La rinnovazione della notificazione: la riattivazione del procedimento di notificazione effettuata spontaneamente dalla ricorrente cha ha operato una prima notifica nulla produce gli stessi effetti della rinnovazione della notifica concessa dal giudice entro un termine perentorio
“La notificazione che non abbia raggiunto il proprio scopo ossia che non abbia portato il destinatario a conoscenza dell’atto notificato è una notificazione nulla.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 20 luglio 2016, n. 14916, hanno esaminato tutti i vizi della notificazione, distinguendo tra quelli cui consegue l’inesistenza e quelli cui consegue la nullità e relativamente all’inesatta individuazione del luogo di destinazione hanno statuito: “Il luogo in cui la notificazione del ricorso per cassazione (ma la statuizione vale per tutti gli atti notificati, n.d.s.) viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto. Ne consegue che i vizi relativi alla individuazione di detto luogo, anche qualora esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, come tale sanabile, con efficacia ex tunc, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ.)”.
È confermato, dunque, diversamente da quanto ritenuto dall’appellante, che l’inesatta individuazione del luogo in cui la notificazione deve essere eseguita (che, ai sensi dell’art. 145 Cod. proc. civ., per le persone giuridiche va fatta nella loro sede) comporta la nullità della notificazione, con conseguente applicazione, per il giudizio amministrativo, dell’art. 44, comma 4, Cod. proc. amm. per il quale: “Nei casi in cui sia nulla la notificazione e il destinatario non si costituisca in giudizio, il giudice, se ritiene che l’esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante, fissa al ricorrente un termine perentorio per rinnovarla”.
La disposizione delinea una fase processuale ad attivazione officiosa in caso di notificazione eseguita cui non sia seguita, però, la costituzione del destinatario e impone al giudice di accertare se l’esito negativo, ovvero la nullità, dipenda da causa non imputabile al notificante e, in quel caso, fissare un termine perentorio per la sua rinnovazione.
Nel giudizio di primo grado tale fase non ha avuto luogo avendo il giudice solo differito l’udienza camerale “al fine di consentire all’avvocato del ricorrente di procedere alla rinotifica del ricorso” (così nel verbale dell’udienza del 9 maggio 2017). Nessuna verifica sulle ragioni della nullità della notificazione è stata effettuata dal giudice prima di disporre il differimento dell’udienza, non è stata ordinata la rinnovazione della notifica in un termine perentorio che, dunque, può dirsi spontaneamente avvenuta.
La rinnovazione è stata eseguita dalla ricorrente; il procedimento di notificazione è andato a buon fine; il giudice, tuttavia, in sentenza ha ritenuto tardiva la notifica effettuata al controinteressato e irricevibile il ricorso.
Ritiene il Collegio che la riattivazione del procedimento di notificazione effettuata spontaneamente dalla ricorrente cha ha operato una prima notifica nulla produce gli stessi effetti della rinnovazione della notifica concessa dal giudice entro un termine perentorio: ove conclusa con esito positivo sana la nullità della notificazione con effetti retroattivi (l’equiparazione tra spontanea rinnovazione e rinnovazione per ordine del giudice è comune nelle sentenze che affrontano la questione della sanabilità della nullità della notificazione, cfr. Cons. Stato, sez. V, 5 dicembre 2014, n. 6008; sez. V, 13 settembre 2013, n. 4530; sez. V, 31 dicembre 2007, n. 6908; sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5263; sez. IV, 26 luglio 2004, n. 5311).
Nel caso in cui, però, la seconda notifica sia effettuata a termine decorso, come normalmente avviene, è necessario comunque accertare l’imputabilità alla parte della nullità della prima notificazione.
A distinguere la spontanea rinnovazione e la rinnovazione per ordine del giudice, allora, è il momento in cui avviene siffatta verifica dell’imputabilità: nel primo caso quando la notifica è già (ri)attivata e, di solito, perfezionatasi, nel secondo, prima della concessione del termine per la rinnovazione della notifica.
La ricorrente, dunque, che prima dell’udienza ha avuto conoscenza della nullità della notificazione, ha facoltà di procedere alla riattivazione del procedimento notificatorio, senza attendere la concessione di un termine dal giudice; spetterà, poi, comunque, al giudice valutare l’imputabilità della nullità (della prima notifica) alla parte e, se il giudizio dà esito negativo, dichiarare l’irricevibilità del ricorso per tardività…”
Cons. Stato Sez. V, Sent., (ud. 26-04-2018) 18-06-2018, n. 3732
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al numero di registro generale 9148 del 2017, proposto da
P.L. s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Federico Liccardo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Lucrezia Riccio in Roma, p.zza dei Martiri Belfiore, 4;
contro
Comune di Vico Equense, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Erik Furno, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Enrico Califano in Roma, piazza dei Consoli, 11;
nei confronti
- s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Daniele Marrama, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Roberto Gerosa in Roma, via Virgilio, 18;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) n. 05406/2017, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Vico Equense e di E. s.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 aprile 2018 il Cons. Federico Di Matteo e uditi per le parti gli avvocati Federico Liccardo, Ferola in dichiarata delega dell’avvocato Erik Furno;
Svolgimento del processo
- Con determinazione dirigenziale 23 gennaio 2017 n. 144 il Comune di Vico Equense aggiudicava alla P.L. s.r.l. il contratto avente ad oggetto il “servizio di gestione delle aree di sosta a pagamento ubicate sulle strade di proprietà comunale mediante appalto di pubblico servizio”.
- L’aggiudicazione era impugnata dalla seconda graduata, T.M. s.r.l., al Tribunale amministrativo regionale per la Campania con unico motivo di ricorso con il quale era contestata l’ammissione alla procedura della P.L. s.r.l. per omessa dichiarazione di due gravi errori professionali rilevanti ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. f) 12 aprile 2006, n. 163.
2.1. Più esattamente, riferiva la ricorrente, gli errori professionali erano imputabili al Consorzio U. che aveva ceduto l’azienda alla U.M. s.p.a., e proprio a quest’ultima, poi denominata T.C.M. s.r.l., dalla quale la P.L. s.r.l. aveva acquisito in locazione l’azienda medesima con contratto datato 30 marzo 2016. Assumeva la ricorrente che gli errori professionali, commessi dalle società indicate negli appalti gestiti per il Comune di Ravello e per quello di Latina, dovevano essere dichiarati nella domanda di partecipazione alla procedura di gara della P.L. s.r.l.
2.3. Con ordinanza cautelare 21 febbraio 2017 il Tribunale amministrativo sospendeva l’aggiudicazione alla P.L. s.r.l..
- Con determinazione dirigenziale 10 marzo 2017, n. 314, il Comune di Vico Equense disponeva in via di autotutela la revoca dell’aggiudicazione del contratto a P.L. s.r.l. e aggiudicava definitivamente la gara a T.M. s.r.l., che, dunque, nel giudizio pendente, dichiarava la propria sopravvenuta carenza di interesse per aver ottenuto all’aggiudicazione sperata.
- Il provvedimento di revoca era impugnato con autonomo ricorso da P.L. s.r.l. con unico motivo di ricorso con il quale contestava l’esistenza di un onere dichiarativo riferito ad errori commessi non dall’operatore economico concorrente, ma dalla società locatrice dell’azienda o anche dalla precedente proprietaria della stessa.
- Il ricorso era notificato il 28 marzo 2017 alla controinteressata T.M. s.r.l. presso la sede legale come risultante dal registro delle imprese a mezzo servizio postale. La notificazione non andava, però, a buon fine per irreperibilità assoluta della società con conseguente restituzione del plico al notificante.
5.1. All’udienza del 9 maggio 2017 il difensore di P.L. s.r.l. domandava il differimento dell’udienza per poter provvedere alla rinotifica del ricorso alla controinteressata; concesso il differimento, la notifica, eseguita a mezzo PEC, andava a buon fine.
5.2. Nel giudizio si costituivano, pertanto, il Comune di Vico Equense e la T.M. s.r.l., la quale, preliminarmente eccepiva l’inammissibilità del ricorso per tardività poiché, a suo dire, la ricorrente avrebbe dovuto chiedere un termine perentorio per effettuare la rinotifica e non solamente il differimento dell’udienza.
5.3. Il Tribunale amministrativo, con sentenza sezione settima, 15 novembre 2017, n. 5406, dichiarava irricevibile il ricorso, che, pure nel merito, riteneva non fondato, con condanna della ricorrente a rifondere al Comune di Vico e alla controinteressata le spese di lite.
- Propone appello la P.L. s.r.l.; resistono il Comune di Vico Equense e la E. s.r.l., in proprio e quale cessionaria dell’azienda già di T.M. s.r.l.; il Comune di Vico Equense e la P.L. s.r.l. hanno presentato memorie in vista dell’udienza pubblica. All’udienza del 26 aprile 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
- La sentenza impugnata ha dichiarato il ricorso di P.L. s.r.l. irricevibile per tardività e, tuttavia, in motivazione, ha esaminato il motivo proposto dalla ricorrente, ritenuto infondato.
1.1. La ragione dell’irricevibilità è indicata dal giudice nella tardività della notifica del ricorso alla controinteressata perfezionatasi solo il 9 maggio 2017, quando era già maturata la decadenza prevista dall’art. 41, comma 2, Cod. proc. amm. Qualora sia proposta azione di annullamento il ricorso deve essere notificato, a pena di decadenza, alla pubblica amministrazione che ha emesso l’atto impugnato ed almeno ad uno dei controinteressati che sia individuato nell’atto stesso entro il termine previsto dalla legge….
- Il primo motivo di appello è rivolto al capo di sentenza sull’irricevibilità che P.L. s.r.l. censura per “Error in iudicando: violazione dell’art. 44 C.P.A. degli artt. 145 e 160 C.P.C. e dell’art. 8 della L. n. 890 del 1982; presupposto erroneo travisamento dei fatti motivazione omessa e contraddittoria”.
2.1. Per l’appellante il giudice di primo grado avrebbe fatto erronea applicazione dell’art. 44, comma 4, Cod. proc. amm., che presuppone la nullità della notificazione, ad un caso in cui la notificazione del ricorso non era affetta da nulla.
2.2. I fatti esposti dall’appellante e non contestati sono i seguenti: la notifica del ricorso era stata avviata il 28 marzo 2017 – e, dunque, entro il termine di legge per la notifica al controinteressato in caso di azione di annullamento – a mezzo servizio postale presso la sede legale della società, in C. alla via D. M. n, 193, indirizzo risultante dalla visura camerale effettuata prima di attivare la notifica; l’ufficiale postale ha accertato l’irreperibilità assoluta del destinatario, ovvero che all’indirizzo indicato dal mittente non corrispondeva la sede legale della società e, per questo motivo, ha restituito il plico al mittente.
2.3. Non ricorre, conclude l’appellante, un caso di nullità della notificazione ma solamente un caso di mancato perfezionamento della stessa; non trova applicazione, pertanto, l’art. 44, comma 4, Cod. proc. amm., con la richiesta al giudice di un termine per la rinnovazione della notifica, da concedere previa verifica della non imputabilità al notificante della nullità, ma la diversa regola, enunciata dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione per la quale è facoltà ed onere del notificante, in caso di notifica non correttamente conclusasi, riattivare quanto prima il procedimento di notificazione effettuando una nuova notifica che, ove regolarmente conclusasi, avrà effetto dal primo atto di notificazione.
- Il motivo è fondato e va accolto con le precisazioni che seguono.
3.1. La notificazione che non abbia raggiunto il proprio scopo ossia che non abbia portato il destinatario a conoscenza dell’atto notificato è una notificazione nulla.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 20 luglio 2016, n. 14916, hanno esaminato tutti i vizi della notificazione, distinguendo tra quelli cui consegue l’inesistenza e quelli cui consegue la nullità e relativamente all’inesatta individuazione del luogo di destinazione hanno statuito: “Il luogo in cui la notificazione del ricorso per cassazione (ma la statuizione vale per tutti gli atti notificati, n.d.s.) viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto. Ne consegue che i vizi relativi alla individuazione di detto luogo, anche qualora esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, come tale sanabile, con efficacia ex tunc, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ.)”.
3.2. È confermato, dunque, diversamente da quanto ritenuto dall’appellante, che l’inesatta individuazione del luogo in cui la notificazione deve essere eseguita (che, ai sensi dell’art. 145 Cod. proc. civ., per le persone giuridiche va fatta nella loro sede) comporta la nullità della notificazione, con conseguente applicazione, per il giudizio amministrativo, dell’art. 44, comma 4, Cod. proc. amm. per il quale: “Nei casi in cui sia nulla la notificazione e il destinatario non si costituisca in giudizio, il giudice, se ritiene che l’esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante, fissa al ricorrente un termine perentorio per rinnovarla”.
3.3. La disposizione delinea una fase processuale ad attivazione officiosa in caso di notificazione eseguita cui non sia seguita, però, la costituzione del destinatario e impone al giudice di accertare se l’esito negativo, ovvero la nullità, dipenda da causa non imputabile al notificante e, in quel caso, fissare un termine perentorio per la sua rinnovazione.
3.4. Nel giudizio di primo grado tale fase non ha avuto luogo avendo il giudice solo differito l’udienza camerale “al fine di consentire all’avvocato del ricorrente di procedere alla rinotifica del ricorso” (così nel verbale dell’udienza del 9 maggio 2017). Nessuna verifica sulle ragioni della nullità della notificazione è stata effettuata dal giudice prima di disporre il differimento dell’udienza, non è stata ordinata la rinnovazione della notifica in un termine perentorio che, dunque, può dirsi spontaneamente avvenuta.
La rinnovazione è stata eseguita dalla ricorrente; il procedimento di notificazione è andato a buon fine; il giudice, tuttavia, in sentenza ha ritenuto tardiva la notifica effettuata al controinteressato e irricevibile il ricorso.
3.5. Ritiene il Collegio che la riattivazione del procedimento di notificazione effettuata spontaneamente dalla ricorrente che ha operato una prima notifica nulla produce gli stessi effetti della rinnovazione della notifica concessa dal giudice entro un termine perentorio: ove conclusa con esito positivo sana la nullità della notificazione con effetti retroattivi (l’equiparazione tra spontanea rinnovazione e rinnovazione per ordine del giudice è comune nelle sentenze che affrontano la questione della sanabilità della nullità della notificazione, cfr. Cons. Stato, sez. V, 5 dicembre 2014, n. 6008; sez. V, 13 settembre 2013, n. 4530; sez. V, 31 dicembre 2007, n. 6908; sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5263; sez. IV, 26 luglio 2004, n. 5311).
Nel caso in cui, però, la seconda notifica sia effettuata a termine decorso, come normalmente avviene, è necessario comunque accertare l’imputabilità alla parte della nullità della prima notificazione.
A distinguere la spontanea rinnovazione e la rinnovazione per ordine del giudice, allora, è il momento in cui avviene siffatta verifica dell’imputabilità: nel primo caso quando la notifica è già (ri)attivata e, di solito, perfezionatasi, nel secondo, prima della concessione del termine per la rinnovazione della notifica.
3.6. La ricorrente, dunque, che prima dell’udienza ha avuto conoscenza della nullità della notificazione, ha facoltà di procedere alla riattivazione del procedimento notificatorio, senza attendere la concessione di un termine dal giudice; spetterà, poi, comunque, al giudice valutare l’imputabilità della nullità (della prima notifica alla parte e, se il giudizio dà esito negativo, dichiarare l’irricevibilità del ricorso per tardività.
3.7. La peculiarità dell’odierna vicenda – il fatto cioè che la riattivazione è stata spontanea ma non immediata bensì solo successiva alla prima udienza all’uopo differita – non vale a modificare la conclusione raggiunta: il giudice, alla nuova udienza, avrebbe dovuto comunque valutare le ragioni della nullità della prima notifica e solamente ove imputabili al ricorrente dichiarare irricevibile il ricorso perché tardivamente proposto.
Tale verifica non è stata, invece, effettuata e la sentenza ha ingiustamente sanzionato la ricorrente per non aver richiesto la concessione del termine per la rinnovazione della notifica ; termine che, però, il giudice era tenuto d’ufficio ad assegnare o negare, ma solo dopo aver valutato l’imputabilità della nullità.
- In forza dell’effetto devolutivo dell’appello, spetta a questo giudice verificare l’imputabilità della nullità della prima notificazione alla parte ricorrente.
4.1. Precisato che la controinteressata ha riconosciuto la non imputabilità a P.L. s.r.l. della nullità della prima notificazione, è documentato in atti che alla data della prima notificazione (28 marzo 2017) la sede sociale della T.M. s.r.l., quale risultante dal registro delle imprese, era in C. alla via D. M., n. 193 presso cui è stato indirizzato il ricorso. L’esito negativo del procedimento di notificazione non è, dunque, imputabile alla ricorrente.
- Resta un ultimo profilo da esaminare. Il Comune di Vico Equense, nella propria memoria, ha rilevato che, anche a voler ritenere ammissibile la nuova notifica spontaneamente eseguita (id est: in mancanza di ordine del giudice), questa sarebbe avvenuta a distanza di tempo dalla prima notifica, e dovrebbe, per questo, essere comunque ritenuta inammissibile (con conseguente conferma della irricevibilità per tardività del ricorso).
5.1. Effettivamente, la giurisprudenza civile, correttamente richiamato dall’appellata, onera la parte notificante di riattivare spontaneamente il procedimento notificatorio non conclusosi positivamente entro un congruo termine.
5.2. Il Collegio ritiene condivisibile il principio; nel caso di specie, però, può dirsi che P.L. s.r.l. abbia riattivato il procedimento notificatorio in un congruo termine: non risulta dagli atti di causa la data in cui il plico è stato restituito al mittente e, tuttavia, è immaginabile che ciò sia avvenuto in circa dieci giorni dalla notificazione e, quindi, intorno al 10 aprile. La nuova notifica, avvenuta via PEC, il 9 maggio è dunque stata effettuata in un termine che può reputarsi congruo.
- Alla declaratoria di irricevibilità del ricorso per tardività il giudice di primo grado avrebbe dovuto arrestare la sua pronuncia. Come preannunciato, però, la sentenza impugnata riporta, in motivazione, anche un capo di merito nel quale è giudicato infondato il motivo di ricorso proposto da P.L. s.r.l.
6.1. La Corte di Cassazione ha da tempo chiarito che “qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità, con la quale si sia spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia (e lo stesso vale per le declinatorie di giurisdizione o di competenza), abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito della causa, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnarle, di talchè l’impugnazione, mentre è ammissibile nella parte in cui sia rivolta contro la statuizione pregiudiziale, è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata” (Cass. civ., Sezioni Unite, 30 ottobre 2013, n. 24469 e Cass. civ. Sezioni Unite, 20 febbraio 2007, n. 3840).
6.2. Il principio va adeguato al giudizio di appello dinanzi al Consiglio di Stato, con la precisazione che il motivo di appello proposto avverso la parte di merito di una sentenza che abbia, con statuizione pregiudiziale, dichiarato irricevibile o inammissibile il ricorso proposto, vale come riproposizione del motivo assorbito ai sensi dell’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm.
- Il secondo motivo di appello (rubricato: “Error in iudicando: inesistenza dell’onere dichiarativo ed intrasmissibilità di un requisito soggettivo; motivazione errata ed omessa”) censura la sentenza di primo grado per aver confermato la legittimità del provvedimento di esclusione di P.L. s.r.l. dalla procedura di gara per omessa dichiarazione dei gravi errori professionali ex art. 38, comma 1, lett. f), D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 commessi nell’esecuzione di precedenti contratti di appalto da U.M. s.p.a. (nel Comune di Ravello) e Consorzio U.V. la città (nel Comune di Latina), dai quali, attraverso due successivi passaggi, la P.L. s.r.l. aveva ottenuto la disponibilità dell’azienda.
7.1. Sostiene l’appellante che l’aver commesso errori professionali nell’esecuzione di precedenti contratti di appalto costituisce un requisito soggettivo intrasmissibile nei successivi passaggi di titolarità dell’azienda; esso, dunque, rimane in capo all’imprenditore (concetto diverso da azienda, sottolinea la parte) che li ha commessi e non è trasferito ai successivi titolari dell’azienda che, dunque, non sono tenuti a darne atto nelle loro dichiarazioni.
Peraltro, specifica ancora la parte, il trasferimento d’azienda, invero già riconosciuto come a scopo elusivo dal Consiglio di Stato, nella sentenza 7 giugno 2017 n. 2733, quanto alla cessione intervenuta tra Consorzio U. e U.M. s.p.a., di certo non è tale nell’affitto intervenuto tra T.C.M. s.r.l. (nuova denominazione di U.M. s.p.a.) e P.L. s.r.l., non essendo ravvisabile alcuna forma di collegamento tra le due imprese.
- Il motivo è infondato e va respinto.
8.1. L’azienda nella disponibilità di P.L. s.r.l. ha subito i seguenti passaggi di mano: è stata ceduta dal Consorzio U. a U.M. s.p.a. con contratto di cessione d’azienda 7 febbraio 2012 e successivamente affittata da U.M. s.p.a., nella nuova denominazione di T.C.M. s.r.l. all’odierna appellante P.L. s.r.l. con contratto del 30 marzo 2016.
8.2. L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 4 maggio 2012 n. 10 ha interpretato l’art. 38, comma 2, D.Lgs. 12 aprile 2006 nel senso che ai “soggetti cessati dalla carica di amministratore e direttore tecnico, n.d.s. nell’anno antecedente alla data di pubblicazione del bando” – dei quali il concorrente è tenuto ad attestare il possesso dei requisiti generali di partecipazione – vanno equiparati anche gli amministratori e i direttori tecnici delle aziende che il concorrente abbia acquisito mediante cessione di azienda nell’anno precedente. L’operatore economico è tenuto, pertanto, ad attestare i requisiti di moralità anche degli amministratori e dei direttori tecnici della società che gestiva l’azienda nell’anno precedente alla pubblicazione del bando.
La giurisprudenza successiva ha equiparato alla cessione d’azienda il contratto di affitto di azienda (cfr. Cons. Stato, sez. V, 11 giugno 2018, n. 3607; sez. V, 21 agosto 2017, n. 4045; sez. V, 3 febbraio 2016, n. 412 in cui si afferma chiaramente: “La fattispecie di “cessione di azienda”, cui si riferiscono le citate pronunce (in particolare, la sentenza del Consiglio di Stato, Ad. Plen. 4 maggio 2012, n. 10), è sicuramente rappresentata dal trasferimento dell’azienda, riferibile ad una vicenda traslativa, ma è estensibile, per identità di ratio, anche all’affitto d’azienda. Infatti, pur se nel Codice degli appalti manca una norma, con effetto preclusivo, che preveda in caso di cessione o affitto d’azienda un obbligo specifico di dichiarazioni in ordine ai requisiti soggettivi degli amministratori e direttori tecnici della cedente (atteso che l’art. 51 del codice si occupa della sola ipotesi di cessione del ramo d’azienda successiva all’aggiudicazione della gara), tuttavia si deve ritenere che il citato art. 38, comma 1, lett. c), comprende anche ipotesi non testuali, ma pur sempre ad essa riconducibili sotto il profilo della sostanziale continuità del soggetto imprenditoriale a cui si riferiscono (così A.P. n. 10 del 2012 per la fattispecie specifica della cessione d’azienda)”) ed ha precisato che l’obbligo di dichiarazione riguarda tutti i requisiti di partecipazione a procedure di affidamento e, dunque, non solo l’assenza di precedenti condanne penali (lett. c) dell’art. 38 cit.), ma anche l’assenza di grave errore professionale nell’esecuzione di precedenti contratti (lett. f) dell’art. 38 cit.) (cfr. Cons. Stato, sez. V, 7 giugno 2017, n. 2733).
8.3. La P.L. s.r.l. era, dunque, tenuta ad attestare il possesso dei requisiti generali di partecipazione degli amministratori e direttori tecnici della società locatrice dell’azienda, la U.M. s.p.a..
8.4. L’estensione dell’obbligo di attestazione dei requisiti di moralità agli amministratori cessati dalla carica (nell’anno antecedente alla pubblicazione del bando: art. 38 cit.) nonché agli amministratori cedenti l’azienda (o la cui azienda sia stata fusa per incorporazione: Adunanza plenaria nn. 10 e 21 del 2012) è per evitare la partecipazione alla procedura di gara di una società già utilizzata per commettere illeciti e “ripulita” mediante il ricambio degli amministratori ovvero attraverso un successivo passaggio di mano.
Ciò in ragione di una presunzione di continuità tra la vecchia e nuova gestione imprenditoriale – tale che le vicende circolatorie sottendono, in realtà, l’unicità dell’imprenditore – che, pure, può essere superata dando la prova della cesura tra l’una e l’altra (cfr. Adunanza plenaria n. 12 del 2010: “Ad ogni modo, proprio nella logica del cennato fenomeno della dissociazione, al cessionario va riconosciuta la possibilità di comprovare che la cessione si è svolta secondo una linea di discontinuità rispetto alla precedente gestione, tale da escludere alcuna influenza dei comportamenti degli amministratori e direttori tecnici della cedente”).
8.5. Questa sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza 7 giugno 2017, n. 2733, ha già dichiarato la continuità aziendale nei rapporti tra il Consorzio U. e U. M. s.r.l. (poi divenuta T.C.M. s.r.l.) in giudizio instaurato dall’odierna controinteressata avverso il provvedimento di aggiudicazione adottato dal Comune di San Giorgio a Cremano, ritenendo mai avvenuta la cesura tra vecchia e nuova gestione.
8.6. La continuità aziendale non può dirsi venuta meno neppure nel passaggio, avvenuto mediante l’affitto dell’azienda, tra la T.C.M. s.r.l. e l’odierna appellante P.L. s.r.l.
L’appellante ha solo dichiarato l’inesistenza di legami tra le due società, senza darne compiutamente prova. La visura camerale della T.C.M. s.r.l., versata in atti dalla controinteressata, dimostra, invece, la coincidenza (sia pur parziale) nella proprietà delle due società, essendo il capitale di T.C.M. s.r.l. detenuto in gran parte da I.G. H. s.r.l. che è socia con il 45% delle quote anche di P.L. s.r.l..
D’altronde, l’appellante non ha fornito la visura camerale attestante la compagine sociale dell’altra società (la A.G. s.r.l.) che detiene la quota maggioritaria del suo capitale sociale.
I documenti in atti, più che indirizzare nel senso dell’estraneità delle società parti del contratto di affitto, conducono, ancora una volta, a ritenere la presenza dell’unicità imprenditoriale, sia pur variamente interpolata mediante diverse strutture societarie.
- Con un ultimo motivo di appello P.L. s.r.l. censura la sentenza di primo grado per “Error in iudicando: violazione degli art. 38 e 46 del D.Lgs. n. 163 del 2006”. Ritiene l’appellante (rivolgendo la sua critica alla sentenza di primo grado, ma di fatto contestando il provvedimento di esclusione) che nel caso di specie non potesse farsi applicazione del principio giurisprudenziale per il quale l’omessa dichiarazione dei requisiti è essa stessa causa di esclusione, quale che sia la rilevanza del fatto taciuto. Ciò per essere stati gli errori professionali non dichiarati commessi dai precedenti titolari dell’azienda e non conosciuti se non dopo la stipulazione del contratto di affitto (mediante il ricorso di cui si è già detto dal quale è scaturita la citata sentenza di questo Consiglio di Stato n. 2733 del 2017).
- Il motivo è infondato e va respinto.
Sull’ignoranza dei precedenti errori professionali che avevano condotto al provvedimento di risoluzione contrattuale del Comune di Ravello e al documento di non regolare esecuzione rilasciato dal Comune di Latina è dato dubitare per le ragioni esposte in precedenza sull’unicità dell’assetto imprenditoriale delle società contraenti l’affitto d’azienda; ad ogni modo, a parere del Collegio, la vicenda in esame, proprio per tutte le considerazioni finora svolte, non giustifica la deroga all’orientamento consolidato per il quale l’esclusione dalla procedura consegue per il solo fatto dell’omessa dichiarazione dei requisiti di cui all’art. 38, comma 1, D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (ex multis: Cons. Stato, sez. V, 4 dicembre 2017, n. 5707; sez. V, 27 settembre 2017, n. 4527, che, in relazione ai gravi errori professionali ha escluso anche l’utilizzabilità dell’istituto del soccorso istruttorio; sez. V, 10 agosto 2017, n. 3980; sez. V, 25 luglio 2016, n. 3402).
- In conclusione, i motivi di ricorso proposti dalla P.L. s.r.l. avverso il provvedimento impugnato devono essere respinti.
- L’accoglimento del primo motivo di appello giustifica la compensazione delle spese di lite tra tutte le parti in causa.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Campania n. 5406/2017, decidendo nel merito, respinge il ricorso proposto da P.L. s.r.l.
Compensa le spese del giudizio tra tutte le parti in causa.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 aprile 2018 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella, Presidente
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Valerio Perotti, Consigliere
Federico Di Matteo, Consigliere, Estensore