Ricorso in Cassazione senza relata di notifica? E’ improcedibile

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite con Sentenza n. 9004/2009 ha stabilito che “.. nell’ipotesi in cui il ricorrente per cassazione non alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, la Corte di Cassazione deve ritenere che il ricorrente abbia esercitato il diritto di impugnazione entro il cd. Termine lungo e procedere all’accertamento della sua osservanza. Tuttavia, qualora o per eccezione del contro ricorrente o per le emergenze del diretto esame delle produzioni delle parti o del fascicolo d’ufficio emerga che la sentenza impugnata era stata notificata ai fini del decorso del termine di impugnazione, la Corte, indipendentemente dal riscontro della tempestività o meno del rispetto del termine breve, deve rilevare che la parte ricorrente non ha ottemperato all’onere del deposito della copia notificata della sentenza impugnata entro il termine di cui al primo comma dell’art. 369 c.p.c. e di dichiarare improcedibile il ricorso, atteso che il riscontro della improcedibilità del ricorso per cassazione precede quello dell?eventuale sua inammissibilità; la previsione è di cui al secondo comma, n. 2, dell’art. 369 c.p.c. ” dell’onere di deposito a pena di improcedibilità, entro il termine di cui al primo comma della stessa norma, della copia della decisione impugnata con la relazione di notificazione, ove questa sia avvenuta, è funzionale al riscontro, da parte della Corte di Cassazione e a tutela dell’esigenza pubblicitaria (e, quindi, non disponibile dalle parti) del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale e della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, è esercitabile soltanto con l’osservanza del cosiddetto termine breve. Nell’ipotesi in cui il ricorrente, espressamente od implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di notificazione, il ricorso per cassazione dev’essere dichiarato improcedibile, restando possibile evitare la declaratoria di improcedibilità soltanto attraverso la produzione separata di una copia con la relata avvenuta nel rispetto del secondo comma dell’art. 372 c.p.c., applicabile estensivamente, purché entro il termine, di cui al primo comma dell’art. 369 c.p.c., e dovendosi, invece, escludere ogni rilievo dell’eventuale non contestazione dell’osservanza del temine breve da parte del contro ricorrente ovvero del deposito da parte sua di una copia con la relata o della presenza di tale copia nel fascicolo d’ufficio, da cui emerga in ipotesi la tempestività dell’impugnazione. In tema di ricorso per regolamento di competenza, l’obbligo del deposito, da parte del ricorrente, unitamente alla copia autentica della sentenza impugnata, del biglietto di cancelleria da cui desumere la tempestività della proposizione dell’istanza di regolamento (obbligo fissato, a pena di improcedibilità, dal combinato disposto dell’art. 47 c.p.c. e del secondo comma dell’art. 369 c.p.c.) può essere soddisfatto o mediante il deposito del predetto documento contestualmente a quello del ricorso per cassazione (come previsto, per l’appunto, dal citato secondo comma dell’art. 369) oppure attraverso le modalità previste dal secondo comma dell’art. 372 c.p.c. (deposito e notifica mediante elenco alle altre parti), purché  “nel termine stabilito dal primo comma dell’art. 369 c.p.c.”.


La formazione: BUSINNES O SERVIZIO?

L’attività del Messo Comunale è molto complessa anche in relazione ad una normativa contraddittoria e ad una giurisprudenza altalenante. Ciò spesso rende l’attività notificatoria oggetto di controversie il cui esito processuale vanifica l’attività del Messo Comunale.
In tale contesto, in attesa dell’auspicato Testo Unico delle Notifiche, l’esigenza di dover comunque eseguire delle notifiche determina la necessità per gli Enti di attivare momenti di formazione. Essa è elemento fondamentale al fine di una corretta e uniforme applicazione, a livello nazionale, delle norme, senza la quale le prassi locali contraddittorie si sprecano e generano solo confusione.
Oggi l’attività di formazione sul procedimento notificatorio è effettuata da diverse società ed associazioni. Purtroppo dobbiamo constatare che questa pluralità di offerta formativa, invece di aiutare chi lavora, sempre più spesso crea perplessità ed incertezze nei Messi Comunali, i quali potrebbero poi trovarsi a rispondere sia civilmente che penalmente del loro operato.
La formazione non deve essere legata esclusivamente a logiche di business, ma vista come un servizio che deve essere svolto sia nell’interesse degli Agenti Notificatori che dei destinatari della notifica. Appare pertanto di dubbia utilità l’attività di alcune società ed associazioni le quali, attraverso costosi corsi di formazione ovvero apparentemente gratuiti divulgano interpretazioni a poco dire “innovative”, se non addirittura in contrasto con il dettato normativo, per finalità più o meno secondarie non sempre cristalline.
Le varie figure che interagiscono nel processo di notificazione sono previste da diverse (troppe …) leggi, le quali stabiliscono, in alcuni casi, anche le modalità di nomina e le loro competenze. Nell’occasione si ribadisce che, relativamente almeno al Messo Comunale, non è previsto nessun corso obbligatorio di formazione con esame di idoneità finale, come invece alcune società di formazione e/o associazioni paventano in modo subdolo nella pubblicità dei propri corsi.
E’ altrettanto equivoca la pretesa di voler assegnare e/o cambiare il profilo del Messo Comunale in Messo Notificatore, figura prevista dalla Legge Finanziaria del 2007. E’ bene chiarire che la Legge predetta stabilisce in modo chiaro che i corsi di formazione per i Messi Notificatori (che si ribadisce sono figure diverse dai Messi Comunali) debbano essere organizzati a cura dell’Ente (il quale li può affidare anche a società di formazione esterne all’Ente) dopo aver individuato il personale che vi parteciperà. Sarà poi il superamento dell’esame di idoneità a dare al dirigente dell’Ufficio Tributi dell’Ente la facoltà di assegnare al dipendente la qualifica di Messo Notificatore che, lo ribadiamo, ha delle competenze limitate e diverse rispetto a quelle del Messo Comunale.
Questa Associazione ritiene, pertanto, che i corsi di formazione per Messi Notificatori debbano essere preceduti da un’esplicita e formale scelta dell’Ente di avvalersi di dette nuove figure con l’impegno, ad esame superato, a darvi seguito.
E’ appena il caso di segnalare che la mera attestazione di frequenza a corsi per Messi Notificatori che non rispettano i dettami della Legge Finanziaria 2007 è ininfluente e priva di qualsivoglia valore e pone sia chi effettua materialmente le notifiche che chi lo incarica di ciò di fronte a delle responsabilità di vario tipo non indifferenti.
Dalle considerazioni che precedono emerge la necessità di addivenire ad un confronto aperto e franco con tutti i soggetti, pubblici e privati, coinvolti nell’attività di notificazione, al fine di garantire una corretta formazione, differenziata, se del caso, a seconda dei soggetti destinatari. Si auspica, in ogni caso, una concordanza di interpretazione delle norme vigenti, tra i soggetti che si occupano di formazione in tale settore; noi, come ANNA (Associazione Nazionale Notifiche Atti), diamo in tal senso la nostra massima disponibilità.
Ad ogni buon fine ci teniamo a precisare che riteniamo maturi i tempi per arrivare ad un’unica figura notificatoria che, a nostro avviso, deve essere Pubblica, evitando l’illusione che la privatizzazione del Servizio Notifiche possa dare maggiori garanzie al richiedente e/o al destinatario della Notifica che invece abbisognano solo di norme chiare e semplici all’interno di un sistema di garanzie che solo la terzietà della Pubblica Amministrazione può dare.

Maggio 2009


Lo stalking è legge

Pubblicata in G.U. la legge n. 38/2009: le modifiche della Camera non hanno investito le “disposizioni in materia di atti persecutori”, rimaste invariate rispetto al testo del Governo.

Legge 23/04/2009, n. 38

Il 22 aprile 2009 il Parlamento ha convertito in legge, con modificazioni, il d.l. 23 aprile 2009 n. 11, recante “misure urgenti in tema di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”. Le modifiche apportate al decreto legge dalla Camera non hanno peraltro investito le “disposizioni in materia di atti persecutori”, rimaste quindi invariate rispetto al testo del Governo.

Con tali disposizioni, come è noto, è stato introdotto l’art. 612 bis c.p. che prevede il reato di “atti persecutori”, il c.d. stalking. La norma punisce con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi “con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”. Come abbiamo già osservato, la norma, non del tutto soddisfacente sotto il profilo della determinatezza, comporterà presumibilmente gravi difficoltà in fase di accertamento probatorio (su questo aspetto e, più in generale, per un primo commento alla normativa sia consentito rinviare a Della Bella, Le “disposizioni in materia di atti persecutori” contenute nel d.l. 11/2009: un articolato sistema di tutela per le vittime dello stalking che dimentica lo stalker, pubblicato su questo Quotidiano Giuridico il 27 febbraio 2009).

Ciò che già i primi provvedimenti in materia hanno consentito di evidenziare è un problema di possibile applicazione retroattiva della norma incriminatrice, legato alla natura di reato abituale propria dello stalking (cfr. Tribunale di Milano, sez. riesame, ordinanza 17 aprile 2009). In particolare, il problema che si è posto al Tribunale competente a decidere, in sede di riesame, sull’applicazione della custodia cautelare nei confronti del presunto stalker ha riguardato la possibilità di considerare integrato il reato, allorché le condotte abbiano avuto inizio prima dell?entrata in vigore della legge: nel provvedimento citato, il Tribunale ha ritenuto che ciò non integrasse una violazione del principio di irretroattività, poiché le condotte commesse successivamente all’entrata in vigore della norma, essendo collegate a quelle precedenti, avrebbero assunto una “rilevanza tipologica diversa”; conclusivamente, il Tribunale ha affermato che il reato debba ritenersi “commesso dopo l’entrata in vigore della legge se anche un solo atto è compiuto dopo l’entrata in vigore della legge stessa”.

Gli strumenti predisposti dal legislatore per contrastare il fenomeno dello stalking vanno per altro al di là della previsione di una nuova figura di reato: la tutela della vittima è infatti affidata anche ad un sistema articolato di provvedimenti con finalità preventiva, come l’ammonimento orale del questore (art. 8 d.l.), che può essere richiesto dalla vittima ancor prima della querela e la nuova misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima o dai suoi congiunti – art. 282 ter c.p.p. (art. 9 co. 1 d.l.). Sempre nell’ottica di garantire un’efficace azione di tutela della vittima è sancito l’obbligo delle forze dell’ordine, dei presidi sanitari e delle istituzioni pubbliche di informare e indirizzare le vittime agli appositi centri antiviolenza previsti sul territorio (art. 11 d.l.) ed è infine prevista l’istituzione di un numero verde presso la Presidenza del Consiglio (art. 12 d.l.). La tutela della vittima “nel processo” è poi garantita dalla assunzione della sua testimonianza con incidente probatorio – art. 392 co. 1 bis c.p.p. al fine di limitare la reiterazione dei traumi subiti (art. 9 co. 4 d.l.).
Nell’Area Normativa il testo del provvedimento legislativo.


Notifiche ai soggetti sottoposti ad amministrazione di sostegno

La Corte Costituzionale con Ordinanza 24.04.2009, n. 116 ha giudicato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 166 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che le notifiche ai soggetti sottoposti ad amministrazione di sostegno vengano effettuate all’amministratore nominato.

In particolare, secondo il rimettente (Giudice Tutelare di Trieste), la disciplina che regola l’istituto dell’amministrazione di sostegno, introdotto dalla legge 9 gennaio 2004, n. 6, non sarebbe qualitativamente diversa dagli strumenti già approntati dal codice civile in materia di sostegno a soggetti deboli, quali l’interdizione e l’inabilitazione, dato che la differenza tra gli istituti non si baserebbe sulla gravità dell’infermità del soggetto assistito e che, di conseguenza, la limitazione operata dall’art. 166 cod. proc. pen. ai soli casi di interdizione ed inabilitazione, con riferimento alla assistenza del soggetto debole nella fase della notificazione e, quindi, della conoscenza di atti giudiziari, non sarebbe rispettosa del principio consacrato nell’art. 3 della Costituzione.

La Consulta ha concluso che il Giudice Tutelare ha fondato la questione di costituzionalità su una lettura errata della norma censurata e dello stesso tertium comparationis in quanto: “se è vero che l’art. 166 cod. proc. pen. dispone, per l’imputato interdetto, la notificazione degli atti processuali anche al tutore dello stesso, esso però, non prende affatto in considerazione l’ipotesi dell’inabilitazione, prevedendo unicamente che, nel caso in cui il processo sia sospeso dal giudice perché lo stato mentale dell’imputato è tale da impedirne la cosciente partecipazione al procedimento ai sensi dell’art. 71, comma 1, cod. proc. pen., le notificazioni debbano essere effettuate anche al curatore nominato sulla base del predetto articolo” e dunque “tale notificazione integrativa, trascurata dal rimettente, è riferibile tanto agli imputati inabilitati, quanto a quelli sottoposti ad amministrazione di sostegno, purché il loro stato mentale sia tale da comprometterne effettivamente la loro piena e consapevole partecipazione al processo”.


Il lavoratore in malattia non può andare in motocicletta

Al lavoratore a casa in malattia è vietato andare in moto. Parola di Cassazione secondo la quale l’utilizzo del motociclo denota “scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute e ai relativi doveri di cura” e ne “ritarda la guarigione”. Applicando questo principio, la sezione Lavoro ha parzialmente accolto il ricorso della Clinic Center di Napoli che si era opposta alla reintegra di un suo dipendente, un aiuto medico specialista in geriatria assunto nella clinica part time, che, nel periodo di malattia per un’artrosi all’anca, era stato sorpreso a guidare una motocicletta per recarsi al mare a fare dei bagni e poi per raggiungere il Centro Futura dove svolgeva una seconda attività in qualità di direttore sanitario. Piazza Cavour non ha contestato tanto il secondo lavoro, che per quanto riguarda gli impieghi part time “non può essere ritenuta vietata tout court”, quanto il fatto che Giuseppe F., nonostante l’artrosi all’anca, si fosse messo alla guida di una moto di grossa cilindrata per recarsi prima in spiaggia e poi alla seconda attività lavorativa. Ebbene, secondo la Cassazione, un comportamento di questo tipo è indice di “scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute, oltreché dimostrativo del fatto che lo stato di malattia non è assoluto e non impedisce comunque l’espletamento di una attività ludica o lavorativa”.

Di diverso avviso era stata la Corte d’Appello di Napoli che, nel luglio 2005, aveva revocato il licenziamento del medico sostenendo che l’aver guidato una moto di grossa cilindrata e il fatto di essersi recato al mare a fare bagni non erano attività “il contrasto con gli obblighi di cura e riposo in modo da comprometterne ulteriormente la guarigione”. Contro la decisione favorevole al medico, la Clinic Center ha fatto ricorso in Cassazione sostenendo, tra l’altro, che l’utilizzo della motocicletta in malattia per recarsi al mare non era un atteggiamento propriamente tipico di un malato. La sezione lavoro con sentenza 9474, ha accolto questo punto della protesta e ha ricordato che “l’espletamento di altra attività lavorativa ed extralavorativa da parte del lavoratore durante lo stato di malattia è idonea a violare i doveri contrattuali di correttezza e buonafede nell’adempimento dell’obbligazione, posto che il fatto di guidare una moto di grossa cilindrata, di recarsi in spiaggia e di prestare una seconda attività lavorativa sono indici di una scarsa attenzione ai doveri di cura e ritardano la guarigione”. Sarà ora la Corte d’Appello di Napoli a dovere riesaminare il caso del medico che era stato reintegrato dopo il licenziamento nonostante si fosse messo in moto nel periodo di malattia.


Entrata in Vigore del TESTO UNICO DELLA SICUREZZA

15 Maggio 2008 entra in vigore il testo di legge ad esclusione della predisposizione del documento di valutazione dei rischi.

29 Luglio 2008 entrano in vigore le disposizioni di cui agli articoli 17, comma 1, lettera a), e 28, (Valutazione dei Rischi, relativo ed aggiornamento, POS) nonché le altre disposizioni in tema di valutazione dei rischi che ad esse rinviano, ivi comprese le relative disposizioni sanzionatorie, previste dal D. Lgs. 81/08, fino a tale data continuano a trovare applicazione le disposizioni previdenti.

Le disposizioni di cui al titolo VIII, capo IV entrano in vigore alla data fissata dal primo comma dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2004/40/CE.

Le disposizioni di cui al capo V del medesimo titolo VIII, entrano in vigore il 26 aprile 2010.

– D. Lgs. 81/08 del 09/04/2008 –


Il Resp. dell’Ufficio non può maltrattare il dipendente polemico

Rischia di essere condannato il capoufficio che risponde stizzito e mette in discussione le capacità lavorative di un dipendente che è solito polemizzare su tutto.
La Corte di Cassazione con la Sentenza n. 15752 del 15 aprile 2009, ha accolto il ricorso promosso da un dipendente nei confronti del Responsabile dell’ufficio, il quale aveva risposto con una missiva, contenente espressioni ingiuriose, ad alcune osservazioni, di carattere polemico, formulate dallo stesso dipendente.

Il ricorso è stato promosso dal dipendente contro la sentenza di appello, la quale, in riforma di quella di condanna pronunciata dal tribunale di Trani, assolveva con la formula “il fatto non costituisce reato” capo del Servizio igiene alimenti e nutrizione del comune di Barletta dall’addebito di diffamazione in danno di un dipendente.
Il reato era stato contestato al suddetto capo, per avere inviato al dipendente, dirigente medico del servizio e ad altri soggetti, una nota nella quale, con riferimento a una precedente richiesta di chiarimenti avanzata dallo stesso dirigente relativamente a vere o presunte inosservanze addebitate al medesimo quanto a procedure amministrative nell’ambito dell’attività d’istituto, si affermava, tra l’altro, che “l’insistenza con cui la S.V. chiede precisazioni e linee operative su argomenti che sono già stato oggetto di comunicazioni da parte degli scriventi e che non appaiono poi così difficili a capirsi, lascia spazio a valutazioni poco lusinghiere sulla Sua idoneità a ricoprire il ruolo affidatole. Così come non appare per nulla consono, tanto al Suo ruolo quanto a quello dei destinatari della Sua nota, il tono perentorio e ultimativo colì utilizzato”. Il ricorrente ha lamentato che il giudice del merito.
Avrebbe indebitamente acquisito, per attribuirgli altrettanto indebita rilevanza ai fini del decidere, un documento costituito da una protesta scritta inviata da una organizzazione sindacale al direttore generale della ASL per i comportamenti del ricorrente stesso. Inoltre, sempre ad avviso del ricorrente, il giudice del merito avrebbe ritenuto giustificate le espressioni contenute nella nota citata sopra sulla sola base della ritenuta addebitabilità al ricorrente dei rapporti conflittuali che si erano creati tra lui e il capo ufficio. Infine il ricorrente ha censurato la sentenza laddove la stessa si sarebbe fondata sull’indebito e apodittico rilievo, secondo il quale la situazione sarebbe nata dal carattere dello stesso ricorrente, presentato quale persona sofferente di vittimismo, portata alla polemica e incapace di instaurare rapporti di ufficio sereni e fattivi.
La Corte ha ritenuto il ricorso meritevole di accoglimento, in quanto, ciò che deve ritenersi censurabile è l’avvenuto riconoscimento, a fronte della non negata offensività delle espressioni contenute nella lettera incriminata, della valenza sostanzialmente scriminante che avrebbe assunto il pregresso comportamento del ricorrente, culminato nell’asseritamente pretestuosa richiesta di chiarimenti alla quale, con la missiva di cui sopra, era stata data risposta, senza che, peraltro, risulti neppure ben chiarito il ragionamento giuridico in base al quale si sarebbe pervenuti a tale conclusione, facendosi riferimento, nella parte conclusiva della sentenza impugnata, prima alla pretesa assenza di una “precisa volontà offensiva” e poi a un “pregresso comportamento provocatorio” della persona offesa.
Ad avviso della Corte, tali riferimenti, con riguardo ai quali va osservato, relativamente alla volontà offensiva, che non risulta in alcun modo specificato per quale ragione la stessa non potesse desumersi, contrariamente all’evidenza, dal tenore letterale delle espressioni adoperate, delle quali peraltro si riconosce, nella stessa sentenza impugnata, il carattere “poco opportuno”, relativamente al “pregresso comportamento provocatorio”.
In tale contesto la Corte ha ribadito che il giudice del merito non avrebbe tenuto nel dovuto conto la contiguità cronologica tra il “fatto ingiusto” e lo “stato d’ira” conseguente allo stesso il che appare tanto più grave in quanto, tra l’invio della nota e la risposta sarebbero passati ben nove giorni. In altri termini se la risposta fosse stata inviata subito dopo la missiva, si poteva invocare la discriminante dello stato d’ira.


IL DRAMMA DEL TERREMOTO IN ABRUZZO

IL DRAMMA DEL TERREMOTO IN ABRUZZO
Tutti i Soci dell’Associazione, ed io con loro, vi siamo vicini, così il Presidente dell’Associazione Nazionale Notifiche Atti, Pietro Tacchini, si indirizza ai colleghi Messi Comunali dell’Abruzzo colpita dal terremoto. Alle persone terribilmente colpite nei loro cari, nelle loro case e nei loro luoghi di vita quotidiana dalla forza devastante del terremoto che si è abbattuto in Abruzzo desidero dire semplicemente: tutti i Soci, ed io con loro, vi siamo vicini nel vostro dolore, condividendo la vostra sofferenza.
Sono sicuro che lo Stato, eserciterà il massimo sforzo per
-conclude Tacchini – fronteggiare l’emergenza e darvi tutta la sicurezza per il futuro.


BUONA PASQUA!!!

 
Auguri di una Pasqua serena e piena di armonia. Che sia l’occasione per comprendere meglio noi stessi e chi ci circonda, e  di conseguenza  per condividere pacificamente con tutti la nostra quotidianità. Auguri a tutti Voi! 


Giro di vite contro i ritardi nella pubblica amministrazione

La Corte di Cassazione ha detto stop ai ritardi nella pubblica amministrazione e invita i dipendenti pubblici a rispondere subito ai cittadini. Lecita dunque la condanna di chi con il proprio silenzio o con risposte date in ritardo non evade le richieste dei cittadini.

La Corte, in particolare, ha convalidato una condanna per omissione di atti d’ufficio inflitta ad un ingegnere addetto ai servizi tecnici comunali che non aveva dato risposta a una formale richiesta di una cittadina. La donna che era stato oggetto di un provvedimento di espropriazione aveva chiesto al tecnico di prendere visione di un atto con cui la Regione aveva ceduto al Comune aree destinate alla realizzazione di un parcheggio. Nonostante la richiesta formale il tecnico non aveva mai dato una risposta esauriente e il caso finiva in Tribunale con conseguente condanna dell’Ingegnere per omissione di atti d’ufficio. La condanna è stata ora confermata dai giudici della Sesta Sezione Penale della Corte (sentenza 14466/2009) che hanno ritenuto sussistere la fattispecie prevista e punita dall’art. 328 c.p. ossia l’omissione di atti di ufficio. Rischia dunque una condanna penale il dipendente della Pubblica amministrazione che temporeggia davanti alle richieste di un cittadino oppure che resta in silenzio. Nelle motivazioni della sentenza la Corte di Cassazione spiega che ”Resta ingiustificato il silenzio omissivo del pubblico ufficiale perché, nell’economia del delitto di cui all’art. 328 c.p., una volta individuato l’interesse qualificato alla conoscenza da parte del richiedente, anche la risposta negativa dell’ufficio adito, in termini di indisponibilità, oppure di parziale disponibilità della documentazione richiesta, fa parte del contenuto dell’atto dovuto al cittadino, il quale, sull’informazione negativa, può organizzare la sua strategia di tutela, oppure rinunciare in modo definitivo ad ogni diversa sua pretesa”. La severità della norma, spiega la Corte, è ”posta a tutela del privato ed è strutturata in modo da impedire sacche di indebita inerzia nel compimento di atti dovuti”. Già la Corte d’appello aveva confermato la condanna di primo grado ed è risultato inutile il ricorso in Cassazione giacché gli Ermellini hanno avvertito che ”il silenzio omissivo del pubblico ufficiale” o gli eventuali ritardi nelle risposte al cittadino saranno puniti severamente.


Assemblea Generale: eletti i nuovi Organi dell’Associazione

L’Assemblea Generale dell’Associazione, riunitasi oggi ad Ancona ha eletto i nuovi Organi, tra i quali ha riconfermato per acclamazione alla guida dell’Associazione Tacchini Pietro quale Presidente Nazionale e Baldoni Margherita quale vice Presidente Nazionale .


Lavoro pubblico: il via della riforma con la consultazione telematica

Il Ministro della Pubblica Amministrazione e Innovazione, di concerto con il Ministro per i Rapporti con il Parlamento, hanno avviato una consultazione pubblica telematica, in vista della definizione dei decreti attuativi previsti dalla legge di riforma del lavoro pubblico. In particolare, la consultazione è stata avviata con lo scopo di raccogliere i contributi di circa 2900 operatori della PA e di circa 70 esperti selezionati sulle opzioni di attuazione della legge delega di riforma del lavoro pubblico.
E’ stato quindi chiarito che il provvedimento (che fa parte della riforma della PA approvata dal Consiglio dei Ministri il 18.6.08 ed è legge dal 25.2.09) ha lo scopo di convergere gli assetti regolativi del lavoro pubblico con quelli del lavoro privato, con particolare riferimento al sistema delle relazioni sindacali, di migliorare l’efficienza e l’efficacia delle procedure della contrattazione collettiva, di introdurre sistemi interni ed esterni di valutazione del personale e delle strutture amministrative, finalizzati ad assicurare l’offerta di servizi conformi agli standard internazionali di qualità, di valorizzare il merito e il conseguente riconoscimento di meccanismi premiali, di definire un sistema più rigoroso di responsabilità dei dipendenti pubblici, di introdurre strumenti che assicurino una più efficace organizzazione delle procedure concorsuali su base territoriale, di valorizzare il requisito della residenza dei partecipanti ai concorsi pubblici, qualora ciò sia strumentale al migliore svolgimento del servizio. Inoltre, i vincitori delle procedure di progressione verticale dovranno permanere per almeno 5 anni nella sede della prima destinazione e sarà considerato titolo preferenziale la permanenza nelle sedi carenti di organico.


La mancata notifica del ricorso al controinteressato per colpa dell’ufficiale giudiziario costituisce errore scusabile

Sussiste errore scusabile, tale da consentire di sanare un eventuale difetto nella presentazione (rectius, notificazione) del ricorso, nell’ipotesi in cui esso non sia stato ritualmente notificato per mancata osservanza, da parte dell’ufficiale giudiziario addetto, delle norme del codice di procedura civile in materia di notificazione degli atti giudiziari.

E’ questa la conclusione cui è giunto il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza n. 430 del 05/02/08, che ha annullato la sentenza n. 3493/2007 emessa dal T.A.R. Veneto (in ordine ad una questione inerente l’annullamento di un permesso di costruire), con rinvio allo stesso Tribunale per la definizione del ricorso. Nello specifico, l’ufficiale giudiziario, “pur essendosi recato presso la sede della ditta controinteressata (nel domicilio anche indicato nella originaria domanda di permesso di costruire), ha avuto notizia del trasferimento di essa, senza porre in essere le ulteriori attività necessarie per il perfezionamento della notifica”. In tal modo, ha ingenerato nella ricorrente (ma, a quanto pare, anche nel Giudici di I°, che non ha disposto il rinnovo della notifica) la convinzione che il ricorso fosse stato ” appunto ” ritualmente notificato alla ditta controinteressata, proponente l’appello de quo (la quale, ovviamente, non si era costituita in prime cure).

La pronuncia in epigrafe ha, comunque, fatti salvi gli effetti della domanda, dichiarando l’annullamento della sentenza emessa dal T.A.R. a seguito del mancato rispetto del principio del contraddittorio (per non essere, comunque, il ricorso introduttivo ricevuto dalla controinteressata, la quale non ha preso parte al giudizio di I°), e disponendo il rinvio al T.A.R. emittente per la decisione nel merito del ricorso. La mancata notifica a carico del ricorrente non è stata sottoposta a censura di annullamento sic et simpliciter della sentenza gravata (pure dovuto in caso di mancata integrazione del contraddittorio), in sono stati ritenuti sussistenti “i presupposti per applicare il beneficio dell’errore scusabile”, con conseguente possibilità di sanatoria del vizio dedotto. In particolare, questi sarebbero costituiti dalla tempestiva consegna all’ufficiale giudiziario del ricorso (che alla luce del noto orientamento giurisprudenziale è ritenuto adempimento sufficiente ai fini della tempestività delle notificazione stessa da parte del richiedente), in uno con la mancata osservanza, da parte dei quest’ultimo, degli incombenti posti dalla legge, nonché con la corretta indicazione della destinazione di notifica dell’atto stesso. I Giudici di Palazzo Spada tornano, così, sul dibattuto tema dell’errore scusabile, a breve distanza da un’altra, interessante pronuncia (T.A.R. Lazio, Sez. III-quater, n. 900 del 16/01/08), con la quale era stata sanata la tardività della notificazione del ricorso, a seguito dell’erronea indicazione del termine ad opponendum contenuta nel provvedimento amministrativo impugnato.

Nella predetta pronuncia, il Tribunale ha avuto occasione di ribadire come l’istituto dell’errore scusabile sia da ritenere come finalizzato “a garantire l’effettività della tutela giurisdizionale, e si fonda su circostanze oggettive (quali comportamento fuorviante dell’amministrazione, complessità della fattispecie, difficoltà di qualificazione dell’atto da impugnare e i suoi effetti, ecc.) che abbiano potuto ingenerare l’errore incolpevole dell’interessato” (così, T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 06/11/06, n. 3501, cit.).


Notifica al professionista? Invalida se fatta al suo studio

La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent. 21778/2008) ha stabilito che non è valida la notifica degli atti processuali che vengono fatte al professionista nel suo studio. Ciò a meno che il professionista non abbia eletto nel suo studio il domicilio. Più in particolare, la Corte ha precisato che “l’art. 141 cod. proc. civ., che regola la notificazione presso il domiciliatario, va coordinato con l’art. 147 cod. civ., secondo cui il domicilio eletto rappresenta una deroga al domicilio legale, atteso che la norma prevede che la dichiarazione di elezione di domicilio deve riguardare determinati atti o affari ed essere espressa per iscritto in modo inequivoco”.
Nel caso di specie, “pertanto – prosegue la Corte -, non può ritenersi che la notificazione sia stata effettuata a quello che la resistente ha erroneamente considerato il domicilio eletto con riferimento al rapporto contrattuale intercorso fra le parti, atteso che sarebbe stata al riguardo necessaria una specifica dichiarazione del […] secondo le forme di cui sopra si è detto”.
Infine, ha aggiunto la Corte, “indipendentemente dalle modalità e dalla qualità della persona che ebbe a ricevere l’atto, la notificazione effettuata direttamente allo studio del professionista, cioè in uno dei luoghi indicati in ordine successivo dall’art. 139 cod. proc. civ., anziché alla residente (non coincidente con il primo), è da ritenere affetta da nullità ma non è certo inesistente, atteso che:

a) è inesistente la notificazione fatta a soggetto o in luogo totalmente estraneo al destinatario, mentre è nulla e suscettibile di sanatoria quella effettuata in luogo a persona che, pur diversi da quelli indicati dalla norma processuale, abbiano un qualche riferimento con il destinatario dell’atto;

b) poiché l’ordine dei luoghi indicati dall’art. 139 cod. proc. civ. primo e sesto comma cod. proc. civ. per la notifica e se non possibile in mani proprie, ai sensi dell’art. 138 cod. proc. civ. in successione preferenziale, soltanto se la residenza e il domicilio del destinatario sono nello stesso luogo la notifica può effettuarsi alternativamente nell’una o nell’altro; se invece i rispettivi luoghi sono diversi, la notifica nel domicilio è nulla, se la residenza non è ignota;

c) costituisce onere del notificante compiere le ricerche anagrafiche necessarie per accertare la residenza effettiva del destinatario dell’atto da notificare”.


Il Fisco è responsabile per accertamenti inutili

Danni al contribuente se il fisco sbaglia.
Infatti il cittadino ha diritto di impugnare un accertamento a lui notificato anche se l’ufficio ha sbagliato e quindi, di fatto, quell’atto non può avere nessuna conseguenza. Nelle sedi opportune (davanti all’Ago) potrebbe chiedere i danni subiti per aver consultato un professionista circa gli effetti “dell’atto” definito poi innocuo dall’amministrazione finanziaria.

La buona notizia per i cittadini arriva dalla Corte di cassazione che, con la sentenza 4622 del 26 febbraio 2009, ha accolto il ricorso di un contribuente.
In definitiva l’ufficio delle imposte – si legge nelle motivazioni – non può notificare a proprio piacimento atti impositivi assumendo che siano privi di effetti giuridici e pretendere che il contribuente se ne stia tranquillo tanto non accade nulla. Ogni atto giuridico produce effetti e se un atto viene definito inutile dallo stesso emittente c’è da chiedersi perché sia stato adottato e notificato, fermo restando gli effetti di danno che può comunque produrre nella sfera giuridica del destinatario, a prescindere dalle intenzioni dell’emittente (in un caso come quello in esame, ad esempio, è evidente che il destinatario degli atti ha la necessità di rivolgersi ad un professionista per verificare se e quali effetti possa produrre un atto definito innocuo, dalla controparte, anche se poi in ipotesi l’atto si riveli effettivamente innocuo, contrariamente a quanto avvenuto nella specie).