le varie iniziative finora intraprese, lo stesso Garante ha pubblicato una Guida in cui illustra le principali modifiche che il GDPR apporta al D. Lgs. n. 196/2003, rilevando le differenze tra le due leggi. Scopo del presente articolo è, quindi, riassumere in maniera sintetica le più rilevanti tra tali modifiche.

  • Fondamenti di liceità del trattamento: sono indicati nell’art. 6 del GDPR e, in linea di massima, coincidono con quelli del D. Lgs. n. 196/2003 (consenso, adempimento obblighi contrattuali, interessi vitali della persona interessata o di terzi, doveri del titolare, interesse pubblico o esercizio di pubblici poteri, interesse legittimo prevalente del titolare o di terzi cui i dati sono comunicati), con alcuni cambiamenti:
    • Consenso: (i) deve essere esplicito per i dati sensibili e in caso di trattamenti automatizzati, compresa la profilazione. “Esplicito” non è sinonimo di forma scritta, benché questa è la modalità idonea per configurare l’inequivocabilità del consenso e, in ogni caso, il titolare deve essere in grado di dimostrare che l’interessato ha prestato il consenso a uno specifico trattamento; (ii) il consenso dei minori è valido a partire dai 16 anni.
    • Interesse vitale di un terzo: è invocabile a condizione che, nella fattispecie concreta, nessuna delle altre condizioni di liceità può trovare applicazione.
    • Interesse legittimo prevalente di un titolare o di un terzo: il bilanciamento tra tale interesse e i diritti e la libertà dell’interessato spetta allo stesso titolare (estensione del principio di “responsabilizzazione”, uno dei cardini del GDPR).
    • Informativa: i contenuti dell’Informativa sono tassativamente indicati negli artt. 13, par. 1, e 14, par. 1, del GDPR. In particolare, essa deve contenere: (i) i dati di contatto del RDP-DPO (Responsabile della protezione dati – Data Protection Officer), ove esistente; (ii) la base giuridica del trattamento; (iii) l’interesse legittimo, se costituisce la base legittima del trattamento; (iv) se i dati sono trasferiti in Paesi terzi e, in caso affermativo, attraverso quali strumenti; (v) periodo di conservazione dei dati o i criteri per stabilire tale periodo; (vi) diritto di presentare un reclamo all’autorità di controllo; (vi) in caso di processi decisionali automatizzati, compresa la profilazione, indicazione della logica di tali processi e delle conseguenze previste per l’interessato.
      Nell’ipotesi di dati personali non raccolti direttamente presso l’interessato, l’Informativa deve essere fornita entro un tempo non superiore a un mese dalla raccolta, oppure al momento della comunicazione dei dati.

      • Caratteristiche dell’Informativa: concisa, trasparente, intellegibile per l’interessato e facilmente accessibile, uso di un linguaggio chiaro e semplice e previsione di idonee informative per i minori.
      • Forma dell’Informativa: date le imprescindibili caratteristiche sopra delineate, in linea di principio è data per iscritto e preferibilmente in formato elettronico, fermo restando che sono ammessi altri mezzi, compresa la forma orale. È ammesso l’uso di icone che ne riassumono i contenuti principali, ma solo in combinazione con l’Informativa estesa. Le icone devono essere uguali in tutti gli Stati membri e saranno definite dalla Commissione europea.
      • Tempi: l’Informativa deve essere fornita all’interessato prima di effettuare la raccolta dei dati o, se questi non sono raccolti direttamente presso l’interessato, deve comprendere anche le categorie dei dati personali oggetto di trattamento. Il titolare deve sempre comunque specificare la propria identità e quella dell’eventuale rappresentante nel territorio italiano, le finalità del trattamento, i diritti degli interessati e, se esiste un responsabile del trattamento, la sua identità e quali sono i destinatari dei dati.
  • Diritti degli interessati:
    • Modalità per l’esercizio dei diritti (artt. 11 e 12 GDPR): il termine per la risposta all’interessato è un mese, estendibile fino a tre mesi in casi di particolare complessità. Il titolare deve sempre dare un riscontro all’interessato entro un mese dalla richiesta, anche in caso di diniego. Spetta al titolare valutare la complessità del riscontro all’interessato e l’ammontare dell’eventuale contributo da chiedere a quest’ultimo, ma solo se si tratta di richieste manifestamente infondate o eccessive o ripetitive, o se prevedono il rilascio di più copie dei dati personali nell’ipotesi di diritto di accesso. La risposta all’interessato deve essere data per iscritto (la forma orale è ammessa solo se espressamente richiesta dall’interessato), concisa, trasparente, facilmente accessibile ed espressa con un linguaggio semplice e chiaro.
    • Diritto di accesso (art. 15 GDPR): è il diritto a ricevere una copia dei dati personali oggetto di trattamento nonché l’indicazione del periodo di conservazione previsto o, se non è possibile prevederlo, dei criteri utilizzati per definire tale periodo e le garanzie applicate in caso di trasferimento dei dati in Paesi terzi.
    • Diritto di cancellazione – diritto all’oblio (art. 17 GDPR): è il diritto di cancellazione dei propri dati personali in forma rafforzata. I titolari hanno l’obbligo, se hanno reso pubblici tali dati, ad esempio pubblicandoli su un sito web, di informare della richiesta di cancellazione altri titolari che trattano i dati personali cancellati, compresi “qualsiasi link, copia o riproduzione”. Rispetto al D. Lgs. n. 196/2003 l’interessato ha il diritto di chiedere la cancellazione dei propri dati anche dopo la revoca del consenso al trattamento.
    • Diritto di limitazione del trattamento (art. 18 GDPR): è un diritto diverso e più esteso rispetto all’attuale “blocco” del trattamento previsto dall’art. 7, comma 3, lett. a) del D. Lgs. n.196/2003. Il GDPR prevede, infatti, che tale diritto possa essere esercitato non solo in caso di violazione dei presupposti di liceità del trattamento (quale alternativa alla cancellazione dei dati), bensì anche se l’interessato chiede la rettifica dei suoi dati o si oppone al trattamento, in attesa della valutazione di tale opposizione da parte del titolare.
    • Diritto alla portabilità dei dati (art. 20 GDPR): è uno dei nuovi diritti introdotti dalla normativa europea. Esso non si applica ai trattamenti non automatizzati (archivi o registri cartacei); sono portabili solo i dati trattati con il consenso dell’interessato o sulla base di un contratto stipulato con l’interessato e solo i dati che siano stati forniti dall’interessato al titolare. Quest’ultimo deve, inoltre, essere in grado di trasferire direttamente i dati portabili a un altro titolare indicato dall’interessato, se tecnicamente possibile.
  • Titolare, Responsabile, Incaricato del trattamento (artt. 26 e ss. GDPR):
    • Contitolarità del trattamento (art. 26 GDPR): i titolari devono definire specificamente con un atto giuridicamente valido il rispettivo ambito di responsabilità e i relativi compiti con particolare riguardo all’esercizio dei diritti degli interessati, che hanno la possibilità di rivolgersi indifferentemente a qualunque titolare operante congiuntamente. Con riferimento al predetto atto giuridicamente valido, l’art. 29 GDPR specifica che deve trattarsi di un contratto (o altro atto giuridico conforme al diritto nazionale) e deve disciplinare tassativamente le materie riportate all’art. 28, par. 3, al fine di dimostrare che il titolare offre garanzie sufficienti (natura, durata e finalità del trattamento, categorie di dati oggetto di trattamento, misure tecniche e organizzative adeguate a consentire il rispetto delle istruzioni impartite dal titolare e delle disposizioni regolamentari). È consentita la nomina di sub-responsabili del trattamento da parte di un responsabile (art. 28, par. 4 GDPR) per specifiche attività di trattamento. Il responsabile risponde davanti al titolare per eventuali inadempimenti del sub-responsabile, salvo che dimostri che l’evento dannoso “non gli è in alcun modo imputabile”.
    • Obblighi specifici in capo ai responsabili del trattamento, distinti da quelli dei titolari: tenuta del registro dei trattamenti svolti (art. 30, par. 2 GDPR); adozione di misure tecniche e organizzative per garantire la sicurezza dei trattamenti (art. 32 GDPR); designazione di un RDP-DPO nei casi previsti dal Regolamento o dalla normativa nazionale (art. 37 GDPR).
      Importante, infine, la previsione dettata dall’art. 27, par. 3, GDPR relativa all’obbligo di nomina di un rappresentante in Italia da parte del responsabile non stabilito nella UE.
  • Approccio basato sul rischio e misure di accountability (i.e. responsabilizzazione) di titolari e responsabili: in generale, si tratta dell’adozione di comportamenti proattivi e tali da dimostrare la concreta adozione di misure finalizzate ad assicurare l’applicazione del Regolamento. In pratica, viene affidato ai titolari il compito di stabilire autonomamente le modalità, le garanzie e i limiti del trattamento dei dati personali, sempre nel rispetto delle normative e dei criteri contenuti nel GDPR.
    • Data protection by default e by design (art. 25 GDPR): analisi preventiva per configurare il trattamento prevedendo a monte, ovvero prima di procedere al trattamento, le garanzie indispensabili al fine di soddisfare i requisiti del Regolamento e tutelare i diritti degli interessati. L’analisi preventiva deve attuarsi attraverso una serie di attività specifiche e dimostrabili, tra cui quelle connesse al rischio inerente al trattamento. Tale rischio è rappresentato da impatti negativi sulle libertà e i diritti degli interessati, che devono essere analizzati attraverso un apposito processo di valutazione, al cui esito il titolare potrà autonomamente decidere se iniziare il trattamento (perché ha adottato misure idonee a mitigare sufficientemente il rischio) o a consultare l’autorità di controllo competente per avere informazioni su come gestire il rischio. Da notare che l’intervento dell’autorità è quindi successiva alle determinazioni del titolare e non è autorizzativa. Ciò spiega l’abolizione, a partire dal 25 maggio 2018, della notifica preventiva dei trattamenti e della verifica preliminare prevista dall’art. 17 del D. Lgs. n. 196/2003.
    • Registro dei trattamenti (art. 30, par. 5 GDPR): tutti i titolari e i responsabili del trattamento, eccettuati gli organismi con meno di 250 dipendenti, ma solo se non effettuano trattamenti a rischio, devono tenere un registro dei trattamenti effettuati, in forma scritta, anche elettronica, che dovrà essere esibito dietro richiesta del Garante.
    • Misure di sicurezza (art. 32 GDPR): il Regolamento prevede una lista aperta e non esaustiva delle misure tali da garantire un livello di sicurezza adeguato al rischio del trattamento. Dopo il 25 maggio 2018 non potranno sussistere obblighi generalizzati di adozione di misure minime di sicurezza, la cui valutazione sarà rimessa, caso per caso, al titolare e al responsabile in rapporto ai rischi specificamente individuati.
    • Notifica delle violazioni di dati personali: prevede l’obbligo in capo a tutti i titolari di notificare all’autorità competente le violazioni di dati personali di cui vengano a conoscenza entro 72 ore e comunque senza giustificato ritardo, ma soltanto se ritengono probabile che da tale violazione derivino rischi per i diritti e le libertà degli interessati. Ne deriva che la notifica all’autorità non è obbligatoria, essendo subordinata (e qui ritorna il principio di responsabilizzazione) alla valutazione da parte del titolare.
    • Responsabile della protezione dei dati (RDP-DPO): è finalizzata a facilitare l’attuazione del Regolamento da parte del titolare/responsabile. Tale figura (che deve rispondere ai requisiti di indipendenza, autorevolezza e competenza managariale), infatti, deve, tra l’altro, sensibilizzare e formare il personale in merito agli adempimenti privacy, nonché sorvegliare sulla valutazione di impatto del rischio. La sua designazione è obbligatoria nei casi previsti dall’art. 37. Si rimanda alle Linee Guida stabilite dal Gruppo art. 29 per le maggiori specifiche relative alla DPO.
  • Trasferimenti di dati verso Paesi terzi e organismi internazionali (artt. 45 ss. GDPR):
    Resta in vigore la necessità della previa autorizzazione del Garante solo nel caso in cui il titolare desidera utilizzare clausole contrattuali non riconosciute come adeguate dalla Commissione europea oppure accordi amministrativi stipulati tra autorità pubbliche. Il Regolamento consente di ricorrere anche a codici di condotta o schemi di certificazione per dimostrare le garanzie adeguate previste dall’art. 46 GDPR. Ne consegue che i titolari o i responsabili del trattamento dei Paesi terzi potranno far valere gli impegni sottoscritti attraverso l’adesione a codici di condotta o a schemi di certificazione, ove questi disciplino anche o esclusivamente i trasferimenti di dati verso Paesi terzi. In ogni caso, tali titolari dovranno assumere un impegno vincolante mediante uno specifico strumento contrattuale o altro strumento giuridicamente vincolabile o azionabile dagli interessati. È vietato il trasferimento verso Paesi terzi sulla base di decisioni giudiziarie o ordinanze amministrative emesse da autorità di tale Paese terzo in mancanza di accordi internazionali di mutua assistenza giudiziaria o simili. In deroga al principio generale, il Regolamento ammette il trasferimento di dati personali verso un Paese terzo non adeguato “per importanti motivi di interesse pubblico”, purché tale interesse sia riconosciuto dal diritto dello Stato membro del titolare o dal diritto dell’UE (quindi, non  rileva l’interesse pubblico riconosciuto dal solo Paese terzo).

Leggi: REGOLAMENTO (UE) 2016-679 privacy 2018


Agcom: emanato il regolamento per le multe e atti giudiziari notificati dai privati

Emanato il regolamento Agcom per il rilascio delle licenze individuali per lo svolgimento del servizio di notifica multe e atti giudiziari da parte dei privati

Venuto meno il monopolio di Poste Italiane sui servizi di notificazione e comunicazioni per atti giudiziari e multe la legge ha attribuito ad Agcom, sentito il Ministero della giustizia ed entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge, la determinazione degli obblighi e dei requisiti per il rilascio delle licenze individuali per lo svolgimento del servizio.

Multe e atti giudiziari ai privati: il regolamento Agcom

Di questo tema si occupa la delibera n. 77/18/Cons (sotto allegata), con la quale l’Agcom ha approvato il regolamento in materia di rilascio delle licenze per svolgere il servizio di notificazione a mezzo posta di atti giudiziari e delle violazioni del codice della strada, dando attuazione alle modifiche introdotte dalla legge sulla concorrenza (n. 124/2017) per la liberalizzazione del servizio. In particolare gli obblighi riguardano il rispetto dei parametri attinenti «alla sicurezza, alla qualità, alla continuità, alla disponibilità e all’esecuzione dei servizi medesimi», i requisiti, invece, dovranno essere delineati alla luce delle richiamate nozioni di affidabilità, professionalità e onorabilità dei richiedenti.

 Requisiti per il rilascio della licenza individuale speciale

La licenza individuale speciale può avere ad oggetto: l’abilitazione a svolgere l’attività di notificazione degli atti giudiziari e delle violazioni del codice della strada; l’abilitazione a svolgere la sola attività di notificazione delle violazioni del codice della strada.

Il soggetto richiedente può essere anche l’operatore capogruppo per il servizio di notificazione svolto con il medesimo segno distintivo e con un’organizzazione unitaria composta dall’aggregazione di più operatori postali che siano titolari di licenza individuale in base al regolamento generale.

 Ai fini del rilascio della licenza è necessario possedere i requisiti di affidabilità; della professionalità, con effettiva esperienza nell’attività di notificazione dimostrata dal richiedente attraverso la produzione di dati di bilancio del biennio precedente da cui risulti: l’attività svolta nel settore postale relativa ad invii certificati e registrati per una percentuale del fatturato totale non inferiore al 10% nel biennio; ovvero, l’attività svolta attraverso messi notificatori, comprovata da almeno tre attestazioni positive qualificate, per un importo non inferiore al 10% del fatturato totale nel biennio; per attestazioni qualificate si intendono quelle relative ad affidamenti da parte di pubbliche amministrazioni, enti locali, compagnie di servizi di pubblica utilità e, più in generale, grandi utenti. Ed infine dell’onorabilità, in primis, dimostrando di non aver commesso violazioni definitivamente accertate, nel triennio anteriore alla data della domanda per il rilascio della licenza, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui risiedono.

Il regolamento stabilisce obblighi in materia di personale dipendente: in particolare quello di «sottoscrivere esclusivamente contratti di lavoro subordinato per l’assunzione del personale addetto alle fasi di accettazione e di recapito del servizio di notificazione a mezzo posta; impiegare un numero di dipendenti non inferiore ai limiti previsti nell’allegato 1, in relazione all’ambito geografico oggetto della licenza») e di qualità di servizio.

Leggi: AGCOM delibera 77-18-CONS 20 02 2018

Leggi: AGCOM delibera 77-18-CONS ALLEGATO A 20 02 2018


8 Marzo 2018 – Festa della donna

FESTA-DONNE-MONDO-2-554x420Ma perché proprio la mimosa per celebrare l’8 marzo? Perché proprio i rametti dai pallini gialli dal profumo intenso e delicato? La mimosa, appartenente alla famiglia delle Mimosaceae, è il simbolo per eccellenza della Festa delle Donne, per via di un avvenimento storico tutto italiano. Nel 1946, su iniziativa delle attiviste Rita Montagnana e Teresa Mattei, l’UDI (Unione Donne in Italia), giunse a scegliere la mimosa, dopo un percorso alquanto complesso. Le donne preferivano l’orchidea, ma la Mattei, che l’anno dopo avrebbe fatto parte dell’Assemblea Costituente, per evitare la scelta ricadesse su un fiore costoso come quello, si inventò una leggenda cinese, raccontando che la mimosa rappresentava per quel popolo il calore familiare e il simbolo della gentilezza femminile, convincendo così il gentil sesso a propendere per i rametti. Una pianta pioniera, spontanea, scelta come simbolo della rivendicazione dei diritti femminili, come emblema della lotta per farli valere; facilmente reperibile proprio in questo periodo, poco costosa, con fiori luminosi, solari, apparentemente delicati, ma forti e rigogliosi… caratteristiche che, a ben vedere, sono tipiche di tutte le donne!

Essere donna è così affascinante. È un’avventura che richiede un tale coraggio, una sfida, che non finisce mai.
(Oriana Fallaci)

Inquadramento contrattuale dei Messi Comunali

In occasione dell’attuale fase di rinnovo contrattuale del comparto autonomie Locali, l’Associazione ha ritenuto utile sottoporre all’attenzione delle Organizzazioni sindacali alcune considerazioni e proposte maturate nel dibattito interno e in occasioni pubbliche in merito alla attuale classificazione degli operatori nostri associati.

Leggi: CCNL rinnovo pro memoria inquadramento Messi Comunali 2018


Nulla la notifica se la p.e.c. del destinatario è attribuita a due società

L’attribuzione del medesimo indirizzo p.e.c. a due società rende nulla, ai sensi dell’articolo 160 del codice di procedura civile, la notifica dell’udienza prefallimentare eseguita utilizzando tale indirizzo se non è possibile accertare se essa è stata effettivamente ricevuta dal destinatario corretto.

Della vicenda, rara ma evidentemente non impossibile, si è occupata la sentenza numero 710/2018 della Corte di cassazione (qui sotto allegata), che ha cassato con rinvio la decisione del Tribunale di Roma di respingere il reclamo proposto da una donna contro la sentenza che aveva dichiarato il fallimento di una società sua debitrice.

P.e.c., dubbi sul destinatario

Come correttamente rilevato anche dal Tribunale (nonostante il diverso approdo), a fronte dell’attribuzione dello stesso indirizzo p.e.c. a due diversi soggetti l’unica ipotesi possibile è che il messaggio sia stato ricevuto solo da uno di loro. Nel caso di specie: o solo dalla società fallita o solo dalla società estranea alla vicenda.

Posto quindi che, dinanzi a una simile situazione, non è possibile sapere con certezza chi dei due abbia ricevuto l’atto notificato, ci si trova di fronte all’ipotesi disciplinata dall’articolo 160 del codice civile, ovverosia all’ipotesi di nullità della notificazione per incertezza assoluta della persona a cui è fatta (superabile solo se l’identità del soggetto può essere comunque ricostruita dal tenore complessivo dell’atto notificato e della relata).

Leggi: Corte di cassazione sentenza numero 710-2018 Nulla la notifica se la pec del destinatario è attribuita a due società