Non è scusabile la tardiva notifica dell’appello

Non è scusabile la tardiva notifica dell’appello quando dipenda dalla parte e non dall’ufficiale giudiziario.
Non può essere concesso l’errore scusabile e non può essere rimesso il termini l’appellante se il relativo atto sia stato notificato oltre il termine di decadenza per fatto del medesimo appellante e non dell’ufficiale giudiziario.

Consiglio di Stato Decisione, Sez. VI, 04/04/2008, n. 1433 (In questo sito, nell’area Giurisprudenza, il testo della sentenza


Notifica eseguita presso la residenza anagrafica

Anche se il destinatario dimora altrove può essere valida.
In merito alla validità della notificazione di un atto giudiziario “eseguita presso la residenza anagrafica del destinatario dell’atto, in realtà dimorante stabilmente altrove”, la Corte di Cassazione (Sent. 19473/2007) ha osservato che “ove non possa addebitarsi al notificante la inosservanza dell’obbligo di ordinaria diligenza nell’accertamento della effettiva residenza del destinatario della notifica, deve ritenersi correttamente eseguita la notifica presso la residenza anagrafica dello stesso”. Nella specie i giudici di legittimità hanno ritenuto “corretta in quanto logicamente e congruamente motivata, la sentenza della Corte di Appello che, tra le altre cose, “dal tenore letterale della relata di notifica dell’ufficiale giudiziario, recante il riferimento alla consegna a “mani del portiere (!), capace a ricevere e tale qualificatosi per la precaria assenza del destinatario e delle altre persone di cui all’art. 139 c.p.c.” ha tratto, tenuto conto del mancato rifiuto del portiere di ricevere l’atto, il convincimento della permanenza di un legame del destinatario dell’atto con il luogo di sua residenza anagrafica, tale da consentirgli di essere reso edotto della corrispondenza ivi inoltrata”.


Nullità della notificazione effettuata al convivente

Nullità della notificazione effettuata al convivente “more uxorio”
Ennesima sentenza della Corte di Cassazione in tema di equiparazione della famiglia di fatto alla famiglia di diritto: questa volta gli ermellini si sono espressi in senso negativo! Infatti, sembra aver fatto un passo indietro in ordine all’equiparazione tra il coniuge legittimo e il “coniuge di fatto”, ossia il convivente more uxorio.

Vedi testo della sentenza


La mancata notifica del ricorso al controinteressato per colpa dell’ufficiale giudiziario costituisce errore scusabile e sana la causa di inammissibilità

Sussiste errore scusabile, tale da consentire di sanare un eventuale difetto nella presentazione (rectius, notificazione) del ricorso, nell’ipotesi in cui esso non sia stato ritualmente notificato per mancata osservanza, da parte dell’ufficiale giudiziario addetto, delle norme del codice di procedura civile in materia di notificazione degli atti giudiziari. E’ questa la conclusione cui è giunto il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza n. 430 del 05/02/08, che ha annullato la sentenza n. 3493/2007 emessa dal T.A.R. Veneto (in ordine ad una questione inerente l’annullamento di un permesso di costruire), con rinvio allo stesso Tribunale per la definizione del ricorso. Nello specifico, l’ufficiale giudiziario, “pur essendosi recato presso la sede della ditta controinteressata (nel domicilio anche indicato nella originaria domanda di permesso di costruire), ha avuto notizia del trasferimento di essa, senza porre in essere le ulteriori attività necessarie per il perfezionamento della notifica”. In tal modo, ha ingenerato nella ricorrente (ma, a quanto pare, anche nel Giudici di I°, che non ha disposto il rinnovo della notifica) la convinzione che il ricorso fosse stato è appunto è ritualmente notificato alla ditta controinteressata, proponente l’appello de quo (la quale, ovviamente, non si era costituita in prime cure). La pronuncia in epigrafe ha, comunque, fatti salvi gli effetti della domanda, dichiarando l’annullamento della sentenza emessa dal T.A.R. a seguito del mancato rispetto del principio del contraddittorio (per non essere, comunque, il ricorso introduttivo ricevuto dalla controinteressata, la quale non ha preso parte al giudizio di I°), e disponendo il rinvio al T.A.R. emittente per la decisione nel merito del ricorso. La mancata notifica a carico del ricorrente non è stata sottoposta a censura di annullamento sic et simpliciter della sentenza gravata (pure dovuto in caso di mancata integrazione del contraddittorio), in sono stati ritenuti sussistenti “i presupposti per applicare il beneficio dell?errore scusabile”, con conseguente possibilità di sanatoria del vizio dedotto. In particolare, questi sarebbero costituiti dalla tempestiva consegna all’ufficiale giudiziario del ricorso (che alla luce del noto orientamento giurisprudenziale è ritenuto adempimento sufficiente ai fini della tempestività delle notificazione stessa da parte del richiedente), in uno con la mancata osservanza, da parte dei quest’ultimo, degli incombenti posti dalla legge, nonché con la corretta indicazione della destinazione di notifica dell’atto stesso. I Giudici di Palazzo Spada tornano, così, sul dibattuto tema dell’errore scusabile, a breve distanza da un’altra, interessante pronuncia (T.A.R. Lazio, Sez. III-quater, n. 900 del 16/01/08), con la quale era stata sanata la tardività della notificazione del ricorso, a seguito dell’erronea indicazione del termine ad opponendum contenuta nel provvedimento amministrativo impugnato. Nella predetta pronuncia, il Tribunale ha avuto occasione di ribadire come l?istituto dell?errore scusabile sia da ritenere come finalizzato “a garantire l’effettività della tutela giurisdizionale, e si fonda su circostanze oggettive (quali comportamento fuorviante dell’amministrazione, complessità della fattispecie, difficoltà di qualificazione dell’atto da impugnare e i suoi effetti, ecc.) che abbiano potuto ingenerare l’errore incolpevole dell’interessato” (cos?, T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 06/11/06, n. 3501, cit.).


La comunicazione di avvio del procedimento è comunque dovuta ove la P.A. non deduca ragioni di urgenza

Con alcune sentenze dello stesso periodo (nn. 26, 27 e 28 del 01/02/2008), tutte rese nella forma “breve” di cui all’art. 21, c. 10, L. n. 1034/1971, il T.A.R. Marche ha svolto alcune importanti considerazioni in merito all’obbligatorietà della comunicazione di avvio del procedimento, nonché alle conseguenze della sua omissione sulla legittimità del provvedimento finale adottato dalla P.A.. Le pronunce cui trattasi sono tutte relative a ricorsi proposti avverso un’ordinanza di rimozione e smaltimento di rifiuti emessa ai sensi dell’art. 192, D.Lgs. 152/2006. In esse, viene ribadito come la comunicazione di avvio del procedimento, obbligatoria ex art. 7 L. n. 241/90 e s.m.i., non possa essere mai omessa dalla P.A., se non nei casi espressamente previsti dalla norma stessa, ovvero qualora sussistano “ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento”. Peraltro è come ribadito dal T.A.R. Marche – tali esigenze debbono essere comunque valutate, in concreto, e, se possibile, esplicitate da parte dell’Amministrazione, non essendo sufficiente che la stessa faccia riferimento ad una generica contingibilità dell’atto stesso o, meno ancora, che ne presupponga l’urgenza in considerazione della particolare natura del provvedimento stesso (in tal senso, già Cons. Stato, Sez. IV, 25/09/98, n. 569, ove si statuiva che “l’obbligo di comunicazione prescinde dal procedimento avviato, con la sola eccezione dei casi in cui ricorrano particolari esigenze di celerità, la cui preminenza deve essere dimostrata con rigorosa motivazione da parte dell’amministrazione”). Questo, specie ove vi sia è come nel caso de quo è un erroneo inquadramento normativo della fattispecie, da cui consegue un evidente vizio di travisamento dei fatti e di violazione di legge, che si ripercuote nell’ordinanza opposta, la quale “non dà atto di alcun accertamento diretto a verificare la concentrazione della sostanza in questione, né vi è alcun riferimento all’epoca di trattamento del materiale rinvenuto presso il ricorrente, al fatto se il medesimo provenisse dal mercato dei prodotti usati e se il legno in questione fosse utilizzato in conformità a quanto la suddetta normativa prevede, cosicché l’illiceità della detenzione finisce per essere asserita senza tuttavia poggiare su alcun supporto motivazionale”. In merito, si segnala come il Giudice Amministrativo, pur non facendone espressa menzione, mostra di superare il possibile rilievo rappresentato dell’applicabilità del disposto dell?art. 21-octies, c. 2, ult. cpv. (in virtù del quale “il provvedimento adottato non è comunque annullabile per mancata comunicazione di avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto dell’atto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”). Infatti, nel caso specifico, viene messa in evidenza proprio la mancata instaurazione del c.d. contraddittorio procedimentale, preliminare e funzionale alla corretta adozione del provvedimento finale, il quale consegue è appunto è all’inoltro della comunicazione ex art. 7 L.P.A.. Essa, infatti, avrebbe consentito ai destinatari del provvedimento sanzionatorio di mettere in evidenza, mediante gli strumenti tipici della partecipazione, previsti dall’art. 10 (presentazione memorie scritte e documenti, che debbono essere considerati dall’amministrazione), elementi, sia in fatto che in diritto, decisivi ai fini della ponderazione degli interessi in gioco, e, di più, della corretta interpretazione della fattispecie. E, come precisato sempre dalla pronuncia de qua, “la considerazione dei suddetti elementi poteva evidentemente condurre il procedimento ad un esito tutt’altro che scontato, il che evidenzia come il contraddittorio con l’interessato avrebbe potuto consentire l’acquisizione di elementi utili ai fini di una compiuta valutazione della fattispecie. La necessità di assicurare la partecipazione dell’interessato discendeva infatti dalla possibilità che la contestata detenzione fosse lecita, il che implicava l’esigenza di consentire l?allegazione di elementi di valutazione in tal senso”.


FIRMATO DEFINITIVAMENTE IL CCNL REGIONI E AUTONOMIE LOCALI

Si è definitivamente chiusa la vertenza relativa al rinnovo del CCNL Regioni e Autonomie Locali, un rinnovo contrattuale caratterizzato dai continui tentativi di intrusione, interferenze e ingerenze, ultima delle quali quella della Corte dei Conti che ha rischiato di sconfinare nel grottesco.


Cassazione: Notifica eseguita presso la residenza anagrafica? Anche se il destinatario dimora altrove può essere valida

In merito alla validità della notificazione di un atto giudiziario “eseguita presso la residenza anagrafica del destinatario dell’atto, in realtà dimorante stabilmente altrove”, la Corte di Cassazione (Sent. 19473/2007) ha osservato che “ove non possa addebitarsi al notificante la inosservanza dell’obbligo di ordinaria diligenza nell’accertamento della effettiva residenza del destinatario della notifica, deve ritenersi correttamente eseguita la notifica presso la residenza anagrafica dello stesso”. Nella specie i giudici di legittimità hanno ritenuto “corretta in quanto logicamente e congruamente motivata, la sentenza della Corte di Appello che, tra le altre cose, “dal tenore letterale della relata di notifica dell’ufficiale giudiziario, recante il riferimento alla consegna a “mani del portiere (..), capace a ricevere e tale qualificatosi per la precaria assenza del destinatario e delle altre persone di cui all’art. 139 c.p.c.” ha tratto, tenuto conto del mancato rifiuto del portiere di ricevere l’atto, il convincimento della permanenza di un legame del destinatario dell’atto con il luogo di sua residenza anagrafica, tale da consentirgli di essere reso edotto della corrispondenza ivi inoltrata”.


Le soste voluttuarie di pochi minuti, insuscettibili di modificare le condizioni di rischio, non escludono la tutela dell’infortunio in itinere

Secondo quanto disposto dall’art. 2, comma terzo, del Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, recante norme in materia di “Assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”, come modificato dall’art. 12 del Decreto Legislativo 23 febbraio 2000, n. 38: “Salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate, l’assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale, durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti”.

Sempre secondo il medesimo testo normativo: “l’interruzione e la deviazione si intendono necessitate (e, quindi, rientranti nella nozione di “occasione di lavoro” ai fini della copertura assicurativa) quando sono dovute a causa di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti”. Ciò posto, sebbene il dettato del D.P.R. n. 1124/65 sopra citato sembrerebbe senz’altro escludere la copertura assicurativa in caso di c.d. “soste non necessitate” effettuate dal lavoratore, occorre però rilevare che la giurisprudenza di legittimità e di merito, ampliando l’ambito della tutela dell’infortunio in itinere rispetto alla previsione legislativa, ha distinto non solo le soste necessitate (quali, ad es., la necessità di un breve riposo durante un lungo percorso o la necessità di soddisfare esigenze fisiologiche) dalle soste voluttuarie (o non necessitate) ma, in questo secondo ambito, ha ulteriormente distinto tra le soste di pochi minuti, insuscettibili di modificare le condizioni di rischio, e quelle di apprezzabile durata e consistenza. Solo queste ultime escluderebbero la c.d. “occasione di lavoro” presupposto indefettibile per il configurarsi dell’infortunio in itinere. In altri termini, secondo la giurisprudenza ormai pacifica sul punto, la permanenza o meno della copertura assicurativa dipende dalle caratteristiche della sosta, ovvero dalle sue dimensioni temporali e dal verificarsi dell’aggravamento del rischio. La valutazione delle circostanze di fatto che caratterizzano l’interruzione non necessitata è compito del Giudice del merito, il quale è al fine di verificare se nel caso concreto non venga eluso il carattere finalistico che giustifica la tutela dell’infortunio in itinere – potrà adottare criteri quali il tempo della sosta in termini assoluti, o in proporzione alla durata del viaggio. A questi principi si è sostanzialmente attenuta anche la sentenza in commento laddove, confermando quanto deciso dal Giudice dell’appello ha affermato che le soste voluttuarie di pochi minuti, insuscettibili di modificare le condizioni di rischio, non escludono la tutela dell’infortunio in itinere.


Agenzia Entrate: al via la detrazione abbonamento mezzi pubblici

L’Agenzia delle Entrate (Circolare n. 19/E) ha reso noto di aver chiarito alcune regole per usufruire dei bonus sugli abbonamenti dei mezzi pubblici introdotti dalla nuova Finanziaria.
Ha quindi precisato che la nuova Finanziaria ha previsto la detrazione Irpef per gli abbonamenti ai mezzi pubblici e che i contribuenti avranno a disposizione un bonus massimo di 47,50 euro per le spese sostenute nel 2008. La detrazione (pari al 19 per cento dei costi sostenuti per gli abbonamenti ai servizi pubblici fino ad una spesa massima di 250 euro), è valida solo per i titoli di viaggio che comportano un uso non episodico del mezzo pubblico, consentendo di effettuare un numero illimitato di spostamenti, per più giorni, su un determinato percorso o sull’intera rete, in un periodo di tempo specificato.
La detrazione è valida per i titoli di viaggio utilizzati su treni, autobus e metropolitane che vengono acquistati nel corso di questo anno (2008) e ciò anche se andranno a scadere nel nuovo anno (2009). Il contribuente dovrà conservare i titoli di viaggio che devono contenere obbligatoriamente l’indicazione dell’impresa che li ha emessi, delle caratteristiche del trasporto, il prezzo, il numero progressivo e la data di emissione e se il biglietto non è nominativo, le detrazione sarà comunque consentita a condizione che il contribuente autocertifichi che il titolo è stato acquistato per sè o per un familiare a carico.
L’Agenzia ha poi chiarito che sono escluse dalla detrazione sia le spese per trasporti deducibili dal reddito di lavoro autonomo o d’impresa sia le spese per i titoli di trasporto che hanno una durata oraria (anche se superiore a quella giornaliera), come ad es. i biglietti a tempo che scadono dopo 72 ore dalla convalida e le carte turistiche integrate che includono altri servizi oltre a quelli di trasporto, come l’ingresso a musei o spettacoli.


Ministero Economia e Finanze: regolamento pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni

Entrerà in vigore il 29 marzo il Regolamento del Ministero dell’economia e delle finanze che disciplina i pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni, in conformità a quanto previsto dall’articolo 48-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, recante disposizioni in materia di adempimenti che le amministrazioni pubbliche e le società a prevalente partecipazione pubblica effettuano prima di eseguire pagamenti di qualsiasi natura, introdotto dall’articolo 2, comma 9, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286.

Il Regolamento prevede che i soggetti pubblici, prima di effettuare il pagamento di un importo superiore a diecimila euro, procedono alla verifica inoltrando apposita richiesta a Equitalia Servizi S.p.A., che a sua volta controlla, avvalendosi del sistema informativo, se risulta un inadempimento a carico del beneficiario e ne dà comunicazione al soggetto pubblico richiedente entro i cinque giorni feriali successivi alla ricezione della richiesta.

A questo punto se:

Equitalia Servizi S.p.A. risponde comunicando che non risulta un inadempimento, ovvero se non fornisce alcuna risposta nel termine di cinque giorni feriali, il soggetto pubblico procede al pagamento a favore del beneficiario delle somme ad esso spettanti;

Equitalia Servizi S.p.A. comunica che risulta un inadempimento con l’indicazione dell’ammontare del debito del beneficiario per cui si è verificato l’inadempimento, comprensivo delle spese esecutive e degli interessi di mora dovuti, il soggetto pubblico non procede al pagamento delle somme dovute al beneficiario fino alla concorrenza dell’ammontare del debito comunicato per i trenta giorni successivi a quello della comunicazione.

In quest’ultimo caso, se, durante la sospensione di trenta giorni e prima della notifica dell’ordine di versamento da parte dell’agente della riscossione competente per territorio, intervengono pagamenti da parte del beneficiario o provvedimenti dell’ente creditore che fanno venir meno l’inadempimento o ne riducono l’ammontare, Equitalia Servizi S.p.A. lo comunica prontamente al soggetto pubblico, indicando l’importo del pagamento che quest’ultimo può conseguentemente effettuare a favore del beneficiario. Qualora entro detto termine il competente agente della riscossione non abbia notificato l’ordine di versamento di somme il soggetto pubblico procede al pagamento delle somme spettanti al beneficiario.

I soggetti pubblici potranno avvalersi della banca dati disponibile mediante accesso al portale www.acquistinretepa.it.


Detrazione IRPEF per l’abbonamento ai mezzi pubblici: Circolare dell’Agenzia delle Entrate

Con Circolare 7 marzo 2008, n. 19, l’Agenzia delle Entrate fornito importanti chiarimenti in merito alla detrazione IRPEF del 19% riconosciuta sulle spese sostenute per l’abbonamento al trasporto pubblico.

Tra le diverse precisazioni si segnalano le seguenti:

  • la detrazione spetta sulle spese sostenute nell’anno 2008 per l’acquisto di abbonamenti ai servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale; può quindi essere fruita solo nella prossima dichiarazione dei redditi (UNICO PF 2009 o Mod. 730/2009;
  • il limite massimo di spesa detraibile è fissato in 250,00 euro e la detrazione è riconosciuta anche per le spese sostenute per i familiari a carico;
    in caso di mancato utilizzo della detrazione, in tutto o in parte, per incapienza dell’imposta dovuta, la parte non utilizzata si perde, in quanto non c’è la possibilità di rinvio agli anni successivi;
  • il contribuente deve conservare il titolo di viaggio. In particolare, se questo è nominativo esso deve comunque indicare la durata dell’abbonamento e la relativa spesa sostenuta nel 2008; se, al contrario, non è nominativo, il contribuente, dovrà allegare al titolo di viaggio, una dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante l’acquisto dell’abbonamento per sè o per un suo familiare a carico.


PROCESSO – COMUNICAZIONE DI CANCELLERIA A MEZZO E-MAIL. VALIDITA’

“E’ valida la comunicazione di cancelleria ex art. 136 c.p.c. effettuata per email all’indirizzo elettronico comunicato dal difensore al proprio Consiglio dell’Ordine e da questi alla Corte d’Appello competente, a norma degli artt. 2, 4, 6 D.P.R. 13 febbraio 2001, n.123, del quale il destinatario ha dato risposta per ricevuta non in automatico, documentata dalla relativa stampa cartacea”.
“Il carattere sostitutivo della procedura telematica rispetto a quella cartacea prevista dagli articoli 136 c.p.c. e 145 disposizioni di attuazione; la possibilità, ridotta ma effettiva, di malfunzionamento del sistema di trasmissione; la gravità delle conseguenze decadenziali, impongono di ritenere che sia necessaria la risposta manuale di ricevuta con il tasto “rispondi”, e non sufficiente la risposta in automatico “letto” (per identica soluzione, limitatamente alla risposta “ok” del servizio di trasmissione via fax vedi Cass. 25 marzo 2003 n. 4319 e 3286/2006 cit.). Ne argomenti in contrario sembra possano trarsi dallo jus superveniens costituito dal nuovo testo del comma 3 dell’articolo 136 c.p.c., perché questo rinvia alla normativa regolamentare sopra citata, la quale non disciplina il punto specifico in esame. Ne alla materia processuale, specificamente disciplinata dal D.P.R. 13 febbraio 2001, n.123, è applicabile l’art. 12 D.P.R. 10 novembre 1997 n. 513  (Regolamento recante criteri e modalità per la formazione, l’archiviazione e la trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici, a norma dell’articolo 15, comma 2, della legge 15 marzo 1997, n. 59), per il quale il documento informatico trasmesso per via telematica si intende inviato e pervenuto al destinatario se trasmesso all’indirizzo elettronico da questi dichiarato”.

Leggi:  Sentenza n. 4061 del 19/02/2008


Nuovo contratto a tempo determinato e mansioni equivalenti

A due mesi dall’entrata in vigore della legge di attuazione del pacchetto welfare, la n. 247 del 2007, continua ad essere al centro del dibattito la modifica al d.lgs. 368/2001 che ha limitato a 36 mesi la durata massima del rapporto di lavoro in caso di successione di contratti a tempo determinato, con esclusione dei contratti dei dirigenti (per i quali rimane il limite massimo quinquennale) e di quelli relativi alle attività stagionali e ad altre attività ancora da individuarsi. C’è chi ha parlato di una vera e propria rivoluzione. Di certo non si può negare che siamo di fronte a una cambiamento importante. In primis, perché la legge 247/07 ha voluto ribadire con fermezza il principio secondo cui il contratto a tempo indeterminato rappresenta la regola e quello a tempo determinato, invece, l?eccezione (art. 1 d.lgs. 368/01, così come modificato dalla legge 247/07). In secondo luogo, perché la nuova legge ha introdotto una disciplina decisamente più restrittiva, al fine di limitare l’utilizzo dei contratti a termine da parte dei datori di lavoro. Soffermiamoci su questo secondo aspetto. In base all’art. 5 del d.lgs. 368/2001 che disciplina i contratti a tempo determinato, nell’ipotesi di successione di più contratti, tra la fine del vecchio contratto e l’inizio del nuovo è necessario rispettare un intervallo di tempo fissato in 10 giorni per i contratti di durata inferiore a 6 mesi e in 20 giorni per quelli che superano i 6 mesi. Se il periodo minimo di interruzione non viene rispettato, il lavoratore si considera assunto a tempo indeterminato. La nuova legge, lasciando invariata tale disposizione, ha previsto che è nel caso in cui si susseguano più contratti a termine è il rapporto di lavoro non può durare complessivamente più di 36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, “indipendentemente” dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro (art. 5 d.lgs. 368/01, comma 4 bis introdotto dalla legge 247 /07). Alla luce della nuova normativa è che si applica a tutti i contratti stipulati dal 1 gennaio 2008, data di entrata in vigore della legge è il superamento di siffatto limite comporta l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Non è mancato chi ha riflettuto sul significato ambivalente che potrebbe essere attribuito all’avverbio “indipendentemente” contenuto nel testo di legge. Tuttavia, se tale avverbio fosse diretto ad escludere e anziché comprendere e i periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, la nuova normativa si svuoterebbe di significato e perderebbe la sua evidente finalità limitativa. Nessun dubbio, dunque: i contratti di lavoro a tempo determinato non possono superare complessivamente i 36 mesi, compresi sia eventuali periodi di proroga sia eventuali intervalli di tempo tra un contratto e l’altro. A una condizione, però. E cioè, che si tratti di contratti per lo svolgimento di “mansioni equivalenti”. Diversamente, la nuova disciplina non trova applicazione e la durata del rapporto di lavoro può legittimamente superare i 36 mesi. Tale aspetto, espressamente previsto dal legislatore, è passato in secondo piano di fronte alla più eclatante novità relativa al limite massimo di durata. Eppure non è da sottovalutare, dal momento che è almeno a prima vista e potrebbe apparire come un espediente per eludere le nuove norme di legge. Secondo la giurisprudenza, il concetto di “equivalenza” delle mansioni deve essere valutato in concreto, tenendo conto non solo della posizione oggettiva del lavoratore all’interno del contesto organizzativo e produttivo dell’impresa, ma anche del profilo soggettivo e del bagaglio professionale del lavoratore stesso. Infatti, sussiste equivalenza quando le mansioni, ancorché diverse, si trovino in linea con le capacità professionali e le attitudini acquisite dal lavoratore nel corso della propria esperienza lavorativa. In altre parole, il concetto di “equivalenza” delle mansioni non necessariamente coincide con quello di “identità”: mansioni equivalenti possono essere anche mansioni tra loro differenti (per tutte, Cass., Sez. Lav., n. 10091/2006). Posto quanto sopra, al datore di lavoro non basterà, dunque, adibire il lavoratore a mansioni diverse per non doversi attenere ai nuovi limiti di durata del rapporto di lavoro a tempo determinato. Tuttavia, al di là dal significato e dalla portata della nozione di “equivalenza”, la nuova normativa prevede la possibilità di superare il limite temporale di 36 mesi mediante la sottoscrizione e davanti alla Direzione Provinciale del Lavoro e alla presenza di un rappresentante sindacale e di un nuovo contratto a termine, la cui durata massima è stabilita dalle organizzazioni sindacali di datori e lavoratori. Tale deroga è però concessa al datore di lavoro una sola volta, come se il legislatore volesse rimarcare e se mai ce ne fosse bisogno è la ratio della nuova legge: incentivare l’occupazione nell’attuale Mercato del lavoro e rilanciare la competitività delle imprese.


Rinnovato il contratto dei lavoratori degli enti locali

L’aumento medio mensile è di 101 euro. Il contratto riguarda 600 mila lavoratori. I sindacati e Aran hanno quindi siglato l’accordo per questo comparto del pubblico impiego relativo al biennio 2006-2007 .


Principio di onnicomprensività della retribuzione dei dipendenti degli Enti locali

Il Consiglio di Stato con tale sentenza ribadisce “il principio di onnicomprensività della retribuzione dei dipendenti degli Enti locali, fissato dall’art. 19 D.P.R. 1 giugno 1979 n. 191, ai dipendenti comunali con la qualifica di messo non spetta alcun compenso aggiuntivo per l’attività di notificazione di atti richiesta al Comune dall’Amministrazione finanziaria, rientrando tali funzioni tra gli ordinari compiti d’ufficio spettanti ai detti dipendenti (cfr. T.A.R. Piemonte, Sez. II, – 25 gennaio 2003 n. 117 e 15 aprile 2000 n. 421)”.

Leggi: Consiglio di Stato Sentenza n. 493 del 12 febbraio 2008