Nulla la notifica alla vicina di casa del contribuente

Non è valida la notifica degli atti fiscali fatta alla vicina di casa del contribuente.
Nel giro di pochissimi giorni la Cassazione con due sentenze (n. 16444 del 15 luglio 2009 e la n. 15525) ha richiamato l’attenzione sulle notificazioni nel processo tributario che, sia se hanno come destinatario un privato cittadino sia una società, devono rispettare le norme del codice di procedura civile.
In particolare, nel caso sottoposto all’esame della Corte, la notifica era stata fatta a casa del contribuente ma il plico era stato consegnato a una vicina di casa, presente in quel momento nell’abitazione.


Non è sempre valida la notifica effettuata dal Fisco alla sede della Società

La correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15525 del 02/07/2009, si è pronunciata sul ricorso di un concessionario della riscossione, il quale aveva notificato una cartella esattoriale presso la sede di una società ad un “conoscente” del legale rappresentante.

La Corte, premettendo che in materia di riscossione delle imposte la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza di determinati atti, con le relative notificazioni, ha affermato che l’omissione della notifica di un atto presupposto costituisce un vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto consequenziale notificato.

Nel caso di specie, la notificazione doveva avvenire ai sensi dell’art. 145 c.p.c., il quale prevede che si debba eseguire mediante consegna della copia dell’atto al “rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa”.

La notifica effettuata presso la sede della società per essere valida, dunque, doveva avvenire tramite consegna della copia dell’atto ai soggetti indicati all’art. 145 c.p.c. e non a persona qualificatasi come “conoscente del legale rappresentante”; tale irregolarità  ha comportato, quindi, l’invalidità della notifica e la nullità dell’atto notificato.


Pensioni statali: torna il limite dei 40 anni contributivi

Per andare in pensione nella pubblica amministrazione occorreranno 40 anni di contributi, contando anche l’eventuale contribuzione figurativa come i riscatti della laurea o del periodo di leva. Almeno dal 2009 al 2011. “Salvati” solo magistrati, professori universitari e dirigenti medici responsabili di struttura complessa. Nel 2009, 2010 e 2011 i dipendenti pubblici, saranno, dunque, obbligati ad andare in pensione con 40 anni di contributi sia figurativi sia da riscatto: attualmente la misura nella riforma Brunetta era prevista per la sola contribuzione effettiva. Lo prevede un emendamento alla manovra estiva di Remigio Ceroni (Pdl), approvato dalle commissioni Bilancio e Finanze della Camera.
Le amministrazioni pubbliche, si legge, possono “a decorrere dal compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente” risolvere “unilateralmente il rapporto di lavoro e il contratto individuale, anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenze dei trattamenti pensionistici”. Criteri e modalità applicative per i comparti sicurezza, difesa e affari esteri saranno poi definite da decreti del presidente del Consiglio da emanare entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge, previo via libera del Cdm su proposta del ministro per la Pubblica amministrazione di concerto con il Tesoro e altri ministeri competenti. La norma chiarisce che restano ferme tutte le cessazioni per effetto della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro a causa del compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni decise dalle pubbliche amministrazioni e i preavvisi disposti dalle amministrazioni per il compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni e le conseguenti cessazioni che ne derivano.

Banche, tetto al 5% per la modifica unilaterale delle condizioni contrattuali. La modifica unilaterale delle condizioni contrattuali non può avere per effetto l’innalzamento del tasso di interesse in misura superiore al 5% di quello originariamente convenuto. Lo prevede un emendamento alla manovra estiva dei relatori Chiara Moroni e Maurizio Fugatti (Pdl). La modifica ha avuto ieri sera il via libera nel corso dell’esame del provvedimento in commissioni Bilancio e Finanze a Montecitorio. La norma modifica l’articolo 118 del Testo unico delle leggi in materia creditizia e bancaria (Dlgs 385/1993). La modifica unilaterale delle condizioni contrattuali si intende approvata, poi, qualora il cliente non receda, senza spese, dal contratto entro 120 giorni.

Le novità su assegni e bonifici. Fra gli emendamenti approvati, poi, a decorrere dal 1° gennaio 2010 la data e la valuta di disponibilità sarà di un giorno successivo alla data di versamento su bonifici e assegni circolari e di 3 giorni successivi sugli assegni bancari. Nulla ogni pattuizione contraria. Entro la fine della giornata successiva al bonifico, poi, l’importo deve essere accreditato sul conto del prestatore di servizi di pagamento del beneficiario. Fino al 1? gennaio 2012, però, l’ordinante e il suo prestatore di servizi possono concordare un termine di esecuzione diverso, che non può, però, essere superiore a 3 giornate operative. I termini possono essere prorogati, ma solo d’intesa, di una giornata per operazioni di pagamento disposte su carta. La data di valuta è quella in cui la somma è accreditata e l’importo è immediatamente disponibile per il beneficiario. Così ha stabilito l’emendamento dei relatori approvato, che accoglie la modifica chiesta da un sub emendamento firmato da molti deputati (primo firmatario Ceccuzzi).

Nel tetto al massimo scoperto anche lo sconfinamento. Sul massimo scoperto, invece, un emendamento dei relatori approvato in commissione prevede che per il massimo scoperto il limite dello 0,5% comprenda anche l’eventuale sconfinamento oltre l’affidamento richiesto.

Sanatoria per le slot machine. Arriva una sanatoria per le violazioni sui versamenti delle imposte sulle slot machine. Novità anche per il bingo, con la possibilità di istituire una nuova forma di giocata con l’estrazione dal numero 1 al 100. Nuove scadenze, poi, per il pagamento dell’imposta unica sulle scommesse. Le novità contenute nell’emendamento al decreto anticrisi dei relatori, arricchito da proposte di altri parlamentari, che è stato approvato nelle Commissioni bilancio e finanze della Camera.

Si lavora per trovare risorse per le cure palliative. Maggioranza e opposizione stanno lavorando per introdurre nel decreto una norma sull’aumento delle risorse per le cure palliative.

Rimandati a lunedì i nodi: scudo fiscale, pensioni e colf. I lavori alle commissioni Bilancio e Finanze sono rallentati anche a causa delle proteste dell’opposizione che criticano in particolare due emendamenti, lo scudo fiscale e le pensioni rosa. E’ rimandato a lunedì, infatti, l’esame degli emendamenti “pesanti”, come scudo fiscale, pensioni, regolarizzazione di colf e badanti. Resta aperta anche la questione della tassazione delle plusvalenze sull’oro, dopo i rilievi mossi dalla Bce. L’emendamento in questione verrà formalizzato lunedì, quando le commissioni Bilancio e Finanze della Camera riprenderanno la discussione sul provvedimento. In via di formalizzazione gli sgravi del 3% a favore degli aumenti di capitale fino a 500.000 euro. La norma sarà inserita tramite la riformulazione dell’emendamento sullo scudo fiscale o di qualche altro emendamento sulla Tremonti-ter.


Assenze nel pubblico impiego, la Regione Toscana cancella le norme più discriminatorie

Lotta all’assenteismo, efficienza e rispetto dei diritti
«Rigore con i furbi. Ma un’amministrazione efficiente si costruisce investendo sul personale»

L’influenza è costata cara nell’ultimo anno ai dipendenti della Regione. Per una settimana  a casa c’è chi ha perso trenta euro e chi, tra i dirigenti, anche ottocento: molti ci hanno rimesso venti o trenta euro al giorno. Colpa del decreto Brunetta, che nei giorni di assenza ha tagliato gli stipendi. «Non solo ai furbi – mette subito in chiaro il vice presidente della Toscana Federico Gelli – E non solo a chi era malato: anche a chi dona il sangue, a chi magari è malato cronico e si deve assentare periodicamente per cure e controlli, a chi è stato eletto. Ledendo diritti fondamentali»

Così, a distanza di un anno, la Regione prova a ‘riscrivere’ il decreto Brunetta sulle assenze nel pubblico impiego, cancellando le norme più inique e discriminatorie. Una proposta di legge che la giunta ha già inviato al Consiglio e che varrà naturalmente solo per i dipendenti della Regione ma anche dei suoi enti dipendenti: ovvero Arsia, Arpat, Artea, Ars, Irpet, Toscana Promozione, i tre Enti parco regionali e le Aziende per il diritto allo studio universitario.

L’efficienza non si costruisce con la demagogia
La pubblica amministrazione deve essere efficiente e poter fornire risposte efficaci ai cittadini. Ma la strada, per la Regione, non può essere quella imboccata dal governo. «Nessuno in Regione vuol difendere furbi e fannulloni – chiarisce Gelli – Da tempo ci siamo mossi per combattere sprechi inutili, per contenere i costi e per rendere la macchina più snella ed efficiente. Ma abbiamo anche investito sul personale. Da tempo abbiamo avviato anche con trolli incrociati sulle timbrature, perché occorre essere severi quando serve. Quello di cui abbiamo bisogno sono strumenti chirurgici che ci consentano di asportare la parte malata senza danneggiare la parte sana. E così non è stato con la legge 133 di quest’anno (il famoso Decreto Brunetta ndr) sulle assenze da lavoro, tant’è che poi il governo, resosi conto dell’errore, l’ha in parte modificata: cancellando ad esempio le decurtazioni che erano previste nel caso di assenze diverse dalla malattia, come per le donazioni del sangue, i congedi matrimoniali o i congedi parentali».

Identico trattamento con il settore privato
Il primo obiettivo della legge è indicato all’inizio del preambolo: evitare discriminazioni e non imporre ai dipendenti pubblici regole (e decurtazioni) più penalizzanti di quelle che valgono per il settore privato.

Fino ad 8 giorni l’anno nessun taglio
La prima declinazione concreta del principio riguardo i giorni che saranno pagati a stipendio pieno. Dall’anno scorso, quando il decreto Brunetta è entrato in vigore, il dipendente pubblico che si ammala o si assenta dal lavoro si vede ridotto lo stipendio nei primi dieci giorni di ogni malattia. La giunta regionale propone adesso un bonus di otto giorni nell’anno, o comunque pari alla media delle assenze per malattia dell’anno precedente rilevata nel settore privato. In soldoni vuol dire che per i primi otto giorni di malattia (anche frazionati in più eventi diversi) al dipendente non sarà applicata più alcuna decurtazione. Per il 2009 i giorni saranno tre.

Stipendi meno leggeri
In ogni caso, esauriti gli otto giorni, gli stipendi saranno tagliati in misura minore. Con la proposta di legge la giunta definisce infatti anche con chiarezza le componenti dell o stipendio da corrispondere in caso di assenza e stabilisce che nessuna delle componenti che abbia natura fissa, ricorrente o continuativa debba essere tagliata. Sono salve le indennità legate alla mansione o al ruolo del dipendente. Le assenze incideranno a questo punto solo sulla produttività e le indennità di risultato.
Nessuna decurtazione sarà prevista per i ricoveri ospedalieri, gli infortuni sul lavoro a causa di servizio o per patologie gravi che richiedono terapie salvavita. Al riguardo Gelli ha annunciato che lunedì porterà in giunta una direttiva che elenca tutte le patologie che ricadranno nel provvedimento, in modo da chiarire qualsiasi dubbio e togliere qualsiasi margine di discrezionalità. Il provvedimento, visto che non fa altro che specificare una norma già prevista dal governo, sarà applicabile anche prima dell’approvazione della proposta di legge.
Per le assenze per motivi diversi dalla malattia si rimanda a quanto previsto dalle norme dei contratti collettivi nazionali di lavoro.

Visite mediche di controllo facoltative
Si cambia anche per quanto riguardo le visite fiscali a casa. Diventano per l’amministrazione facoltative, sulla base delle proprie esigenze organizzative. Una soluzione che permetterà di contrastare il fenomeno dell’assenteismo arginando eventuali abusi, ma allo stesso tempo di contenere i costi aggiuntivi conseguenti alle visite mediche di controllo.

Fasce di reperibilità
Cambiano anche le fasce di reperibilità. Il Decreto Brunetta le aveva allargate, costringendo il lavoratore a farsi trovare a casa dalle 8 alle 13 e dalle 14 alle 20. La Regione ha reintrodotto le fasce che valgono per il settore privato, in precedenza in vigore: ovvero dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 1 9, che sono quelle determinate dalla contrattazione collettiva.
In verità anche il governo su questo aveva fatto nel frattempo un passo indietro. Regione e governo propongono le stesse fasce. La differenza sta però nello strumento. il governo lo ha fatto con un decreto, che potrebbe anche non essere convertito. La Regione lo farà con una legge, che varrà indipendentemente dal decreto.

Controlli più severi dei dirigenti
Il vice presidente Gelli ha anche annunciato che prossimamente porterà in giunta una seconda direttiva, oltre a quella sulle patologie gravi. Riguarderà i dirigenti (in tutta la Regione sono circa 150), i quali saranno giudicati anche in base alla capacità di vigilare su assenze e produttività dei loro dipendenti. I dirigenti che non faranno bene il proprio mestiere potranno in questo caso rischiare un taglio del 40% s ulla produttività, pari ad almeno cinquemila euro.


Aumento del prezzo della Raccomandata

Con decorrenza 30.06.2009 le Poste Italiane hanno aumentato il costo della Raccomandate che oggi è di € 3,30 con peso sino a 20 gr. Invariato il costo dell’A.R di € 0,60. Rimane pure invariato il costo della Raccomandata Atti Giudiziari a € 5,60.
Invii di Posta Raccomandata attinenti le procedure amministrative e giudiziarie (Art. 4 del Decreto Legislativo 22 luglio 1999, n. 261) non sono soggette a tale aumento. Pertanto per la P.A. nulla è cambiato (vedi circolare su questo sito).


Corte di Cassazione: dipendente lascia l’ufficio senza giustificato motivo? Non basta per il licenziamento

Con la Sentenza n. 14586/2009, la Corte di Cassazione ha ribadito il principio di diritto secondo il quale, in caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della valutazione in merito alla proporzionalità tra il fatto addebitato e il recesso, va considerato qualsiasi comportamento attuato dal dipendente che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere che la continuazione del rapporto comporti un pregiudizio per gli scopi aziendali, essendo determinante, ai fini del giudizio di proporzionalità, l’influenza che, sul rapporto di lavoro, è in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che, per le sue concrete modalità e per il contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento e denoti una scarsa inclinazione a attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza.

Sulla base di tale principio, la Corte ha annullato, con rinvio, la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Torino, che, in riforma del giudizio di primo grado, aveva ritenuto legittimo il licenziamento, intimato dal datore di lavoro a un dipendente, il quale aveva abbandonato, per un brevissimo lasso di tempo il proprio posto di lavoro, peraltro rimanendo nella sede lavorativa. Ad avviso del giudice del merito, ai fini della legittimità del licenziamento, si doveva tenere conto che la condotta del lavoratore aveva determinato il blocco, anche solo breve, delle macchine e l’abbandono del posto di lavoro di cui il dipendente aveva la responsabilità, inoltre, ciò risultava di maggiore gravità era che il fatto si fosse verificato in orario notturno, quando i controlli dei superiori erano minori, senza che potesse assumere rilievo la lunga carriera lavorativa del dipendente, l’assenza di precedenti sanzioni, la mancanza di qualsiasi danno alla produzione o la previsione di una sanzione diversa dal licenziamento da parte del contratto collettivo.

Avverso la sentenza di appello, il lavoratore ha promosso ricorso per Cassazione e, come si è detto, la Suprema Corte ha accolto il ricorso. Il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata, deducendo, tra l’altro, che il giudice del merito aveva omesso una lettura sistematica delle disposizioni contrattuali, nonché una valutazione concreta e complessiva dei fatti, sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo, non vagliando la lunga durata del rapporto di lavoro e l’assenza di recidiva. La Corte ha osservato che il principio di proporzionalità, tra la sanzione e l’illecito, implica un giudizio di adeguatezza soggettivo, ovvero calibrato sulla gravità della colpa e sull’intensità della violazione della buona fede contrattuale che esprimano i fatti contestati, alla luce di tutte le circostanze utili, a apprezzarne l’effettivo disvalore ai fini della prosecuzione del rapporto contrattuale. Ora, compete al giudice del merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto degli aspetti concreti della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risultino sintomatici della sua gravità rispetto alla prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi, innanzitutto, rilievo alla configurazione che delle mancanze addebitate faccia la contrattazione collettiva, ma anche all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto delle mansioni svolte dal dipendente, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, in specie alla sua durata e all’assenza di precedenti sanzioni, alla sua particolare natura e tipologia.

Ad avviso della Cassazione, il giudice del merito avrebbe operato una valutazione astratta della vicenda processuale, pertanto, non in grado di cogliere, attraverso la rilevazione degli elementi sintomatici essenziali della sua gravità, l’effettivo disvalore del comportamento addebitato al dipendente.


Decreto anticrisi, passa l’equiparazione tra pubblico e privato delle fasce di reperibilità dei lavoratori in malattia

Fasce di reperibilità in caso di assenza

A far data dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Legge le fasce di reperibilità per i lavoratori pubblici entro le quali devono essere effettuate le visite mediche di controllo, tornano ad essere quelle in vigore per il settore privato: 10.00 – 12.00 (e non più 8.00 – 13.00) e 17.00 – 19.00 (e non più 14.00 – 20.00).

Il decreto conferma i chiarimenti già forniti da alcune circolari in materia di visita fiscale, e cioè che dopo il secondo evento di malattia nell’anno solare, l’assenza dal servizio del lavoratore viene giustificata mediante presentazione di certificazione medica rilasciata da struttura sanitaria pubblica “o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale”.

Assenze dal servizio non equiparate alla presenza (ai fini della produttività)

Il Decreto Legge, ha abrogato la disposizione contenuta nell’art. 71 comma 5 della legge n. 133/2008 “decreto Brunetta”, a decorrere dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e senza effetti retroattivi;
In questo modo tutte le forme di assenza collegate a ferie, permessi retribuiti a vario titolo, agibilità sindacali ecc. ritornano ad essere considerate presenza, ai fini della produttività e comunque sulla base delle regole definite dalla contrattazione aziendale;
In questo modo si ritorna all’autonomia della contrattazione aziendale e si ripristinano legittimi diritti dei lavoratori conquistati con i contratti di lavoro e specifiche normative.

Assunzioni nella pubblica amministrazione e lavoro precario

Il Decreto Legge nel confermare la normativa vigente in materia di assunzioni e di processi di stabilizzazione introduce nuove opportunità:

1) il termine per procedere alle assunzioni di personale a tempo indeterminato relative alle cessazioni verificatesi nell’anno 2008, inclusa la stabilizzazione del personale precario, è prorogato al 31 dicembre 2010;

2) le graduatorie delle assunzioni a tempo indeterminato per le amministrazioni soggette a limitazioni, approvate successivamente al 1 gennaio 2004, sono prorogate al 31 dicembre 2010;

3) la riserva per il triennio 2010 – 2012 a favore del personale precario in possesso dei previsti requisiti, del 40% dei posti nei concorsi banditi per le assunzioni a tempo indeterminato;

4)la possibilità per il triennio 2010 – 2012 di bandire concorsi pubblici per titoli ed esami finalizzati a valorizzare con apposito punteggio l’esperienza professionale maturata dal personale precario;
5) la possibilità di assumere personale precario in possesso dei previsti requisiti, ed appartenente alle qualifiche previste per il reclutamento tramite ufficio di collocamento (art. 16 della legge n. 56/1987);
6) la possibilità per il triennio 2010 – 2012 di destinare il 40% delle risorse disponibili dalla vigente normativa in materia di assunzioni e contenimento della spesa per il personale, per il finanziamento delle assunzioni del personale precario interessato dalle procedure di stabilizzazione.


Accertamento notificato nella casa dove è rimasta l’ex? Non è valido

La Sezione Tributaria Civile della Corte di Cassazione (Sent. n. 13510/2009) ha stabilito che non è valido l’accertamento fiscale notificato nella casa dove è rimasta a vivere la ex moglie e ciò anche se lei ha accettato l’atto e si è qualificata come la coniuge. La Corte di Cassazione ha, infatti, precisato che “con riferimento all’art. 60 d.p.r. n. 600 del 1973, atteso che esso prescrive che la notificazione degli avvisi deve essere eseguita presso il domicilio fiscale del contribuente, ma stabilisce, nel contempo, che le variazioni e le modificazioni dell’indirizzo non risultanti dalla dichiarazione annuale hanno effetto, ai fini delle notificazioni, dall’avvenuta variazione anagrafica (comma 3). In particolare, tale lettura della norma si impone a seguito della sua declaratoria di illegittimità operata dalla sentenza n. 360 del 2003 della Corte costituzionale, che ha espunto l’inciso che condizionava l’efficacia della variazione al decorso del termine di 60 giorni (!).

L’interpretazione di tale disposizione patrocinata dall’Ufficio ricorrente, secondo cui la variazione dell’indirizzo avrebbe efficacia trascorsi 60 giorni nemmeno dalla variazione anagrafica, quanto dalla successiva comunicazione della stessa parte del comune all’Ufficio medesimo, appare pertanto del tutto insostenibile alla luce del sopravvenuto (rispetto alla data di proposizione del ricorso) arresto del giudice delle leggi. “Non può essere condivisa e prosegue la Corte è la tesi dell’Amministrazione che, lamentando la violazione dell’art. 139 cod. proc. civ., assume la validità della notifica in discorso per essere stato comunque l’atto ricevuto da persona (il coniuge) qualificatosi convivente. Da tale dichiarazione non può invero trarsi altro che una mera presunzione relativa di convivenza (!), presunzione, a sua volta, superabile dall’interessato mediante prova contraria, prova che, nella specie, il giudice a quo, con accertamento di fatto non censurabile se non sotto il profilo è qui non rilevato è del difetto di detta motivazione, ha ritenuto assolta in forza della documentazione da cui risultava sia il precedente cambio di indirizzo della residenza anagrafica del contribuente rispetto al luogo in cui era stata eseguita la notificazione, che l’intervenuta separazione personale con il coniuge che aveva ricevuto la notifica”.


Semplificazione normativa, al via la terza fase

Continua l’opera di semplificazione normativa. Con l’obiettivo di arrivare a non oltre 5 mila atti legislativi, il Consiglio dei ministri del 12 giugno 2009 ha approvato in via preliminare, su proposta del Ministro Calderoli, uno schema di decreto che individua le disposizioni legislative, anteriori al 1970, ritenute indispensabili per il nostro ordinamento. Si calcola che sono circa 50 mila le leggi pubblicate al primo gennaio 1970 ancora in vigore e che il “salvaleggi” ridurrà a circa 2700. Con il primo intervento (inserito nel decreto legge 112/2008 convertito in legge n.133/2008) è stato prodotto un taglio di circa 7.000 leggi. Il secondo intervento (decreto legge n.200/2008 convertito in legge n. 9/2009) ha consentito un taglio di quasi 29.000 leggi. Con il terzo provvedimento – varato dal governo il 12 giugno scorso – si opera un taglio sulle leggi anteriori al 1970.

Con questa ulteriore selezione, le leggi che resteranno in vigore saranno circa 2.700 al posto delle attuali 50 mila. Si tratta di un ulteriore tassello della vasta manovra di “ripulitura normativa” che consiste nella ricognizione degli atti (circa duemilacinquecento) individuati – a seguito di una complessa istruttoria – come tuttora utili al funzionamento dell’apparato pubblico.


Enti locali, intesa sui contratti per il biennio 2008-2009

Accordo Aran-sindacati: riguarda i 500 mila lavoratori di Regioni, Province e Comuni per il biennio 2008-2009

Un aumento medio a regime sul salario tabellare di 63 euro circa (pari ad +3,2%): è il frutto dell’accordo raggiunto per il contratto degli oltre 500 mila lavoratori di regioni, province e comuni. L’intesa sottoscritta da Aran e sindacati prevede, oltre all’aumento di 63 euro, anche un ulteriore aumento dell’1%: sarà a disposizione delle amministrazioni che hanno rispettato il Patto di Stabilità interno e le regole per il contenimento della spesa del personale. Gli enti più virtuosi, inoltre, disporranno di uno 0,5% in più. Tali risorse destinate alla contrattazione integrativa serviranno a premiare la maggiore produttività e il merito dei dipendenti. L’aumento, dunque, per le amministrazioni più virtuose potrà arrivare anche a superare i 90 euro. L’intesa è stata sottoscritta unitariamente da Cgil, Cisl e Uil. I sindacati, quindi, giudicano l’accordo un “risultato importante”.
L’Aran, che rappresenta la controparte dei sindacati nelle trattative, sottolinea che l’aumento salariale di 63 euro, corrispondente al 3,2%, è la percentuale “riconosciuta in questa tornata contrattuale in tutti i comparti del pubblico impiego”. “Inoltre – afferma una nota dell’Agenzia – confermando scelte già operate nei precedenti rinnovi contrattuali, viene riconosciuta agli Enti del Comparto la disponibilità di risorse aggiuntive per la propria contrattazione integrativa, qualora abbiano rispettato nei precedenti anni il Patto di stabilità interno e gli obblighi di contenimento della spesa di personale e siano in possesso di specifici parametri di virtuosità economico-finanziaria, definiti dal testo contrattuale. Tali risorse debbono essere finalizzate all’incentivazione della qualità, della produttività e della capacità innovativa della prestazione lavorativa ed alla erogazione di compensi strettamente collegati all’effettivo miglioramento qualitativo e quantitativo dei servizi erogati al cittadino”.


Dalla Presidenza del Consiglio la Posta elettronica certificata

Al cittadino che ne fa richiesta la Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento per l’innovazione e le tecnologie) assegna un indirizzo di posta elettronica certificata (PEC), che consente l’invio di documenti per via telematica. E’ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 25 maggio 2009 il Decreto del Presidente del Consiglio sulle disposizioni di rilascio e sull’uso della PEC.

L’attivazione della PEC e le comunicazioni che per essa transitano sono senza oneri per il cittadino. Da parte loro le Pubbliche amministrazioni: istituiscono una casella di PEC per ogni registro di protocollo e ne danno comunicazione al CNIPA (organo pubblico preposto al controllo della posta elettronica certificata) che provvede alla pubblicazione in rete consultabile per via telematica; includono gli estremi di eventuali pagamenti per ogni singolo procedimento; rendono disponibili sul loro sito istituzionale ogni tipo di informazione idonea a consentire l’inoltro i istanze da parte dei cittadini titolari di PEC; sono tenute ad accettare le istanze dei cittadini inviate tramite PEC.

Per l’individuazione dell’affidatario del servizio di PEC il Dipartimento per l’innovazione e le tecnologie avvia apposite procedure di gara di evidenza pubblica, e definisce le caratteristiche tecniche del servizio, i livelli di servizio garantiti, gli obblighi dell’affidatario, nonché gli ulteriori servizi da mettere a disposizione. L’affidatario del servizio di PEC deve rendere consultabili alle Pubbliche amministrazioni, in via telematica, gli indirizzi di PEC, rispettando i criteri di qualità, sicurezza ed interoperabilità definiti dal CNIPA, nonché la disciplina in materia di tutela dei dati personali.


Ipoteca illegittima senza la notifica dell’intimazione di pagamento

Il Concessionario della riscossione (Equitalia SpA) prima di iscrivere ipoteca su un immobile è tenuto a notificare al contribuente atto di intimazione di pagamento.

Ciò è quanto emerge da una recente pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale di Milano (sent. nr.137/03/09), la quale ha accolto il ricorso di una contribuente che si è vista iscrivere ipoteca per crediti relativi a cartelle notificatele molti anni prima.

Nel caso di specie, infatti, la ricorrente ha sostenuto che l’iscrizione ipotecaria era affetta da insanabile nullità, in quanto il Concessionario non aveva proceduto alla preventiva notifica dell’intimazione di pagamento, ai sensi dell’art. 50, secondo comma, del DPR n. 602/1973.

E’ bene ricordare che nel contesto tributario l’ipoteca si atteggia come una misura cautelare conservativa strumentalmente connessa all’espropriazione forzata immobiliare e dunque soggetta all’applicazione non solo della disposizione dell’art. 77 del DPR n. 602/1973 (Espropriazione immobiliare) ma anche dei precetti consacrati negli art. 49 e seguenti (Espropriazione forzata e Disposizioni Generali).

L’ipoteca, infatti, sebbene non sia un atto di espropriazione forzata in senso stretto, rimane comunque un provvedimento funzionale alla fase esecutiva.

Come giustamente osservato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, (sent. Cass. SSUU n. 2053 del 31.01.2006), l’iscrizione d’ipoteca – equiparabile al fermo amministrativo – “è preordinata all’espropriazione forzata e dunque è un atto funzionale all’espropriazione medesima, ovvero un mezzo teso ad agevolare la realizzazione del credito”.

Tanto premesso, è indiscutibile che espropriazione, ipoteca legale e fermo amministrativo, benché non vincolati gli uni agli altri, vantano comunque identici presupposti e condizioni, posto che gli stessi dipendono direttamente e immediatamente dalla concreta ed attuale piena efficacia della prodromica notifica della cartella di pagamento.

Nel caso, quindi, sia decorso più di un anno dalla notificazione della cartella, l’espropriazione potrà essere avviata ” e l’iscrizione ipotecaria potrà essere disposta ” solo dopo la notifica dell’intimazione di pagamento di cui al secondo comma dell’art. 50 del DPR n. 602/1973.

La mancata attivazione della fase espropriativa nel termine annuale fissato dalla predetta disposizione, determina il venir meno della capacità del ruolo (ossia del credito contenuto nella cartella esattoriale) a valere come titolo esecutivo, essendo la sua efficacia sospesa ex lege sino a quando non è ripristinata dalla notificazione dell’intimazione ad adempiere.

Della stessa opinione appaiono i giudici di prime cure, i quali ritengono la notifica dell?intimazione un “aspetto molto importante da seguire prima di procedere all’iscrizione di ipoteca” (pagina 3 della sentenza).

Infine, altro aspetto ritenuto importante dalla Commissione Tributaria, riguardava il fatto che alcune somme richieste fossero già state pagate e che quindi l’importo vantato era inferiore a Euro 8.000,00.

La ricorrente evidenziava, infatti, che se si considerava la pretesa globale del Concessionario (Euro 34.005,78) e si sottraeva da essa l’importo relativo alle due cartelle ritenute illegittime (ossia quella di Euro 21.112,64 + Euro 7.210,54 = € 28.323,18), si otteneva un credito restante di € 5.682,60, il quale non avrebbe permesso al Concessionario di iscrivere ipoteca, in quanto l’art. 76 del DPR 602/1973 prevede un importo minimo di Euro 8.000,00.

Va da sé, quindi, che anche nell’ottica della ragionevolezza tale forma di garanzia non avrebbe avuto i presupposti per esistere.

A tal riguardo, infatti, la Commissione dichiara che “Tenuto conto del debito tributario che rimaneva da saldare da parte della ricorrente (cartelle esattoriali non pagate) secondo il Collegio, per l’ufficio Equitalia Esatri SpA non sussisteva il minimo imponibile per poter iscrivere ipoteca”.


Modifiche importanti all’art. 137 c.p.c.

Il Senato della Repubblica ha definitivamente approvato il 26 maggio 2009 il Disegno di Legge recante “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, nonché in materia di processo civile” (collegato alla Finanziaria 2009). Tale D.L. apporta significative modifiche all’art. 137 del c.p.c..

Verrà pubblicato il testo integrale dopo la pubblicazione sulla Gazzetta.
Queste le principali misure: è introdotto il tema della digitalizzazione e del processo telematico; sono previsti nuovi istituti, come il procedimento sommario di cognizione e la testimonianza scritta e nuove misure coercitive per l’esecuzione degli obblighi sanciti dalle sentenze; il calendario del processo; sanzioni pecuniarie più efficaci a carico della parte che, con il proprio comportamento, abbia determinato un allungamento dei tempi di durata del processo; un filtro per i ricorsi in Cassazione. Un altro strumento innovativo sarà la mediazione civile: il governo è delegato a introdurre un’alternativa facoltativa per le parti al processo, sicché le parti potranno decidere di risolvere la controversia davanti ad un organismo di conciliazione in modo più rapido ed economicamente più conveniente rispetto al giudizio ordinario.

Il governo è anche delegato ad adottare misure per semplificare i procedimenti civili, (il cui numero supera attualmente la trentina), riconducendoli per la maggior parte ad uno dei tre modelli di riferimento disciplinati dal codice, e a riformare il processo amministrativo. Infine, è prevista la pubblicazione on line delle sentenze che, su disposizione del giudice, potranno essere pubblicate sui giornali o, in alternativa, sul sito internet del Ministero della Giustizia. Il disegno di legge approvato contiene altresì norme su ambiente, gestione dei rifiuti e acqua, la definizione di un nuovo assetto per le farmacie e la promozione di azioni per conciliare tempi di vita e di lavoro.


Pubblico impiego: “rivoluzione Brunetta”

Il Consiglio dei ministri del 15 maggio 2009 ha approvato, su proposta del Ministro, Renato Brunetta, lo schema del decreto legislativo sulla riforma della Pubblica Amministrazione, che verrà trasmesso per il parere alle parti sociali attraverso il CNEL, alla Conferenza unificata e alle Commissioni parlamentari. Il punto centrale della riforma è l’attribuzione selettiva degli incentivi economici e di carriera, in modo da premiare i più capaci e i meritevoli.

Per aiutare le Amministrazioni a recepire questa nuova mentalità, è prevista la costituzione di un’apposita Commissione per la valutazione e di Organi indipendenti di valutazione, nel quadro di un programma triennale per la trasparenza e l’integrità. La Commissione per la valutazione dovrà predisporre ogni anno una graduatoria di performance delle singole amministrazioni statali su almeno tre livelli di merito, in base ai quali la contrattazione collettiva nazionale ripartirà le risorse, premiando le migliori strutture e alimentando una sana competizione. I dirigenti saranno responsabili della gestione delle risorse umane e della qualità e quantità del prodotto delle pubbliche amministrazioni, nonché dell’attribuzione dei trattamenti economici accessori.

Quanto al controllo delle assenze, in particolare per i casi di false attestazioni di presenze o di falsi certificati medici, sono introdotte sanzioni, anche di carattere penale, nei confronti del dipendente e del medico eventualmente corresponsabile. Infine, viene definito un catalogo di infrazioni gravi assoggettate al licenziamento, che potrà essere ampliato ma non diminuito dalla contrattazione collettiva.


Rimuovere il dirigente è reato

Commette abuso d’ufficio il sindaco che rimuove un dirigente per ritorsione facendo valere generiche ragioni di sfiducia nei confronti del suo operato. La privatizzazione del pubblico impiego, che ha attribuito alla cognizione del giudice ordinario le controversie in materia, non incide sulla natura pubblicistica della funzione svolta dal primo cittadino che così viene ad assumere in tutto e per tutto la qualifica di pubblico ufficiale.
Lo ha chiarito la sesta sezione penale della Corte di cassazione con la sentenza n. 19135/2009 depositata ieri in cancelleria. Gli Ermellini hanno confermato la sentenza della Corte d’appello di Caltanissetta che nel 2008 aveva condannato per abuso d’ufficio l’ex sindaco del comune siciliano reo di aver illegittimamente rimosso il comandante della polizia municipale dall’incarico di dirigente del settore commercio, annona e polizia locale. Una destituzione che, come accertato in primo grado dal tribunale nisseno, era stato motivata da mere ragioni di ritorsione nei confronti del dirigente che aveva segnalato alla procura della repubblica l’irregolarità di alcune antenne posizionate su un terreno a cui era interessato il figlio del primo cittadino. Oltre a negare nel merito la sussistenza delle accuse, il sindaco si è difeso in Cassazione affermando che la qualifica di primo cittadino non sarebbe sufficiente a qualificarlo come pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio. E questo perché, a suo dire, il dlgs n. 165/2001 (Testo unico sul pubblico impiego) colloca la dirigenza pubblica “in un’area di diritto comune”. In altre parole, secondo il sindaco, la privatizzazione del pubblico impiego avrebbe posto al di fuori della potestà amministrativa qualsiasi atto di gestione del rapporto dirigenziale, compresa la revoca. In quest’ottica, il comune dovrebbe essere totalmente parificato a un datore di lavoro privato (che opera come parte e non, dunque, come autorità) e la revoca dall’incarico in realtà non sarebbe altro che un licenziamento senza giusta causa, “espressione di autonomia negoziale e non di esercizio di funzione pubblica o di potere di autotutela”.

La Cassazione però ha respinto tutte le argomentazioni difensive del sindaco. “Palesemente infondata”, scrivono i giudici che hanno condannato il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali, “E’ la deduzione difensiva secondo cui il conferimento di un tale incarico (dirigenziale, ndr) sarebbe una sorta di atto privato discrezionale del sindaco/datore di lavoro e la revoca inciderebbe solo sul rapporto privatistico instauratosi, realizzando una sorta di mero licenziamento senza giusta causa”. Per i giudici di legittimità, dunque, la rimozione del dirigente non può essere considerata una semplice manifestazione di autonomia negoziale. Si tratta, invece, dice la Corte, di “un atto finalisticamente orientato alla realizzazione di pubblici interessi”. E per averne una conferma basta leggere il Testo unico sugli enti locali. “La nomina del dirigente, e la sua revoca che l’art. 109 del Tuel disciplina contestualmente”, scrivono gli Ermellini, “è strettamente connessa proprio al migliore perseguimento delle più rilevanti finalità istituzionali e si risolve nell’attribuzione al medesimo dirigente di funzioni e poteri di natura strettamente pubblicistica”. “La natura pubblicistica della funzione svolta e dei poteri esercitati”, conclude la Corte, “non muta e con essa non muta la qualifica di pubblico ufficiale rilevante ai sensi dell’art. 357 del codice penale”.