Il contenuto intrinseco delle dichiarazioni ricevute è assistito da presunzioni iuris tantum: in assenza di prova contraria, il giudice non può contestare la regolarità dell’attività
Le attestazioni dell’agente notificatore di non avere rinvenuto la società destinataria di una notifica presso la sua sede legale – perché, secondo quanto appreso, questa aveva la sua sede “effettiva” altrove – e di aver eseguito la consegna dell’atto presso tale sede a persona qualificatasi “addetta” alla ricezione per la società sono assistite da fede fino a querela di falso, attenendo a circostanze frutto della diretta attività e percezione del pubblico ufficiale. Di contro, il contenuto intrinseco delle notizie apprese circa la sede “effettiva” e della dichiarazione di chi si sia qualificato “addetto” alla ricezione per conto della società notificata è assistito da presunzioni iuris tantum, che, in assenza di prova contraria, non consentono al giudice di disconoscere la regolarità dell’attività di notificazione.
In applicazione del riportato principio di diritto,la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21817 del 5 dicembre 2012, ha accolto il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate in una complessa vicenda giudiziaria concernente la regolarità della notifica a una società di un atto di accertamento tributario.
La Commissionetributaria regionale della Campania, respingendo l’appello proposto da una società avverso la sfavorevole sentenza di prime cure, confermava il decisum della Commissione provinciale che aveva dichiarato legittima la cartella di pagamento per Iva 1994, emessa a seguito di avviso di rettifica dell’ufficio di Benevento, ritenuto definitivo perché correttamente notificato e non impugnato.
In particolare,la Ctrdi Napoli – sul rilievo che non era stata proposta querela di falso – considerava incontestabile il contenuto della relata di notifica dell’atto tributario presupposto, specificamente laddove il messo notificatore aveva dato atto che la società contribuente non era più rinvenibile presso la sede legale e che, per tale ragione, si era proceduto alla notifica presso la sede “effettiva” a mani di persona qualificatasi “addetta” alla ricezione.
Nel prosieguo della controversia, la Suprema Corte di Cassazione (sentenza n. 4377/2005) cassava con rinvio la pronuncia del giudice tributario regionale, stabilendo che la relata di notifica dell’avviso in questione poteva contestarsi senza necessità di proporre querela di falso, sia riguardo alla dichiarazione del Messo Comunale di aver proceduto alla notifica presso la sede “effettiva” della società, sia riguardo alla dichiarazione secondo cui la persona che aveva ricevuto l’atto era “addetta” al ricevimento della corrispondenza diretta all’ente.
A seguito di riassunzione del giudizio, con sentenza n. 23/41/2006 del 21 febbraio 2006, la Ctr, in diversa composizione, definiva il giudizio di rinvio, annullando la cartella di pagamento, per inesistenza della notifica dell’avviso di rettifica presupposto.
In particolare, la nuova sentenza del giudice regionale – ritenendo chela Suprema Corte di Cassazione non aveva attribuito validità alcuna ai fatti indicati nella relata – affermava che gli elementi di prova forniti dall’ufficio dell’Agenzia sull’esistenza della sede “effettiva” dell’ente accertato (ad esempio, la presenza di tre linee telefoniche intestate alla contribuente presso tale sede) dovevano considerarsi semplici “illazioni” e che, inoltre, l’ufficio non aveva fornito elementi idonei a dimostrare il collegamento tra la società contribuente e il sedicente “addetto” alla ricezione che aveva preso in consegna gli atti diretti all’ente.
Contro la sentenza del giudice di rinvio, l’Agenzia delle Entrate ricorreva in sede di legittimità, lamentando che la Ctr aveva violato i dettami della pronuncia della Suprema corte, erroneamente reputando che la Cassazione avesse negato valenza di prova al contenuto della relata di notifica, e così esonerando il giudice di rinvio dal riesame delle prove che l’ufficio di Benevento aveva portato a sostegno della verità dei fatti riportati nella relata stessa.
Inoltre, sempre secondo la difesa erariale, la circostanza che i giudici di legittimità avevano escluso che al contenuto intrinseco delle attestazioni del messo potesse attribuirsi la fede privilegiata non poteva comportare anche la negazione della legittimità dell’attività dallo stesso svolta e la valenza privilegiata di ogni altra attestazione di fatti avvenuti alla presenza del messo Comunale (quali, nello specifico, il mancato rinvenimento della società presso la sua sede legale; le indicazioni ricevute circa la sede “effettiva”; le dichiarazioni del consegnatario di essere “addetto” alla ricezione degli atti).
La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 21817/2012, ha accolto in toto il ricorso dell’Agenzia, decidendo nel merito con il rigetto dell’originario ricorso della parte privata, condannata altresì agli oneri processuali del grado di legittimità, oltre a spese prenotate.
Nella motivazione della decisione, i giudici si riportano al costante insegnamento per il quale, seppure il contenuto delle dichiarazioni ricevute dal Messo Comunale o l’esito delle sue ricerche non possono far fede fino a querela di falso – a differenza, ad esempio, da quanto il Messo Comunale dichiari avvenuto in sua presenza o dalle attività che egli affermi di aver compiuto – è altresì vero che, in entrambi i casi, sia il contenuto di dette dichiarazioni che l’esito delle ricerche svolte “debbono presumersi veritiere sino a contraria dimostrazione e questa ovviamente da darsi a chi contesta la notifica (Cass. 25860/2008; Cass. 12311/2007)”.
Nel caso di specie, osservala Suprema Corte di Cassazione, una contraria prova, sulla non veridicità del luogo di rinvenimento della sede “effettiva” e della ricezione da parte di un “addetto”, non era stata fornita dalla società contribuente, sulla quale gravava il relativo onere probatorio.
Il giudice di merito, prosegue la sentenza “ha quindi violato le regole sul riparto della prova fissate in subiecta materia e ciò allorquando ha onerato l’Ufficio della dimostrazione della realtà della sede “effettiva” e dell’“addetto” alla ricezione della notifica. Fatti la cui contrarietà a verità, seppur dimostrabile senza querela di falso, spettava alla contribuente… di provare”.
In poche parole, insomma, il giudice tributario – in assenza della contraria prova che come detto incombeva sulla società contribuente – avrebbe dovuto ritenere correttamente eseguita la notifica dell’avviso di rettifica “presupposto”, e rigettare il ricorso proposto contro la cartella di pagamento, in quanto, secondo la pronuncia in commento, “non c’erano altri fatti da accertare ed in quanto erano da ritenersi presunti la sede “effettiva” e la ricezione della notifica da parte dell’“addetto””.
La sentenza si segnala per la puntualità delle argomentazioni giuridiche, rispetto a una vicenda fattualmente complessa, proponendosi come esempio paradigmatico per la valutazione probatoria delle risultanze della relazione di notificazione, strumento mediante il quale (articolo 148 c.p.c.) l’agente notificatore “certifica l’avvenuta notificazione”, datando e sottoscrivendo la stessa in calce all’originale e alla copia dell’atto.
La relata di notifica, in quanto atto pubblico, “fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti” (articolo 2700 codice civile).
Su questo punto è bene operare un distinguo, perché non tutte le attestazioni della relata godono della valenza di fede privilegiata.
Per consolidata giurisprudenza (Cassazione n. 13216/2007, n. 1856/2001 e n. 8799/2000), fanno piena prova, salva querela di falso, soltanto le attività che il pubblico ufficiale dichiari di avere svolto, la constatazione di fatti avvenuti in sua presenza e il ricevimento delle dichiarazioni a lui rese, queste ultime limitatamente al loro contenuto “estrinseco” (nel caso di specie, quindi, le ricerche fatte per rinvenire la sede dell’ente; l’aver appreso determinate notizie circa l’esistenza di una sede “effettiva”; l’aver ricevuto la dichiarazione di un soggetto che si era qualificato “addetto” alla sede).
Di contro, non ha pubblica fede il contenuto “intrinseco” di tali ricerche e delle dichiarazioni ricevute (nella specie, che corrispondesse a verità che quella rinvenuta era proprio la sede “effettiva” e che il soggetto che aveva ricevuto l’atto era proprio un “addetto”) che, pertanto, costituendo una presunzione semplice può essere contestato con prove idonee, senza che sia necessaria la querela di falso. Con la logica conseguenza che, in assenza di tale prova contraria da parte del destinatario della notifica, il giudice non potrà disconoscere la regolarità dell’attività di notificazione.