Divieto di intestazione fittizia dei veicoli

Come è noto, l’art. 12 della L. 120/2010, ha introdotto nel Codice della strada un articolo, l’art. 94 bis, con il quale si afferma il divieto di intestazione fittizia dei veicoli, sia sulla carta di circolazione che sul certificato di circolazione che sul certificato di proprietà ovvero sul certificato di circolazione dei ciclomotori, e prevede la loro cancellazione d’ufficio dal P.R.A. e dall’archivio nazionale dei veicoli …. (Circ Min Interno 4587-2012 (Intestazione fittizia dei veicoli)  (Circ Min Interno 2403-2013 Intestazione fittizia dei veicoli)


Cancellazione della società dal registro delle imprese – effetti sostanziali e processuali

Le Sezioni Unite, risolvendo una questione di massima di particolare importanza, hanno statuito i seguenti principi di diritto:

 1) «Qualora all’estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: (a) le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali; (b) si trasferiscono del pari ai soci, in regime di con titolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato».

2) «La cancellazione volontaria dal registro delle imprese di una società, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società medesima, impedisce che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio. Se l’estinzione della società cancellata dal registro intervenga in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo del processo, disciplinato dagli artt. 299 e ss. cod. proc. civ., con possibile eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci. Ove invece l’evento estintivo non sia stato fatto constare nei modi previsti dagli articoli appena citati o si sia verificato quando il farlo constare in quei modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta» (nello stesso senso, la “gemella” n. 6071 del 2013).

Testo Completo: Sentenza 12 marzo 2013, n. 6070


Buona Pasqua!

In tempi tristi e cupi, che questa Pasqua, primavera di vita, sia foriera di infinita speranza e letizia.
Auguri di Buona Pasqua!

MOBILITA’ VOLONTARIA: esclusa dai tetti di spesa per le assunzioni

La mobilità volontaria deve essere attivata obbligatoriamente prima della indizione di un concorso pubblico, mentre non ci sono opinioni differenti sul vincolo della sua messa in atto prima dell’uso di una graduatoria esistente nell’ente.

E’ necessario, in qualunque circostanza, il consenso dell’amministrazione cedente:

  • il placet va espresso mediante il parere del dirigente competente
  • infatti continua ad essere utilizzabile la modalità per interscambio e (ad eccezione della preferenza per il personale in comando) è necessario attivare procedure di comparazione e dare una giusta pubblicità preventiva alla sua utilizzazione.

Dunque prima della indizione del concorso pubblico è necessario attivare le procedure di mobilità volontaria previste dall’art. 30 d.lgs 165/2001. Le regole per la mobilità volontaria devono essere stabilite da ciascun ente e devono fare fede ai principi di pubblicità contemplati dall’ordinamento, il personale in comando presso il medesimo ente ha diritto di precedenza nelle assunzioni in mobilità.

Il ricorso a questo istituto non può essere allargato al personale non dipendente delle P.A., nemmeno a quelle delle società in house assunti mediante concorso pubblico. La mobilità non può essere circoscritta al personale del medesimo comparto e, in attesa della tabella di equiparazione, questo procedimento deve essere realizzato da ogni ente.

La Corte spiega che la mobilità può proseguire ad essere disposta anche come interscambio tra enti, nonostante ci sia stata l’abrogazione delle norme contrattuali grazie all’art. 62 del decreto-legge 5/2012.

Il parere spiega che “l’abrogazione della disposizione contrattuale di cui all’art. 6 comma 20 del dpr 268/1987 non preclude agli enti locali di poter attivare una mobilità reciproca o bilaterale con altre amministrazioni locali in applicazione del principio generale contenuto nell’articolo 6 del d.lgs 165/2001.

La mobilità volontaria è uno strumento fondamentale per giungere ad una migliore allocazione del personale nelle P.A.; i suoi costi non sono inclusi nel tetto della spesa per le assunzioni ed i suoi risparmi non si possono calcolare con l’intento di stabilire il tetto di spesa per le nuove assunzioni. (Corte dei Conti sezione controllo del Veneto parere n. 65 del 6.3.2013)

Il parere prevede limitazioni nella sua utilizzazione concreta: “la mobilità deve avvenire tra enti soggetti entrambi ai medesimi vincoli assunzionali; l’interscambio deve avvenire tra dipendenti appartenenti alla stessa qualifica funzionale; l’interscambio deve avvenire entro un periodo di tempo congruo che consenta agli enti di non abbattere le spese di personale qualora l’assunzione del dipendente in entrata slitti dal punto di vista temporale rischiando di traslarsi all’esercizio successivo”.

Ed ancora è necessario garantire ”la neutralità finanziaria” e ”il personale soggetto ad interscambio non deve essere dichiarato in eccedenza o sovrannumero”.

La F.P. ha evidenziato che la mobilità necessita del consenso tanto dell’ente cedente che di quello ricevente, oltre che naturalmente l’iniziativa del dipendente. Diversamente dal passato, con il testo dellart.30 del d.lgs 165/2001 (modificato dalla legge Brunetta) il nulla osta continua quindi in pratica a permanere, ma nella forma del “parere” del dirigente individuato come competente dall’amministrazione (ente ricevente), parere che deve essere preceduto da quello del dirigente dell’articolazione organizzativa presso cui il dipendente fornisce la sua attività lavorativa (ente cedente).

Dunque, contro la volontà dell’ente presso cui il dipendente presta servizio, non è possibile dare corso alla mobilità. (Funzione Pubblica parere n. 10395-2013)


Il nuovo codice di comportamento dei dipendenti pubblici.

E’ stato approvato l’8 marzo 2013 dal Consiglio dei ministri il nuovo Codice di comportamento per i dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni.

Il provvedimento va a completare alcuni precedenti interventi normativi tra cui le disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione.

Nel regolamento della legge anti-corruzione via all’operazione trasparenza contro i meri conflitti di interesse, oltre che le tangenti. Stretta sui telefoni di ufficio

Via all’operazione trasparenza nella pubblica amministrazione. Il Consiglio dei Ministri approva, salvo intese, un regolamento contenente il codice di comportamento dei dipendenti pubblici. In attesa della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale vale la pena di prefigurare le novità contenute nel provvedimento emanato in attuazione della legge anti-corruzione (la 190/2012), in linea con le raccomandazioni Ocse in materia di integrità ed etica pubblica: chi sgarra incorre nella responsabilità disciplinare. Tra le principali novità, sono previsti a carico dei pubblici dipendenti: l’obbligo di astensione da qualunque atto del proprio ufficio nell’eventualità in cui si prospetti un conflitto di interessi, anche solo potenziale (previsti specifici obblighi di comunicazione; il divieto di chiedere o accettare regali, compensi o altre utilità di valore superiore a 150 euro (anche sotto forma di sconto);  per i dirigenti, nuove regole di trasparenza e di tracciabilità dei processi decisionali adottati(regole che annoverano anche precisi obblighi di comunicazione prima dell’assunzione delle loro funzioni), comprovati da adeguati supporti documentali.

Assoluto lo stop all’uso privato di informazioni acquisite per ragioni d’ufficio. Inoltre, il codice sancisce espressamente che l’utilizzo delle attrezzature e del materiale di servizio (telefono, auto, dotazioni telematiche e quant’altro), va strettamente limitato, nel rispetto dei vincoli posti dell’amministrazione statale.

I dipendenti dovranno anche comunicare l’eventuale appartenenza ad associazioni ed organizzazioni (ad esclusione dei partiti politici e dei sindacati) i cui settori d’interesse possano influenzare lo svolgimento delle attività d’ufficio.

Limiti anche all’uso dei mezzi di trasporto messi a disposizione dalla PA. L’utilizzo è ammesso solo per ragioni di servizio e ciò vale anche per l’eventuale trasporto di terzi.

Per quanto riguarda le attrezzature anche telematiche e telefoniche dell’ufficio potrà utilizzarle nel “rispetto dei vincoli posti dall’amministrazione”.

L’impiegato inoltre deve garantire documentalmente la tracciabilità e trasparenza dei processi decisionali adottati.

Previste pene molto più severe per le violazioni del codice (che sono fonti di responsabilità disciplinare), tenuto conto della gravità del comportamento e del pregiudizio (anche morale) cagionato “al decoro o al prestigio dell’amministrazione”: in casi di particolare rilevanza o nell’ipotesi di recidiva, gli illeciti possono comportare anche il licenziamento.

Testo del decreto: Il nuovo codice di comportamento dei dipendenti pubblici 2013


Tragedia di Perugia: “tensioni sociali fuori controllo: basta denigrare i dipendenti pubblici

I fatti di sangue che hanno tragicamente colpito le due colleghe della Regione Umbria chiamano tutti al raccoglimento e alla solidarietà verso i familiari delle vittime. Ma chiamano anche a una profonda riflessione sulla realtà del lavoro pubblico, sulla rappresentazione distorta, ingiustificata e ingiustificabile di cui lavoratori pubblici sono oggetto da troppo tempo.

La follia e la disperazione che hanno armato la mano dell’omicida avevano, infatti, come obiettivo quella che, in questa rappresentazione deformata, ha finito per costituire la causa delle insufficienze di uno stato e di un sistema di welfare non più in grado di offrire sostegno e sicurezza. Proprio mentre i servizi pubblici devono farsi argine al disagio e delle tensioni sociali esasperate dalle difficoltà della crisi, non solo i cittadini, le famiglie, le imprese, ma gli stessi lavoratori pubblici sono lasciati soli. E questi ultimi sono additati come i terminali dei mali antichi della nostra democrazia.

Negli anni recenti è stata alimentata intorno ai dipendenti pubblici una vera e propria mitologia negativa: il privilegiato inamovibile, il fannullone incapace, la palla al piede del paese, quello che campa alle spalle del cittadino strozzato dalle tasse e dalla crisi… Questa è l’immagine che si è voluto diffondere, con gran clamore mediatico. Non certo con l’intento di armare la mano di un folle, ma contribuendo a fare di lavoratori non meno onesti e “tartassati” della stragrande maggioranza degli italiani, un parafulmine del malessere sociale. Ai quali diventa legittimo togliere tutto: il contratto nazionale, il recupero di un minimo di potere d’acquisto a fronte del costo della vita che cresce per loro come per tutti, il rispetto e la considerazione sociale. Nel caso estremo, perfino la vita.

Questa non è e non vuole essere un’accusa diretta verso chi di questa campagna denigratoria si è fatto alfiere in ogni occasione; ma è un invito a opinionisti e forze politiche a farsi carico della corresponsabilità che tutti abbiamo, in un momento tanto delicato, nel non esacerbare ulteriormente un clima sociale già pesante. E di lavorare invece a ricomporre la frattura che si è aperta tra il “potere pubblico” (le amministrazioni, le istituzioni, la politica) e i cittadini.

Cominciando con il non cercare più comodi capri espiatori, che come in questo caso non sono altro che persone intente a svolgere il loro dovere quotidiano, e andare invece alla fonte dei problemi che fanno apparire l’amministrazione pubblica come “il nemico”: la scarsa chiarezza e coerenza delle norme che essa è deputata ad applicare, l’organizzazione inefficiente, il mancato coordinamento tra gli uffici, i conflitti di competenze, la poca trasparenza, la cultura della procedura anziché del risultato. L’Associazione ha da sempre espresso la propria convinzione per un reale cambiamento in questo senso, facendosi interprete dell’aspirazione di tanti lavoratori pubblici onesti e capaci che intendono il loro ruolo come aiuto al cittadino e non oppressione burocratica.

La vicenda di Perugia è una chiara dimostrazione di quanto l’humus del risentimento sociale possa dare frutti avvelenati. Ma è soprattutto la dimostrazione di quanto il teorema del dipendente pubblico colpevole di ogni stortura sia falso. I lavoratori pubblici hanno dato prova di cosa voglia dire essere in prima linea contro la sofferenza e la disgregazione sociale. Le due colleghe umbre sono l’esempio più chiaro e drammatico di cosa voglia dire l’impegno quotidiano, la dedizione al lavoro, il vivere e lavorare ogni giorno tra i venti della tempesta. E sono l’esempio, purtroppo tutt’altro che retorico, di cosa voglia dire metterci la vita.

L’altra considerazione da fare riguarda gli oggettivi squilibri che, in una fase difficile in cui la sua tenuta più dovrebbe dar prova di sé, il sistema italiano sta palesando. Sul fronte di un fisco sbilanciato a danno di chi lavora e produce, delle famiglie, dei pensionati, dei redditi fissi; su quello di un welfare incapace di fare fronte efficacemente alla domanda di tutela sociale; su quello di una politica cui continua a mancare il coraggio e la capacità di visione per mettere mano ad un disegno credibile di cambiamento, nella prospettiva del quale i pesanti sacrifici richiesti oggi – equamente ripartiti – acquistino un senso e uno scopo.

Le assurde morti di Perugia suonano un campanello d’allarme. Dicono che l’urgenza di ripensare la presenza del “pubblico”, dal livello centrale dello Stato a quello territoriale delle Regioni e dei Comuni con le funzioni e i servizi alle comunità che ad essi fanno capo, non è un tema astratto, ma riguarda la vita delle persone. E’ necessario che la politica, le istituzioni e le parti sociali cerchino con caparbietà ogni possibile soluzione per dare risposte efficaci alle persone, alle famiglie e alle imprese. I lavoratori pubblici sono da sempre in prima linea e troppo spesso finiscono per essere i primi a pagare il prezzo di tensioni sociali fuori controllo. Occorre, da parte di tutti, uno grande sforzo e una grande unità di intenti affinché tragedie come quella di Perugia non si ripetano più.


Ai sindacati niente dati nominativi sul lavoro straordinario

Le pubbliche amministrazioni, in assenza di disposizioni normative o di specifiche clausole contenute in contratti collettivi, non possono comunicare le ore di straordinario svolte da un dipendente indicando anche il nome e il cognome dello stesso. Le comunicazioni vanno fatte in forma anonima o aggregata. Lo ha stabilito [leggi testo a fondo pagina] il Garante privacy che ha imposto al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia di interrompere la trasmissione alle organizzazioni sindacali dei dati relativi alle ore di straordinario effettuate da un commissario di polizia penitenziaria. L’interessato, non iscritto ad alcun sindacato, aveva lamentato la comunicazione in forma nominativa, alle organizzazioni sindacali del comparto sicurezza, del prospetto concernente le prestazioni di lavoro straordinario da lui effettuate e le relative competenze. Ritenendo violate le norme sulla privacy, aveva chiesto che il Dipartimento cessasse tale trattamento illecito dei dati.

Non avendo ottenuto riscontro, si era è rivolto dunque all’Autorità chiedendo che i suoi dati personali non venissero né trasmessi alle OO.SS., né affissi e quindi diffusi in locali comuni.

L’istruttoria condotta dal Garante ha messo in luce come nel caso in questione non esistono né disposizioni normative né disposizioni contenute in accordi sindacali di settore che legittimino la trasmissione in forma nominativa di informazioni relative alle ore di straordinario svolto dai dipendenti dell’Amministrazione penitenziaria: l’Accordo Nazionale quadro per il personale del Corpo di polizia penitenziaria, risalente al 2004,  prevede infatti solo la comunicazione in forma anonima dei prospetti delle prestazioni di lavoro straordinario.

Nella sua decisione l’Autorità ha richiamato inoltre quanto previsto dalle Linee guida del Garante del 14 giugno 2007 (doc. web n. 1417809), sul trattamento dei dati personali nel rapporto di lavoro pubblico, le quali stabiliscono che l’amministrazione pubblica può fornire alle organizzazioni sindacali dati numerici e aggregati e non anche quelli riferibili ad uno o più lavoratori individuabili”.

Nell’accogliere dunque il ricorso dell’interessato e ritenendo pertanto illecito il trattamento effettuato dall’amministrazione penitenziaria, l’Autorità ha disposto il blocco dell’ulteriore comunicazione dei dati del dipendente addebitando le spese del ricorso al Ministero.

Leggi: Provvedimento del Garante – 20 dicembre 2012 [2288474]


Le indicazioni dell’Anci sui contratti integrativi

L’Anci ha pubblicato un documento redatto per supportare le Amministrazioni nel percorso di adeguamento dei contratti decentrati, secondo quanto previsto dall’articolo 65 del D.lgs. n. 150/2009: il documento (sotto riportato) contiene una serie di indicazioni utili a identificare correttamente gli ambiti di intervento dettati dal legislatore. Gli enti locali, infatti, per effetto di quanto previsto dall’articolo 65 del D.Lgs. n. 150/2009, sono tenuti ad adeguare i contratti collettivi integrativi vigenti alla data di entrata in vigore del decreto stesso alle disposizioni riguardanti la definizione degli ambiti riservati, rispettivamente, alla contrattazione collettiva ed alla legge, nonché a quanto previsto dalle disposizioni del Titolo III del citato decreto.

Il successivo art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 141/2011, recante l’interpretazione autentica dell’articolo 65 suddetto, ha chiarito che tale adeguamento dei contratti collettivi integrativi è necessario solo per i contratti vigenti alla data di entrata in vigore del decreto n. 150, mentre ai contratti sottoscritti successivamente si applicano immediatamente le disposizioni introdotte dal medesimo decreto.
Nell’evidenziare, pertanto, la necessità che gli Enti attivino il tavolo negoziale con le rappresentanze sindacali al fine di procedere all’adeguamento di cui si tratta, l’Anci ha fornito, le indicazioni utili a identificare correttamente gli ambiti di intervento dettati dal legislatore.

Leggi: ANCI-La contrattazione decentrata negli enti locali 2013


DISFUNZIONI ORGANIZZATIVE: le situazioni a rischio nell’ambiente di lavoro

Gli studi confermano che numerose sono le situazioni che denotano uno stato PATOLOGICO dell’ambiente di lavoro – sia pubblico che privato – con inevitabili conseguenze soprattutto per i lavoratori, ma con ricadute anche per i datori di lavoro.

Mobbing

Il mobbing viene comunemente definito come il “terrore psicologico” sul luogo di lavoro, consistente in comunicazione ostile e contraria ai principi etici, perpetrata in modo sistematico da una o più persone principalmente contro un singolo individuo che viene per questo spinto in una posizione di impotenza e impossibilità di difesa e qui relegato da reiterate attività ostili:

  • queste azioni, che danno spesso luogo a seri disagi psicologici, psicosomatici e sociali per la vittima, rientrano nella definizione di mobbing, qualora siano caratterizzate da un’alta frequenza (almeno una volta alla settimana) e da una durata significativa (almeno sei mesi).

Straining

Lo straining viene definito come una situazione di “stress forzato” sul posto di lavoro, in cui la vittima subisce almeno una azione che ha come conseguenza un effetto negativo nell’ambiente lavorativo, azione che oltre ad essere stressante, è caratterizzata anche da una durata costante:

  • affinché si possa parlare di straining è dunque sufficiente una singola azione stressante cui seguano effetti negativi duraturi nel tempo (come nel caso di gravissimo demansionamento o di svuotamento di mansioni). La vittima è in persistente inferiorità rispetto alla persona che attua lo straining (strainer).

Stress lavoro-correlato

Lo stress lavoro-correlato è un evento psicosomatico che viene scatenato da sollecitazioni esterne ed interne presenti all’interno del luogo di lavoro:

  • lo stress non è sempre negativo: è dimostrato come esso possa costituire una utilissima possibilità sia per l’individuo sia per l’azienda, essendo un acceleratore delle capacità umane. I problemi tuttavia si verificano qualora lo stress sia troppo elevato o qualora la situazione stressante si prolunghi eccessivamente nel tempo, con possibili conseguenze sia a livello fisico che psichico.
  • lo stress può colpire un genere più di un altro; in questo caso si parla di stress di genere.

Burn-out

Il burn-out è frequentemente una derivazione dello stress occupazionale e significa letteralmente significa “bruciato internamente”:

  • esso rappresenta una sindrome da “esaurimento emotivo” molto diffusa soprattutto nelle professioni che prevedono un continuo contatto con il pubblico e nelle cd. professioni d’aiuto (che a causa del ripetuto contatto con la sofferenza umana, rischiano risvolti frustranti).
  • tale sindrome, derivando da una situazione occupazionale vissuta come problematica, impatta molto negativamente sull’utenza e si caratterizza per un approccio tipicamente psicologico: si concentra, infatti, più sulla persona e meno sull’ambiente di lavoro, comportando innanzitutto un deterioramento dell’impegno profuso nel lavoro, un peggioramento delle emozioni originariamente associate al lavoro ed un problema di adattamento tra sé ed il lavoro, a causa delle eccessive richieste di carico emotivo dallo stesso derivanti.

Discriminazioni (genere, razza ed etnia, handicap, orientamento sessuale)

La discriminazione consiste in un “trattamento non paritario” attuato nei confronti di un individuo o un gruppo di individui in virtù della loro appartenenza ad una particolare categoria:

  • il genere, la razza, la religione, l’etnia, un handicap o l’orientamento sessuale possono costituire pretesto per impedire a taluno di godere, al pari degli altri, dei propri diritti (affinché ciò non avvenga e affinché il diritto al lavoro e ad un sereno svolgimento dello stesso siano garantiti a tutti, sono presenti diverse disposizioni normative che rafforzano quel principio di uguaglianza sostanziale contenuto nell’art.3 della Costituzione).

Molestie di genere e molestie sessuali

  • Le molestie di genere sono equiparate alla discriminazioni e consistono in quei comportamenti indesiderati posti in essere per ragioni connesse al sesso aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
  • Le molestie sessuali consistono in quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

Stalking occupazionale

Lo stalking occupazionale è una forma di stalking (che si concretizza in “atti persecutori”) in cui l’effettiva attività persecutoria si esercita nella vita privata della vittima, ma la cui motivazione proviene invece dall’ambiente di lavoro, dove lo stalker (o il persecutore) ha realizzato o desiderato una situazione di conflitto, persecuzione o mobbing:

  • lo stalking occupazionale può derivare da una situazione conflittuale sul posto di lavoro che praticamente non si è manifestata, ma è rimasta a livello di intenzione o desiderio ed in molti casi si associa o segue a episodi di molestie sessuali.

CONGEDO DI PATERNITÀ: finalmente partorito il regolamento attuativo

Pubblicato il D.M. 22-12-2012, che attua la riforma del mercato del lavoro introducendo – in via sperimentale – per gli anni 2013-2015, il congedo obbligatorio e il congedo facoltativo del padre dipendente, oltre a forme di contributi economici alla madre, per favorirne il rientro nel mondo del lavoro al termine del congedo.
La legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro, per favorire una cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli all’interno della coppia, ha previsto alcune modifiche al T.U. sulla maternità (d.lgs.151/2001) e l’introduzione del congedo di paternità obbligatorio. Con l’espressione «congedo di paternità» si intende l’astensione dal lavoro del lavoratore, fruito in alternativa al congedo di maternità e stabilisce il diritto del padre lavoratore dipendente di astenersi dal lavoro nei primi 3 mesi dalla nascita del figlio nelle seguenti ipotesi:

a)      morte o grave infermità della madre;

b)      abbandono del bambino da parte della madre;

c)      affidamento esclusivo al padre;

d)      riconoscimento del figlio solo da parte del padre.

Con la riforma del lavoro è stata introdotta una novità epocale, istituendo l’obbligatorietà per i papà di prendere un congedo a seguito della nascita di un figlio, a prescindere dal ricorrere di qualsivoglia evento o circostanza.

La legge 92/2012 fissa due principi in materia, peraltro sperimentali, attesa la loro valenza limitata al 31 dicembre 2015:

  • il padre lavoratore dipendente, entro i primi 5 mesi dalla nascita del figlio, ha l’obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo di 1 giorno;
  • entro il medesimo arco temporale, il genitore «può» astenersi per un ulteriore periodo di 2 giorni, anche continuativi, previo accordo con la madre e in sua sostituzione (in relazione al periodo di astensione obbligatoria spettante a quest’ultima).

Il D.M. disciplina le modalità di fruizione del giorno di congedo obbligatorio per il padre e dei due giorni di congedo facoltativo da fruire in alternativa alla madre, prevedendo al che:

    • il congedo obbligatorio di un giorno è fruibile dal padre anche durante il congedo di maternità della madre lavoratrice, in aggiunta ad esso;
    • la fruizione, da parte del padre, del congedo facoltativo di uno o due giorni, anche continuativi, è condizionata alla scelta della madre lavoratrice di non fruire di altrettanti giorni del proprio congedo di maternità, con conseguente anticipazione del termine finale del congedo post-partum della madre per un numero di giorni pari al numero di giorni fruiti dal padre.

il D.M. specifica che:

  • per i giorni di congedo è garantita al padre lavoratore una indennità giornaliera pari al 100% della retribuzione-+ i congedi non possono essere frazionati per ore, ma devono essere fruiti in soluzione unica
  • i congedi si estendono alle situazioni assimilate alla nascita, quali l’affido e l’adozione

Obiettivo del legislatore è stato quello di migliorare la conciliazione tra vita professionale, vita privata e vita familiare dei genitori che lavorano, promuovendo un nuovo modello di paternità, capace di riconoscersi non solo nel tempo di lavoro, ma anche in quello dedicato ai figli e alla famiglia, così colmando il gap che vedeva i padri come i veri assenti nel rapporto di conciliazione tra lavoro e vita familiare.


Iglesias – Privacy, stangata sul Comune

Il Comune non ha rispettato le leggi sulla trasparenza degli atti amministrativi. I documenti sono stati trasmessi anche alla Procura della Repubblica e alla Corte dei Conti.

Leggi l’articolo pubblicato sul quotidiano Unione Sarda del 14.02.2013 Iglesias – Privacy, Stangata sul Comune 2013


Le nuove modifiche al Codice della Strada e la nuova patente europea

In attuazione delle direttive europee 2006/126/CE e 2009/113/CE – emanate al fine di promuovere la sicurezza stradale europea attraverso la corretta formazione ed informazione agli utenti, nonché potenziare il principio di libero movimento di merci, servizi e persone all’interno dell’Unione – il decreto legislativo n. 59 del 18 Aprile 2011, già parzialmente in vigore dal 15 Maggio 2011, ha assunto piena operatività il 19 Gennaio 2013.
Il nuovo codice della strada prevede una patente unica per tutti i cittadini dell’Unione Europea: una card dotata di chip elettronico, fotografia del titolare e collegata ad un circuito di informatizzazione europeo, il quale consente la verifica della validità della stessa in tempo reale.
Modifiche all’articolo 116 Cds in tema di requisiti per la guida e fattispecie di reato
Cambiano le età minime e le relative licenze necessarie a condurre determinate categorie di autoveicoli e ciclomotori. Ad esempio, per i camion (categoria C: veicoli con massa superiore ai 3500 kg e con al massimo otto passeggeri) l’età minima fissata è di 21 anni; per gli autobus (categoria D: autoveicoli per trasporto di otto o più persone) è necessario avere compiuto il ventiquattresimo anno d’età. Per ciascuna categoria sono poi previste più sotto categorie (C1, CE, D1, D1E, ecc.).
Dal punto di vista sanzionatorio la riforma ha esteso l’integrazione di reato alla guida non solo senza patente, ma anche con patente di categoria superiore e non corrispondente rispetto a quella posseduta. Con un’attenuante: per la trasgressione compiuta nell’ambito della medesima categoria (ad esempio, guida di veicolo classificato A con licenza per A1) l’illecito non è considerato penale ma amministrativo.
Modifiche all’articolo 118 bis Cds circa la residenza di rilascio della patente di guida
Con la riforma il legislatore ha elaborato il concetto di residenza normale. Ai fini del rilascio delle licenze di guida è considerato Stato di residenza normale il luogo in cui il cittadino dell’unione dimora per almeno 185 giorni l’anno, non rilevando espressamente i soggiorni in altro Stato europeo per motivi di studio universitario e scolastico.

ANTICORRUZIONE P.A.

Entro il 31 marzo ogni P.A. deve elaborare ed inviare alla Funzione Pubblica il proprio piano anticorruzione, ma dovrà tenere a mente che il “responsabile della prevenzione” della illegalità va selezionato tra i dirigenti “stabili” e distanti dagli uffici dove si possono trovare eventuali conflitti d’interesse.

Le istruzioni per mettere in atto quanto richiesto dalla legge 190/2012 sono contenute nella circolare n°1/2013 della Funzione Pubblica, che indica anche il calendario operativo.

Il pilastro su cui si basa l’attività di “prevenzione” di tangenti (e simili) è il “responsabile anticorruzione” che va designato fra le figure apicali di ciascun ente.

  •  negli enti locali il segretario generale è la figura adatta a cui affidare l’incarico, anche se sindaci e presidenti, previa motivazione, posso fare anche scelte diverse
  • la situazione più complessa si riscontra nelle P.A centrali, dove il responsabile della legalità va selezionato “di norma fra i dirigenti di prima fascia in servizio”
  • nelle regioni, in cui la dirigenza è divisa in più fasce, la nomina va fatta ricadere su chi è a capo di un ufficio suddiviso al suo interno in altre strutture” organizzative con un altro dirigente al vertice.

 Il dato principale è fornito dal peso dei compiti a carico del “prescelto”, che potrà essere riferimento di ammende per responsabilità dirigenziale e disciplinare: se risulta un reato di corruzione negli uffici sottoposti al suo controllo, il responsabile che non ha verificato l’attuazione delle procedure scritte nel piano anticorruzione potrà essere sospeso dal servizio fino ad un anno ed essere chiamato dalla Corte dei Conti a rispondere di danno erariale.

I CRITERI

  • sono banditi da questo ruolo i dirigenti degli uffici di collaborazione diretta con vertici politici, poiché avrebbero un rapporto di favore con l’autorità politica, ma in generale è preferibile evitare l’incarico a dirigenti a contratto; meglio i titolari di “posizioni di relativa stabilità”, anche per non intaccare la possibile applicazione delle sanzioni
  • nella selezione è preferibile escludere chi presiede strutture con uffici che si occupano di contratti o gestione del patrimonio, visto che sono ritenuti dalla circolare settori ” più esposti al rischio della corruzione” e il responsabile dell’ufficio procedimenti disciplinari, perché in conflitto d’interessi.

Trasparenza, pareri di regolarità e nuovo sistema dei controlli interni

La Legge 7 dicembre 2012 numero 213 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 ottobre 2012 numero 174, recante disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012. Proroga di termine per l’esercizio di delega legislativa” reca importanti novità in materia di controlli interni agli enti locali e prevede una serie di nuovi adempimenti a carico degli stessi. In particolare, all’articolo 1 bis il decreto ha apportato modifiche all’articolo 4 del Decreto legislativo numero 14 del 2011, rendendo così immediatamente obbligatoria l’adozione della relazione di “fine mandato” ed introducendo l’obbligo di redigere la relazione di “inizio mandato”.
All’articolo 3 il decreto introduce una serie di disposizioni in materia di controllo finanziario e contabile degli enti locali ed una serie di strumenti e meccanismi di risanamento pluriennale per gli enti con gravi squilibri strutturali di bilancio.
Con le modifiche apportate al decreto legislativo numero 267/2000 (TUEL), viene rivisitato l’assetto dei controlli interni ai Comuni, cambia la fisionomia di alcuni soggetti chiave nell’Ente quali il Segretario ed il responsabile finanziario e cambia il rapporto con la Corte dei Conti.
L’articolo 1 bis del decreto in commento ha apportato modifiche all’articolo 4 del Decreto legislativo numero 14 del 2011, rendendo così immediatamente obbligatoria l’adozione della relazione di “fine mandato” ed introducendo un nuovo obbligo, quello di redigere la relazione di “inizio mandato”.
La relazione di fine mandato contiene la descrizione dettagliata delle principali attività normative e amministrative svolte durante il mandato, con specifico riferimento al sistema ed esiti dei controlli interni; ad eventuali rilievi della Corte dei conti; ad azioni intraprese per il rispetto dei saldi di finanza pubblica programmati e stato del percorso di convergenza verso i fabbisogni standard; alla situazione finanziaria e patrimoniale, anche evidenziando le carenze riscontrate nella gestione degli enti controllati dal comune o dalla provincia ai sensi dei numeri 1 e 2 del comma primo dell’articolo 2359 del codice civile, ed indicando azioni intraprese per porvi rimedio; alle azioni intraprese per contenere la spesa e stato del percorso di convergenza ai fabbisogni standard, affiancato da indicatori quantitativi e qualitativi relativi agli output dei servizi resi, anche utilizzando come parametro di riferimento realtà rappresentative dell’offerta di prestazioni con il miglior rapporto qualità-costi e alla quantificazione della misura dell’indebitamento provinciale o comunale.
Il dl 174, introducendo l’art. 4 bis al decreto legislativo 6 settembre 2011, numero 149, ha previsto l’obbligo di redigere la relazione di inizio mandato.
La relazione di inizio mandato, predisposta dal responsabile del servizio finanziario o dal segretario generale, è sottoscritta dal presidente della provincia o dal sindaco entro il novantesimo giorno dall’inizio del mandato. Sulla base delle risultanze della relazione medesima il sindaco in carica, ove ne sussistano i presupposti, può ricorrere alle procedure di riequilibrio finanziario vigenti.
In sintesi, le nuove disposizioni introdotte dal dl 174/2012 impongono alle amministrazioni di adottare una disciplina regolamentare in merito a modalità di realizzazione del controllo successivo di regolarità amministrativa e contabile; modalità di realizzazione del controllo sulle società partecipate non quotate; modalità di realizzazione del controllo sugli equilibri finanziari; modalità di raccordo tra le figure coinvolte nel sistema dei controlli (segretario, direttore, responsabile finanziario).
Articolo 147-bis: disciplina del controllo di regolarità amministrativa e contabile. Tale forma di controllo viene assicurata nella fase preventiva della formazione dell’atto da ogni responsabile di servizio ed è esercitata attraverso il rilascio dei parere di regolarità tecnica attestante la legittimità, la regolarità e la correttezza dell’azione amministrativa. Il comma 1 dell’articolo 147-bis stabilisce inoltre che tale controllo è effettuato anche dal responsabile del servizio finanziario ed è esercitato attraverso il rilascio del parere di regolarità contabile e del visto attestante la copertura finanziaria. Il comma 2 prevede che il suddetto controllo sia assicurato anche nella fase successiva, sotto la direzione del segretario, secondo principi generali di revisione aziendale e modalità definite nell’ambito dell’autonomia organizzativa dell’ente. La norma individua i tipi di atti soggetti al controllo successivo: le determinazioni di impegno di spesa, i contratti e gli altri atti amministrativi, che devono essere scelti secondo una selezione casuale effettuata con motivate tecniche di campionamento. Anche in relazione alla definizione delle modalità di realizzazione del controllo di regolarità amministrativa e contabile in fase successiva è opportuno che gli enti adottino opportuni regolamenti, prevedendo i criteri specifici per la realizzazione del controllo e gli atti ad esso soggetti (ad es. gli atti di maggiore rilevanza, ecc.). Il comma 3 stabilisce che l’esito del controllo sia trasmesso periodicamente, a cura del segretario, ai responsabili di settore, ai revisori dei conti e agli organi di valutazione dei risultati dei dipendenti, come documenti utili per la valutazione.
Articolo 147-ter: disciplina del controllo strategico. Si prevede che, al fine di verificare lo stato di attuazione dei programmi secondo le linee approvate dal consiglio, l’ente locale definisca metodologie di controllo strategico finalizzate alla rilevazione: dei risultati conseguiti rispetto agli obiettivi predefiniti, degli aspetti economico-finanziari connessi ai risultati ottenuti, dei tempi di realizzazione rispetto alle previsioni delle procedure operative attuate, confrontate con i progetti elaborati, della qualità erogata e del grado di soddisfazione della domanda espressa e degli aspetti socio-economici.
Il comma 3 stabilisce che l’unità preposta al controllo strategico, che è posta sotto la direzione del direttore generale, laddove previsto, o del segretario comunale, negli enti in cui non è prevista la figura del direttore generale, elabori rapporti periodici da sottoporre all’organo esecutivo e al consiglio per la successiva predisposizione di deliberazioni consiliari di ricognizione dei programmi.
Articolo 147-quater: disciplina dei controlli sulle società partecipate non quotate. Si prevede che l’ente locale definisca un sistema di controlli sulle società non quotate e che tali controlli siano esercitati dalle strutture proprie dell’ente, che ne sono responsabili. A tal fine, l’amministrazione deve definire preventivamente gli obiettivi gestionali a cui deve tendere la società partecipata, secondo standard qualitativi e quantitativi, nonché organizzare un idoneo sistema informativo finalizzato a rilevare: i rapporti finanziari tra ente proprietario e società, la situazione contabile, gestionale e organizzativa delle società, i contratti di servizio, la qualità dei servizi e il rispetto delle norme di legge sui vincoli di finanza pubblica.
Si prevede inoltre, al comma 3, che sulla base di dette informazioni, l’ente locale effettui il monitoraggio periodico sull’andamento delle società partecipate, analizzi gli scostamenti rispetto agli obiettivi assegnati e individui le opportune azioni correttive, anche in riferimento a possibili squilibri economico¬-finanziari rilevanti per il bilancio dell’ente. Il comma 4 prevede, infine, che i risultati complessivi della gestione dell’ente locale e delle aziende partecipate siano rilevati mediante bilancio consolidato, secondo il principio della competenza economica.
Articolo 147-quinquies: disciplina del controllo sugli equilibri finanziari. Tale controllo è svolto sotto la direzione e il coordinamento del responsabile del servizio finanziario e mediante la vigilanza dell’organo di revisione. La norma prevede, inoltre, il coinvolgimento attivo degli organi di governo, del direttore generale, ove previsto, del segretario e dei responsabili dei servizi, secondo le rispettive responsabilità. Tale tipologia di controllo è disciplinata nel regolamento di contabilità dell’ente ed è svolta nel rispetto delle disposizioni dell’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali e delle norme che regolano il concorso degli enti locali alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica. Il controllo sugli equilibri finanziari postula anche la valutazione degli effetti che si determinano per il bilancio finanziario dell’ente in relazione all’andamento economicofinanziario degli organistri gestionali esterni.
Con la lettera f) del comma 1 si introduce una modifica all’articolo 153 del TUEL che rafforza il ruolo del responsabile finanziario di tutore e garante degli equilibri del bilancio, ribadendo la sua autonomia di azione nel rispetto dell’ordinamento, dei principi di contabilità e degli indirizzi della Ragioneria Generale dello Stato.
Il comma 2 dell’articolo 3 in commento prevede che gli strumenti e le modalità di controllo interno siano definiti con regolamento adottato dal Consiglio e resi operativi dall’ente locale entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del decreto (entro il 10 gennaio, dunque), dandone comunicazione al Prefetto ed alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti.
Decorsi infruttuosamente i tre mesi, il Prefetto invita gli enti che non abbiano provveduto ad adempiere all’obbligo nel termine di sessanta giorni. Decorso inutilmente il termine di cui al periodo precedente, il Prefetto inizia la procedura per lo scioglimento del Consiglio ai sensi dell’articolo 141 del TUEL.


AMBIENTE A RISCHIO il lavoratore può rifiutarsi di lavorare

Il dipendente ha il diritto di rifiutare di lavorare se il datore di lavoro non ha predisposto condizioni idonee a preservare l’integrità psico-fisica dei dipendenti.
E’ questa la sintesi di una recente sentenza della Cassazione (sez. Lavoro n. 18921 del 5-11-2012).

La Cassazione ha chiarito che l’imprenditore è tenuto ad adottare le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori.
La libertà del datore di organizzare la propria attività lavorativa, per come garantito dall’art. 41 comma 1 della Costituzione, trova un LIMITE nell’utilità sociale e nella scelta degli strumenti attraverso i quali si estrinseca. In particolare, l’iniziativa economica non può svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, che costituiscono altrettanti diritti inviolabili dell’uomo e che, in ambito lavorativo, devono trovare altrettanta tutela.
In tal modo, il datore di lavoro diventa “debitore di sicurezza” e il lavoratore “creditore di sicurezza”. È quella che potrebbe definirsi “la cultura della sicurezza” quale componente essenziale nel rapporto tra datore e lavoratore.

  • È legittimo per il lavoratore pretendere un ambiente di lavoro che non metta a repentaglio la sua salute: è corretto quindi il rifiuto del dipendente a svolgere la prestazione lavorativa se il datore non ha adempiuto agli obblighi di sicurezza.
  • Viceversa, il datore di lavoro deve pretendere il rispetto da parte dei dipendenti delle norme antinfortunistiche: in caso contrario, egli può procedere con sanzioni disciplinari, misure coercitive e il licenziamento.