DIMISSIONI CON RISCHIO: la revoca non è vincolante per la P.A.

Pubblico   impiego: le dimissioni del dipendente sono valide anche se non accettate dall’Amministrazione.

La riforma del pubblico impiego portata a compimento con il decreto legislativo 165/2001 e successive modifiche ha determinato una delegificazione del rapporto di lavoro pubblico con la sostituzione delle norme pubblicistiche con quelle previste dalla contrattazione collettiva.

Essendo il c.d. rapporto di “pubblico impiego privatizzato” regolato sostanzialmente dalle norme del codice civile – nonché dalle norme sul pubblico impiego (solo in quanto non espressamente abrogate e non incompatibili) – le dimissioni del dipendente pubblico, in seguito revocate, sono valide anche se manca l’accettazione dell’amministrazione.

E’ questo il principio stabilito dalla Corte Suprema di Cassazione -sezione lavoro con la sentenza n. 24341 del 29 ottobre 2013.

Le dimissioni costituiscono infatti un negozio unilaterale recettizio, idoneo a determinare la risoluzione del rapporto di lavoro dal momento in cui venga a conoscenza del datore di lavoro e indipendentemente dalla volontà di quest’ultimo di accettarle, sicché non necessitano più – per divenire efficaci – di un provvedimento di accettazione da parte della P.A..


PRECARI NELLA P.A.

 L’art. 35 comma 3-bis dlgs. 165/2001 e l’art. 4 comma 6 DL 101/2013 (convertito nella legge 125/2013) disciplinano due diverse procedure speciali di reclutamento a favore del personale precario delle PA, finalizzate alla valorizzazione delle professionalità acquisite e, al contempo, alla riduzione del numero dei contratti a termine nel pubblico impiego.

 I due interventi normativi rappresentano l’attuazione degli indirizzi programmativi definiti da Governo e Parti Sociali con il Protocollo d’Intesa sul Lavoro Pubblicodel 3.5.2012.

 Con la recente circolare del Dip. Funzione Pubblica n. 5 del 21.11.2013 sono stati forniti i primi indirizzi per la corretta applicazione del DL 101/2013 soffermandosi, tra l’altro, sul reclutamento speciale previsto dall’art. 4 del decreto-legge, “proprio perché è quello volto al superamento del fenomeno del precariato”, sottolineando che tale reclutamento non comporta alcun diritto per i possibili beneficiari e “può essere avviato dalle amministrazioni in via facoltativa, in ragione del loro fabbisogno”.

 Riassumiamo le novità

Reclutamento speciale a regime

 È la denominazione che la circolare 5/13 utilizza per individuare le procedure di reclutamento già disciplinate dall’art. 36 comma 3-bis dlgs. 165/2001. Secondo tale norma, a decorrere dal 1.1.2013, le PA -nel rispetto della programmazione triennale, nonché del limite massimo del 50% delle risorse finanziarie disponibili -possono avviare procedure di reclutamento mediante concorso pubblico:

 a)    con riserva dei posti, nel limite massimo del 40%, a favore dei titolari di rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato che (alla data di pubblicazione dei bandi) hanno maturato almeno 3 anni di servizio alle dipendenze della PA che emana il bando;

 b)   per titoli ed esami, finalizzati a valorizzare, con apposito punteggio, l’esperienza professionale maturata dal personale di cui alla lettera a) e di coloro che (alla data di emanazione del bando) hanno maturato almeno 3 anni di contratto co.co.co nella PA che emana il bando.

 Reclutamento speciale transitorio

 È la denominazione che la circolare 5/13 utilizza per individuare le nuove procedure disciplinate dall’art. 4 comma 6 del DL 101/2013. La disposizione prevede che, a decorrere dal 1.9.2013 e fino al 31.12.2016, le PA possono avviare procedure di reclutamento mediante concorso a tempo indeterminato, per titoli ed esami, riservato per un massimo del 50% dei posti previsti, a coloro che:

a)   sono in possesso dei requisiti di cui all’art. 1 commi 519 e 558 legge 296/2006 e dell’art. 3 comma 90 legge 244/2007, ovvero:

  •  essere stati in servizio al 1.1.2007 con 3 anni di tempo determinato maturato nel quinquennio precedente;
  • essere stati in servizio al 1.1.2007 con 3 anni di tempo determinato maturato in virtù di un contratto in essere al 29.9.2006, tenendo conto anche del servizio svolto a tempo determinato nel quinquennio precedente al 1.1.2007;
  • 3 anni di tempo determinato già maturati nel quinquennio precedente al 1.1.2007, per coloro non in servizio al 1.1.2007;
  • in servizio al 1.1.2008 con 3 anni di tempo determinato maturato in virtù di un contratto in essere al 28.9.2007, tenendo conto anche del servizio svolto a tempo determinato nel quinquennio precedente al 1.1.2008.

 b)   coloro che alla data del 30.10.2013 hanno maturato, negli ultimi 5 anni (ovvero nel periodo dal 30.10.2008 al 30.10.2013), almeno 3 anni di servizio con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato alle dipendenze della PA che emana il bando, con esclusione dei servizi prestati presso uffici di diretta collaborazione degli organi politici.

 Il carattere transitorio delle procedure speciali ex art. 4 comma 6 DL 101/2013 si evince dalla circostanza che dette procedure (a differenza di quelle speciali a regime) possono essere avviate entro limiti temporali ben definiti, cioè solo a valere sulle assunzioni relative al 2013, 2014, 2015 e 2016. Resta fermo il vincolo di non superare per ciascun anno la misura del 50%. Le graduatorie sono utilizzabili per assunzioni nel quadriennio 2013-2016.

 Rapporto tra le due procedure speciali di reclutamento

 Per espressa disposizione normativa le procedure speciali transitorie “possono essere avviate (…) in alternativa a quelle di cui all’articolo 35 comma 3-bis del dlgs. 165/2001”. Sul concetto di alternatività la circolare 5/13 chiarisce che “tale alternatività si pone rispetto all’esigenza di salvaguardare l’adeguato accesso dall’esterno e conseguentemente le due modalità di reclutamento speciale, nell’ambito del limite massimo del 50% delle risorse previste per ciascun anno, sono tra loro complementari”. La circolare precisa che il ricorso alle procedure speciali di reclutamento non può prescindere dall’adeguato accesso dall’esterno. Pertanto le PA non possono destinare più del 50% del loro budget assunzionale per il reclutamento speciale (sia quello a regime, sia per quello transitorio previsto nel quadriennio, sia per entrambi complementariamente considerati ove avviati nel quadriennio).

 La proroga dei contratti oltre il limite dei 36 mesi

 Il dlgs. 368/2001, applicabile al pubblico impiego in forza del rinvio operato dall’art. 36 dlgs. 165/2001, dispone che il contratto di lavoro a tempo determinato può essere prorogato solo quando la durata iniziale sia inferiore a 3 anni. La proroga è ammessa una sola volta, a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa. In ogni caso, la durata complessiva del rapporto a termine non può essere superiore a 3 anni. Lo stesso dlgs. 368/2001 all’art. 5 comma 4-bis prevede eccezionalmente la possibilità di prorogare il contratto oltre il limite massimo dei 36 mesi mediante un’apposita procedura negoziale che coinvolge datore di lavoro e parti sindacali. A tale ipotesi (cd. proroga ordinaria) si aggiunge ora quella prevista dal DL 101/2013 (cd. proroga finalizzata), concernente la proroga disposta per consentire la conclusione delle procedure di reclutamento speciale transitorio.

 La proroga “finalizzata”

 L’art. 4 comma 9 DL 101/2013 consente alle PA la proroga oltre il limite massimo dei 36 mesi dei rapporti di lavoro a termine dei soggetti interessati alle procedure di reclutamento speciale transitorio fino al completamento delle stesse e comunque non oltre il 31.12.2016, al ricorrere dei seguenti presupposti:

 previsione nella programmazione relativa al quadriennio dell’avvio di procedure concorsuali di reclutamento speciale (sia secondo la normativa a regime, sia secondo la procedure transitorie previste dal DL 101/2013);

  • rispetto dei vincoli finanziari in materia di controllo della spesa del personale e assunzioni a tempo determinato e dei divieti di assunzione che scaturiscono in via sanzionatoria (art. 1 comma 557 legge 296/2007 e art. 76 comma 7 DL 112/2008);
  • rispetto dei limiti massimi della spesa annua per la stipula dei contratti a tempo determinato previsti dall’art. 9 comma 28 DL 78/2010, convertito nella legge 122/2010, fatte salve le deroghe previste dalla legge;
  • proroga nei confronti di coloro che alla data del 30.10.2013 abbiano maturato almeno 3 anni di servizio alle proprie dipendenze;
  • coerenza con il proprio effettivo fabbisogno, con le risorse finanziarie disponibili e con i posti in dotazione organica vacanti indicati nella programmazione triennale, anche alla luce delle cessazioni dal servizio che si prevede si verifichino nel corso del quadriennio.

 Le proroghe “non finalizzate”, disposte cioè senza avviare il reclutamento speciale, sono contrarie alle disposizioni previste dal decreto legge.

 Proroga secondo il regime ordinario ex art.5 comma 4-bis dlgs. 368/2001

 Per le PA che non hanno le condizioni finanziarie e i posti in pianta organica per avviare il reclutamento speciale transitorio di cui al DL 101/2013, la durata massima dei contratti a tempo determinato rientra nel regime ordinario previsto dal dlgs. 368/2001, anche per quanto concerne i possibili spazi di proroga oltre il limite massimo dei 3 anni. In tali ipotesi, infatti, rimane applicabile la disposizione di cui all’art. 5 comma 4-bis del dlgs. 368/2001 che eccezionalmente consente la proroga oltre il limite massimo di 36 mesi previa la stipula di CCNL o decentrati con le O.S. più rappresentative sul piano nazionale. Ragionando alla luce dei nuovi percorsi di stabilizzazione, sembra corretto affermare che la proroga ordinaria possa essere motivata sul presupposto dell’avvio delle procedure di reclutamento speciale a regime previste dall’art. 35 comma 3-bis dlgs. 165/2001 al fine di delineare un percorso speculare a quello definito dal DL 101/2013. A tal proposito, la circolare 5/13 precisa che “le amministrazioni hanno la facoltà di valutare, in relazione al proprio fabbisogno e nel rispetto dei limiti finanziari in tema di lavoro flessibile, se continuare ad avvalersi – nelle more dell’esperimento delle procedure concorsuali di cui all’art.35 comma 3-bis del dlgs. 165/2001, che non hanno carattere transitorio, per un periodo coerente con la durata delle suddette procedure – del personale interessato alle stesse. La programmazione e l’avvio delle predette procedure concorsuali rappresenta un presupposto importante per supportare le ragioni di una possibile deroga in sede di negoziazione, nella cui sede medesima saranno opportunamente valutati gli interessi rappresentati dalle parti, con particolare riferimento alla necessaria tutela del lavoratore, per evitare il rischio di precarizzazione, sulla corretta applicazione delle disposizioni speciali previste dal DL 101/2013”.


Sanzioni disciplinari: non costituisce una violazione disciplinare la dilazione del processo se congrua in relazione ai carichi di lavoro

 La decisione delle Sezioni unite civili della Suprema Corte di cassazione, le quali, con sentenza n. 1516 del 27 gennaio 2014 hanno respinto il ricorso del Procuratore Generale promosso contro la decisione del Consiglio superiore della magistratura di assolvere sette magistrati, che avevano rinviato per anni ed ingiustificatamente la decisione di numerose cause.
Nella fattispecie, e più precisamente, ai predetti giudici era stato addebitato di avere, nello svolgimento delle loro funzioni di consiglieri relatori in cause civili, dilazionato la decisione di numerose cause mediante rinvii a distanza anche di 4/7 anni, benché ne sarebbe stata possibile la definizione in termini più brevi in relazione ai carichi di lavoro, all’adeguatezza dei mezzi disponibili ed alla materia delle controversie.

La Sezione disciplinare ha ritenuto, pertanto, che non vi fossero nella fattispecie elementi per considerare violato il dovere di laboriosità o che fosse dovuto a negligenza inescusabile il mancato rispetto dei termini di cui agli artt. 81, 82 e 115 disp. att. c.p.c.

La Suprema Corte ha respinto il ricorso del Procuratore Generale affermando che la decisione di assoluzione da parte della Sezione disciplinare del Csm trovava fondamento nel fatto che “la fissazione da parte del singolo giudice o del collegio di un’agenda del processo che non si limiti alla fissazione cronologica dei processi da decidere sulla base dell’ordine di iscrizione a ruolo, ma sulla base delle caratteristiche dei processi pendenti sul ruolo, delle loro difficoltà, dell’urgenza legata ad alcune vicende specifiche o alle caratteristiche del procedimento, non costituisce una violazione disciplinare se la dilazione non appaia palesemente incongrua in relazione ai carichi di lavoro ed alla difficoltà dei processi”.


DARE DEL BUGIARDO: quando l’ironia eccessiva può provocare danni

Dare del “bugiardo” al capo ufficio (o anche al collega) è sempre ingiuria, anche quando a farlo è un rappresentante sindacale.

Corte di Cassazione Penale n. 35992/2013, sez. V del 3/9/2013

  Il caso ha riguardato un agente di PM (anche sindacalista) di un comune abruzzese che si era rivolto alla propria Comandante, davanti ad altre persone, pronunciando la frase: “In questo corpo non lavora nessuno, lei è una bugiarda, io non parlo con i bugiardi”. 

 L’agente di PM, dopo due condanne, ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo:

che la frase ritenuta offensiva era stata pronunciata nel corso di una discussione di contenuto sindacale, caratterizzata da forte conflittualità e che le parole pronunciate non avevano valenza offensiva.

che l’ingiuria pronunciata sul lavoro, tra colleghi, può configurare il diritto di critica.

 La Cassazione è stata di diverso avviso e ha respinto il ricorso ritenendo che “l’affermazione circa il mancato svolgimento di attività lavorativa da parte di addetti alla polizia municipale si traduce inevitabilmente in una accusa (mossa alla comandante) di incapacità organizzativa delle delicate funzioni dei singoli vigili urbani e di carenza di controllo” e che l’accusa “di mentire e violare la verità, nell’ambito di una pur accesa polemica, ugualmente costituisce un’indubitabile lesione dell’onore e del decoro sotto il profilo etico e professionale”.

 Non accolta neppure la tesi secondo cui la frase dell’agente non è offensiva perché lui è un rappresentante sindacale.

Dare del BUGIARDO, senza prove certe, è e resta comunque una OFFESA


Novità sul procedimento amministrativo

Si fornisce agli addetti ai lavori, Responsabili di procedimento (cat. D e C), alcuni recenti interessanti pronunce in materia di procedimento amministrativo.

PROCEDIMENTO TROPPO LUNGO

Consiglio di Stato , sez. VI – sentenza 2.9.2013 n. 4344

Il caso ha riguardato la figura del “danno da ritardo”, in cui c’è stato un illegittimo arresto procedimentale, poi superato (senza peraltro che la PA avesse svolto alcuna ulteriore indagine istruttoria) solo dall’adozione del provvedimento finale autorizzatorio, ma ampiamente oltre il termine di conclusione del procedimento.

A ciò si è aggiunto l’elemento della colpa, in quanto non vi erano particolari difficoltà interpretative delle norme e la PA aveva già raccolto tutti i dati.

CATTIVO ESERCIZIO DELL’ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA

Consiglio di Stato, sez. V – sentenza 9.10.2013 n. 4968

Il risarcimento del danno da “cattivo esercizio” dell’attività amministrativa deve riguardare:

  • l’aggravamento del procedimento non dovuta a straordinarie e motivate esigenze imposte dalla doverosa attività istruttoria;
  • la mancata conclusione del procedimento amministrativo con un provvedimento espresso;
  • la mancata motivazione dei provvedimenti autorizzatori che devono essere motivati;
  • l’ingiustificato arresto procedimentale, rinviando sine die il doveroso esercizio della funzione
  • amministrativa.

È necessario inoltre il requisito della colpa, intesa come negligenza.

Va infine ricordato che l’errore scusabile alleggerisce la responsabilità, se sussistono:

  • peculiari complessità dei fatti;
  • contrasti giurisprudenziali;
  • incertezza normativa;
  • determinazione presa in conformità a un precedente atto amministrativo.


Equitalia: proroga al 31.12.2014

Viene prorogato di un anno, fino al 31 dicembre 2014, l’accordo in base al quale le società del gruppo Equitalia effettuano la riscossione spontanea e coattiva delle entrate tributarie o patrimoniali dei comuni e delle società da essi partecipate. Lo prevede la legge di Stabilità 2014. (Legge 27 dicembre 2013, n. 147 – Disposizioni per la formazione del  bilancio  annuale  e  pluriennale dello Stato (G.U. n. 302 del 27-12-2013 – Suppl. Ordinario n. 87)
Art. 1, comma 610:

610. Al comma 2-ter dell’articolo 10 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, le parole: «31 dicembre 2013» sono sostituite dalle seguenti: «31 dicembre 2014».

comma 2-ter dell’articolo 10 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35:

 2-ter. Al fine di favorire il compiuto, ordinato ed efficace riordino della disciplina delle attività di gestione e riscossione delle entrate dei Comuni, anche mediante istituzione di un Consorzio, che si avvale delle società del Gruppo Equitalia per le attività di supporto all’esercizio delle funzioni relative alla riscossione, i termini di cui all’articolo 7, comma 2, lettera gg-ter), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, e all’articolo 3, commi 24, 25 e 25-bis, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, sono stabiliti inderogabilmente al 31 dicembre 2013.


FESTIVITÀ IN SALVO: anche nel 2014 … giornate festive confermate

Iniziamo bene il 2014!!

L’art. 1 comma 24 del decreto legge 138/2011 (convertito nella legge 148/2011) ha reintrodotto la validità di alcune festività civili, con la conferma dei giorni festivi religiosi già concordati con la Santa Sede.

 Ricordiamo che la norma prevede che:

A decorrere dall’anno 2012 con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare  entro il 30 novembre dell’anno precedente, sono stabilite annualmente le date in cui ricorrono le festività … non conseguenti ad accordo con la Santa Sede, nonché le celebrazioni nazionali e le festività dei Santi Patroni (ad esclusione del 25 aprile, 1 maggio e 2 giugno), in modo tale che … le stesse cadano il venerdì precedente ovvero il lunedì seguente la prima domenica immediatamente successiva ovvero coincidano con tale domenica.

Da questo calcolo resterebbero pertanto fuori 3 festività.

Il governo avrebbe dovuto – entro il 30 novembre 2013 – individuare le festività da spostare nel 2014, ma il relativo decreto non è stato predisposto in tempo,

conseguenza … anche per il 2014 tutto resta confermato!!

Restano pertanto festivi:

lunedì 21 aprile – Pasquetta

Festa del Patrono locale

venerdì 26 dicembre – S. Stefano


Digitalizzazione delle Pubbliche Amministrazioni: nuove norme in materia di protocollazione e conservazione dei documenti informatici

Aggiornato il quadro normativo per la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni.

Il Ministro per la Pubblica Amministrazione e la semplificazione ha firmato due decreti adottati in attuazione di alcune disposizioni del Codice dell´amministrazione digitale, in materia di protocollazione e conservazione dei documenti informatici. I due decreti forniscono un importante supporto alla digitalizzazione dell´amministrazione pubblica che, pur adottando da tempo gli strumenti informatici, non ha ancora adeguato i suoi processi a modelli in grado di sfruttare in pieno le potenzialità dei nuovi mezzi.

Gli schemi innovano e rendono più ampio il quadro delle regole tecniche vigenti in materia, aggiornando quelle sul protocollo informatico e la conservazione dei documenti elettronici, la cui introduzione risale, rispettivamente, all’ottobre del 2000 e al febbraio 2004. Con riferimento alle regole tecniche per il protocollo informatico viene modificato il DPCM 31 ottobre 2000 per adeguarlo al nuovo contesto normativo, che prevede la trasmissione dei documenti non solo mediante l´utilizzo della posta elettronica, ma anche attraverso la PEC o in cooperazione applicativa basata sul Sistema Pubblico di Connettività e sul Sistema Pubblico di Cooperazione. Apportando modifiche alla deliberazione CNIPA n. 11/2004 è stato inoltre introdotto il concetto di “sistema di conservazione”, che assicura la conservazione a norma dei documenti elettronici e la disponibilità dei fascicoli informatici, stabilendo le regole, le procedure, le tecnologie e i modelli organizzativi da adottare per la gestione di tali processi.

Leggi: Regole tecniche conservazione 2013

Leggi: Regole tecniche protocollo informatico 2013


Avvisi di addebito INPS: il solito pasticcio normativo

 L’attività di notificazione atti si intensifica “inspiegabilmente” in prossimità della fine dell’anno.

Altrettanto “inspiegabili” sono le richieste che pervengono ai Comuni di ingenti quantità di Avvisi di addebito, con presunta scadenza il 31.12.2013, da parte dell’INPS.

Il D.L. 78/2010 nella stesura iniziale prevedeva espressamente che l’atto dovesse essere affidato ad Equitalia. Trattandosi di un titolo esecutivo stiamo parlando di avvisi che hanno la stessa natura della cartella esattoriale.

La legge di conversione (Convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, L. 30 luglio 2010, n. 122.) ha abrogato il comma 3° dell’art. 30 che prevedeva espressamente che la notifica dell’avviso di addebito fosse effettuabile tramite affidamento all’agente di riscossione (Equitalia).

Il 4° comma prevede che la notificazione debba essere effettuata tramite PEC o tramite Messo Comunale o Polizia Municipale subordinando tale attività di notifica ad una apposita convenzione.

E’ anche possibile effettuare la notificazione tramite invio di raccomandata A.R..

Il successivo 5° comma prevede che l’atto di cui al 2° comma sia affidato all’agente di riscossione (Equitalia).

Il solito pasticcio normativo!

Se il legislatore ha previsto che il Messo Comunale o la P.M. intervengano previa convenzione tale attività è discrezionale e non solo il Messo Comunale è tenuto ad intervenire ma anche la P.M. proprio perché tale attività di notifica è prevista da apposita norma (art. 30, 4° comma del D.L. 78/2010) e quindi non ai sensi dell’art. 10 della legge 265/1999.

Oltre a ciò, il 5° comma prevede l’affidamento dell’avviso di cui al 2° comma, (quindi dell’avviso di cui non si è ancora disposta la notificazione?) al concessionario.

Poiché tra l’altro si è ripercorsa l’impostazione dell’art. 26 del DPR 602/1973 ed originariamente era previsto che l’atto fosse affidato per la notificazione all’agente di riscossione, che quindi avrebbe provveduto alla notificazione, molto probabilmente ai sensi dell’art. 26 del DPR 602/1973, è legittimo ritenere che il procedimento notificatorio a cui far riferimento sia più probabilmente quello che deriva dal combinato disposto dell’art. 26 del DPR 602/73 e dell’art. 60 del DPR 600/73 (notifica della cartella di pagamento). Va comunque evidenziato che la richiesta di notifica inviata dall’INPS prevede che si notifichi ai sensi degli artt. 137 cpc e seguenti e poiché l’art. 30 del D.L. 78/2010 non cita espressamente a quali modalità di notifica far riferimento.

A tal proposito però si noti come il comma 14 dell’art. 30, DL 78/2010, sembra ricondurre tutta l’attività di recupero delle somme indicate nell’Avviso di Addebito alle norme sulle somme messe a ruolo e sulla cartella di pagamento e quindi avvallare la notificazione con le modalità prevista per la cartella di pagamento.

Inoltre anche se il 3° comma è stato abrogato per consentire comunque all’INPS di ricorrere al primo tentativo di notifica tramite PEC o anche di notificare tramite raccomandata A.R., non ha però tolto la possibilità di affidare gli atti per la notifica anche direttamente all’agente di riscossione (Equitalia) e quindi in caso di atti in scadenza non mancherebbe la possibilità di realizzare la notifica senza l’ausilio dei messi comunali.

In poche parole, l’INPS sta facendo “i suoi affari” (tra l’altro con notevole ritardo) sulle spalle dei Comuni (ma siamo sicuri che tali iniziative debbano essere soddisfatte supinamente o invece i Comuni che si troverebbero in difficoltà, anche a causa dei ridotti tempi di notifica, possono “puntare i piedi”?

Bisogna inoltre considerare che se la norma prevede che gli Avvisi di addebito vanno notificati previa convenzione, quando i destinatari risiedono in province diverse da quella di competenza dell’INPS emittente, diventa impossibile prevedere una convenzione, poiché dovrebbe essere assunta in linea teorica con tutti i comuni d’Italia. Pertanto, è ragionevole pretendere la convenzione con l’INPS territorialmente competente, ma per quanto riguarda gli atti di altri uffici INPS?.

Per gli atti provenienti dagli uffici INPS di province diverse dalla propria si potrebbe anche soprassedere alla mancata convenzione o diversamente, bisognerebbe sostenere che quegli atti devono essere affidati direttamente all’agente della riscossione. E’ inoltre bene puntualizzare che pur in assenza di convenzione la notifica degli avvisi in questione non compromette la validità della notificazione.

Pertanto si ritiene che il Dirigente debba attivarsi al fine di concordare l’invio degli atti e le scadenze degli atti stessi in relazione al personale in servizio attivo.

Leggi: Messaggio INPS 22 novembre 2013


Accertamento fiscale: notifica tardiva e risarcimento del danno da parte del Messo Comunale

Più volte questa Associazione ha fatto rilevare come la corretta applicazione della normativa vigente in tema di notificazioni sia elemento essenziale affinché non venga rilevata la responsabilità patrimoniale del Messo Comunale.

La fattispecie analizzata dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 20365 del 5 settembre 2013 attiene alla questione del risarcimento dei danni cagionati all’Amministrazione finanziaria dalla tardiva notificazione di un avviso di accertamento da parte dei Messi Comunali.

Occorre evidenziare che la notificazione degli atti di accertamento è disciplinata dall’art. 60 del DPR n. 600/1973 secondo cui la notifica è eseguita, secondo le disposizioni di cui agli artt. 137 e seguenti cpc, dai Messi Comunali ovvero dai messi speciali autorizzati dall’ufficio delle imposte.

Nella fattispecie di cui alla sentenza in commento un Comune era stato convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Brescia dal Ministero delle Finanze. Quest’ultimo, in particolare, ne chiedeva la condanna al risarcimento del danno quantificato in € 20.198,63 a causa della tardiva notificazione da parte del Messo Comunale di un avviso di accertamento in materia di INVIM, notificazione che era stata tempestivamente richiesta dall’Ufficio del registro di Bergamo.

Il Tribunale di Brescia aveva tuttavia dichiarato estinto il giudizio per sopravvenuta carenza di interesse ad agire da parte del Ministero in conseguenza della condanna nel frattempo pronunciata dalla Corte dei Conti nei confronti del messo notificatore.

In secondo grado, la Corte d’appello di Brescia accoglieva l’appello proposto dal Ministero delle Finanze e, accertata la responsabilità civile del Comune, lo condannava a pagare la somma di € 49.384,89, comprendente oltre all’importo dell’avviso di accertamento non recuperato, anche la rivalutazione monetaria e gli interessi legali.

Ebbene, nella sentenza la Corte di Cassazione conferma la sentenza emessa dal giudice d’appello ribadendo i propri principi concernenti il rapporto tra responsabilità civile e responsabilità amministrativa in tema di notificazione di atti tributari.

In particolare, secondo la Suprema Corte “l’azione di responsabilità promossa dal P.G. della Corte dei Conti per i danni conseguenti alla tardiva effettuazione da parte dei Messi Comunali della notifica di un accertamento tributario, in quanto volta a far valere una responsabilità amministrativa, a tutela dell’interesse generale al corretto esercizio delle funzioni amministrative e contabili, si differenzia da quella risarcitoria proposta dall’Amministrazione finanziaria nei confronti del Comune e degli altri responsabili, la quale trova fondamento nella responsabilità solidale dei convenuti, in relazione al mancato adempimento da parte Comune dell’obbligazione derivante da un rapporto di mandato “ex lege”. L’azione di responsabilità contabile nei confronti del messo comunale e l’azione contrattuale nei confronti del Comune sono domande che, pur ricollegabili ai medesimi fatti, risultano diverse tanto sotto il profilo oggettivo quanto sotto quello soggettivo”.

E’ bene evidenziare che per “responsabilità amministrativa” si intende la responsabilità per i danni causati all’ente nell’ambito o in occasione del rapporto d’ufficio: affinché un soggetto possa essere chiamato a rispondere in sede di responsabilità amministrativa occorre che lo stesso, con una condotta dolosa o gravemente colposa collegata o inerente al rapporto esistente con l’amministrazione, abbia causato un danno pubblico risarcibile che si ponga come conseguenza diretta e immediata di detta condotta.

La responsabilità amministrativa grava, dunque, sul Messo Comunale in relazione ai danni causati al Ministero delle Finanze per la intervenuta decadenza dell’accertamento dovuta a tardiva notificazione.

Detta responsabilità è azionata dal Procuratore Generale della Corte dei Conti a tutela dell’interesse pubblico al corretto esercizio delle funzioni amministrative e contabili e viene accertata nell’ambito del processo contabile dinanzi alla Corte dei Conti.

Differente è, invece, la responsabilità civile gravante sul Comune. Il Comune, infatti, si è reso inadempiente al contratto di mandato ex lege sussistente tra lo stesso e il Ministero delle Finanze in relazione alla notificazione degli atti tributari affidatigli.

Infatti, afferma la Corte: “il comune, ove richiesto dall’amministrazione finanziaria di notificare un atto impositivo ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, assume gli obblighi di un mandatario ‘ex lege’; esso, pertanto, è civilmente responsabile nei confronti dell’amministrazione mandante nel caso in cui, colposamente ritardando l’esecuzione della notificazione di un avviso di liquidazione di imposta, provochi la decadenza di tale Amministrazione dalla pretesa fiscale”.

Dal punto di vista procedurale, la responsabilità civile del Comune è azionata dal Ministero delle Finanze (soggetto danneggiato) con atto di citazione dinanzi al giudice ordinario ed è volta al reintegro patrimoniale del mancato introito causato dalla decadenza dell’accertamento.

Inoltre, sempre dal punto di vista civile, accanto alla responsabilità contrattuale del Comune sussiste la responsabilità solidale del messo comunale che in concreto ha eseguito la notificazione oltre il termine di decadenza.

Le due responsabilità (civile e amministrativa), pur rinvenendo dallo stesso fatto (notificazione tardiva di un avviso di accertamento da parte del Messo Comunale), sono distinte dal punto di vista sia soggettivo sia oggettivo.

Alla luce di ciò, a nulla vale, nell’ambito del processo civile instaurato dal Ministero delle Finanze, l’eccezione di difetto di interesse ad agire sollevata dal Comune e fondata sulla intervenuta sentenza della Corte dei Conti nei confronti del Messo Comunale all’esito del giudizio di responsabilità amministrativa.

Infatti, la domanda per inadempimento contrattuale proposta dal Ministero delle Finanze è diversa dall’azione promossa dal Procuratore Generale presso la Corte dei Conti, avente ad oggetto la responsabilità amministrativa del preposto alla notificazione.


BUONE FESTE !!!


Assenze per malattia: comportamenti vietati

Il  lavoratore  “in  malattia”  deve  tenere  un comportamento improntato al rispetto dei principi di correttezza e buona fede … pena conseguenze disciplinari   …   che   possono addirittura portare al licenziamento.

Vale la pena di ricordare che è risultato legittimo il licenziamento del lavoratore:

  • che, durante la malattia, era addetto ai lavori di ristrutturazione del locale dove a giorni sarebbe stato trasferito l’esercizio commerciale di cui egli stesso era titolare (Cass. lavoro 5.2.2013 n. 2612)
  • che, durante l’assenza per malattia, serviva la clientela seduta ai tavoli di un locale pubblico (Cass. lavoro 29.11.2012 n. 21253)
  • che, assente per “lombosciatalgia acuta da sforzo”,  faceva il cameriere presso una pizzeria (Cass. lavoro 8.10.2012 n. 17904)
  • che, pur affetto da “cefalea in sinusite frontale riacutizzata”, svolgeva mansioni di addetto alla sicurezza presso locali da ballo (Cass. lavoro 26.9.2012 n. 16375).

Sempre secondo i giudici, l’accertamento dei fatti può essere compiuto (seppur con qualche comprensibile limitazione) mediante il ricorso agli investigatori privati e che – in caso di contestazioni – ricade sul lavoratore “intento allo svolgimento di un’altra attività” dimostrarne la compatibilità con le proprie condizioni di salute.

Durante il periodo di malattia il lavoratore deve rendersi reperibile durante le fasce orarie  previste per la VISITA FISCALE, alle quali è possibile derogare sono in presenza di una ragione seria ed apprezzabile.

Il dipendente dispone quindi di una certa quantità di  TEMPO “LIBERO”  (ovviamente nel caso di patologie meno gravi) che può impiegare in svariati modi, semplicemente riposando ovvero svolgendo un qualche altro tipo di attività.
Quest’ultima possibilità incontra tuttavia limiti molto precisi:

  • è assolutamente vietato lo svolgimento della medesima attività che costituisce l’oggetto delle mansioni lavorative normalmente espletate, in tal caso si presume tout court l’inesistenza dello stato di malattia;
  • è vietato lo svolgimento di qualsiasi attività che possa impedire o anche solo ritardare la piena e pronta guarigione. E’ qui che le cose normalmente si complicano, dovendosi pervenire alla definizione (in ogni singolo caso) di quali condotte risultino incompatibili con lo stato di malattia lamentato.

La Corte di Cassazione ricorda che la ASSENZA DAL DOMICILIO per lo svolgimento di attività lavorativa (o di altro genere)  può giustificare il licenziamento, in relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà:

  • qualora l’attività esterna sia sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia,
  • qualora l’attività, valutata in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio.

Ci sono due recenti casi:

SANZIONE CONFERMATA

Al lavoratore è contestato di avere tenuto, durante il periodo di assenza per lombosciatalgia acuta, un comportamento tale da escludere la sussistenza dello stato di malattia – ovvero in contrasto con l’obbligo di non pregiudicare il ripristino della piena capacità lavorativa (guarigione) – per essere stato visto esercitare la caccia. (Cassazione Lavoro, sentenza 22.2.2013 n. 4559)

SANZIONE ANNULLATA

Un’attività sporadica ed occasionale e non durante l’intero orario di apertura dell’agenzia (gestita da un congiunto) da parte del lavoratore, non è assimilabile a una prestazione lavorativa e risulta certamente poco impegnativa dal punto di vista fisico e psichico.
Tale impegno, stante la sua dimensione qualitativa e quantitativa, è del tutto compatibile con la malattia sofferta, ma addirittura può avere un’incidenza funzionale e positiva per una più pronta guarigione. (Cassazione Lavoro, sentenza 15.10.2013 n. 23365)

Approfondimento:

La Cassazione, con sentenza n. 4559 del 22 febbraio 2013, conferma la legittimità del licenziamento di un lavoratore che, durante l’assenza per malattia, si era (per ben due volte) dedicato a una battuta di caccia in Trentino.

Ebbene, in questo caso, confermando un orientamento che si va sempre più consolidando, la Suprema Corte – a fronte della patologia che affliggeva il lavoratore, consistente in una lombalgia – ha ritenuto che il lavoratore avesse messo in atto una condotta negligente, dato che la caccia all’aperto aveva comportato il prolungato appostamento in un capanno, con conseguente esposizione all’umidità, nonché la necessità di tenere una postura non adatta rispetto alla patologia che era stata denunciata.

Come già precedentemente affermato dalla stessa giurisprudenza, il lavoratore in malattia deve tenere un comportamento improntato al rispetto dei principi di correttezza e buona fede, talché, nel caso di specie, la condotta messa in atto dal dipendente è stata ritenuta passibile della massima sanzione disciplinare, a prescindere dall’avvenuta dimostrazione di un effettivo aggravamento delle condizione di salute in dipendenza dell’attività venatoria. E’ infatti sufficiente che, dalla correlazione tra patologia e altra attività, derivi anche solo un potenziale rinvio della piena guarigione.

La decisione della Suprema Corte appare pienamente condivisibile e corrobora quanto recentissimamente affermato dalla stessa Cassazione; è infatti sufficiente ricordare Cass. 5 febbraio 2013, n. 2612, che ha ritenuto legittimo il licenziamento del lavoratore scoperto mentre era addetto ai lavori di ristrutturazione del locale dove a giorni sarebbe stato trasferito l’esercizio commerciale di cui egli stesso era titolare; Cass. 29 novembre 2012, n. 21253, che parimenti ha convalidato il recesso intimato a un lavoratore che, durante l’assenza per malattia, serviva la clientela seduta ai tavoli di un locale pubblico; o ancora Cass. 8 ottobre 2012, n. 17904, che è giunta alle medesime conclusioni nei confronti di un lavoratore che, assente per lombo sciatalgia acuta da sforzo, faceva il cameriere presso una pizzeria. Da ricordare infine, Cass. 26 settembre 2012, n. 16375, che ha ritenuto legittimo il licenziamento di un lavoratore il quale, pur affetto da “cefalea in sinusite frontale riacutizzata”, svolgeva mansioni di addetto alla sicurezza presso locali da ballo.

Merita concludere ricordando che, sempre secondo i giudici di legittimità, l’accertamento dei fatti può essere compiuto (seppur con qualche comprensibile limitazione) mediante il ricorso agli investigatori privati e che, in caso di contestazioni, ricade sul lavoratore intento allo svolgimento di un’altra attività dimostrarne la compatibilità con le condizioni di salute che hanno comportato l’assenza dal posto di lavoro.

Si ricorda che al lavoratore che si assenta per malattia fanno carico, a fronte del diritto alla conservazione del posto e all’erogazione dell’apposita indennità, alcuni obblighi formali e sostanziali. Infatti egli è, in prima battuta, tenuto a farsi rilasciare la certificazione dello stato morboso (inviando al datore il numero di protocollo) nonché a rendersi reperibile durante le fasce orarie previste per l’effettuazione dei controlli sanitari.

Se il primo adempimento è di semplice esecuzione, la reperibilità costituisce un obbligo altrettanto fermo, cui è possibile derogare solo in presenza di una ragione seria e apprezzabile (anche se non è richiesto che il motivo giustificante l’assenza debba assurgere al rango di “causa di forza maggiore”).

Una volta adempiuto a quanto sopra, il dipendente dispone quindi di una certa quantità di tempo “libero” (ovviamente nel caso delle patologie meno gravi) che può impiegare in svariati modi, semplicemente riposando ovvero svolgendo un qualche altro tipo di attività.

La seconda situazione incontra tuttavia limiti molto precisi, che possono così essere riepilogati:

  1. è assolutamente vietato lo svolgimento della medesima attività che costituisce l’oggetto delle mansioni normalmente disimpegnate: in tal caso si presume tout court l’inesistenza dello stato di malattia;
  2. è inoltre vietato lo svolgimento di qualsiasi attività che possa impedire o anche solo ritardare la piena e pronta guarigione. E’ in questa ipotesi che le cose normalmente si complicano, dovendosi pervenire alla definizione (in ogni singolo caso) di quali condotte risultino incompatibili con lo stato di malattia lamentato.

Licenziamento per soppressione della posizione: requisiti di fondatezza e decadenza dall’impugnazione

La Corte di Cassazione affronta il tema della legittimità di un licenziamento per soppressione della posizione e della tempestività della sua impugnazione.

Nel caso in esame un lavoratore adiva il Tribunale affinché dichiarasse illegittimo il licenziamento intimatogli, per mancato esperimento della procedura di mobilità e per assenza di giustificato motivo con le conseguenze del caso. La società si costituiva eccependo preliminarmente l’intervenuta decadenza del lavoratore per tardività dell’impugnativa. Il Tribunale rigettava il ricorso, accogliendo l’eccezione formulata dalla convenuta. Il lavoratore adiva così la Corte territoriale che confermava la decisione di primo grado. Avverso tale decisione il lavoratore ricorreva in Cassazione, formulando sette motivi. In particolare il ricorrente con il primo motivo denunciava che la Corte territoriale, nonostante la documentazione prodotta in giudizio e comprovante che le attività decisionali spettavano alla sede principale, aveva ritenuto non esser stato indicato alcun elemento utile per considerare quest’ultima e la sede presso cui era adibito unitariamente; con il secondo motivo eccepiva che la medesima, nell’attribuire rilevanza alle difese della società in merito all’autonomia ed indipendenza tecnica ed amministrativa delle due strutture, aveva violato gli artt. 4 e 24 della L. n. 223/1991 e 35 della L. n. 300/1970, che per giurisprudenza costante richiedono un’autonomia anche operativa, strategica ed economica, non sussistente nel caso di specie; con il terzo motivo deduceva che la Corte territoriale, a fondamento della sussistenza della crisi aziendale, aveva posto documenti risalenti nel tempo e che il decremento di fatturato dell’1% rispetto all’anno precedente non poteva considerarsi indice di crisi; con il quarto motivo eccepiva che la stessa non aveva correttamente applicato l’art. 3 della L. n. 604/1966 secondo cui solo una riduzione di fatturato duratura nel tempo può giustificare il licenziamento; con il quinto motivo asseriva che la Corte territoriale non aveva motivato la relazione tra la riorganizzazione aziendale e la soppressione della sua posizione ed aveva errato nel ritenere che alcuni lavoratori non licenziati avessero una qualifica superiore alla sua; con il sesto motivo evidenziava che la stessa non aveva considerato che poteva essere collocato, per l’esperienza e la professionalità maturata, in altre filiale, che le sue mansioni erano state ridistribuite all’interno e che dopo il suo licenziamento erano stati assunti altri con la sua stessa qualifica; con il settimo motivo eccepiva che la Corte aveva erroneamente ritenuto sussistente un nesso di causalità tra la riorganizzazione aziendale e la soppressione della mansione, poiché dagli atti non si evinceva che detta riorganizzazione fosse incentrata sulla sua figura professionale e che diversi colleghi con pari inquadramento ed anzianità aziendale non erano stati inclusi tra i licenziandi. La società resisteva con controricorso e proponeva ricorso incidentale non avendo la Corte territoriale dichiarato il lavoratore decaduto dall’impugnativa di licenziamento per decorrenza dei 60 giorni previsti per legge. La Corte di Cassazione riuniva i ricorsi e concludeva per il loro rigetto, compensando tra le parti le spese processuali del giudizio.

Motivazioni della sentenza

La Suprema Corte ha innanzitutto esaminato il ricorso incidentale, rigettandolo. A suffragio di ciò la stessa ha richiamato un suo precedente secondo il quale il termine di 60 giorni entro cui impugnare un licenziamento “si sospende a partire dal deposito dell’istanza di espletamento della procedura obbligatoria di conciliazione, contenente l’impugnativa scritta del licenziamento, presso la Commissione di Conciliazione” divenendo irrilevante “il momento in cui l’ufficio provinciale del lavoro provveda a comunicare al datore di lavoro la convocazione per il tentativo di conciliazione” (cfr Cass. n. 17231/2010).

Nell’esaminare i motivi del ricorso principale, la S.C. ha ritenuto inammissibili il primo ed il secondo, non essendo stati indicati gli elementi utili per considerare non autonome ed indipendenti le due strutture.

La S.C. ha, altresì, dichiarato infondati il terzo ed il quarto motivo poiché il giudizio di effettività di una situazione di crisi richiede un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità se congruamente motivato. Secondo la S.C. la Corte territoriale ha correttamente applicato i principi ex art. 3 della L. n. 604/1966 e ricollegato la soppressione della posizione ricoperta dal lavoratore alla crisi aziendale ed alla riduzione di fatturato, essendo essa diretta a fronteggiare una situazione sfavorevole non meramente contingente.

La S.C. ha anche rigettato il quinto ed il settimo motivo poiché comportanti una rivalutazione del fatto inammissibile in sede di legittimità.

Infine, con riferimento al sesto motivo la stessa ha precisato che con esso il ricorrente ha introdotto questioni nuove e che comunque la prova dell’impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse da quelle precedentemente svolte “non deve intendersi in modo rigido, dovendosi esigere dallo stesso lavoratore che impugni il licenziamento una collaborazione nell’accertamento di un possibile repechage, mediante l’allegazione di fatti utili a dimostrare o anche solo a far presumere l’esistenza (…) di posti di lavoro cui può essere ancora adibito (…). Se tale onere non è stato adempiuto in sede di ricorso introduttivo, non solo neppure insorge l’onere per il datore di lavoro di offrire la prova della concreta sussistenza di tale possibilità di diverso e conveniente utilizzo del dipendente licenziato ma non può poi la parte introdurre la relativa questione nei successivi gradi del giudizio”.


Fatturazione elettronica nella PA

Sul fronte della fatturazione elettronica nella pubblica amministrazione dal prossimo 6 dicembre, infatti, l’Agenzia delle entrate metterà a disposizione dei soggetti che decideranno di adottare volontariamente la fattura digitale, anticipando l’obbligo, il cosiddetto “sistema di interscambio” per la trasmissione dei documenti.

Dal 6 giugno 2014, poi, la procedura di fatturazione elettronica diventerà obbligatoria per i ministeri, le agenzie fiscali e gli enti di previdenza e assistenza individuati nell’elenco dell’Istat. Al 6 giugno 2015 è invece fissato l’appuntamento per gli altri enti pubblici che concorrono al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica (inclusi nell’elenco Istat pubblicato annualmente entro il 30 settembre), con l’eccezione di Regioni, Province e Comuni, ancora in attesa di un provvedimento ad hoc. Dal 6 dicembre di quest’anno sarà comunque aperto un canale di sperimentazione.

Pare evidente che l’accelerata sul fronte fatturazione elettronica – all’interno della branchia pagamenti elettronici -, peraltro uno dei tre tasselli (gli altri due sono anagrafe unica e identità digitale) voluti da Direttore dell’Agenda Digitale Francesco Caio, sia legata a doppio filo ad alcuni passaggi fondamentali recentemente indicati dalla Ragioneria dello Stato.

La quale ha emanato una circolare in data 4 novembre (la numero 37), che indica un percorso operativo sulla cui falsariga dovranno muoversi tutte le PA ricomprese nell’elenco Istat, in attuazione delle linee guida definite con il decreto ministeriale 55/13, attuativo della legge n. 244/2007.

In particolare, vengono individuati alcuni passaggi operativi indispensabili:

1)    censimento degli uffici destinatari delle fatture elettroniche ed inserimento nell’Indice delle pubbliche amministrazioni (Ipa) in tempo utile per garantirne l’utilizzo in sede di trasmissione delle fatture elettroniche da parte del fornitore;

2)    individuazione di un referente in materia di fatturazione elettronica con il compito di coordinare i tempi e le modalità di avvio della gestione elettronica delle fatture per gli uffici amministrativo-contabili delle varie strutture centrali e periferiche;

3)    raccordo con il sistema gestionale e contabile.

La fatturazione elettronica obbligatoria costituisce una tappa fondamentale nel percorso di dematerializzazione dei processi all’interno delle Pubbliche amministrazioni. Pertanto il legislatore ha disposto che l‘implementazione della fattura elettronica deve essere inquadrata come un “progetto” per il quale è necessario prevedere un’organizzazione interna con una chiara assegnazione dei ruoli, un’opportuna divisione dei compiti e una struttura di governo che garantisca la massima efficienza e il raggiungimento degli obiettivi programmati.

Tra i problemi principali relativi alla fatturazione elettronica e soprattutto alla sua implementazione nella PA, la vecchia questione dei codici di fatturazione specifici: tali codici sono, infatti, dati obbligatori della fattura elettronica e pertanto sono presupposti indispensabili per consentire al Sistema di interscambio di recapitare correttamente la fattura agli uffici di pertinenza.


PUBBLICO IMPIEGO: garantito l’accesso ai documenti amministrativi

Il lavoratore ha diritto di conoscere ed accedere a tutti gli atti e documenti che riguardano la propria posizione lavorativa.

(Consiglio di Stato – sezione III, sentenza 27.5.2013 n. 2894)

L’accesso agli atti amministrativi, regolato dalla legge 241/1990 e dal relativo regolamento (Dpr 184/2006), ha visto nell’ultimo decennio – attraverso ripetuti interventi legislativi – una rinascita sostanziale:

  • si sono definiti legittimati ATTIVI, tutti i soggetti privati, portatori anche di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto-concreto-attuale, attribuibile ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento di cui si richiede l’accesso,
  • per quanto attiene i soggetti PASSIVI, possono essere ricompresi sia enti pubblici sia enti privati,
  • una distinzione tra atto pubblico e atto privato, distinzione prevista dal nuovo art.22, che – diversamente dal precedente (che individuava come atti amministrativi solo quelli formati dalla PA, escludendo quelli privati in suo possesso) – ora fa riferimento invece ad ogni atto detenuto e individua come documento accessibile anche quello privato e non soltanto quello formato dalla P.A.

La giurisprudenza ha confermato da sempre che è irrilevante il regime giuridico dell’atto, essendo invece determinante la relazione dello stesso con l’attività d’interesse pubblico svolta dal soggetto che lo detiene.

A tale conclusione è giunto recentemente anche il Consiglio di Stato, chiamato a pronunciarsi su un rigetto di accesso a documenti – relativi il pagamento della PRODUTTIVITÀ – da parte di un dirigente di una azienda sanitaria locale.

I giudici, ripercorrendo quello che è stato l’orientamento consolidatosi nel tempo, che ha ammesso piena garanzia di accesso per la trilogia di atti amministrativi (di natura pubblica, di natura privata e di pubblico impiego privatizzato), alla fine giungono alla conclusione che:

in materia di lavoro alle dipendenze della PA il dipendente è portatore di un interesse qualificato alla conoscenza di atti e documenti che riguardano la propria posizione lavorativa, atteso che gli stessi esulano dal diritto alla riservatezza.

Viene inoltre ribadito il principio secondo cui il rapporto di pubblico impiego privatizzato – in materia di accesso ai documenti amministrativi – è riconducibile sotto la legge generale sulla trasparenza:

  • l’art.22 della legge 241/1990 garantisce l’accesso ai documenti amministrativi relativi al rapporto di pubblico impiego privatizzato, anche se le eventuali controversie (contenziosi) attinenti a suddetto rapporto rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario.

In buona sostanza viene affermato che, in relazione all’attività di accesso agli atti, è prevalente la finalità dell’interesse pubblico tutelato da norme di rango costituzionale (art.97 e 98).


Le Linee Guida per la razionalizzazione dei CED della PA disponibili sul sito dell’AgID

L’Agenzia per l’Italia Digitale ha reso disponibile sul proprio sito le Linee Guida per la razionalizzazione delle infrastrutture digitali della PA.

Il documento intende contribuire a diminuire i costi di esercizio, semplificare la gestione operativa, aumentare l’efficienza, la flessibilità e la sicurezza.

L’Agenzia per l’Italia Digitale è l’ente preposto all’effettuazione del censimento dei CED delle PA e alla elaborazione delle Linee Guida in base all’articolo 33-septies del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179 convertito nella  Legge n.221/2012 (come modificato dall’art. 16 del decreto legge 21 giugno 2013 n. 69).

Leggi: Linee Guida per la razionalizzazione della infrastruttura digitale della PA-2013