Licenziamenti, Cassazione: per gli statali vale l’articolo 18

Il licenziamento del personale del pubblico impiego non è disciplinato dalla legge Fornero, bensì dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Lo afferma la Corte di Cassazione, “all’esito di una approfondita e condivisa riflessione”.

La Cassazione interviene, quindi, con la sentenza n. 11868 della Sezione Lavoro, su una questione da tempo dibattuta su cui ci sono state anche sentenze di diverso orientamento ma il governo, con il ministro della P.A. Marianna Madia, ha sempre tenuto a precisare come l’articolo 18 per gli statali non è stato cambiato né dalla legge Fornero, prima, né dal Jobs act, dopo. Per il pubblico impiego le garanzie sarebbero quindi intatte, con la reintegra in caso di licenziamento senza giusta causa. Un trattamento diverso rispetto ai lavoratori privati, sostiene il ministero, perché è diversa la natura del datore di lavoro. Per mettere fine a possibili diverse interpretazioni il governo resta dell’idea di intervenire, con una norma che chiarisca l’esclusione dei dipendenti pubblici dalle nuove regole.

La precisazione dovrebbe trovare spazio nel testo unico del pubblico impiego, in attuazione della riforma della P.A. Un impegno in questo senso era stato preso alla fine dello scorso anno dal ministro della P.A. Marianna Madia, dopo una sentenza della stessa Corte di Cassazione che allora, però, sembrava dire il contrario, ovvero che le modifiche della Fornero valevano anche per gli statali. Ora tutto sia riallinea.

LA SENTENZA. Serve un “intervento normativo di armonizzazione” per applicare la riforma Fornero anche ai lavoratori del pubblico impiego. Lo sottolinea la Corte di Cassazione sottolineando che la riforma Fornero si applica unicamente al settore privato. Finché non interverranno le norme ad hoc, sottolinea la Corte di Cassazione, “non si estendono ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni le modifiche apportate all’art.18 dello Statuto dei Lavoratori, con la conseguenza che la tutela da riconoscere a detti dipendenti in caso di licenziamento illegittimo resta quella assicurata dalla previgente formulazione della norma”.

Dunque, per gli statali, in caso di licenziamento illegittimo, scatta il reintegro nel posto di lavoro e non la tutela risarcitoria o indennitaria. Per i supremi giudici questa conclusione è avvalorata dal fatto che la legge Fornero “per come formulata nell’art. 1, comma 1, tiene conto unicamente delle esigenze proprie dell’impresa privata, alla quale solo può riferirsi la lettera C), che pone una inscindibile correlazione fra flessibilità in uscita ed in entrata, allargando le maglie della prima e riducendo nel contempo l’uso improprio delle tipologie contrattuali diverse dal rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”.

La legge Fornero, inoltre, secondo la Cassazione, “introduce una modulazione delle sanzioni con riferimento ad ipotesi di illegittimità pensate in relazione al solo lavoro privato, che non si prestano ad essere estese all’impiego pubblico contrattualizzato, per il quale il legislatore, in particolar modo con il D.lgs 27.10.2009 n.150, ha dettato una disciplina inderogabile, tipizzando anche illeciti disciplinari ai quali deve necessariamente conseguire la sanzione del licenziamento”.

Ad avviso dell’Alta Corte, poi, un’eventuale modulazione delle tutele nel pubblico impiego, “richiede da parte del legislatore una ponderazione di interessi diversa da quella compiuta per l’impiego privato” poiché, come stabilito dalla Corte di Cassazione, nel settore pubblico ci sono “garanzie e limiti che sono posti non solo e non tanto nell’interesse del soggetto da rimuovere, ma anche e soprattutto a protezione di più generali interessi collettivi”. La Corte di Cassazione ricorda che l’art. 97 della Costituzione “impone di assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione pubblica”.


I soliti “furbetti” del cartellino

AssenteismoLegittimo il licenziamento di chi fa strisciare il badge da un collega. Anche se il fatto si è verificato una sola volta.

Si tratta di un comportamento idoneo a integrare una grave violazione del dovere di diligenza prescritto ai lavoratori.

Ad averlo chiarito è stata la Corte Suprema di Cassazione, sezione lavoro, confermando la legittimità del “licenziamento per giusta causa” che era stato inferto a un dipendente privato che aveva alterato il sistema di rilevamento e controllo delle presenze al lavoro e aveva fatto in modo che fosse un collega a timbrare il badge al suo posto.

Si tratta di un comportamento idoneo a integrare una grave violazione del dovere di diligenza prescritto ai lavoratori dall’articolo 2104 del codice civile: esso, infatti, consente a chi lo pone in essere di percepire indebitamente compensi ulteriori rispetto a quelli spettatigli e gli permette di ottenere senza diritto un’abbreviazione del proprio turno di lavoro.

Si tratta, insomma, di un comportamento irregolare e anomalo, inadempiente agli obblighi inerenti l’ufficio del lavoratore e contrario agli interessi del datore di lavoro.

Esso è quindi pienamente idoneo a ledere il vincolo fiduciario e quindi a giustificare la possibilità di licenziamento.


NUOVO FORUM DI A.N.N.A.

New forum 2016Il FORUM di A.N.N.A. è uno dei punti di incontro dove tutti gli Associati possono dialogare tra di loro e/o “ascoltare” quello che dicono gli altri ovvero ponendo quesiti relativi alla propria attività notificatoria.

Certamente, però, rispetto a tutti gli strumenti di comunicazione via internet, il forum offre da un lato il vantaggio della sicurezza (non rischio di attacchi di hacker mentre si scrive sul forum, o di e-mail con virus, o peggio “troyan” (=”cavalli di troia”), né problemi di intasamento della casella di posta (come capita nelle mailing-list), né rischi di “spam” (come capita nei newsgroup e nelle mailing-list).

Con i recenti aggiornamenti sulla sicurezza (dopo aver subito attacchi sul nostro sito www.annamessi.it da parte di hacker: ma a chi diamo fastidio?!) abbiamo inserito un nuovo FORUM di A.N.N.A. che sarà attivato nei prossimi giorni.

Il funzionamento del nuovo FORUM di A.N.N.A. è molto semplice ed intuitivo, avendo cercato di accogliere i suggerimenti pervenuti dagli utenti con l’inserimento anche di nuove funzionalità: si tratta di un’area divisa in sezioni (argomenti) e sottosezioni, a cui postare i propri quesiti.

La nostra è un’Associazione proiettata in un futuro ove l’evoluzione normativa impone un cambiamento dell’attività notificatoria realizzando servizi sempre più rispondenti.

Realizza il cambiamento facendo conoscere l’Associazione a colleghi/e favorendone l’iscrizione nella consapevolezza che A.N.N.A. è

LA TUA ENERGIA


Il Messo Comunale – Guida operativa alle procedure notificatorie – La notifica telematica dei documenti – III° edizione 2016

Il MESSO COMUNALE

Guida operativa alle attività notificatorie.

Con schemi di notifiche e di avvisi. III° edizione

Depliant1

Autori: C. Asirelli, L. Fontana, P. Tacchini

Editore: Maggioli Editore
In collaborazione con: A.N.N.A. – Associazione Nazionale Notifiche Atti
Pagine: 378- Formato: 17×24 cm
Anno: Aprile 2016

Codice ISBN: 88-916-1706-4
Prezzo di copertina: € 49,00

Prezzo per i Soci: € 41,65 (Spese di spedizione GRATIS)

La notificazione è un atto fondamentale del procedimento amministrativo, dei processi civili, penali, tributari, amministrativi, fallimentari e del lavoro.

Questa guida, per lo stile sobrio e snello che la caratterizza, non può essere esaustiva della complessa ed articolata attività notificatoria ma deve essere considerata un utile strumento di rapida consultazione (anche “su strada”) che aiuti l’Agente Notificatore all’espletamento del delicato servizio cui è preposto proponendo soluzioni che gli permettano di affrontare con serenità e consapevolezza i più frequenti casi di notificazione oggetto di contenzioso sui quali la giurisprudenza non sempre si esprime in senso univoco.

Lo scopo, pertanto, è quello di fornire degli strumenti di lavoro strettamente collegati alla normativa vigente che possano permettere all’Agente Notificatore di adattare al meglio la stessa, in modo semplice, ai casi concreti.

Nell’era informatica cresce la tendenza a ritenere il contributo di una guida cartacea superfluo dato che “basta un click” sul computer o sul palmare per ottenere informazioni.

Una guida come questa è, invece, ciò che può veramente fare la differenza, trasformando un’insipida informazione basata su un concentrato di descrizioni sommarie in un’esposizione consequenziale, coerente e ragionata ma allo stesso tempo stimolante ed accattivante.

La guida, inoltre, parte dall’assunto che le soluzioni operative proposte devono essere quelle che più garantiscono sì la conoscibilità sostanziale dell’atto da parte del destinatario ma soprattutto che mettano il Messo Comunale in una posizione tale per cui non gli possano essere imputate negligenze che produrrebbero responsabilità a suo carico di vario tipo: disciplinari, civili, penali e patrimoniali dell’Ente … ma anche personali.

Il quotidiano feedback da parte degli agenti notificatori ha dato impulso a questa guida aggiornata e maggiormente rispondente alle esigenze degli stessi in un contesto sempre più resosi difficile in una società sempre più informata.

  Gli Autori

 Contenuti mirati di immediato apprendimento – solo ciò che è essenziale per evitare errori e dimenticanze – con il supporto inoltre di modelli di relate di notifiche ed avvisi, facilmente consultabili nel dettaglio della seguente trattazione:

1. La notificazione

2. I soggetti notificatori

3. Competenze del messo comunale

4. Il procedimento ordinario

5. Notifica a mezzo del servizio postale

6. Notifica telematica

7. Notifica a persone incapaci

8. I vizi della notifica

9. Comunicazione di decreto relativo al trattamento di quiescenza di dipendenti civili e militari dello Stato

10. Avvisi di addebito Inps

11. Il procedimento tributario

12. Le notificazioni dei tributi locali

13. Codice della strada

14. Atti elettorali: modalità di consegna

15. Modulistica della notifica

16. Casa comunale

17. Albo pretorio

18. Albo pretorio on line

Documentazione

AUTORI:

C. Asirelli, Coordinatore Ufficio Notifiche del Comune di Cesena (FC). Membro Giunta esecutiva di A.N.N.A.

L. Fontana, Responsabile dell’Ufficio Notifiche dell’Unione dei Comuni delle Terre Verticali (SP).Comandante di Polizia Municipale. Membro Giunta esecutiva di A.N.N.A.

P. Tacchini, Responsabile Ufficio Addetti alle Notifiche del Comune di Padova. Presidente di A.N.N.A.

Modulo prenotazione del Volume


A chi diamo fastidio?

Nuovo attacco hacker perpetrato nella notte con l’intento, forse, di trattenere in “ostaggio” il nostro sito web per ottenerne poi un “riscatto”. Infatti sono stati inibiti gli accessi. Prontamente, però, il sito web è stato ripristinato dalla società KDM spa di Roma che ha reso possibile in tempi rapidissimi l’utilizzo del sito web.

Diamo fastidio a qualcuno? o semplicemente è un attacco a fini di lucro? In ogni caso saranno adottate ulteriori misure di sicurezza in collaborazione con Aruba.

Ci scusiamo con gli utenti per l’eventuale disagio arrecato.


Nuovi contratti nazionali di lavoro

Chiuso l’accordo sui quattro comparti nel pubblico impiego, si apre il fronte del rinnovo dei contratti 2016/2018.
Nel frattempo, un altro tribunale conferma che gli effetti dei nuovi CCNL devono partire dal 30 luglio 2015.

I dipendenti pubblici hanno diritto al rinnovo contrattuale dal 30 luglio 2015, cioè dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della sentenza 178/2015 in cui la Corte Costituzionale ha stabilito l’illegittimità di un ulteriore congelamento dei rinnovi contrattuali.
Stanno aumentando le pronunce dei tribunali che ribadiscono questo principio, in contrasto con i calcoli governativi che invece si orientano sul rinnovo dal 1° gennaio 2016.
Fra gli ultimi casi, quello del Tribunale di Parma sezione lavoro, che nella sentenza 114/2016, ha dichiarato «l’illegittimità del regime di sospensione della contrattazione collettiva a partire dal 30 luglio 2015», riprendendo un principio già espresso dai giudici di Reggio Emilia.
La decisione di Parma, che condanna al pagamento delle spese processuali il datore di lavoro pubblico, pone le premesse anche per un possibile riconoscimento del danno da mancato rinnovo dalla data indicata dalla Consulta.


La data di una raccomandata è importante per una causa, le Poste hanno l’obbligo di cercarla

Un cittadino non riusciva più a trovare la busta contenente una lettera speditagli dall’assicurazione con raccomandata A.R., nella quale era indicata la data di ricezione della stessa. Ma tale dato era per lui fondamentale, al fine di dimostrare l’intervenuta prescrizione della controversia pendente con l’assicurazione.

Il TAR del Piemonte, con la sentenza numero 207/2016, ha dichiarato che le Poste non possono legittimamente opporre un silenzio-rifiuto al cittadino, che si è loro rivolto per tentare di ricavare i dati relativi alla predetta raccomandata. Per il Tribunale, infatti, è fondamentale che all’interessato venga consegnata entro un mese la copia dei registri di consegna, dai quali emerge sia la data che il numero di identificazione della missiva.

Non importa che per soddisfare l’utente sia necessaria una specifica e laboriosa ricerca: la legge sulla trasparenza riconosce il diritto all’accesso ai documenti. Oltretutto la ricerca non sarebbe dovuta proseguire con un’elaborazione di dati, ma solo con una fotocopia delle pagine di interesse.

Tuttavia, nel caso di specie si trattava di un interesse qualificato, dato dalla sussistenza di una controversia giudiziaria ai fini della quale la data della raccomandata assumeva un’importanza fondamentale, dipendendo da essa la valutazione circa la permanenza o l’estinzione del diritto azionato.

Testo della sentenza

00207/2016 REG.PROV.COLL. N. 01096/2015 REG.RIC.

 R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

 SENTENZA

 sul ricorso numero di registro generale 1096 del 2015, proposto da:

Piera Caravello, rappresentata e difesa dall’avv. Franco Scancarello, con domicilio eletto presso lo presso il suo studio, in Torino, Via Pietro Palmieri, 40;

contro

Poste Italiane, s.p.a. rappresentata e difesa dagli avv. Rossana Cataldi, Marco Filippetto, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Rossana Cataldi in Torino, Corso Tazzoli, 235/4;

per lannullamento

del silenzio serbato da Poste Italiane Posta, Comunicazione e Logistica A.L. Nord Ovest – Qualità, in ordine all’istanza inoltrata dalla ricorrente in data 16 luglio 2015;

nonché degli atti tutti antecedenti, preordinati, consequenziali e comunque connessi.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Poste Italiane;

Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2016 la dott.ssa Silvana Bini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

I) Con ricorso notificato in data 20 ottobre 2015 e depositato in data 23 ottobre 2015, la ricorrente ha chiesto l’annullamento del silenzio serbato da Poste Italiane in ordine alla sua istanza inoltrata in data 16 luglio 2015, con cui chiedeva copia di una lettera raccomandata inviatale dalla Società So.Ge.Sa in data successiva al 12 gennaio

Espone di aver ricevuto una raccomandata A.R.  dall’Assicurazione So.Ge.Sa datata 11 gennaio 2013, della quale ha smarrito la busta, con il timbro della data di ricevimento e il relativo numero di identificazione.

Una prima richiesta presentata in data 15.4.2015 all’Ufficio Postale è stata riscontrata con la nota delle Poste del 19.6.2015, in cui si informava l’interessata che in assenza di precise indicazione non era possibile effettuare una “verifica mirata”.

Ha quindi chiesto, in data 25 giugno 2015, tramite il legale, di poter avere copia della suddetta raccomandata, informazioni in ordine alla data di consegna della suddetta raccomandata.

La Posta ha riscontrato la richiesta con la nota del 28.8.2015 (in cui erroneamente è stato riportato l’anno 2014), rappresentando la necessità di indicare il numero della raccomandata e la data di spedizione.

Con nota del 16 luglio 2015 la ricorrente ha fatto presente l’impossibilità di trasmettere i dati richiesti, che erano proprio quelli per i quali aveva inviato la precedente istanza.

A tale scopo reiterava la domanda di accesso agli atti.

Non avendo ulteriore riscontro, ha notificato il seguente ricorso, chiedendo l’annullamento del silenzio serbato sulla domanda inoltrata il 16 luglio 2015, lamentando i seguenti profili di illegittimità:

  1. violazione di legge in riferimento all’art 2 L. 241/90; eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza, carenza dei presupposti, contraddittorietà: Poste Italiane è tenuta a garantire l’accesso agli atti, per cui nel caso di specie avrebbe dovuto dare riscontro alla domanda volta ad ottenere copia degli atti e indicazioni in ordine alla data di avvenuta consegna della raccomandata inviata alla ricorrente;
  2. violazione dell’art 3 L. 241/90, essendo l’inerzia dell’Amministrazione immotivata.

In via istruttoria viene chiesta l’acquisizione degli atti del procedimento conclusosi con l’adozione dell’atto impugnato e nel merito, l’accoglimento del ricorso,  con ordine alle Poste Italiane di comunicare alla ricorrente eventualmente consegnando copia dei registri  di consegna e dunque di avvenuto ricevimento della raccomandata della Società So.Ge.S.A. datata 11 gennaio 2013.

Si è costituita in giudizio la Società Poste Italiane spa, rilevando l’inammissibilità del ricorso, in quanto il diritto di accesso non è mai stato rifiutato, ma solo subordinato alla presentazione di dati necessari per consentire il rilascio dell’informazione richiesta.

Nel merito ha chiesto il rigetto del ricorso poiché ai sensi dell’art 5 comma 2 del DPR n. 184/2006, il richiedente deve indicare gli estremi del documento oggetto della richiesta ovvero gli elementi che ne consentano l’individuazione, specificare e ove occorra, comprovare l’interesse connesso all’oggetto della richiesta; pertanto la domanda non poteva essere accolta, in assenza di dette indicazioni.

Alla camera di consiglio del 13 gennaio 2016 il difensore di parte ricorrente ha prodotto una nota di Poste Italiane, in cui si dichiara che i documenti relativi all’accettazione e alla consegna sono conservati in giacenza per tre anni. Trascorso tale periodo non è più possibile effettuare verifiche  e fornire le relative informazioni.

La difesa di Poste Italiane si è opposto alla produzione di detto documento. Alla medesima camera di consiglio, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

II) Il Collegio osserva in via preliminare che la ricorrente ha chiesto l’annullamento del silenzio serbato sulla domanda di accesso, e per l’effetto l’ordine alle Poste di comunicare alla ricorrente la data di consegna della raccomandata, consegnando quindi copia dei registri di consegna.

Si osserva tuttavia che le istanze sono state riscontrate, per cui non si può parlare di azione avverso il silenzio, ma il presente ricorso va qualificato come domanda di accertamento del diritto alla copia degli atti richiesti, e quindi come azione al fine di ottenere una risposta positiva sulla domanda di accesso.

Quindi l’esatto petitum è l’accertamento del diritto ad ottenere copia degli atti (presumibilmente copia del registro di consegna delle raccomandate), da cui ricavare il dato richiesto.

La ricorrente assume che non poteva essere posto a suo carico l’onere di specificare gli estremi della raccomandata e che dall’istanza sarebbero stati comunque ricavabili elementi idonei a individuare i documenti di interesse. Il ricorso è fondato, nei limiti che verranno precisati.

Va premesso che la ricorrente chiede l’accesso ad una raccomandata, al fine di dimostrare l’intervenuta interruzione dei termini di prescrizioni nell’ambito di una causa in materia assicurativa.

Ricopre quindi una posizione qualificata all’esercizio del diritto di accesso, a tutela di un interesse evidentemente funzionale ad una eventuale azione giudiziaria.

Va ricordato che secondo l’orientamento prevalente l’accesso deve avere un oggetto determinato o quanto meno determinabile; la domanda non può essere generica e deve riferirsi a specifici documenti senza necessità di un’attività di elaborazione di dati da parte del soggetto destinatario della richiesta.

Se non può in linea di principio pretendersi che l’istante in sede di accesso agli atti indichi specifici dati (quali il numero di protocollo e la data di formazione di un atto) non in suo possesso, deve in ogni caso rilevarsi come l’Amministrazione, in detta sede, sia tenuta a produrre documenti individuati in modo sufficientemente preciso e circoscritto e non anche a compiere attività di ricerca ed elaborazione degli stessi.

Ciò al fine di coniugare il diritto alla trasparenza con l’esigenza di non pregiudicare, attraverso un improprio esercizio del diritto di accesso, il buon andamento dell’Amministrazione, riversando sulla stessa l’onere di reperire documentazione inerente un determinato segmento di attività.

Richieste generiche, infatti, sottoporrebbero l’Amministrazione a ricerche incompatibili sia con la funzionalità dei plessi, sia con l’economicità e la tempestività dell’azione amministrativa.

In altri termini, a prescindere dalla specifica indicazione della data e del numero di protocollo attribuito agli atti richiesti, non v’è dubbio come l’accesso non possa costringere l’Amministrazione ad attività di elaborazione dati, di guisa che la relativa istanza non può essere generica, eccessivamente estesa o riferita ad atti non specificamente individuati.

Nel caso di specie la difficoltà risiede proprio nel fatto che la ricorrente chiede copia di un documento, proprio perché interessata a conoscere i dati identificativi dello stesso, mentre l’Amministrazione ritiene di non poter risalire all’atto senza detti elementi identificativi.

Si poneva quindi in capo all’Amministrazione l’obbligo di avviare una ricerca, presumibilmente consultando un registro in cui sono trascritti giornalmente i dati della corrispondenza (mittente, destinatario, data di consegna), quindi di porre in essere una attività non di elaborazione, ma di ricerca, consistente nel consultare il registro, estrarre il dato richiesto, anche effettuando semplicemente la fotocopia della pagine in cui sono stati trascritti i dati.

In tal senso probabilmente la domanda di accesso poteva essere soddisfatta, poiché non richiedeva una attività di elaborazione di dati, ma solo una attività di ricerca, fase connaturale ad ogni domanda di accesso.

Per tale ragione il ricorso va accolto, poiché il diniego all’accesso è illegittimo in quanto sorretto da un interesse giuridicamente rilevante e diretto ad ottenere un atto, il cui rinvenimento non implica una attività elaborativa.

La particolarità della questione trattata giustifica la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto ordina alle Poste Italiane di rilasciare copia degli atti oggetto della richiesta del 25.6.2015, entro il termine di giorni trenta dalla comunicazione o notifica della presente sentenza.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2016 e del giorno 3 febbraio 2016 con l’intervento dei magistrati:

Silvana Bini, Presidente FF, Estensore Ofelia Fratamico, Primo Referendario Giovanni Pescatore, Referendario

 IL PRESIDENTE, ESTENSORE

 DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 18/02/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


SPID: un acceso unico per i servizi on line

Lo rende noto l’Inps nel comunicato del 15 marzo 2016 nel quale si precisa che gli utenti potranno richiedere SPID agli Identity Provider che attualmente sono: InfoCert S.p.a, Poste Italiane S.p.a e Telecom Italia Trust Technologies Srl.

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Successivamente l’accesso tramite SPID sarà consentito  anche per i servizi Inps riservati ad altre tipologia di utenti.

Per maggiori informazioni su SPID

Servizi Inps al Cittadino


Buona Pasqua 2016

Pubblicazione1


Le responsabilità dei Messi Comunali

LE RESPONSABILITÀ DEI MESSI COMUNALI IN RELAZIONE AI DOVERI PROPRI DELLA FUNZIONE ED ALLE PATOLOGIE DELL’ATTO(1)

La figura del Messo Comunale è stata delineata fin dal 1911 (reg. 12/2/1911 n. 297) ma è con il Testo Unico della Legge 1934 n. 383 che acquisisce una specifica connotazione. L’art. 273 del t.u. appena citato stabilisce in primis che ogni comune o provincia deve avere uno o più messi indicando altresì le condizioni di nomina di questa categoria, il valore e l’efficacia degli atti che compie.

L’attenzione riservata dal legislatore a tale figura fin dalla sua istituzione è indicativa della importanza e della delicatezza della mansione che lo stesso è chiamato a svolgere. Messo, cioè mandato, delegato, incaricato di un pubblico servizio è colui che è autorizzato a notificare gli atti del proprio comune o provincia ovvero nell’interesse di altre Amministrazioni pubbliche che ne facciano richiesta a quella da cui i messi stessi dipendano(2).

Nella formulazione originaria, dunque, la qualifica del messo era legata al possesso di particolari requisiti (maggiore età, buona condotta, capacità di intendere e volere – tipici del mandatario), poiché comportava l’esercizio di mansioni delicate ma non particolarmente gravose, stante il dettato normativo che precisava che si trattava di atti per i quali non erano prescritte particolari formalità. Per alcuni atti non si è mai trattato di notifica ma di una vera e propria consegna, per altri invece si è in presenza di una notifica (ordinanze del Sindaco in materia edilizia, polizia locale…). Rileva il fatto che la relata del messo ha importanza ai fini della decorrenza del periodo assegnato oltre il quale determinati lavori saranno eseguiti d’Ufficio.

Ed ancora si pensi alla notifica dell’intimazione a pagare mediante messa in mora, oppure di fissazione del termine e di adempimento di una obbligazione e di esercizio di un diritto. Si tratta come si può vedere di un’attività che si colloca nell’iter del procedimento amministrativo volto all’emanazione di un atto amministrativo- nella fase “integrativa dell’efficacia producendo proprio l’effetto giuridico della conoscenza piena per il soggetto ricevente e la possibilità di reazione all’atto stesso se lesivo di diritti od interessi per il destinatario”.

La disposizione citata prevede anche la possibilità per i Consorzi di avvalersi di messi dei Comuni che facciano parte del Consorzio e di messi di Comuni nel cui territorio l’atto deve essere notificato e sempre in relazione ad atti che non richiedono particolari formalità. Quindi fin dal suo sorgere questa figura, così come tratteggiata da quel lontano legislatore, doveva presentare alcune caratteristiche tipiche da consentirgli di svolgere un servizio importante ma non particolarmente impegnativo, come invece vedremo, oggi è accaduto lì dove l’art. 38 DPR 29/1/1958 n. 645 e poi successivamente l’art. 60 DPR n. 600 del 29/9/1973 che detta disposizioni dettagliate e puntuali in merito all’attività di notificazione i merito all’accertamento delle imposte sui redditi.

Ripercorrendo l’iter storico e normativo di riferimento di questa figura si nota che non solo non ha perso importanza ma ha acquisito un maggiore spessore proprio con la formulazione di cui all’art. 2 del D.P. del 11.2.64 n. 264, lì dove si dispone che l’opera di questi messi può essere richiesta dall’Ufficiale sanitario e da ultimo dall’Amministrazione finanziaria ai sensi degli articoli citati. Per quanto riguarda proprio questa ultima Amministrazione la gravosità e la serietà del compito affidato è tale da aver indotto il legislatore più recente a disporre tutta una serie di adempimenti (che superano il dettato originario che non richiedeva per alcuni tipi di atti particolari formalità) e fa acquistare a questa ultima normazione carattere speciale e derogatorio rispetto a quello più generale del c.p.c. che non viene applicato in queste fattispecie specifiche (art. 142, 143, 146, 150, e 151 c.p.c.) Proprio questa attività di notificazione svolta per conto di altre Amministrazioni (v. Amministrazione Finanziaria) ha suscitato un nuovo interesse per questa figura da parte della giurisprudenza contabile. Quest’ultima già negli anni passati aveva avuto modo di affermare la sottoposizione alla propria giurisdizione della responsabilità del messo comunale muovendo dall’assunto che lo stesso inserendosi nella fase conclusiva del procedimento di accertamento tributario, si poneva alla dipendenza funzionale dell’Amministrazione finanziaria e, quindi, poiché il soggetto veniva ad essere incardinato nell’organizzazione dell’Ente si configurava, così, un rapporto di servizio (Corte dei Conti sez. I, 9/2/1989, n. 58, Corte dei Conti sez. II, 29/2/1988 n. 36, Sezioni Riunite, 24/7/1987 n. 549, sez. I 19/6/1989 n. 222)

Più di recente la Corte dei Conti ha riaffermato la propria giurisdizione in materia di responsabilità del messo notificatore riconoscendo che il fondamento normativo e proprio l’art. 58 Legge 8/6/1990 n. 142 che ha disposto anche per gli enti locali territoriali la regola dell’assoggettamento alla disciplina statale e realizzando così, un sistema unico della responsabilità in tutto il settore pubblico (Sez. II 18/1/93 n. 13)(3). Le patologie dichiarate sono quelle classiche della nullità (o invalidità assoluta) e d’irregolarità. Nella prima s’inquadra l’omessa o ritardata notifica ovvero eseguita in violazione delle norme che prescrivono determinati adempimenti, la seconda l’irregolarità si distingue dalla prima poiché è suscettibile sempre di essere sanata e comporta l’esclusione conseguente della responsabilità del messo comunale per i danni derivanti all’Amministrazione finanziaria per esempio d’irregolare notifica dell’avviso di accertamento; irregolarità non sanata (tramite rinnovo di notifica) per fatto imputabile all’Amministrazione Finanziaria.

NOTE:

(1) Testo riveduto dell’intervento al corso FORMEL – Milano – maggio 1999.

(2) V. TENDOLINI, in Nuovissimo Digesto, voce “Messo comunale e provinciale”.

(3) Contra Cass. Civ. Sez. Un. 1991 n. 1341 che sottraendo alla competenza della Corte dei Conti la responsabilità relativa del messo la devolveva al giudice ordinario in quanto attività compiuta in qualità di dipendente non dell’Amministrazione danneggiata ma del Comune.

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Il Messo Comunale svolge un’attività complessa e d’elevata responsabilità ed è chiamato a rispondere personalmente di eventuali azioni illecite o dannose per l’amministrazione dalla quale dipende o per terzi.

Responsabilità penale

Il Messo Comunale risponde penalmente di tutte quelle azioni od omissioni che costituiscono fatti puniti dalla legge penale (es. l’omissione o il rifiuto di atti d’ufficio, puniti dall’art. 328 del c.p.).

Responsabilità civile

Il Messo Comunale può essere civilmente responsabile per i danni provocati a terzi. Può rispondere direttamente ai terzi ovvero in- direttamente, quando risarcisce l’amministrazione da cui dipende, chiamata a propria volta a rispondere di fronte ai terzi per il danno provocato dal Messo Comunale. La responsabilità si concretizza solo quando il danno è provocato con dolo o colpa grave. La colpa lieve non comporta responsabilità. L’obbligo di risarcimento discende dal principio generale per il quale chiunque provoca un danno deve risarcirlo (art. 2043 c.c.).

Responsabilità contabile e patrimoniale

Particolare rilevanza assume la responsabilità connessa alla condotta che il Messo Comunale deve osservare nell’espletamento degli atti del suo ufficio. La giurisprudenza amministrativa si è interessata del particolare rapporto che si instaura tra il Messo Comunale e gli uffici della amministrazione finanziaria dello Stato, relativamente alla notificazione degli atti di accertamento tributario. È in vigore il principio secondo cui la notificazione degli atti di altre amministrazioni (Stato, Enti pubblici, Regioni, Province, altri Comuni, ecc.) deve avere luogo tramite l’amministrazione da cui dipende il Messo Comunale e non con rapporto diretto con questo ultimo. La Corte dei Conti, sez. I, con decisione 28 ottobre 1983, n. 145, ha ritenuto che «pur in carenza di un rapporto di pubblico impiego fra l’amministrazione finanziaria e il Messo Comunale, sussiste la giurisdizione della Corte dei Conti nei confronti del secondo per il danno patrimoniale che si assume arrecato alla prima in conseguenza alla tardiva notificazione di avvisi di accertamento tributario; invero l’art. 60 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, con lo stabilire che la notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente […] è eseguita dai Messi Comunali, viene ad inserire questi ultimi nella fase conclusiva del procedimento di accertamento delle imposte, di competenza appunto dell’amministrazione finanzia- ria, realizzando in tal modo una dipendenza funzionale dei Messi Comunali stessi dalla stessa amministrazione e dando vita conseguente- mente ad un rapporto di servizio fra i primi e la seconda, di per sé sufficiente ad incarnare la giurisdizione contabile della Corte dei Conti».

Responsabilità disciplinare: sanzioni e procedure disciplinari

Il Messo Comunale risponde sul piano disciplinare, quando la propria condotta ha violato gli obblighi ed i doveri d’ufficio (artt. 23 ss. del C.C.N.L. del 6.7.1995 modificati dal Titolo IV del C.C.N.L. 22.1.2004 e dagli artt. 3, 4, 5 del C.C.N.L. 11.4.2008, nonché dal Titolo IV del d.lgs. 165/2001 come modificato dal d.lgs. 150/2009). Il Messo Comunale, come ogni altro dipendente del Comune che viene meno ai propri doveri, può incorrere in responsabilità di carattere disciplinare. Le violazioni, da parte dei lavoratori, dei doveri di cui al codice disciplinare, danno luogo, secondo la gravità dell’infrazione, previo relativo procedimento, all’applicazione delle sanzioni disciplinari. L’ufficio competente per i procedimenti disciplinari, dopo aver fatto la contestazione degli addebiti, sulla base degli accertamenti effettuati e delle giustificazioni addotte dal dipendente, irroga la sanzione applicabile. Quando il medesimo ufficio ritenga che non vi sia luogo a procedere disciplinarmente dispone la chiusura del procedimento, comunicandolo all’interessato. Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione. Si ritiene, infine, utile richiamare l’attenzione sulle norme comportamentali contenute nel codice comportamentale delle pubbliche amministrazioni, che contiene specificazioni esemplificative degli obblighi di diligenza, lealtà ed imparzialità.

Messo non puntuale, la notifica tardiva si paga a caro prezzo

Il Comune deve risarcire il danno per la mancata o intempestiva consegna di un atto tributario in scadenza. Sussiste responsabilità contrattuale in capo al Comune per l’ipotesi in cui un suo messo non abbia correttamente svolto l’incarico – da qualificarsi come mandato ex lege – attribuitogli dall’Amministrazione statale di notifica di un avviso di rettifica in scadenza. In questa ipotesi, il danno potrà quantificarsi, in presenza di determinati presupposti, in misura pari all’ammontare delle imposte e degli accessori al cui recupero l’atto tributario era diretto. Queste le conclusioni della Cassazione con la sentenza n. 26118 del 30 ottobre 2008.

La vicenda tributaria

Un ufficio dell’ex ministero delle Finanze richiedeva a un Comune di procedere alla notificazione di un avviso di rettifica Iva. Alla richiesta, pervenuta all’ente locale il 22 dicembre 1989, il messo comunale dava attuazione secondo modalità estranee a quelle indicate nell’articolo 60 del Dpr 600/1973, provvedendo, tra l’altro, all’inoltro al destinatario di una lettera raccomandata soltanto in data 12 gennaio 1990, successivamente cioè alla scadenza del termine di decadenza per l’esercizio del potere impositivo (il 31 dicembre 1989). A seguito dell’impugnazione proposta dall’interessato avverso l’atto impositivo, il giudice tributario – sia di primo che di secondo grado – riconosceva fondata l’eccezione del contribuente di tardività della notificazione e la conseguente decadenza dell’Amministrazione finanziaria dalla pretesa fiscale.

Il giudizio civile di merito

Con atto di citazione dinanzi al Tribunale di Brescia, l’Amministrazione finanziaria conveniva in giudizio il Comune per ottenere il risarcimento dei danni derivati dalla erronea e tardiva notificazione dell’atto in questione. Il Tribunale rigettava il ricorso, ritenendo che con riferimento alle notificazioni di atti nell’interesse dell’Amministrazione finanziaria, il Comune non fosse tenuto a rispondere dei danni arrecati dal messo, ancorché quest’ultimo fosse dipendente dell’ente locale. In secondo grado, tuttavia, la Corte di appello di Brescia ribaltava l’esito della prima pronuncia, condannando il Comune al risarcimento dei danni richiesti. Secondo i giudici, l’ente territoriale avrebbe dovuto rispondere del danno, in ragione della violazione del rapporto di preposizione gestoria intercorrente con l’Amministrazione finanziaria e qualificabile in termini di mandato ex lege: veniva invece escluso che, nella fattispecie, si fosse instaurato un rapporto di servizio diretto tra la stessa A.F. e il messo, operante alle esclusive dipendenze dell’ente locale.

Il giudizio di legittimità

Avverso la sfavorevole sentenza d’appello, il Comune proponeva ricorso per cassazione contestando, in particolare, l’applicabilità del principio secondo cui avrebbe dovuto rispondere dell’operato del proprio messo anche quando la notificazione fosse avvenuta a istanza di diverso ente pubblico e, in questo caso, dell’Amministrazione finanziaria. Sosteneva, inoltre, che la notificazione era avvenuta nel rispetto delle disposizioni contenute nel richiamato articolo 60. Il motivo d’impugnazione è stato disatteso dalla Suprema corte che, innanzitutto, ha confermato l’inquadramento – operato in sede di merito – del conferimento, da parte dell’Amministrazione finanziaria al Comune, del compito di procedere tramite i messi municipali alla notificazione dell’avviso tributario come mandato ex lege. In tali ipotesi, infatti la richiesta da parte del Fisco di notifica di un atto impositivo non determina l’inquadramento del messo comunale nell’organizzazione dello stesso richiedente. Piuttosto, precisa la sentenza 26118/2008, i messi municipali rimangono comunque dipendenti dell’ente locale e quindi agiscono, anche nell’esecuzione del compito in questione, “in adempimento degli obblighi derivanti dal loro rapporto d’impiego con il Comune …”.

Da tali premesse, la Cassazione fa scaturire la responsabilità contrattuale del Comune verso l’Amministrazione statale, connessa – per l’accertata mancata osservanza delle regole in tema di notifiche di atti tributari – al negligente svolgimento del conferito mandato ex lege. Circa la quantificazione del danno subito, la Suprema corte ha avallato la conclusione raggiunta dai giudici di merito, secondo i quali l’ufficio finanziario poteva legittimamente giovarsi della presunzione di corrispondenza del danno stesso all’ammontare delle imposte e degli accessori al cui recupero l’avviso di rettifica era volto. A tale conclusione si era pervenuti anche sul duplice rilievo che, da un lato, nel ricorso proposto alla Commissione tributaria il contribuente si era limitato a eccepire la tardività della notificazione dell’avviso, senza sollevare alcuna eccezione di merito avverso la pretesa impositiva, dall’altro, perché nel giudizio civile il Comune aveva opposto soltanto una generica contestazione, omettendo di dedurre e provare l’insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell’obbligazione tributaria. Infine, la Cassazione ha ritenuto ineccepibile la qualificazione operata in sede di merito del risarcimento dovuto dall’ente locale come debito non di valuta ma di valore “soggetto, dunque, anche al cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi, trattandosi di debito d’indole risarcitoria da inadempimento di un’obbligazione non pecuniaria (ma ex mandato) e non per legge direttamente rapportato all’entità della pretesa fiscale pregiudicata, ma a questa solo commisurato per equivalente pecuniario”.


8 marzo: Festa della donna

8 marzo 2015Per tutte le violenze consumate su di Lei,

per tutte le umiliazioni che ha subito,

per il suo corpo che avete sfruttato,

per la sua intelligenza che avete calpestato,

per l’ignoranza in cui l’avete lasciata,

per la libertà che le avete negato,

per la bocca che le avete tappato,

per le ali che le avete tagliato,

per tutto questo:

in piedi, Signori, davanti ad una Donna.

(William Shakespeare)

 


Notifica per posta

Il testo del disegno di legge sulla Concorrenza è stato varato dal Governo nel febbraio 2015. In ottobre dello stesso anno la Camera dei Deputati lo ha approvato e ora è all’esame della Commissione Industria del Senato.

Nel disegno di legge  vengono affrontati vari temi tra i quali i servizi postali nel quale dal giugno 2017 Poste Italiane perderà l’esclusiva sugli atti giudiziari.


La notifica a mezzo PEC nel processo amministrativo è inesistente

Il Consiglio di Stato ritorna sui suoi (recenti) passi come una specie di gambero, per lo più incerto sulla direzione da seguire. Con la sentenza 20 gennaio 2016, n. 189 la Terza Sezione affronta la questione trita e ritrita della possibilità di notificare il ricorso introduttivo a mezzo posta elettronica certificata. Lo fa con uno straordinario revirement rispetto al proprio precedente arresto di settembre scorso, con il quale, rifacendosi ad altri precedenti, sembrava avesse definitivamente sopito il dibattito PEC si, PEC no, per l’ammissibilità di tale forma di notificazione anche nel processo amministrativo.
Nella sentenza del 14 settembre 2015 n. 4270, il Collegio ritiene di dover essere coerente con i suoi precedenti aderendo per relationem allo stesso Consiglio di Stato, Sez. VI n. 2682 del 28 maggio 2015 secondo il quale: “La mancata autorizzazione presidenziale ex art. 52, c o. 2, del c.p.a. non può considerarsi ostativa alla validità ed efficacia della notificazione del ricorso a mezzo PEC atteso che nel processo amministrativo trova applicazione immediata la l. n. 53 del 1994 (ed in particolare… gli articoli 1 e 3 bis della legge stessa), nel testo modificato dall’art. 25 co. 3, lett. a) della l. 12 novembre 2011, n. 183, secondo cui l’avvocato “può eseguire la notificazione di atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale… a mezzo della posta elettronica certificata”.
“Nel processo amministrativo telematico (PAT) contemplato dall’art. 13 delle norme di attuazione di cui all’Allegato 2 al cod. proc. amm. è ammessa la notifica del ricorso a mezzo PEC anche in mancanza dell’autorizzazione presidenziale ex art. 52, co. 2, del c.p.a. , disposizione che si riferisce a “forme speciali” di notifica, laddove invece la tendenza del processo amministrativo, nella sua interezza, a trasformarsi in processo telematico, appare ormai irreversibile.
“Se con riguardo al PAT lo strumento normativo che contiene le regole tecnico –operative resta il DPCM al quale fa riferimento l’art. 13 dell’Allegato al c.p.a. , ciò non esclude però l’immediata applicabilità delle norme di legge vigenti sulla notifica del ricorso a mezzo PEC”.
Con la sentenza di cui trattasi, invece, gli Inquilini di Palazzo Spada considerano le notificazioni a mezzo PEC nel processo amministrativo tamquam non esset, giustificando tale differenza rispetto al processo civile con la specialità del rito rinvenibile nelle disposizioni dettate in materia dal CPA, le quali rinviano, per l’ammissibilità, ad una regolamentazione specifica sulla quale vi è la mora del legislatore. Solo il Presidente del Collegio può rendere “esistente” la notifica a mezzo PEC attraverso una sua autorizzazione preventiva ex art. 52 del Codice del Processo Amministrativo, mancante nel caso di specie.
L’inesistenza, è una categoria non armonizzabile con il principio processualistico del raggiungimento dello scopo, proprio per via della mancanza della materia prima…l’esistenza dell’atto in nuce, che in tale ipotesi è negata. Con la conseguenza che anche l’eventuale costituzione in giudizio del destinatario dell’atto non varrebbe a sanarne il vizio.
Il Collegio ammette (e non concede) che anche vertendo in tema di nullità, la costituzione del notificato – diversamente dal processo civile – produrrebbe effetto ex nunc, restando quindi salve le decadenze già maturate, ivi compresa la scadenza del termine di impugnazione, che renderebbe irricevibile il ricorso per tardività qualora la costituzione del notificato avvenisse in data posteriore alla stessa.
Ma tale sentenza alimenta il disvalore dell’incertezza del diritto, considerando che il Collegio contraddice se stesso utilizzando le identiche disposizioni di legge in una specie di ossimoro ermeneutico, ora esaltando la portata dell’art. 1 della Legge n. 53/94 il quale, nel testo modificato dopo l’entrata in vigore del Codice del Processo Amministrativo (dunque applicando il criterio cronologico per giustificarne la sopravvenuta vigenza rispetto alle disposizioni del CPA difformi) consente in via generale le notificazioni a mezzo PEC “in materia civile, amministrativa e stragiudiziale”, ora negandone l’applicazione al processo amministrativo in virtù di una autoreferenziale specificità, che nel diritto processuale ha meno ragione di esistere, visti i sempre maggiori punti di contatto tra i due riti.
Anche la necessità, invocata dal Collegio, di specifiche disposizioni tecniche ancora da approvare per il processo amministrativo appare debole come elezione unica ed esclusiva della sedes materiae, e trascura di considerare che la notificazione a mezzo posta elettronica certificata è già compiutamente disciplinata e pacificamente ammissibile, inserendosi in quella inarrestabile tendenza evolutiva dei canali di comunicazione.

Leggi: Consiglio di Stato, sez. III – sentenza 20 gennaio 2016 n. 189


Equitalia: la nuova cartella di pagamento

EquitaliaUna riprogettazione globale stilata dalla necessità di garantire “una migliore fruibilità del contenuto informativo allo scopo di assicurare maggiore chiarezza e trasparenza al contribuente”. Queste le motivazioni che si leggono nel provvedimento n. 27036/2016 con il quale l’Agenzia delle entrate ha approvato il nuovo modello delle cartelle di pagamento con i relativi fogli avvertenza (leggi a fondo pagina).
La riprogettazione, resasi obbligatoria anche a seguito della riforma del contenzioso tributario, renderà più chiare le indicazioni sulle cartelle notificate ai cittadini sia relativamente agli importi che alle modalità di assolvimento del debito.
Ad essere oggetto di intervento di razionalizzazione, infatti, oltre alla sezione “Dove e come pagare”, comprensiva di tutte le modalità di pagamento prima illustrate in due sezioni distinte, è anche la terminologia attinente alle somme spettanti ad Equitalia, con la sostituzione degli “oneri di riscossione” alla precedente parola “compensi”, nonché la sezione relativa al reclamo-mediazione.
In particolare, “per effetto della riformulazione dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 che disciplina l’istituto del reclamo-mediazione, è stata ridenominata la sezione ‘Presentazione del reclamo-mediazione e del ricorso’ in ‘Presentazione del ricorso’ ed è stato eliminato ogni riferimento alla pregressa disciplina che imponeva al contribuente di presentare, in via preliminare, un’istanza di reclamo-mediazione”.
In base alla nuova previsione normativa, infatti, per le controversie di valore non superiore a 20.000,00 euro, la presentazione del ricorso giurisdizionale produce anche gli effetti di un reclamo e può contenere una proposta di mediazione con rideterminazione dell’ammontare della pretesa.
Ad essere adeguato è, altresì, il riferimento al limite di valore della controversia, ai fini della costituzione in giudizio senza l’assistenza di un avvocato, elevato dai precedenti € 2.582,28 a € 3.000,00.
L’adozione del modello è obbligatoria per tutte le cartelle notificate ai contribuenti da parte di Equitalia, che proprio in questi giorni ha ufficializzato la modifica della propria struttura, attraverso la fusione delle tre aziende del gruppo (Equitalia Nord, Centro e Sud) in un’unica società, a decorrere con decorrenza 1 gennaio 2016.

Agenzia delle Entrate 27036-2016 Approvazione del nuovo modello di cartella di pagamento

Cartella esattoriale 2016


Notifica postale

In relazione alla notificazione effettuata mediante l’utilizzo di una raccomandata A.R. ordinaria c’è una interessante sentenza della Corte di Cassazione che prende in esame proprio il problema della determinazione del momento in cui la notificazione si intende perfezionata per il destinatario. La Sentenza di Cassazione n. 2047/2016 prende in considerazione la notificazione postale di atti tributari effettuata direttamente dall’ufficio che adotta l’atto a mezzo di raccomandata A.R. ordinaria e precisa che pur non potendosi applicare le norme della legge 890/1982, dovendo fare riferimento a quanto previsto nel regolamento postale di cui al D.M. 01.10.2008, che dispone in merito all’attività di consegna delle raccomandate ordinarie ma nulla dice in merito all’attività di notificazione, si debba procedere, in assenza di specifiche norme emanate dal legislatore, ad una interpretazione che consenta di contemperare gli interessi del notificante con quelli del notificato. Così la sentenza richiamata pur avendo escluso che si applichino in via diretta le norme della legge 890/1982 ritiene che tali disposizioni vadano applicate in via analogica, cioè che si debba comunque fare riferimento ai principi in essa contenuti. La conclusione è quindi che nel caso in cui la raccomandata A.R. sia stata restituita perché il destinatario non ne ha curato il ritiro, si debba comunque fare riferimento ai 10 giorni dal rilascio dell’avviso di giacenza di cui all’art. 25 del citato DM. Se la preoccupazione è quella di disporre dell’avviso di giacenza lasciato dal postino la prova dell’avviso in questione è riportata sulla raccomandata A.R., ritornata dopo la giacenza. Sulla busta è infatti annotata dal postino la data di rilascio dell’avviso contrassegnata dalla dicitura “avvisato il” e dalla data e siglata dal portalettere. Se la dicitura manca si può richiedere all’ufficio postale che tale indicazione sia riportata sulla busta. Per quanto sia comprensibile che la mancanza di specifiche norme per la notificazione postale effettuata mediante una raccomandata A.R. ordinaria, abbia determinato il ricorso al Messo Comunale nei casi di compiuta giacenza, in assenza di norme apposite e di un orientamento giurisprudenziale specifico, la sentenza 2047/2016 risolve finalmente il problema in modo condivisibile.